Escolar Documentos
Profissional Documentos
Cultura Documentos
didascalica: Apollonio
Apollonio Rodio
La ricostruzione biografica
S carse e incerte le notizie pervenuteci sulla vita di Apollonio (Ἀπολλώνιος)
Rodio: il quale, nonostante l’epiteto di Rodio, nacque in Egitto, ad Alessan-
dria o a Naucrati, verso il 295 a.C. Una tradizione diffusa, attestata dalla Suda
e dalle due Vite anonime pervenuteci nella tradizione manoscritta medievale,
vuole che da giovane fosse discepolo di Callimaco.
Precettore di Tolomeo Divenuto celebre per la sua attività poetica, fu assunto come precettore del ter-
III e bibliotecaro zo Tolomeo, l’Evergete, nato intorno al 280. Al momento di salire al trono nel
246 il nuovo sovrano porrà Era-
La polemica Di dubbio valore la documentazione su una presunta polemica letteraria con Cal-
con Callimaco limaco, che potrebbe rappresentare nulla più che un’invenzione di eruditi antichi,
fondata sulle effettive differenze fra la poetica di Apollonio e quella di Callimaco
in relazione all’epica; comunque sia, le testimonianze si riducono alla tradizione
che individuava in Apollonio il bersaglio dell’Ibis (la Suda, s.v. Καλλίμαχος e
uno scolio al v. 447 dell’Ibis di Ovidio) e ad un epigramma anticallimacheo di
cui è dubbia l’attribuzione ad Apollonio Rodio.
Il fiasco Secondo le due biografie antiche, il poeta avrebbe tenuto una recitazione pub-
e l’esilio a Rodi blica (ἐπίδειξις) della sua opera (forse solo di una prima parte) incorrendo in
un fiasco totale; perciò si sarebbe ritirato in una sorta di volontario esilio a Rodi
(donde il soprannome di Rodio), attendendo nell’isola alla definitiva rielabora-
zione dell’opera. In effetti brevi citazioni di una «prima edizione» (προέκδοσις)
delle Argonautiche ci sono state conservate, come meglio vedremo più oltre,
dagli scoliasti all’opera per sei passi del I libro.
Il ritorno Solo la seconda delle due biografie antiche ci dice che più tardi Apollonio avreb-
ad Alessandria be fatto ritorno ad Alessandria, dove una sua nuova recitazione delle Argonau-
tiche avrebbe riscosso largo successo, e vi avrebbe ricoperto allora il ruolo di
direttore della biblioteca; ma forse la notizia secondo cui Apollonio sarebbe stato
a capo della Biblioteca dopo il ritorno da Rodi si fonda sulla confusione con
Apollonio detto l’Eidografo, che successe nella carica ad Aristofane di Bisanzio.
le Argonautiche e la riproposizione
dell’epica
S
Epica storica e didascalica: Apollonio
i è fatto cenno alla tradizione che ipotizzava una polemica letteraria fra Apol-
lonio e Callimaco: su di essa, anche al di là dell’attendibilità del dato biogra-
fico, la critica moderna si è a lungo divisa.
MeMoria letteraria
Gelosie di poeti
L’Antologia Palatina tramanda un epigramma attribuito a un Ἀπολλώνιος Γραμματικός, la cui identifi-
cazione con Apollonio Rodio è molto controversa. L’autore propone nel v. 1 un’imitazione parodica di ter-
mini callimachei, mentre al v. 2 gioca con il termine αἴτιος, «reo, colpevole» e Αἴτια, il titolo dell’opera
più importante del poeta di Cirene (A.P. XI 275):
Καλλίμαχος τὸ κάθαρμα, τὸ παίγνιον, ὁ ξύλινος νοῦς·
αἴτιος ὁ γράψας Αἴτια Καλλίμαχος.
Merda Callimaco, testa-di-legno, buffone; di colpe
causa chi Cause scrisse, lui, Callimaco.
[Tr. di F.M. Pontani]
APOLLONIO RODIO 3
Recupero Apollonio è stato visto di volta in volta come il restauratore dell’epica tradizio-
e innovazione nale contro la proposta callimachea dell’epillio o, al contrario, come il creatore,
dell’epos
sulle orme del presunto rivale, di un tipo di epica specificamente alessandrina
e antitradizionale. In realtà la ricerca di una risposta univoca è probabilmente
la via sbagliata per affrontare il problema della collocazione dell’opera apollo-
niana nel contesto della poesia coeva. Né con Callimaco né contro Callimaco,
Apollonio sembra piuttosto esplorare le possibilità di un’epica che sia ad un
tempo recupero del passato e innovazione, ritorno sulla via di Omero e speri-
mentazione.
Poema unitario Appare comunque evidente non solo che le Argonautiche manifestano la vo-
e fedele alle «regole» lontà di costruire ciò che per Callimaco, nel proemio degli Aitia (v. 3), appa-
aristoteliche
riva ormai come una meta velleitaria, e cioè un poema unitario e ininterrotto,
ma che nella loro stessa durata e nella ripartizione in quattro libri (una sorta
di «tetralogia») l’opera si adegua scrupolosamente alle prescrizioni formulate
da Aristotele, come rivela soprattutto il confronto con un passo della Poetica
(1459b 16-22):
L’epica si differenzia per la lunghezza della composizione e per il verso. Della
lunghezza è limite sufficiente quello che è stato detto: si deve poter abbracciare
con uno sguardo l’inizio e la fine. Questo potrebbe avvenire se le composizioni
fossero più brevi di quelle antiche e corrispondessero a quante tragedie vengono
presentate in una sola recita.
[Tr. di D. Lanza]
La proposta Apollonio procede oltre la teorizzazione aristotelica, in quanto il suo poema ab-
di un’intera saga braccia per intero un’intera saga mitica, realizzata secondo i criteri della brevitas
narrativa peculiare della temperie ellenistica: il flusso narrativo procede a dif-
ferenti velocità, con dilatazioni della narrazione cui seguono improvvise acce-
lerazioni, grazie a un rigoroso procedimento di selezione che crea sproporzione
nell’estensione delle singole parti.
Il controllo Ad esempio, la descrizione dei preparativi della spedizione si prolunga fino alla
della materia metà del primo libro, creando un effetto di attesa che enfatizza la partenza degli
4 EPICA STORICA E DIDASCALICA: APOLLONIO
eroi; la perdita di Ila da parte di Eracle è raccontata in un episodio in cui il tempo
sembra dilatarsi, in contrapposizione ad episodi come quello dei Dolioni o dei
Bebrici, che vengono risolti con un ritmo più veloce; le scene di navigazione so-
no ridotte all’essenziale e spesso si passa da una tappa all’altra senza riferimento
ai tempi di spostamento.
Cultura alessandrina D’altra parte la scelta dell’argomento sembra in armonia con gli interessi e le
e scelta del mito predilezioni della nuova cultura maturata intorno alla Biblioteca di Alessan-
dria: «Il mito degli Argonauti aveva alimentato uno dei più antichi cicli epici
del mondo greco. Anteriore certamente alla costituzione dell’Odissea, questo
filone epico era già noto ad Omero, che in Odissea XII 69-72 ricorda, per
bocca di Circe, la spedizione di Giasone nel regno di Eeta come un’impresa
“celebrata da tutti”. [...] Questo filone epico al tempo di Apollonio era scom-
parso già da lungo tempo, ma la leggenda degli Argonauti aveva continuato
ininterrottamente a fornire materia di canto alla poesia d’ogni genere (cfr. ad
es. Pindaro, Pitica IV) e ad essa inoltre si ricollegavano numerose leggende
etiologiche di culti ed istituzioni locali o di nomi di luoghi e fondazioni di cit-
tà. Il mito degli Argonauti si doveva perciò presentare agli occhi di Apollonio
come una materia ricca di tradizioni d’ogni specie, ma al tempo stesso come
una selva di varianti e contraddizioni. Per scrivere un poema sulla saga degli
Argonauti bisognava prima ricercare e collazionare pazientemente le numerose
e svariate fonti, scegliere tra le varianti di uno stesso mito, riordinare e disporre
secondo una loro plausibile sequenza cronologica gli avvenimenti tramandati
isolatamente, eliminare le inevitabili incoerenze della tradizione. Era dunque
una materia che richiedeva l’opera del grammatico prima di quella del poeta,
ed Apollonio volle scrivere appunto un’opera poetica che implicasse un lavoro
di alta filologia» (G. Serrao).
Epica storica e didascalica: Apollonio
la trama
V ediamo ora come, dati i presupposti esaminati, Apollonio realizzò la sua im-
presa.
La materia del testo Le Argonautiche sono un poema in esametri in 4 libri, per un totale di 5835 versi,
sulla spedizione condotta nella Colchide alla conquista del vello d’oro dagli Ar-
gonauti, così detti dalla loro nave Argo. Si tratta del fiore degli eroi della genera-
zione anteriore alla guerra di Troia – Eracle, Telamone, Peleo, Castore e Polluce
e i loro cugini Ida e Linceo, Zete e Calais figli di Borea, Argo (il costruttore della
nave), il cantore Orfeo, Tifi il timoniere, gli indovini Idmone, Anfiarao e Mopso
ecc. – guidati da Giasone, figlio di Esone re di Iolco in Tessaglia, al quale il fra-
tellastro Pelia ha usurpato il regno. Quando Giasone viene a reclamare il regno
paterno, Pelia, per eliminare il nipote, gli affida l’incarico di recuperare il vello
d’oro, ossia la pelle del montone che aveva trasportato nella Colchide Frisso,
sottraendolo alle insidie della matrigna Ino.
APOLLONIO RODIO 5
COLCHIDE
Eea
Po n t o E u s i n o
)
( Da nu b i o ( M a r N e ro )
I s t ro
Isola
di Ares
Sinope
TRACIA
Temiscira
A
NI AS
Isola Tomba O SIRIA
di Tinia di Stenelao G
A ys
l
o
TINIA Eraclea Ha
L
r
sfo
F
Bo
PA
Nicomedia
LEMNO FRIGIA
Afete Mirina
Monte Ida
Ma
la Colchide.
E
eo
g
EUBEA
Libro I, T. 1 Il I libro si apre, dopo un prologo, con il catalogo dei 53 principi che partecipano all’im-
trama
T. 2 presa, fra i quali ha posizione centrale Eracle. Poi, dopo il commiato di Giasone dalla
T. 3 madre Alcimede, alcuni riti propiziatori e una lite scoppiata fa Ida e Idmone, Giasone è
T. 4 scelto come capo della spedizione e la nave Argo salpa dal golfo tessalo di Pagase, fra
T. 5 il tripudio della folla in festa. Il primo scalo è a Lemno, dove
gli Argonauti restano un intero anno, intrecciando rapporti
amorosi con le donne dell’isola, che avevano ucciso tutti i
loro mariti perché le trascuravano preferendo loro schiave
di guerra: Giasone ha una relazione con la regina dell’isola,
Ipsipile, che invita gli eroi a stabilirsi a Lemno, ma Eracle
rimprovera i compagni e il viaggio riprende. Toccata Samo-
tracia, i naviganti sostano nell’isola di Cizico, fra i Dolioni,
Libro II Il libro II si apre con una sosta nel paese dei Bebrici, dove Polluce abbatte nel pugilato
trama
il feroce re del luogo, Amico, facendo insorgere una cruenta battaglia fra Argonauti e
Bebrici; poi i nostri arrivano in Bitinia presso l’indovino Fineo, di cui si guadagnano
la benevolenza facendo mettere in fuga da Zete e Calais le orribili Arpie che gli insoz-
zavano qualsiasi cibo costringendolo all’inedia. Da Fineo apprendono che riusciranno
nell’impresa solo se attraverseranno il tremendo ostacolo costituito dagli scogli detti
Simplegadi («Battenti l’uno contro l’altro») e spiega loro anche il modo per superare
il passaggio: giunti nei pressi, dovranno mandare ad attraversare gli scogli una colom-
ba; se la colomba passerà, anche loro avranno salva la nave. E in effetti la colomba
riesce a passare, pur perdendo alcune penne della coda, e allo stesso modo passa Ar-
go, perdendo fra gli scogli rinserratisi l’estremità della poppa. Entrati nel Mar Nero,
sostano presso i Mariandini, accolti con favore dal re Lico, che dà loro come guida il
figlio Dascilo, ma lì muoiono sia Idmone, in un incidente nel corso di una caccia al
T. 8 cinghiale, sia Tifi, colpito da un morbo improvviso. Si scontrano, quindi, con i terribili
uccelli dalle piume di bronzo presso l’isola di Ares e incontrano i figli di Frisso, che
erano naufragati nei pressi dell’isola nel viaggio dalla Colchide verso la Grecia e che si
uniscono alla spedizione; dopo aver costeggiato le contrade di popoli favolosi – come
i Calibi, che dissodano la terra solo per estrarne il ferro; i Tibareni, che al momento in
Epica storica e didascalica: Apollonio
cui le loro donne partoriscono simulano le doglie del parto; i Mossineci, già descritti
da Senofonte nell’Anabasi, usi a fare in pubblico tutto ciò che gli altri popoli fanno in
privato – arrivano, infine, in Colchide, alla foce del fiume Fasi.
Libro III Intanto, al principio del III libro, Era e Atena, preoccupate per gli eroi greci, si recano
a chiedere la cooperazione di Afrodite perché mandi in Colchide il figlio Eros a colpire
con un dardo, per farla innamorare di Giasone, la figlia minore del re Eeta, Medea,
esperta nelle arti magiche (la maggiore, Calciope, aveva sposato Frisso). Giasone e
alcuni dei suoi, avvolti da una nebbia prodotta da Era, giungono alla reggia di Eeta, al
quale Argo, uno dei figli di Frisso, chiede – a nome dei partecipanti alla spedizione – il
vello d’oro. Il sovrano si infuria e ordina ai Greci di allontanarsi dalla sua terra; poi, in
risposta a una diplomatica supplica di Giasone, si dichiara pronto a consegnare il vello
d’oro purché Giasone sappia superare due prove: aggiogare due tori che spirano fuoco
dalle narici e hanno zoccoli di bronzo e con quelli arare un vasto campo e seminarvi i
denti del drago di Ares ucciso un tempo da Cadmo; quindi sterminare tutti i guerrieri
che da questi denti sarebbero nati. Pur non scorgendo via d’uscita Giasone accetta; poi
viene convinto da Argo a cercare l’aiuto di Medea, la quale, proprio nel momento in cui
T. 9 l’eroe ha messo il piede nella reggia paterna, è stata trafitta dal dardo scagliato da Eros.
Dopo una notte insonne che la vede a più riprese divisa fra la passione per lo straniero
APOLLONIO RODIO 7
T. 10 e il pudore rafforzato dalla paura dell’ira paterna, il mattino seguente, dopo essersi con-
T. 11 sultata con la sorella Calciope, Medea decide di aiutare lo straniero. Si reca al tempio
di Ecate, consegna a Giasone un filtro che lo renderà invulnerabile nella lotta con i tori
e gli dà preziosi consigli su come condurre l’impresa. Giasone le promette di condurla
in Grecia con sé come sua sposa, poi affronta con successo le prove imposte da Eeta.
Libro IV Al principio del IV libro la giovane, temendo che il padre sospetti di lei per l’aiuto offerto
allo straniero, si reca nella notte presso gli Argonauti; più tardi, dopo aver addormentato
il drago con i suoi incantesimi permettendo a Giasone la cattura del vello, fugge con
T. 12 l’amato. Non appena Eeta si avvede del furto del vello e del tradimento della figlia, i
Colchi si gettano all’inseguimento degli Argonauti, ma Medea riesce a guadagnare tem-
po catturando con l’inganno e facendo trucidare da Giasone suo fratello Apsirto, che ha
guidato l’inseguimento dei Colchi. Questo eccidio fraudolento indigna Zeus, che provoca
una terribile tempesta: la collera di Zeus viene rivelata dalla voce della magica nave Ar-
go, da cui gli Argonauti apprendono altresì che a far cessare l’ira del dio può valere solo
la purificazione ad opera di Circe. La sezione del viaggio di ritorno segue una geografia
fantastica, che si ispira allusivamente al modello dell’Odissea, di cui Apollonio ripercorre
situazioni e personaggi: dopo una lunga navigazione attraverso l’Eridano, il Rodano e il
Tirreno la nave approda ad Eea, l’isola di Circe, che purifica Giasone. La navigazione
riprende attraverso il mare delle Sirene: solo Bute cade preda del loro canto e fugge dal-
la nave, ma Afrodite lo salva e lo fa arrivare sulla costa prospiciente Lilibeo, Marsala.
Passato lo stretto di Scilla e Cariddi, gli Argonauti sbarcano nell’isola dei Feaci, Drepane
(Corcira), dove trovano ad accoglierli i Colchi, che non avevano desistito dall’inseguirli.
Su suggerimento della regina Areta il re dell’isola Alcinoo dichiara che consegnerà Me-
dea ai Colchi se questa è ancora vergine: ecco allora che in quella stessa notte Giasone e
Medea si uniscono in un talamo di fortuna preparato in una grotta sul mare. Lasciata l’iso-
la dei Feaci, gli Argonauti si insabbiano nelle secche della Sirti e devono portarsi la nave
in spalla attraverso il deserto finché il dio Tritone non indica loro un canale navigabile
su cui poter raggiungere il mare aperto. Un ulteriore ostacolo viene frapposto dal gigante
Talo, che dall’alto delle scogliere di Creta scaglia enormi massi contro tutte le navi che
Cratere a volute attico, a figure rosse, del Pittore di Talos. 425-400 a.C.
Provenienza sconosciuta; ora a Ruvo, Museo Jatta.
I Dioscuri a cavallo hanno affiancato e trattengono per le braccia Talo, il
fortissimo automa di bronzo che aveva il compito di sorvegliare Creta ed
impedire che gli stranieri vi sbarcassero. Il gigantesco guerriero realizzato
da Efesto (e dipinto qui di giallo per evidenziarne la natura tutta metallica e
invulnerabile) è stato vinto da Medea, visibile a sinistra, che ha usato le sue
arti magiche per favorire gli Argonauti. A destra sono Posidone con Anfitrite e,
più in basso, una figura femminile che è la personificazione dell’isola di Creta.
La decorazione rievoca uno degli episodi salienti, ma al tempo stesso meno
rappresentati, della spedizione di Giasone e degi Argonauti condotta alla ricerca
del vello d’oro dell’ariete di Frisso. Proprio le origini oscure del mito di Talo e la
sua rarità furono elementi non secondari che favorirono l’inserimento di questo
tema nel IV libro delle Argonautiche di Apollonio Rodio.
8 EPICA STORICA E DIDASCALICA: APOLLONIO
Altre opere Oltre alle Argonautiche (Ἀργοναυτικά) Apollonio compose diverse opere mi-
di Apollonio nori di cui ci sono pervenuti scarsi frammenti: Fondazioni (Κτίσεις) relative a
varie città greche, in esametri (Alessandria, Naucrati, Cauno, Cnido, forse Le-
sbo); un Canobo, in coliambi (che doveva trattare della trasformazione in stella
di Canobo, timoniere della flotta di Menelao ed eroe eponimo di una città sul
delta del Nilo), epigrammi e dissertazioni filologiche su Archiloco e su Esiodo
e contro Zenodoto (probabilmente una critica all’edizione zenodotea di Omero).
cui ama distaccarsi, manifestando quel tipico gusto elle- Apollonio Rodio, nel suo poema, si avvicini al gusto ezio-
nistico di imitazione-emulazione nei confronti della tra- logico callimacheo.
dizione. Quali analogie riscontri fra i due poemi? Quali
differenze?
Labor limae Questa creazione di un nuovo stile epico, con il recupero, in un contesto assai diver-
so, del grande modello omerico, dovette essere il frutto di un prolungato e intensivo
labor limae che, sia pure su un campionario limitatissimo, siamo tuttora in grado di
verificare. Come già abbiamo ricordato, gli scolî alle Argonautiche ci offrono per sei
passi del I libro del poema la redazione di quella prima edizione (προέκδοσις) di cui
Apollonio avrebbe dato pubblica lettura ad Alessandria prima della rielaborazione
operata a Rodi: varianti d’autore che, se osservate con attenzione, consentono di eser-
citare sullo stile di Apollonio un equivalente di quella critica degli «scartafacci» che
largo impiego e proficui risultati ha conseguito in campo modernistico.
Confronto fra varianti Limitiamoci qui ad un solo esempio, relativo proprio a una di quelle sempre va-
d’autore riate descrizioni dell’alba a cui accennavamo. Lo schiudersi del giorno in cui la
nave Argo leva per la prima volta le ancore verso la Colchide appare in questa
forma nella nostra tradizione manoscritta (I 516-523):
funziona semmai come matrice strutturale, ritmico-sintattica, paesaggistico [...] molto vicino al grado zero della descrit-
in un gioco di sottile allusione/emulazione, più che di scoperto tività. Nella epékdosis invece il levarsi del vento costituisce
echeggiamento. [...] lo spunto per uno scorcio molto più ampio, perché è colto
Sul piano dei contenuti comunque Apollonio funzionalizza attraverso i suoi effetti sul paesaggio – e non su un paesag-
in modo del tutto nuovo la prospettiva eziologico-mitica che gio stereotipo, anonimo, ma precisamente su quello in cui
nella proékdosis aveva presentato l’alba come epifania (φάνη) la scena è ambientata: le onde del mare, i promontori di un
di una divinità ancora secondo il modello omerico (in Omero golfo (il golfo di Pagase del v. 524)» (M. Fantuzzi, Ricerche su
infatti questa personificazione era un’idea-tipo dell’alba, co- Apollonio Rodio. Diacronie della dizione epica, Roma, Ateneo
stante anche al di là della formula ἦμος δ᾽ ἠριγένεια φάνη 1988, 121-124.).
L’invocazione inizale Il proemio del I libro si apre con un’invocazione ad Apollo, seguita da un breve
riepilogo degli antefatti e si chiude con un riferimento alle Muse perché siano
T. 1 «ministre» del suo canto (vv. 1-22).
L’invocazione a Erato Anche nel proemio del libro III (vv. 1-5) il rapporto con le Muse, o più speci-
(l. III) ficamente con la Musa della poesia amorosa, Erato, si prospetta in termini di
“assistenza” («stammi vicino»):
Εἰ δ’ ἄγε νῦν Ἐρατώ, παρ’ ἔμ’ ἵστασο καί μοι ἔνισπε
ἔνθεν ὅπως ἐς Ἰωλκὸν ἀνήγαγε κῶας Ἰήσων
Μηδείης ὑπ’ ἔρωτι· σὺ γὰρ καὶ Κύπριδος αἶσαν
ἔμμορες, ἀδμῆτας δὲ τεοῖς μελεδήμασι θέλγεις
5 παρθενικάς· τῶ καί τοι ἐπήρατον οὔνομ’ ἀνῆπται.
Orsù, stammi vicino, Erato, e cantami come
Giasone portò il vello a Iolco da quelle terre lontane
grazie all’amore di Medea. Tu pure hai avuto in sorte
5 il dominio di Cipride e incanti nell’ansia le giovani vergini.
L’autore e l’interprete Apollonio propone dunque attraverso i proemi alle tre sezioni maggiori dell’ope-
delle Muse ra una relazione poeta-Musa che, alternando per l’antica figura del canto aedico
il ruolo di cooperatrice e «interprete» a quello di narratrice in prima persona delle
motivazioni che guidano le scelte dei personaggi, di fatto preclude la possibilità
di un’immagine unitaria della Musa. Ella è ciò che era una volta (colei che «dice»
al poeta quel che è stato, quel che è e quel che sarà) e ciò che è divenuta col tem-
po attraverso l’affermarsi dell’autonomia dell’autore come artefice responsabile
del suo prodotto: è – secondo una formulazione di S. Goldhill – la voce e l’as-
sistente della voce. Un rapporto che si delinea su direttrici innovative, ma è pur
sempre disponibile a rovesciarsi, grazie a un gioco che ormai è tutto letterario,
nel suo esatto contrario, come registriamo quando la posizione di ὐποφήτορες
«interpreti» assegnato alle Muse in I 22 viene restituito in IV 1381 s. al poeta,
che, apprestandosi a raccontare come gli Argonauti trasportassero a spalla la loro
nave attraverso il deserto libico, sottolinea l’eccezionalità dell’exploit premet-
tendo:
Μουσάων ὅδε μῦθος, ἐγὼ δ᾽ ὑπακουὸς ἀείδω
Epica storica e didascalica: Apollonio
Πιερίδων.
Questo è il racconto delle Muse, ed io lo canto
servendo le Muse.
la componente eziologica
Le programmatiche
cesure eziologiche L ’archeologia culturale che informa il poema si manifesta nel gusto per l’ezio-
logia, specialmente lungo le tappe del viaggio alla volta della Colchide: un
ambito in cui si realizza senz’altro un incontro con gli Aitia di Callimaco, anche
se Apollonio, facendo degli aitia un ingrediente di un poema epico, assegna loro
una funzione peculiare. Con la loro assai frequente collocazione alla fine di un
episodio, essi vengono infatti a costituire delle cesure narrative che hanno l’ef-
fetto di distanziare il piano del racconto con l’intrusione di un presente sostan-
ziato di erudizione folclorica; né Apollonio si cura in alcun modo di attutire la
sconnessione che gli aitia introducono nel tessuto del racconto, anzi sottolinea
APOLLONIO RODIO 13
deliberatamente i dislivelli della storia. Così, paradossalmente, mentre negli Ai-
tia callimachei l’eziologia rappresenta un principio-guida dell’esposizione, un
elemento di continuità, è proprio l’artefice del poema aristotelicamente unitario
a frantumare in episodi, attraverso l’inserzione di squarci eruditi, il flusso del
tempo mitico.
Gli aitia Questa esibizione dell’aition smaschera la vera radice e il vero movente, dal
come principio primo punto di vista del poeta dotto, delle Argonautiche: perché è la folla di tradizioni,
dell’opera
nomi, culti, istituzioni, varianti mitiche che gremiscono i testi di poesia come
di storiografia locale ad aver promosso l’impulso a raccoglierne le fila lungo
un percorso narrativo organizzato. «In principio», nel processo di formazione
dell’opera, sono gli aitia, secondo una gerarchia genetica che il testo occasio-
nalmente illumina allorché i segni archeologici disseminati lungo la rotta degli
antichi navigatori si configurano, convertendo il mito in una sorta di appendice
dell’aition, come stimoli a narrare nuovi aspetti della vicenda. Esempio di questo
T. 8 modo di procedere è in II 835-857, in occasione dei funerali di Idmone.
In termini comparabili, in IV 552-556, l’invocazione alle Muse che apre il
racconto di una nuova fase del viaggio di ritorno viene promossa dai «segni»
(σήματα) lasciati dalla nave Argo lungo le coste tirreniche:
Ἀλλὰ θεαί, πῶς τῆσδε παρὲξ ἁλὸς ἀμφί τε γαῖαν
Αὐσονίην νήσους τε Λιγυστίδας, αἳ καλέονται
Στοιχάδες, Ἀργῴης περιώσια σήματα νηός
555 νημερτὲς πέφαται; Τίς ἀπόπροθι τόσσον ἀνάγκη
καὶ χρειώ σφ᾽ ἐκόμισσε; Τίνες σφέας ἤγαγον αὖραι;
Ma ditemi, Muse, perché al di là del mare, attorno alla terra Ausonia,
alle isole Ligustidi, cui danno il nome di Stecadi,
restano in gran numero e chiari i segni di Argo?
struttura e personaggi
Il tempo della fabula
T empo della narazione e piano delPer quanto riguarda il tempo della narrazione
le Argonautiche si articolano, come abbiamo detto, in tre sezioni introdotte
ciascuna da uno specifico proemio.
…e il tempo C’è però un altro tempo, quello narrato attraverso la presenza continuamente
dall’intreccio affiorante del poeta, i suoi commenti sul proprio ruolo di narratore, l’interse-
scandito dall’autore
zione fra piano mitico-narrativo e piano eziologico-folclorico, i frequenti rinvii
in avanti (anticipazioni o prolessi) e indietro (analessi) ad altri momenti della
storia: questo tempo tende a frammentarsi in una discontinuità che finisce quasi
col negarlo, immergendo fatti figure segni del passato in una strana simultaneità.
14 EPICA STORICA E DIDASCALICA: APOLLONIO
Circolarità Solidale a questa prospettiva del tempo è la chiusura circolare dello spazio che strin-
dello spazio d’azione ge l’azione del poema: punto di partenza e punto di arrivo del viaggio coincidono,
poiché la meta degli Argonauti, anche nel percorso di andata verso la Colchide, è,
come a più riprese viene sottolineato, non altro che la Grecia: la conquista del vello
d’oro viene infatti perseguita dagli Argonauti come un peso da sopportare, senza
una motivazione autenticamente sentita. In questa prospettiva viene vanificata la
motivazione stessa del gesto eroico, come accade nell’episodio dei Dolioni, nel
quale l’aristia di Giasone e dei suoi compagni è compromessa dal tragico equivoco
T. 6 scatenato da questa circolarità di cui i protagonisti sono vittime inconsapevoli.
Oc
ea
I P E R B O R E I
no
o Monti Rifei
n
a
e
(Danubio)
(Tana)
c
O
(Ren
C I Z I A
S
o)
Istro
Rupe Ercinia
Laghi Celtici Palude ) Ponto Eusino
di Fetonte ubio Isola di
Isole stro (Dan
C E L T I Brigie I
Peuce (Mar Nero) Cauca
so
Erid
ano Monte ad
i Eea
Isola g Capo Carambi
Elettride
Caullaco ple Fasi Mar
Sim
no
Lico
PAFL
Roda
Mare di
AGO sse Caspio
Crono TRACIA Eraclea s
N IA Ara
LIGURI Etalla Haly
AU
(Elba) Corcira
Mar
(Pire
Isole Nea
SO
Iolco
e Ion
Stecadi Ellesponto
ne
Mare
Ma
NI
i)
Mar Eea
io
Egeo
re
Antemoessa Monti
Au
Depane Egina
Scilla (Orciria)
Plancte M A R E D I Calliste (Tera) Anafe
(Colonne d'Eracle) Cariddi
TRINACRIA Carpato
Capo Lilibeo TRINACRIA CRETA
(Sicilia)
Mare di Libia
Sirte Lago
Tritonide
Tritone
(Nilo)
L I B I A E G I T T O
APOLLONIO RODIO 15
MeMoria letteraria
La navigazione notturna
Il brano di Apollonio Rodio sopra riportato (IV 1694-1701) si apriva nel segno del terrore provocato da
un’oscurità totale misteriosamente prodottasi in pieno giorno. Già Omero, del resto, conosceva la navi-
gazione notturna e lo smarrimento dell’uomo di fronte alle tenebre: nell’Odissea Ulisse lascia l’isola di
Calipso sulla grande zattera che si è appena costruito e naviga ininterrottamente per diciassette giorni e
diciassette notti orientandosi sulle costellazioni che ruotano intorno all’Orsa Maggiore: V 270-277.
Il poeta latino Valerio Flacco (I secolo d.C.) ripropone il tema evidenziando come la sconosciuta eventua-
lità di navigare nella notte getti nel panico gli Argonauti all’infuori di quel timoniere Tifi che può contare
non tanto sulla propria esperienza quanto sull’ausilio di Minerva, la quale non solo gli ha insegnato la
rotta ma spesso si è degnata di condurre ella stessa la nave. Di qui uno squarcio di poesia astronomica che
dapprima fa degli astri e dell’etere percorso dalle comete una ragione di paura – anzi, della stessa quiete
delle cose e dello stesso silenzio dell’universo (quies rerum mundique silentia 41), tradizionalmente legati
alla nozione del riposo umano, si dice che «atterriscono» –, poi, nelle parole di Tifi, trasforma le costella-
zioni in segni confortanti per tracciare la giusta rotta fra le onde (2, 34-75).
Puoi leggere oltre a questo brano, un approfondimento su Valerio Flacco e sulla sua ver-
sione latina degli Argonautica.
La razionalità Eppure anche situazioni che, come questa, comunicano la vertigine del mistero,
del testo governato appaiono inglobate in una tipologia del racconto con la quale l’autore, a diffe-
da un autore
renza di quanto avviene in Omero, si impegna a motivare ogni volta sbarco e
imbarco dei naviganti, registrando con cura il levarsi e il calare del vento, e più in
generale intende colmare lo spazio della giornata di volta in volta trascorsa senza
residui di vuoto o di indeterminatezza.
Descrizione Nei primi due libri questa alternanza di arrivi e partenze tiene insieme un divaga-
degli stati d’animo re di episodi che ha molto di accidentale o di logorante, come cogliamo nell’an-
goscia che afferra ogni membro dell’equipaggio dopo la scomparsa del timoniere
Ausili divini Lo stato di impotenza in cui i naviganti vengono a trovarsi viene risolto di fre-
quente solo da un intervento esterno, so-
prattutto divino (nel passo citato, il co-
La funzione dell’altra Questo andamento episodico viene superato nel III libro dalla presenza di Me-
figura dominante: dea, alle cui arti magiche risultano legate le speranze del successo e del ritorno:
Medea
con l’apparizione di questo personaggio i temi dell’amore e dell’astuzia e la sfera
femminile prendono il sopravvento sui temi del coraggio e della forza e sul mon-
do maschile, conferendo alla concatenazione delle scene una nuova coesione e
linearità. Confrontato e commisurato con quello di Medea, lo stesso personaggio
di Giasone prende a definirsi da un lato nella sua duttilità (egli è il campione del
tatto, della diplomazia, anche dell’opportunismo), dall’altro nella sua imperme-
abilità a ogni troppo intenso coinvolgimento emotivo. Anche le altre figure della
storia (in primo luogo il fiero e arrogante Eeta, il padre di Medea) si dispongono
secondo questo nuovo asse tematico e secondo la relazione fra le due figure do-
minanti lungo una vicenda che ha ormai acquistato la tensione e la durata di una
compatta unità drammatica.
Modello e summa Occasione di verifica delle potenzialità rappresentative che lo scandaglio psico-
di pathos psicologico logico praticato per secoli da tragici e filosofi, medici e storici offriva ormai a
un poeta alessandrino, la figura di Medea in Apollonio non va comunque letta
sottraendola al contesto delle sequenze narrative in cui è inserita, anche se biso-
gna riconoscere che per larga parte appare lei stessa promotrice e regista degli
eventi, dominatrice della storia proprio perché dominata da una non soffocabile
passione.
La nuova concertazione delle azioni e reazioni dei personaggi fa una prova ben
Epica storica e didascalica: Apollonio
Anatomia
di un innamoramento riuscita già nella sequenza che conduce all’innamoramento della fanciulla. Ti-
moroso di un complotto dei nipoti (i figli di Frisso e Calciope, che si sono uniti
agli Argonauti) Eeta scaccia brutalmente i nuovi arrivati respingendo la richiesta
di Argo. Allora Giasone prende le parola e con un discorso pieno di tatto riesce a
smorzarne l’ira, inducendolo a proporre l’alternativa di una prova di coraggio e
di forza. La prospettiva del cimento (certo terrificante, ma che Peleo sarebbe di-
sposto ad affrontare) deprime oltre ogni limite l’eroe senza eroismo: egli fissa gli
occhi a terra e resta ammutolito finché, pur senza riuscire ad elaborare alcuna via
d’uscita, offre al tiranno, quasi per un automatismo della retorica, l’accortezza
di una risposta dignitosa e insieme rassegnata. Poi si alza dal suo seggio insieme
con i compagni che lo hanno scortato al colloquio e torna fra gli altri Argonauti
ad esternare tutto il proprio scoramento (e questo anche se durante il tragitto Ar-
go lo ha informato della presenza di una fanciulla, Medea appunto, che pratica
incantesimi nel segno di Ecate). Ed ecco che, fra l’incontro di Giasone con Eeta
e il ritorno di Giasone in mezzo al gruppo dei compagni, Apollonio inserisce la
sequenza della reazione subita da Medea nel contemplare e ascoltare l’eroe (III
T. 9 448-471).
APOLLONIO RODIO 17
La concretezza Giasone intanto, superata l’iniziale perplessità riguardo al piano suggerito da
di un eroe umano Argo e incentrato sull’aiuto che Medea può offrire, lo comunica ai compagni.
Nonostante alcune vivaci reazioni (fra cui il sarcasmo di Ida ai vv. 558 s.: «Ahi-
mè, siamo venuti qui in compagnia di donnette, / che chiamano in loro soccorso
Afrodite...»), si appresta ad attuarlo mandando Argo stesso al palazzo di Eeta
perché preghi sua madre Calciope di chiedere la cooperazione di Medea. Calcio-
pe è trattenuta dal dubbio che Medea sia «atterrita dalla collera atroce del padre»
(v. 614). Eeta, infatti, ha appena indetto l’assemblea dei Colchi chiamando «pi-
rati» i nuovi arrivati e meditandone lo sterminio.
La funzione del sogno I sentimenti che Medea ha rivelato nella scena appena riportata ricevono una
svolta e una chiarificazione attraverso i meccanismi di un sogno, dopo il quale
la giovane si sente spinta ad agire contro le resistenze frapposte da un senso di
vergogna a cui basterà poco più tardi, per dissolversi, la richiesta di aiuto da parte
della stessa Calciope (III 616-667).
…e la risolutezza Poi Medea agisce senza più esitare: prende il filtro, lo porta al tempio di Eca-
di una donna te, incontra da sola lo straniero, che le appare come l’astro di Sirio che si leva
innamorata
sull’Oceano e le parla con la consueta diplomazia. Gli spiega il piano già ordito
chiedendogli in cambio solo di ricordarsi di lei (vv. 1069 s.: «Ricòrdati, quando
sarai lontano nella tua patria,/ il nome di Medea»). La trama segue il suo corso (la
lotta con i tori nella piana di Ares, la reciproca strage degli uomini che spuntano
in armi dal suolo seminato con i denti del drago) e il canto si conclude col sigillo
(v. 1407): «Tramontò il giorno, e Giasone aveva compiuto la prova».
Relazioni La caratteristica di stabilire una relazione, per analogia o per contrasto, fra la rap-
ambiente-psicologia presentazione poetica e lo stato d’animo dei personaggi è ravvisabile nel «not-
dei personaggi
turno» di Medea (cfr. T. 11), in cui alla calma assoluta della notte e del sonno
18 EPICA STORICA E DIDASCALICA: APOLLONIO
degli esseri viventi è contrapposta l’angoscia della protagonista. Analogo proce-
dimento si ha anche nelle descrizioni paesaggistiche, come ad esempio in quella
dello squallido ambiente della Sirte, desolato e immerso in un mortale silenzio,
che rispecchia l’angoscia rassegnata degli Argonauti (IV 1237-40):
dovunque, su un fondo di alghe e mucillagine, passa
silenziosa la torbida schiuma. Verso terra la sabbia
si stende fino all’orizzonte, e non si scorgono né uccelli
né animali terrestri
[Tr. di A. Borgogno]
«Una scena delicata che contrasta con quella cruenta dell’uccisione, descritta
subito dopo, e di cui non è solo l’ingenuità indifesa del fanciullo a essere assimi-
lata a quella di Apsirto, ma anche l’immagine del torrente diviene figura di una
Medea implacabile e temuta dai suoi nemici» (G. Monaco).
Nomi e saghe… Questa massiccia produzione che continuava l’epica di ampio respiro dei secoli
precedenti ebbe contenuto in parte puramente mitologico, in parte storico-mi-
tologico o esclusivamente storico: in quest’ultimo caso si ispirò alle imprese di
condottieri e sovrani contemporanei o ad eventi legati a una città o a una regione.
…mitiche… Sia Menelao di Ege che Antagora di Rodi composero una Tebaide; Cleone di
Curio (Cipro) narrò al pari di Apollonio la saga argonautica; Diotimo di Adra-
mittio (Misia) tornò alle fatiche di Eracle (che sarebbero state ispirate all’eroe
dall’amore per Euristeo!).
riano
F orse di origine servile (secondo la Suda sarebbe stato in origine uno schiavo
utilizzato come guardiano di una palestra), Riano (Ῥιανός) di Bene (Creta) o
di Itome (Messenia) svolse probabilmente la sua attività ad Alessandria.
Compose un’Eraclea e poemi ispirati ai miti e alle vicende storiche dell’Acaia
(Ἀχαικά, in almeno 4 libri), della Tessaglia (Θεσσαλικά, in almeno 16 libri)
e dell’Elide (Ἠλιακά, in almeno 3 libri), di cui abbiamo pochi frammenti.
Frammenti superstiti Si concorda in genere nell’attribuire a questo poema alcuni frammenti papiracei
(P. Oxy. 2522 A-B e 2883 = Supplementum Hellenisticum, nrr. 923 e 946-947,
Lloyd-Jones/Parsons).
Suppl. Hell. 923 contiene parte del discorso di un capo militare che invita gli
ascoltatori, preoccupati per un imminente pericolo, a trattenere i lamenti, e li
esorta a cercare la salvezza fuggendo sul mare per fondare una colonia.
Anche Suppl. Hell. 946 fa parte del discorso di un capo militare, che esorta ad
attaccare gli Spartani la mattina del giorno dopo e a vegliare sulla città per quel-
la notte. Suppl. Hell. 947 descrive invece il tramonto che «giunse gradito» agli
Spartani dopo una sconfitta e naturalmente sgradito agli avversari, che esultano
e vorrebbero continuare la lotta nonostante le tenebre:
Ὡς [εἰπὼν ἀ]πέπαυσε μάχην, ἐπίθοντο δὲ λαοί
νυ[κτὶ θοῇ], νίκη γὰρ ἀγαλλόμενοι ποθέεσκον
κα[ί]περ κ[ε]κμηῶτες ἀνὰ κνέφας ἀντιάασθαι,
ἀσπασίη δὲ Λάκωσιν ἐπήλυθε νυκτὸς ὀμίχλη.
LA NUOVA FIORITURA DELL’EPICA FRA III E II SECOLO A.C. 21
Così [avendo detto] pose fine allo scontro, e obbedirono i soldati
alla [rapida] notte: insuperbiti dalla vittoria quelli bramavano
pur sfiniti di scontrarsi nella tenebra,
ma gradito giunse agli Spartani il buio della notte.
Frammenti di incerta Molto più incerta è l’attribuzione a Riano degli esametri di contenuto mitologico
attribuzione o etnografico di cui un altro papiro (P. Oxy. 2819) conserva brevi frammenti
congiuntamente a note di commento (Suppl. Hell. nr. 941-945).
Il frammento più lungo sicuramente attribuibile a Riano (1 Powell), ma che non
sappiamo a quale opera attribuire, consta di 21 esametri e si riferisce alla folle
superbia degli uomini. Il brano pare tra l’altro rivolto a colpire l’ideologia elle-
nistica della divinità del sovrano: gli uomini non hanno senno; chi è povero non
riesce a migliorare; chi ha il potere si considera pari a un dio e dimentica di essere
un uomo, ma poi viene colpito da Ate.
euforione
Notizie biografiche
F ra i pochi che seguirono la traccia callimachea fu invece Euforione (Εὐφορίων)
di Calcide (Eubea), nato verso il 275 a.C. e morto in Siria intorno al 200. Da
Atene, dove attese per lunghi anni a studi filosofici e grammaticali, passò in Tra-
cia e quindi, verso il 220, fu chiamato da Antioco III, che lo mise a capo della
biblioteca di Antiochia. Qui o ad Apamea morì e fu sepolto.
Monografie, Le sue opere comprendevano monografie storiche (Sugli Alevadi, Sui giochi
epigrammi Istmici, Sui poeti lirici), epigrammi e soprattutto poemetti narrativi in cui predo-
e poemetti narrativi
minava il compiacimento per le dotte interpretazioni delle leggende e degli ora-
22 EPICA STORICA E DIDASCALICA: APOLLONIO
coli, per le singolari storie d’amore, per le metamorfosi e i motivi romanzeschi.
Si tratta in particolare della Mopsopia (il cui titolo deriva da un antico nome
dell’Attica), dell’Esiodo e delle Chiliadi (Χιλιάδες «Migliaia»).
Le Chiliadi Queste ultime, divise in 5 libri, contengono una raccolta di oracoli che si erano
compiuti entro un lasso di mille anni come prova della punizione che dovevano
attendersi coloro che avevano defraudato Euforione del suo denaro.
Delle Chiliadi facevano forse parte le Imprecazioni ovvero Il ladro del vaso
(Ἀραὶ ἢ Ποτηριοκλέπτης), di cui un manoscritto su pergamena del V secolo
d.C. ci ha restituito un frammento dove il poeta, accumulando esempi mitologici,
maledice un tale che lo ha derubato.
Il Trace Anche il Trace, di cui un papiro del II secolo d.C. ci ha conservato alcuni versi
(P. S. I. 1390 = Suppl. Hell. 413-415), conteneva un’invettiva con esempi mito-
logici. Tenendo conto dell’Ibis di Callimaco e di altri analoghi esempi (ad es. le
Dirae pseudo-virgiliane), si può pensare che la poesia ellenistica avesse dato a
questo soggetto, precedentemente confinato alla magia delle tavole di maledizio-
ne (le tabellae defixionis), il prestigio di forma letteraria erudita.
e nicandro
In età ellenistica rifiorisce quel filone didascalico inaugurato dagli Erga esio-
dei e continuato in chiave sapienziale nei poemi filosofici di Parmenide e di
Empedocle.
La trasformazione Il rapporto fra poeta e destinatario appare profondamente mutato: il «tu» apo-
del genere strofato si riduce in genere a pretesto per dialogare con un lettore generico e
indifferenziato; il ricorso al mito diventa excursus ornamentale, ormai privo di
un autentico valore paradigmatico; soprattutto, la scelta dei temi non deriva più
dall’esperienza o dalla speculazione degli autori, ma presuppone una tradizione
di scritti specialistici in prosa. Così un poema destinato a porsi come un modello
del genere, i Fenomeni di Arato, si presenta come la raffinata elaborazione po-
etica di trattati astronomici, mentre i poemi di Nicandro di Colofone appaiono
strettamente legati ai trattati farmacologici di Apollodoro di Alessandria.
LA POESIA DIDASCALICA: ARATO E NICANDRO 23
Gli ambiti trattati Gli ambiti sono assai vari: ad esempio Peristefano di Cirene, discepolo di Cal-
limaco, scrisse un’opera Sui fiumi, probabilmente riallacciandosi allo scritto del
maestro Sui fiumi del mondo, e poemi astronomici e geografici furono composti
nel I secolo a.C. da Alessandro di Efeso. Ma il filone di poemi di argomento ge-
ografico, che troverà molto più tardi un’opera di grande successo nel poema di
Dionisio Periegeta, vide anche opere con caratteristiche diverse.
La funzione In esse la scelta della forma poetica non sembra legata a intenzioni letterarie
della forma poetica quanto piuttosto all’esigenza di usare uno strumento espressivo capace di meglio
imprimersi nella memoria, come la Periegesi dello Pseudo-Scimno (composta
verso il 110 a.C.) e la Descrizione dell’Ellade di Dionisio figlio di Callifonte (I
secolo a.C.?), nelle quali si adopera, con uno scarto dalla tradizione esametrica,
il trimetro giambico.
arato
Notizie biografiche
A rato (Ἄρατος) nacque a Soli (in Cilicia) verso il 315 a.C. e studiò dapprima
ad Efeso con Menecrate, grammatico e poeta, che scrisse in versi sull’agri-
coltura e l’apicultura, poi ad Atene, dove si appassionò di filosofia (specialmente
stoica). Soggiornò successivamente, dal 276, a Pella, in Macedonia, presso la
corte di Antigono Gonata, dove celebrò in uno o due inni il matrimonio dello
stesso Antigono con Fila, sorellastra di Antioco II, e incontrò Alessandro Etolo.
Poi fu in Siria presso Antioco I, ma in seguito tornò definitivamente in Macedo-
nia, dove morì verso il 240.
Opere varie Curò un’edizione dell’Odissea, compose epicedi per la morte di amici e una rac-
Origine e struttura Tuttavia la sua fama è legata ai Fenomeni (Φαινόμενα, propriamente «Le co-
compositiva se che si vedono», s’intende nel cielo), poemetto didattico in 1154 esametri
dei Fenomeni
composto sulla scorta di un trattato omonimo nonché di un altro scritto, intito-
lato Specchio (Ἔνοπτρον), dell’astronomo del IV secolo Eudosso di Cnido.
L’opera si divide nettamente in due parti: la prima (fino al v. 732) descrive le
costellazioni e narra i miti in rapporto ai quali esse hanno assunto i loro nomi;
la seconda (vv. 733-1154), già distinta da Cicerone, che la tradusse in latino,
col titolo specifico di Prognostica (Προγνώσεις διὰ σημείων «Previsioni at-
traverso i segni» o Διοσημίαι «Segni celesti»), è una sorta di trattato di mete-
orologia popolare.
T. 1 In apertura si colloca un breve ma solenne inno a Zeus e alle Muse (vv. 1-18).
Poi Arato descrive la volta del cielo e le costellazioni dei due emisferi (vv.
19-461) e in questa parte inserisce, trattando della costellazione della Vergine,
una digressione su Astrea e sulla successione delle generazioni umane (vv.
T. 2 96-136).
24 EPICA STORICA E DIDASCALICA: APOLLONIO
Una seconda sezione della prima parte del poema tratta dei circoli che divido-
no in zone la sfera celeste (vv. 462-558), una terza della levata e del tramonto
astronomici delle costellazioni dello zodiaco (vv. 559-732).
La seconda parte, Nella seconda parte (come detto, i Prognostica) l’esame dei fenomeni natura-
i Prognostica li che possono rappresentare segni (σημεῖα) di variazioni meteorologiche ha
un notevole interesse documentario in quanto serbatoio di sapienza folclorica.
I segni in questione, infatti, non riguardano solo i fenomeni celesti ma anche le
congetture desunte dall’osservazione di animali, piante, oggetti. Il testo, inoltre,
procede per ritmi più rapidi e formulazioni più secche, secondo lo schema base
«quando... allora»; cfr. ad esempio i vv. 1113-1123:
Gli aratori e i vaccari riconoscono dai buoi
il sollevarsi di una tempesta, perché quando i buoi
1115 leccano all’intorno gli zoccoli del loro piede anteriore,
o quando coricandosi si stendono sul fianco destro,
il vecchio aratore prevede il rinvio del lavoro.
E quando le vacche si radunano moltiplicando i muggiti
nel rientrare alla stalla all’ora in cui si stacca il giogo,
1120 subito le giovenche congetturano tristi che non potranno
saziarsi d’erba nei prati prima della tempesta.
E se le capre si affrettano a brucare le spine di leccio,
non ci sarà bel tempo, né se le scrofe impazzano nel brago.
Fortuna immediata I Fenomeni ebbero un’enorme fortuna. Suscitarono, fra l’altro, immediati entu-
siasmi – Callimaco, nel Contro Prassifane (fr. 460 Pfeiffer), definì Arato «dotto
e valente» – ma presto anche critiche e rettifiche: già nel II secolo a.C. l’astrono-
mo Ipparco di Nicea compose un Commento ai Fenomeni di Eudosso e di Arato.
Tutto questo provocò anche un diffuso inquinamento del testo attraverso glosse,
Epica storica e didascalica: Apollonio
nicandro
Cronologia
controversa N icandro (Νίκανδρος) nacque a Colofone da una famiglia che esercitava il
sacerdozio di Apollo Clario e fu attivo intorno alla metà del II secolo a.C.
Le notizie biografiche su di lui sono, però, contraddittorie: ora lo fanno con-
temporaneo di Callimaco o lo datano alla fine del III secolo a.C., ora la pongo-
no nel II secolo a.C.: in particolare, una biografia trasmessa nel corpus degli
scoli gli attribuisce un inno ad Attalo III, che salì al trono nel 138 a.C.
Accettando questa cronologia, è allora da distinguere da lui il poeta epico Ni-
candro di Colofone, figlio di un Anassagora, onorato su un’iscrizione delfica
del 258 a.C. e autore di poemi storici e di Metamorfosi (Ἑτεροιούμενα) in 5
libri.
LA POESIA DIDASCALICA: ARATO E NICANDRO 25
Θηριακά e Ci sono giunti integri sotto il nome di Nicandro due poemi didascalici in esame-
Ἀλεξιφάρμακα tri: i Θηριακά («Rimedi contro gli animali velenosi»), in 958 esametri, sui rime-
di contro le morsicature delle bestie velenose, e gli Ἀλεξιφάρμακα («Antidoti»,
«Contravveleni»), in 630 esametri, sui veleni che derivano da animali, piante e
minerali e i rispettivi antidoti.
Tra erudizione La materia, soprattutto quella dei Theriaca, è desunta da uno specialista in vele-
scientifica e curiosità ni, un Apollodoro di Alessandria vissuto tra la fine del IV e l’inizio del III secolo
folclorica
a.C., ma come nel caso di Arato le osservazioni scientifiche si alternano a spunti
desunti dal folclore; la dizione resta quasi sempre piattamente espositiva (se si
eccettua qualche squarcio descrittivo come quello offerto dalla lotta dell’aquila
col serpente in Theriaca 438 ss.).
Segni zodiacali
commentati in un codice
medievale dell’818,
conservato a Salisburgo.
26 EPICA STORICA E DIDASCALICA: APOLLONIO
FortUna letteraria
Argonautiche
T. 1 Il proemio Invece che con l’invocazione alla Musa, tradizionale esordio del poema epico fin
da Omero, le Argonautiche si aprono con una movenza innodica in onore del dio
Apollo, al cui nome è immediatamente accostato il riferimento al κλέος degli
antichi eroi, di cui il poeta si appresta a celebrare le gesta. Viene poi precisato il
motivo dell’impresa ed esposto l’antefatto delle vicende, scaturite essenzialmen-
te da un motivo di costrizione (v. 3 ἐφημοσύνῃ Πελίαο «dietro ingiunzione
di Pelia»). Pelia, re di Iolco in Tessaglia, aveva ricevuto dall’oracolo di Delfi la
profezia di una sorte orribile che l’attendeva per mano di qualcuno, calzato di
un solo sandalo: egli non fece fatica a riconoscere chi lo minacciava quando, nel
corso di una cerimonia in onore di Posidone, si presentò a palazzo il nipote Già-
sone, figlio di Esone cui Pelia aveva usurpato il trono. Il giovane aveva perso uno
dei sandali nel guadare un fiume, mentre si stava recando alla festa. Alla vista di
Giàsone con un piede nudo, Pelia si rammentò dell’oracolo e pensò di sbarazzarsi
1 Ἀρχόμενος σέο Φοῖβε: l’impiego alle Muse, costituisce un’infrazione alla 19: σέο δ᾽ ἀρχόμενος κλέα φωτῶν/ ἄσο-
in sede proemiale di ἄρχομαι con il gen. norma epica, che trova la sua giustifica- μαι ἡμιθέων «cominciando da te, canterò
(σέο è forma ionico-epica per σοῦ), prece- zione nel ruolo di assoluta centralità che il le gesta gloriose dei semidei».
duto o meno da ἐκ, è stilema innografico dio assume nel corso del poema. - Κλέα
di uso consolidato (vedi ad esempio Esio- φωτῶν: l’espressione costituisce una va- 2 Πόντοιο κατὰ στόμα: la perifrasi
do, Teogonia 1 Μουσάων Ἑλικωνιάδων riazione rispetto ad Iliade IX 189: ἄειδε è consueta, sia in prosa che in poesia, per
ἀρχώμεθ᾽ ἀείδειν; Arato, Fenomeni 1 Ἐκ κλέα ἀνδρῶν «cantava la gloria degli eroi» indicare il Bosforo (es. Tucidide IV 75, 2;
Διὸς ἀρχώμεσθα). - Φοῖβε: «il lumino- (è Achille che, ritiratosi nella sua tenda, si Teocrito XXII 28).
so, lo splendente», è epiteto formulare di diletta con il canto eroico); interessante il
Apollo. L’invocazione ad Apollo, anziché confronto con l’Inno XXXII (a Selene) 18- 2-3 διὰ πέτρας Κυανέας: le rupi
28 ARGONAUTICHE
Κυανέας βασιλῆος ἐφημοσύνῃ Πελίαο
χρύσειον μετὰ κῶας ἐύζυγον ἤλασαν Ἀργώ.
5 Τοίην γὰρ Πελίης φάτιν ἔκλυεν, ὥς μιν ὀπίσσω
μοῖρα μένει στυγερή, τοῦδ’ ἀνέρος ὅντιν’ ἴδοιτο
δημόθεν οἰοπέδιλον ὑπ’ ἐννεσίῃσι δαμῆναι·
δηρὸν δ’ οὐ μετέπειτα τεὴν κατὰ βάξιν Ἰήσων,
χειμερίοιο ῥέεθρα κιὼν διὰ ποσσὶν Ἀναύρου,
10 ἄλλο μὲν ἐξεσάωσεν ὑπ’ ἰλύος ἄλλο δ’ ἔνερθεν
Cianee (ovvero «Scure») erano isole roc- macchinazioni della matrigna Ino. Durante la fra «suggerimento, consiglio» e «volon-
ciose, poste all’imboccatura del Bosforo, la fuga Elle cadde nel mare che da lei prese tà, decisione». - οἰοπέδιλον: «con un solo
dette anche Simplegadi, «Cozzanti» (συ- il nome di Ellesponto, mentre Frisso, rag- sandalo»; hapax dal significato trasparen-
μπλήγαδες, cfr. il verbo συμπλήσσω). giunta la Colchide, trovò ospitalità presso te (οἶος e πέδιλον). Pindaro, trattando lo
Secondo la leggenda, esse cozzavano le il re Eeta, e in segno di riconoscenza, sa- stesso mito, preferisce μονοκρήπις: Piti-
une contro le altre, stritolando le imbar- crificò a Zeus il montone dal vello d’oro ca IV 73-75: ἦλθε δέ οἱ κρυόεν πυκινῷ
cazioni che vi si fossero avventurate. La cui doveva la propria salvezza. - Ἀργώ: μάντευμα θυμῷ/ (...) τὸν μονοκρήπιδα
nave Argo fu la prima ad attraversarle in- il nome della nave deriva da Argo, il suo πάντως/ ἐν φυλακᾷ σχεθέμεν μεγάλα
colume e da allora in poi le Simplegadi si costruttore. Uno scolio cita una diversa «e un oracolo venne ad agghiacciare a lui
fermarono definitivamente, consentendo tradizione, risalente a Ferecide, secondo la (sc. Pelia) il cuore sagace (…): guardarsi
l’accesso al Ponto Eusino. Si veda anche quale deriverebbe dal nome di un figlio di bene dall’uomo con un solo calzare». Al-
Epica storica e didascalica: Apollonio
Euripide, Medea 1-2: Εἴθ᾽ ὤφελ᾽ Ἀργοῦς Frisso. trove Giasone è definito μονοσάνδαλος
μὴ διαπτάσθαι σκάφος/ Κόλχων ἐς (Apollodoro, I 9,16), μονοπέδιλος (scolio
αἶαν κυανέας Συμπληγάδας «Oh, se la 5 Τοίην ... ἔκλυεν: «Infatti Pelia aveva a Licofrone 127).
nave Argo non fosse mai volata attraverso udito un tale oracolo». - φάτιν: il termi-
le cupe Simplegadi, fino alla terra dei Col- ne φάτις (dalla radice φα- di φημί) è qui 8 τεὴν κατὰ βάξιν: «secondo la tua
chi!». - ἐφημοσύνη: (ἐφίημι) termine già impiegato nel senso di «voce che interpre- profezia». Il poeta continua a rivolgersi
omerico e d’uso prevalentemente poetico: ta il volere divino, oracolo», un’accezione direttamente ad Apollo usando la seconda
«ingiunzione, ordine». - Πελίαο: genitivo estranea all’uso omerico, che si riscontra persona (così come al v. 1 σέο), dimostran-
epico di Πελίας (o Πελίης, v. 5, forma io- a partire dai tragici (es. Sofocle, Edipo Re do nei suoi confronti un atteggiamento di
nica). Pelia, figlio di Poseidone e di Tiro, 1440: Ἀλλ᾽ ἥ γ᾽ ἐκείνου πᾶσ᾽ ἐδηλώθη confidente familiarità e sottolineando l’in-
diviene re di Iolco, in Tessaglia, dopo aver φάτις «ma la sua parola è stata resa nota a tima connessione fra il dio e la spedizione
usurpato il potere al fratellastro Esone, pa- tutti», con allusione al responso di Apollo). oggetto del canto. - βάξιν: «voce, parola»
dre di Giasone. Cerca quindi di sbarazzarsi (dall’onomatopeico βάζω), spesso nel si-
di Giasone, individuato da un oracolo come 5-7 ὥς ... δαμῆναι: «che in futuro lo gnificato di «responso, oracolo». È ter-
una minaccia per il suo potere, imponendo- attenda un destino orribile, che egli sa- mine non omerico, attestato nella lirica e
gli un’impresa pressoché impossibile: re- rebbe morto per le trame di quell’uomo tra soprattutto nella tragedia, d’uso frequente
carsi nella Colchide per recuperare il vello i suoi sudditi che avesse visto con un solo in Apollonio.
d’oro. sandalo». - μιν: αὐτόν. - δημόθεν: avver-
bio composto da δῆμος e il suffisso -θεν 9 χειμερίοιο ... Ἀναύρου: l’Anauro è
4 χρύσειον ... Ἀργώ: «spinsero verso il della provenienza. - ὑπ᾽ ἐννεσίησι: di un fiume a carattere torrentizio della Tes-
vello d’oro Argo ben costruita». - χρύσειον uso esclusivamente epico, impiegato solo saglia, che scorre presso Iolco e sfocia nel
μετὰ κῶας: il termine κῶας sta ad indica- al plurale, il sostantivo (etimologicamente Golfo di Pagase.
re il vello d’oro già in Mimnermo, fr. 11, 1 connesso col verbo ἐνίημι), presente già in
West. Si tratta del vello del montone invia- Omero e in Esiodo, gode di particolare for- 10-11 ἄλλο μὲν ... προχοῆσιν: «riu-
to da Zeus a Frisso, perché, insieme con la tuna in età tarda, soprattutto in Apollonio e scì a salvare dal fango un sandalo, l’altro lo
sorella Elle, potesse mettersi in salvo dalle in Quinto Smirneo. Il suo significato oscil- lasciò sul fondo, in balia della corrente». -
IL PROEMIO 29
κάλλιπεν αὖθι πέδιλον ἐνισχόμενον προχοῇσιν·
ἵκετο δ’ ἐς Πελίην αὐτοσχεδόν, ἀντιβολήσων
εἰλαπίνης ἣν πατρὶ Ποσειδάωνι καὶ ἄλλοις
ῥέζε θεοῖς, Ἥρης δὲ Πελασγίδος οὐκ ἀλέγιζεν·
15 αἶψα δὲ τόνγ’ ἐσιδὼν ἐφράσσατο, καί οἱ ἄεθλον
ἔντυε ναυτιλίης πολυκηδέος, ὄφρ’ ἐνὶ πόντῳ
ἠὲ καὶ ἀλλοδαποῖσι μετ’ ἀνδράσι νόστον ὀλέσσῃ.
Νῆα μὲν οὖν οἱ πρόσθεν ἔτι κλείουσιν ἀοιδοί
Ἄργον Ἀθηναίης καμέειν ὑποθημοσύνῃσι·
ἐξεσάωσεν: aoristo da ἐκσαόω, forma si curò di Era Pelasgica». La dea Era vie- gnificato attivo, come nel presente conte-
epica di ἐκσῴζω. - κάλλιπεν: sta per ne definita «Pelasgica», perché oggetto sto, sia nel senso passivo «che prova mol-
κατέλιπεν, aoristo di καταλείπω, con di culto particolare nella Pelasgiotide, ti dolori», come in IV, 1073. - ὄφρ(α):
apocope e assimilazione. Non è da esclu- una regione della Tessaglia. Fin dalla connesso con ὀλέσσῃ del verso succes-
dere che Apollonio abbia qui presente il tradizione omerica Era è presentata co- sivo, introduce la proposizione finale;
fr. 5 West di Archiloco (il famoso fram- me protettrice di Giasone: in particolare il mancato uso dell’ottativo obliquo in
mento dello scudo), vv. 1-3: ἀσπίδι μὲν aiuta l’eroe ad attraversare le Simplegadi dipendenza da tempo storico (ἔντυε) è
Σαΐων τις ἀγάλλεται, ἣν παρὰ θάμνῳ,/ (Odissea XII, vv. 71-72: καί νύ κε τὴν fenomeno consueto in Apollonio.
20-21 νῦν ... ἡρώων: «ora io vorrei del mito della costruzione della nave 22 Μοῦσαι ... ἀοιδῆς: «le Muse siano
ricordare la stirpe e il nome degli eroi». Argo, un tema diffuso nell’epica arcaica ministre del canto». - ὑποφήτορες: l’ag-
- ἐγώ: il pronome di prima persona è in nei confronti del quale il poeta ostenta in- gettivo, carico di una chiara connotazione
forte contrapposizione con οἱ πρόσθεν differenza. - οὔνομα: forma ionica, usata sacrale, implica un rovesciamento rivolu-
ἀοιδοί del v. 18. Apollonio rifiuta il ca- in poesia, per ὄνομα. - δολιχῆς τε πό- zionario nel rapporto fra il poeta e le Muse:
none omerico dell’impersonalità, ponen- ρους ἁλός: «le lunghe distese di mare». le divinità risultano in posizione di subor-
do in rilievo, in modo polemico, il pro- L’aggettivo δολιχῆς è riferito in enallage dine (ὑπό) rispetto l’autonoma scelta crea-
prio ruolo di narratore. In questa prospet- ad ἁλός, ma è logicamente connesso con trice del poeta.
tiva si colloca la recusatio nei confronti πόρους.
un sunto veloce degli antefatti e destinato a mettere a fuoco (Ἄνδρα μοι ἔννεπε) perché anche al cantore che nel presen-
il contrasto fra Pelia e Giasone. In effetti Apollo viene a con- te la invocava concedesse qualcosa della propria onniscienza
figurarsi come uno spettatore privilegiato dell’azione che va (εἰπὲ καὶ ἡμῖν 10 «di’ anche a noi»), e dunque trasmetteva il
cominciando, evocato come partecipe del mondo degli eroi «di senso di una continuità fra le generazioni degli aedi, il proemio
antica stirpe» che il poeta intende «ricordare»: una presa di di Apollonio lascia trasparire un uso meramente strumentale
contatto che corrisponde, nella chiusa del poema, al prendere delle Muse, come figure dei testi del passato.
T. 2 Eracle e Ila Seguendo il modello omerico del «cartalogo delle navi» (Iliade II 484-877), pri-
ma di iniziare il racconto Apollonio propone un catalogo degli eroi che parteci-
parono alla spedizione: l’intento del poeta ellenistico è però quello di vivacizzare
la narrazione, evitando la ripetizione formulare e presentando i personaggi pro-
gressivamente, nel momento in cui giungono al luogo fissato per l’imbarco, ri-
spondendo all’appello di Giasone. Si fa spesso cenno alle motivazioni che hanno
portato i singoli a partecipare e spesso si ricordano le loro imprese precedenti. Il
lettore si trova quindi di fronte a un ampio panorama di personaggi che nel corso
del poema non avranno più occasione di essere ricordati, o che lo saranno solo
occasionalmente.
ERACLE E ILA 31
Fra i tanti eroi accorsi, spicca Eracle che si presenta con lo scudiero Ila e che
significativamente è presentato nella parte centrale del catalogo, dopo 27 eroi
e prima di altri 27 che seguiranno. Secondo la tradizione accolta da Apollonio,
Eracle si aggregò alla spedizione interrompendo il ciclo delle dodici fatiche, do-
po aver condotto a termine la quinta, ossia la cattura del cinghiale di Erimanto.
Innovazione di Apollonio è la presenza dello scudiero Ila, sottratto al padre da
Eracle nel corso della guerra contro i Driopi.
Proprio la scomparsa di Ila offrirà al poeta l’occasione per sbarazzarsi di Eracle –
il cui eroismo è incompatibile con la temperie dell’impresa guidata da Giasone –,
che si attarderà alla ricerca dello scudiero, rapito da una ninfa delle fonti.
122 Non possiamo dire: l’intervento in nell’impulsività con cui Eracle abbandona 130 per sua scelta: la caratterizzazione
prima persona del narratore interrompe il cinghiale per raggiungere l’impresa – da di Eracle, pur risolta con rapidi tratti, deli-
l’andamento paranarrativo del catalogo, che cui dovrà ben presto staccarsi – contro la nea un eroe portato all’azione e mosso da
è giunto nel suo punto centrale. La centralità volontà di Euristeo, il re dell’Argolide che uno spirito d’iniziativa che lo distingue in
278-291 Il discorso di Alcimede, nel sone, che subisce l’impresa senza personali cessità della rassegnazione.
suo radicale rifiuto dell’impresa, contribu- motivazioni e perciò non è in grado di dare
isce a mettere in rilievo la passività di Gia- risposte e si appella genericamente alla ne- 289 Ilizia: è la dea che presiede al parto.
LA SCELTA DEL CAPO 33
Rimani qui tranquilla in casa, con le tue ancelle,
304 e non venire alla nave: saresti un tristissimo augurio.
Là mi faranno da scorta, nel mio cammino, i servi e gli amici».
[Tr. di G. Paduano]
T. 4 La scelta In prossimità della partenza della spedizione si svolge la prima scena di as-
del capo semblea del poema, nella quale Giasone sollecita i compagni a individuare il
capo della spedizione: nel suo discorso l’eroe insiste sul carattere comunitario
dell’impresa e vuole che sia il gruppo a decidere. Tutti allora rivolgono lo sguar-
do a Eracle, considerato concordemente come il comandante naturale, ma l’eroe
non acconsente alla richiesta, e con una perentorietà che non ammette repliche
impone che a guidare la spedizione sia colui che l’ha convocata: toccherà quindi
a Giasone assumersi l’incarico.
T. 5 La partenza Giunto il momento solenne della partenza, il varo della nave Argo è accompagnato
degli Argonauti da prodigi (il grido terribile del porto di Pagase e il grido di Argo stessa che incita
alla partenza) e dal compiacimento degli dei, che appoggiano in modo unanime
la spedizione. Gli Argonauti raggiungono il porto accompagnati da una folla fe-
Epica storica e didascalica: Apollonio
stante: il passo è scandito dal succedersi di temi tipici della percezione visiva, con
insistenza sugli elementi di rappresentazione di luce e colore. Al quadro di entu-
siasmo generale e di festa sembra sottrarsi il solo Giasone, che è rappresentato in
lacrime, a sfogo patetico di una debolezza che rimarca ancora una volta lo scarso
convincimento del giovane e la sua mancanza di motivazioni. Il passo si chiude con
la sorridente scenetta familiare del centauro Chirone, giunto al molo insieme con
la moglie, la quale porta in braccio il piccolo Achille e lo mostra al padre Peleo.
519-521 Il paesaggio è qui visto con gli fissità formulare dell’epica omerica. est della Tessaglia, nei pressi del golfo di
occhi di Aurora, in una rappresentazione Pagase.
dell’alba che costituisce una delle frequenti 520 Pelio: la nave Argo è stata costruita
“variazioni sul tema” che contrasta con la con legname del Pelio, un monte nel sud 522 Tifi: il timoniere di Argo.
LA PARTENZA DEGLI ARGONAUTI 35
Diedero un grido terribile il porto di Pagase ed Argo
525 stessa, figlia del Pelio, che li incitava a partire.
Era in essa una trave sacra che Atena ricavò da una quercia
di Dodona, e la collocò nel mezzo della carena.
Gli eroi, saliti sui banchi in fila, gli uni dopo gli altri,
come prima avevano tratto a sorte, sedettero,
530 ciascuno al suo posto in ordine, con accanto le armi.
Nel mezzo sedettero Anceo ed il fortissimo Eracle,
che accanto a sé dispose la clava: sotto i suoi piedi
si abbassò la chiglia. E già venivano ritirate le gomene,
e si versava sul mare la libagione di vino,
535 e Giasone piangendo staccava gli occhi dalla sua terra.
Come i giovani a Pito, a Ortigia, o presso le acque
del fiume Ismeno, formano cori in onore di Apollo,
e dinanzi all’altare tutti insieme percuotono il suolo,
seguendo il ritmo della cetra con i rapidi piedi,
540 così al suono della lira d’Orfeo gli eroi battevano coi loro remi
l’acqua impetuosa del mare, e s’infrangevano i flutti.
Da ambo le parti l’onda nera si gonfiava di spuma,
terribilmente fremendo sotto la forza degli uomini.
Brillavano come fiamme le armi al sole, mentre la nave
545 procedeva, e biancheggiava sempre la lunga scia dietro a loro,
come spicca un sentiero in mezzo alla verde pianura.
Tutti gli dei quel giorno, dall’ alto del cielo, guardavano
la nave e la stirpe dei semi dei che con grande coraggio
percorrevano il mare. Sopra le vette del Pelio,
550 le Ninfe stupivano, guardando l’opera di Atena Itonide,
e gli eroi che nelle loro mani tenevano i remi.
526 una trave sacra: Apollonio inseri- accordo al carattere onnicomprensivo del armi splendenti al sole sia presente solo in
sce un elemento tradizionale, cioè l’inse- suo poema» (G. Paduano). questo momento inaugurale rientra nella
rimento nella nave di questa trave parlan- tecnica consueta per cui un elemento abi-
te, ricavata da una quercia di Dodona in 537 Ismeno: fiume della Beozia, sulle tuale nell’azione viene rappresentato solo
Epiro, sede di un importante oracolo di cui rive sorgeva un santuario dedicato al alla sua prima comparsa» (G. Paduano).
Zeus. culto di Apollo.
550 Itonide: così detta dalla città di Ito-
533 si abbassò la chiglia: Apollonio al- 540 Orfeo: mitico cantore, figlio della ne, in Tessaglia.
lude a una variante mitologica, da lui scar- Musa Calliope.
tata, secondo la quale la nave Argo si sa- 552 Chirone: saggio centauro, figlio di
rebbe rifiutata di sopportare il peso ecces- 542-546 D’ambo le parti… alla verde Crono e della ninfa Filira, cui è affidata
sivo di Eracle: le motivazioni che portano pianura: si tratta di una delle rare descri- l’educazione di Achille, dopo che Teti ha
ad allontanare Eracle dalla spedizione sono zioni del mare che compaiono nel poema, abbandonato la casa di Peleo. La presenza
nelle Argonautiche più complesse, «ciono- che è rappresentato con immagini di colore di Chirone e di Achille bambino consente di
nostante, il poeta doctus inserisce ugual- associate a effetti sonori. «Che l’immagi- collocare la spedizione degli Argonauti una
mente un rimando alla versione scartata, in ne della spuma sollevata dalla nave e delle ventina d’anni prima della guerra di Troia.
36 ARGONAUTICHE
augurando loro un ritorno senza sventure.
Accanto a lui, la moglie teneva in braccio il piccolo Achille,
il figlio di Peleo, e lo mostrava a suo padre.
[Tr. di G. Paduano]
T. 6 Due volte ospiti Prima tappa della spedizione degli Argonauti è l’isola di Lemno, abitata da
dei Dolioni: sole donne, che hanno ucciso gli uomini per punirli della loro infedeltà: qui
la strage gli eroi sono accolti ospitalmente e si trattengono per un anno, formando
nuove famiglie, secondo il volere divino che l’isola sia ripopolata proprio
grazie alla sosta degli Argonauti. La regina Ipsipile intrattiene con Giasone
una relazione amorosa e la sosta si protrarrebbe a tempo indeterminato, se
non intervenisse Eracle, che richiama bruscamente i compagni al loro dovere
ed essi, pur malvolentieri, si vedono costretti a ripartire. La tappa successiva
è Cizico, nella Propontide, una città abitata dalla popolazione dei Dolioni,
guidati dal giovane re Cizico: gli Argonauti sono accolti amichevolmente e
combattono a fianco dei Dolioni, riuscendo a sconfiggere i loro nemici Gi-
ganti.
Poi riprendono il mare, ma per un capriccio del destino nella notte i venti ripor-
tano indietro Argo e gli eroi tornano ad approdare a Cizico senza riconoscerla
e a loro volta, nel buio, non sono riconosciuti dai Dolioni, con cui ingaggiano
una furiosa battaglia. Il risultato sarà una orrenda strage, nella quale morirà lo
stesso re Cizico, portando con sé nella morte anche la recente sposa Clite, che si
suiciderà per il dolore.
Argonautiche Per tutto il giorno Argo corse con le sue vele ma, giunta
I 1015-1077 la notte, il vento cessò e le tempeste contrarie
li riportarono indietro, così che di nuovo
Epica storica e didascalica: Apollonio
1039-1050 nella battaglia con loro ... 1053-1056 All’alba gli uni e ... e nella pol- si ritroveranno maggiormente dettagliati a
in stormo dai falchi veloci: stilema tipico vere: il giovane re Cizico ha posto di rilievo proposito dei funerali di Idmone (vedi T.
del racconto delle battaglie è il catalo- anche nella scena patetica del riconoscimen- 8). Alla tomba del sovrano è collegato il
go degli uccisori e degli uccisi, condot- to all’alba dei cadaveri caduti sul terreno. primo di una serie di tre aitia.
to da Apollonio in modo sobrio e senza
quell’abbondanza di particolari realistici 1057-1062 Piansero e si strapparono ... 1063-1069 La sposa, Clite, ... il nome
che sono frequenti in Omero. In questo genti future vedranno: il rito funebre del re della sventurata: il suicidio della regina
contesto si traduce in una rappresentazio- contiene elementi caratteristici della tradi- Clite è collegato con un aition sull’origine
ne amara. zione (es. il riferimento al numero tre) che del nome di una fontana.
38 ARGONAUTICHE
Non si presero cura di macinare il frumento:
vivevano mangiando solo cibi non cotti.
1075 E là ancor oggi, gli Ioni che abitano Cizico,
quando ogni anno versano la libagione dei morti,
usano per le sacre focacce la mola comune.
[Tr. di G. Paduano]
1073-1077 Non si presero cura di ... la prassi degli Ioni abitanti a Cizico, di non dopo un giorno di digiuno, rispettando
mola comune: il terzo aition riguarda la mangiare cibi cotti per un certo periodo, l’evento mitico occorso ai Dolioni.
T. 7 Il rapimento Sbarcati gli Argonauti in Misia, presso la foce del fiume Cio, Eracle si allontana
di Ila inoltrandosi nella selva per cercare un albero da cui ricavare un remo. Il suo
giovane scudiero Ila si allontana per attingere acqua, ma giunto alla fonte vie-
ne trascinato nel gorgo da una
ninfa, folgorata da subitanea
passione per la bellezza del ra-
gazzo. L’urlo emesso della vitti-
ma mentre sprofonda viene udi-
to da Polifemo, che avventatosi
alla ricerca del ragazzo, si im-
batte in Eracle cui dà la cattiva
1207 Intanto, Ila aveva lasciato i com- chide». Allontanarsi dal campo per prende- 1221-1229 Al contrario di quanto av-
pagni: è la prima volta nel poema, osserva re acqua era tipico dei giovinetti adibiti a viene in Teocrito, dove il rapimento di Ila
Paduano, che la linearità dell’azione «si ruolo di scudieri. si consuma in un paesaggio bucolico, in
scompone per narrare due azioni simulta- Apollonio lo sfondo in cui è collocato il
nee, tecnica che Apollonio utilizzerà siste- 1215 Driopi: popolazione della Focide, ratto di Ila è una festa delle ninfe in onore
maticamente nell’episodio centrale in Col- che abitava presso il monte Parnaso. di Artemide.
40 ARGONAUTICHE
1235 la brocca nell’acqua, e l’acqua mormorò forte
invadendo il bronzo sonoro, improvvisamente
lei gli cinse col braccio sinistro il collo, nel desiderio
di baciare la tenera bocca, e con la destra
lo tirò per il gomito e lo immerse nel mezzo del vortice.
1240 Diede un grido, e uno soltanto lo udì tra i compagni,
Polifemo, figlio di Elato, che si era spinto in avanti,
aspettando che ritornasse il fortissimo Eracle.
D’un balzo fu presso alle Sorgenti, come la fiera selvaggia,
cui da lontano è arrivata una voce di greggi,
1245 e ardente di fame si mette in cammino, ma non ritrova le pecore
(i pastori le hanno chiuse a tempo dentro la stalla),
e geme e urla terribilmente, fino a trovarsi sfinita;
così gemeva allora il figlio di Elato, e percorreva
la regione gridando, ma la sua voce era vana.
1250 Poi, sguainata la grande spada, prese a cercarlo,
che non fosse stato preda di belve, o, solo com’era,
gli avessero teso un agguato, e fosse stato rapito,
facile preda. E mentre brandiva la spada
nuda, ecco che trovò Eracle sul suo cammino,
1255 e lo riconobbe, mentre nel buio si affrettava alla nave.
Senza fiato, sconvolto nel cuore, gli diede la triste notizia:
«Infelice, io per primo ti darò un dolore terribile.
Ila è andato alla fonte, e non ritorna
salvo: o lo hanno rapito i briganti, o lo sbranano
1260 le fiere: io ho sentito il suo grido».
Così disse, e all’udirlo, colava copioso sudore
dalle tempie di Eracle, e nero sangue bolliva nelle sue viscere.
Epica storica e didascalica: Apollonio
1253-1260 A Polifemo, che è figura in- spazio notevole, sia nell’esposizione indi- giovinetto, sia nel discorso diretto rivolto a
termediaria fra Eracle e Ila, è riservato uno retta delle sue ipotesi sulla scomparsa del Eracle.
IL RAPIMENTO DI ILA 41
e raccolsero tosto le gomene. In mezzo le vele
erano curvate dal vento, e gli eroi lieti s’allontanavano
dalla spiaggia, e costeggiavano il capo di Posidone.
1280 Quando nel cielo lampeggia la splendida Aurora,
salendo dall’orizzonte, e i sentieri s’illuminano,
e brillano i prati rugiadosi alla limpida luce,
allora s’accorsero di quelli che avevano, senza pensarci, lasciato.
Cadde tra loro una dura contesa, un litigio
1285 immenso all’idea di avere abbandonato partendo
l’eroe più grande: Giasone, in preda al dolore e all’angoscia,
né per gli uni, né per gli altri diceva una sola parola;
stava seduto, oppresso da pena profonda,
rodendosi. Ma Telamone fu preso dall’ira, e gli disse:
1290 «Così tranquillo tu stai, perché a te conviene
abbandonare l’eroe, e da te è nato il disegno,
perché la sua gloria non oscuri la tua per tutta la Grecia,
se gli dèi ci concedono di ritornare alla patria.
Ma che serve parlare? Io andrò là, a dispetto dei tuoi compagni,
1295 che insieme a te hanno ordito questo spregevole inganno».
Così disse, e si gettò addosso a Tifi, figlio di Agnia;
i suoi occhi brillavano come la fiamma del fuoco vorace.
E sarebbero tornati indietro, verso la terra dei Misi,
forzando il mare e la bufera incessante dei venti,
1300 Se i due figli di Borea, Zete e Calais, non fermavano
Telamone con aspre parole: infelici,
li aspettava un ben duro castigo, per mano
dell’eroe che impedirono di ricercare. Mentre tornavano
dai giochi in morte di Pelia, li uccise
1284-1289 «Secondo uno schema co- una diserzione, come in Teocrito (XII 73), diplomatico il secondo.
stante in Apollonio, una discussione col- l’altra che ritenesse l’abbandono frutto di
lettiva viene condensata sullo sfondo, per un complotto, come sosterrà Telamone» 1298 terra dei Misi: la Misia è una regio-
far risaltare una scena dialogata a due, con (G. Paduano). ne dell’Asia Minore.
contrasto polare di visioni del mondo. Per-
ciò non sono chiarite le posizioni che si 1290-1297 Il contrasto mette a nudo le 1310 Glauco: pescatore beota che, avendo
contrappongono in questo litigio di gruppo: diverse personalità di Telamone e Giasone: mangiato un’erba prodigiosa, si trasformò in
si può supporre che una parte pensasse a impulsivo e violento il primo, riflessivo e una divinità marina dotata di profezia.
42 ARGONAUTICHE
1315 «Perché contro il volere di Zeus volete condurre
il forte Eracle alla terra di Eeta?
È suo destino portare a termine in Argo,
per il profitto del superbo Euristeo,
tutte le dodici imprese, e poi abitare con gli immortali,
1320 quando avrà compiuto poche altre cose. No, non abbiate rimpianto.
E Polifemo è destinato a fondare alle foci del Cio,
nella Misia, un’illustre città, e a terminare
i suoi giorni nell’immenso paese dei Calibi.
Di Ila si è innamorata una ninfa, e l’ha fatto suo sposo.
1325 Per lui gli altri errarono e furono abbandonati».
Disse, e s’inabissò nel profondo, tra i flutti impetuosi,
e attorno a lui spumeggiava l’acqua scura agitata dai vortici,
e attraverso il mare batteva la concava nave.
Furono lieti gli eroi: e Telamone corse
1330 con grande slancio da Giasone, e gli prese la mano
nella sua mano, e gli disse abbracciandolo:
«Non essere irato con me, figlio di Esone, se mi sono lasciato accecare
dalla stoltezza. Ma il grande dolore mi ha spinto a parole
superbe e oltraggiose. Disperdiamo nel vento la colpa,
1335 e torniamo ad essere amici, come eravamo in passato».
E il figlio di Esone così saggiamente rispose:
«Mio caro, certo tu m’hai recato terribile offesa,
davanti a tutti, accusandomi d’avere tradito l’eroe.
Ma, pure afflitto, verso di te non voglio serbare
1340 un amaro rancore, ché fosti preso dall’ira
non per ricchezze o bestiame, ma per un amico.
E spero che anche in difesa di me contro un altro
Epica storica e didascalica: Apollonio
1323 Calibi: nel corso del viaggio di andata gli Argonauti attraccheranno anche nel paese dei Calibi, che
verranno descritti in II 1000-1008:
Sono uomini che non si curano di arare coi buoi, non coltivano
i dolci frutti negli orti, non portano al pascolo
le bestie sui prati bagnati dalla rugiada,
ma aprono il duro terreno che produce ferro
e vendono il ferro e ne traggono i mezzi di vita.
Non sorge per loro un’alba senza fatica, e sopportano
il duro lavoro in mezzo al fumo e alla fuliggine.
[Tr. di G. Paduano]
LA MORTE DI IDMONE E TIFI 43
E quelli scelsero i primi giovani del loro popolo
e glieli diedero in pegno, prestandogli giuramento
che non si sarebbero mai stancati di ricercarlo.
Per questo ancora oggi i Ciani vanno in cerca di Ila,
1355 figlio di Teodamante, e si prendono cura di Trachis,
perché proprio là Eracle stabilì la sede dei giovani
che gli avevano dato da condurre con sé come ostaggi.
Il vento soffiava impetuoso, e per tutto il giorno e la notte
spinse la nave, ma non spirava più un alito
1360 quando venne l’aurora. Videro un ampio
lembo di terra che sporgeva dal golfo,
e ramando approdarono al levarsi del sole.
[Tr. di G. Paduano]
T. 8 La morte Penetrati nel Ponte Eusino, cioè nel Mar Nero, gli Argonauti giungono nella terra
di Idmone e Tifi dei Mariandini il cui re, Lico, li accoglie in modo ospitale, invitandoli a un ban-
chetto, durante il quale si fa narrare le loro straordinarie avventure. Dopo che
gli eroi sono congedati dal re, lungo la strada che porta alla nave, un cinghiale
infuriato esce da una palude folta di canneti e uccide l’indovino Idmone, che fin
816 Idmone: alla morte dell’indovino prevedere la propria morte non impedisce in cui l’indovino, dopo aver litigato con il
Idmone è dato ampio rilievo, come rap- il compimento del destino, che si realizza compagno Ida, si stava recando da solo alla
presentazione del potere della casualità: il in forma imprevedibile, in un momento nave.
44 ARGONAUTICHE
Giaceva in una palude del fiume ricco di canne,
e rinfrescava nell’acqua i fianchi e il vastissimo ventre,
820 un cinghiale dalle zanne bianche, un mostro che terrorizzava
anche le Ninfe dell’acqua. Nessuno sapeva
che c’era: viveva da solo nella vasta palude.
Il figlio di Abante camminava sopra un rialto
del fiume fangoso: la belva balzò dal canneto
825 improvvisa e lo azzannò sulla coscia, violentemente,
e recise nel mezzo i nervi insieme con l’osso.
Lanciò un grido acutissimo e cadde per terra. Gridarono
i compagni affollandosi attorno a lui, e subito Peleo
scagliò l’asta contro la fiera che fuggiva nella palude.
830 Ma si voltò e gli balzò addosso; allora Ida
lo colpì e il cinghiale cadde urlando sulla rapida lancia.
Lo lasciarono a terra nel punto dov’era caduto,
e tristemente portarono Idmone dalla nave
agonizzante: spirò tra le braccia dei suoi compagni.
835 Non poterono dunque pensare a riprendere il viaggio
e restarono, afflitti, a rendere al morto gli onori dovuti.
Lo piansero tre giorni interi, e poi all’indomani
lo seppellirono con grande pompa; al rito presero parte
837 Lo piansero per tre giorni interi: la giorni interi», in riferimento al compianto esempio, nel contesto dei funerali di Patro-
stessa espressione si trova in I 1057 ἥματα per la morte di Cizico, il re dei Dolioni. Nel clo: Iliade XXIII 13 «essi tre volte intorno
δὲ τρία πάντα γόων τίλλοντό τε χαίτας compianto funebre il numero tre ha valore al morto condussero attorno i cavalli dalle
«piansero e si strapparono i capelli per tre rituale, risalente alla tradizione omerica (ad belle criniere»).
Epica storica e didascalica: Apollonio
parole chiav e
φάλαγξ, un cilindro da nave come stele funeraria
Il rullo (φάλαγξ) è un attrezzo cilindrico che veniva Il tumulo sepolcrale era in genere ornato con una stele
utilizzato al momento varo, per far scendere in mare la (in genere un palo sorretto da due pietre), qui costituita
nave: era stato utilizzato per far navigare Argo, come dal rullo cilindrico, attrezzo emblematico dell’impresa de-
viene narrato in I 374-77: gli Argonauti. Un procedimento analogo è testimoniato in
Odissea XII 14-15, nel racconto della sepoltura di Elpenore:
procedendo scavavano sempre più nel profondo
al di sotto della carena, e nel canale disposero elevato un tumulo e trattavi sopra una stele,
tronchi rotondi, politi, e verso i primi inclinarono figgemmo il maneggevole remo sulla cima del
Argo in avanti, perché scivolasse sopra di essi. [tumulo.
[Tr. di G. Paduano] [Tr. di A. Privitera]
LA MORTE DI IDMONE E TIFI 45
il popolo col suo sovrano, Lico. Sgozzarono innumerevoli
840 pecore, il sacrificio che spetta secondo l’uso ai defunti.
Fu poi innalzato in quella terra il sepolcro dell’eroe,
e sopravvive un segno alla vista dei posteri,
un rullo d’olivo selvaggio, quali si usano per varare le navi,
fiorente di fronde, poco sotto la vetta del Capo d’Acherusio.
845 E se, guidato dalle Muse, devo dirlo con piena franchezza,
Febo ordinò chiaramente ai Beoti e ai Nisei
di onorare Idmone come loro patrono,
e attorno all’olivo selvaggio fondare
la loro città; ma quelli, al posto del pio nipote
850 di Eolo, onorano invece ancor oggi Agamestore.
Chi altro tra loro morì? Perché un’altra tomba
gli eroi dovettero dare a un loro compagno:
infatti due sepolcri ancor oggi si vedono.
Si dice che morì allora Tifi figlio di Agnia: non era nel suo destino
855 portare più oltre la nave: ma un rapido morbo
lo addormentò lontano dalla sua patria, nel mentre
che i suoi compagni rendevano onore al morto figlio di Abante.
Dopo la prima sventura, fu insopportabile ad essi un nuovo lutto:
quando anche Tifi l’ebbero presto sepolto,
860 caddero in preda all’angoscia di fronte al mare:
avvolti nei loro mantelli, non pensavano più
né a mangiare né a bere; il loro cuore era abbattuto
dalla pena e il ritorno era molto lontano dalle loro speranze.
E ancora più tempo sarebbero stati fermati dalla tristezza,
865 Se Era … ad Anceo: la situazione è e impotenza (ἀμηχανία) che solo un in- Peleo (che svolge la funzione di «supplen-
caratteristica del clima che caratterizza la tervento esterno vale a risolvere: in questo te» alla guida dell’impresa) per avanzare
vicenda narrata da Apollonio: gli Argonau- caso si tratta del coraggio ispirato da Era la propria candidatura a reggere il timone
ti cadono in uno stato totale di prostrazione ad Anceo, il quale a sua volta si rivolgerà a della nave.
Il tumulo, eretto dove ha bruciato il rogo funebre, è costituito da una collina di terra, ornata con una stele,
innalzata in genere su un promontorio o su di un’altura visibile da lontano; non ha la funzione di sepolcro,
Epica storica e didascalica: Apollonio
ma serve per tenere vivo il ricordo del defunto e dei valori che egli incarna anche presso le generazioni
future: tale concezione emerge chiaramente in diversi passi omerici, come ad esempio in Iliade VII 86-91:
In suo onore elevino il tumulo sopra il vasto Ellesponto.
E qualcuno dei posteri dirà, percorrendo
su una nave il mare color del vino:
«Questa è la tomba di un uomo morto in antico,
combattendo da valoroso contro l’illustre Ettore».
Così dirà e la mia gloria sarà immortale.
[Tr. di G. Paduano]
Si tratta di una concezione non esclusivamente eroica, ma ben radicata anche nella tradizione successiva,
come testimonia il fr. 183 K.-A. di Platone comico (che riguarda la tomba di Temistocle):
il tuo tumulo, innalzato in un luogo favorevole,/ da ogni parte sarà un saluto ai viaggiatori per mare,/
che vedrà salpare ed entrare in porto,/ e starà in osservazione quando ci sarà una lotta di navi.
L’INNAMORAMENTO DI MEDEA 47
T. 9 L’innamoramento Era e Atena, preoccupate per la sorte degli Argonauti convincono Afrodite a
di Medea inviare in Colchide Eros, perché faccia innamorare Medea, figlia minore del
re Eeta, di Giàsone.
La fanciulla, esperta di arti magiche, può infatti essere di grande aiuto all’eroe
greco.
Frattanto Giàsone e alcuni compagni, protetti da una nebbia magica procurata
da Era, penetrano nella reggia e chiedono, per bocca di un nipote del re, il vello
d’oro a Eeta.
Questi prima rifiuta seccamente, poi si lascia indurre ad acconsentire alla ri-
chiesta, ma solo a patto che Giàsone superi una prova impossibile: aggiogare
due tori spiranti fuoco e con piedi di bronzo, e con questi arare un terreno,
seminarvi denti di drago e uccidere i guerrieri armati che sarebbero nati. Già-
sone accetta, pur convinto dell’impossibilità di superare l’impresa. Ma, mentre
449 Χαλκιόπη: Calciope è la sorella grande male che è!» (ma si tratta di un uso tornano in mente: non dileguano, impressi
di Medea, dal padre data in sposa a Frisso, più antico, forse già presente in Saffo, fr. nel cuore, il volto e le parole; l’affanno non
da cui aveva avuto quattro figli: Argo, Me- S286, col. 2. 2: δύ᾽ ἔρωτες με). A partire concede alle membra la placida quiete» [tr.
Epica storica e didascalica: Apollonio
lante, Frontide e Citissoro. - χόλον: come dall’età ellenistica si afferma la prosopopea di L. Canali].
emergerà in modo evidente soprattutto nel degli Ἔρωτες, raffigurati come una sorta
libro quarto, l’ira (χόλος, spesso connesso di genietti maligni, che si divertono ad in- 456 πορφύρουσα: dal significato ori-
con gli aggettivi βαρύς o μέγας) è esse- fliggere la sofferenza d’amore; per questo ginario di «agitarsi, muoversi in continua-
re atteggiamento tipico di Eeta, che già in topos si veda ad esempio Asclepiade, A.P. zione», riferito al mare (Iliade XIV 16: ὡς
Odissea X 127 era definito ὀλοόφρων, XII 46 2-3 «O Amori, che cos’è questo δ᾽ ὅτε πορφύρῃ πέλαγος) e poi figurato
«dai pensieri funesti». Del resto, sarà pro- tormento? Perché mi bruciate? E se morte di «essere inquieto», il verbo πορφύρω
prio il timore di Calciope nei confronti del mi colpisce, Amori, che farete?» [tr. di S. passa a quello di «meditare, ponderare» e
padre e la conseguente apprensione per i Quasimodo]. poi ancora «arrossire» o «rendere rosso».
propri figli ad avere un ruolo decisivo nello Nel nostro passo è normalmente interpreta-
svolgimento della vicenda. 454 φάρεσιν: φᾶρος indica un ampio to nel senso di «meditare, ponderare», ma
pezzo di stoffa, utilizzato di volta in volta non vi si può escludere una sfumatura d’in-
452 ὥρμαιν(ε): l’uso dell’imperfetto, per vele, mantelli o anche lenzuola (in par- quietudine.
con valore durativo, sottolinea il prolungar- ticolare funebri, come la tela di Penelope:
si della meditazione di Medea. L’espres- Odissea, II 97-99 φᾶρος ... Λαέρτῃ ἤροι 457-458 ὀρώρει: ppf. di ὄρνυμι «de-
sione costituisce una variazione del nesso ταφήϊον). Nel nostro contesto indica, più starsi, levarsi, nascere», spesso riferito a fe-
omerico ταῦθ᾽ ὥρμαινε κατὰ φρένα in generale, il vestiario esterno. - εἷτο: ppf. nomeni naturali, come le tempeste. Il verbo
καὶ κατὰ θυμόν (es. Iliade I 193). Il ver- medio di ἕννυμι, verbo usato quasi esclusi- esprime efficacemente lo stato confusiona-
bo ὁρμαίνω è di uso quasi esclusivamen- vamente nell’epica. Notevole l’imitazione le in cui si trova Medea e la sua condizione
te epico (soprattutto omerico). - ἔρωτες: di questo passo operata da Virgilio, Eneide di vittima della violenza primordiale della
l’uso del plurale implica la rappresentazio- IV 3-5 Multa viri virtus animo multusque passione. - μελίφρονες: «piacevoli come
ne dell’amore nella sua complessa varietà recursat / gentis honos, haerent infixi pec- il miele», da μέλι e φρήν. Si confronti Vir-
di pulsioni, così come in Euripide, Medea tore vultus / verbaque nec placidam mem- gilio, Eneide IV 83: illum absens absentem
330 φεῦ φεῦ, βροτοῖς ἔρωτες ὡς κακὸν bris dat cura quietem «Il grande valore auditque videtque.
μέγα «ahimè, l’amore per i mortali, che dell’eroe, la grande gloria della stirpe le ri-
L’INNAMORAMENTO DI MEDEA 49
Τάρβει δ’ ἀμφ’ αὐτῷ, μή μιν βόες ἠὲ καὶ αὐτός
460 Αἰήτης φθείσειεν· ὀδύρετο δ’ ἠύτε πάμπαν
ἤδη τεθνειῶτα, τέρεν δέ οἱ ἀμφὶ παρειάς
δάκρυον αἰνοτάτῳ ἐλέῳ ῥέε κηδοσύνῃ τε.
Ἦκα δὲ μυρομένη, λιγέως ἀνενείκατο μῦθον·
«Τίπτε με δειλαίην τόδ’ ἔχει ἄχος; Εἴθ’ ὅγε πάντων
465 φθείσεται ἡρώων προφερέστατος εἴτε χερείων,
ἐρρέτω. – Ἦ μὲν ὄφελλεν ἀκήριος ἐξαλέασθαι. –
Ναὶ δὴ τοῦτό γε πότνα θεὰ Περσηῒ πέλοιτο,
οἴκαδε νοστήσειε φυγὼν μόρον· εἰ δέ μιν αἶσα
δμηθῆναι ὑπὸ βουσί, τόδε προπάροιθε δαείη,
459 τάρβει: da ταρβέω, verbum ti- ne dell’espressione omerica ἁδινῶς ἀνε- morte» [tr. di G. Paduano]; si veda anche
mendi, costruito con μή e ottativo obliquo νείκατο φώνησέν τε (Iliade XIX 314). Archiloco, il famoso frammento dell’ab-
T. 10 Il sogno I sentimenti di Medea si chiariscono nel sogno e nel monologo che segue il risve-
di Medea glio. In un incubo le sembrava che Giàsone affrontasse la prova non per ottenere
la magica pelle, ma per avere lei come legittima sposa e vedeva se stessa mentre
affrontava i tori infuocati al posto di Giàsone, ma Eeta contestava l’esito della
prova e le due parti in gara si rimettevano al suo giudizio. Nel momento in cui
Medea sta per abbandonare senza esitazione i genitori per seguire lo straniero,
il sogno s’interrompe e la fanciulla riconosce finalmente, in un angoscioso mo-
nologo, il proprio sentimento («Palpita per lo straniero il mio cuore»). Poi, com-
battuta tra il pudore di vergine e il desiderio amoroso, tenta per tre volte invano
di recarsi nella stanza della sorella Calciope. Stremata s’accascia sul letto simile
a una giovane vedova che ha perduto lo sposo prima di godersi il primo incontro
amoroso. Finalmente la scorge un’ancella, che avverte la sorella maggiore Cal-
ciope. «Apollonio solleva con geniale arditezza un velo sull’inconscio: freudiani
presagi rispondono ai desideri non confessati e li scoprono. L’accavallarsi del-
le immagini oniriche ha carattere d’incubo; corre in esso il filo d’Arianna della
passione. Al risveglio, smarrita paura, e il pudor e la resistenza della verginità.
L’equilibrio vacilla, nell’incomposta smania d’azione» (F. Pontani).
IL SOGNO DI MEDEA 51
Argonautiche Un sonno profondo riposava dai suoi dolori
III 616-668 Medea, distesa sul letto. Ma la turbavano sogni terribili,
ingannatori, come succede a chi è in preda all’angoscia.
Le sembrava che lo straniero affrontasse la prova
620 non per il desiderio di portar via il vello d’oro,
che non per questo fosse venuto alla reggia
di Eeta, ma per portarla nella sua casa
come legittima sposa. E vedeva se stessa
lottare coi tori e sconfiggerli agevolmente;
625 ma i suoi genitori mancavano alla promessa,
dicendo che non a lei avevano dato l’incarico
di aggiogare i tori, e tra gli stranieri e suo padre
sorgeva una lite insanabile. Entrambe le parti
si rimettevano a lei: sarebbe stato ciò che sceglieva il suo cuore.
630 E lei sceglieva subito: lasciava i suoi genitori
per lo straniero. Loro, li prese un immenso
dolore e diedero un grido d’ira furente.
Sparve il sonno a quel grido e balzò su tremando
per la paura e guardò intorno i muri della sua stanza:
635 a stento riprese fiato nel petto, e gridò:
«Me infelice, quale terrore mi ha dato il sogno angoscioso!
Temo che da questo viaggio sorga un’enorme sciagura.
Palpita per lo straniero il mio cuore. Là, nella sua patria lontana,
sposi una donna greca: io devo darmi pensiero
640 della mia vita di vergine, della casa dei miei genitori.
Tuttavia voglio crearmi un cuore che sia pronto a tutto
e non restare più sola, ma tentare, se mai mia sorella
mi chieda aiuto in questo frangente, temendo per i suoi figli.
617 Medea, distesa sul letto: mentre 634 guardò intorno: in greco πάπτη- dore e rispetto, che ricorre anche ai versi 652,
sugli Argonauti vanno addensandosi le mi- νεν, aoristo epico senza aumento di πα- 653 e 659 e, più avanti, ai versi 681-82, asso-
nacce tramate da Eeta, Medea viene visita- πταίνω, che già in Omero «denota l’atto di ciato alla nozione di παρθενίη (è il dialogo
ta da una visione onirica, che la indurrà alla rivolgere lo sguardo da ogni parte con oc- fra Medea e la sorella): «così disse, e le sue
decisione definitiva in favore di Giasone. chi ben aperti, sia per paura, sia per cercare guance arrossirono, la trattenne a lungo il pu-
- sogni terribili: è evidente la reminiscen- qualcosa, sia nell’atteggiamento estatico dore verginale, mentre desiderava risponde-
za di Odissea XIX 516-17 (il momento in del sogno o in quello attento del guerriero» re». È il momento del poema nel quale Apol-
cui Penelope sta per raccontare il proprio (M. Fernández-Galiano). lonio maggiormente sottolinea quest’aspetto
sogno ad Odisseo, nelle vesti di falso men- del carattere di Medea, rappresentata con i
dico) «giaccio nel letto, e intorno al cuore 649 trattenuta dalla vergogna: è da rileva- tratti delicati di una vergine, nella quale an-
oppresso, fitte e acute ansie mi straziano in re, in questo passo, la particolare insistenza cora non si intravedono gli aspetti sinistri e
lacrime» [tr. di A. Privitera]. su αἰδώς, un concetto misto di vergogna, pu- torbidi del suo potere di maga.
52 ARGONAUTICHE
rientrò inutilmente i piedi la portavano avanti e indietro.
Quando avanzava, la vergogna la teneva ferma là dentro;
trattenuta dalla vergogna, la spingeva il desiderio possente.
Per tre volte tentò, e si fermò per tre volte. Alla quarta
655 si sentì mancare, e cadde prona sul letto.
Come una giovane sposa piange nella stanza nuziale
lo splendido sposo a cui l’hanno data i genitori e i fratelli,
654 Per tre volte … per tre volte: la fra- Apollonio, nella descrizione dell’agonia 656-657 Come una giovane sposa … i
se riprende allusivamente – in un diverso di Didone: Eneide IV 690-691 «tre volte genitori e i fratelli: la splendida similitudi-
contesto – una struttura tipicamente ome- poggiando sul gomito tentò di sollevarsi; ne accresce il pathos e la tensione: Medea,
rica, in cui la ripetizione del numero tre ha tre volte s’arrovesciò sul giaciglio» [tr. di fin da ora immaginando la morte dell’ama-
forte pregnanza sacrale: es. Iliade V 436- L. Canali]. Variazioni sul tema in Ovidio, to, associa la propria condizione a quella
438 «tre volte si scagliò, smanioso di uc- Tristia I 3, 55 «tre volte toccai la soglia, di una giovane vedova, che ha perduto lo
cidere, tre volte Apollo gli colpì lo scudo tre volte tornai indietro»; Fasti II 823 «tre sposo prima ancora di poter godere dei pia-
lucente; ma quando si slanciò per la quarta volte tentò di parlare, tre volte desistette, ceri delle nozze. Probabilmente Apollonio
volta…». Virgilio ha imitato il passo di osò la quarta volta». ha presente Iliade XXIII 222-225 «come
esterno, l’accidente fortuito rappresentato dallo sguardo ca- da: sussulta tremante e guarda sgomenta i muri della sua stanza.
suale di un’ancella acquista piuttosto il sapore dell’occasione, È allora il susseguente monologo a percorrere la curva ascenden-
cioè di un incontro e di una sintonia fra il caso e la volontà: te di un nuovo sussulto emozionale, che la conduce dal timore
un caso atteso e preventivato dal personaggio (cfr. vv. 642 ss.) per una sciagura imminente al riconoscimento che il suo cuore
e una volontà che nel suo orientamento più segreto cerca il palpita per lo straniero fino alla decisione (dopo la breve aritmia
modo di cooperare con le ansie di Calciope per la sorte dei dei vv. 639 s.) di crearsi un «cuore canino» (κύνεον κέαρ),
propri figli. disposto al tentativo rischioso (πειρήσομαι 642): un nuovo
vertice che proietta Medea al di là della parola verso un impulso
Medea protagonista a levarsi dal letto e ad aprire la porta, vestita della sola tunica e
Attraverso questa articolazione delle scene, la figlia di Eeta as- a piedi nudi, per recarsi all’istante presso la sorella. Ma ecco che
surge a un ruolo protagonistico che manterrà a lungo (almeno l’onda ricade nuovamente, incurvata da quella vergogna che si
fino all’uccisione di Apsirto nel IV libro) e che, modulandosi erge contro Medea quasi come una muraglia: sul modello dello
nelle fasi del riconoscimento interiore, della peripezia e infi- schema omerico «per tre volte/ ma quando alla quarta volta»,
ne della «catastrofe», prospetta questa vasta partizione del la giovane cerca per tre volte di superarla finché, al successivo
poema non più come un viaggio epico-eziologico fra le acque tentativo, ricade sconfitta, prona su quel letto da cui si era le-
dell’Egeo e del Ponto, ma, al di là di un cimento eroico supe- vata con impeto al principio della sezione. Un’opposizione del
rato da Giàsone solo grazie all’aiuto di Medea, come un itine- pudore che sembra essere, e sul momento è, vincente (e la cui
rario nel genere tragico arricchito da memorie liriche e, più in forza viene marcata dalla formularità interna della ripresa αἰδοῖ
generale, dalla formidabile operazione di scandaglio dentro le ἐεργομένη, v. 649 / αἰδοῖ δ᾽ ἐργομένην, v. 653), ma che in
motivazioni dell’agire umano ormai portata a perfezione, da realtà si sfoga e si smorza lasciando Medea, per l’immediato fu-
Omero ad Aristotele, nella cultura greca. turo, disponibile a rispondere alla richiesta d’aiuto della sorella.
LA NOTTE INQUIETA DI MEDEA 53
e per vergogna e riserbo non si mescola alle sue ancelle –
resta seduta in disparte, e soffre il dolore –
660 lui l’ha ucciso il destino, prima che entrambi godessero
il reciproco amore; piange la donna straziata
in silenzio, e fissa gli occhi sul letto vuoto,
temendo il sarcasmo e le ingiurie delle altre donne:
così piangeva Medea. D’improvviso la vide
665 una giovane ancella venuta in quel punto,
una sua serva e lo riferì a Calciope
subito: essa sedeva tra i figli pensando
al modo come poteva persuadere Medea.
[Tr. di G. Paduano]
piange un padre bruciando le ossa di un fi- le: nei poemi omerici, ed in particolare le». Anche nei momenti più difficili, le
glio, appena sposato, che morendo affligge nell’Odissea è usuale la rappresentazione ἀμφίπολοι sono per la donna una com-
i genitori infelici» [tr. di Paduano]. della padrona di casa che si muove ac- pagnia e un riconoscimento sociale; il ri-
compagnata dalle ancelle: IV 760 «salì fiutarle rappresenta la forma più radicale
658 non si mescola alle sue ancel- al piano superiore insieme con le ancel- di isolamento.
T. 11 La notte Medea trascorre una notte terribile, in preda pensieri angosciosi e contrastanti. La
inquieta quiete notturna contrappone, isolandolo, il suo personale dramma alla tranquillità
di Medea degli altri esseri del creato, avvolti nel sonno ristoratore. Il motivo del paragone
tra l’eroina insonne e gli altri uomini e animali che dormono è topico, e sarà ripreso
da Virgilio nel libro di Didone. Medea prova anche fisicamente i segni della passio-
ne, che s’insinua sotto la pelle fino ai nervi della nuca, sede privilegiata dei dolori
d’amore. Il suo animo ondeggia tra diverse alternative prima accolte poi rifiutate.
È incerta se aiutare o meno Giàsone, se dare libero corso al desiderio o mettere
al primo posto il pudore e la fama. Giunge quasi alla determinazione di suicidarsi,
Argonautiche Νὺξ μὲν ἔπειτ’ ἐπὶ γαῖαν ἄγεν κνέφας, οἱ δ’ ἐνὶ πόντῳ
III 744-824 ναυτίλοι εἰς Ἑλίκην τε καὶ ἀστέρας Ὠρίωνος
744-746 Νύξ … νηῶν: «La notte ben in mare guardavano dalle navi verso l’Orsa e Apollonio opera una variazione rispetto alla
presto portò l’oscurità sulla terra: i marinai le stella di Orione». - νύξ … ἄγεν κνεφας: formula omerica, che si esplicita in espres-
sioni del tipo ἦμος δ᾽ ἠέλιος κατέδυ καὶ
54 ARGONAUTICHE
746 ἔδρακον ἐκ νηῶν, ὕπνοιο δὲ καί τις ὁδίτης
ἤδη καὶ πυλαωρὸς ἐέλδετο, καί τινα παίδων
μητέρα τεθνεώτων ἀδινὸν περὶ κῶμ’ ἐκάλυπτεν,
οὐδὲ κυνῶν ὑλακὴ ἔτ’ ἀνὰ πτόλιν, οὐ θρόος ἦεν
ἐπὶ κνέφας ἦλθε (attestata soprattutto in sguardo vivido e penetrante, di cui gli altri gonia 798 κακὸν δ᾽ ἐπὶ κῶμα καλύπτει.
Odissea) o ad esempio ἠέλιος δ᾽ ἄρ᾽ ἔδυ colgono il lampeggiare. - κῶμ(α): il termine indica un sopore pro-
καὶ ἐπὶ κνέφας ἦλθε (Odissea III 329), fondo, non di origine naturale, ma indotto da
ecc. - εἰς Ἑλίκην: si tratta dell’Orsa Mag- 746-747 ὕπνοιο … ἐέλδετο: «mentre incantesimo o da suggestione, dovuta ad una
giore. Cfr. Vitruvio, De achitectura IX 4, 5 ormai il viandante e il portinaio bramavano presenza divina (cfr. Saffo, fr. 2, 8 Voigt).
«Nel circolo nordico hanno la loro colloca- il sonno». - πυλαωρός: «custode delle Nel nostro contesto, il termine sottolinea la
zione le due Orse, le cui schiene sono unite, porte», da πύλη e ὁράω; il termine è at- condizione di sospensione allucinata che ca-
mentre il petto di ciascuna è voltato in dire- testato due volte in Iliade, ad indicare ri- ratterizza la veglia di Medea.
zione opposta rispetto all’altra. La più pic- spettivamente i guardiani delle porte Scee
cola delle due ha in greco il nome di Kynó- e quelli dell’accampamento degli Achei. In 749-750 οὐδέ … ὄρφνην: «e non si sen-
soura, la più grande di Helíke». - Ὠρίωνος: Antologia Palatina VII 319 viene riferito a tiva ululato di cani per la città, non vi era eco
costellazione invernale, che trae il nome dal Cerbero. - ἐέλδετο: forme epica, usata so- di suono, ma il silenzio dominava sull’oscurità
mitico cacciatore, figlio di Posidone. Se- lo al presente e all’imperfetto, per ἔλδετο. che diventava nera». In Controversie VII 1,
condo una variante del mito, accolta anche 27 Seneca il Vecchio propone la traduzione
da Omero (Odissea V 121-124), di lui si 747-748 καί … ἐκάλυπτεν: «un tor- di questo passo operata da Varrone Atacino:
sarebbe innamorata Eos, provocando l’invi- pore profondo avvolgeva perfino una madre Desierant latrare canes urbesque silebant;/
dia divina e l’uccisione di Orione da parte che aveva perduto i figli». - μητέρα: l’ac- Omnia noctis erant placida composta quie-
di Artemide. Il suo declinare (che avviene cenno a questa povera madre introduce un te. - ὑλακή: non attestato prima di Platone,
a fine novembre) è topicamente associato tocco di patetismo intenso e al contempo Leggi 967d, è un termine inusuale, che im-
alle tempeste: cfr. Argonautiche I 1201-02 discreto, come sfondo silenzioso del dram- preziosisce la suggestione esercitata dall’ori-
«come d’inverno, quando declina il terribi- ma di Medea. - ἀδινὸν περὶ κῶμ᾽ ἐκάλυ- ginalità di questo notturno. - πτόλιν: forma
le Orione, un rapido colpo di vento piomba πτεν: variatio rispetto alla formula omerica epica per πόλιν. - θρόος: attestato una volta
dall’alto» [tr. di G. Paduano]. - ἔδρακον: μαλακὸν περὶ κῶμ᾽ ἐκάλυψεν (Odissea in Omero (Iliade IV 437), il termine indica il
come osserva Snell il verbo δέρκομαι, XVIII 201 ed anche, con lieve variazione, frastuono provocato da un assembramento di
di consolidata tradizione epica, indica lo Iliade XIV 359), ripresa da Esiodo in Teo- esseri umani o da una performance musicale
Epica storica e didascalica: Apollonio
(Pindaro, Nemea VII 81 πολύφατον θρό- 751 ἀλλά … ὕπνος: reminiscenza di Archiloco (fr. 193, 1 West δύστηνος ἔγκει-
ον ὕμνων δόνει «muovi un vortice di inni Iliade X 3-4 ἀλλ᾽ οὐκ Ἀτρεΐδην Ἀγα- μαι πόθῳ/; 196 West ἀλλά μ᾽ ὁ λυσιμελὴς
dalle molte voci» [tr. di E. Mandruzzato]). - μέμνονα ποιμένα λαῶν/ ὕπνος ἔχε γλυ- ὦταῖρε δάμναται πόθος). - μελεδήματ᾽
ὄρφνην: è termine poetico, sporadicamente κερὸς πολλὰ φρεσὶν ὁρμαίνοντα («ma il ἔγειρεν: Cfr. Odissea XV 7-8 Τηλέμαχον
usato anche in prosa, non attestato prima di dolce sonno non prese Agamennone figlio δ᾽ οὐχ ὕπνος ἔχε γλυκύς, ἀλλ᾽ ἐνὶ θυμῷ/
Teognide, che lo usa in senso metaforico (ma di Atreo, capo di eserciti, turbato da molti νύκτα δι᾽ ἀμβροσίην μελεδήματα πατρὸς
si trova, sia in Omero sia in Esiodo, il nes- pensieri» [tr. di G. Paduano]). ἔγειρεν «il dolce sonno non prendeva Tele-
so νὺξ ὀρφναίη, che avrà successivamente maco, ma nella notte divina lo teneva sveglio
grande fortuna). - μελαινομένην: riferito 752 Πολλά … ἔγειρεν: «La tenevano il pensiero del padre nell’animo».
in Omero al rapprendersi del sangue (Ilia- sveglia molte ansie per il desiderio che aveva
de V 354) o alla terra appena arata (Iliade del figlio di Esone». - πόθῳ: il termine, che 753 δειδυῖαν … μένος: «poiché teme-
XVIII 548), il verbo μελαίνω in Apollonio, già in Omero significa «rimpianto, deside- va la forza brutale dei tori». - δειδυῖαν: è
oltre che caratterizzare, come qui, l’oscurità rio, struggimento» per una persona lontana o l’unica attestazione di questa forma di parti-
notturna, indica il nereggiare di una selva vi- perduta (es. Odissea XIV 144 «ma mi pren- cipio perfetto femminile, da un inusato pre-
sta in lontananza (IV 569) e il nereggiare del de il rimpianto per Odisseo assente»), si ca- sente *δίω «temo»; normalmente si trovano
mare profondo (IV 1574). rica poi di forte valenza erotica, a partire da le forme δείδω e δέδια, perfetti resultativi.
753-754 οἷσιν … Ἄφηος: «ai quali diverse: «minaccioso, funesto», come nel αὐτῇ. - ἔντοσθεν: usato come preposizio-
doveva soccombere per un destino funesto, nostro passo; «malauguroso» (cfr. I 304 ne, regge il genitivo στηθέων. - ἔθυιεν:
nel campo di Ares». - φθεῖσθαι: da φθίω ὄρνις ἀεικελίη), «sfortunato» (cfr. II 1126 imperfetto del verbo θυίω (θύω) «infuriare,
(o φθίνω), forma epica dell’infinito aoristo νηὸς ἀεικελίης). - κατὰ νειόν: νειός in- agitarsi, smaniare», verbo di caratura ele-
atematico. - ἀεικελίῃ: l’aggettivo ἀεικέ- dica il «campo arato e seminato a maggese». vata e di uso poetico, fin da Omero impie-
λιος, in Omero utilizzato in alternanza con gato per indicare atteggiamenti umani, di
ἀεικής, nel significato di «oltraggioso, ver- 755 πυκνά … ἔθυιεν: «il cuore nel animali, o anche di agenti atmosferici (co-
gognoso», in Apollonio assume accezioni petto le batteva fitto». - οἱ: equivale ad me il vento o la tempesta).
immagini topiche
la rifrazione di un raggio nell’acqua
Ai vv. 756-760 è proposta una similitudine che sarà ripresa ed amplificata da Virgilio, Eneide VIII 18-25, per rappresentare il
turbamento di Enea:
fluttua in una grande tempesta di pensieri,/ e divide il veloce pensiero a vicenda qui e lì,/ e lo trae in diverse
parti e lo volge ad ogni espediente:/ come il tremulo lume dell’acqua in un vaso di bronzo/ che riflette il sole
o l’immagine della raggiante luna,/ volteggia ampiamente per tutti i luoghi, e s’innalza/ nell’aria, e colpisce i
riquadri dell’ampio soffitto.
[Tr. di L. Canali]
La splendida similitudine con cui è rappresentata l’instabilità psichica di Medea – un raggio di sole, che si riflette in una bacinella
d’acqua – è una testimonianza dell’interesse di Apollonio Rodio per i fenomeni naturali. H. Fränkel osserva che l’attenzione per
tali fenomeni, collegati in particolare con lo studio della rifrazione della luce, si riporta alla filosofia stoica. Non mancano a tal
proposito riferimenti significativi: Crisippo, Frammenti logici e fisici 433 Von Arnim
Epica storica e didascalica: Apollonio
L’acqua pura non diviene luminosa perché da fuori cade su di essa un raggio, ma per la trasformazione che
riceve dalla luce che viene a contatto con essa, così come accade all’aria. Neanche questa, infatti, è luminosa di
sua natura, altrimenti, lo sarebbe anche la notte; ma si trasforma tutta per il venire a contatto dei raggi del sole
con i suoi confini superiori, ed essendo in sé continua si trasforma e si cambia tutta quanta.
[Tr. di M. Isnardi Parente]
Plutarco, De facie in orbe lunae 936 B-C (= Crisippo, Frammenti logici e fisici 675 Von Arnim)
Sembra confutare l’ipotesi della riflessione della luce dalla luna soprattutto questo, che a quelli che si trovano di
fronte a raggi riflessi avviene di vedere non solo ciò che viene illuminato, ma anche la sorgente di luce. Nel caso
infatti che un raggio balzi da uno specchio d’acqua sulla parete e la vista penetri nel luogo illuminato in forma
di luce riflessa, essa riesce a vedere tre cose, il raggio riflesso, l’acqua che produce la riflessione, il sole stesso, dal
quale parte il raggio che cade sull’acqua per poi riflettersi.
[Tr. di M. Isnardi Parente]
La similitudine viene ripresa in ambito etico anche da Dione Crisostomo, Orazione XXI 14. È anche vero, però, che esempi del
genere non mancano neanche in ambito peripatetico (ad esempio Stratone di Lampsaco, fr. 65b Schwabe), a testimoniare come
tale fenomeno fisico divenga oggetto di studio nella prosa filosofica ellenistica e di età imperiale.
LA NOTTE INQUIETA DI MEDEA 57
τεῖρ’ ὀδύνη, σμύχουσα διὰ χροὸς ἀμφί τ’ ἀραιάς
ἶνας καὶ κεφαλῆς ὑπὸ νείατον ἰνίον ἄχρις,
ἔνθ’ ἀλεγεινότατον δύνει ἄχος, ὁππότ’ ἀνίας
ἀκάματοι πραπίδεσσιν ἐνισκίμψωσιν ἔρωτες.
760 Πυκνὰ δέ οἱ κραδίη στηθέων ἔντοσθεν ἔθυιεν,
ἠελίου ὥς τίς τε δόμοις ἔνι πάλλεται αἴγλη,
ὕδατος ἐξανιοῦσα τὸ δὴ νέον ἠὲ λέβητι
ἠέ που ἐν γαυλῷ κέχυται, ἡ δ’ ἔνθα καὶ ἔνθα
ὠκείῃ στροφάλιγγι τινάσσεται ἀίσσουσα –
765 ὧς δὲ καὶ ἐν στήθεσσι κέαρ ἐλελίζετο κούρης,
756 ἠελίου … αἴγλη: «come quando ti per liquidi: λέβης di dimensioni maggiori χουσα: σμύχω è un verbo poetico d’uso
un raggio di sole in una stanza guizza». - (in Iliade XXI 362-63, ad esempio, è usato raro, ma attestato già in Omero; è chiosato
δόμοις ἔνι: anastrofe per ἐνὶ δόμοις, con come calderone per cuocere un maiale: «co- da Esichio: «bruciare, consumare a fuoco
ritrazione dell’accento della preposizione. me dentro bolle un calderone [λέβης] messo lento». Per il suo uso in senso erotico, cfr.
- πάλλεται: dal significato originario di sul fuoco vivo, sciogliendo il grasso di un Mosco, fr. 2, 4 Gow Ἔρως δ᾽ ἐσμύχετ᾽
«agitare, brandire» un’arma, il verbo πάλ- porco ben nutrito»); γαυλός indica invece un ἀμοιβά «l’amore si consumava a catena»
766-767 φῆ … αὐτή: «E ora diceva che persona. - ὀτλησέμεν: infinito futuro epi- è l’agire di Giasone ad essere caratteriz-
gli avrebbe dato il filtro per incantare i to- co, da ὀτλέω «sopportare», non attestato zato dalla ἀμηχανία, l’inadeguatezza al
ri, ora di non darlo, ma di morire anche prima dell’età ellenistica. proprio ruolo e l’incapacità di decidere.
lei». - φῆ: poetico per ἔφη, da φημί. - Nel momento della crisi, Medea si trova
ἄλλοτε μέν … ἄλλοτε δ(έ): la correla- 770 δἤπειτα: crasi per δὴ ἔπειτα. - implicitamente associata all’eroe di cui
zione contrassegna il susseguirsi in Me- δοάσσατο: «era in dubbio» aoristo ome- è innamorata. - οὐδέ τις ἀλκή: explicit
Epica storica e didascalica: Apollonio
dea di stati d’animo contraddittori. «La rico (per lo più usato nella frase formulare formulare, presente più volte in Omero
suggestione di morte si presenta qui per ὧδε δέ οἱ φρονέοντι δοάσσατο κέρδιον (Iliade III 45; XXI 548 ecc.). - ἀλκή:
la prima volta in Medea come desiderio εἶναι), da collegarsi con l’impersonale regge πήματος «rimedio contro il dolo-
di accomunare il suo destino a quello di δέαται e, posteriormente, con δοιάζω. re» (è un costrutto non frequente, ma cfr.
Giasone; desiderio amoroso esplicito, e Esiodo, Erga 201 κακοῦ δ᾽ οὐκ ἔσσεται
quindi subito contrastato dalle altre even- 771-772 Δειλὴ ἐγώ … ἀμήχανοι: ἀλκή).
tualità» (Paduano). - θελκτήρια: «che «Povera me, qualunque scelta porterà una
incantano, che addolciscono», connesso disgrazia, contro cui il mio animo è impo- 773-774 ὡς … δαμῆναι: «oh, se fos-
con il verbo θέλγω, l’aggettivo regge il tente» [tr. di A. Borgogno]. - Δειλὴ ἐγώ: si stata uccisa dai dardi rapidi di Artemi-
genitivo di ciò da cui ci si vuole difen- esclamazione patetica di intonazione tra- de». - ὡς: desiderativo. - ὄφελον: forma
dere attraverso l’incantamento (in que- gica, già attestata in Omero, ad esempio epica senza aumento per ὤφελον, aoristo
sto caso ταύρων. Cfr. Euripide, Ippolito in Iliade XVIII 54 ὤμοι ἐγὼ δειλή, ὤμοι di ὀφείλω. Regge δαμῆναι (infinito aori-
509-510 ἔστιν κατ᾽ οἴκους φίλτρα μοι δυσαριστοτόκεια «me sventurata, infeli- sto passivo epico di δαμάζω) ed esprime
θελκτήρια/ ἔρωτος «ho in casa filtri che ce madre di un grandissimo eroe». - ἔνθα un desiderio irrealizzabile nel passato. -
producono l’incanto d’amore»). - δω- … ἢ ἔνθα: avverbio relativo di luogo Ἀρτέμιδος καιπνοῖσι … βελέεσσι: i
σέμεν: infinito futuro epico di δίδωμι. raddoppiato (la seconda parte del verso dardi di Artemide erano ritenuti causa della
- καταφθεῖσθαι: infinito aoristo ate- riprende Iliade II 397 ὅτ᾽ ἂν ἔνθ᾽ ἢ ἔνθα morte improvvisa delle donne. - πάρος:
matico di καταφθίνω. γένωνται), che regge il genitivo κακῶν pleonastico, introduce πρίν del verso suc-
(un costrutto analogo in Euripide, Troiane cessivo.
768 θανέειν: forma ionica per θανεῖν, 685 διδάσκεις μ᾽ ἔνθα πημάτων κυρῶ
infinito aoristo di θνῄσκω, che dipende, «m’insegni a che punto di sventura mi tro- 775-776 πρίν … υἷας: «prima di ve-
come il successivo δώσειν, da φῆ del v. vo»). - γένομαι: il congiuntivo conferi- derlo, prima che una nave achea portasse
766. sce all’espressione una sfumatura di even- qui i figli di Calciope». - τόν: ovviamente
tualità. - ἀμήχανοι: l’aggettivo è carico fa riferimento a Giasone. - εἰσιδέειν: for-
769 ἑήν: aggettivo possessivo di terza di valenza allusiva: nel corso del poema ma poetica per εἰσιδεῖν, infinito aoristo di
LA NOTTE INQUIETA DI MEDEA 59
Χαλκιόπης υἷας· τοὺς μὲν θεὸς ἤ τις Ἐρινύς
ἄμμι πολυκλαύτους δεῦρ’ ἤγαγε κεῖθεν ἀνίας. –
Φθείσθω ἀεθλεύων, εἴ οἱ κατὰ νειὸν ὀλέσθαι
μοῖρα πέλει· πῶς γάρ κεν ἐμοὺς λελάθοιμι τοκῆας
780 φάρμακα μησαμένη, ποῖον δ’ ἐπὶ μῦθον ἐνίψω;
εἰσοράω. - Χαλκιόπης υἷας: da Calciope Le Erinni, nate dal primo gesto di violenza trei tenere nascosto ai miei genitori che
e Frisso erano nati quattro figli: Argo, Fron- commesso da un figlio nei confronti del pa- sto escogitando il rimedio, che cosa posso
ti, Mela, Citisodoro, che, partiti alla volta dre (l’evirazione di Urano da parte di Crono, dire?». - κεν: epico per ἄν, va con l’otta-
di Orcomeno per riconquistare il regno del cfr. Teogonia 185), sono dee vendicatrici dei tivo potenziale λελάθοιμι. - φάρμακα: ha
nonno Atamante, avevano fatto naufragio crimini commessi contro i genitori (il moti- significato ambivalente: sia quello concreto
presso l’isola di Ares (nel Ponto Eusino). vo è ampiamente sviluppato nell’Orestea di di «filtro, pozione», sia quello traslato di
Qui incontrano Giasone e gli Argonauti, da Eschilo). - ἄμμι: forma eolica, di uso epico, «rimedio» per la situazione che si è creata. -
cui ottengono aiuto (vedi II 1090-1122) e per ἡμῖν. - πολυκλαύτους: «che causano μησαμένη: da μήδομαι, è participio predi-
con cui ritornano nella Colchide (lo scom- molto pianto» riferito ad ἀνίας. È una delle cativo, in dipendenza di λελάθοιμι. - ποῖον
piglio nella reggia per il loro improvviso rare attestazioni in cui l’aggettivo (da πολύς δ᾽ ἐπὶ μῦθον ἐνίψω; variazione di Apollo-
ritorno è narrato in III 249-274). e κλαίω) ha valore attivo; normalmente si- nio di espressioni formulari omeriche come
gnifica «che è oggetto di molto pianto». Iliade I 552 αἰνότατε Κρονίδη ποῖον τὸν
776-777 τούς … ἀνίας: «da là un dio μῦθον ἔειπες; «terribile Cronide, che cosa
o un’Erinni li ha condotti qui, per me motivo 779 μοῖρα πέλει: il verbo πέλω equi- hai detto?», combinata con Odissea II 137
di dolore e di pianto». - θεὸς ἤ τις Ἐρι- vale ad εἰμί. L’espressione sembra costi- ὣς οὐ τοῦτον ἐγώ ποτε μῦθον ἐνίψω «per-
νύς: l’associazione fra dei ed Erinni è già tuire una formula religiosa, testimoniata ciò non dirò mai una parola del genere». -
presente in Odissea XVII 465 «ma se è vero negli Oracoli sibillini III 131 ὅταν γῆράς ἐνίψω: morfologicamente futuro di ἐνίπτω
che esistono dei ed Erinni a protezione dei τε Κρόνῳ καὶ μοῖρα πέληται. «biasimare», ma già in Omero è usato come
mendicanti». L’espressione associa l’idea se fosse ἐννέπω «dire»: la confusione fra i
della giustizia divina a quella della vendetta. 779-780 πῶς … ἐνίψω;: «come po- due verbi è di antica data.
781 τίς … ἀρωγῆς: «Quale inganno, (Odissea XXI 397 ἐπίκλοπος … τόξων te con Giasone deriva, secondo Paduano,
quale pensierò potrà dissimulare l’aiuto?». «abile nell’uso dell’arco»), sia «dissimula- «dall’esigenza che non si equivochi sul si-
- ἐπίκλοπος: in Omero riferito solo a per- tore». gnificato del dono: simbolo e fondamento
sone, l’aggettivo ἐπίκλοπος è connesso del rapporto amoroso, non arma fornita alla
con il verbo ἐπικλέπτω e, costruito con 782 ἄνευθ᾽ ἑτάρων: il desiderio collettività degli Argonauti».
il genitivo, significa sia «abile, esperto» che Medea nutre di incontrarsi in dispar-
783-784 δύσμορος … ἀχέων: «me 786-787 δ᾽ ἐμῇ ἰότητι: ἰότης è atte- vista impiccata, stretta in lacci intrecciati»;
infelice: non credo che se lui venisse ucci- stato sempre al dativo singolare (tranne Euripide, Ippolito 802 «si è passata un lac-
so, potrò avere respiro dai mali». - ἔολπα: che in Iliade XV 41 δι᾽ ἐμὴν ἰότητα). cio intorno al collo e si è impiccata» [tr. di
di O. Vox]. - ἄλλυδις ἄλλαι: è un nesso cimede, la madre di Giasone, al momento geminato, dell’infinito aoristo di τελέω.
omerico di uso frequente. - μωμήσονται: della partenza della spedizione). - ἂν πολὺ
Epica storica e didascalica: Apollonio
da μωμάομαι, verbo denominativo da κέρδιον εἴη: «sarebbe molto meglio», 802-803 Ἦ … ἔκειτο: «Disse, e andò
μῶμος, «biasimo, disonore», in Omero di clausola omerica di uso frequente, il più a cercare il cofanetto dove aveva molti filtri,
solito «riferito alla critica futile, capziosa e delle volte con la particella κεν per ἄν. alcuni benefici, altri letali». L’incipit riprende
al pettegolezzo malizioso» (S. West). Iliade XXIV 228 Ἦ καὶ φωριαμῶν ἐπιθή-
800-801 πότμῳ ἀνωΐστῳ: «per un de- ματα κάλ᾽ ἀνέῳγεν «Disse, e apriva il co-
795-797 “ἥ τις … εἴξασα”: «“Ecco co- stino improvviso». L’aggettivo ἀνώϊστος -ον perchio delle casse». - ἦ: imperfetto di ἠμί,
lei che, prendendosi tanta cura di un uomo è un hapax omerico, non più attestato fino «dire». - φωριαμόν: si tratta di un conteni-
forestiero, è morta, ecco colei che ha coperto ad Apollonio, che lo impiega ben sei volte. tore adibito ad uso diverso rispetto a quanto
di vergogna la sua casa e i genitori, ceden- Il significato era incerto anche per gli antichi attestato in Omero, dove φωριαμός indica
do alla libidine”». - ἀνέρος ἀλλοδαποῖο: commentatori, che oscillano fra «improvvi- una sorta di cassa per riporvi coperte e man-
innamorarsi di uno straniero costituisce una so, inaspettato» e «sconosciuto, misterioso, telli. - ᾗ ἔνι: anastrofe per ἐνὶ ᾗ «nel quale»
mancanza di riguardo nei confronti della occulto». - κάκ᾽ ἐλέγχεα πάντα: «tutti (riferito a φωριαμός, femminile). - οἱ: sta per
gioventù locale: cfr. Odissea VI 282-285 i motivi di vergogna». L’espressione κάκ᾽ αὐτῇ. - ῥαιστήρι(α): vedi verso 790. La
«“meglio ancora se andò lei stessa a trovarsi ἐλέγχεα ricorre sia in Omero, sia in Esiodo descrizione dei φάρμακα di Medea ricorda
un marito di fuori: perché questi del paese come interiezione spregiativa (es. Iliade V quelli preparati da Elena: Odissea IV 229-30.
li spregia, i Feaci che la vogliono in mo- 787 αἰδὼς Ἀργεῖοι κάκ᾽ ἐλέγχεα «vergo-
glie, benché molti e valenti”. Diranno così, gna, Argivi, mala genia»); in questo contesto 804-805 δεῦε … δακρύοισι: «bagnava
e questo sarebbe per me una vergogna» [tr. ha reale valore di complemento oggetto. - φυ- il petto di lacrime». Cfr. Iliade IX 570 δεύ-
di A. Privitera]; si veda anche la vicenda di γοῦσαν: participio riferito ad un sottinteso οντο δὲ δάκρυσι κόλποι, Eschilo, Persiani
Coronide, invaghitasi dello straniero Ischi in με, soggetto di λιπεῖν, nella proposizione in- 539-40 δάκρυσι κόλπους / τέγγουσ(ι). -
Pindaro, Pitica III (vol. 1, pp. 643-652). - finitiva retta da πολὺ κέρδιον εἴη. - λωβήε- ἄλληκτον: «incessantemente, senza posa».
οὕς: aggettivo possessivo (cfr. latino suus). ντα: hapax,chiosato da Esichio con βλαβερά Neutro avverbiale dell’aggettivo ἄλληκτος
«cose dannose» (cfr. λώβη, «oltraggio, offesa, (o ἄληκτος) -ον, composto da ἀ privativo
798 Ὤ μοι ἐμῆς ἄτης: l’interiezione si disonore»). Sarà ripreso dal tardo epico Tri- e λήγω «smetto». - τά: sta per δάκρυα. -
trova uguale in I 290 (nel lamento di Al- fiodoro. - τελέσσαι: forma epica, con sigma ἀσταγές: neutro avverbiale: «a fiotti»,
LA NOTTE INQUIETA DI MEDEA 63
αἴν’ ὀλοφυρομένης τὸν ἑὸν μόρον. Ἵετο δ’ ἥγε
φάρμακα λέξασθαι θυμοφθόρα τόφρα πάσαιτο,
ἤδη καὶ δεσμοὺς ἀνελύετο φωριαμοῖο
ἐξελέειν μεμαυῖα δυσάμμορος· ἀλλά οἱ ἄφνω
810 δεῖμ’ ὀλοὸν στυγεροῖο κατὰ φρένας ἦλθ’ Ἀίδαο,
ἔσχετο δ’ ἀμφασίῃ δηρὸν χρόνον. Ἀμφὶ δὲ πᾶσαι
θυμηδεῖς βιότοιο μεληδόνες ἰνδάλλοντο·
μνήσατο μὲν τερπνῶν ὅσ’ ἐνὶ ζωοῖσι πέλονται,
μνήσαθ’ ὁμηλικίης περιγηθέος, οἷά τε κούρη·
815 καί τέ οἱ ἠέλιος γλυκίων γένετ’ εἰσοράασθαι
ἢ πάρος, εἰ ἐτεόν γε νόῳ ἐπεμαίεθ’ ἕκαστα.
letteralmente «non a gocce» (ἀ privativo sopraggiunse all’improvviso un terrore ricordava della compagnia allegra delle sue
e στάζω). Aggettivo non attestato prima funesto dell’orrendo regno dei morti». - coetanee, fanciulla quale era». Dopo la va-
τὴν μέν: ha valore pronominale ed è riferi- filtro incantatore secondo gli accordi e in- desiderata». Una variazione si trova in IV
to a φωριαμόν, sottinteso. - ἀποκάτθετο: contrarlo faccia a faccia». - θελκτήρια … 981 ἠὼς ἠριγενὴς φέγγος βάλε νισσο-
forma apocopata per ἀποκατέθετο. φάρμακα: vedi v. 766. - συνθεσίῃσι: μένοισιν «l’aurora figlia del mattino portò
«patti, accordi» (συντίθημι). - ἐς ὠπήν: la luce a loro che ritornavano». - τῇ: dati-
818-819 Ἥ ρ η ς … μ ε τ ά τ ρ ο π ο ς : «faccia a faccia»: espressione coniata da vo pronominale, per αὐτῇ. - βάλε: fin da
«mutata, secondo il volere di Era». - ἐννε- Apollonio, con leggero scarto lessicale Omero, il verbo βάλλω è usato per indicare
σίῃσι: termine di uso epico e impiegato (ὠπή, equivalente ad ὤψ, si trova solo a l’incidenza della luce (es. Odissea V 479
solo al plurale, ἐννεσίη (etimologicamen- partire da Apollonio) e semantico rispetto οὔτε ποτ᾽ ἠέλιος φαέθων ἀκτῖσιν ἔβαλ-
te connesso col verbo ἐνίημι, lat. inicio) all’omerico εἰς ὦπα ἰδέσθαι (Iliade IX λεν). - ἠριγενής: in Apollonio l’aggettivo
gode di particolare fortuna in età tarda; il 373, ecc.) «guardare in faccia». si trova normalmente riferito all’aurora (III
Epica storica e didascalica: Apollonio
109-113 Nell’ora in cui … fiere selvag- so, da cui è stato ricavato il vello d’oro. suggerisce l’idea di «una apertura spazia-
ge: la determinazione temporale, signolar- le che moltiplica l’effetto perturbante del
mente ampia, «adempie le funzioni di una 115-116 il letto del montone: il luogo mostro» (G. Paduano) e accentua in modo
vera e propria similitudine, desunta origi- dove si era posato il montone dal vello efficace l’effetto di soggezione psicologica
nalmente dal repertorio venatorio, nella d’oro a conclusione del lungo volo dalla che l’immenso dominio di Eeta suscita nel
quale l’ansia del cacciatore mattiniero ben Grecia. lettore.
si adatta a ritrarre lo stato d’animo degli
Argonauti, adombrando al tempo stesso il 117 minio: così chiamato perché origi- 132 Titania: la Colchide è definita terra
prossimo inseguimento da parte dei Col- nario di Orcomeno, la città della Beozia Titania perché governata da Eeta, che era fi-
chi» (E. Livrea). fondata da Minia. glio del Sole e nipote del Titano Iperione. -
Lico: fiume che nella geografia di Apollonio
114-121 Viene ricordato il sacrificio del 131-135 L’excursus geografico non è unisce il Fasi, che sfocia nel Mar Nero, con
montone, che aveva trasportato Elle e Fris- uno sfoggio di erudizione fine a se stesso, l’Arasse, che invece ha le foci nel Caspio.
???? 67
Le donne a letto si svegliarono per lo spavento:
e piene d’angoscia abbracciarono i bimbi
che dormivano sul loro seno, anch’essi scossi dal sibilo.
E come, in una foresta che brucia, si volgono
140 innumerevoli ardenti spire di fumo,
via via montando dal fondo, l’una di seguito all’altra;
così il mostro scuoteva le sue enormi volute,
coperte di aride squame. E mentre lui si allungava,
ecco che Medea fu davanti ai suoi occhi
145 e con voce soave invocò il Sonno in aiuto,
il dio supremo, che affascinasse la fiera;
e chiamò anche la regina notturna, infernale,
che le fosse benevola, e le concedesse l’impresa.
La seguiva atterrito il figlio di Esone; ed il serpente
150 stregato dall’incantesimo scioglieva la lunga spina
dalle spire nate dal suolo, e allungava i suoi infiniti
anelli, così come quando sul mare in bonaccia
si rovescia un’onda scura, muta, senza frastuono;
ma tuttavia teneva alzata l’orribile testa,
155 bramoso di avvolgere entrambi nelle mascelle mortali.
Medea intinse un ramo di ginepro, tagliato da poco,
nella mistura, e sparse il filtro possente sopra i suoi occhi,
pronunciando le formule: lo circondò l’odore
del filtro e lo addormentò. La bocca cadde,
160 poggiata a terra, e gli anelli innumerevoli
si distesero dietro nel folto della foresta.
Obbedendo a Medea, Giasone staccò dalla quercia
il vello d’oro; ed essa intanto, immobile,
139 E come, in una foresta che brucia: … il vello d’oro: emerge anche in questa serva Paduano – così ricca di sensibilità co-
«La similitudine, che prima presenta un scena la passività di Giasone, il cui ruo- loristica, è certamente sovra-interpretata da
quadro naturale compiuto ed efficace nel- lo, nella lotta contro il drago, è ridotto al Fränkel che nella presenza femminile vede
la sua immediatezza, se ne serve poi per prelevamento del vello, dietro ordine di Medea incantata da Giasone. La femmi-
sottolineare l’elemento favoloso, il movi- Medea (κούρης κελομένης), che continua nilità adolescenziale si presta a illuminare
mento delle spire del drago. […] La com- ad aspergere veleni soporiferi sulla testa l’ingenuità emotiva che caratterizza la re-
parazione apolloniana si articola su due del drago. Conclusa l’operazione, sarà poi azione dell’eroe, e ha forse la più vivace
elementi: la spiralità del movimento e al Giasone a indicare la via del ritorno. rappresentazione nella paura “d’incontrare
grandiosità del fenomeno» (E. Livrea). un uomo o un dio che glielo rubassero” (v.
167-173 Come una fanciulla … come di 182)».
162 Obbedendo a Medea, Giasone staccò fiamma: «L’incantevole similitudine – os-
68 FENOMENI
sopra le bionde guance e sopra la fronte
al baleno del vello venne un rossore, come di fiamma.
Grande come la pelle d’una giovenca d’un anno o di un cervo,
175 quello che i cacciatori chiamano cerbiatto,
così era il vello, tutto d’oro e coperto
di bioccoli, pesante; e mentre Giasone avanzava
la terra ai suoi piedi rifletteva passo su passo la luce.
Andava portandolo, ora sopra la spalla sinistra,
180 lasciandolo pendere fino ai piedi dall’alto del collo,
ora lo raccoglieva tra le mani, temendo
D’incontrare un uomo o un dio che glielo rubassero.
L’aurora si spandeva sul mondo, quando arrivarono
presso i compagni. Stupirono i giovani nel vedere il grande vello
185 splendente, simile al lampo di Zeus: ed ognuno
si slanciava a toccarlo, a prenderlo in mano.
Ma Giasone li allontanò tutti e vi gettò sopra
un mantello nuovo.
[Tr. di G. Paduano]
arato di soli
Fenomeni
T. 1 Il Proemio contiene l’Inno a Zeus unico e sommo. Dato che il dio svolge una
Epica storica e didascalica: Apollonio
L’inno a Zeus
L’
funzione propulsiva riguardo al lavoro dei campi, si ricalca qui il modello
esiodeo. Zeus infatti dà agli uomini segni propizi, rivela quando la zolla è
buona per la semina, ha disposto in cielo le costellazioni dalle quali si trag-
gono i segni delle stagioni e i tempi del ciclo lavorativo, sì che ogni cosa
cresca sicura.
Ma questo Zeus, nella sua bontà provvidenziale e nella sostanziale unicità, è
anche il dio supremo della dottrina stoica.
Come nell’inno a Zeus dello stoico Cleante, anche nel proemio dei Fenomeni il re
degli dei della mitologia tradizionale personifica la mente divina reggitrice del
mondo.
Anche il dio di cui Arato elogia la grandezza e l’onnipotenza è onnipresen-
te («di Zeus sono piene tutte le vie e tutte le piazze, e pieno ne è il mare e
i porti»), è padre amorevole degli uomini e loro benefattore, è il principio
immanente che compenetra di sé tutto l’esistente, spargendo ovunque i semi
generatori delle cose e dal quale la materia informe riceve l’impronta e prende
vita, è la provvidenza (prònoia) che lega gli eventi nella serie inviolabile delle
cause.
L’INNO A ZEUS 69
Fenomeni 1-18 Ἐκ Διὸς ἀρχώμεσθα, τὸν οὐδέποτ’ ἄνδρες ἐῶμεν
ἄρρητον· μεσταὶ δὲ Διὸς πᾶσαι μὲν ἀγυιαί,
πᾶσαι δ’ ἀνθρώπων ἀγοραί, μεστὴ δὲ θάλασσα
καὶ λιμένες· πάντη δὲ Διὸς κεχρήμεθα πάντες.
5 Τοῦ γὰρ καὶ γένος εἰμέν. Ὁ δ’ ἤπιος ἀνθρώποισι
δεξιὰ σημαίνει, λαοὺς δ’ ἐπὶ ἔργον ἐγείρει
μιμνήσκων βιότοιο· λέγει δ’ ὅτε βῶλος ἀρίστη
βουσί τε καὶ μακέλῃσι, λέγει δ’ ὅτε δεξιαὶ ὧραι
καὶ φυτὰ γυρῶσαι καὶ σπέρματα πάντα βαλέσθαι.
10 Αὐτὸς γὰρ τά γε σήματ’ ἐν οὐρανῷ ἐστήριξεν
ἄστρα διακρίνας, ἐσκέψατο δ’ εἰς ἐνιαυτὸν
ἀστέρας οἵ κε μάλιστα τετυγμένα σημαίνοιεν
ἀνδράσιν ὡράων, ὄφρ’ ἔμπεδα πάντα φύωνται.
Τῷ μιν ἀεὶ πρῶτόν τε καὶ ὕστατον ἱλάσκονται.
15 Χαῖρε, πάτερ, μέγα θαῦμα, μέγ’ ἀνθρώποισιν ὄνειαρ,
αὐτὸς καὶ προτέρη γενεή. Χαίροιτε δὲ Μοῦσαι
μειλίχιαι μάλα πᾶσαι. Ἐμοί γε μὲν ἀστέρας εἰπεῖν
ᾗ θέμις εὐχομένῳ τεκμήρατε πᾶσαν ἀοιδήν.
T. 2 Dike si Nella sezione in cui Arato descrive la volta del cielo e le costellazioni dei due
trasforma nella emisferi si trova, all’interno del passo dedicato alla costellazione della Vergine,
costellazione una digressione su Astrea e sulla successione delle generazioni umane.
della Vergine
100
ἀνθρώποις, ὡς δῆθεν ἐπιχθονίη πάρος ἦεν,
ἤρχετο δ’ ἀνθρώπων κατεναντίη, οὐδέ ποτ’ ἀνδρῶν
οὐδέ ποτ’ ἀρχαίων ἠνήνατο φῦλα γυναικῶν,
ἀλλ’ ἀναμὶξ ἐκάθητο καὶ ἀθανάτη περ ἐοῦσα.
105 Καί ἑ Δίκην καλέεσκον· ἀγειρομένη δὲ γέροντας
tevano mancare echi e reminiscenze anche puntuali del mo- con una rettifica e semplificazione del modello che favorisce il
dello (basti il confronto fra il v. 116 ποθέουσα παλαιῶν nitore del disegno strutturale vanificandone al contempo le ten-
ἤθεα λαῶν ed Esiodo, Erga 222 κλαίουσα πόλιν καὶ ἤθεα sioni interne (le quali, come vedemmo, nascevano soprattutto
λαῶν), Arato gioca da erudito sulle genealogie divine. Mentre dall’esigenza di integrare un remoto schema di probabile origine
in Esiodo Dike è figlia di Zeus e di Themis (Teogonia 902) e orientale con la tradizione delle saghe degli eroi greci).
Astreo è, attraverso Eos, il padre delle costellazioni (Teogo- Per contro nuovi elementi possono essere aggiunti dal nuovo
nia 381 s.), qui Astrea/Dike si propone come figlia di Astreo, poeta all’interno delle singole partizioni, e specialmente inte-
anche se il dato viene accennato non più che in forma alter- ressante appare il modo in cui Arato rielabora la fantasia uto-
nativa rispetto ad altre possibili discendenze («che sia figlia di pica dell’età dell’oro. Egli non si limita a delineare il consueto
Astreo... o di qualcun altro»). idillio uomo-natura (con la crescita spontanea dei frutti della
Anche la distinzione fra stirpi d’oro, d’argento e di bronzo è terra), ma, proprio perché ha posto al centro di tutto l’episodio
già tutta esiodea, e l’involarsi in cielo di Dike per trasformarsi la figura di Astrea, immette nello scenario un tratto politico-
nella costellazione della Vergine richiama l’analoga fuga verso istituzionale costituito da una sorta di «senato» (si radunano
l’Olimpo di Aidós e Némesis in Esiodo, Erga 197-200: senonché il i vecchi, cfr. γέροντας 105) che per altro non personifica un
congedo di Astrea dal mondo degli uomini si attua già all’interno governo di privilegiati ma viene incitato da Dike a emanare
della stirpe del bronzo, non (come avveniva per Aidós e Némesis) sentenze orali (θέμιστες) favorevoli al demos (δημοτέρας
nell’ambito di quella del ferro, e questo ovviamente anche per- 107): il progetto politico stoico di un equo governo univer-
ché Arato ha ridotto da cinque a tre il numero delle generazioni sale viene proiettato in un tempo mitico che in Esiodo (cfr.
eliminando, oltre a quella del ferro, la stirpe degli eroi. Così quel Erga 109-119) sembrava riservato a un’esistenza trascorsa in
movimento contrastato che in Esiodo improvvisamente inter- spensierata letizia, nel quasi automatico rovesciamento di un
rompeva (con l’inserzione della stirpe non metallica degli eroi) presente afflitto da morbi, fatica, soprusi.