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METODO PI: “Assessment emotivo-comportamentale nelle

relazioni di aiuto”
18 SETTEMBRE 1° LEZIONE

Giro di presentazione:
Poli:tu hai citato il discorso dell’ansia, e vedrete che questo è uno dei temi che noi
trattiamo in maniera differente da come viene trattato spesso in ambito
psicoterapico, perché per noi, l’ansia è il segnale di attivazione di immobilizzazione
dell’inconscio che noi leggiamo, e ne leggiamo poi le vie di scarico nel corpo e
questo ci permette anche di fare una psico-diagnosi diciamo in vivo non soltanto
tramite i test, e di lavorare proprio sulle vie di scarico delle emozioni a livello
corporeo, e l’ansia per noi è di fatto un effetto collaterale della mobilizzazione
emotiva, quindi la trattiamo in una maniera differente da quello che si fa di solito.

Ingrassia: questo è uno dei principi del metodo, ne parleremo, proprio di riuscire a
mantenere questi due domini sempre attivi: il pensiero e il sentimento e anche
esplorarli da entrambi i lati; sia dal lato del psicoterapeuta sia dal lato del nostro
paziente, cliente. Quindi riuscire ad esplorare questi due mondi in continuazione.
Forse è anche il motivo perché ci siamo uniti, nel senso che il coaching è più
pensiero se voi ci pensate, e questo forse è anche il limite del coaching tradizionale,
sto parlando che è molto legato alla parte cognitiva, mentre…

Poli: la psicoterapia è pensiero☺, la più parte delle terapie si limitano a parlare e


questo è il grosso punto di fallimento o comunque di impasse dei percorsi
psicoterapeutici, che durano a lungo ma si fermano su una riflessione di tipo
intellettuale e non nel corpo e nel sentire, ed è la ragione per cui io, tra l’altro stavo
approcciando dopo un’analisi junghiana ho fatto un’analisi freudiana. Ero stata
presa alla società psicoanalitica Freudiana, scuola di psico-analisi; vado a questo
convegno, ero anche scettica a questa psico-terapia breve, vedo il video di questo
paziente che parla e di questo terapeuta che fa questa serie di interventi, molto
mirati, ma anche molto empatici, e questo paziente che ha effettivamente questa
apertura di emozioni inconsce, poi si vede la seduta successiva un cambiamento.
Resto folgorata e al termine di questo convegno mi ero presa tutti i libri, tutto il
materiale che potevo prendere; vado dal mio didatta analista e gli dico:” io dopo 5
anni di analisi junghiana e altri 5 di analisi Freudiana 3/4 volte a settimana io non
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l’ho vissuta. “E devo dire che sono stata fortunata da questo punto di vista lui mi ha
detto” mi dia questi libri” e la volta dopo mi ha detto” questo è il futuro del resto
Freud diceva verrà un tempo in cui voi con la neurologia, con la conoscenza del
cervello supporterete le mie intuizioni. Secondo me questo è il futuro vada a fare
questo, però non dica che gliel’ho detto io☺. “Quindi sono andata a New York dalla
Diana Fosha, ed è stato il primo contatto. Proprio perché molte psicoterapie si
fermano su un piano puramente intellettuale e non producono cambiamento ma
producono un movimento di rimuginazione mentale. Le scuole anche se sono
dinamiche hanno una grossa quota di lavoro dialettico e di lavoro intellettuale e
anche interpretativo.

Adesso siamo in un periodo fecondo, io ho iniziato nel 2000 e nel 2000 eri guardato
con sospetto.

Per quella che è stata la mia esperienza di lavoro integrato con sessuologi è curioso
come in sessuologia, la scuola diciamo tradizionale di sessuologia, sia in realtà una
scuola molto meccanicista che applica degli schemi, dei protocolli, degli esercizi e
non considera tutti gli aspetti archetipici e simbolici profondi che agiscono nella
sessualità, per cui è stato sempre molto curioso vedere lavorare i sessuologi come
se stessero sostanzialmente lavorando in maniera meccanica con il tema sessuale.

Ingrassia: giovedì ero allo IEO ed è stato interessante perché hanno cominciato a
introdurre all’interno dello IEO alcuni argomenti che riguardano questi aspetti e mi
raccontavano due professori che erano lì che si occupano di aiutare gli specializzandi
in questo caso era sul tumore alla mammella, mi dicevano che non c’è nulla nel
percorso di medici-oncologi di questo genere, cioè sulle emozioni, se non appunto
alcuni sporadici riferimenti, ma non c’è un percorso che va in questa direzione.
Quindi hanno introdotto delle tematiche che riguardano questi aspetti, e mi ha
molto colpito perché si stanno anche loro spostando verso questa direzione. Che poi
noi parliamo dei pazienti ma era interessante perché il percorso, la giornata è stata
dedicata metà sui pazienti, e metà sui parenti dei pazienti perché il tema era poi
comunicare con i parenti oltre poi che con i pazienti.

Poli: voi vedrete che avremo alcune sessioni del corso dedicate proprio
all’apprendimento della tecnica, e altre invece dedicate all’acquisizione della
competenza emotiva interiore, perché poi le due cose vanno di pari passo
ovviamente.

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Ingrassia: il corso si chiama Assessment e quando parliamo di assessment parliamo
di una sorta di valutazione, perché comunque che lo vogliamo o non lo vogliamo la
valutazione la facciamo un po’ sempre, ogni volta che ci relazioniamo con qualcuno,
e forse e uno degli elementi su cui abbiamo cercato di puntare l’attenzione su
questo corso è che la valutazione molto spesso si fa dell’altro; ma raramente si fa di
noi stessi, quindi cerchiamo anche se ovviamente in un percorso da psicoterapeuta
fate un lavoro su voi stessi molto importante, però molto spesso a noi ci capita dopo
le relazioni di aiuto che sia coaching o counseling o psicoterapia vediamo che
appunto alla fatidica domanda “ma secondo te com’è andata?”Lo psicoterapeuta ci
guarda un po’ strainito e ci dice “in che senso? Chiediamolo al paziente …sì ma tu
che auto-valutazione ti sei fatto di questo intervento?

Poli: un’altra cosa che accade spesso e che io pativo quando facevo la scuola di
specializzazione in psichiatria, e contemporaneamente cominciavo a vedere le
persone in psicoterapia utilizzando di fatto le tecniche psicoanalitiche più classiche e
poi utilizzavo già l’ipnosi perché è stata la mia prima formazione in ipnosi e in
tecniche immaginative per cui lì trovavo tutto il lavoro con l’immaginario ma mi
mancava poi l’aspetto emotivo. E la cosa, che io pativo molto avendo comunque io
una mentalità da medico e quindi forse più pratica, era di non avere esattamente,
non so se è capitato anche a voi, il punto di quello che stava accadendo durante la
seduta. Non avere la sensazione di dove effettivamente si stava andando, e seguire
un flusso di cui io però non ero padrona, non nel senso che lo devi controllare, ma
nel senso che capisci che cosa stai facendo, capisci che cosa sta avvenendo tra te e
la persona e capisci dove stai andando. Questa cosa non era sempre chiara, e tra
l’altro non lo era anche nei miei percorsi didattici personali, cioè quello che
sperimentavo io sulla mia pelle prima con l’analista Junghiano poi l’analista
Freudiano era spesso di un non senso, non sapevo dove andasse a parare; e questa
cosa io la pativo anche perché in ospedale io lavoravo come psichiatra di
consultazione, cioè quello psichiatra che viene chiamato negli altri reparti da altri
specialisti che hanno pazienti problematici, pazienti che non rispondono ai farmaci,
pazienti ansiosi, oppure sintomi medici vaghi, inspiegabili o aspecifici per i quali
ritengono che ci sia una base emotiva. Venivo chiamata per fare lo psichiatra di
consultazione e i miei colleghi naturalmente mi chiedevano di spiegargli e di dargli
degli elementi per comprendere quel paziente, elementi che in realtà con
l’approccio psico-analitico, l’approccio convenzionale medico, sappiamo che in
psichiatria è prevalentemente oggi ancora farmacologico; e l’approccio
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psicoanalitico era estremamente vago da questo punto di vista, per cui io pativo
questo aspetto e andavo cercando dei modelli che potessero aiutarmi a fare
chiarezza, non tanto a mettere ordine, perché poi l’inconscio è un serbatoio infinito
ce lo insegna Jung però a fare chiarezza, cioè ad avere la sensazione di tenere in
mano le redini di quel processo ed è quello che mi ha effettivamente dato come
primo approccio la ISTDP

E poi lo vedremo perché con la ISTDP si riesce a fare una psico-diagnosi basandosi su
alcuni aspetti corporei, di espressione delle emozioni, sulle vie di scarico dell’ansia e
sul tipo di difese che la persona utilizza rispetto alle emozioni inconsce e poi mano a
mano abbiamo aggiunto la tecnica delle domande che poi vedremo

Ingrassia: un altro aspetto importante di cui sappiamo l’esistenza ormai da tanto


tempo, che ci ha messo nelle condizioni di fare una riflessione è che molto spesso
quello che noi vogliamo ottenere poi lo otteniamo perché è quello che noi stiamo
cercando. Lo diceva anche Freud “tutto quello che ho trovato l’ho trovato perché
era ciò che stavo cercando” e una delle metafore che più mi piace è quella del rito
voodoo, cioè molto spesso noi siamo soggetti alla profezia che si auto avvera e
quindi in psicoterapia, in qualsiasi relazione d’aiuto questo elemento è da tenere in
considerazione perché molto spesso noi agiamo affinché qualcosa accada ma non
sappiamo se sta accadendo perché c’è stato un cambiamento vero della persona o
perché noi abbiamo voluto questo tipo di elemento.

Poli: di quest’aspetto si potrebbe parlare a lungo, e dipende anche dalle credenze


che uno ha. E’ vero che mano a mano che una persona approfondisce la conoscenza
di se’ comprende che il mondo interno di fatto condiziona tutto quello che accade
all’esterno. A seconda del livello di coscienza della persona, ad un livello di coscienza
basico la persona crede in quello che vede e crede che la realtà esterna esiste come
tale, mano a mano che la coscienza si espande si passa alla percezione di quanto il
pensiero agisca nella realtà, e di quanto abbia facoltà di creare delle realtà; e uno
psicoterapeuta dovrebbe poter considerare anche quanto i suoi pensieri e le sue
credenze interagiscono nella relazione con quella persona, e anche un medico, ci
sono tantissimi studi che dimostrano che le credenze del medico circa la guarigione
hanno un’azione di condizionamento, addirittura sull’andamento della risposta alle
terapie, questo poi si scontra o s’incontra appunto con la credenza spirituale e da
qui tutto il grande tema, io personalmente ritengo che nella facoltà di medicina
bisognerebbe inserire un esame di filosofia, un esame approfondito anche relativo
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alla conoscenza antropologica-culturale delle persone, perché in realtà il processo di
cura, il processo di guarigione hanno a che fare con la visione del mondo del medico
e del paziente, e molto spesso questo non viene considerato perché la prospettiva è
puramente meccanicista e anche gli psicoterapeuti, gli psichiatri continuano a
considerare la mente come un computer su cui debbano lavorare per rimettere a
posto il guasto di un pezzo o di una funzione, ma non l’aspetto unitario di
quell’individuo perciò nel tempo, la ISTDP per esempio è una tecnica ma nel tempo
l’abbiamo integrata e anche con il metodo Ekman, se volete è un’acquisizione di
competenze, però nel tempo l’abbiamo sempre più integrata con un lavoro sempre
più all’interno del terapeuta.

Ingrassia: e infatti poi leggendo un libro “50 modi per cui i terapisti falliscono” c’era
un dato che ci aveva abbastanza colpito il 57% dei pazienti non torna dopo la prima
visita e quello che è rimasto, il 45% non torna dopo la seconda visita.Quando alla
scuola di psicoterapia facciamo vedere questi dati e raccontiamo delle ragioni per
cui appunto la terapia può fallire, molti dei psicoterapeuti o psicologi ci dicono si
però magari non eravamo gli psicologi-psicoterapeuti giusti per quel paziente quindi
è giusto che sia così. La mia domanda di provocazione è “ma come fai a saperlo?”
nel senso che, che cosa hai fatto tu per provarci perlomeno; cioè c’è la parte
relazionale su cui probabilmente non poniamo una grande attenzione, allora
diciamo…” ok va beh se non c’è sintonia, non c’è sintonia….sì ma che cosa ho fatto io
perché questa sintonia avvenga?” perché nella prima fase c’è un discorso di fiducia e
instaurare la fiducia non è necessariamente subito, una fase in cui il paziente è lì
aperto a raccontarci tutto quello che ci dovrebbe raccontare

Poli: anche perché, e poi questo sarà proprio un lavoro che faremo, Ekman lavora
regolarmente su l’osservazione dell’altro, al tempo stesso può essere un grosso
lavoro di conoscenza di se, e di lavoro su di se, non dobbiamo dimenticare che nel
momento in cui noi ci relazioniamo con una persona, non conta soltanto quello che
noi le diciamo ma naturalmente c’è tutto un insieme di messaggi che noi mandiamo
di tipo non verbale, la nostra espressione, il nostro modo di muoverci, il nostro
modo di dare la mano, il nostro modo di farlo accomodare, che viaggiano velocissimi
e con questo non intendiamo dire che c’è un modo di porsi giusto e uno sbagliato,
ma l’importante è; tra l’altro ognuno di noi è unico e ha il suo modo di essere, ha la
sua energia, ha la sua natura, la sua essenza, il punto è di averne consapevolezza,
perché se io sono consapevole di come mi pongo allora posso giocare questo gioco
relazione indipendentemente che io sia una persona calda e accogliente, o una
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persona più asciutta e riservata; ma questo non significa nulla…è la mia natura. Il
punto è che grado di consapevolezza ho io, dell’effetto che posso fare sull’altra
persona, e come sono in grado di modulare, eventualmente il mio modo di pormi,
perché dobbiamo considerare che dal mio punto di vista una delle grandi scoperte
che poi è stata in parte criticata, perché il tema dei neuroni specchio era stato
esteso a qualsiasi attività e relazione interpersonale; in realtà probabilmente i
neuroni specchio agiscono in modo molto forte in tutto quello che è l’attività
motoria; quindi la proseguita gestuale e non così tanto invece negli aspetti di
espressività più emotiva però è in dubbio che Rizzolatti e Ramachandran che si
contendono la paternità della scoperta hanno evidenziato una cosa fondamentale,
cioè che noi lavoriamo nella relazione con l’altro attraverso un sistema di
specularità, rispecchiamento che è ben prima di quello che noi possiamo
comprendere a livello corticale, lavora con una mimesi di ciò che noi vediamo fare
nell’altro a livello cerebrale, e quindi immaginate soltanto il modo in cui aprite la
porta sta già creando un inizio di relazione. E ribadisco non c’è un modo giusto o
sbagliato, non è che uno deve essere in un certo modo, ma l’importante è che abbia
la coscienza di come è, e quindi di che tipo di messaggio sta mandando.

Ingrassia: e che impatto questo messaggio appunto ha nei confronti del nostro
interlocutore, perché la fase di accoglienza è appunto una fase importante nella
terapia, ma è una fase che sicuramente ha una fase di inizio del processo di fiducia
che appunto vogliamo creare all’interno del rapporto terapeuta o coach, cliente…
Pensate che al sesto posto dei 50 modi per cui la terapia fallisce c’è proprio il fatto
che il terapeuta non è stato in grado di riconoscere l’emozione del proprio paziente,
c’è tutto un tema sulla comunicazione verbale interessante; c’è una ricerca molto
interessante che hanno fatto un paio d’anni fa su 230 paesi e hanno chiesto ai
pazienti quali consigli avrebbero potuto dare al proprio psico-terapeuta ed è venuto
fuori che i tre consigli principali sono stati per primo la comunicazione non verbale,
cioè non mi sorride, non mi accoglie, non mi sento ascoltato cioè tutto quello che
riguarda la comunicazione non verbale, il secondo consiglio è l’ascolto, cioè non è
riuscito appunto ad ascoltare le mie esigenze, non mi ha capito, e il terzo consiglio
sono una persona, prima che una cartella clinica, quindi voi capite bene che questi
tre consigli non vanno nella direzione della competenza, ma vanno nella direzione di
una parte relazionale importante ed è da tenere in considerazione perché invece
siamo portati a lavorare sulla parte di competenza come se fosse quella che
potrebbe risolverci tutti i problemi in realtà sappiamo, molto bene che oggi la
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leadership istituzionale è crollata e quindi il ruolo anche del medico o dello
psicoterapeuta non è più riconosciuto come lo era un tempo, quindi la parte
relazionale fa si che la leadership venga valorizzata oppure no;e la leadership ha
quel punto ce l’ho se ho un rapporto di fiducia molto importante.

Poli: io lo ribadisco ancora lo dirò più e più volte, ma è un punto a cui tengo molto
perché poi succede, succederà anche a voi, voi vedrete dei video e sentirete,
siccome ci sono delle fasi del processo, adesso sto parlando soprattutto degli aspetti
proprio tecnici di accelerazione del processo terapico, in cui noi utilizziamo dei
passaggi e quindi formuliamo delle domande in un certo modo, con proprio dei
punti specifici e succederà … perché lo abbiamo visto negli altri gruppi che tenderete
a riutilizzare quel tipo di domanda, tenderete a riutilizzare quel tipo di costrutto… ci
dicevano “parliamo come voi” durante la seduta ci viene in mente e ripetiamo.
Questo in parte è normale in una fase di apprendimento, e può anche andar bene, ci
tengo però al fatto che ognuno di voi poi rielabori in base alla propria personalità,
alle proprie esigenze, al tipo di lavoro che fa, quello che sentirete, al proprio modo
di comunicare, al proprio stile perché anche il discorso dell’empatia… si può essere
empatici in tanti modi e la personalità di ognuno deve essere autentica, quindi non
esiste un modello, ci sono medici che vanno a fare i corsi, e Diego lo sa perché tra
l’altro lui molto più di me fa corsi di formazione sulla comunicazione medico-
paziente e li riconosci subito perché hanno fatto il corso e allora hanno uno standard
di accoglienza: sorridono, fanno sedere…ma non è autentico, nel senso che viene
assunto come un modello, quando in realtà il paziente perdona quasi tutto al
medico, direi pure troppo, ma non gli perdona una cosa, la falsità, la non autenticità
e questa è una cosa importantissima, se voi quel giorno siete nervosi è inutile che
fate finta di non esserlo, tu puoi essere nervoso dentro di te ma avere lo stesso
rispetto e integrità con una persona … e tra parentesi potrebbe anche succedere
perché lo vedremo che noi lavoreremo nel qui ed ora mi interessa l’aspetto
relazione nell’hinct et nunc della seduta, non andiamo tanto a lavorare sul passato a
priori, andiamo a lavorare su ciò che del passato emerge quando noi stiamo nel qui
ed ora, e quindi noi andiamo a beccare in maniera chirurgica il punto che ci serve,
proprio perché lavoriamo su quello che c’è adesso voi potreste essere nervosi,
essere integri e rispettosi e trasmettere questo e potrebbe succedere che la persona
di fronte a voi lo colga e da lì venga fuori la seduta migliore che potevate fare,
perché siccome niente è a caso, in realtà può essere che quella persona arrivi quel
giorno in cui avete quello stato d’animo e questo crei una sincronicità tra di voi per
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cui ha senso che voi abbiate quell’aspetto. Che è diverso dallo scaricare all’interno
della seduta quello che voi sentite. A me è capitato di avere delle persone, sto
pensando ad una collega, ho avuto dei pazienti che sono andati da lei e mi hanno
detto:” lo sa cos’è successo? ha passato un’ora a parlarmi del suo problema con
l’ordine professionale poi alla fine mi ha dato dei fiori di Bach ma secondo me li
doveva prendere lei. Perché poi i pazienti, o i clienti colgono. Quindi un conto è
essere autentico un conto è utilizzare la seduta per uno scarico mio personale,
essere autentico vuol dire… in questo momento sono questo e da questa posizione
faccio quello che sono tenuta a fare, i pazienti o i clienti vi studiano perché sono lì
per vedere se possono fidarsi di voi, e se possono trovare con voi quel registro di
relazione e di fiducia e di autenticità che non hanno trovato prima ed è la ragione
per cui stanno male, quindi vi stanno mettendo alla prova.

Ingrassia: mi vengono in mente due pensieri, il primo è che venerdì e sabato ero a
Trieste con un gruppo di ginecologi che devono relazionarsi con una paziente che ha
delle difficoltà in quel momento e mi chiedevano ma “tu che frase utilizzeresti in
fase di chiusura della visita, oppure con che frase l’accoglieresti?” io a un certo
punto gli ho detto ascoltate, io sono un po’ allergico innanzitutto alle ricette, e
secondo sono allergico alle frasi fatte, nel senso che io ti posso dire che cosa non
utilizzare, nel senso che è molto più interessante sapere cosa non fare perché nel
momento in cui tu vuoi fare qualcosa puoi adattarla, puoi utilizzare un metodo e
vestirvelo su misura però è importante che continuiamo a essere ciò che siamo se io
ti dico la mia frase in fase di chiusura sarà diversa da quella di Erica. Però l’obbiettivo
che ci poniamo con quella frase è uguale, allora è più importante conoscere il
metodo che non la frase. Però siamo molto portati invece a ricercare quello. E la
seconda riflessione che mi viene da fare che è collegata a questa, è che infatti a
volte mi capita di dire alle persone usate meno il condizionale perché lo usate
troppo spesso e una persona una volta mi ha detto si ma uso il condizionale per
educazione!? Utilizzare forme alternative, se io chiedo che alternative abbiamo al
vorrei? e la gente mi guarda come se ci fosse solo quello, lo chiedi ad una bambina
che non ha questi costrutti e ti dice invece di vorrei l’acqua, posso avere l’acqua per
favore? Che è comunque educazione. Allora cambiare delle forme che ci hanno
inculcato ad essere corrette non è facile, è molto complesso perché siamo abituati a
lavorare con quel linguaggio, con quel comportamento e voi stessi, se ci pensate
avete imparato delle dittologie che poi avete consolidato nella vostra attività e
quindi cambiare e provare ad annullare la propria competenza, provare a
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sperimentare qualcosa di nuovo, magari integrandola con la propria competenza è
difficile perché siamo animali molto abitudinari.

Poli: anche se poi chiediamo al nostro paziente/cliente di cambiare degli schemi di


rompere delle abitudini che mantiene da tempo, cambio radicale delle persone,
chiediamo a loro di fare questo, può essere che non vediamo degli schemi reiterati
che invece noi mettiamo in atto e bisogna anche considerare che il potere di
catalizzare una trasformazione che comunque avviene all’interno della persona, cioè
non è il medico che fa guarire qualcuno, in realtà il medico attiva un processo che è
interno della persona, ma la capacità di attivarlo è prettamente collegata alla
capacità che ognuno ha di trasformare se; le due cose vanno necessariamente di
pari passo.

Ingrassia: perché poi tante cose quando parliamo di dieta, è un cambiamento,


pensate anche alla parola dieta, la parola dieta non ci piace come se fosse una
costrizione, come se qualcuno mi costringesse a fare qualcosa che non voglio fare,
tant’è vero che c’è una parte motivazionale importante; cioè perché dovrei far la
dieta? Che forse è ancora prima di far la dieta. Ma mettiamo caso che trovi la
motivazione, la dieta che cos’è sostanzialmente; è uno stile nello stare a tavola, che
non è dieta ma un modo diverso di approcciare il cibo, di stare a tavola, e questa
abitudine di comportarsi in un certo modo a tavola ti permette sostanzialmente di
mantenere o di perdere peso. Ma è l’abitudine di mantenerlo, le idee sbagliate. Io
una volta ho conosciuto un nutrizionista che mi ha detto: la mattina dovresti
mangiare proteine…per me era follia mangiare prosciutto o uova, abituato al
cornetto con la crema, era veramente un cambiamento epocale. Oggi io la mattina
mangio l’uovo e mi dà un energia diversa per arrivare a pranzo, però sicuramente è
un modo diverso di approcciare una routine, quindi aggiungere degli elementi e
toglierne altri. Per integrare qualcosa bisogna anche riuscire ad abbandonare
qualcos’altro, difficile aggiungere aggiungere aggiungere bisogna anche saper
abbandonare. Come metafora mi viene in mente Michelangelo che quando ha fatto
il David ha visto all’interno del monolite di marmo la bellezza del David e ha tolto
per rendere bella la pietra. Molto spesso ci serve anche il lasciare qualcosa

Poli: infatti il motivo per cui noi lavorando con le emozioni abbiamo
un’accelerazione è legata al fatto che andiamo a togliere, togliamo le difese,
logicamente lo facciamo a seconda del tipo di persona, che poi vedremo nel tema di
oggi le diverse categorie … se così possiamo dire di alta, bassa o media resistenza o
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fragilità che può avere una persona rispetto alla difese che utilizza, cioè al suo
costrutto di personalità, andiamo a togliere degli schemi, andiamo a togliere dei
copioni, andiamo a togliere delle memorie, cioè fondamentalmente noi lavoriamo
per aumentare delle resistenze, per aumentare i gradi di libertà di quella persona e
fondamentalmente tutto il lavoro è quello di andare ad alleggerire memorie che la
persona si porta dietro, condizionamenti che sono legati all’attaccamento che sono
legati alla vita gestazionale, legate alle memorie precedenti, psicogenealogiche
quindi poi qua ci sono tutti i vari aspetti. Ma fondamentalmente questo è quello che
facciamo, Ogden diceva che in una psicoterapia non si fa altro che continuare a
raccontare la stessa storia finché non ci sia più nessuna storia da raccontare perché
è stata alleggerita così tanto che ad un certo punto quella storia lì è stata
abbandonata. E questo è quello che facciamo.

Ingrassia: una degli elementi importanti che è venuto fuori durante il giro di tavolo è
questa integrazione tra il dominio cognitivo e il dominio emotivo ed è stato molto
interessante perché per tanti anni si pensava che il cervello fosse diviso in aree
cerebrali che lo è anche ma, che anche queste corrispondessero degli stimoli e delle
cose specifiche per quanto riguarda le emozioni. E poi si è scoperto nel 2011 un
certo Richard Benson ha scoperto che per esempio la tonicità arriva da diverse aree
cerebrali, e vedere come queste diverse aree si attivavano con le emozioni non a
caso la felicità, ma la cosa interessante nella ricerca è che la felicità aveva scoperto si
attivavano anche parti del cervello prefrontale che è deputato principalmente alla
parte cognitiva. Come mai si attiva una parte puramente cognitiva quando invece
stiamo parlando di emozioni? E da lì che sono nati studi molto interessanti che
integrano questi due aspetti, non vogliamo separarli, vogliamo tenerli legati e
andiamo a valutarli entrambi durante il percorso terapeutico piuttosto che d’aiuto.
Pensate ad esempio a fare due domande: che cosa ne pensi? E che cosa stai
provando? Sono due domande che in realtà hanno due costrutti completamente
diversi una legata più alla parte cognitiva, una più alla parte emotiva, però in che
fase noi facciamo quel tipo di domanda durante appunto il rapporto, perché quello
che abbiamo fatto con Erica è studiare proprio in che modo arrivare ad un processo
per cui la persona si apre e riesce a raccontarci cosa sta pensando o provando in una
fase specifica del nostro incontro, che non dura 6 ore e quindi abbiamo tutto il
tempo possibile.

Poli: a proposito visto che abbiamo proiettato questa slide ne approfitto, perché così
introduciamo un elemento che più che altro è di tipo informativo, soprattutto per i
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medici perché io amo pensare che poi a vostra volta andiate da altri colleghi e
divulghiate e allora c’è bisogno anche di elementi di validazione scientifica. Gli studi
che son stati fatti inizialmente sulla ISTDP e adesso anche sulle tecniche integrate
che ormai non chiamiamo più ISTDP perché di fatto abbiamo integrato più aspetti su
quelle che sono le tecniche del metodo PI cos’è che vi fanno vedere? Che a
differenza della terapia cognitivo comportamentale che è stata la prima psico-
terapia che ha avuto una validazione scientifica dov’è che agisce la terapia cognitivo
comportamentale? Agisce soprattutto nell’area della corteccia frontale, cioè tutto
ciò che è l’attività di pensiero e l’area della corteccia prefrontale, la corteccia
prefrontale (esempio del modellino del cervello con le mani). Se voi guardate il
pollice tocca contemporaneamente tutte le dita e anche il resto della mano cioè è
posto in una posizione che in qualche modo arriva dappertutto, la corteccia
prefrontale è esattamente ubicata in questo modo, cioè ha una porzione anteriore e
una porzione mediale, e dico questo perché le afferenze cioè le vie nervose della
corteccia prefrontale arrivano a tutte le aree e quindi è la sede cosiddetta
dell’integrazione, delle funzioni mentali superiori, ora la terapia cognitivo-
comportamentale agisce anche sulla corteccia prefrontale, quindi ha un’azione sul
pensiero e un’azione sull’integrazione. Però dov’è che cade? Cade rispetto ad un
sistema importantissimo che è quello che ha segnato il cambiamento del paradigma
medico, la prima rivoluzione medica, sul sistema limbico. Il sistema limbico è un
cervello nel cervello, cervello antico ce l’hanno anche i mammiferi ed è deputato alla
vita neuro-vegetativa d’istinti, di tutto quello che è l’emozione primaria e ne
parleremo con il metodo Ekman, perché va a vedere le micro espressioni facciali
delle emozioni primarie, poi Diego vi farà vedere anche le corrispondenze con il
mondo animale, e contemporaneamente qui abbiamo l’ipotalamo e l’ipofisi cioè le
regolazioni della vita vegetativa dei segnali ormonali e di tutti i rapporti tra psiche e
sistema nervoso, il sistema endocrino e il sistema immunitario, quindi questo
sistema non risponde alle parole, non risponde a quelli che sono i codici intellettuali.
A che cosa risponde? Alle immagini, e alle sensazioni di tipo fisico. La terapia
cognitivo-comportamentale non coinvolge queste strutture amigdala, ippocampo
ipotalamo e ipofisi che invece per esempio chi ha citato i terapeuti MDR sanno
benissimo che vanno a lavorare qua attraverso la stimolazione oculare. Nelle
tecniche che usiamo nel metodo PI unendo l’aspetto cognitivo con l’aspetto del
sentire noi andiamo ad attivare e ci sono studi su questo, l’hanno dimostrato che si
attiva contemporaneamente la corteccia perché stiamo comunque parlando e
stiamo comunque considerando dal punto di vista cognitivo degli aspetti e delle
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tematiche. Ma siccome lavoriamo regolando il corpo facendo si che la persona
percepisca nel corpo l’emozione, si attiva anche il sistema limbico, quindi si attivano
due sistemi insieme e la cosa interessante è che abbiamo un incremento
dell’attivazione del sistema para-simpatico, chi fa l’ipnotista sa che l’ipnosi agisce
fondamentalmente spostando la bilancia del controllo, dal controllo simpatico al
controllo para-simpatico, quindi che cosa abbiamo lavorando in questo modo? 3
livelli: lavoriamo con la corteccia e l’integrazione della corteccia prefrontale,
attiviamo tutta la vita vegetativa del sistema limbico, però regolando la risposta del
sistema nervoso tarandola sulla regolazione del nervo Vago, cioè capacità di
rilassamento che va a contrastare la reazione del sistema simpatico, cioè la reazione
da stress dove abbiamo ipotalamo, ipofisi e surrene, l’incremento di adrenalina e
cortisolo. Questo è stato tutto dimostrato, Abbass che citavamo prima ha avuto il
grande merito di aprire la strada a questo tipo di studi, di validazioni e il sistema
NARM che poi abbiamo integrato recentemente nel metodo PI di cui poi vi parlerò
ha studiato la bilancia tra para-simpatico e simpatico. Quindi quando noi lavoriamo
in questo modo lavoriamo già regolando l’integrazione del sistema cognitivo, con il
sistema emotivo e il sistema vegetativo.

Ingrassia: tutto questo quando viene attivato ovviamente da delle risposte che sono
visibili, cioè la cosa interessante è che tutto ciò noi lo possiamo osservare, il tema è
come facciamo nel momento che osserviamo una certa cosa e in quale ambito lo
posizioniamo, perché noi abbiamo tantissime cose del nostro interlocutore, il tema è
però poi dopo che significato gli diamo alle cose che stiamo osservando? ( racconta
la storia Nixson e Kennedy). Quindi noi osserviamo delle cose e li colleghiamo anche
a degli elementi corretti, non necessariamente dobbiamo avere un percorso di
conoscenza, comunicazione non verbale specifico, però prendendo un gruppo di
persone che non hanno una formazione specifica abbiamo visto qual è il grado di
competenza nell’osservare queste cose, quanto le persone realmente riescono ad
unirle e abbiamo scoperto che nel 54% dei casi le persone ci azzeccano ma nel 46%
invece sbagliano la valutazione, è un po’ come tirare la monetina quindi abbiamo
quasi la metà delle possibilità di sbagliare la nostra valutazione, perché nessuno ci
ha insegnato sostanzialmente ad osservare questi canali, il linguaggio del corpo,
della voce, sono canali che perdiamo sostanzialmente durante il colloquio perché
siamo molto focalizzati nella nostra cultura ad ascoltare le parole, siamo molto
incentrati sul contenuto e allora ci perdiamo l’ascolto attivo che invece ci permette
di vedere degli elementi che vanno al di là della parte cognitiva.
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Poli: solo che il nostro sistema inconscio registra questi messaggi e reagisce in base a
questi, quindi in realtà accadono dentro di noi tutta una serie di risposte di cui tra
l’altro noi non siamo consapevoli, per esempio la tempista di reazione legata
all’amigdala che è di 12 millisecondi rispetto ai 25 che ci impiega la corteccia per
riflettere su ciò che sta accadendo, tanto per fare un esempio.

Dopo il break:

Poli: ora abbiamo da qui alla pausa pranzo forse la parte che può risultare un po’ più
noiosa, d’altra parte è importante per quando vi approccerete con i colleghi o per
chi lavora con le istituzioni, qualche validazione a livello scientifico, le ricerche che
son state fatte fino ad ora così l’abbiamo fatta e archiviata e poi possiamo occuparci
d’altro. Le basi scientifiche riguardano il paradigma emotivo, ed è quello di cui noi ci
occuperemo di più, e quindi tutto quello che ha a che fare con le emozioni, e la
scoperta che hanno dei correlati neuro-biologici, cioè non sono soltanto dei fatti
psichici nei romanzi,film o canzoni ma hanno dei correlati a livello anatomico e a
livello neuro fisiologico, questo ha cambiato il modo di fare psicoterapia e ha
cambiato anche il paradigma medico, se bene tutt’ora la medicina convenzionale
faccia fatica ad integrare in maniera omogenea queste conoscenze che però in
realtà risalgono a più di 20 anni fa. Quella è stata la mia fortuna perché quando io ho
iniziato era il periodo in cui le neuroscienze iniziavano a dare indicazioni chiare sul
fatto che le emozioni fossero del fatti anche fisici e quindi hanno dei patterns di
scarico corporeo e noi ci occuperemo proprio di questo, cominceremo a vedere le
vie di scarico, il riconoscimento dei diversi comparti in cui le emozioni si possono
scaricare, e come queste si correlano a diversi gradi di fragilità e a diversi tipi di
difese che la persona utilizza rispetto alle emozioni che prova; il paradigma emotivo.
Poi nel tempo mano a mano un certo filone medico di frontiera che a tutt’oggi è in
parte considerato d’avanguardia e in parte è considerato ora non inseribile
completamente nel paradigma convenzionale, ma di fatto è sempre più in sviluppo,
ha incominciato a considerare gli aspetti energetici, cose che per chi si occupa
dell’energia in altro modo, chi si occupa appunto di sciamanesimo, pranoterapia,
reiki sono cose banali ma per la medicina no. Perché parlare di energia sembrava
una cosa come dire … da stregoni quando in realtà i medici da un sacco di tempo per
esempio misurano l’elettrocardiogramma o la risonanza magnetica che di fatto
valutano attività elettrica di un muscolo l’elettroencefalogramma piuttosto che la
risposta che il nostro campo elettromagnetico dà a una stimolazione all’interno della
risonanza magnetica. Quindi non è che il fenomeno energetico non sia noto ai
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medici, solo che i medici non hanno mai considerato il fatto che in quanto noi esseri
in grado di interagire con i sistemi energetici producenti di fatto fenomeni elettrici e
fenomeni magnetici allora potremmo anche essere sensibili a questo dal punto di
vista terapeutico. E non hanno mai considerato il fatto che evidentemente ci sono
dei meccanismi di tipo bio-fisico che sottendono i meccanismi bio-chimici. Quindi
quello che accade nel nostro corpo come reazione chimica che è ben nota, la
molecola che si lega al recettore, anticamente dalla farmacologia è questo che il
farmaco fa, è una molecola che trova un recettore e attiva a cascata delle risposte.
Questo ha tutto un meccanismo di tipo bio-chimico che è ben noto ma la medicina
non ha considerato il fatto che ad esempio quella la molecola arriva in quel punto e
non altrove, e se arriva altrove, sono gli effetti collaterali, ci arriva comunque in
misura minore, arriva in quel punto perché ci sono degli emisferi di tipo
elettromagnetico, e ci sono dei meccanismi bio-fisici che sono prima di quelli
materiali e che agiscono in realtà nell’orchestrare una rete continua di informazioni
e di sistemi complessi. Questo adesso è diventato appannaggio della medicina
quantistica, ormai il termine c’è dappertutto. Basta che digitate quantico e
quantistico, ormai è diventato un passepartout, in realtà la fisica quantistica è una
teoria ha alcune validazioni che sono prevalentemente validazioni che sono basate
su equazioni matematiche e quindi non sarebbe neanche corretto parlare di
medicina quantistica, intendendo qualcosa che abbia una concretezza tuttavia sta
diventando utile parlarne perché permette ai medici di accogliere nella loro forma
mentis l’idea che l’aspetto energetico del nostro essere possa in qualche modo
essere considerato e possa essere studiato e approcciato anche in termini
terapeutici, quindi va bene perché è una metafora digeribile dalla mente del medico
convenzionale, in realtà stiamo parlando di energia. I temi sono questi, paradigma
emotivo attraverso le neuroscienze, paradigma energetico attraverso le validazioni
che mano a mano si stanno concretizzando anche a livello scientifico. Che cosa
integriamo noi, che cosa abbiamo integrato in questi anni nel metodo PI cioè nella
famosa psico biologia emotivo comportamentale integrata. Allora quando io e Diego
abbiamo iniziato a collaborare io ero portatrice della tecnica ISTDP e lui era
portatore del metodo Ekman e tutte le nostre formazioni ma diciamo che in quel
momento abbiamo iniziato a collaborare con queste due metodologie; tant’è che il
primo corso si chiamava Assessment emotivo comportamentale proprio per questa
ragione perché avevamo unito il lavoro della psicoterapia breve ISTDP con la
metodologia Ekman e avevamo visto un notevole incremento di efficacia e rapidità.
Mammano però abbiamo iniziato ad integrare visto che Diego aveva alle spalle tutta
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la sua formazione di Coach abbiamo iniziato ad integrare alcuni aspetti del coaching
per esempio il maggiore orientamento sull’obbiettivo piuttosto che sul problema,
sulla risorsa piuttosto che sulla fragilità, abbiamo iniziato a introdurre anche questi
aspetti.

Ingrassia: qualcuno si chiedeva come il coaching agisce a differenza della


psicoterapia? Come fa ad agire sul cambiamento e c’è un aspetto interessante
perché noi partiamo dal presupposto che se io quasi non mi interessa il problema
per il quale appunto l’ha portata a comportarsi in un certo modo. La persona ad
esempio è negativa deve diventare positiva io le dico ad esempio “ok cominciamo a
parlare in maniera positiva a comportarti in maniera positiva, poi diventerai
positivo” cioè il tema è, con il comportamento io posso continuando a reiterare un
certo tipo di comportamento anche cambiare il mio stato interiore. Questo di solito
è l’obbiettivo del coaching tradizionale, mentre invece nella psicoterapia è come mai
sei negativo e da dove arriva questa tua negatività? e quali sono appunto i blocchi
che ti portano a non essere positivo, la psicoterapia va verso questa direzione e
l’integrazione dei due abbiamo visto che, ovviamente che l’uno non può stare senza
l’altro, a parte il fatto che abbiamo scoperto che ci sono più persone più portate a
ragionare da un punto di vista comportamentale, quindi ad un cambiamento
comportamentale, altri che invece vogliono andare ad analizzare le ragioni per cui
hanno uno status quo di un certo tipo. Ma le persone che invece sono interessati ad
entrambi come le trattiamo? E quindi abbiamo scoperto che molte persone che
arrivano portando il problema dallo psicoterapeuta continuano a portare lo stesso
problema, lo stesso tema ma alla fine aumentano la consapevolezza, cioè arrivano
ad un livello di consapevolezza incredibile, ci è capitato che il paziente dicesse “si si
ma questa cosa qui l’ho vista e rivista un sacco di volte” e allora il tema del coach è
se l’ha rivista un sacco di volte perché non cambi? perché non ci siamo posti
probabilmente il cambiamento da un punto di vista comportamentale e quindi il
coaching lavora molto sulla risorsa e sull’obbiettivo,sul futuro. Cioè come vogliamo
modificare questo status da un punto di vista comportamentale, quindi lavoriamo
da un punto di vista strategico

Poli: di solito nel lavoro psicoterapico partendo dal qui ed ora si va all’indietro, cioè
va a cercare le cause di quello che è successo prima e questo può essere anche
fuorviante perché tantissime persone conoscono tutto di quello che gli è successo
prima, conoscono i perché ma di fatto non modificano, o modificano in parte molto
ridotta quella che è la loro situazione o quello che è il loro sintomo. Viceversa il
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coaching tradizionale è molto orientato al che cosa tu farai, appunto al cosa, nel qui
ed ora, è interessante perché possiamo avere un’intersezione di questi aspetti
perché se noi stiamo su quello che succede adesso stiamo nel come. Infatti una delle
nostre domande è: che cosa senti? Che cosa provi? E possiamo lavorare anche a
seconda della persona che ci troviamo, che abbiamo di fronte o con quello che sta
emergendo lavorando su questi due piani, e un certo senso passando da uno
all’altro; e vedrete poi lavoreremo con i triangoli, i triangoli di Malan che fu uno dei
primi ad occuparsi di accelerazione delle tecniche di psicoterapia. I triangoli ci
servono per schematizzare il lavoro e questo in realtà non è quello originale si
chiama triangolo delle persone, quello originale di Malan è il triangolo del conflitto
che viene da Freud, nel triangolo del conflitto abbiamo l’emozione inconscia (core
affect) la difesa e l’ansia. Davanloo riprende Malan e si concentra molto sul triangolo
delle persone dove ad un vertice abbiamo il terapeuta, cioè che cosa succede nel qui
ed ora, che è dove noi lavoreremo tantissimo, cosa succede con il terapeuta rispetto
a come la persona si sta ponendo e alle emozioni relazionali, cioè della relazione tra
il terapeuta e la persona che in realtà riflettono gli schemi che la persona ha e gli
schemi di attaccamento … e cosa succede? Che lavorando emotivamente nel qui ed
ora della relazione con il terapeuta vengono mossi gli altri due vertici del triangolo,
cioè le altre relazioni del presente e in risonanza gli schemi del passato che stanno
continuando a condizionare le relazioni del presente che emergono nella dinamica
con il terapeuta, e allora non ci interessa sapere tutta la storia di una persona
perché nel momento in cui la persona si relaziona con me e io sono in grado di
leggere che cosa sta accadendo tra me e quella persona, e come la persona sta
sentendo con me, questo rifletterà quello che già gli accade nel presente ma
soprattutto gli schemi di attaccamento che la persona ha strutturato e che derivano
dalle sue memorie.

Ingrassia: e questa forse è un po’ una rivoluzione di tante scuole di pensiero, perché
uno degli aspetti che notiamo è che molto spesso arrivano i pazienti o i clienti anche
nel coaching che ti racconta il passato e tutto quello che è successo quando appunto
sono accadute certe situazioni. Noi quasi lo interrompiamo in questo processo
chiedendogli” ok ma come ti senti a raccontarci queste cose?” vogliamo riportarlo
nel presente, perché il nostro obbiettivo è vedere l’emozione che è presente in quel
momento, che lo blocca in una situazione, che invece deve generare un
cambiamento e quindi entrare in un processo, in una dinamica completamente
diversa da quella che è arrivata fino ad oggi perché come diceva Einstein ‘l’unica
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certezza che abbiamo è che se facciamo le stesse cose, otterremo gli stessi risultati
“e questo è uno dei temi che trattiamo quando appunto lo riportiamo al presente
per spostarlo poi verso il futuro.

Poli: quando io durante la scuola di specialità cominciavo ad approcciare, a recepire


questi studi di neuro scienze sul cervello limbico, sul sistema emotivo il punto forte,
la mia domanda era: “ho capito che le emozioni sono un ponte tra il versante
psichico e il versante somatico, sono il carburante per un cambiamento però come
faccio ad arrivare alle emozioni di quella persona, come faccio a mobilizzarle?” Che
con le tecniche puramente dialettiche non si ottiene questo, e lì ho capito anche
studiando altre medicine; le medicine orientali, approcciando tanti vari filoni e poi
arrivando alla ISTDP, ho capito che era necessario che la persona le sentisse e le
sentisse nel corpo. Cioè che il corpo era un elemento fondamentale da considerare
all’interno di un processo di trasformazione emotiva, ed è la ragione per cui poi oltre
a lavorare con Ekman ISTDP e metodologie del coaching abbiamo incrementato
l’utilizzo di tecniche centrate sulla percezione corporea. La tecnica embodying,
diciamo così l’ho creata io, in realtà nessuno crea niente, è una forma di focus
incorporeo che io ho utilizzato anni fa perché mi era venuto un dolore alla spalla che
non riuscivo a trattare in nessun modo, e ascoltando di fatto quello che mi arrivava
dalla percezione corporea, facendo una serie di passaggi poi è arrivato un messaggio
da quel dolore, e quando è arrivato il messaggio è stato incredibile perché il dolore è
sparito istantaneamente. E questa tecnica embodying per altro anche molto
semplice, la integriamo dove abbiamo il sintomo vero e proprio fisico poi nel tempo,
prima si è parlato di traumi, lo studio del trauma sapete che agli albori della
psicoterapia il trauma era centrale. Cioè l’idea che ci doveva essere un elemento che
aveva rotto la continuità nella psiche di quella persona e quindi dava origine ai
sintomi era centrale dopo un po’ con l’avvento di altre psicoterapie appunto la
sistemico relazionale, la psicoterapia cognitiva l’aspetto traumatico nella genesi del
disturbo è stato se non abbandonato però considerato come una parte delle
possibilità ma non tutta. In realtà il punto è che il trauma non risiede nell’evento,
cioè non è l’evento ad essere traumatico, il trauma risiede nel sistema nervoso, cioè
in come il sistema nervoso ha regolato l’impatto dell’evento, e come il sistema
nervoso ha regolato l’impatto dell’evento dipende da come il sistema nervoso si è
plasmato, e come il sistema nervoso si è plasmato dipende da quello che è accaduto
nei primi due anni di vita e in gestazione, e in particolar modo da come la reazione
del sistema nervoso è stata regolata dalle figure di accudimento, cioè dal sistema
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nervoso delle figure di accudimento, il sistema nervoso delle figure di accudimento
deriva da come sono state regolate eccecc quindi abbiamo anche una trasmissione
ereditaria di un certo tipo di regolazione del sistema nervoso, perché il sistema
nervoso può regolare l’impatto energetico del trauma attivando l’asse simpatico
oppure attivando il cosiddetto vago dorsale, questa è una teoria di Porges. Allora
sostanzialmente quando noi veniamo al mondo dovremmo avere una prevalenza di
attivazione del sistema para-simpatico con il vago ventrale, il vago ventrale
l’effettore del sistema parasimpatico lavora con l’acetilcolina e funziona con una
condizione di rilassamento e di morbida reattività e la possibilità di avere un
passaggio dall’emozione all’altra fluido. Ora vediamo un video che spiega bene
come il bimbo piccolo ha plasticità ed una reattività emotiva spontanea molto vivace
e riesce a passare da un’emozione all’altra esprimendola in una maniera diretta. Se
accade uno stimolo stressante di qualsiasi natura interviene il sistema simpatico che
lavora con l’adrenalina e che presiede proprio dal punto di vista della vita
vegetativa, cioè della vita istintiva alla reazione cosiddetta fight or flight così detta
attacco o fuga, dove di fronte ad uno stimolo stressante io mi predispongo o a
fuggire o ad attaccare. E fino a qua va tutto bene, nel senso che la vita è fatta di
stress che si susseguono, ai quali noi rispondiamo e abbiamo il sistema per farlo che
è il sistema simpatico. Però il sistema simpatico deve poter avere un’attivazione che
sale, arriva ad una certa soglia e poi decresce e in questo modo noi abbiamo la
possibilità di avere un incremento della reattività, un’intensità a cui facciamo fronte
e poi una fase di riposo. Se lo stimolo supera una soglia di tollerabilità il para
simpatico dorsale entra in gioco quando in realtà tu sei ancora sotto stress ma il tuo
sistema simpatico non riesce più a far fronte, cioè non ha possibilità di attaccare o
fuggire, nell’animale è molto chiaro, quando non può attaccare o fuggire l’animale si
finge morto e si blocca, cioè va in una situazione che viene chiamata freezing … cosa
può essere per un piccolo di umano non poter attaccare o fuggire, essere in una
condizione nella quale non può essere regolata l’esperienza emotiva che sta facendo
nella relazione, tipicamente con la figura di accudimento, quindi accade qualcosa
con il papà, la mamma insomma la figura di riferimento che muove così tanto dolore
e non stiamo parlando di un’esperienza psichica ma è un’esperienza vissuta nel
corpo perché fino ai due anni di vita è il corpo che regola il vissuto. Questa
esperienza di dolore di sofferenza che è somatopsichica, non è psichica è somatica
prima che psichica ,se non viene regolata adeguatamente e cioè non c’è una
competenza di sintonizzazione emotiva adeguata con quella reazione lascia una
memoria che plasma il sistema nervoso ad andare in freezing, cioè ad andare a
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congelarsi e attiva il parasimpatico dorsale che è responsabile di tantissimi sintomi
para-neurologici che si vedono nei pazienti, e che erano quelli delle vecchie isteriche
di Freud, la paralisi, il blocco, la caduta di energia, mentre il sistema simpatico
attivato è responsabile di altri sintomi che sono quelle a carico dell’apparato
respiratorio, l’apnea la tachicardia e così via. Impareremo a riconoscerli e a
riconoscere dove la persona sta scaricando l’energia collegata a quel blocco emotivo
o a quella memoria emotiva in modo da regolarla. In un certo senso potremmo dire
che il trauma è nel sistema nervoso da questo punto di vista, e la psicoterapia deve
agire con una regolazione di quel sistema, in modo che l’intensità di quello stimolo
venga integrata attraverso un sistema che non ricorre più al parasimpatico dorsale,
perché quando ricorre al parasimpatico dorsale in realtà c’è un congelamento e se
c’è un congelamento la persona è prigioniera di quel copione di quello schema e
rimane condizionata esattamente lì dov’è, e portata di fatto a ripetere sempre lo
stesso copione. Per questa ragione abbiamo iniziato ad integrare altre tecniche
come EMDR, EFT che servono per lavorare su ricordi traumatici, il terremoto,
l’incidente grave oppure per gestire tutte le memorie di freezing; cioè per ridurre il
di-stress emotivo in modo tale da ritornare in questa soglia dove la persona ha
padronanza di una reazione all’evento, e andando ancora avanti abbiamo introdotto
tutte le tecniche a mediazione corporea, somaticexperience, psicosoma e Narn che
è un’altra tecnica di lavoro centrata sul qui ed ora e centrata sulle emozioni che è
tutta costruita su questo schema. Quindi a seconda della persona che abbiamo di
fronte, a seconda proprio della struttura, poi nel pomeriggio ci occupiamo di vedere
le categorie come noi le individuiamo, usiamo un insieme di tecniche centrate
sull’aspetto corporeo, quindi EMDR EFT eccecc a seconda. Tra l’altro questo riguarda
il percorso più avanzato abbiamo fatto delle correlazioni, cioè a seconda del livello di
resistenza del tipo di difese qual è poi la tecnica che usiamo e in quale fase.

Ingrassia: per esempio quando parliamo di credenze limitanti, di lavoro sulla


resistenza piuttosto che lavoro sul piano d’azione. Anche il coaching lavora verso
questa direttiva e quindi per noi le credenze limitanti le resistenze sono un
elemento importante da valutare durante il processo di cambiamento perché
ovviamente siamo sul piano di azione e quindi il piano di azione non viene costruito
se non lavori sulle resistenze e sugli ostacoli che mettono in condizioni il coachee di
non attuare un nuovo piano di azione.

Poli: quando noi lavoriamo così ci siamo accorti che in maniera spontanea, visto che
qualcuno di voi ha nominato l’anima, Jung, ci siamo resi conto che mobilizzando
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l’emozione e permettendo alla persona di fare un’esperienza nel qui ed ora diretta si
apre l’inconscio(breakthrough) emerge del materiale di cui la persona non ne era
consapevole e lo vediamo perché cambia la sua mimica,cambia lo sguardo, e lì
abbiamo anche la possibilità di usare tecniche ipnotiche, perché a quel punto
abbiamo un inconscio molto ricettivo alle suggestioni,alle induzioni ipnotiche senza
che dobbiamo by passare la mente razionale, la mente critica, e arriviamo in
maniera spontanea a delle intuizioni che la persona ha circa il senso della sua
esistenza, il senso delle relazioni che ha avuto fino ad ora. E’ come se effettivamente
la coscienza di quella persona si potesse espandere ed espandendosi avesse una
visione più completa e più ampia di tutte le cose che ha vissuto fino a quel momento
nella sua vita. Come se ciò che ha vissuto acquisisse un altro significato, e allora qui
si aprono gli aspetti che possiamo definire spirituali se vi piace questo termine dove
entrano le tecniche di perdono i lavori psicogenealogici anche aspetti di mindfulness
o lavori sulla coscienza o lavori di alchimia trasformativa, questi sono tutti termini
che si trovano e che vengono utilizzati in maniera come dire equivalente da alcuni
terapeuti, e che stanno ad indicare un lavoro orientato a trascendere quella che è
stata l’esperienza vissuta fino a quel momento, che è su un piano di coscienza più
elevato se volete rispetto al puro lavoro emotivo. La ISTDP si ferma al lavoro
emotivo ma si vede che poi accadono delle intuizioni quelle che si chiamano anche
insight in terapia, in realtà noi usiamo delle tecniche per fare un ulteriore passaggio.

Ingrassia: questi insight, le cose che ci sono arrivate a noi durante questi anni di
lavoro assieme ma anche da parte dei partecipanti ai vari corsi. Nel senso che molti
dei partecipanti che avevamo nei nostri corsi arrivavano da esperienze di questo
genere, abbiamo avuto un alchimista trasformativo, cioè abbiamo avuto personaggi
che hanno portato il loro contributo durante i corsi, e ci hanno durante le
sperimentazioni le applicazioni che facevamo in aula fatto notare che alcuni
elementi si potevano aggiungere e che magari non li avevamo considerato e quindi
da lì sono nate anche delle riflessioni che abbiamo avuto proprio grazie ai
partecipanti. Quindi vi invito a considerarlo questo corso come un’attività in essere
e in itinere sempre in continua evoluzione, quindi se qualcuno ha degli insight o
qualcosa da suggerirci noi siamo anche molto aperti a considerarli e a sperimentarli.

Poli: sono nate anche delle collaborazioni, ci sono alcuni colleghi che hanno
frequentato i corsi negli anni precedenti e che magari risiedono in altre città e
spesso capita che gli inviamo persone.

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Ingrassia: Edward Tronick 1975 medico che ha voluto misurare quando la
regolazione emotiva arrivasse, e quali erano i fattori che la poteva favorire o meno.
Ha voluto verificare se bambini di 2-3 mesi avessero una capacità di essere
comunicativi nei confronti del soggetto, quindi ha iniziato a lavorare con le madri,
ma non solo e quanto fossero in grado di regolare le emozioni nel caso di relazioni
empatiche. L’esperimento l’ha basato su tre fasi principali: la prima fase il bambino
interagisce con la mamma in maniera naturale in cui si relazionano si scambiano
affetto, espressioni ecc ecc. in una seconda fase la madre inizia a essere
completamente statica si chiama stillface perché appunto ha un viso senza nessuna
espressività e il bambino mette in atto dei comportamenti per fare in modo che la
mamma ritorni ad essere espressiva ma nota che la mamma non ci riesce fino al
punto in cui e vediamo che le emozioni che presenta il bambino nella fase stillface
sono emozioni di tipo negativo, poi vedremo che non esistono emozioni di tipo
negativo ma quelle che noi conosciamo come negative come la rabbia o la tristezza
per esempio, fintanto che la mamma continua a essere statica nel suo viso il
bambino allontana anche lo sguardo decide di non vederla. Poi la mamma nella
terza fase riprende invece ad avere un’interazione normale con il bambino. Che cosa
ha scoperto? Che bambini anche molto piccoli 2-3mesi sono in grado di regolare le
emozioni, hanno già questa competenza. Poi ha scoperto che hanno già una
capacità relazionale di un certo tipo che non era mai stata riconosciuta, e ha
scoperto una cosa importante perché ha lavorato con le mamme depresse e ha
verificato che le mamme depresse che non hanno un’espressività per esempio
legata verso la felicità hanno un’interazione inferiore con i propri figli con degli
effetti devastanti per quel che riguarda la regolazione emotiva nel bambino e nella
sua evoluzione futura. Questo esperimento è stato molto importante perché ha
aiutato a capire le ragioni per cui alcune persone non riescono ad esempio a
sperimentare certi tipo di emozioni e una delle cose che ci è capitata molto spesso
durante le sedute congiunte con Erica è che noi chiediamo alle persone “cosa stai
provando?” e la gente ti guarda con lo sguardo perso, come dire non so cosa sto
provando o non so riconoscere cosa sto provando. Il lavoro che noi possiamo fare
visto che osserviamo certi cambiamenti fisiologici e non solo, possiamo aiutarli a
individuare il tipo di emozione che stanno provando in quel momento, quindi li
aiutiamo a diventare consapevole delle emozioni che stanno in quel momento
provando.

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Poli: è interessante come il processo costruisca delle competenze, quindi permetta
alle persone realmente di ristrutturare e riparare alcuni schemi disfunzionali, di
intelligenza emotiva e poi al termine del processo invece è la persona stessa che si
lascia andare e entra in uno stato di flusso in cui in realtà non ha più bisogno di
definire, è come se noi dovessimo costruire una competenza, che è quella di
riconoscimento, di definizione, di dare un nome e di sentire determinate esperienze
per poi assurgere ad un livello in cui le lasciamo semplicemente fluire e non è più
necessario doverle per forza riconoscerle e identificare perché la persona è in un
flusso libero del sentire. Prima va costruita questa capacità, soprattutto questo nelle
persone che hanno delle fragilità relative a traumi di attaccamento, prima dei due
anni di vita, dove non si è strutturato effettivamente quel costrutto interno che è
l’io, che poi sappiamo invece che quando la persona fa un lavoro di espansione
interiore lascia anche andare, ma prima va strutturato, prima bisogna costruire una
sana dipendenza per poi potersi autonomizzare; se la dipendenza nell’età infantile
non è stata costruita in maniera sana poi la persona non può lasciarla andare e non
può superarla.

Ingrassia: anche il padre ha un ruolo in tutto questo è uno dei motivi per cui
abbiamo iniziato a fare terapie congiunte perché nella fase di transfert con il
paziente/cliente, che è una parte dei triangoli che poi vedremo, il fatto di essere un
maschio e una femmina durante la seduta congiunta aiuta tantissimo perché ci sono
tutti dei processi di transfert con il terapeuta o il coach, che noi ovviamente
osserviamo e che poi utilizziamo in quella seduta proprio per aiutarli nel processo di
trasformazione.

Poli: è molto chiaro anche come in maniera spontanea, e al di là di quello che è


l’aspetto conscio della persona come l’inconscio si muova nell’identificare in
maniera differente l’energia maschile dall’energia femminile, il ruolo. Spesso accade
nelle sedute congiunte che è la persona a dare un certo ruolo a me e un certo ruolo
a Diego che riflettono come vive il maschile e il femminile ed è molto utile leggerlo
così lo possiamo rispecchiare e lavoriamo sulla coppia genitoriale.

Video still face

Poli: avete visto com’è rapido proprio, quante strategie mette in atto la piccola per
richiamare l’attenzione e per mantenere in essere il legale. Pensate se una
situazione di questo tipo si reitera. (si parla del libro fare la nanna, e il senso di
abbandono che può provare il piccolo)
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Ingrassia: anche se nel libro l’autore utilizza delle dinamiche un po’ diverse nel senso
che non lo abbandona nel lettino ma lo abitua a rimanere nel lettino. L’autore dice
inizialmente lo lasci 30 secondi e poi vai a vedere facendogli capire che ci sei; poi un
minuto e così avanti aumentando il tempo per abituarlo a rimanere da solo. Non è
abbandonare il bambino, ho provato quel metodo per il primo figlio e altri metodi
per il secondo. Dipende molto anche dalla serenità che ha la madre nel usare un
metodo o un altro, nel senso che ho notato che la differenza la faceva mia moglie
quando era sicura del metodo che stava sperimentando più che l’efficacia del
metodo.

Poli: io volevo proprio richiamare questo: un conto è l’utilizzo della tecnica un conto
è l’utilizzo della tecnica in modo meccanico. La tecnica è uno strumento il punto è
che poi esiste un campo che è creato dalle due entità in questo caso la diade madre-
bambino piuttosto che altre terapeuta-paziente/cliente e in questo campo ci sono
delle variabili e le variabili sono: chi è quel bambino? Come si comporta? Perché noi
non nasciamo neutrali, nasciamo comunque con un DNA che tra l’altro non è solo un
corredo genomico, i geni che codificano per delle proteine ma sappiamo che c’è una
grossa porzione di DNA regolatorio e probabilmente in quel DNA lì in un certo senso
risiedono anche le memorie emotive, che tra l’altro non ci derivano solo dai genitori
ma anche dalle generazioni precedenti. Quindi ognuno di noi è già portatore di
memorie, in più c’è la variabile adulto, che in quel caso è la madre che si relaziona.
Quindi quella coppia, quella diade ha delle caratteristiche che dipendono dai due
soggetti e dipendono dal contesto, e tra l’altro lo stato della madre dipende anche
dalla presenza del padre che in quella prima fase avrebbe come ruolo fondamentale
quello di sostenere la madre rispetto al compito che ha in quel momento nei
confronti del piccolo. Questa triade ha tutta una serie di meccanismi complessi che
devono funzionare e che devono essere orchestrati e quindi dipende dal bambino,
dipende come diceva Diego, da come si sente la madre nel farlo, quel libro lì per
esempio suggerisce anche di usare il contatto fisico,cioè lasciarlo nel lettino ma per
esempio appoggiare una mano sulla schiena o sulla pancia del bambino in modo tale
che per un po’ di tempo sia mantenuta la percezione del contatto pur non essendoci
il prenderlo in braccio. Quindi è più sofisticato, secondo me vale la pena conoscere
come funzionano i meccanismi e poi adattarli al singolo caso, perché purtroppo la
generalizzazione pecca della riduzione mentale delle variabili in gioco, che è il grosso
problema della nostra medicina. La nostra medicina procede per statistiche solo che
le statistiche non si possono applicare alle persone perché tu non puoi mai sapere se
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la persona che hai di fronte rientra nel 30% o nel 70% di quelli che guariscono o di
quelli che non guariscono. La statistica serve per far ragionamenti sui massimi
sistemi, eventualmente sulla sanità pubblica ma non per la persona, e per giunta
non saprai mai come andrà quella persona se non si limita a fare le cose che di solito
vengono fatte e sulle quali vengono calcolate le statistiche, perché la statistica e la
prognosi ti dicono che cosa succederà a quella persona se verranno applicate le cure
che vengono applicate nella maggior parte di quei casi ma non ti dice che cosa
succederà se quella persona farà anche solo una cosa diversa.

Ingrassia: o addirittura noi per esempio ora che stiamo misurando l’efficacia del
metodo PI da un punto di vista diciamo scientifico, la persona che ci sta aiutando a
fare questo c’ha detto “ma un campione di persone che vengono da voi e non fanno
nulla, cioè come reagiscono solo al fatto di aver pensato di dover fare qualcosa ma
di non avere un supporto.” E credo che da un punto di vista etico questo c’ha posto
diversi problemi, perché ci siamo posti il problema: ma se una persona ci viene a
chiedere aiuto, noi cosa facciamo la lasciamo dicendole che non abbiamo tempo
fino al 2019 per vedere come reagirà nel 2018? E’ complesso come argomento, però
per verificare se i metodi funzionano ti chiedono un gruppo di controllo che non è
appunto soggetto ad alcuna terapia e quindi ovviamente da un punto di vista etico ti
porta a farti diverse domande, ragionamenti.

Poli: poi l’altro aspetto che viene tra l’altro sottolineato da Tronick è l’aspetto della
riparazione, e cioè lui dice: il punto non sta tanto nell’esperienza brutta che il
bambino fa del distacco relazionale della madre, ma nella possibilità o meno della
riparazione, nel momento in cui avviene la riparazione, viene ristrutturato e
ristabilito il legame di attaccamento e la connessione sintonica tra i due l’esperienza
viene riparata. Era stato fatto un esperimento molto interessante con la gabbia di
Skinner che serve per fare esperimenti con topolini; in cui il topolino doveva
superare un percorso ad ostacoli per arrivare poi alla ricompensa di cibo. Avevano
preso 3 gruppi di topolini: un gruppo era rimasto con la madre fino al momento in
cui deve affrontare la prova, un gruppo era stato allontanato dalla madre ed era
rimasto lontano, e il terzo era stato prima allontanato poi rimesso con la madre e
sono andati a vedere quali di questi aveva la maggiore resilienza, cioè la maggiore
capacità di resistere lo stress di questo percorso ad ostacoli. Il terzo gruppo, cioè
quel gruppo che era stato prima allontanato poi rimesso a contatto con la madre per
cui c’era stata la riparazione dell’evento traumatico e erano più resistenti degli altri
perché erano stati esposti al trauma e poi il trauma era stato riparato e quindi era
24
aumentata la loro capacità di gestire l’elemento stressante. Anche per questo quello
che dicevo prima che il terapeuta gentile e sorridente, accogliente sia un buon
terapeuta, perché il terapeuta deve anche avere la capacità di rompere degli schemi
e di far emergere delle criticità, diversamente non è capace di far innescare il
cambiamento e di far cadere delle difese, il terapeuta eccessivamente accogliente,
accomodante è un terapeuta che è eccessivamente orientato a soddisfare il bisogno.
Ma fino a che tu soddisfi il bisogno la persona non è portata a effettuare nessun tipo
di cambiamento, perché rimane in una zona di confort.

Ingrassia: parleremo di questo nei prossimi incontri, proprio sullo stile


comportamentale di ognuno di noi, come impatta per esempio durante la terapia,
durante la relazione perché tu Erica dici giustamente eccessivamente accomodante,
il tema è che quando una persona è eccessivamente accomodante o è
prevalentemente accomodante, se vogliamo utilizzare una terminologia più
neutrale, il rischio è che non riesce ad essere challenger (sfidante) quando ha
necessità di esserlo. Allora per riuscire ad adattare il nostro comportamento in stili
comportamentali diversi ci aiuta per utilizzare quegli stili dove ce n’è necessità. Per
esempio anche nel coaching il coach troppo challenger a volte non va bene per
alcuni coachee e un coach troppo accomodante non va bene per altri coachee, però
quando devo essere sfidante e quando accomodante? Per utilizzare i due estremi
accomodante e sfidante come se fossero due estremi ma pensate ad essere
comunicativo e invece una persona molto metodica; allora i due estremi anche lì ci
sono situazioni in cui il coachee ha necessità di metodo e situazioni in cui il coachee
o il paziente ha bisogno di aspetti di natura relazionale. Dire queste cose sembra
quasi banale e molto spesso pensiamo di essere un po’ camaleonti, noi ci adattiamo,
ma in realtà non è così, il nostro stile predominante predomina la relazione e molto
spesso quello stile lì, ovviamente è uno stile che ci porta ad avere dei grandi risultati
con alcuni pazienti e però non riuscire poi a superare degli ostacoli con altri. Allora
nel corso degli anni in questi corsi ad Erica e a me c’è capitato tantissime volte di
persone che c’han detto “ma sai che in effetti io sono molto efficace con pazienti
che sono appunto pronti a mettersi in gioco e in discussione e lo sono meno con
quelli troppo resistenti”. Per quale motivo? Perché quelli resistenti son più difficili o
perché lo stile del terapeuta o del coach incide sul tipo di risultato.

Poli: interessante che di solito il terapeuta funziona bene con certe tipologie di
pazienti, meno bene con altri, con altri affatto, poi quando fa dei passaggio lui o lei
vedere che cambia il suo modo di porsi con determinati pazienti perché di solito tu
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impatti con il paziente dove ci sono le tue zone d’ombra, cioè su quello di cui non
conosci e non hai consapevolezza vai ad impattare, quindi molto facile andare a
vedere e lo faremo qual è il paziente difficile, spesso il paziente difficile sta
rispecchiando qualche cosa di te che è in ombra; lo sapeva Jung ma è abbastanza
chiaro. Il punto è però se accetti di vederlo e se accetti di entrare in quella dinamica
relazionale controtransferale e transferale hai un’opportunità molto grossa perché il
paziente con cui tu ti trovi in rispecchiamento, è anche un paziente che tu puoi
anche comprendere bene se ti permetti di andare a vedere quella zona d’ombra;
quindi è potenzialmente una risorsa.

Ingrassia: una frase di Jung era “tutto ciò che ci irrita degli altri può portarci a capire
noi stessi”

Poli: quello che diceva Diego mi permette già di introdurre l’altro triangolo così poi
andiamo più spediti. Perché lui diceva quella persona a seconda di come noi siamo,
il coach o il terapeuta accomodante piuttosto che metodico, piuttosto che creativo,
avrà un impatto differente anche a seconda della persona con cui si trova. Un punto
importantissimo che è stato uno delle cose che per me sono state le più importanti
nel mio modo di lavorare e che mi fa piacere trasmettervi è stato comprendere che
buona parte delle psicoterapie dialettiche, cioè quelle che lavorano molto sul piano
cognitivo, sulle parole, sull’aspetto intellettuale in realtà si trovano in una situazione
in cui il terapeuta parla non con il paziente inteso come SE autentico della persona
che ha di fronte, ma parla con le sue difese. Cioè la persona arriva che ha un
armamentario di difese, ed è bene che ci siano, noi abbiamo anche bisogno di
proteggerci e di mantenere una nostra integrità. Andiamo a fare una terapia,
abbiamo una motivazione per farla perché stiamo male, perché vogliamo migliorare
delle cose, non è che siamo consapevoli di tutte le difese che stiamo utilizzando, e
che giustamente abbiamo creato nel tempo e sono state il nostro modo di
sopravvivere agli eventi della nostra vita e tendenzialmente raccontiamo una certa
storia e ci presentiamo in un certo modo. Se il terapeuta non ha la capacità di
leggere quelle difese, di decodificarle, e non ha una capacità di entrare al di là di
quelle difese, sciogliendole, o abbattendole a seconda della personalità del
terapeuta e a seconda di chi ha di fronte. Si può essere challenger sfidanti, o si può
essere empatici. Una delle mie insegnati una cognitivista che poi aveva fatto ISTDP e
poi aveva trovato il suo metodo. Faceva l’esempio di che cosa fa il vento e che cosa
fa il sole: il vento spazza via la neve perché la porta via con una forza dinamica e
invece il sole scioglie. In entrambi i casi la neve va via ma sono due modalità diverse.
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Allora a seconda della personalità del terapeuta e di chi ha di fronte si può essere
vento o si può essere il sole. Ma il punto è di poter andare al di là delle difese,
andando al di là delle difese succederà che aumenterà l’ansia della persona perché
si staranno mobilizzando delle emozioni inconsce, che sono collegate alla relazione
con il terapeuta che risente delle relazioni del passato, fin dall’età più precoce che
vedete si stanno riflettendo già nelle problematiche del presente. Allora quando noi
lavoriamo nel qui ed ora cos’è che facciamo? Noi vogliamo arrivare all’emozione
inconscia, all’elemento centrale inconscio che sta al di sotto delle difese, faremo una
serie di domande che poi vedremo, e vogliamo mobilizzare nel corpo, vogliamo che
la persona lo senta fisicamente, ne faccia l’esperienza fisica nel qui ed ora in modo
da poter regolare anche a livello di sistema nervoso e a livello di consapevolezza,
poter dare un senso a quello che c’è lì, che vedremo poi finisce scaricato anche nel
corpo. Noi vogliamo arrivare qui ma incontriamo le difese quindi dovremo fare un
lavoro sulle difese, questo farà salire l’ansia, perciò dovremo saper regolare l’ansia
ma mentre farà salire l’ansia, farà anche sorgere delle emozioni verso il terapeuta.
Cioè qualcosa che la persona prova perché quel terapeuta vuole portarla lì e quindi
sta mettendo in gioco, sta mettendo in discussione le difese. Guardando che cosa
succede con il terapeuta noi avremo uno specchio che riflette i traumi
dell’attaccamento e potremmo andare a lavorare qua e questo modificherà il
presente e farà fare l’esperienza delle emozioni. Quindi avremo un costante gioco, i
triangoli diventeranno il vostro incubo perché in questo processo il terapeuta deve
poter essere in grado di dire su quale vertice del triangolo in quel momento sta
lavorando.

Ingrassia: noi ve lo chiederemo in continuazione qual è la parte del triangolo che


state utilizzando? Cosa state facendo? Perché essere consapevoli di dove sono in
quel momento è nel processo. Quello che dice Erica prima, molto spesso noi
facciamo delle cose da terapeuti e non ci rendiamo conto dove stiamo andando o
che cosa sta succedendo ma se sappiamo appunto in quale fase del triangolo siamo,
abbiamo una maggiore consapevolezza e quindi una maggiore efficacia nell’attività
che stiamo svolgendo.

Poli: un conto è parlare con le difese di una persona, questo equivale a fare
riflessioni e non si modifica nulla; un conto è parlare con l’emozione che c’è sotto e
qui si modificano le cose.

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Ingrassia: una delle cose che è carino conoscere visto che tu Erica prima hai citato i
neuroni specchio. A seguito dei vari lavori che son stati fatti sui neuroni specchio ci
son stati anche degli esperimenti interessanti. Per esempio hanno preso un bambino
che gattona e l’hanno fatto osservare ad un altro bambino che gattona e poi
misuravano le aree cerebrali che venivano attivate e scoprivano come da
esperimento dei neuroni specchio, il bambino che osservava quello che gattonava, si
attivavano gli stessi centri del bambino che stava gattonando. Poi hanno preso un
bambino che sapeva gattonare ma non sapeva ancora camminare e gli hanno fatto
osservare un bambino che stava camminando, e hanno scoperto che a quel bambino
che stava osservando in questa situazione non si attivavano gli stessi centri perché
lui non sapeva ancora camminare. E questa parte qua è molto interessante per due
ragioni: perché quando noi lavoriamo sulle emozioni lavoriamo su un processo
molto interessante, perché molto spesso la persona, parliamo prima del paziente a
volte non ha sperimentato quella emozione, o l’ha sperimentata molto poco nella
sua vita e lui non le sa riconoscere quindi non riesce ad essere competente.
L’intelligenza emotiva arriva da lì, la competenza su quelle emozioni perché non le
ha sperimentate, non sa camminare quindi non riesco ad esserne consapevole, ad
essere competente. Ma dall’altra parte anche il terapeuta molto spesso non ci
rendiamo conto che là dove falliamo, perché entrano in gioco delle emozioni che
nella nostra vita in realtà abbiamo provato poco o sperimentato meno di altre e
quindi non essendo consapevoli, competenti di quelle emozioni su noi stessi, poi
ovviamente abbiamo difficoltà a lavorare con il paziente.

Poli: è un gioco di rispecchiamenti e di rimandi. Vi vorrei far vedere le prove di


validazione. Soprattutto per chi si relazionerà con istituzioni e altro.

Abbiamo evidenze scientifiche, studi di validazione sia per il metodo Ekman sia per
le psicoterapie brevi di tipo psicodinamico di cui ISTDP fa parte. Abbass ha avuto il
grande merito e la voglia evidentemente di fare studi e di pubblicarli, gruppi di
controllo, la statistica ecc. ecc. Ad oggi ci sono più di 175 trial randomizzati e
controllati, cioè che sono stati fatti no il singolo studio su 20 persone ma è stato
fatto un trial dove c’era il gruppo di controllo per giunta l’inserimento delle persone
nel gruppo clinico o nel gruppo di controllo era randomizzato, cioè casuale quindi
pone un’affidabilità statistica. Più di 175 studi che attestano l’efficacia di questo
modo di lavorare, queste son soprattutto le tecniche ISTDP e affini; cioè le tecniche
così dette psicodinamiche esperienziali, cioè quelle che fanno fare esperienza nel
qui ed ora delle emozioni e si collegano alle teorie dell’attaccamento.
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Ingrassia: qua è ancora più interessante il fatto che abbiano evidenziato l’efficacia di
queste terapie perché gli studi son stati fatti per esempio in Canada dove non c’è
solo lo psicoterapeuta che utilizza ISTDP ma vengono utilizzate anche dagli
infermiere, ostetriche, para-medici, quindi è ancora maggiore come risultato.

Poli: tra l’altro è stato fatto uno studio molto interessante un po’ di anni fa (se
andate sul mio sito trovate il link al sito canadese dove potete scaricarvi volendo
tutte le pubblicazioni), avevano preso 57 differenti terapeuti di cui una buona parte
di questi erano specializzandi di Abbass, quindi terapeuti giovani in formazione che
applicavano la tecnica e che erano accomunati dal fatto di condividere il campo
metodologico e i risultati erano indipendenti dal tipo di terapeuta. Significava che
condividendo il campo e applicando quel modo di lavorare riuscivano ad ottenere
dei risultati anche se erano terapeuti giovani e magari non avevano alle spalle
un’esperienza lunghissima, e quindi il metodo non è un metodo carismatico cioè
collegato al carisma della singola persona ma è condivisibile e replicabile anche da
altri. Ci sono poi terapeuti che hanno delle capacità innate, carismatiche, personali,
e uniche che fanno di loro dei grandissimi terapeuti e magari non hanno fatto la
stessa formazione lunghissima di altri eppure hanno delle capacità. E questo
ovviamente dal punto di vista scientifico non è valutabile, per fortuna, perché c’è
un’unicità in ognuno di noi ma per quanto riguarda gli studi scientifici è importante
che una metodologia possa essere replicata. Sono state fatte anche delle meta-
analisi, sono degli studi statistici che vanno a valutare l’attendibilità dei risultati di
altri studi; vanno a vedere anche dal punto di vista statistico quanto è forte il
risultato. Anche le meta-analisi hanno dimostrato che effettivamente è così, tra
l’altro è interessante che gli studi sono stati fatti anche in forma longitudinale, cioè
nel tempo con dei follow-up anche lunghi perché a volte ci sono delle terapie che tu
utilizzi, la persona ha anche un miglioramento, ma poi non sai per quanto tempo lo
mantiene e se lo mantiene. Qui abbiamo dei follow-up a 1 anno a 2 anni a 6 anni,
ormai abbiamo dei follow-up a 20 anni. Io stessa cerco di avere notizie anche per e-
mail dei miei pazienti per vedere, tenere monitorato il cambiamento. Sono stati fatti
diversi studi su diversi gruppi di disturbi di personalità piuttosto che disturbi psico-
somatici, ansia, depressione quindi poi abbiamo studi specifici. E’ stata fatta nel
2012 una meta-analisi sulla ISTDP di Davanloo, sempre fatta da Abbass su 40 studi,
per vedere l’attendibilità statistica di 40 studi fatti e hanno validato l’attendibilità.
Hanno fatto studi su vari problematiche disturbi d’ansia,depressione disturbi di
personalità somatoformi, disturbi dissociativi, psicosi, disturbo bipolare, anche sulla
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demenza e altri… la cosa interessante che ha valso ad Abbass anche la vittoria di un
premio importante per aver modificato le politiche sanitarie, infatti in Canada lo
stato eroga dei servizi sanitari ed è interfacciato con un ente assicurativo pubblico, è
lo stato che è assicurato, quindi lo stato paga questa compagnia assicurativa che
eroga i soldi allo stato per la cura dei cittadini e ovviamente meno lo stato chiede
più è avvantaggiato rispetto ai premi assicurativi. In questo modo loro hanno un
riscontro molto rapido anche delle spesse sanitarie, Abbass è riuscito ad introdurre
in tutti i servizi di emergenza e in tutti i reparti medici un terapeuta che fosse in
grado di fare un Assessment emotivo comportamentale, cioè un assessment dei
fattori emotivi che intercorrevano nei disturbi somatici e nei sintomi fisici delle
persone. Questo ha ridotto l’utilizzo di farmaci, ha ridotto l’accesso al pronto
soccorso e le visite specialistiche e ha fatto guadagnare sostanzialmente allo Stato
canadese e quindi c’è stata anche un’efficacia sulla spesa sanitaria. In Canada in tutti
gli ospedali e in tutti i pronto soccorsi c’è questa figurae mi auguro che ce la faremo
anche in Italia. Questo semplicemente per dire che a Davanloo gli va riconosciuta
l’intuizione, perché Davanloo è uno psichiatra che si occupava di psico-analisi e ad
un certo punto era stufo di pazienti che andavano in terapia per anni e di fatto
miglioravano poco. Prima di specializzarsi in psichiatria era stato in microchirurgia e
qui avevano la prassi di registrare gli interventi. Gli venne in mente di fare la stessa
cosa, quindi si mise a registrare le sedute, questo naturalmente gli valse la critica di
tutta la società psico-analitica che disse che sporcava il setting, che faceva qualcosa
che non si può fare, che si perdeva la neutralità della relazione ecc ecc. Lui aveva
capito che mettere un po’ di pressione alle persone le fa cambiare più rapidamente.
Davanloo è famoso per aver detto “preferisco far finire una persona in psichiatria
ma ottenere un cambiamento piuttosto che lasciarla così”. Così è un po’ estremo ma
fare pressione su un sistema per portare un cambiamento è sempre valido, e quindi
lui registrava e rivedeva le sedute e rivedendole andava a selezionare solo gli
interventi che lui aveva fatto e che avevano portato ad un cambiamento, tutti gli
altri li scartava. E si era accorto che gli interventi che portavano ad un cambiamento
erano quelli che facevano arrabbiare il paziente. è vero che con il paziente ad alta
resistenza è quasi inevitabile, necessario fare challenger o addirittura una collisione
frontale con le sue resistenze.

Ingrassia: questo porta ad aggiungere un aspetto importante, mentre nella ISTDP


tradizionale si lavora quasi esclusivamente con la rabbia, come emozione. Noi invece
abbiamo scoperto che possiamo mobilitare altre emozioni per il cambiamento.
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Quindi abbiamo iniziato a lavorare su altri tipi di emozioni come la paura, la
tristezza, lo stesso disgusto e il disprezzo sono emozioni che abbiamo per anni
osservato io e Erica durante le congiunte essere molto importanti come emozioni di
rottura.

Poli: ho un caso bellissimo che poi facciamo vedere, lui ha beccato una
microespressione di disgusto e la volta dopo ho provato ad utilizzare specifiche
domande sul disgusto…qualcosa che la intossicasse…domande strategicamente
rivolte verso il disgusto e lì abbiamo avuto un breakthrough verso la madre e lì non
c’era stato perché lei non aveva effettivamente una pura rabbia verso la madre ma
aveva la percezione di essere intossicata dalla madre(psicotica), quella domanda è
stata perfetta perché lei si è sentita compresa in un vissuto e questo le ha permesso
di entrarci dentro e ci abbiamo lavorato. Abbass lo aveva già modificato, ora noi con
il metodo PI ci stiamo occupando delle emozioni in maniera più ampia perché la
ISTDP è comunque una tecnica dialettica che si ferma ai ricordi. Perché è necessario
che la persona ricordi un certo evento mentre noi lavorando con il corpo arriviamo a
delle memorie che non necessariamente hanno un correlato narrativo. La persona
può anche non ricordarselo ma sentirlo nel corpo e il corpo avere dentro la memoria
di un movimento interrotto, un movimento bloccato, di una di quelle attivazioni del
sistema nervoso che abbiamo visto vanno in freezing, quindi congelano e
paralizzano anche se non c’è un ricordo che la persona racconta. E spesso quelle
esperienze lì sono esperienze di paura di terrore, di impotenza, non
necessariamente di rabbia quindi è più articolato il lavoro. Davanloo aveva visto
questo e inizia a lavorare in questo modo e ottiene dei cambiamenti. Si presenta 10
anni dopo a un convegno di psichiatri, psicoanalisti con dei video e li fa vedere e lì
restano tutti molto sorpresi, anche perché era stato escluso dalla comunità
scientifica. Da lì poi è uscito il primo libro, il terapeuta instancabile, dove lui
sottolinea fortemente questo aspetto, del terapeuta che continua a battere sulle
difese fin tanto che non emerge l’emozione sottostante. E noi abbiamo idea che
questo non sia buono, che crei una disarmonia nella persona in realtà la parte
inconscia della persona apprezza questa attività perché dal punto di vista trans
ferale vive l’esperienza di qualcuno che non lo molla in balia dei suoi schemi e del
suo malessere come hanno fatto tutti gli altri; e quindi paradossalmente il lavoro
sulle difese che può sembrare un lavoro sfidante e può farvi sentire di andare a
irritare la persona, se fatto nei modi e nei tempi giusti e lo vedremo, in realtà
aumenta l’alleanza terapeutica perché quella persona percepisce che c’è di fronte
31
qualcuno che non è intenzionato a ripetere con quella persona lo stesso schema
relazionale che tutti gli altri hanno ripetuto; e questo incrementa l’alleanza
terapeutica inconscia. E’ un atto di amore rispetto alla persona, e Davanloo pure
essendo aggressivo aveva capito questa cosa. E dice cosa rende efficace il mio
metodo? L’esperienza attuale, cioè l’esperienza nel qui ed ora dei reali sentimenti
che la persona ha rispetto al suo passato e rispetto al suo presente. Non il ricordo
dell’evento, ma l’esperienza adesso nel corpo di quello che io provo per quello che
ho vissuto, perché quello fa la memoria e continuerà ad alimentare il copione.

Domanda: ci sono similitudini o differenze con la terapia provocativa?

Poli: Le terapie provocative sono delle terapie che agiscono soprattutto nel
provocare reazioni un po’ catartiche. C’è anche la terapia “ansia provocante” e ce ne
sono varie. Nella mia esperienza ho fatto un corso, ci sono delle similitudini sul
lavoro sulle difese. Nel senso che tutte queste terapie vogliono abbattere le difese,
la grossa differenza è che in quel tipo di terapia si lavora molto sull’aspetto
catartico, cioè io ti rompo le difese e tu vai in crisi intrapsichica fai una catarsi, e in
qualche modo l’intensità di quella esperienza modifica qualcosa ma si lavora poco
sulla ricostruzione della capacità emotiva che invece per noi è fondamentale perché
se io ti faccio fare un’esperienza catartica, ti rompo le difese, ma non ti regolo,
rischio tra l’altro la traumatizzazione, ti faccio fare un altro trauma, ti faccio rivivere
quello che tu hai vissuto quindi si ti riporto lì ma io continuo ad essere la stessa
figura traumatizzante e ti lascio lì. Ed è la ragione per cui noi lavoriamo anche in
maniera mindfulness cioè lavoriamo sulla consapevolezza, e sulla capacità di
espandere la coscienza rispetto a quello che tu hai vissuto.

Domanda: le differenze con le tecniche di Otto Kernberg?

Poli: Lui lavora tantissimo sulle funzioni meta-cognitive o meta-psicologiche, cioè lui
è interessato a far si che la persona acquisisca in maniera molto forte le funzioni
dell’ego osservante, cioè la capacità di leggere quello che ti sta capitando perché
bisogna considerare che Kernberg ha dedicato gran parte della sua vita al disturbo
borderline di personalità, un disturbo a metà tra la nevrosi e la psicosi se vogliamo
utilizzare categorie psico-analitiche dove manca fortemente la capacità meta-
cognitiva, cioè la capacità di fare autolettura dei tuoi vissuti. Allora lui cosa fa … usa
la provocazione, usa il lavoro sulle difese ma per far si che la persona aumenti la
capacità di riconoscere ciò che sente. Questo lo facciamo anche noi ma è una delle
attività a noi interessa mantenere in essere la capacità attentiva dell’ego osservante,
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che riconosce quello che sta capitando ma contemporaneamente attivare il più
possibile la mobilizzazione dell’inconscio perché è dall’insieme di queste due che noi
otteniamo il cambiamento dei copioni, degli schemi. Mentre lui si concentra
tantissimo sulle funzioni meta-riflessive che va benissimo nel paziente borderline,
perché tra l’altro con i pazienti borderline e con i pazienti psicotici prima di lavorare
sulle difese e lo vedremo,dobbiamo ristrutturare l’ego osservante, quindi facciamo
quello che fa Kernberg, sembra un paradosso prima gli facciamo costruire le
capacità di auto-osservazione e poi gliele distruggiamo,nel senso che prima gli
creiamo la capacità di intellettualizzare, perché in quel caso la fragilità è tale per cui
io devo aiutare la persona a parlare di se e ad avere la capacità di leggere quello che
sente. Una volta che ho fatto questo però se lo lascio così in realtà non sono arrivata
al cuore delle emozioni, e allora dovrò fare in modo una volta che gli ho dato la
struttura di andare sotto, infatti la sua terapia se si va a vedere la validazione
scientifica incrementa soprattutto le afferenze della corteccia prefrontale ma sul
limbico niente.

POMERIGGIO:
Ingrassia: vorremmo che durante il percorso se ci fossero delle idee, dei
suggerimenti, degli insight che vi vengono e quindi volete dare un contributo,
sentitevi liberi di farlo. Durante la giornata abbiamo possibilità di interagire come se
fosse proprio uno scambio continuo tra noi e voi. Veramente vi incentivo a
raccontarci le vostre idee, le vostre storie, poi veramente quando vediamo che si va
troppo lunghi siamo noi che vi diciamo di contenervi. Siate liberi nel raccontarci le
vostre idee.

Parlando di emozioni parliamo della storia per chi non la conosce. Arrivano da dei
modelli in cui qualcuno si è interrogato” ma la comunicazione non verbale è
strettamente di natura culturale, oppure riusciamo a trovare delle similitudini o
delle universalità tra le persone?” perché il tema dei gesti ad esempio, è un tema
strettamente culturale se ci pensate, tant’è vero che noi troviamo sul web persone
che parlano di comunicazione non verbale e mettono i gesti nell’ambito
dell’universalità in realtà il gesto è fortemente collegato alla cultura di
appartenenza. A livello culturale i gesti possono assumere davvero dei significati
completamenti diversi. Poi ci sono alcuni gesti, chiamiamoli dei falsi miti della
comunicazione che ci hanno un po’ negli anni inculcato i media (braccia incrociate
33
segnale di chiusura) non esiste nessuna ricerca scientifica che l’ha dimostrato. Tutta
questa cosa qua del gesto della comunicazione non verbale è stata studiata da
diversi autori. I due più importanti sono Darwin e Margaret Mead quest’ultima ha
conosciuto Ekman molto bene. Ma Charles Darwin ha scritto un libro interessante
(le espressioni degli uomini e degli animali) facendo notare che alcuni animali hanno
le stesse espressioni del volto umano e allora dice come mai anche negli animali
troviamo alcune espressioni del volto o alcuni comportamenti? Darwin parlava di
universalità ancora nel 1880 mentre Mead diceva no c’è una cultura
sostanzialmente di cui bisogna tener conto, quindi i gesti sono strettamente
collegati alla cultura di origine.Ekman quando partì per i suoi viaggi ed è stato
fortunato perché lo stato americano l’ha finanziato per 20 anni di ricerca. Ekman
quando partì anche se non apprezzava a livello relazionale M.Mead in realtà è
partito pensando che tutto quello che riguarda la comunicazione non verbale fosse
strettamente legato alla cultura di origine. Andò in Papa Nuova Guinea perché
voleva trovare un popolo che fosse ancora isolato e non influenzato dalla cultura
occidentale, che non avesse visto la televisione, che non avesse avuto rapporti con
l’occidente. Voleva vedere un popolo completamente isolato. Prima di fare questo
però fece una ricerca negli Stati Uniti, prese delle fotografie e chiese a degli studenti
di dirgli sostanzialmente quali erano le emozioni che erano rappresentate dalle
fotografie; e c’era un grado di discordanza davvero molto alta.

L’ansia non è un’emozione ma un’attivazione, quindi dobbiamo definire cos’è


un’emozione. Dobbiamo concordare sulla definizione di emozione. Paura e disgusto
due emozioni molto diverse. Disprezzo quindi si sente superiore. La vergogna è
un’emozione? E’ universale o no? Son tutti temi che è importante conoscere perché
se vengono espressi in maniera universale noi abbiamo degli indicatori che ci danno
la certezza che quella persona sta provando quel tipo di emozione. Se non sono
universali invece abbiamo un livello di attendibilità della nostra valutazione che
diminuisce, quindi per poter alzare l’attendibilità della nostra analisi dobbiamo
vedere quello che sono i segnali universali. Potrebbe coesistere? Il tema è: mi ha
dato la sensazione sorpresa e paura oppure c’è un segnale specifico che ho
osservato e mi dà certezza che sta provando paura o sorpresa, perché molto spesso
andiamo a intuizione, quello che ci risuona. Ci risuona quell’emozione e noi
pensiamo appunto sia quella, molto spesso la indoviniamo, a volte però prendiamo
anche delle cantonate. La sorpresa è una delle pochissime emozioni che traghettano
da un’emozione ad un’altra e quindi la sorpresa molto spesso è mischiata con altri
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tipo di emozioni. Cioè io posso essere piacevolmente sorpreso perché sta entrando
un amico che non vedo da tempo ed essere contento di averlo rivisto; o appena lo
vedo sorpreso poi subito arrabbiato perché è tanto che non mi sta chiamando. La
sorpresa mi traghetta da un’emozione ad un’altra e tra l’altro la sorpresa è anche
un’emozione interessante perché a livello strategico noi la utilizziamo proprio per
aiutare il paziente o il coachee a traghettare da un’emozione ad un’altra, quindi la si
può utilizzare proprio in maniera strategica.Pensate Ekman nel 1973 partì per un
villaggio completamente isolato, mai esplorato, e in più partì con strumenti per fare
le riprese, lui riprendeva tutti i colloqui con i suoi pazienti. Non solo partì per la Papa
Nuova Guinea ma andò ad incontrare un popolo di cannibali, voi capite bene che in
quel caso la paura era elevata e andò a visitare questi due popoli uno di cannibali e
uno no e iniziò a fare delle fotografie, le prese e le porto al suo mentore e gli chiese
cosa osservava e la cosa interessante è che Tomkins riusciva a riconoscere
nonostante le fotografie fossero tutte mischiate, quale fotografie appartenevano
alla tribù di cannibali e quali invece all’altro popolo perché osservava sul volte delle
espressioni di maggiore o minore rabbia, quindi la rabbia l’associava
sostanzialmente alla tribù dei cannibali. Ekman fu sorpreso da questa risposta e
allora fece un ulteriore esperimento ripartì per la Nuova Guinea e andò a visitare il
popolo dei non cannibali e chiese di rappresentare, considerate che non aveva
neanche un traduttore quindi dovevano comunicare a gesti, non c’era la possibilità
del dialogo. E gli chiese di rappresentare attraverso delle storie alcune storie
particolari. Ad esempio se avesse incontrato un maiale in putrefazione come si
sarebbe comportato, piuttosto che se fosse morto un figlio o se avessero rivisto un
amico che non vedevano da tempo. Attraverso il teatro gli aveva fatto
rappresentare questi scenari, e mentre rappresentavano queste storie gli chiedeva
di rappresentare con il volto lo scenario che stavano rappresentando, e gli fece delle
fotografie e le riportò ai suoi studenti universitari e gli chiese di individuare per
l’appunto 4 episodi che stavano rappresentando il tipo di fotografia. Che cosa ha
dimostrato con questo esperimento? Due cose: uno è che bene o male le emozioni
le riconosciamo, l’altro elemento che ha dimostrato è come mai un popolo così
distante da noi che non ha visto la televisione non ha la stessa nostra cultura
esprime le emozioni a modo nostro, andiamo a vedere cosa accomuna i vari popoli e
cosa possono essere delle espressioni facciali che vengono rappresentate in maniera
universale, e ha scoperto che ci sono 7 emozioni che vengono rappresentate in tutto
il mondo nella stessa identica maniera. E le emozioni sono rabbia, paura, tristezza,
disgusto, disprezzo, felicità e sorpresa. Sono 7 emozioni che vengono rappresentate
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in maniera identica in tutti i popoli del mondo. Questa ricerca che è durata 50 anni e
sta continuando a farne, ora sta facendo ricerca sulla vergogna e il senso di colpa.
Questa ricerca l’ha portato a essere uno delle 100 persone più influenti al mondo e
l’ha portato a scoprire che alcune emozioni visto che sono universali noi riusciamo
ad individuarne nel viso e nel corpo delle persone attraverso delle micro espressioni
facciali che durano 1/25 di secondo. Ha scoperto questo perché mentre stava
facendo un colloquio con una sua paziente durante una psicoterapia, in un ospedale
psichiatrico e doveva decidere se mandare fuori la paziente quel weekend, oppure
no, visto un paio di tentativi di suicidio. La paziente uscì dall’istituto e dopo poche
ore ritornò nell’istituto chiedendogli scusa perché si sentiva in colpa con il fatto che
gli aveva detto una bugia, in quanto sarebbe tornata a casa a suicidarsi. Questo l’ha
sconvolto e ha deciso di riguardare il video dove aveva commesso l’errore di non
accorgersi di questa cosa qua. E mentre guardava il video non riusciva a trovare
nulla fino a che dopo migliaia di volte che riguardava il video … mette in pausa
proprio nella micro espressione di tristezza mentre invece stava raccontando un
episodio di felicità. Da qui la scoperta duplice, ci sono le microespressioni facciali che
fino a prima se ne ignorava l’esistenza, ma soprattutto se io parlo di qualcosa di
felice e faccio la micro espressione di tristezza probabilmente non sto dicendo la
verità; e quindi ha iniziato tutti gli studi sulla menzogna. Questo è stato un’po’
l’evoluzione degli studi Ekman. Penso che una ricerca di questo genere sia
impossibile riproporla oggi sia perché è durata 50 anni sia perché eravamo in una
fase evolutiva diversa.

Nel nostro percorso è importante l’osservazione perché in base a quello che


osserviamo nel nostro paziente o nel nostro coachee noi adottiamo delle strategie
adeguate rispetto all’emozione che stiamo osservando e quindi se noi sbagliamo a
individuare un’emozione probabilmente sbagliamo anche la strategia che stiamo
utilizzando durante il percorso. Quindi vedremo insieme quali sono gli elementi che
definiscono un’emozione rispetto ad un’altra. Un altro aspetto importante nella
ricerca riguarda quelle che vengono chiamate feeling rules quindi regole di
percezione e display rules regole di manifestazione. Queste regole lui le ha scoperte
con questo esperimento, ha preso degli studenti che dovevano diventare infermieri
e li ha soggetti a dei video di imputazione perché voleva vedere quanto queste
persone riuscivano a gestire le proprie emozioni davanti a dei fenomeni molto
cruenti. Notava che quando riprendeva gli americani trasmettevano micro
espressioni di disgusto quando riprendeva gli asiatici invece trasmettevano delle
36
emozioni un po’ particolari perché avevano una sorta di sorriso. Come mai se sono
universali? Ma si è accorto che le regole di manifestazione ci dicono “la nostra
cultura ci ha insegnato che in pubblico non devo manifestare un certo tipo di
emozione e quindi non la manifesto” e quindi gli asiatici sorridono, uno dei modi
migliori per mascherare l’emozione che stiamo provando. Fece lo stesso
esperimento a luci spente e la situazione cambiò completamente. A luci spente
l’asiatico manifestava il disgusto tanto quanto l’americano. Queste le chiamò regole
di manifestazione; invece le regole di percezione, di sentimenti sono delle regole
diverse che ci diamo; cioè ci diciamo non è giusto che provo quel tipo di emozione in
quella situazione e quindi cerco di non provarla. E quindi è una regola legata più ai
nostri valori; la prima è una regola più legata all’educazione che abbiamo ricevuto o
alla cultura di appartenenza, per esempio sono ad un funerale e rivedo persone che
era tanto tempo che non vedevo, provo emozioni contrastanti tristezza ma anche
felicità per aver rivisto vecchi amici però è chiaro che in quella situazione non è che
mi metto a ridere e scherzare perché è una situazione che non prevede quel tipo di
emozione. Quindi quelle sono regole di manifestazione, legate alla cultura le altre
invece sono regole in cui invece ci diciamo in quell’occasione lì non è giusto che
provo quel tipo di emozione.

Attenzione quindi perché a volte noi vediamo la reazione del nostro paziente che
magari differisce dal nostro pensiero, da quello che noi avremmo provato in quella
situazione però non diamolo per scontato, perché a volte diciamo si però non mi
convince perché io avrei provato altro. Dipende, chiediamolo a lui come mai ha
provato quel tipo di emozione in quella situazione, prima di trarre delle conclusione
che magari son semplicemente di differenza dell’educazione che abbiamo avuto.

Domanda: se c’è questa differenza di manifestazione delle emozioni rispetto al buio


e alla luce come si fa ad andare oltre, e vedere cosa c’è più in profondità?

Ingrassia: Che cosa ci manca, ci manca competenza a scuola ti insegnano i 44


muscoli che compongono il nostro volto ma non te lo insegnano dal punto di vista
funzionale, quel muscolo è collegato a che cosa? Soprattutto come si muove, questo
è un altro corso sul movimento del muscolo facciale e sull’intensità che potete
osservare e come osservarla, competenza specifica.

Visto che parliamo di emozioni è fondamentale concordare sul significato di


emozione. Ekman dice: “Un’emozione è un processo, una particolare tipologia di
valutazione automatica, influenzata dal nostro passato evolutivo e personale,
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durante il quale sentiamo che sta accadendo qualcosa di importante per il nostro
benessere, mentre una serie di cambiamenti psicologici e di comportamenti emotivi
comincia a interagire con la situazione”

Per prima cosa non esistono emozioni positive e emozioni negative, perché la
consideriamo negativa? Se noi pensiamo alla funzione delle emozioni ci rendiamo
subito conto che le emozioni non possono essere negative perché ci hanno
permesso di sopravvivere fino al giorno d’oggi. Per esempio per fortuna che
proviamo paura e non dobbiamo pensarci perché è la paura ci ha permesso di
scappare dal pericolo, di sopravvivere. Allora Ekman proprio con il lavoro con il Dalai
Lama ha cominciato a chiedere che tipo di visione aveva lui della rabbia, della paura,
di emozioni che potevano essere vissute in maniera negativa. E il Dalai Lama gli ha
risposto con un esempio: “quando c’è stato il problema con il Tibet io non ti posso
nascondere che ho provato una fortissima rabbia, il tema è a chi o a cosa indirizzo la
rabbia? Cioè se io indirizzo la rabbia al popolo cinese che si è comportato in un certo
modo con il popolo tibetano l’emozione che sto provando è un’emozione distruttiva
perché è un’emozione che non costruisce, se io invece indirizzo la rabbia sul cosa
hanno fatto i cinesi nei confronti dei tibetani, potrei indirizzare la rabbia in maniera
costruttiva.” Indirizzo la rabbia sul fatto piuttosto che sul popolo chiaramente posso
completamente modificare il risultato dell’emozione rabbia che sto provando, nel
primo caso diventa distruttiva perché appunto distruggo un rapporto nell’altro caso
diventa costruttiva perché parliamo di come tu mi hai risposto per esempio, che mi
ha fatto arrabbiare e non del fatto che tu sei una persona che mi ha fatto arrabbiare.
Allora lui dice preferisco chiamare le emozioni costruttive o distruttive rispetto a
come le indirizziamo e come le utilizziamo, così come la paura. Durante le attività di
coaching mi capita di incontrare manager che mi dicono io vorrei imparare a parlare
in pubblico perché mi blocco, mi trema la voce e non riesco più a parlare. Il tema è
che mi dicono: non voglio più provare paura e non: fammi capire come gestire la
paura. Il problema è che non possiamo non provare un’emozione perché l’emozione
ci accade senza che noi ci pensiamo, non è un processo cognitivo, per fortuna, ma è
un processo totalmente spontaneo e quindi pensate ad una persona che non prova
un’emozione su un palco, che vi parla senza emozioni … non trasmette niente.
Invece se io riesco ad utilizzare quella paura lì e ad utilizzarla da un punto di vista
energetico affinché gli altri comunque la sentono positivamente. Io magari
trasmetto passione per quello che sto raccontando; e a quel punto diventerebbe
un’emozione che mi facilita nel compito di oratore in quel caso. Per dare un frame
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sulle emozioni il primo punto è che le emozioni sono rapide non ce ne rendiamo
nemmeno conto. Esempio Crozza a Sanremo non riesce più a parlare perché viene
assalito da un’emozione. Sono sicuramente coordinate e organizzate e qua il tema
della credibilità o meno, se non fossero coordinate e organizzate non sarebbero
funzionali alla sopravvivenza. Il tema è che noi vediamo proprio nella relazione di
aiuto emozioni che non sono affatto ne coordinate e ne organizzate e quando
succede questo ci mette nella condizione di dire se la sta/me la sta raccontando?
Questo per esempio è un tema molto importante per noi che abbiamo il compito di
dare aiuto a queste persone perché se; se la raccontano, me la raccontano
certamente mi è più difficile fare la mia attività. Quindi osserviamo una bassa
credibilità delle persone anche quando le emozioni non sono coordinate o non sono
organizzate e poi un altro aspetto sono contraddistinte da segnali caratterizzanti, ed
è appunto la scoperta di Ekman. Le emozioni motivano il nostro comportamento,
immaginate quanto la motivazione sia importante nel cambiamento in qualunque
processo di miglioramento, di cambiamento abbiamo 3 elementi fondamentali che
dobbiamo tenere presente: 1 la consapevolezza, 2 la motivazione che è
strettamente legata alle emozioni, perché quando io osservo un’emozione nell’altro
io scopro quale motivazione la sta guidando, quindi motivano il comportamento; 3 il
metodo, cioè per poter cambiare, modificare qualcosa devo conoscere un metodo.
Sono fondamentali per le relazioni e possono sicuramente salvare la nostra vita e
arricchirla se riusciamo a gestirla in maniera corretta, perché pensate ad esempio se
sono in mezzo alla strada e passa un tir provo paura che mi dovrebbe far scattare,
ma se invece mi paralizza è un problema. Quindi anche come gestisco il tipo di
emozione che ho, può essere funzionale o non funzionale.

L’emozione è un processo, ha un inizio e ha una fine ecco perché ad esempio


l’amore non è un’emozione, l’odio non è un’emozione. L’emozione ce l’abbiamo
sempre attiva ed è automatica, è una valutazione, quindi noi anche quando
dormiamo e c’è il terremoto ci svegliamo perché avvertiamo la paura. Influenzata
dal nostro passato evolutivo e personale, vi faccio un esempio: ho un amico che è
andato a fare la benzina di notte in un distributore e è stato vittima di una rapina a
mano armata, lui non riesce più a far benzina la sera. Questo è influenzato da un
passato personale. Il passato evolutivo è che se voi prendete un bambino con
davanti un serpente, il bambino ha paura del serpente, e quindi è un elemento
evolutivo. Come la paura del lampi dei tuoni, la paura del buio ha un vissuto
evolutivo piuttosto che personale, altro elemento i terremoti.
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Poli: c’è un aspetto interessante rispetto al tema nell’insorgenza di patologie
somatiche, era stato fatto uno studio, sugli effetti di cancerogenesi da nicotina.
Avevano preso come al solito dei topolini, e sapete che nell’evoluzione questi
animali hanno come nicchia ecologica i luoghi dove possono trovare cibo, tipo
granai, stiva delle navi, e sapete che dove ci sono granaglie facilmente possono
accendere degli incendi. Quindi dove si accende l’incendio poi ovviamente questi
animali rischiano di morire ed è tipico la nave che si incendia i topi che scappano
quindi nel loro passato evolutivo biologico come specie hanno come informazione
che il fumo = incendio = fuoco = rischio per la sopravvivenza; e quando fecero i test
per valutare l’effetto ontogenetico del fumo di sigaretta effettivamente le cavie
sviluppavano dopo l’inalazione carcinoma polmonare. Presero poi invece delle cavie
che derivavano da altri tipi di roditori in particolar modo la famiglia delle talpe o
comunque dei roditori che non stanno in granai ecc ma stanno in posti naturali o
sotto terra e questi non hanno nella loro memoria biologica specifica la memoria
dell’associazione fumo=incendio=morte. Esposti al fumo di sigaretta non hanno
sviluppato il carcinoma. Questo è interessante perché noi, il mondo medico
continuiamo a cercare gli agenti patogeni esterni ma non consideriamo mai
l’interazione tra l’agente patogeno e il terreno che rende ragione del fatto che c’è
gente che fuma e non sviluppa nessun carcinoma polmonare e gente che non ha mai
fumato eppure lo ha. Quindi la correlazione tra l’elemento tossico e il soggetto poi
paga la variabilità del soggetto e delle condizioni e questo è interessante, perché noi
abbiamo delle memorie che ci portiamo da molto prima della nostra nascita e anche
della nostra gestazione. Poi le potete chiamare memorie collettive, inconscio
collettivo alla Junghiana, potete collegarlo al DNA, a vite precedenti, però il concetto
è che noi non nasciamo neutrali come una tabula rasa, abbiamo già un portato su
cui poi si inseriscono tutte le esperienze.

Ho avuto un caso bellissimo di una donna che aveva questi sogni molto vividi dei
campi di concentramento che lei non aveva visitato, e aveva nella linea genealogica
una parente che però lei non aveva nemmeno conosciuto, quindi non aveva
nemmeno dei racconti, che era effettivamente morta ebrea italiana deportata e
morta in uno dei campi di concentramento; e lei faceva questi sogni molto vividi,
avevamo poi utilizzato l’ipnosi era andata lì e aveva vissuto tutta una serie di scene,
di situazioni e poi ha deciso con il marito di andare a fare un viaggio per visitarli, ed è
rimasta impressionata perché quello che lei vedeva nei sogni, quello che aveva visto
nell’ipnosi corrispondeva perfettamente a quello che erano quei campi. Quindi era
40
evidente che lei aveva delle memorie che non appartenevano alla sua biografia di
questa vita ma erano arrivate. Così come le persone che vengono trapiantate, ci
sono tanti studi sulle persone trapiantati che ricevono un organo da un donatore e
cambiano alcune caratteristiche della loro personalità, dei gusti oppure anche le
memorie. Infatti per quello non dicono chi era il donatore, se bene poi ci sia casi
soprattutto degli Stati Uniti che poi è andata a cercare parenti del donatore perché
comunque aveva dopo il trapianto tutta una serie di elementi che non c’erano nella
vita che aveva fatto prima, e che non si spiegavano, e se li sono spiegati parlando
con i parenti del donatore. Queste cose che comunque sembrano esoteriche, in
realtà ormai almeno alcuni medici le considerano.

Ingrassia: quindi abbiamo il nostro passato evolutivo personale durante il quale


sentiamo che sta accadendo qualcosa di importante per il nostro benessere, ci serve
l’emozione perché qualcosa sta accadendo, perché può minare il nostro benessere.
Mentre una serie di elementi psicologici e di comportamento emotivi comincia ad
interagire con la situazione, quindi accade che cambiamo qualcosa. Molte di queste
cose qua le possiamo osservare, anche seguire il cambio della respirazione, il cambio
del battito cardiaco, ci sono degli elementi che noi possiamo osservare.

Per esempio provate a pensare di camminare in un bosco, ad un certo punto sentite


qualcosa, potreste averlo sentito veramente, oppure avvertite qualcosa, avvertite
che probabilmente c’è un serpente. Succede che il nostro corpo fa una valutazione
automatica e ci dice: attenzione, serpente devi provare paura; allora noi proviamo
paura, non l’abbiamo scelto immediatamente proviamo paura e iniziamo a
camminare con molta più attenzione, cominciamo ad osservare quello che sta
avvenendo. Durante questo processo c’è un aspetto importantissimo ed è un
elemento che dobbiamo tenere sempre in considerazione, noi stiamo provando
paura perché siamo pronti a scattare nel momento in cui vediamo il serpente ma
non abbiamo nessun altra emozione che la paura, continuiamo ad avere paura
anche se ci sono gli uccellini di fianco a noi che cantano, continuiamo ad aver epaura
fintanto che non pensiamo che il pericolo sia passato. Questo periodo si chiama
refrattario noi siamo refrattari ad altre emozioni. Ed è un periodo molto importante
per noi perché è un periodo in cui noi tutto quello che facciamo, tutto quello che
diciamo è filtrato dall’emozione che stiamo provando, in questo momento. Mi
sembra evidente che dobbiamo valutare bene l’emozione che in quel momento la
paziente sta provando nel qui ed ora, perché tutto quello che sta dicendo è
funzionale dell’emozione che sta provando ed ecco perché gli chiediamo come ti stai
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sentendo in questo momento perché da come lei ci risponderà noi potremmo capire
prima di tutto se lei è consapevole dell’emozione che sta provando ma poi anche
aiutarla a traghettarsi in un’altra emozione perché quel periodo refrattario in quel
momento lì lei ovviamente non prova altre emozioni. La time-line emotiva l’abbiamo
riassunta in questo modello: un automatic appraisal, la valutazione automatica di cui
stiamo parlando, poi abbiamo l’effect programme che arriva in 200 millisecondi
ed è il programma effettivo, cioè che tipo di emozione noi dobbiamo provare per la
valutazione automatica che abbiamo fatto, quindi avverto che c’è qualcosa che non
funziona, sono in un bosco probabilmente è un serpente provo paura a questo
punto altri millisecondi generazione di impulsi a quel punto cambiamento fisiologico
e psicologico solo dopo la generazione di impulsi, e durante la generazione di
impulsi noi osserviamo il cambiamento. Osservando il cambiamento possiamo
essere abbastanza certi riguardo ad alcuni cambiamenti specifici, che la persona sta
provando un certo tipo di emozione rispetto ad un’altra.

Poli: interessante rivedere lo schema nel senso che l’automatic appraisal


fondamentalmente è una funzione del talamo, talamo che fa parte della zona del
sistema limbico, è una specie di radar, quindi fa una sorta di prima valutazione del
contesto e anche di quello che subentra nel vostro campo visivo periferico, che voi
non notate, perché non avete indirizzato lo sguardo in maniera intenzionale però fa
parte del campo e fa una rilevazione di stimoli. Dopo di che l’effect program, e qui la
cosa interessante non parte dalla corteccia ma parte sempre da questo sistema cioè
dal talamo attraverso l’amigdala che è poi la sede della reazione figth or flight c’è un
passaggio immediato e appunto ci mette 12 millisecondi, un tempo infinitesimo, e
c’è una reazione, un programma che parte al di fuori della coscienza, ed è impulsivo;
infatti ce lo abbiamo noi come ce l’hanno gli animali mammiferi, solo dopo in un
secondo momento…

Ingrassia: a questo punto con la generazione di impulsi noi possiamo diventare


consapevoli dell’emozione che stiamo provando e a quel punto se siamo
consapevoli dell’emozione subentra le famose display o feeling rules, cioè diciamo
ma è giusto che sta provando quella emozione? Piuttosto che sono nel bosco con il
mio capo cosa faccio comincio a urlare come un pazzo oppure mi controllo perché
appunto ho il mio capo che mi sta osservando in quel momento?

Durante la paura aumenta la frequenza della voce in quanto dobbiamo farci sentire
da maggiore distanza, quindi aumenta la frequenza.
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Domanda: nel caso di quei pazienti che continuano a provare emozioni per uno
stimolo che in realtà non esiste più, quello che è il trauma, in quel caso la definiamo
emozione? E’ molto importante vedere la distinzione tra queste 4 aree: emozione,
umore, fatti di personalità e disordine emotivo.

Generazione di impulsi quindi abbiamo le display rules, che definiscono come mi


devo comportare in una certa situazione per come ho vissuto, per la mia educazione
per tutto quello che ho. A questo punto azione, azione a volte le persone la
confondono e dicono azione con reazione, nel senso che devo reagire a uno stimolo.
Ma il fatto di rimanere in silenzio e non riuscire più a parlare è un’azione quindi
qualunque cosa che io incomincio a fare è un’azione a prescindere, anche se non è
visibile agli occhi di qualcuno. Può essere un’azione interna, tant’è vero che noi
vediamo tantissime persone che addirittura non reagiscono assolutamente e poi
cosa succede? Viene fuori con qualche problema agli organi per esempio.

Poli: perché questo? Perché quando viene la generazione di impulsi dall’amigdala e


poi dal sistema limbico parte effettivamente una scarica, la scarica interesserà il
sistema nervoso periferico, il sistema endocrino e quindi ci sarà una cascata di
reazioni che sono comunque vissute internamente poi non è detto che conducano
ad un’azione manifesta perché appunto intervengono le display rules che sono
gestite a livello di corteccia e ci mettono circa 25 millisecondi per essere attivate
quindi io parto appunto con un programma effettivo automatico inconscio che
genera degli impulsi che comunque si scaricano nel corpo, come io li manifesto
all’esterno dipende dalla corteccia. Ma la prima attivazione c’è comunque ed è la
ragione per cui ad esempio uno stato di ansia cronica che venga scaricato collegato
a delle emozioni che io non riesco a sentire viene scaricato, anche se io non lo do a
vedere anche se io in qualche modo riesco apparentemente a starci dentro in quella
situazione comunque genera una scarica di impulsi a livello somatico. Che poi il
corpo ha dei margini di compensazione, sopravanzati i quali produrrà una lesione,
un sintomo o quello che è. Poi vediamo le vie di scarico perché ci sono 4 comparti di
scarico somatico che son stati evidenziati, correlati a diverse manifestazioni
sintomatiche, però comunque questa prima via è comunque attivata, viene
chiamata la via bassa o la via breve della paura, perché inizialmente fu studiata sulla
paura, in realtà vale anche per la rabbia un po’ diverso per la tristezza e per la colpa,
vergogna. Rabbia e paura che poi sono emozioni collegate a reazioni figth or flight,
cioè la reazione di attacco o fuga funzionano in questo modo, comunque vengono
scaricate.
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Ingrassia: a proposito di senso di colpa se voi pensate in termini di feeling rules la
famosa paziente di Ekman che prova senso di colpa e a quel punto decide di tornare
dal proprio psicoterapeuta, perché questo senso di colpa le fa generare tristezza e
quindi la paura di perdere l’immagine, la fiducia che aveva costruito con il suo
psicoterapeuta, la fa rientrare dicendogli ti avevo mentito è una feeling rules. Io
provo senso di colpa e quindi ho bisogno di comportarmi in un certo modo.

Il refractor period è all’interno delle nostre azioni, cioè è il periodo refrattario che
abbiamo durante tutto il processo in cui noi agiamo o reagiamo in un certo modo.
Noi abbiamo appunto paura del serpente nel bosco non lo abbiamo ancora visto,
usiamo dal bosco e continuiamo ad avere paura per un periodo. L’emozione dura
qualche minuto, l’emozione è funzionale a qualcosa, non può durare un giorno, o
mezza giornata, non è un’emozione. Deve durare il periodo in cui ci sta salvando da
una certa situazione, è funzionale alla nostra sopravvivenza quindi è un processo che
funziona per questo.

Poli: poi c’è una durata differente a seconda delle emozioni, nel senso che rabbia,
paura e sorpresa sono emozioni molto rapide invece tristezza ha un decorso più
lungo; può perdurare più a lungo.

Ingrassia: Se però la tristezza perdura troppo a lungo allora non è più tristezza, non è
più un’emozione ma un altro tipo di cosa. L’emozione quindi ha una durata di un
certo tipo e ci aiuta a risolvere una certa situazione, prendiamo la tristezza, l’umore
invece è qualcosa che perdura per magari tutta la giornata. La causa e la ragione per
cui ci sentiamo mogi non necessariamente è a noi conosciuta, ma la causa per cui
noi ci sentiamo tristi è assolutamente conosciuta, perché funzionale ad un certo tipo
di questione. Per esempio ho perso qualcosa o qualcuno e provo tristezza, sono
mogio e non so qual è il motivo. Quindi anche il motivo per cui provo un certo tipo
di sentimento, la motivazione è completamente diversa tra emozione e umore e i
tempi sono completamente diversi. Il tratto di personalità invece è qualcosa che ci
caratterizza quindi in tutte le situazioni ci comportiamo da pessimisti ad esempio.
Andiamo oltre e vediamo un’emozione che invece diventa un disordine emotivo nel
momento in cui ci fa cambiare totalmente la realtà. Quando tu incominci a
modificare la realtà intorno a te, ovviamente sei all’interno di un disordine emotivo;
la depressione ci mette nelle condizioni di vedere che quello che è stato il nostro
passato e il nostro futuro sarà triste. Tutti momenti di tristezza pensiamo durante
una fase di depressione, come se la nostra vita fosse caratterizzata da momenti di
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tristezza, in realtà è un disordine emotivo perché ci ha fatto completamente
cambiare la prospettiva della realtà.

Se sei depresso probabilmente non è che sei diventato depresso perché hai vissuto
molti momenti di malinconia o perché sei stato pessimista, sei stato moggio in più
situazioni e la tua vita è caratterizzata da elementi di tristezza. Abbiamo cercato di
leggere la slide nelle due direzioni. Ovviamente l’uno non è collegato con l’altro
quello che voglio dire che non c’è una correlazione tra questi fattori.

Poli: cioè non è che sia una sequenza lineare, se no entriamo di nuovo nell’ottica
meccanicista e non ci serve, perché ci sono persone che vivono uno stato umorale di
tristezza e non per questo sono depressi anche se la tristezza perdura. Poi sul
discorso del permanere di una determinata emozione e la persona continua a
sentirla soprattutto nello stato post traumatico lì sarebbe interessante vedere
quanto in realtà quella persona rivive un’attivazione, una immobilizzazione emotiva
costante. Nel senso che facciamo l’esempio che io abbia vissuto un trauma
maggiore, un evento traumatico importante, un incidente grave, io avrò tante volte
l’attivazione dell’emozione paura, avrò la ripetizione, quello che si chiama il flash-
back, il ricordo vivido che ritorna; e ogni volta che ritorna io ho quella sequenza che
abbiamo visto nella time-line emotiva. Cioè io rivivo tante volte la time-line emotiva
con la reiterazione dei picchi emotivi fino a che ad un certo punto per il discorso che
facevo stamattina del controllo del sistema simpatico, del parasimpatico e poi del
parasimpatico dorsale, ad un certo punto io mi attesto in uno stato di allerta, di
attivazione costante, perché in realtà io continuo ad andare incontro a time-line
ripetute scatenate da stimoli emotivi ripetuti che non sono più stimoli reali, non
sono più nella realtà esterna ma sono il rivissuto o l’immaginato di quello stimolo,
che per il cervello è identico, perché per il cervello immaginare una cosa o viverla dal
punto di vista della reazione è identico.

Ingrassia: ci capita spesso di far raccontare ad una persona un episodio dove rivive
certe emozioni queste emozioni vengono come dici tu vissute con intensità inferiore
perché l’intensità è strettamente legata al quanto è stato forte il primo momento in
cui ha vissuto quell’emozione e a quanto dista, quando lo racconta rispetto
all’emozione che ha vissuto, più lontano è il periodo in cui l’ha provata meno intenso
è normalmente l’emozione che sta provando in quel momento lì. Dipende però
anche quanto era intensa l’emozione nel momento in cui l’ha provata, quindi hanno
queste due correlazioni normalmente, però quella la consideriamo un’emozione.
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Poli: rispetto al discorso traumatico di memorie traumatiche. Noi abbiamo la sede
delle memorie narrative, cioè di quello che noi possiamo raccontare che è
l’ippocampo, ippocampo si sviluppa in maniera funzionale a partire dal 2° anno di
età. Noi abbiamo memorie strutturate più o meno, o comunque raccontabili dal
secondo/terzo anno in poi. Prima di allora risiedono in altre strutture che sono
quelle del cervello rettiliano del tronco, e del corpo, di fatto. Si ritiene che risiedono
anche nei connettivi, perché il connettivo ha una struttura di tipo piezoelettrico,
cioè materiali che sottoposti ad una pressione ad una trazione di tipo meccanico
sono in grado di produrre energia. Il connettivo per come sono disposte le fibre
connettivali forma delle strutture cristalline, come dei cristalli ed è interessante che
il sistema connettivo costituisce di fatto un sistema che interessa tutto il corpo e che
collega anche organi lontani. Per esempio nell’anatomia esperienziale lavorando sul
sollevamento del tallone di una persona e la persona tiene la gamba a peso morto si
riesce a sentire il riflesso che il rene fa nella sua capsula connettivale che è collegata
per via legamentosa fino al tendine d’Achille. Il rene quando filtra l’urina si contrae e
si solleva e poi ridiscende, perché c’è proprio un’azione di contrazione, questo si
chiama riflesso renale. L’anatomia esperienziale è nata da una danzatrice che aveva
avuto un trauma e ha cominciato a lavorare in maniera esperienziale. Il connettivo
mantiene le memorie dei tentativi di risposta stimoli di quando noi eravamo molto
piccoli. I tessuti che risentono di questo sono i tessuti connettivali che hanno questa
capacità di emettere impulsi elettrici quando vengono sottoposti a stimolazione.
Quindi prima dei due anni di vita le memorie di risposta ad uno stimolo stressante
sono immagazzinate nella postura, nel movimento in cui tu ti muovi, in come stringi
la mano, in come ti siedi perché sono le memorie di quel sistema, prima che ci fosse
un sistema a livello cerebrale che potesse immagazzinare un ricordo, cioè qualcosa
che venisse elaborato come storia. Quindi fino a due anni può essere solo il corpo o
l’energia di una persona che ci dà informazioni. Dopo due anni andiamo sui ricordi,
se c’è un ricordo traumatico di fatto si è visto che noi abbiamo come una sorta di
focolaio nel sistema limbico, cioè abbiamo un’area ipersensibile, come se fosse
un’aria critica che come un fuoco sotto la brace quando viene stimolato divampa
nuovamente, e divampa come una scarica nel sistema nervoso vegetativo e nel
sistema endocrino ecc quindi a livello somatico. Quando noi lavoriamo, facciamo per
esempio raccontare ad una persona l’esperienza però in una forma dissociata, cioè
osservandola come se fosse un film in una situazione protetta, stiamo riaccendendo
la memoria che c’è, quindi avremo anche le reazioni che vanno nella periferia e
contemporaneamente stiamo chiedendo alla persona di attivare l’area corticale,
46
grazie alla quale parla, racconta e osserva e poi da un significato. Quando noi
facciamo questo attiviamo corteccia frontale (ci fa parlare) e corteccia prefrontale
(ci fa osservare e dare un senso). La corteccia prefrontale ha delle afferenze che
sono in grado di bloccare l’incendio dell’amigdala; sono in grado di spegnere
quell’incendio. La corteccia prefrontale attiva un’afferenza (ramificazione) che in
qualche modo va a spegnere, nel senso che trasferisce un’attivazione che non ha
significato e la fa diventare un’informazione che da un significato. E informando la
persona cambia la sua prospettiva. Perché l’abbiamo detto non è l’evento che fa il
trauma ma come tu l’hai vissuto e come l’hai regolato. Quindi quando facciamo
questo noi facciamo una riparazione perché andiamo a regolare l’esperienza e
l’intensità, perché ci serve sentirla nel corpo? perché sentirla nel corpo noi la
possiamo elaborare anche energeticamente con quella quota di emozione. Anche le
esperienze di attaccamento infantile funzionano in questo modo, nel senso che non
è detto che per forza ci sia un trauma con la t maiuscola ma tanti traumi con la t
minuscola. Un genitore per esempio depresso, anaffettivo o umiliante che lo fa più
volte e non ripara cioè non ripristina la sintonizzazione emotiva ovviamente espone
all’esperienza di questo genere.

Domanda: prima avevi parlato di sentimenti in contrapposizione con l’emozione.


Quando parli di sentimenti a cosa fai riferimento di preciso?

Ingrassia: per utilizzare una terminologia un po’ più neutra dal punto di vista del suo
utilizzo. Quando parlo di sentimenti dicevo tutto ciò che sentiamo, le emozioni
invece le sentiamo ma hanno una connotazione molto più precisa.

Poli: l’emozione ha proprio dei correlati ben noti anche dal punto di vista neuro-
biologico quindi l’emozione è qualcosa che è molto legato alla biologia e ad un
cervello antico, istintivo. Il sentimento coinvolge delle variabili che sono più di tipo
psicologico, più raffinate se volete, più articolate, hanno a che fare con la sfera che è
più di coscienza che non d’istinto. Tant’è che quando si parla di conflitto rispetto alle
malattie somatiche bisogna stare attenti perché io ne sento troppo spesso queste
equazioni pericolose tra il conflitto psicologico e l’insorgenza del sintomo, e quindi
penso a tutti i modelli come la meta-medicina, la psicosomatica in generale. Tu hai
un certo conflitto di tipo psicologico e quindi ti viene quella malattia, da cui discende
l’equazione che se tu risolvi il conflitto ti passa la malattia, non è così non esiste
questo tipo di equazione perché il conflitto di tipo biologico coinvolge ben altri
aspetti anche perché qui dovrei tirare in ballo Jung non so se avete letto le lezioni su
47
Kundalini Yoga(psicologia del Kundalini Yoga) è interessantissimo che lui parla con
questo orientalista e si confronta e lui dice:” sono colpito dal fatto che per voi
orientali esiste il corpo fisico e poi esistono dei corpi che sono dei corpi di energia,
mentre noi occidentali distinguiamo soltanto la mente e il corpo come se il nostro
pensiero fosse l’unica attività diciamo invisibile e il resto fosse materia e invece per
esempio il primo chakra per voi orientali non è quello che abbiamo capito noi che
pensiamo che è un chakra fisico che è collegato agli istinti alla conservazione ecc.
mentre questo orientalista gli dice:” per noi il primo chakra è comunque qualcosa
che ha a che fare con delle energie che non sono palpabili.” Quindi il corpo fisico
non è che è governato dai conflitti della mente, cioè questa è un’equazione non
corretta perché poi si vedono terapeuti che cercano di curare patologie somatiche
lavorando su dei conflitti emotivi, ma non è così meccanica, perché la biologia ha
una serie di leggi che sono al di là di quello che la persona pensa, tant’è che ne
abbiamo la prova, c’è gente che fa percorsi e comunque poi sta male. Poi lavorando
sui fattori emotivi abbiamo possibilità di andare a correggere tutte quelle che sono
le vie di scarico delle emozioni. Siamo più complessi, e fino a che noi non accettiamo
la complessità, cerchiamo sempre l’equazione che ci semplifichi le cose, causa-
effetto.

Domanda: hai detto che l’evento fisiologico è fondamentale per poter dire è
un’emozione, nella definizione però parla di effetti psicologici e comportamentali,
non c’è scritto niente di fisiologico?

Ingrassia: comportamentali comunque è tutto ciò che è osservabile, psicologico


invece è difficile da osservare.

Poli: tieni conto che quella definizione lì è una definizione che Ekman ha dato in una
fase in cui i correlati somatici delle emozioni non erano chiare come adesso.

Video di Crozza a San Remo: come un’emozione di paura ti può bloccare, bocca
asciutta, zero salivazione, si girava perché voleva fuggire. La paura ha 4 reazioni:
fight and flight e poi c’è freez e faint (svenire) sono le 4 possibili strategie che
possiamo adottare nei confronti di un’emozione quale la paura. E’ chiaro che
combattere non vuol dire prendere a cazzotti la persona che ci dice che sono un
pirla, ma potrebbe essere affrontarlo per esempio, avrebbe potuto fare come Pippo
Baudo che per qualunque problema andava subito ad intervistare la persona. E’ una
delle strategie più adeguate per situazioni di questo genere, perché mettete la
persona subito a essere protagonista in un contesto in cui devi verbalizzare le cose,
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e a quel punto cambia la prospettiva. Noi conosciamo queste strategie ma veniamo
influenzati o da una o da un’altra e non riusciamo più a gestire delle situazioni.

Domanda: il fatto che continuasse a toccarsi il naso è segnale della bugia oppure…

Ingrassia: Questo è uno degli elementi che spesso esce in tutti i corsi lavorando sulla
comunicazione non verbale. Non esiste nessun gesto che sia significativo di
menzogna o di qualcosa, bisogna sempre osservare più canali della comunicazione e
anche tramite l’osservazione di più canali noi comunque facciamo delle domande.
Cioè vedo uno toccarsi il naso, so che è un gesto manipolatore o adattivo, sono dei
gesti che usiamo durante i momenti di ansia o agitazione accarezziamo i capelli, ci
massaggiamo, manipolatore verso se stessi, sono gesti che di per se da soli può non
voler dir nulla. Mi posso toccare il naso perché sono influenzato, posso toccarmi il
naso perché un’abitudine, oppure perché sono a disagio, e sto dicendo una cosa
poco credibile. Ma posso toccarmi il naso in diverse situazioni. Io osservo che si
tocca il naso ma cosa altro ho osservato quando lui si tocca il naso, abbassa il tono
della voce, lo alza, cos’è che fa con gli altri canali della comunicazione. Quando
osserviamo e facciamo l’Assessment emotivo-comportamentale noi osserviamo 5
canali: il linguaggio del corpo, l’espressione facciale, la voce, il contenuto verbale, lo
stile verbale. Quindi osservando 5 canali ci mette nella condizione di dire sono
coerenti tra loro questo 5 canali, oppure c’è qualche incoerenza? E se sono
incoerenti vuol dire che sta mentendo oppure è il caso che gli rifaccio la domanda?
Le domande vengono fatte proprio in funzione di questo; cioè noi appena
osserviamo che c’è un’incoerenza tra i segnali allora in quel momento interveniamo
con una domanda, ma le domande non sono rivolte a scoprire se l’altro sta
mentendo, non necessariamente. Possono essere rivolte ad esempio a creare una
maggiore consapevolezza in una persona, oppure invece aiutarlo a individuare che
emozione sta provando invece di quella che lui sta raccontando. Per esempio c’è
capitato l’altro giorno con Erica di una persona che continuava a dirci io provo una
forte rabbia e ce la verbalizzava in maniera diversa ecc ecc ad un certo punto
vedevamo incoerenza tra la rabbia e i suoi canali della comunicazione e gli abbiamo
chiesto: questa rabbia se tu dovessi rappresentarla è più un fuoco che ti arde
dentro o un masso che non riesci a spostare? E lui ci ha risposto un masso che non
riesco a spostare, e allora probabilmente non è una rabbia, e allora gli abbiamo
chiesto di raccontarci come si sente quando non riesce a spostare questo masso e
lui ad un certo punto fa si probabilmente la mia non è rabbia e più paura. Perché è la
paura che mi blocca e non mi fa spostare il masso. La rabbia lo distruggo il masso, è
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il fuoco. Allora li aiuti ad individuare maggiormente l’emozione che stanno provando
attraverso le domande, e attraverso i canali della comunicazione che stiamo
osservando. Quindi per rispondere alla domanda questo vuol dire che stava
mentendo? Non lo so, dovrei fargli una domanda, sicuramente non posso essere
certo che sia una menzogna.

Poli: ci sono quelli che noi chiamiamo anche hot point cioè punti caldi su cui vale la
pena soffermarsi, ritornare, approfondire, chiedere, indagare perché dove c’è
un’incongruenza c’è qualcosa che ci può interessare.

Ingrassia: Avete notato Crozza come muoveva la mandibola, il movimento della


mandibola in quel senso soprattutto in maniera molto tesa è legato alla paura. La
mandibola si tende e va verso l’esterno durante i processi di paura, poi c’era il
problema della salivazione, altro elemento tipico della paura perché nella paura noi
blocchiamo tutto il nostro sistema digerenteperché dobbiamo avere le risorse per
rispondere alla paura e quindi blocchiamo il sistema digerente tant’è vero che molti
dicono “ah ma nella paura hai il sangue alle gambe”, non è mica vero, nella paura tu
il sangue ce l’ha allo stomaco e sei pronto magari a indirizzarlo verso le gambe per
scappare, magari lasciarlo lì per fare freez, per bloccarti.

Poli: si perché poi dipende qual è la strada che viene presa

Ingrassia: tanto è vero che nella paura se poi ci pensate la prima cosa che sentite è
freddo hai piedi e alle mani, subito perché il sangue abbandona le vie periferiche e
tra le altre cose questa cosa qui è importante perché voi vedete per esempio magari
qualcuno che inizia a massaggiarsi le mani piuttosto che per esempio magari notate
il tremolio delle gambe. Sono tutti elementi che potete osservare, poi dopo la pausa
vediamo le vie di scarico. Sul tema della menzogna comunque questo corso nasce
dall’integrazione di un corso che prima Erica faceva che era ISTDP e due corsi che
facevamo noi che erano ESAC e ETAC, esac è più rivolto alle competenze emotive,
l’intelligenza emotiva e l’etac è più legato alla valutazione della credibilità del nostro
interlocutore.

Dopo la Pausa:

Poli: Sostanzialmente lavorando sulle emozioni lavoriamo su dei copioni, i copioni


derivano sia da portati precedenti, compresi quelli gestazionali, genealogici e dal
legame parentale, quindi il tipo di relazione che tu hai avuto con le figure di
attaccamento condiziona il modo in cui tu ti puoi legare, attaccare con le altre
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persone nel corso della tua vita. Esiste una corrispondenza, se questo legame è stato
in qualche modo inficiato o appesantito da una qualsiasi forma di trauma, cioè da un
distacco o danno del legame di attaccamento originario che può essere un trauma
grande, così come traumi ripetuti, malattia, allontanamento da casa, dinamiche
famigliari difficili, qualsiasi situazione che abbia attentato effettivamente te, o in una
maniera molto forte improvvisa intensa, inaspettata oppure in forme ripetute nel
tempo tanto da disconnettere effettivamente il legame di attaccamento per un
tempo sufficientemente lungo, o comunque danneggiarlo o disorganizzarlo.
Abbiamo un’esperienza che non è inizialmente né di rabbia né di tristezza quando il
bambino è piccolo ma è un’esperienza che noi possiamo definire in termini più
generici di sofferenza, di dolore. E poi tanto più il bambino è piccolo tanto più viene
sentita nel corpo, per cui viene vissuta effettivamente come un’angoscia di morte, di
annichilimento prima ancora di essere mentalizzata. Di solito associata a questa
esperienza di dolore c’è anche la paura, cioè la paura è un elemento che compare
dal punto di vista emotivo precocemente. La reazione a questo tipo di esperienza è
una reazione e l’abbiamo visto anche nel bimbo piccolo nell’esperimento della
stillface che produce anche rabbia, abbiamo visto che il bambino richiama la
mamma poi fa delle espressioni contrariate, urla e di distacco; perché abbiamo visto
che poi gira la testa da un’altra parte ha un momento quasi di freezing. Quando
sviluppiamo la rabbia rispetto all’esperienza di sofferenza che stiamo facendo, mano
a mano che cresciamo intorno ai 4/5 anni sviluppiamo anche la colpa. Quindi rabbia
verso la figura di attaccamento e colpa conseguente alla rabbia relativa a quella
figura, l’emozione di rabbia viene vissuta come un attentato alla relazione di
attaccamento, e quando noi siamo piccoli in realtà noi faremo di tutto per
preservare la relazione di attaccamento perché noi dipendiamo per la nostra
sopravvivenza dalle persone che ci accudiscono, i nostri genitori. E anche se ci
espongono ad una sofferenza, ad un’esperienza di disconnessione e dissintonia, di
fatto da bambini facciamo di tutto per preservare quel legame di attaccamento
perché è quello che ci permette di sopravvivere. Nonostante ciò abbiamo delle
emozioni, abbiamo un’esperienza di dolore, di dispiacere e quindi abbiamo emozioni
collegate a questo, per cui da una parte cerchiamo di preservare la relazione di
attaccamento, dall’altro abbiamo rabbia e quindi senso di colpa verso la figura di cui
noi proviamo rabbia. Tutto questo non avviene in maniera conscia e razionale ma
ovviamente avviene a livello inconscio e quindi abbiamo rabbia inconscia e colpa
inconscia e mano a mano che cresciamo se questa struttura non viene riparata la
colpa in realtà collegata all’emozione dà luogo a tutti una serie di sintomi che sono
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l’effetto dell’evitamento di questa emozione. Quindi queste emozioni che sono
dentro di noi e che sono collegate all’attentato che è avvenuto al legame di
attaccamento permangono dentro di noi come emozioni inconsce, e c’è un
armamentario di difese, di copioni, di comportamenti volte ad evitare che queste
emozioni emergono; e questi insieme alla colpa determinano i sintomi, quindi
somatizzazione e sintomi sono l’effetto di un processo che è collegato alla presenza
di emozioni inconsce inaccettabili.

Il triangolo del conflitto: quando noi andiamo a chiedere che cosa prova, oppure
prima ancora qual è il problema, qual è la questione? In realtà noi andiamo a
esercitare una forma di pressione su quel sistema che ha un suo equilibrio, che non
è detto che sia un equilibrio soddisfacente, ma è comunque un equilibrio, ha
comunque una sua “armonia” sebbene disfunzionale, quando noi andiamo a
chiedere come si sente, cosa prova, qual è il problema? Stiamo andando a
stimolare questo sistema e il nostro intento è di arrivare agli impulsi, ai sentimenti
che stanno al centro della questione. Ma quando noi facciamo questa domanda,
naturalmente il sistema può rispondere soltanto in 3 modi: o la persona
effettivamente ci risponde alla domanda dicendoci che cosa prova e quindi è in
contatto con i suoi sentimenti, le emozioni, oppure va in ansia perché messa sotto
pressione dalla nostra domanda, l’emozione sale nel momento in cui noi stimoliamo
quella domanda, la persona è intimorita, spaventata o comunque cerca di evitare
per cui sale l’ansia, oppure per gestire l’ansia che sale inizierà a chiudersi. Quindi
inizierà ad usare dei meccanismi per evitare che noi entriamo e facciamo si che
lui/lei stesso si avvicini a quel sentire. In base al tipo di risposta. Quindi se la persona
alla domanda qual è il tuo problema emotivo interno? Oppure qual è la questione
interna? Poi decidete voi come porla ma l’importante è che sia una domanda diretta
e che sia incentrata su che cosa tu senti ora come problema o che cosa tu senti ora
come questione che porti, non perché sei venuto? Perché questa domanda produce
immediatamente una risposta di tipo mentale, cosa c’è in questo momento che per
te rappresenta un problema? E tra l’altro questa è la prima questione perché
appunto la persona ha solo 3 chance: o ti risponde dicendoti effettivamente cos’è
che sta provando che è problematico, o va in ansia o si difende. Quindi nel momento
in cui tu hai di fronte una persona devi cominciare a capire che cosa sta facendo? Si
sta difendendo, sta andando in ansia oppure sta toccando effettivamente la
questione. Sulla base di questi 3 punti iniziamo a costruire una psico-diagnosi… un
assessment, nel senso che se mi rendo conto che la persona risponde
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effettivamente con l’emozione che ha dentro, con la questione centrale che ha
dentro, allora questa è una persona che non necessita che io prema sulle sue difese
o che io gli regoli l’ansia, necessita che io faccia un altro tipo di lavoro, quello che noi
chiamiamo di maieutica emozionale; come l’allevatrice, come diceva Socrate che
deve far uscire il bambino, aiutare la donna a partorire e il bambino ad uscire. Lì c’è
già l’emozione che sta uscendo, io devo fare semplicemente maieutica, cioè io devo
aiutare la persona a stare dentro in quell’emozione, a sentirla nel corpo e a
sperimentarla fino a che non la possa rilasciare completamente. E questi sono i
pazienti così detti a bassa resistenza, nel senso che non ci pongono particolari
problema di dover sfidare dei muri, hanno solo bisogno di qualcuno che gli dia il
contenimento adatto per poter rilasciare l’emozione che hanno dentro. Viceversa se
io inizio a dire che cosa provi? Qual è il tuo problema emotivo interno, qual è la
questione che in questo momento ti crea problema? E la persona comincia a darmi
dei segnali di ansia, che adesso vediamo come possiamo riconoscerli allora questa è
una persona che necessita di un’altra attività in quel momento, che prima di tutto io
regoli l’ansia, perché se io regolo l’ansia, la metto in condizione di avvicinarsi ai
sentimenti alle emozioni che ha dentro, diversamente questa persona continuerà a
percepire ansia e avere tutta una serie di sintomi che sono quelli di scarico che tra
poco vediamo. Se invece la persona comincia a difendersi, comincia ad usare delle
strategie per evitare di farmi avvicinare e avvicinarsi a quell’emozione allora devo
chiarificare le difese, quindi riconoscere che difese sta usando,chiarificarle alla
persona, cioè rispecchiargliele e se questo ancora non è sufficiente comincerò
un’azione proprio di challenge (sfida) alle difese e a seconda di quanto più è alta la
resistenza di questa persona tanto più la reazione di sfida alle difese dovrà essere
forte, ed è possibile che io debba anche fare un’azione frontale. In base all’utilizzo
delle difese noi distinguiamo il paziente a bassa, a media, o ad alta resistenza in base
alla quantità di ansia invece noi consideriamo il paziente cosiddetto fragile.

Domanda: questa operazione si fa dal primo incontro? Senza sapere anamnesi?

Poli: Subito. Niente. Perché nel momento in cui tu fai l’anamnesi sei entrato in un
altro tipo di processo, che è il processo mentale e ti perdi una chance
importantissima che è anche “l’effetto sorpresa” nel senso che cogli di sorpresa le
difese e le resistenze se non prepari un terreno nel quale la persona possa già
accomodarsi come ha fatto tutte le volte precedenti, da tutti gli altri medici o
terapeuti.

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Domanda: Nel caso di borderline o psicotico?

Poli: fai una diagnosi in vivo, cioè non faccio dei test, poi posso anche decidere di
farli per esempio l’idoneità o meno di un trattamento ma di per se la cosa bella di
questo modo di lavorare è che tu fai esattamente la stessa cosa che farebbe un
chirurgo per vedere se una persona ha un’infiammazione addominale … appoggi la
mano sull’addome, fai la manovra di Blumberg e se gli fa male lasciando, ha
l’infiammazione. Facciamo la stessa cosa, cerchiamo il punto, “infiliamo le dita”, cioè
andiamo a beccare il punto, se ti fa male, quello è il punto. E di solito in quel
momento emergono le cose del passato che sono funzionali alla risoluzione nel
presente di quel problema, in questo modo tu sfrondi tutta una serie di informazioni
del tutto inutili in quel momento. Ed è per questo che si accelera il lavoro.

Questo lavoro qua nella tecnica ISTDP già di Davanloo ha questo nome, sequenza
dinamica centrale, che ha una serie di fasi che adesso vediamo con degli esempi:

1 Inquiry 2 pressure 3 Clarification,challenge: rise in transference 4 trasference


resistance: Head on Collision 5 Intrapsychic Crisis: Unlocking the unconscious 6
Systematic Analysis 7 Dinamic Exploration 8 Direct Access, Consolidation and
Planning.

Inchiesta: qual è la domanda che facciamo? Qual è il tuo problema emotivo


interno? Qual è il problema che senti in questo momento? Qual è la cosa che ti
crea problemi e ti fa soffrire? Può darsi che se siamo dei coach o dei counselor
lavoriamo sul problema, lavoriamo sulla risorsa, quindi qual è l’obbiettivo che hai
in questo momento? comunque dobbiamo andare sul focus, che cosa vuoi ottenere
dall’incontro. A quel punto se la persona ci risponde effettivamente dicendoci quello
che vuole ottenere e qual è il problema, che tra l’altro qui la prossima volta quando
andremo a vedere le microespressioni avremo anche degli strumenti per vedere se
c’è una congruenza tra quello che ci sta dicendo e il non verbale. A quel punto
iniziamo a fare un’azione che noi chiamiamo di pressione, andiamo a fare pressione
sul sistema. Esempio (triangolo del conflitto, triangolo delle persone) difesa, ansia
emozione o problema inconscio– terapeuta, presente, passato.

Esempio: alla domanda qual è la questione per cui è venuta? “Ma guardi in realtà
non è molto chiaro non lo so, diciamo che non sto bene da tanto tempo…” cosa sta
facendo? Difesa. Quindi non mi sta in realtà rispondendo su quello che prova ma sta
provando a difendersi e allora … punto 3 chiarifico, prima lo chiarisco dentro di me…
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si sta difendendo in che modo si sta difendendo? E’ vaga, generica quindi sta usando
una difesa la vaghezza, sta evitando. Continua…” sa perché poi io ritengo che il mio
problema venga da lontano c’ho pensato tante volte” … che difesa è? Sta
razionalizzando, intellettualizzazione e io cosa faccio? Chiarifico …senta mi sembra
un po’ generico, un po’ vago possiamo provare a specificarlo meglio… che è di
nuovo una pressione, sto di nuovo premendo sul sistema cioè non permetto a
questa persona di andare dove le difese vorrebbero andare, la tengo lì. Guardi non
ha risposto alla mia domanda possiamo provare a vedere effettivamente cos’è che
le da problema in questo momento della sua vita? E’ di nuovo un’altra pressione …
la persona ha tre possibilità o torna a difendersi, o va in ansia, o mi dice
effettivamente qual è la questione. Mettiamo il caso che questa persona sia una
persona a media resistenza e quindi si difende un po’ e poi ad un certo punto
comincia ad andare in ansia e mi dice: “guardi sono agitata, sento che non riesco
bene a respirare… “è andata in ansia quindi io mi sposto nel vertice dell’ansia e la
regolo. Come si fa? L’ansia si regola stando sul corpo, va bene dove la sente
l’ansia? Come la prova? Come la sente? Che sensazione ha? Dove ce l’ha? A cosa
assomiglia? Poi qui rispetto al modello classico della ISTDP noi abbiamo aggiunto
tutto il lavoro di somatic-experience del Narm,dell’embodying cioè tutto il lavoro
delle tecniche a mediazione corporea. Quindi può darsi che se la persona è molto in
ansia decidiamo di intervenire specificatamente sul corpo… lo vedremo più avanti.
Dopo che ho regolato l’ansia, di nuovo pressione: quindi adesso che è più tranquilla
possiamo provare a vedere qual è il problema perché ancora non me l’ha detto? E
la persona di nuovo ha tre chance o si difende di nuovo, o va in ansia o mi dice qual
è il problema. Mettiamo il caso che sia a bassa/media resistenza “guardi io sto male
perché piango tantissimo e non riesco a superare le separazioni, nella mia vita i lutti
e le separazioni ne ho avuti tanti, sto male mi sento abbandonata dipendo dalle
persone…” comincia a spiegarmi una questione. A quel punto cos’è che sta dicendo?
Le situazioni relazionali del presente ma a noi ci interessa? Come la fa sentire in
questo momento raccontarmi queste cose? Io la riporto sempre all’emozione e di
nuovo…ha solo le 3 chance…” senta io sono venuta da lei perché me lo dica lei è lei il
terapeuta…” va in sfida con il terapeuta, va in transfert… bene che cosa prova nei
miei confronti in questo momento per quello che le sto dicendo? E lei ha sempre
solo le 3 chance… “guardi lei sta diventando veramente insistente non capisco più
niente…” ansia…perfetto ci possiamo fermare qualche istante e fare una
ricapitolazione. Allora lei è venuta non riuscivamo a capire bene, abbiamo visto che
era vaga, poi abbiamo visto che c’era un po’ di ansia, l’abbiamo regolata ed è venuto
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fuori che fa fatica nelle separazioni però poi non mi riusciva a dire come si
sentiva…adesso è più chiaro? Si è più chiaro, perfetto! E quindi come si sente
rispetto a quello che stavamo dicendo? A quel punto mettiamo che dica: “il fatto è
che io credo di non riuscirci, mi sto proprio sentendo male…” ma male come? Mi
viene da piangere…e si mette effettivamente a piangere… a quel punto…che cosa
prova in questo momento? Mi sento tristissima sa che mi è venuto in mente mio
padre perché è moto 12 anni fa. Attenzione! Non mi racconti quando è morto, NO
ma cosa l’è venuto in mente in questo momento? È mi è venuto in mente il suo
volto…bene come si sente guardando il suo volto? “Ma sa io non riesco perché
comunque ne ho già parlato tante volte…” difesa… non nota che sta
intellettualizzando di nuovo possiamo tornare a che cosa prova guardando il volto
di suo padre?

Il nostro intento è solo andare sull’emozione perché qui c’è il breakthrough


dell’inconscio, qui c’è la forza, l’energia per il cambiamento, tutto il resto per noi è
soltanto un passaggio per arrivare lì, e il nostro lavoro di terapeuti è di togliere,
sfrondare tutto fino ad arrivare all’emozione. Tutto quello che incontriamo o lo
regoliamo o lo togliamo o lo dissolviamo non lo interpretiamo questa è una grande
differenza rispetto alle terapie psico-analitiche. Non interpretiamo nulla. Signora a
me sembra che lei qua con me usi una modalità che probabilmente riflette
l’abbandono di suo padre …NO cosa prova qua con me mentre le chiedo queste
cose? Mi fa arrabbiare… come sente la rabbia nei miei confronti, dove la sente?
Com’è? Cosa farebbe se questa rabbia uscisse? Ecc ecc .

Quando incontriamo la difesa facciamo appunto chiarificazione, ma se non è


sufficiente … in questo caso io vado a fare una psico-diagnosi perché ho individuato
il tipo di difese, e ho individuato come questa persona vive l’ansia e quindi dico è
una paziente a bassa resistenza, presumibilmente nell’area nevrotica, con un
conflitto legato al lutto e quindi la tratto in un certo modo. Mettiamo il caso che
questa persona è andata avanti a difendersi e quindi ha continuato a essere vaga e
io continuo a chiarificare ma non ottengo nulla, cioè ad un certo punto le devo dire:
senta se lei adesso prova a non essere vaga, ad essere più precisa e più focalizzata
cos’è che prova effettivamente in questo momento? Questo si chiama challenge
(sfida). Quando sono costretta a fare una sfida alle difese, sono costretta a chiedere
alla persona di non farlo, se prova a non essere vaga, se prova a non razionalizzare
ecc. Io sono con una persona che ha un pochino più resistente dell’altra, di solito c’è
una correlazione tra il livello di resistenza, il livello di difese e la tipologia di emozioni
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inconscia. Di solito le pazienti a bassa resistenza hanno prevalentemente problemi
con lutti e separazioni e non hanno tantissima rabbia sotto. Devono fare un lavoro di
contatto con la tristezza sostanzialmente. Mano a mano che si alza il livello della
resistenza le persone hanno rabbia che è più intensa, e anche più primitiva, quindi
lavoro con la difesa e dico: ma se lei prova… ad un cero punto la persona mi dice:
“guardi mi viene una cosa qua… “come la sente dove la sente? E calda? E’ fredda?
Guardi è come un fuoco, bene gliela faccio sentire e di solito esce fuori un’emozione
di rabbia e c’è un po’ di lavoro anche transferale perché la persona in qualche modo
si irrita per questa sfida che facciamo ma in una forma abbastanza contenuta. Se
invece la persona continua a difendersi ed entra in transfert in maniera più forte e
inizia a dire: guardi io non mi sto trovando per niente bene con lei, lei è freddo lei è
giudicante, inizia come dire a entrare in una lotta con il terapeuta… non riesco a
capire… non ci riesco…lei mi chiede delle cose a cui non riesco a rispondere… a un
certo punto, qui cominciamo a vedere una persona che ha una resistenza più alta e
siamo costretti a fare collisione frontale con la resistenza; cioè dobbiamo per forza
affrontare quella distanza psichica che resiste perché altrimenti perdiamo la
persona. Che cosa facciamo? Se lei prosegue in questo modo io non posso fare
niente, cioè verbalizziamo che loro stanno facendo auto sabotaggio… perché lei in
questa maniera non fa altro che continuare a restare fermo, ma è lei che è venuto,
è lei che mi ha chiesto aiuto, se lei non si permette questo momento di avvicinarsi
a quello che sente in realtà si sta facendo del male… non so per quale ragione lei
faccia questo…non nota che questo è ingiusto nei suoi confronti? ... non è farsi del
male? E’ venuto lei a chiedermi aiuto e sta facendo questo…eccecc e andiamo
avanti… e di solito facendo head of collision.Quando abbiamo il paziente ad alta
resistenza è sposato con le sue resistenze, è coniugato con le sue difese, quindi c’è il
paziente e c’è la resistenza e noi dobbiamo separare il paziente dalle sue resistenze,
cioè dobbiamo renderlo consapevole del fatto che esiste un’intenzionalità inconscia
auto sabotante che ha come finalità quello di difendere il paziente. Perché questi
sono pazienti che hanno dovuto strutturare la resistenza per far fronte a dei contesti
di attaccamento traumatici nei quali sono stati esposti a freddezza, umiliazione,
disprezzo, sopruso e quindi hanno dovuto montare una resistenza. Allora quando
noi iniziamo a fargli notare che è ingiusto nei loro confronti, che si stanno facendo
del male, che è chiaro che non lo faccia apposta, ma che il risultato che ottengono è
comunque di rovinarsi, noi cominciamo a staccarli dalla resistenza e allora la
persona comincia ad accorgersi di questo meccanismo e inizialmente si irrita con noi
e va in transfert, e quando noi gli chiediamo di dire che cosa prova nei nostri
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confronti e di esprimerlo e di sentirlo a volte fanno anche dei breakthrough cioè
delle aperture emotive sul terapeuta;esempio provo rabbia nei suoi confronti se la
facesse uscire cosa mi farebbe? …la prenderei a sberle… bene immagini di farlo e
di solito quando entrano in contatto con l’emozione dopo un po’ che sono in
contatto con l’emozione verso il terapeuta … emerge un’immagine dall’inconscio
che può essere il padre, il fratello, la sorella, la mamma, e si sposta il focus dal
terapeuta alla figura di attaccamento del passato. Lavorando in questo modo
torniamo all’emozione. Ed è continuamente un processo di questo tipo. E’
importantissimo capire che questo lavoro di head of collision se fatto nei modi e nei
tempi corretti e poi vedremo come farlo, questo lavoro non è avvertito come un
attacco del terapeuta, ma è avvertito come un intervento altamente supportivo di
cui il paziente ti è grato; perché tu non gli permetti di ripetere quello che ha
imparato dalle figure di attaccamento e che continua a rifare facendosi del male, e
per cui trova qualcuno che è disposto a sostenere la sua rabbia, il suo disappunto, la
sua irritazione ed è sufficientemente forte per sostenerlo, pur di non lasciarlo lì, in
quella situazione e succede che l’alleanza terapeutica inconscia, la parte inconscia
sana che è quella che l’ha portato lì si allea fortemente con te, e quindi si stacca il
legame tra persona e resistenza; e abbiamo persona e terapeuta rispetto alla
resistenza; e questo fa fare il cambiamento.

Domanda: questo processo si può applicare anche ad un paziente che è in seduta da


qualche tempo?

Poli: Si noi vediamo che tanti che vengono a fare il corso cominciano con pazienti
che hanno in terapia… glielo puoi anche dire al paziente non c’è niente di male nel
dire ad una persona “guardi sto apprendendo dei nuovi modi di fare la seduta e
vorrei sperimentarlo con lei” e a quel punto furbescamente ha già un aggancio per
fare pressione… come si sente rispetto a questo?

Sei in ritardo il paziente è incavolato ti dice sono incavolato, perfetto come si sente
nei miei confronti?

Domanda: se per caso uno dei meccanismi adattivi del paziente è quello magari di
non presentarsi, di prendere una scusa per non venire quella settimana … ma poi
ritorna, aspettando cosa lui porti … noi poi come terapeuti dobbiamo anche farlo
riflettere sul fatto?

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Poli: gli dici come arriva oggi visto che non ci siamo visti la volta scorsa? Perché se tu
cominci a dirgli la volta scorsa lei non è venuto quindi… lo sposti su un processo
mentale, invece lo fai sedere e gli dici: ” bene come arriva visto che abbiamo saltato
una seduta?”

Domanda: può anche essere che alcuni pazienti siano talmente resistenti che non si
riesce ad andare oltre?

Poli: si è possibile, penso che quando tu vai a fare head of collision tu vai a fare leva
sulla motivazione, e cioè tu sei venuto mi hai chiesto aiuto io ti sto aiutando, questo
è quello che io posso fare per te, se tu ti coinvolgi in questo processo e accetti di
farlo, diversamente io non posso fare nulla. A me è capitato non tantissime volte
che qualcuno mi abbia detto no grazie io non voglio fare questo per me è troppo
pesante io voglio qualcuno che mi ascolti, e voglio andare a parlare perché io voglio
sfogarmi. Bene non è quello che posso fare io per te, allora in quel caso si chiude lì.
E’ importante che voi ridiate alla persona la sua responsabilità, perché altrimenti
cadiamo nella dinamica di un terapeuta onnipotente, a cui la persona mette in mano
il suo destino, e non fa più nulla. Invece il terapeuta è uno strumento a cui tu ti
riferisci, ma sei tu che devi volere fare delle cose e devi voler farti coinvolgere. Poi è
chiaro che il terapeuta a sua volta si coinvolge perché è persino disposto a farsi dire
che lo picchieresti e lo prenderesti a pugni; è lì disponibile a fare con te questo
viaggio di co-creazione di un cambiamento, ma solo se tu fai la tua parte. Questo è
molto utile per i pazienti, soprattutto quelli che hanno aspetti narcisistici e di
onnipotenza. A me è capitato di uno che è andato via e mi ha richiamato mesi dopo
e mi ha detto “senta c’ho ripensato penso che adesso sia un buon momento per fare
la terapia perché ho capito che effettivamente devo essere anche io”. E poi abbiamo
fatto il lavoro ed era andato via dopo una seduta di questo genere. Però di solito
non succede così di frequente, perché dopo un po’ che fai head of collision i
sentimenti transferali salgono così tanto che la persona crolla nel senso che in realtà
una parte di quella persona ti è grata perché dice: “questo non è l’ennesimo che mi
sta mollando, questa non è l’ennesima persona che si accontenta di parlare con le
mie maschere” e anche se apparentemente gli stai facendo male, in realtà la parte
che c’è sotto, cioè la persona che c’è sotto che vuole fare il cambiamento, in realtà
sta creandoun nuovo attaccamento con te, sta sperimentando una relazione
emotiva riparatrice, perché c’è qualcuno che non lo molla nonostante tutto. E la
persona ha paura in realtà che tu molli, perché gli è successo sempre.

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Domanda: si può sbagliare il tempo dell’head of collision?

E’ importante il tempo dell’head of collision, perché è come fare la pasta per farla
buona l’acqua deve bollire, cioè la temperatura della relazione, della dinamica
relazionale deve essere sufficientemente calda, cosa vuol dire, che devo aver fatto
chiarificazione, challenger tanto quanto basta per fare aumentare i sentimenti trans
ferali, cioè non posso fare head of collision quando siamo ancora in una fase in cui la
persona non si è coinvolta emotivamente con me, perché se non si è emotivamente
coinvolta con me io rischio di sembrare si un terapeuta giudicante, un terapeuta
presuntuoso, che sa tutto lui e che ti tratta come se tu non capissi niente; ma perché
non ti ho fatto coinvolgere più e più volte nel fare rispecchiamento, in quello che mi
stai dicendo, è per quello che la fase di chiarificazione e di challenge è
importantissima e lo senti quanto la temperatura nella stanza è calda, lo percepisci
quanto più tu sei capace di stare in contatto con le tue emozioni, non le tue della tua
vita, le tue del qui ed ora con quella persona; quanto più tu sei in grado di sentire, e
in più ti aiutano le microespressioni di rabbia, di disprezzo quindi ti aiuta anche un
armamentario metodologico, ma c’è un sentire tu lo senti che l’aria si sta facendo
calda perché c’è coinvolgimento emotivo in quel momento e a quel punto fai head
of collision gli dici cosa prova nei miei confronti per quello che le sto dicendo?
perché guardi che se lei non mi dice che cosa prova e non vediamo che cosa prova,
io non posso aiutarla, veda lei se è il momento di farlo, se io sono la persona adatta
e se è quello che lei vuole, diversamente io non la obbligo però lei è venuto da me
quando…. L’head of collision ti confronta con la motivazione e ridà potere alla
persona, perché queste son persone che sono state depauperate del loro potere
quando erano molto piccole. Un bambino quando è piccolo ha potere sui genitori,
nel senso che ha potere di richiamare la loro attenzione, di avere il loro amore di
essere amato di essere guardato di essere osservato e invece sono stati depauperati
di questo potere per cui nel momento in cui tu gli dici “guardi io sono qui per lei e se
lei non vuole io non posso fare nulla”. Tu gli stai dicendo guarda tu hai potere, se
vuoi ti aiuto, l’inconscio lo capisce e infatti ad un certo punto c’è un breakthrough,
cioè c’è un’apertura quella che si chiama crisi intrapsichica, cioè l’inconscio si apre,
come un forziere che con il codice adatto si apre, e a quel punto emergono emozioni
dall’inconscio, immagini, ricordi che però si concatenano in base all’emozione di
quel momento, a quel punto si che possiamo fare l’analisi, l’anamnesi ma non la
faremo in maniera razionale, sarà la persona a collegare, bellissimo perché la
persona comincerà a dire: “ah allora è per quello che io 10 anni fa, ah allora è per
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quello che a me è venuto questo, ha ma allora è così che è andata” e voi lo aiutate a
fare un’esplorazione dinamica e poi consolidamento.

Domanda: in questa sorta di danza arriviamo all’head on collision, si può dire che in
qualche modo è una forma di ancoraggio? Il famoso ancoraggio che il paziente non
aveva avuto in forma sana in qualche modo capisce che può fidarsi, riesci a tenerlo lì
in qualche modo?

Poli: è una relazione umana che in quel momento diventa una relazione di
attaccamento, e ripristina, fa vivere un’esperienza emotiva correttiva, head of
collision avviene con i pazienti ad alta resistenza, non con i pazienti a media, bassa
resistenza, che non ne hanno bisogno perché non sono così danneggiati
nell’attaccamento. Poi invece abbiamo pazienti che sono danneggiati
nell’attaccamento ma in una fase così precoce da non riuscire ad avere delle difese
sufficienti per contrastare il terapeuta e questi sono i pazienti fragili, sono quelli che
vanno incontro a fenomeni di ansia molto marcata e che vanno trattati con un’altra
tecnica che non è quella di Davanloo, perché Davanloo non li ha trattati questi
pazienti che sono i pazienti border-line i pazienti dissociati, i pazienti psicotici, i
pazienti bipolari, questi hanno bisogno di un altro lavoro dove si sta tantissimo
sull’ansia e paradossalmente li si aiuta a costruire una difesa, cioè a
intellettualizzare, a fare riflessioni e solo dopo che hanno imparato a riconoscere
quello che provano si va sull’emozione e di solito non si fa head of collision.

Video di una paziente a bassa resistenza:

Se ti permetti di sentirla e di lasciarla fluire abbiamo un’opportunità?

Cosa avete visto nel corpo? Ha sospirato e abbassato gli occhi, le vie di scarico nel
dettaglio le vedremo la prossima volta però noi abbiamo fondamentalmente 3
comparti di scarico dell’ansia: 1) il comparto della muscolatura striata,cioè della
muscolatura volontaria quella che noi muoviamo volontariamente, i segni dello
scarico di ansia nella muscolatura striata sono: il sospiro, i movimenti di tipo
muscolare, stringere le mani, muovere anche solo le dita, questi sono i segni più
comuni di ansia nella muscolatura striata, quando l’ansia viene scaricata nella
muscolatura striata è scaricata in un comparto superficiale dove è visibile e dove è
possibile regolarla molto facilmente, e di solito è collegata alle persone che hanno
difese più evolute e resistenza più bassa. Durante un processo con una persona a più
alta resistenza o più fragile quando compare questo tipo di ansia per noi è un
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semaforo verde, cioè vuol dire fai pressione sul sistema emotivo perché la persona
riesce a reggerlo perché sta scaricando l’ansia all’esterno, ok quindi quando noi
vediamo questi movimenti vuol dire che il sistema emotivo è pronto per la
pressione, perché la persona sta scaricando l’ansia nel comparto più esterno e
perciò la può reggere e infatti io adesso faccio un intervento di quel genere

C’è un’emozione che è in te, e che affiora, e l’unica cosa che hai bisogno di fare è di
sentirla, e di lasciarla scorrere se te lo permetti e se c’è qualcosa che passa nella
tua mente, delle immagini dei ricordi, delle sensazioni. Qui distoglie lo sguardo,
una piccola difesa che noi la chiamiamo una difese di tipo tattico nel senso che non
è una difesa maggiore, semplicemente sta cercando di gestire un’emozione che sale
e io non sto facendo niente fuor che continuare a premere su quell’emozione,
perché lei si permetta di sentirla in quel momento. Non sto chiarificando non sto
facendo altro, lei è già in contatto con l’emozione, ha l’ansia nel sistema striato,
quindi ha una bassa resistenza io devo soltanto fare maieutica.

Domanda: il fatto che si morde il labbro è ansia?

Poli: Sono tentativi di evitare la salita, difese, delle emozioni. Io prima le dico tu hai
un’emozione e lei fa sì e poi no.

Ci sono delle immagini, dei ricordi, delle sensazioni? Sono ancora arrabbiata con
mia mamma, cos’è che mi sta dicendo? L’emozione non è che si sta difendendo o è
in ansia mi dà una comunicazione ben chiara, perciò è buono …. La paziente
continua perché mi ha lasciato da sola … la senti la rabbia in questo momento?
Voglio che lei stia lì, e lei sospira e mi risponde con ansia striata, quindi va bene ….
Com’è? Com’è che ti senti in questo momento? Mentre il tuo sguardo vaga da una
parte e dall’altra (leggera chiarificazione della difesa tattica).

La paziente, mi sembra assurdo che ancora sia arrabbiata con lei perché è morta
dopo tutti questi anni… cos’è che senti? Anche se cerchi di tenerlo a freno
distogliendo lo sguardo, mettendo le mani davanti alla bocca (chiarificazione)…c’è
qualcosa che sale? Che in parte è tristezza in parte rabbia, sono emozioni
contrastanti nei suoi confronti. Ti permetti adesso di sentirle, proprio lì sotto a
questo sospiro(pressione). E’ molto doloroso, c’è questa intensità che sale, lasciala
salire, se non la blocchi…lasciala salire…c’è qualcosa di doloroso che si blocca nel
petto … lascia che salga … so che fa male ma al tempo stesso è una parte di te
profonda, e c’è questo dolore che ha bisogno di fluire … mentre c’è una parte di te
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che lo vuol tenere a freno … e se c’è qualcosa che passa nella tua mente in questo
momento in particolare e in parte lo senti, in parte lo tieni a bada… la paziente
dice: è quello che ho fatto tutta la vita, perché io le sto rispecchiando quello che sta
accadendo quindi le dico in parte lo senti, in parte lo tieni a bada, c’è qualcosa che
passa dentro di te e tu continui a sentirlo e a evitarlo e lei ad un certo punto…
continua a darmi segnali di semaforo verde, cioè ha sempre ansia striata il sistema
mi dice ok io l’emozione ce l’ho qua e io non devo far altro che fare quella pressione
per tirargliela fuori e ad un certo punto lei ha un inside, è quello che ho fatto tutta la
vita, quindi fa un collegamento passato, presente e momento della seduta.

E’ da tutta la vita che fai questo? La paziente dice: devo sempre essere forte c’è
sempre qualcuno che mi chiede di farlo… non ne ho voglia… ti e’ stato difficile?
Pesante? Faticoso? Si, come ti senti in questo momento? Lei perde la madre per
una malattia, quando era adolescente e si fa carico del padre e del fratello come se
fosse la madre, poi si sposa e ha un figlio e lei gestisce tutto … l’ho chiamata la
mamma di tutti perché arriva da me con il colon irritabile, la cefalea, problemi
alimentari, c’aveva tutta una serie di somatizzazioni varie, in realtà abbiamo fatto
solo 2 sedute e ogni tanto mi manda le mail che sta bene. Lei era una paziente a
bassa resistenza aveva solo bisogno di fare un’esperienza di lutto che lei non si era
concessa perché non aveva potuto piangere per sua madre, perché aveva dovuto
occuparsi degli altri, ed era ferma lì

Come ti senti in questo momento, qua con me? Mentre entri in contatto con
questo sentire … c’è una parte di te che si tiene lontana(chiarificazione) anche da
me (transfert) eppure questo è molto doloroso (emozione) stare lontano, sembra
che una parte di te ti dica che devi stare lontana dagli altri e da te, ti devi
trattenere, tenere un distacco tenere un controllo, (io non lo sapevo) e questo è
molto doloroso, ti fa molto male. E anche adesso non te lo stai concedendo
completamente. La riporto sull’adesso e chiarifico la difesa lei dice devo sempre
fare un sacco di cose che mi distolgono da me. Anche adesso … quindi la riporto nel
qui ed ora non te lo stai concedendo.

Sale e supera una soglia… una parte di te si vuole tenere distante, mi guarda,
guarda da un’altra parte, a volte si copre il viso con le mani (chiarificazione).
Capisco che ci sia una parte di te che vuole evitarlo, però questa cosa è dentro di
te e non sarà evitandola che si risolverà … cos’è che hai sentito a
Gennaio/Febbraio che è stato così forte, così doloroso? Qui ci va lei, non le ho
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chiesto niente della sua storia, lei ha tirato fuori Gennaio/Febbraio, io non sapevo
cosa fosse successo, gliel’ho chiesto e lei va su un passato molto più remoto, dice mi
son sempre sentita diversa da bambina e quindi sta andando lei lungo questa strada.
Il sistema emotivo è intelligente basta che tu gli permetti di seguire le sue
traiettorie. Mancano 18 minuti.

L’idea è di farvi vedere una persona a bassa resistenza che non entra in Head on
collision, e come vedete ha tutto un vissuto relativo, soprattutto al lutto. C’è un
punto in cui lei entra in contatto con la tristezza e ci rimane un po’, l’idea era intanto
avere un’immagine di che cos’è un paziente a bassa resistenza, dove non si fa head
of collision ma maieutica emozionale, l’ansia è striata e tendenzialmente la
problematica è legata alla tristezza, alla separazione, al lutto all’abbandono.

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