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Carlo Fabrizio Vidua (Casale Monferrato, 1785 – Ambon, isole

Molucche1830)

Carlo Vidua, conte di Conzano, fu un esponente di spicco della classe


intellettuale piemontese della prima metà dell’Ottocento. Inizia a viaggiare
all’età di 20 anni fino alla sua morte, facendo confluire i suoi appunti in
lettere e relazioni. Fu amico di Cesare Balbo, conosciuto alla Società dei
Concordi di Casale, il quale dopo la morte di Vidua fece pubblicare alcuni suoi
manoscritti. I resoconti dei viaggi in Levante e in Grecia, furono stampati in
un unico esemplare da Cesare Alfieri di Sostegno, arricchito con note a piè di
pagina e poi rilegato e conservato dall’Abate Costanzo Gazzera, bibliotecario
dell’Università di Torino.

VIDUA C., Relazioni del viaggio in Levante e in Grecia, 385-424.

Trascrizione a cura di Grazia Palazzolo.

Relazione d’Atene e dell’Attica (Tra il 1820 e il 1821)

Monumenti d’Atene

Moltissimi hanno descritto Atene, ed io perciò se fossi Inglese o Francese


non perderei l’opera mia a scrivere su questo argomento. Essendo io Italiano,
e scrivendo non a' dotti, ma a chi non conosce, o non può facilmente avere in
mano i viaggi stampati fuori d'Italia, e specialmente i belli ma costosi viaggi
pittoreschi, m’ingegnerò a darne una qualche idea e soddisfare alla curiosità di
alcune persone, senza tener conto, della taccia di superficiale, d’inutile, o di
triviale cui deve andare incontro questa mia opera, sulla quale l'amor proprio
mio non fonda speranza alcuna. Aggiungerò pur qui un abbozzato del Piano
di Atene, in cui sono notati solo i principali avanzi antichi, ed a fine di
procedere con qualche ordine accennerò prima a quelli che sono nella
cittadella, indi quelli che sono nel recinto dell’attuale città, e finalmente quelli
che si trovano nei contorni immediati di essa.

1
“Abbozzetto del Piano di Atene”, dall’unico esemplare stampato delle relazioni del Vidua (p.386).

2
Cittadella

Chi procedendo da S. E. sale alla cittadella scorge a sinistra una grotta che
non dubito sia quella già consacrata al Dio Pane, giacche Luciano introduce
in un suo Dialogo questo Dio a disputare con Mercurio che stava sul
vicinissimo Areopago. L'attuale cittadella d'Atene è l’antica Acropolis, ed
ancorché le mura sieno state rifatte assai volte, e da popoli diversi, molti
pensano tuttavia che in alcuni luoghi rimangano non solo vestigia, ma intieri
pezzi delle mura di Temistocle. Veramente qui, come altrove pure, chi
osserva con attenzione, ed ha qualche pratica di simili indagini, può
facilmente discernere le diverse maniere usate nel costruire da’ diversi
edificatori, e distinguere in quella mescolanza il barbaro dal semibarbaro, il
buono dall'ottimo.
La natura del sito1, che è una rupe sorgente quasi perpendicolare dal basso
piano per ogni parte, fuorichè verso l'Areopago ove pende più inclinata,
indica dovesse essere il circuito dell'antica Acropolis quasi esattamente uguale
al circuito dell'attuale cittadella.
Addentrandosi in essa cittadella s'incontrano subito, prima un gran
piedistallo, poi tosto i Propilei, ossia uno stupendo edificio che serviva
d'atrio o maestoso ingresso all'Acropoli. Questi Propilei furono molto
guasti, poiché le colonna di mezzo sono tronche, altre interrate a mezzo, e
l'ala meridionale è distrutta; e il guasto è tale che bene non se ne può
raccapezzare l'idea senza il soccorso di un disegno: ma quando prima si
studia il disegno, e poi si considerano attentamente quelle reliquie, è forza
riconoscerle per una opera primaria di architettura.2
Passati i Propilei, ecco affacciartisi i maestosi avanzi del primo tra i templi
Ateniesi, della cattedrale Pagana, diremmo noi, dell' edificio sacro alla
protettrice di Atene. Esso è il tempio di Minerva denominato Ecatompedon,
cioè di 100 piedi, dalla sua lunghezza, 3 e più noto sotto il nome di

1L'area dell'Acropolis è di circa 300 piedi Francesi di lunghezza, e larga da 200 a 300 piedi. (Ed.)
2Questo mirabile edifizio dei Propylei rivive nella stupenda Porta di Brandeburgo che si ammira in Berlino, nella
costruzione della quale non solo sì conservava il carattere squisito della decorazione, ma pure il grandioso delle
proporzioni. (Ed.)
3 La lunghezza dell' edifizio era di piedi Francesi 218. La larghezza p. 98, e l'altezza 66. —Spon, Viaggio. (Ed.)

3
Partenone, dalla voce Greca Parteni, Vergine, che era, il titolo d' onore della
protettrice di Atene. Questo insignissimo fra gli insigni edificj dell' antichità
si era serbato immune dalla sorte comune, ed era quasi intatto, quando
nell'anno 1687 un eroe Veneziano, Morosini detto il Peloponnesiaco per il
conquisto del Peloponneso, venne a cingere d'assedio Atene. Una bomba
caduta nel magazzeno da polvere dei Turchi determinò la resa, facendo
andare in aria tutto il centro dell'edificio, che era un quadrilungo con otto
colonne in ciascuna facciata e 17 per lato. Ora più non rimangono che le
due estremità, o per così dire, le due facciate, e quasi tutte le colonne del
lato meridionale. In totale rimangono4 ……... colonne, e bastano a destare
l’universale meraviglia: — la loro altezza è di 42 piedi di Francia, e la
circonferenza piedi 17 1/2.
La forma robusta di quel maestosissimo Dorico, la bellezza del marmo, la
perfezione del lavoro nelle scanalature, e nelle modanature dimostrano che
questa fu veramente opera dell’epoca di perfezione nelle arti in Atene. 5
Di scultura è rimasto pochissimo, 6 ché i due frontoni già distrutti a mezzo
dal tempo furono poi interamente rovinati dal bombardamento. Alcuni
frammenti di essi, poi, insieme colle metope del lato meridionale furono
portate in Inghilterra dal lord Elgin, e diventarono soggetto di acre contesa,
volendo alcuni che fosse azione barbara il mutilare, come essi dicono, un
monumento antico, mentre altri dicono esser tutto preservato dalla
distruzione ciò che si trae dallo mani di Barbari. Checché ne sia del merito
della contesa, certo è che coloro i quali mossero le più alte querele, e più
declamarono contro al lord Elgin, appartenevano ad una nazione che in
quel medesimo tempo, per non dire in ogni tempo, cercò spogliare non
solo i popoli barbari, ma anco gl’inciviliti. Nella edizione dell'opera di Stuart
(Antichità di Atene) fatta a Parigi, si vedono i disegni delle sculture del
timpano del frontone quali li ritrasse un disegnatore 7 a' stipendii del
4 L' Autore non dà il numero delle colonne superstiti, ma alla sua dimenticanza suppliscono altre relazioni, nelle
quali si legge che delle 46 sovra indicate, 8 cadevano in un lato e 6 nell'altro, e così restano sole 32 colonne. In
quella catastrofe rovinarono pure tute la parte orientale della cella, 5 colonne del Pronaos, e tutte le costruzioni
dell’Hypaetra. (Ed.)
5 Questo tempio venne edificato essendo capo del governo Pericle il quale v'impiegò gli architetti Callicrate ed
Ictino sotto la direzione di Fidia cui aveva affidata la sovraintendenza di tutti ì monumenti destinati ad abbellire
Atene. — Stuart, Antichità di Atene. (Ed.)
6 Nella relazione di A. Lamartine leggesi: “Au Parthénon il ne reste plus que deux figures, Mars et Vénus, à demi
écrasées par deux érnormes fragments de la corniche qui ont glissé sur leurs tétes; mais ces deux figures valent
pour moi à elles seules plus que tout ce que j’ai vu en sculpture de ma vie; elles vivent comme jamais toile ou
marbre n'a vecu.” (Ed.)
7 Cornelio Magni di cui si ha una relazione. (Ed.)
4
marchese di Nointel imbasciatore di Luigi XIV, che là capitava qualche
anno innanzi l'assedio. Non concordano poi gli artisti nel ravvisare l'interna
distribuzione del Partenone, il piano dato dall’esattissimo Stuart viene
combattuto non solo dal Francese Huyot, ma anche dall'Inglese Cockrell, e
in fatti sembrerebbe meschino, e discorde dall’esterno.
A settentrione del tempio di Minerva si vede un edificio di assai minor
grandezza, ma di non minor bellezza, e di un gusto altrettanto squisito,
quanto l’altro è grandioso. Esso da' dotti fu distinto in tre parti, delle quali
una si crede tempio di Minerva Poliade, l'altra quello di Erettejo, e l'ultima
la cappella della Pandraso. Questa cappella avea per sostegno quattro Caria-
tidi, che è uno dei più insigni esempi di tal sorte d’ornato: una di esse fu
portata in Inghilterra dal lord Elgin. I tempii di Minerva Poliade, e quello
della Pandraso sono d’ordine Jonico, le cornici poi di tutti tre questi edificii
sono esempi di perfezione in architettura e scultura.
Verso mezzogiorno la cittadella ha un secondo, o doppio recinto più basso,
e fra ì due recinti, nel declivio della rupe, si vedono altri monumenti antichi.
— Il primo fu per lungo tempo creduto teatro di Bacco, ma si è poi
scoperto essere Odeo di Reggila, ossia piccolo teatro fabbricato da Erode
Attico in onore di sua moglie Regina: dei sedili restano appena qualche
vestigia ma in vece vedonsi grossi ed alti muri della scena, e così pure un
altro gran muro che dovea far parte di un portico il quale univa questo
teatro all'altro di Bacco. Ora coteste mura servono in parte a formare il
secondo recinto anzidetto. Del vero teatro di Bacco sono poche reliquie, e
s'indovina più che non si scorge, prendendo indizio dalla concavità del
terreno. Tra questi due teatri, e affatto nel declivio del monte, è posto un
piccolo monumento Coragico, o sia per giuochi , e si chiama monumento di
Trasillo per essere stato edificato in onore di certo Trasillo che diede
giuochi pubblici a sue spese. L'iscrizione vi si legge tuttora, ma una statua
che vi stava sopra, fu tolta dal lord Elgin. Questa specie di cappella è a mio
parere men bello dei monumenti di Atene. Nello stesso sito, a non molti
passi, sono ancora in piè due colonne, dalle quali si deduce che fossero
destinate a portar tripodi, e perciò anch'esse monumenti Coragici. 8
A capo della via che tende al mare evvi una rozza porta, quella oltrepassata
tosto un’altra di marmo ed assai bella se ne scorge, un po’ sulla dritta.
8I giuochi pubblici erano di due specie, Ginnici quali si celebravano nello Stadio, Scenici eseguiti in teatro; ai
primi presiedeva il Ginnasiarco, ai secondi il Corago, che ne facevano la spesa (Ed.)
5
Questa porta in cui già si notano segni di decadenza nell’arte, fu costretta a'
tempi di Adriano, essa ha in sulla fronte esterna una iscrizione che dice:
Questa è la città di Teseo, e in sulla fronte interna una seconda iscrizione
annunzia essere la città di Adriano, e non quella di Teseo. Cotale iscrizione
dimostra la vanità di quello Imperator9, mentre, e il carattere architettonico
del monumento ove concorrono due ordini, e il riposare dei pilastri sul
falso, dimostrano pure già più decadente il secolo di Adriano che non rozzo
quello di Teseo.
Non lungi da quella porta, e in un molino da olio, vedonsi alcune colonne
con qualche vestigia di mura, notabili solo perchè sono avanzi di Atene. Più
innanzi, nella strada che vien dal mare, sorpresi una bella rotonda, a mezzo
incassata nell’ospizio dei Cappuccini. Essa veniva volgarmente chiamata la
Lanterna di Demostene, dal falso e puerile supposto, che ivi si ritraesse a
meditare quel sommo oratore.
Il carattere dell’edifizio10, come pure un'iscrizione dimostrano essere quello
un monumento Coragico, innalzato in onore di certo Lisicrate, che rallegrò
Atene con sontuosi giuochi fatti a proprie spese; essendo costume che si
nominasse a preside dei pubblici giuochi un ricco signore, il quale così
comprava a caro prezzo l'onore e popolarità che glie ne tornava. Questa
bellissima rotonda, di ordine Corintio, è tutta di bellissimo marmo. Il fregio
n'è scolpito da cima a fondo con figurine che da prima si dicevano
rappresentare le fatiche di Ercole, ma ora si reputano allusive alle lotte nei
giuochi; sono alte solo centimetri 5o, ma fatte con dilicatezza e rara
perfezione di lavoro; così pure gli ornati destinati a portare il tripode,
premio del vincitore nei giuochi, sono modelli di eleganza. È peccato che
questo bellissimo monumento sia attorniato, e semicoperto dai muri
dell’ospizio, e certo meriterebbe d’esserne tratto fuori, ma per ciò fare
converrebbe rovinare l’ospizio di cui esso forma un angolo.

9Questa iscrizione sembra con più ragione doversi attribuire, non alla vanità di Adriano, ma alla gratitudine degli
Ateniesi, cui quell’imperatore fu vero benefattore, riedificandone, e decorandone sontuosamente la città, per L.
Silla mal concia. (Ed.)
10 Si legge nella Correspondance d'Orient dei signori Michaud e Poujoulat: “La Lanterne, ou pour parler le langage
des Italiens, il Palazzo di Demostene, fut achetée, il y a un siècle et demi, par le père Simon missionnaire Français
pour la somme de 550 écus. La propriété fut contestée par les Grecs et confirrnée par le cadi d'Athènes, à la
condition que le R. P. montrerait aux curieux le monument dont il avait fait l’acquisition. La maison attenante
était devenue le couvent des missions habité par des disciples de S. François d’Assises. — Le couvent des
missions est détruit de fond en comble, la Lanterne de Démosthène est restée seule. (Ed.)
6
Più addentro nella città i frati Turchi chiamati Dervisch, hanno loro
ospizio nel quale sta posto, ma più sgombro, benché non isolato affatto,
altro monumento bellissimo il quale con più proprietà si suole indicare col
nome di Torre dei venti, quantunque torre né sia, né sembri, stanteché non
è alta in ragione della larghezza.11 È un ottagono che porta sovra ogni sua
faccia scolpito uno degli otto venti principali coll’emblema, o della pioggia,
o dell'abbondanza, od altri tipi che alludono ai vantaggi, o ai danni che esso
reca. Queste figure che sono a mezzo rilievo, e all’incirca di grandezza
naturale, sono lodatissime dagl’intelligenti, e il monumento si può dire, così
come la Lanterna di Demostene pure, conservato nella sua integrità.
Procedendo più oltre ancora verso il centro della città si trovano quattro
belle colonne Doriche con cornice e frontone; una iscrizione che vi si
legge 12 aveva dato a credere appartenessero queste reliquie al tempio di
Roma e di Augusto, ma ora sono reputate essere state l’ingresso all'Agora
ossia Mercato. Questa opinione è corroborata dall'essersi ritrovata incastrata
nel muro una bellissima lapide di marmo, ove con stupendi caratteri è
scolpito un decreto di Adriano che regolava tutto quanto riguardava la
vendita degli olj che furono, e sono ancora il più importante ed abbondante
prodotto dell'Attica. Queste colonne sono di ottimo stile, benché più svelte,
si scostino alquanto dal severo e purissimo Dorico del Partenone, e del
tempio di Teseo.
Oltrepassata la Torre dei venti conviene piegare a destra per arrivare al
luogo ove il Mutzellim, detto anche Vaivoda, o governatore dell'Attica ha il
suo palazzo. Questo palazzo è costrutto interamente alla Turca, se non che

11 Di questo monumento parla Vítruvio lib. I, 56, ove trattando del numero dei venti dice: “Sed qui diligentius
perquisiverunt, tradiderunt eos (ventos) esse octo, maxime quidem Andronicus Cyrrostes qui etiam exemplum
collocavit Athenis turrim marmoream octogonon, ecc.” — La Torre dei venti è stata quasi assolutamente
rovinata nell’ultima guerra. (Ed.)
12 Tre sono le iscrizioni scolpite su questo monumento che qui riferiremo quali ci sono date da Stuart nell'opera

sua intitolata Antichità d'Atene.


La prima posta sull’architrave è così: “Il Popolo alla Dea Roma, e ad A. Cesare, essendo preside agli Armati
Pammene di Zenone, Maratonese, sacerdote della Dea Roma, e d’Augusto Salvatore, nell’Acropoli: essendo
sacerdotessa di Minerva Poliade, Megista figlia di Asclepiade, di Ala, sotto l’Arconte Arco di Merione, di Peana.”
La seconda iscrizione scolpita sull'Acroterio che termina il frontispizio, dice: “Il Popolo a Lucio Cesare, figlio
dell’Imp. Augusto, figlio di Dio.”
La terza si legge in una base quadrata sulla quale dovea essere una statua, e posta verso l’estremità orientale del
portico. Le parole ne son queste: “A Giulia, Dea, Augusta, Provvidenza; il Senato dei Seicento, e il Popolo
(questa statua) eretta a spese di Dionisio di e Aulo, Maratonese, essendo Prefetti dell’Annona lo stesso Dionisio
Maratonese, e Q. Nevio Rufo Melitese.”(Ed.)

7
per uno dei suoi lati approfittarono gli architetti Barbari di un muro antico,
il quale fu già parte di sontuoso edifizio, se non dell’ottimo, almen di assai
buono stile, certo del tempo dei Romani, giacché invece del severo Dorico
s’adoprò il Corintio. Sporgono fuori dal muro, tutto di marmo, alcune
mezze colonne che portano l’intiera ornatissima scolpita cornice. Spon, ed
alcuni altri viaggiatori pensarono che queste reliquie dovessero appartenere
al tempio di Giove Olimpio13 Stuart in vece stimò doversi in esse ravvisare
il Pecile, ossia sala delle pitture, ed ultimamente il colonnello Leake le volle
parte dello Stoa, o portico di Adriano: solo posso aggiugnere che all’epoca
di mia dimora in Atene pendevano incerti su tal proposito i più intelligenti,
ed autorevoli, fra’ quali lo stesso signor Fauvel, né l’una più che l’altra
congettura ardivano favorire.
Altri vecchi muri si trovano pure nel palazzo del Mutzellim, e si crede che
potendo farvi scavi si verrebbero a trovare altri muri ancora, sculture,
fors’anche statue, e sostruzioni varie.
Alquanto più a settentrione, pezzi di mura poco ornate, e di cui da poco
tempo fu abbattuta una parte, appartenevano secondo il parere di Stuart, al
Ginnasio di Tolomeo14; ora altri loro danno altro nome. Salvo che facendo
scavi s’incontrino lapidi, o fondamenta di una forma tale da chiarire qual
fosse la destinazione dell’edificio, non si potrà mai stabilire a quale
fabbricato appartenessero parecchi avanzi, e specialmente questi posti in
parte della città ove erano più frequenti le sontuose pubbliche fabbriche.
Del disgusto, o dell’impazienza che gli cagionarono le dubbiezze delle
indicazioni, e le disparità delle opinioni si consola pienamente l’antiquario,
allorché uscendo da quelle strette e succide vie, ove solo a mezzo potè
13Che queste sieno le reliquie del tempio di G. O. secondo il supposto di Spon, Wheler, e Le Roi , è cosa cui
oggidì da tutti gli autorevoli si contraddice, e le ragioni addotte dallo Stuart, appoggiate sulle circostanze
architettoniche, e sulla descrizione delle località lasciatane da Pausania, basterebbe a dimostrarlo. Egli poi,
prendendo argomento dalla istessa descrizione di Pausania, credé potervi ravvisare il Pecile. Ora il Pecile più
anticamente detto Pisianacteons, forse perchè edificato a spese, o sui disegni di un Pisianace (Letronne), esisteva
prima della battaglia di Maratona (V. Esch. cont. Ctesiph.) che avvenne nell’anno 490 A. Ch., il 3.° della 72
olimp., dunque assai prima del Teseum, e del Partenone. Ciò essendo, quantunque non si possa acconsentire al
detto dell’autore, che l’edifizio si debba avere per Romano perchè vi si adoperò l’ordine Corintio, giacché,
stando ai fatti, questo fu adoperato , e nel monumento di Lisicrate, e nella Torre dei venti, opere assolutamente
Greche, è tuttavia da osservare che quello fu costrutto 160 anni almeno dopo il Pecile, e che questa non può
credersi di gran tratto anteriore a quello, se pur lo è: donde nasce che se vi sono illustri esempi di ordine
Corintio nei tempi ove fioriva l'arte in Atene, si può nullameno con qualche fondamento dubitare che esso sia
stato adoperato nei primordi di quell’epoca gloriosa. (Ed.)
14 Anche qui lo Stuart fonda giudiziosamente la sua congettura sul testo di Pausania, il quale descrive
minutamente questi edifizj. (Ed.)
8
vedere, e imperfetti gli altri monumenti che sono nella città, o perché soli
rottami, o perché incassati nelle moderne fabbriche, o da esse coperte, si
avanza alfine se non fuori del recinto, almeno fuori dell'abitato, e scopre
sopra un leggier dorso quell’intero, isolato, bellissimo tempio di Teseo.
Esso è di quella forma che colla antica frase architettonica si chiama Exastilo
Perittero, cioè avente sei colonne in fronte, ed un portico tutt’intorno: ha 13
colonne nei lati, la cornice, i due frontoni, tutto l’esterno è compiuto, intero
come se fosse terminato or ora. – Le sue colonne del più semplice, e
perfetto Dorico che ci tramandasse l’antichità, sorgono senza base dal piano
della gradinata. — I capitelli sono senza listello, la cornice col gocciolatojo
pendente. Gran parte del soffitto del portico è conservato, l’interno della
cella fu trasmutato in chiesa Greca; mancano due o tre colonne nell’interno
dell’atrio tra i pilastri. Qualche pezzo di basso rilievo credo fosse tolto da
lord Elgin, ma la maggior parte delle sculture, e sotto il portico, e fuori nelle
metope esistono ancora, e dimostrano che gli scultori di quell’età remota
non erano da meno degli architetti nell’arte di accoppiare la semplicità alla
bellezza. Le prodezze di Teseo vi sono rappresentate con una espressione,
una vivacità, e correzione di disegno mirabile, e degno di servire di eterna
scuola agli scultori, quantunque i Barbari, e forse più razze di Barbari
abbiano cercato passatempo guastandole, e mutilandole a tutto potere, del
quale strazio hanno più che ogni altra parte sofferto le teste. Questo tempio
fu edificato, secondo Pausania, 50 anni dopo la battaglia di Maratona, e
però nei più bei tempi di Atene, e prima del Partenone; onde per questa
ragione, e per essere intero, quantunque ei sia di molto men sontuoso del
Partenone, io lo rivedea sempre con più diletto, e m’era sì forte piaciuto,
che quando un bassà si fosse proposto di distruggere ogni vestigia di Atene,
potendone un solo salvare, avrei pregato per il tempio di Teseo. Questo
edifizio nei piani dati da Spon, e da Stuart si trova fuori il recinto, e così era
a loro tempo, ma allorché nel 17 ... un nuovo Anfione Turco a colpi di
bastone, come per incanto, fabbricò nuovo recinto in poche settimane, la
città fu allargata per quel verso, ed il tempio di Teseo si trovò nuovamente
dentro le mura.

9
Contorni immediati d’Atene

A chi, proveniendo dalle Cicladi, sta per accostarsi a Atene conviene passare
davanti alla ampia, ma mal sicura rada di Falero, poi progredire oltre
l’imboccatura del piccolissimo porto di Munichia, e solo quando finalmente
ha dato il volto al promontorio Alcime scorge in faccia il lungo, profondo,
capace, e bellissimo porto sì celebre presso gli antichi col nome di Pireo15, cui
i moderni hanno data la denominazione di Porto Leone, forse da un (altri
vogliono due) leone che vi si trovava posto su un pilastro, o molo che sorge
dalle acque, e che dai Veneziani fu tolto qual trofeo di loro vittoria. Chi
allenta il freno alla sua fantasia ha qui immenso campo ove spaziare
considerando l'attuale solitudine di quel porto d'onde scioglievano le vele
quelle centinaja di navi colle quali gli Ateniesi andavano a portar guerra sui
lidi Asiatici, sottomettere le isole dell'Arcipelago, combattere in Sicilia e in
Egitto, e dare un crollo al trono del Gran Re. — Qui pure da ogni lido
approdavano navi mercantili, apportatrici di merci d’ogni contrada allor
conosciuta dal Bosforo Cimmerio alle colonne d'Ercole. Or si fa conto su 9
o 10 bastimenti in tutto anno, e senza quel poco olio, quasi unica ricchezza
d’Atene il Pireo si rimarrebbe sempre deserto. Sul terreno circostante appena
s’innalza un Ciflik (ferme), una casa di doganieri, ed il meschino monastero di
S. Spiridione.
Nei tempi antichi v’era qui una città popolosa, e quando non lo dicessero gli
storici, bastanti a dimostrarlo sarebbero le reliquie di due teatri: in tutta
questa penisola poi si vedono, non dico avanzi, ma vestigia di antichi edifizj,
e coll’ajuto di un buon piano si trovano ancora leggieri segni del tempio di
Diana Munychia, di quel di Venere16, e della cittadella di Falero posta sulla
più alta eminenza. – Nel piccolo e stretto porto di Munichia, che quasi si può
dire una laguna, in cui le nostre navi non possono dar fondo, si distinguono
ancora sott’acqua le fondamenta dei muri che servivano a tenere al coperto le

15 Dice Pausania al capo 1° del libro I: “Il Pireo anticamente era un Demo, e avanti che Temistocle governasse
in Atene non era porto, ed invece aveano il porto al Falero più dappresso alla città. Ma poiché venne Temistocle
al governo, veduto che il Pireo era più comodo ai naviganti, ed avea tre bacini in vece d' urno solo al Falero, lo
adattò loro ad uso di porto”. (Ed.)
16 “Gli abitanti del Picco hanno particolar divozione a Venere, e più tempii gli eressero, il primo più antico di

Venere Dorittide; un altro posteriore; ed un terzo è recentissimo di Venere che i più chiamano Cnidia, ma gli
stessi Cnidi, Euplea” Paus. loco cit. (Ed.)

10
galere Ateniesi, ognuna delle quali avea per così dire la propria stanza, come
fu poi praticato a Venezia.
Tutta la penisola era cinta di mura, e di queste più che di qualsiasi altro
edilizio rimangono dei bei resti. Sulla punta S. E. fra gli scogli, e coperti a
mezzo dai flutti, sono molti pezzi di una colonna, probabilmente rostrale, di
diametro assai grande, ma di non bella pietra. Vicino ad essa è una specie di
sarcofago che viene indicato come la tomba di Temistocle 17 , tuttochè
Tucidide abbia scritto che a questo illustre cittadino non fu concessa la
sepoltura nella sua città, ma che i suoi prossimi portarono di nascosto le sue
ossa e le seppellirono oscuramente nella terra Attica.
Il Pireo è distante più d’un’ora da Atene: la strada è piana, e la campagna in
parte piantata di olivi. Spesso si distinguono le vestigia dei due lunghi muri
che assicuravano le comunicazioni tra il Pireo e la città; a poco più di mezza
strada si vede a destra un tumulo, ove si vuole fosse sepolta la bella vergine
Antiope, amata da Teseo. Il sig. Fauvel lo fece aprire, e vi trovò segni
indicanti essere veramente una tomba. Chi ne volesse sapere i particolari
veda la memoria da esso letta all’Istituto di Francia su questo argomento.
Nello accostarsi alla città, volgendo a destra, lo sguardo è attratto da sedici
altissime colonne, che dovettero esser parte di grandioso edificio a giudicarne
dalla piatta forma quadrilunga che ancora esiste, e che verso l’ Ilisso è
sostenuta da un muro. Queste colonne, che hanno sei piedi di diametro, e
per essere Corintie, e per la sagoma dei capitelli e delle basi annunziano una
costruzione fatta ai tempi degl’ Imperatori Romani, e sono dette volgarmente
le colonne di Adriano. Vi è chi vuole qui ravvisare il Panteone di Adriano
(Huyot), altri lo Stoa o portico dello stesso Adriano (Spon), ed altri il famoso
tempio di G. Olimpico (Leake), e come v’ hanno ragioni contrarie ad ogni
ipotesi e niun argomento concludente in favore di alcuna di esse, i dotti
moderni se ne rimangono incerti e sospesi.

17Plutarco nella vita di Temistocle così si esprime su questo argomento: “Diodoro il Geografo, nel suo scritto
sulle tombe, dice più congetturalmente che positivamente, che dopo avere superato un piccolo promontorio,
presso al Picco ed oltre al monte Alimo, si vede una ampia base sovra la quale in forma di altare sta la tomba di
Temistocle; ed appoggia questa sua opinione sulla testimonianza del poeta comico Platone (il quale si crede
vivesse poco dopo Temistocle), che scrisse: “Tuo sepolcro è posto in luogo propizio perché abbia dai viandanti
onore; e se presso i nostri porti a battaglia si venisse, testimonio del terribile combattimento egli sarebbe”.
Veramente non è facile il far concordare il senso di questi versi colla narrazione di Tucidide quasi
contemporaneo, e col clam humatum di Cicerone nel Bruto, altrimenti che col supporre che questo sito si
guardasse come fuori città” (Ed.)

11
Continuando, nella stessa direzione, il giro interno alla città, ed oltrepassati
alcuni pezzi di mura, già forse nel recinto antico di Atene, si scende verso il
meschinissimo torrente Ilisso che per lo più è senz’acqua 18 , onde è gran
ventura che si trovi presso al suo letto un fonte non molto abbondante né
pittoresco, che pure fu dagli antichi celebrato col nome di Callirhoé o
Enneakrunos.19
Ivi al tempo del Re Eretteo le donzelle Ateniesi furono insultate da' Pelasgi,
quali erano barbari pastori del monte Imeto, dal che si può dedurre come la
possanza dì quel principe non si estendesse gran tratto oltre le mura della
Città.
Al di là dell’ Ilisso il suolo si rialza ed offre piccole eminenze, sopra una delle
quali trovavasi già il tempio di Cerere, ancora esistente in parte ai tempi di
Stuart che ne dà i disegni, ora distrutto affatto. Più oltre s’incontra lo stadio
di Erode Attico, il quale sebbene spogliato dei suoi marini, pure mostra
ancora perfettissima la sua forma. È noto che Erode Attico20, ricchissimo e
dottissimo Ateniese, avendo, in un suo podere, trovato un tesoro, ne scrisse
tosto all’Imp. Nerva per averne gli ordini in proposito, volendo la legge che
al sovrano ne spettasse la proprietà. Rispose Nerva: «Usa del dono che Iddio
ti ha fatto». Erede forse temendo, per quanto io penso, delle avanie, od
almeno delle maligne relazioni di qualche proconsole, s’indirizzò
nuovamente all’ Imperatore significandogli che il tesoro era grande, e il buon
vecchio Nerva nuovamente rispose: «Usa, e se a vuoi, abusa del dono che
Iddio ti ha fatto». Rassicurato allora Erode, il quale già era ricchissimo, in
vece di accrescere i suoi poderi, volle usare a benefizio pubblico di questa sua
ventura, e con quel danaro formò, per sollazzo degli Ateniesi, uno Stadio,

18 Alcuni viaggiatori, che non usavano andare a fondo delle cose veggendo llisso e il Cefiso così poveri di acque,
fecero le beffe e dei poeti antichi, e delle ninfe che da essi vi si facevano abitatrici, ma i più assennati riconobbero
che se ora apparirono così meschini questi fiumi, ciò avvenne per le molte derivazioni che superiormente si sono
fatte a pro della coltivazione, (Ed.)
19 Tucidide, lib. II, tradotto dal Manzi: “Vi ha quivi quella fonte, la quale dalla forma che le diedero i Tiranni,

diciamo ora le nove Cannelle (Enneakrunos), e in antico fu detta Calliroè dalle belle sorgenti da cui scaturiva; e le
acque sue erano destinate alle più grandi solennità”. In questi ultimi tempi questa fonte fu per opera del generale
Odisseo ristaurata. (Ed.)
20 Questo Erode fu Tiberio Claudio Attico Erode come consta dalla iscrizione letta da Spon in Atene e da esso

lui riferita: ella è così: “La tribù Antiochide ha consacrato Tib. Cl. Attico Erode Pontefice degl’ Imperat. per la
sua carità e suoi benefizj verso la patria”. La sorte di trovare il tesoro toccò al padre Attico, e lui fu che da Nerva
ebbe la risposta che si narra. Erode figlio di Attico fu console nell'anno 143, e per la mirabile sua facondia
meritò di avere discepoli gl’ Imp. M. Aurelio, e L. Vero: l’ Odeo di Regilla e lo Stadio furono opera sua. Il suo
consolato risulta da un epitaffio raccolto dal Morcelli p. 345 e dal Maffei M. V. p. 420. Ved. il Ciampi not. al c.
19 di Pausania. (Ed.)

12
nell’edificare il quale dicono consumasse una intiera cava di marmo
Pentelico.21 Il luogo ove si distinguono ancora bene i muri, si è nell'uscita
sotterranea, la quale è sufficientemente conservata; ma d’onde s’apre lo
stadio, vi s’imboccava un ponte che passava sopra l’Illisso, e di questo ancora
esistente in gran parte ai tempi di Stuart che ne ha dato il disegno, ora più
non restano che i pilastri.
A levante dello Stadio, su altro colle, si vede una cappella, ora chiamata
Stauromenos Petros, nel cui sito credono gli antiquarii fosse posto il tempio
di Diana Agrotera. Passato l’Illisso sul ponte si vede ancora un resto di via,
od almeno un rialzamento di terreno che indica la via che conduceva allo
Stadio.
Poco più in là alcuni ruderi sono creduti avere appartenuto al Liceo, giacché
quello è il sito ove Aristotile leggeva filosofia. Chi da quel punto s’innoltra
poi sulla via che conduce a Maratona trova, dopo mezz’ora di cammino , il
luogo di Angelo Kipus, ossia Giardini dell’Angelo: oltre all’esservi colà i
giardini più prossimi alla città, una cappella Greca con una grotta sottoposta,
due mirti, due bassirilievi ed alcuni frammenti d’ordine Jonico indussero il
sig. Fauvel a credere avervi scoperto il sito del tempio di Venere nei giardini,
del che vedo non essere Gell capacitato.
Quando venne Stuart nell'Attica, cioè 90 anni fa, si vedeano ancora a piè del
monte Anchesmus due colonne col loro fregio e cornice, e con una
iscrizione : egli le disegnò e credette fossero parte di un acquedotto di
Adriano, ciò indotto da una mezza iscrizione22 (ingegnosamente compiuta da
Spon). Le colonne furono dopo quell’epoca rovesciate, non ve n’ha più
vestigia, e l'iscrizione tolta via, ora serve d’architrave alla Porta di Bobonistra.
In quei contorni come in molti altri luoghi si seguono le tracce degli antichi
muri d'Atene, i quali s’estendevano, quasi per ogni parte, assai più che i
moderni, avendo computato il signor Fauvel che la città antica contenesse
una superficie la metà più grande che non la moderna. — Seguitando pei
campi all'intorno della città, si giugne alla Porta settentrionale di essa ove era
21 Alcuni vogliono che solo Io riedificasse o lo rivestisse dì marmo. Era lungo 125 passi, ossia uno stadio, donde
gli venne il nome; la larghezza n’era 26 passi. Vi si celebravano i giuochi nelle Panatenée. (Ed.)
22 Ecco l'iscrizione data da Spon:

Imp. Caesar. T. Aelius Hadrianus Antoninus


Aug. Pius Cos III Trir. PoTH P. P. AQua eductum in novis
Athenis coeptum a Divo Adriano patre suo
Consummavit dedicavitque.

13
il Ceramico esterno, e queste sono le sacre zolle impinguate colle ceneri di
quei sommi uomini che ventidue secoli non si stancarono di celebrare, di un
Pericle, di un Cabria, di un Trasibulo, ecc. Qui erano particolarmente sepolti
quegli Ateniesi che avevano sacrificata la vita alla difesa od alla gloria della
patria loro: appena ora avanzano qua e là pochi ruderi che forse faceano
parte di tombe venerate.
Infra questi campi una via s’indirizza verso un poggio il quale è supposto il
sito in cui era Colone, quel suburbio ove si raccolse Edipo, e donde prese il
nome la tragedia di Sofocle. Sopra un altro poggio meno alto e più a
ponente, credesi fosse posto il tempio delle Eumenidi, e nella sottoposta
valle bagnata dal torrente Cefiso doveano essere piantati i boschetti
dell’Accademia, all’ombra dei quali Platone eloquentemente spiegava le
dottrine di Socrate: ma e di essi, e della casa di Platone, e della torre di
Timone il Misantropo altro non ci resta che vaghe congetture. Continuando
il corso di questa valle del Cefiso si vede il terreno rivestito di oliveti, che si
estendono largamente sulle due rive del ruscello, al di là della via che
conduce ad Eleusi, altre volte detta via Sacra. Abbandonando poi questa
valle per non allontanarsi di troppo dalla città si viene a prendere la cresta dei
colli che accerchiano verso ponente.
Tra questi colli, il primo si vuole, non senza contrasto, sia il Lycabetus, il
secondo è da venerare come sacro alla eloquenza ed alla politica. Qui i
Temistocli, i Demosteni, gl’Isocrati, ossia da prima gli uomini di Stato, poi gli
oratori, quindi i retori, si studiavano volgere a loro posta gli animi di una
moltitudine mobile, leggiera, talvolta anche feroce, ma ingegnosa, colta, e
sensibilissima alle seduzioni dell’armonia e dell’eloquenza. — Questo colle,
tanto celebre per essere stato il luogo delle assemblee del popolo Ateniese,
dagli antichi era detto il Pnix23: non vi si distingue oggidí che un grosso muro
e qual che taglio nella rupe, quale a forma di gradini, quale di piattaforma; qui
dicono si ponesse l’oratore, là il popolo che ascoltava. Il Pnix ed il Ceramico
furono i due luoghi in Atene al cui aspetto l’animo mio più si commosse,
quei che da sommi operando nell’uno, nell’altro riposando gloriosi.

23 Leggesi in una di quelle cartoline trovate scritte di mano dell’Autore, che avendo egli interrogato il dottissimo
signor Fauvel se quello era veramente il Pnix, egli ridendo rispose: “Oui, tout ce que vous voudrez” come dire,
aggiunge il Vidua, che nessuno ne sa il certo; e intanto si battezza come meglio appaga ciascuno. (Ed.)

14
Ultimo, e più alto, tra questi poggi, è la collina del Museo, sopra la quale
s’erge il monumento di un tal Filopapo ricco signore di Sorìa24, che visse ai
tempi di Trajano. Questo monumento è di marmo, e vi sono bassirilievi di
qualche merito, ancorché nella totalità già apparisca lo stile dell’epoca di
decadenza nell’arte. — La collina di cui si tratta uguaglia in altezza quella
dell’Acropoli, se anche non gli sovrasta, e però vi aveano i Greci posta la loro
batteria contro alla cittadella mentre mi trovavo in Atene.
Su questi colli del Licabeto, del Pnix e del Museo, se con diligenza si
ricercano, si riconosceranno molte vestigia di antiche costruzioni: qua sono
resti di mura, di strade, là alcuni segni indicanti il sito ove era la Porta Piraica,
e forse anco della Dipylon, scavi nel sasso, grotte, sepolcri; v’è persino in
certi luoghi l’incavo fatto per mettervi lucerne, e lumicini onde illuminare il
popolo sovrano quando si raccoglieva in assemblea di notte tempo. Tale è in
breve e a un di presso il numero, l’ordine e lo stato dei monumenti ossia dei
principali vestigii delle grandezze di Atene.
RIFLESSIONI SOPRA I MONUMENTI
ED IL SITO D'ATENE.

Chi si fa a riscontrare lo stato attuale de’ monumenti d’Atene colle


descrizioni della sontuosità di quella patria delle arti, tramandateci dagli
antichi scrittori, compiangerà certamente la sorte di già sì illustre, or sì
decaduta città. Ma siccome e le felicità, e le sventure, come ogni altra cosa
umana, più si giudicano per via di paragone che per giudizio positivo, forza è
confessare, o piuttosto consolarci, pensando che la Dea delle arti, quella
Minerva patrona antichissima di Atene, non abbia mai tolto interamente lo
sguardo dalle sua città favorita, e che ad onta delle rovine fatte da’ Romani,
da’ Barbari Nordici, e da’ Barbari Musulmani, essa l’abbia ancora salvata
dall’intera distruzione, cui soggiacquero tante altre città, e v’abbia serbato
preziosi modelli pel nostro insegnamento, e splendidi e gloriosi segni della
sua antica maestà. E veramente che non dico Pausania dello splendore di
Olimpia ? dello immense ricchezze in fatto d’arti, che esistevano in Delfo?

24 Si crede fosse questo Filopapo discendente dai Re di Sorìa, da quell'Antioco che tanto si mostrò propizio e
liberale verso gli Ateniesi coll’abbellirne la città, e compier il tempio di Giove Olimpico. La statua di questo Re
stava posta sul monumento di cui si tratta; l’iscrizione poi clic vi si leggeva, dava a Filopapo il titolo di console, e
siccome il suo nome non si trova nelle tavole consolari, pensarono alcuni elle dovesse essere solo Consul suffectus.
(Ed.)
15
degli edificj nobilissimi di Corinto? per non nominare tanti altri luoghi, di cui
fa ampia e diligente descrizione. Ed or appella uno Ippodromo, con qualche
altro meschino rimasuglio si trova in Delfo, un rozzo Tempio a Corinto, e
lunghe investigazioni hanno appena dato qualche barlume sulla topografia di
quella città, ove a celebrar misterj e giuochi si radunava la Grecia intera.
Oltre ad una certa quantità d’edificj antichi è da notare che in Atene si
trovano più che altrove edificj perfetti, modelli dell'ottimo gusto in fatto
d’architettura. Per questa parte Atene è una città unica. Né l’Egitto, né Roma
stessa le possono contrastare il primato. E comunque in Roma sieno
monumenti maravigliosi non credo si possano contar tanti edifizj, per
semplice eleganza perfetti, al pari di questi più antichi d'Atene, cioè i Propilei,
il Partenone, ed i tempi di Minerva Poliade, Eretteo , e Pandroso; e nella città
il tempio di Teseo, la Torre de’ Venti, e la Lanterna di Demostene.
Terza cosa da considerare in questi principali monumenti d’Atene, si è che
alcuni di essi sono ad un tempo modelli d’architettura e di scultura. Certo che
i bassirilievi del Partenone, e del tempio di Teseo, il fregio della Lanterna di
Demostene, le figure de’ Venti nella Torre da essi denominata, saranno
eterno esemplare a chi maneggia scalpello. E dove trovar sculture simili?
In questo luogo è da riflettersi che sebbene i monumenti di Roma e di Tebe
sieno maggiori di quei di Atene quanto alla mole, questi li avanzano per la
bellezza della materia perciocché il marmo Pentelico profuso, o per meglio
dire, il solo materiale impiegato in questi edificj, è materiale assai più
prezioso che il travertino di Roma, o la pietra dell’Alto Egitto. Ed in questo
si scorge una novella prova, che l’ingegno non vale quando non sia soccorso
dalle circostanze e dalla fortuna. E certamente a formare un Fidia non
bastava un talento soprannaturale, l'incoraggiamento di Pericle, l’ingegno
degli Ateniesi, la natura loro inclinata ad ammirare il bello, a schernire i
difetti, due possenti mobili di emulazione, poi le ricchezze acquistate in
lunghe, e felici guerre, e consigli dedotti, e le osservazioni de’ dilettanti, e il
concorso degli stranieri, e l’insegnamento de’ maestri, e le censure degli
emuli; tutte queste tante circostanze, non bastavano, ma ci voleva la cava di
marmo del monte Pentelico. Se a questo monte non avesse la natura fatto
dono di celar nelle sue viscere una sì bella, sì bianca, sì fina specie di marmo,
o se fosse stato troppo lontano dalla città, avea bel nascere un Fidia, ei viveva
e moriva ignoto, e gli Ateniesi non sarebbero mai stati in fatto di scultura i
maestri del mondo. I primi lavori sono sempre rozzi; ma allorchè la materia è
16
docile alla mano dell'artista, esso compiacesi in raffinare le sue prime
invenzioni. Questa diversità della natura delle pietre dimostra, cred’io, il
motivo per cui la Grecia, e l’Italia saranno sempre le due patrie della scultura
nobile, e per cui la Grecia tanto perfezionò e raffinò le modanature degli
ordini d’architettura, nel che fu seguita, ma non superata da’ Romani; e
dimostra pure perché gli Egizj non poterono condurre a gran raffinatezza la
statuaria, e dovettero contentarsi di ornamenti severi, e d’una quasi rozza
semplicità, poiché a maggior finitezza gl’impediva di salire il troppo duro
granito, o la troppo molle, ed imperfetta pietra calcare.25
Ho detto che i Greci furono imitati, ma non superati da’ Romani, e da ciò io
deduco una quinta osservazione, cioè che fu un peccato non fossero ben
conosciuti i monumenti d’Atene all’epoca del risorgimento delle arti in
Europa. E per vero dire, qual persona versata nell’arte, e dotata di gusto
squisito, esiterà a preporre il Dorico d’Atene a quello del teatro di Marcello, il
Jonico di Minerva Poliade a quello del Colosseo? È vero che del Corintio
sono bellissimi modelli in Roma, ma pel Dorico lo abbiamo interamente
sbagliato, e prendendo il nome di quest’ordine dalla Grecia, non ne abbiamo
punto preso né le dimensioni, né le sagome. E mi persuado che verrà un
tempo in cui, essendo più frequenti i viaggi degli artisti in Atene, e più sparse
le opere che descrivono i suoi principali edificj, si propagherà in Europa
generalmente un gusto nell'architettura, in fatto d’ornato, più puro, semplice,
e corretto. Della qual mutazione già comincia in molti luoghi ad apparire
qualche segno, del che forse più che ad altri siamo obbligati all’Inglese Stuart,
che con somma diligenza, ed ammirabil pazienza fece, si può dir, la prima, e
finor ultima vera, esatta delineazione de' monumenti d’Atene.
Se non che a siffatta lusinga si potrebbe opporre che se bastasse l’aver belli
esemplari per non incorrere nella scorrezione, nell' affettazione, e insomma
in tutti que' difetti che segnano la decadenza dell’arte, mai non si sarebbe
veduto un Claudiano dopo Virgilio, un Borromini dopo Palladio, un
Lanfranco dopo Raffaello, od un Marino dopo il Petrarca. Alla qual cosa
certo non c’è che ridire, ed è pur troppo vero che quando o più non si
considerano, ne si studiano gli ottimi modelli, o che il pubblico comincia ad
annojarsene, come di cosa troppo usata, o che ingegnosi novatori attraggono
la moltitudine con un falso gusto, o che gli scrittori stessi con fallaci teorie

25 Sulle Tombe de’ Re di Tebe, la pietra essendo la migliore, essi disegnarono meglio i contorni. (L’Aut.)
17
distolgono da' veri esemplari, e sprezzandoli incoraggiano i giovani artisti a
prendere nuove e tortuose strade, il gusto si corrompe ad onta dell’esistenza,
e, direi così , della presenza de' grandi modelli. Della qual cosa abbiamo nella
stessa Atene evidenti prove. Ed io m’avviso che lungi dal temer di
scomparire, gli architetti della facciata in casa del Vaivoda, delle colonne
d’Adriano, avranno creduto gareggiare, o forse avanzare il Partenone, ed il
tempio di Teseo; lo scultor di Filopapo avrà notato difetti nei bassirilievi di
Fidia, e fin lo sciaurato architetto della Porta d’Adriano non si sarà accorto
che il suo disegno violava tutte le regole, e le pratiche usate da' sommi
maestri in quelle insigni opere, che doveano poi durar tanti secoli ad eternare
la gloria di que' grandi artisti, e col paragone la sua propria imperizia.
L’ultima riflessione, o per meglio dir congettura, che mi fece nascere la vista
di questi monumenti si fu, che la bellezza del sito e dei contorni d’Atene
abbia avuto qualche parte a stimolar la fantasia, e ad eccitar l’ingegno degli
artisti. Né varrebbe l’opporre che questa bellezza dura, eppur gli artisti sono
mancati, perché quando si adduce simil cagione, non è già come cagione
effettrice, ma cooperatrice, se cotali termini scolastici, ma precisi, si
potessero usare. Certo simili oggetti non bastano a formare un poeta, od uno
scultore; ma a chi sa le regole della poesia, e della scultura, e le ha praticate,
essi possono giovare accendendo la sua immaginazione, e somministrando
pascolo al suo talento. Ogni cosa ha il suo bello, ed i varii generi di bello
hanno come una parentela co-mune. La Natura si mostra ne' varii paesi più o
meno doviziosa, e così più o meno leggiadra, e il pittore di paesaggio nota la
differenza delle forme nella topografia, e nelle ondulazioni del terreno,
appunto come lo scultore nella forma delle membra umane. Io conobbi un
pittore, nato in Russia, il quale facendo i suoi studi in Pietroburgo disegnò
spesse volte montagne, ma con sì poca idea di quei che fossero, che giunto in
Crimea rimase attonito alla vista di vere montagne, le prime ch’ei vedesse; e
da quel giorno gli parve di sentirsi maggior attitudine al suo mestiere. Per la
ragione opposta io m’avviso, che gli artisti si sentissero, e si sentano ancor
ispirati non solo da quell’aria sanissima, ma dall’aspetto pittorico degli
accidenti del passaggio d’Atene. Qui come in tutta Turchia il soverchio
calore dà un aspetto arido al paese, e il Governo tirannico non lascia
perfezionare l’agricoltura, e dar quell’aspetto vivace e florido che un paese
prende dalla coltura universale ed attenta, che porta gran numero di alberi,
siepi, boschetti , ecc. Nulladimeno per quanto Attica sia per natura arida, e
18
per effetto del Governo mal coltivata, vi sono pure vaste campagne, e
soprattutto valli ripiene di foltissimi oliveti, che ravvivano la veduta, sebbene
con un verde assai pallido. I monti, benchè quasi nudi, hanno forme
determinate, e bellissime; il che si vede specialmente nel Parnes, nel Pentelico
e nell’Imeto, che fanno tre giogaje altissime, dominanti l’Attica. Ma
specialmente belle e determinate sono, a parer mio, le forme de’ minori
monti, o piuttosto colli, che accerchiano Atene. La cittadella sorge quasi
isolata, ed escarpée. È pur bello il colle del Museo colla sua catena del Pnix, e
del Licabeto, ma specialmente il monte Anchesmus ch’è appunto, come
volgarmente si dice, un pan di zuccaro. Questi diversi colli intersecati da
vallette, o da piani, variano veduta ad ogni mossa nel basso, e tanto più ad
ogni poco ch’uno si elevi nel salire alla loro vetta. Il mare fa un bel fondo al
quadro. Oltre il mare fanno come un fondo più lontano l’isola d’Egina, ed i
monti della Argolide, e del paese di Corinto. — Per contro, quando si viene
dalla parte del mare, servono di fondo le giogaje dell’Imeto, del Pentelico, del
Parnes e del Citerone, e sott’essi, come in secondo piano, ma assai ben
distinti e più vicini, spiccano que’ poggi, e soprattutto la cittadella, in mezzo a
cui, domina l’anche da lungi cospicuo Partenone. Il monumento di Filopapo,
il tempio di Teseo sono pur collocati in siti felici, che sono facili a vedere, e
belli ad osservarsi da varie parti, e da diversi ed anche opposti punti di vista.
Specialmente questo tempio di Teseo è sempre più mirabile quanto più si
guarda, e parevami scoprirvi nuove bellezze ogni volta ch’io lo rivedevo, e
alle diverse ore del giorno, e in tante maniere come batte il sole. Infine io
non penso che sia possibile l’andar in Atene, e lo starvi anche per poco senza
riportarne una vivace e forte immagine non cancellabile in mente. E ciò dico
io per la bellezza, varietà e direi così, originalità del sito, perché quanto
all’interesse che nasce, ed alla curiosità ch’è eccitata dalla memoria degli
uomini grandi di cui fu patria, e de’ grandi eventi di cui fu teatro, ogni
fantasia n’è accesa a men che non sia di ghiaccio, ed ogni uomo n’è
commosso a men che non sia rozzo, o stupido, o barbaro.

19
RELAZIONE

POPOLAZIONE E STATO MODERNO DI ATENE

La popolazione attuale (1820) di Atene è calcolata in 10.000 abitanti, di cui


un terzo Albanesi, un terzo Greci, e un terzo Turchi; ma io credo che i
Turchi sieno meno d'un terzo.
L’antico recinto, di cui si trovano frequenti vestigia, racchiudeva, per quanto
crede il signor Fauvel, metà più che il moderno 26 , e vi poteano in
conseguenza stare circa 15 mila persone salirti al numero che adesso vi si
trova, alloggiandolo come sono i 10 mila attuali: raddoppiamo questi 15.000
alloggiandoli più strettamente: aggiungiamo altri 20 mila per i siti ora incolti,
o giardini, o tempj che pur sono nel recinto, in totale saranno 50.000 abitanti
per l'antico recinto. Né vuolsi dimenticare quanto da Pausania si dice, cioè
esservi infiniti tempj, sacrati, edificj pubblici, portici che doveano occupare
grandissimo spazio. Ora come va che al dire di alcuni autori Atene conteneva
30 o 25 m. cittadini e 400 m. schiavi?27 Convien dire, o che abitassero gli uni
addosso agli altri, o che vi sia sbaglio nella cifra, o che contassero tutta
l’Attica. Forse mi si dirà che si contavano i sobborghi della città, e
specialmente il grosso, abitato ai porti, come la città del Pireo, ecc.: voglio
ben aggiunger molto per questa considerazione, ma sempre poi ponendone
50.000 in città, ve ne sarebbe ancora di troppo di 380 o 375 m. nei
sobborghi. Mi pare adunque che sia questo argomento da meditare ben bene.
26 Sulla estensione dell'antico recinto di Atene trovasi una chiara indicazione nel lib. II di Tucidide ove si legge
che “le mura Faleriche, che dalla città sporgevano fino in mare, erano lunghe 35 stadii, e quelle che dovevano
guardarsi lo erano 43. Vi aveva poi di tali luoghi tra le lunghe mura (lunghe 40 stadii sino al Pireo) e le Feleriche
che non si guardavano”. D'onde risulta che il recinto era di 43 stadii (metri 7917), più lo spazio tra le lunghe
mura e le Faleriche. (Ed.)
27 Siccome coloro che scrissero della popolazione di Atene per lo più si fondarono sul testo di Ateneo lib. VI,

cap. 20 dei Deipnosoph. riferiremo qui testualmente ciò che dice questo autore, non sempre, per quanto a noi
pare, stato esattamente tradotto. “Ctesicle al lib. III delle Cron, dice Ateneo, narra che nella 110 Olimp. per
Demetrio Falerico si fece in Atene il censo degli abitanti dell’Attica, e si trovarono 21.000 Ateniesi cittadini —
10.000 domiciliati e 400.000 a schiavi.” Queste espressioni a noi sembrano indicare la popolazione di Atene e
non dell'Attica, ed in questa opinione ci conferma ciò che disse Platone nel Critias, “i cittadini eletti e destinati
alla milizia, in tutta l'Attica essere in numero di 20.000.” – Plutarco poi ci lasciò scritto nella vita di Pericle, che
questi avendo fatto promulgare una legge per cui si dovevano solo avere per cittadini, i nati di padre e madre
Ateniesi, più di 5.000 furono privati della cittadinanza di cui godevano, e restarono soli 14,040 cittadini.
Finalmente Aristofane nell’assemblea delle donne, a un tale che si querela dì star senza pranzo, fa rispondere
assai curiosamente: “Che uomo felice a sei tu che essendovi in città più di 30.000 cittadini, solo tu hai saputo
restar digiuno?” Per accordare il testo di Plutarco con quello di Aristofane, pare sia d’uopo supporre che
quantunque questi dicesse cittadini, intendesse anche dei domiciliati che erano forestieri stabiliti in Atene. (Ed.)

20
Oltre a qualche speculazione sui cuoi, Atene, o per dir meglio l’Attica, di cui
Atene è il, porto, trae ogni sua attuale ricchezza dall’olio di olivi che vi
abbonda, e di cui il sig. Gropius calcola l'esportazione annua in 10.000 barili
Veneti. Come già dissi, non v’ha altro prodotto che nie riti essere notato.
L’aspetto della città moderna non è dissimile da quello delle altre città
Turche, tuttavia, siccom io veniva dall’Asia, ed era stato lungamente avvezzo
a veder terrazzi, mi fece senso il rivedervi le tegole, cosa che mi ricordava la
patria mia. Quasi tutti i fabbricati moderni sono in pietra, pochissimi in
legno, fra questi, o del medio evo, o dei Turchi, non ve n’è alcuno che meriti
essere visitato.
Dei Veneziani fanno memoria certi trinceramenti nell’Istmo, o nella penisola
istessa, tra il porto del Pireo, e quello di Falero. Inoltre verso il Pnix, e presso
l’Areopago v' ha una cappella dedicata a S. Demetrio, cui fu aggiunto
l'epiteto di Bombardiere , dacchè là vicino il Morosini piantò la batteria che
fu sì fatale al Partenone. Fra centinaja d’iscrizioni che vidi, o in sulle lapidi o
in iscritto, non ne incontrai alcuna che ricordasse i duchi Italiani di Atene
dell'illustre casa Acciajuoli28, o i duchi della casa di Brienne, dei quali fu quel
Gualtieri, tiranno di Firenze, che meritò essere ritratto dal robusto pennello
d’uno dei nostri storici maggiori.
Atene, per dire il vero, ha tanta gloria nella storia antica; i suoi monumenti
sono tanto degni di essere ammirati, e studiati; ogni sito, ogni colle, ogni
valle, ogni sasso desta tante e tali rimembranze, che, al par di Roma e di
Gerusalemme, l’antico vi assorbe l’animo in guisa che più non resta né
tempo, né desiderio di badare alle cose moderne. Epperciò nemmeno del
Governo Turco, delle autorità municipali Greche, e del bassà di Negroponte,
cui è da qualche tempo affidato il governo, io avrei cercato, né dal secolo di
Pericle mi sarei distolto, se una rivoluzione repentinamente scoppiata nella
Morea, e rapidamente estesa nell’Attica, non avesse fatto nascere in me il
desiderio di saperne qualcosa. L’occasione mi parve bella, e degna che un
osservatore vi si volgesse con tutto animo.
Era la prima volta (a riserva dei fatti del 1770) che dopo quattro secoli i
Greci tentassero di scuotere il giogo Ottomano, Atene essendo caduta in
potere de' Turchi nel 1455, e mi toccava la sorte di vedere risorgere il vessillo

28 Spon indica una chiesa sulla cima del Pentelico come edificata dagli Acciajuoli. (ed.)
21
Greco dopo più secoli, e ricomparire la croce là ove prima avevo vista la
mezza luna.
Avendo, in conseguenza di questa circostanza, deliberato di fermarmi in
Atene più tempo che prima non mi ero proposto, mi studiai di non
mostrarmi addetto né all’una, né all’altra patir, e adoperai ogni diligenza per
aver esatte informazioni, e vedere per me stesso ciò che avveniva quanto era
possibile. Frutto della mia dimora fu un Diario29, nel quale senza giudicare i
partiti, ho posto cura a narrare giorno per giorno ciò che succedeva, e quanto
si diceva: i racconti contraddittorii vi sono posti l’uno in faccia all’altro colla
più gran fedeltà, del quale Diario, siccome troppo minuto, non darò qui la
copia, ma forse in appresso un estratto.

29Questo Diario non ci venne in mano, ma in parte vi ponno supplire i particolari che nelle Lettere di Carlo
Vidua si trovano ragguagliati (Ed.)
22

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