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23/10/2018
30/10/2018
1.2. TEOLOGIA: ASPETTI TEORETICI. COSA VUOL DIRE "INTELLIGENZA DELLA FEDE"?
6/11/2018
La verità cristiana è una verità paradossale. Il paradosso non è una contraddizione: la contraddizione è
un'insignificanza, una verità non concettualizzabile, una totale assenza di verità. Il paradosso è piuttosto
una verità in tensione, che vive di polarità, capace di risuonare come una corda tesa. Il paradosso non solo
lo si può pensare, ma anche sperimentare. Molte delle verità contenute nella Rivelazione sono paradossali:
basti pensare alla natura umana e divina di Cristo, a Maria figlia del suo Figlio, o alla Chiesa definita casta
meretrix.
Quella del mistero è una categoria tanto affascinante quanto abusata, tanto da diventare spesso la
giustificazione colpevole della nostra ignoranza. Per Pascal il mistero è da un lato il limite della ragione,
dall'altro la ragione del limite. Pascal ci insegna che non è sufficiente rispondere a una domanda
affermando che non è possibile rispondere, ma occorre esibire le ragioni del limite che viene posto alla
ragione. L'appello al mistero non è dunque una rinuncia all'uso della ragione, ma una esaltazione della
ragione stessa, che davanti al mistero impara ad autodisciplinarsi ponendosi un confine e affermando se
stessa. Di questo limite della ragione facciamo esperienza quando, ad esempio, cerchiamo di rispondere
alla domanda «Perché amare?» e ci rendiamo conto che l'amore rifiuta nessi di causalità, e non può quindi
essere spiegato razionalmente. Pascal dice: «Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non comprende».
Quando parla di cuore, non parla di qualcosa che è altro dalla ragione, ma di una ragione altra.
A volte la riflessione teologica è semplicemente una domanda intelligente, che squarcia un orizzonte di
sapere senza riuscire a definirlo. Ne è un esempio la riflessione di Marcel che si interroga se l'uomo sia
identificabile con il proprio corpo o se vi sia un di più.
13/11/2018
1
Questa affermazione sembra paradossale, ma non è così. Ad esempio, nelle scienze naturali, il dato di natura non
costituisce intrinsecamente la scienza: l'oggetto è costruito dalla scienze stesse, quindi non è dato.
stato inventato, ma precede l'umano), anonimo. Tuttavia entrambi hanno a che fare con il passato e con la
memoria.
20/11/2018
2
È questo un verbo troppo poco utilizzato in teologia.
delle precomprensioni di tipo analitico (si cura la singola parte del corpo), mentre la medicina orientale ha
precomprensioni di tipo sintetico (si cura la persona); la matematica vive della precomprensione che tutto
sia razionalizzabile. La precomprensione specifica della teologia sta nella convinzione che la Scrittura e la
Tradizione contengano la Parola di Dio: per questo si può affermare che non può esservi un teologo ateo.
Questa precomprensione non solleva comunque il teologo dalla necessità di rendere pubblico il risultato
dei suoi studi, e nemmeno dalla necessità di mostrare la credibilità della sua precomprensione. La teologia
fondamentale è quella parte della teologia che si preoccupa della credibilità di questa precomprensione.
Il teologo non pensa alla verità come qualcosa di oggettivo (nemmeno di una verità scientifica si può
affermare che è oggettiva più di quanto non lo sia una verità di tipo poetico o artistico), ma come a una
verità vivente capace di relazionarsi.
27/11/2018
Nel circolo ermeneutico, le parti rendono possibile la comprensione del tutto e il tutto rende possibile la
comprensione delle parti. Questo circolo è destinato a non finire mai: per questo la teologia non finisce mai
di dire ciò che ha da dire, ma è un sapere sempre in crescita. Il teologo è ben consapevole di pronunciare
una parola che non è mai definitiva: egli deve lasciare una riserva escatologica, in quanto la comprensione
totale della realtà sarà possibile solo alla fine dei tempi. Ciò vale anche per il Magistero e per i dogmi.
1.4.2.2. Apologetica
L'apologia si è sistematizzata e raccolta intorno ad alcuni temi, diventando apologetica; il più alto grado di
sistematicità si è raggiunto nel Basso Medioevo. L'apologia ha individuato tre nuclei del proprio discorso:
la demonstratio religiosa, volta a rendere credibile la religione nei confronti degli atei: questo aspetto
si è sviluppato relativamente tardi, perché nel Medioevo vi erano pochissimi atei;
la demonstratio christiana, volta a evidenziare che, tra le varie confessioni religiose, quella vera è la
cristiana: il confronto è in particolare con il mondo islamico;
la demonstratio catholica, volta a dimostrare la superiorità della Chiesa Cattolica rispetto alle altre
confessioni cristiane.
1.4.2.3. Teologia fondamentale: Rivelazione, credibilità, epistemologia
Nel XVIII secolo si creano due scuole, una facente capo alla Pontificia Università Gregoriana e una facente
capo all'Università di Tubinga. È in questo frangente che nasce il termine Teologia fondamentale, con il
quale si vuole recuperare un'istanza positiva dopo gli sforzi polemici a cui era tesa l'apologia. È come se si
acquistasse consapevolezza che l'altro a cui bisogna rendere conto non è solo fuori di sé ma anche dentro
di sé: si vuole cioè rispondere all'esigenza di ogni credente di interrogarsi sulle ragioni per credere. È così
che l'apologetica comincia lentamente ad abbandonare la struttura precedente e ad acquisire nuclei
tematici propri:
il concetto di Rivelazione, inteso sic et simpliciter: i teologi si interrogano su quale sia lo specifico della
Rivelazione cristiana;
la credibilità della Rivelazione, ossia l'indagine sul fatto che sia veramente accaduta.
la credibilità alla teologia, quindi il suo statuto epistemologico: questo nucleo è direttamente collegato
al precedente.
Possiamo dire che, se tutto il mondo si convertisse al cattolicesimo, l'apologia scomparirebbe, mentre la
teologia fondamentale continuerebbe ad esistere. L'apologia vuole vincere, la teologia convincere.
4/12/2018
11/12/2018
2. AUDITUS TEMPORIS
2.2. IL POSTMODERNO
8/1/2019
3
Il liberismo ha subìto un duro colpo allorché la crisi del 1929 ha richiesto l'intervento dello Stato in economia.
4
Il termine λόγος deriva da λέγειν, "legare".
2.3. TEOLOGIA E RILIEVO CULTURALE DELLA SCIENZA MODERNA
5
Per citare un esempio di questo profondo cambiamento, possiamo dire che parlare di miracolo per l'uomo moderno
non ha la stessa pregnanza che aveva per un medievale.
scienziato, non adducendo prove ma solo indizi alla teoria eliocentrica6, ma da ottimo teologo, chiarendo
che l'intento della Bibbia non è quello di mostrare il funzionamento del mondo, ma quello di condurre alla
vita eterna.
6
Galilei accennò risposte parziali alle obiezioni che gli venivano mosse. A chi riteneva che la rotazione della Terra
avrebbe dovuto provocare la caduta non perpendicolare degli oggetti, Galilei rispondeva che anche su una nave dal
moto uniforme gli oggetti cadono perpendicolarmente.
7
Un problema che in questa sede non affrontiamo è il rapporto tra la teologia e l'esistenza degli extraterrestri, di cui si
è occupato Andrea Aguti.
nell'universo: ad esempio, la costante ρ, che indica il rapporto tra massa e volume dell'universo, non
avrebbe consentito la nascita della vita se solo avesse differito di ±10-18 rispetto al valore che
effettivamente ha.
Il principio antropico non può essere un argomento a favore del pensare teologico, perché d'altra parte
porrebbe in luce altri problemi, legate alle imperfezioni del cosmo. Tuttavia quello antropico, sebbene non
possa essere usato per dimostrare l'esistenza di Dio, è un principio utile per farci continuare a interrogare.
Negli Stati Uniti, invece, i teologi vanno così oltre da voler utilizzare il principio antropico come
dimostrazione non solo dell'esistenza, ma anche della bontà di Dio.
2.3.3.3.2.3. Teilhard de Chardin
Teilhard de Chardin ha forse peccato di inesattezza epistemologica: il suo limite è che non si capisce
quando le sue affermazioni sono teologiche e quando scientifiche.
15/1/2019
8
In merito alla formulazione del modello inclusivo, si veda la vicenda di Jacques Dupuis.
2.4.1.3. Modello del pluralismo
È un modello sviluppatosi molto recentemente in ambito cristiano, secondo il quale ogni religione può
garantire la salvezza in sé stessa: il musulmano si salva in quanto musulmano, il buddhista in quanto
buddhista. Il modello cerca di reggersi su una pneumatologia che possa giustificare le sue affermazioni, ma
risulta molto problematico rispetto all'affermazione dell'unicità della salvezza in Cristo.
Nessuno dei tre modelli analizzati è del tutto soddisfacente.
26/2/2019
3. LA RIVELAZIONE
3.1. RIVELAZIONE E FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO
3.1.4. La comunicazione
Il fatto che Dio, prima di comunicarci delle verità, ci comunichi se stesso, come rimarcato dalla Dei Verbum,
ci fa capire che non siamo nel mondo dello gnosticismo, ma del personalismo.
3.2.1.2. Storicità
Mentre nelle altre religioni la divinità, dopo essersi manifestata, torna tale e quale era prima, nella
Rivelazione cristiana Dio porta con sé la carne umana. La storicità del cristianesimo produce ciò che Von
Balthasar chiamava, con un'espressione paradossale, l'universale concreto: concreto è Gesù di Nazareth, la
cui vita è ben circoscritta in un certo periodo storico, eppure la sua storia ha un valore universale,
9
Questa considerazione dovrebbe spingere i teologi a un coraggio che non sempre hanno avuto: parlare della fragilità
di Dio a partire dalla fragilità della carne di Cristo.
riguardante l'umanità di tutti i tempi. Dobbiamo avere il coraggio di affermare che Dio è cambiato: è
cambiato dopo la creazione10 ed è cambiato dopo l'incarnazione.
5/3/2019
3.2.1.3. Interpersonalità
La Rivelazione non è una comunicazione di conoscenze, come nella gnosi, ma è in primo luogo incontro,
amicizia, relazione sponsale. Se si perde questa dimensione, si riduce la fede a una dottrina.
3.2.1.4. Progressività
Dio, come un buon pedagogo, fa crescere il proprio popolo fino a rivelarsi nel modo più alto possibile
attraverso il Figlio. I Vangeli occupano un posto privilegiato perché raccontano il vertice della Rivelazione. È
indubbia l'importanza pastorale della progressività della rivelazione, che non deve essere legata
esclusivamente all'età anagrafica, ma alla situazione in cui ogni persona si trova.
3.2.2. Caratteristiche della Rivelazione a partire dalla patrologia
3.2.2.1. Il problema centrale e la soluzione
Il problema centrale che tutti i Padri hanno affrontato, sebbene in modalità diverse, è il seguente: preso
atto che Cristo è il massimo dispiegamento della verità, che farne di tutto ciò che era prima di lui?
In campo filosofico Giustino dà una soluzione che verrà condivisa data anche dagli altri Padri: la Rivelazione
da un lato è in continuità, dall'altro in discontinuità con la filosofia. In campo biblico, Ireneo individua la
continuità nel fatto che il Nuovo Testamento è la risposta alle promesse dell'Antico, e la discontinuità
nell'adempimento di tali promesse, che ne è un superamento. In campo antropologico, i padri cappadoci da
un lato sottolineano l'importanza del vissuto pregresso per riconoscere il Messia, dall'altro evidenziano la
necessità della grazia preveniente per questo riconoscimento.
3.3.1. Scrittura
3.3.1.1. La Scrittura nella Tradizione
3.3.1.1.1. Il problema del testo originale
Non possediamo il testo originale della Bibbia, ma solo codici che cercano di ricostruirlo; dunque il testo
originale non è sparito, ma è custodito all'interno della Tradizione. Vi è poi il problema della lingua: il testo
canonico, secondo il Concilio di Trento, è quello latino, tuttavia l'originale è stato composto in altre lingue.
3.3.1.1.2. Il canone
Il canone dei libri biblici è fissato dal Concilio di Trento, che tuttavia non ha fatto altro che riconoscere ciò
che la Tradizione aveva già stabilito. È dunque la Tradizione, cioè il popolo di Dio, ad aver stabilito il canone,
e non un singolo individuo con un atto decisionale ben preciso. Quanto più l'accadere di una scelta da parte
di un popolo è inconsapevole, tanto più essa è autentica.
La Tradizione che custodisce la Scrittura. Quando Dei Verbum n. 12 dice che la Scrittura va letta alla luce
della Tradizione si riferisce a questo: se tra Scrittura e Tradizione non vi fosse questo stretto rapporto,
10
Secondo la mentalità ebraica, Dio con la creazione si è come "ristretto": infatti nulla del mondo è Dio (ce ne
rendiamo conto considerando che Dio ha creato dal nulla), benché Dio sia presente nel mondo, particolarmente nel
cuore di ogni uomo. La teologia della presenza di Dio nel mondo sta ancora muovendo i primi passi.
saremmo portati a considerare quella di Dei Verbum come un'ingerenza esterna, e considereremmo la
critica testuale come la migliore interpretazione della Scrittura. Ma si tratterebbe di una interpretazione
riduttiva: il senso della Scrittura, infatti, è più ampio di ciò che l'autore intendeva. Gli autori biblici non
erano consapevoli che stavano scrivendo un libro della Bibbia. I protestanti sono imbarazzati da tale
questione: essi debbono ammettere che il canone è stato fissato dalla Chiesa primitiva, ammettendo
dunque che la norma che ha stabilito il canone è esterna: non vi è infatti all'interno della Scrittura stessa un
elenco dei libri canonici.
19/3/2019
3.3.2. Tradizione
3.3.2.1. Tradizione ed antropologia
Il concetto di tradizione richiama soprattutto quello di conservazione di qualcosa che si riceve per
tramandarlo ad altri. È una interpretazione corretta, ma non è l'unico significato del concetto di tradizione.
La dinamica di trasmissione è possibile all'interno della dimensione antropologica dell'appartenenza: si può
ricevere qualcosa e consegnarla a chi verrà dopo perché si appartiene a qualcosa a cui appartiene anche chi
viene prima e chi viene dopo. La tradizione intesa in questo senso più ampio ci dà un'identità, ci fa "sentire
a casa", cioè ci fa essere consapevoli di trovarci nel luogo a cui apparteniamo. Alla luce di questa
considerazione, l'operazione di custodire non risulterà dunque fredda come quella di un frigorifero, ma si
arricchirà della dimensione della condivisione. Dei quattro significati del termine tradizione che passeremo
in rassegna nel paragrafo 3.3.2.2., l'ultimo è quello che corrisponde maggiormente alla dimensione
dell'appartenenza.
11
Uno scisma non si ha quando vengono proclamate verità eretiche, ma quando si interrompe la successione
apostolica.
12
Spesso dimentichiamo che il movimento monastico si è sviluppato in ambito laicale.
13
Il sensus fidei non può essere indagato con indagini statistiche.
o di una mancanza di fede da parte del popolo di Dio, provocate dall’assunzione non sufficientemente
critica della cultura contemporanea. Ma in taluni casi, può essere segno che determinate decisioni sono
state prese da chi ne ha autorità senza tenere in debito conto l’esperienza e il sensus fidei dei fedeli, o
senza che il magistero abbia consultato a sufficienza i fedeli.
Di solito non ci si pone il problema se la mancata ricezione sia segno di una debolezza di fede o del fatto
che la decisione non abbia tenuto conto del sensus fidei dei fedeli: di solito si dà per scontata la prima
opzione.
2.3.2.2.4.2. La recezione
Recepire significa accogliere, far proprio, mantenendo in vita. Il fatto che una disposizione data al popolo
venga recepita o meno non è solo questione di cattiva volontà, ma può avere un significato teologico. La
recezione è un aspetto fondamentale del dogma, perché se qualcosa non viene recepito dal popolo di Dio
vuol dire che non appartiene all'esperienza di fede vissuta da un popolo. Si tratta di un'affermazione
pesante, che chiaramente va accompagnata a un cauto discernimento per tener conto della pressione della
cultura dominante e dei mass media. Questa questione ci rimanda a quella del sensus fidelium.
2.3.2.2.4.3. Il popolo di Dio
Il concetto di popolo di Dio non risale al Concilio Vaticano II, ma alla Scrittura; è stato faticosamente
valorizzato da teologi come Yves Congar, Henry De Lubac e altri, per poi essere accantonato (in tal senso il
Vaticano II è stato recepito con difficoltà), probabilmente perché negli anni '70 si considerava pericoloso il
concetto di popolo, ed essere in seguito ripreso a partire dall'America Latina e quindi da papa Francesco.
Quando si parla di Chiesa docente e discente senza parlare del popolo di Dio, si incunea nella Chiesa una
divisione i cui esiti sono molto pericolosi: il clericalismo è l'attribuzione di un'eccessiva importanza alla
Chiesa docente rispetto a quella discente. È pericoloso parlare di pastori al plurale: il pastore è uno, e
occorre ricordare che i preti sono pastori ma anche pecore. Un buon pastore è tale quando puzza di pecora;
se dopo aver lasciato il suo popolo si sente libero come da un lavoro, non è un buon pastore (vedi la
Relazione per i 50 anni del Sinodo dei Vescovi).
26/3/2019
2/4/2019
14
L'analisi narrativa, ad esempio, è utile nell'avvicinarsi al libro di Giobbe, in cui ciò che il narratore afferma (come ad
esempio il fatto che Giobbe era un uomo giusto) non necessita di essere ulteriormente indagato.
Nella formazione del Vangelo, la predicazione orale precede lo scritto, benché oggi si ammetta che
esistessero tradizioni scritte fin dall'inizio, forse anche risalenti al periodo della vita di Gesù. La fase della
redazione dei vangeli risente del contesto comunitario in cui nascono e a cui sono rivolti.
3.5.1.1.2. La formazione dei sinottici
Il Vangelo più antico è quello di Marco, da cui attingono Matteo e Luca. Pare esservi un'altra fonte, la
cosiddetta fonte Q, che secondo alcuni è il vangelo aramaico dell'apostolo Matteo. Sia Luca che Matteo si
avvalgono anche di materiali propri, e probabilmente il materiale proprio di Luca è condiviso con Giovanni.
3.5.2.3. Lessing
Il pastore luterano tedesco Lessing affronta la questione Gesù, uomo particolare vissuto nella storia che
tuttavia pretende di essere il Cristo, salvatore universale17, come un brutto fossato che egli non riesce ad
attraversare. Egli conclude che Gesù è un maestro di morale, privando il cristianesimo della sua dimensione
ontologica e ponendo l'accento sul fare la volontà di Dio piuttosto che sull'essere figli di Dio.
15
A tal proposito si veda La cruna e il cammello di Maggioni, sull'umanità di Gesù.
16
Il romanticismo all'illuminismo l'astrazione, rivendicando l'importanza della storia.
17
L'idea di Gesù Cristo che racchiude l'universale nel particolare è ripresa da Von Balthasar che parla del tutto nel
frammento.
3.6. LETTURA E COMMENTO DELLA DEI VERBUM
La Dei Verbum è una Costituzione Dogmatica pubblicata il 18 novembre 1965, dunque alla fine del Concilio
Vaticano II. Vi si avverte una differenza di linguaggio rispetto alla Sacrosanctum Concilium, pubblicata
all'inizio del Concilio. Oggetto della Dei Verbum è la divina Rivelazione.
Un documento analogo alla Dei Verbum è la Dei Filius, pubblicata nel 1870 durante il Concilio Vaticano I,
rispetto alla quale vi sono continuità e discontinuità. La principale differenza sta nel fatto che la Dei Filius
considera la rivelazione di Dio una rivelazione di verità, mentre nella Dei Verbum oggetto della rivelazione è
la comunione con Dio.
2. Il motivo della rivelazione è insondabile: «piacque a Dio». Il termine economia sorge in ambito teologico.
Il settenario sacramentale si radica nella dimensione sacramentale della rivelazione (gestis verbisque). Dio
non rivela solo se stesso, ma rivela anche l'uomo all'uomo. In Cristo il segno coincide con il referente, cioè
Egli è rivelatore e rivelazione: per questo in lui vi è una luminosità del segno.
3. La Rivelazione si innesta gradualmente nella creazione. Vi è un crescendo nella comprensione che l'uomo
ha di Dio: dapprima lo riconosce come il solo Dio, quindi come Padre, quindi come Salvatore.
4. La Rivelazione pubblica è normativa anche per quelle private, riconosciute o meno che siano dalla Chiesa.
5. A Dio che si rivela è dovuta l'obbedienza dell'uomo. L'obbedienza non è negazione della libertà: nessuno
può essere obbligato ad agire contro coscienza.
6. Nelle cose divine non tutto è accessibile alla ragione; ciò che è accessibile si può conoscere più
speditamente grazie alla Rivelazione.
30/4/2019
7. Si evidenzia la dimensione universale della salvezza. La Tradizione comprende anche i Vangeli: Scrittura e
Tradizione non sono due realtà giustapposte, ma la Scrittura vive nella Tradizione. Si parla di «uno e altro
testamento»: non è sostenibile la teologia della sostituzione, secondo la quale la Chiesa sostituisce Israele.
8. Non sperimentiamo direttamente la tradizione apostolica, né la successione apostolica, ma
sperimentiamo la sacra Tradizione della Chiesa, che non è solo trasmissione di verità ma anche esperienza
di vita. La Tradizione della Chiesa, anche quando proclama dogmi, non aggiunge nulla alla Tradizione
apostolica, ma la comprende sempre meglio.
9. La Parola di Dio è molto più ampia della Scrittura e della Tradizione: essa si è incarnata e ha dato vita alla
Scrittura e alla Tradizione. Se si stacca la Scrittura dalla Tradizione, non si ha la Parola di Dio integrale.
11. La verità della Scrittura è quella che ci viene consegnata per la nostra salvezza, non altri tipi di verità.
12. Non siamo interessati solo al sensus auctoris, ma anche al sensus textus.
13. La Scrittura ha una debolezza, tanto più evidente a motivo del suo carattere perenne: il rischio di essere
fraintesa. La condiscendenza divina è proprio l'assunzione di tale rischio da parte di Dio18.
19. Si mostra il passaggio dalla storia ai Vangeli e dai Vangeli alla storia.
4. LA CREDIBILITÀ
18
Ogni volta che si spiega la Scrittura occorre tener conto di questa possibilità di fraintendimento.
4.1.1. Fides et ratio 48
Fides et ratio, al n. 48, recita così:
Ciò che emerge da questo ultimo scorcio di storia della filosofia è, dunque, la constatazione di una
progressiva separazione tra la fede e la ragione filosofica. E ben vero che, ad una attenta
osservazione, anche nella riflessione filosofica di coloro che contribuirono ad allargare la distanza tra
fede e ragione si manifestano talvolta germi preziosi di pensiero, che, se approfonditi e sviluppati con
rettitudine di mente e di cuore, possono far scoprire il cammino della verità. Questi germi di pensiero
si trovano, ad esempio, nelle approfondite analisi sulla percezione e l'esperienza, sull'immaginario e
l'inconscio, sulla personalità e l'intersoggettività, sulla libertà ed i valori, sul tempo e la storia. Anche
il tema della morte può diventare severo richiamo, per ogni pensatore, a ricercare dentro di sé il
senso autentico della propria esistenza. Questo tuttavia non toglie che l'attuale rapporto tra fede e
ragione richieda un attento sforzo di discernimento, perché sia la ragione che la fede si sono
impoverite e sono divenute deboli l'una di fronte all'altra. La ragione, privata dell'apporto della
Rivelazione, ha percorso sentieri laterali che rischiano di farle perdere di vista la sua meta finale. La
fede, privata della ragione, ha sottolineato il sentimento e l'esperienza, correndo il rischio di non
essere più una proposta universale. E illusorio pensare che la fede, dinanzi a una ragione debole,
abbia maggior incisività; essa, al contrario, cade nel grave pericolo di essere ridotta a mito o
superstizione. Alla stessa stregua, una ragione che non abbia dinanzi una fede adulta non è provocata
a puntare lo sguardo sulla novità e radicalità dell'essere.
Non sembri fuori luogo, pertanto, il mio richiamo forte e incisivo, perché la fede e la filosofia
recuperino l'unità profonda che le rende capaci di essere coerenti con la loro natura nel rispetto della
reciproca autonomia. Alla parresia della fede deve corrispondere l'audacia della ragione.
14/5/2019
4.2.1. Il miracolo
4.2.1.1. Definizioni di miracolo
Il miracolo può essere definito come un avvenimento che comporta la sospensione di leggi naturali.
4.2.2. La profezia
4.2.2.1. Anticipare eventi
Spesso si limita il concetto di profezia alla capacità di anticipare i tempi, ma non è solo questo.
4.2.2.2. Parresia
La profezia è anche parresia, capacità di "parlare davanti", cioè denunciare (da non confondere con la
ricerca del martirio). La credibilità del profeta sta nella dedizione che egli pone nella propria missione.
4.2.3. La testimonianza
4.2.3.1. Testimonianza d'amore
La testimonianza non consiste tanto nel dare la propria vita, quanto nell'amore testimoniato, che è
generativo, cioè capace di dare vita.
4.3. L'ATEISMO
4.3.3.2. La teodicea
4.3.3.2.1. Definizione e critiche
La teodicea19 è un tentativo, fallimentare, di risposta all'ateismo per amore di Dio. Il termine teodicea,
coniato da Leibniz, significa "giustizia di Dio", ed è lo sforzo intrapreso dall'uomo per giustificare Dio,
sostenendo la sua bontà e onnipotenza, di fronte al male presente nel mondo. Il fallimento logico della
teodicea sta nel fatto che essa non mantiene le sue promesse. Essa finisce per affermare, in maniera
surrettizia, che il male non esiste: giustificare la presenza di un male equivale infatti a dire che non è un
male, e di fatto ciò rende inutile la presenza di un salvatore.
Gesù non ha mai spiegato perché vi sia il male: a tale domanda non solo non si può, ma non si deve
rispondere, perché altrimenti si finirebbe col giustificare il male, che invece è assurdo, cioè non ha ragione
di esistere, nemmeno come risposta a un altro male. Il male non si giustifica, ma si combatte, come ha fatto
Gesù. Occorrerebbe che la teologia mettesse mano alla dottrina del peccato originale e della caduta degli
angeli ribelli, che non possono essere considerate soddisfacenti: tali dottrine non spiegano donde possa
essere sorta la possibilità del male, considerando che in origine tutto era positività.
4.3.3.2.2. Esempi
La teodicea può assumere varie forme. Ad esempio, si afferma che tutto ciò che accade trova una sua
ragione superiore nell'universale; oppure, come diceva sant'Agostino, che per vedere la luce occorre
l'ombra; oppure può esplicitarsi nella ricerca di un peccato a cui attribuire un determinato male.
19
Fino agli anni '80 i manuali di teologia contenevano un capitolo sulla teodicea.
raccontare se non ricorrendo a immagini inadeguate. Resurrezione, Ascensione e Pentecoste sono un'unica
realtà, un unico mistero pasquale. La resurrezione di Gesù testimonia la vittoria della vita sulla morte in
tutte le forme in cui ciò è possibile. Il vero miracolo è allora far risorgere la vita dove c'è la morte; la vera
profezia è guidare altri a sperimentare questo; la vera testimonianza è chiudere gli occhi nella speranza che
la morte non sia l'ultima parola.
12/2/2019
5. TESTI CLASSICI
Proemio
L'opuscolo a cui fa riferimento Anselmo è il troppo articolato Monologion, di cui il Proslogion vuole essere
un raffinamento e una unificazione, pervenendo a un unico argomento che rappresenti una modalità
alternativa alle dimostrazioni a posteriori. Anselmo si prefigge di dimostrare che Dio esiste e di indagarne
l'essenza: il vero problema è il secondo, non il primo.
Erroneamente alcuni pensano che chi ha la fede non necessita di pensare, o che addirittura la ragione sia
fuorviante per la fede. Anselmo invece considera la fede un pungolo per la ragione, capace di allargarne gli
orizzonti. Abbiamo una prova storica di ciò osservando, ad esempio, che la riflessione sul male nel mondo
greco non ha raggiunto la stessa profondità che si è avuta con l'ebraismo e con il cristianesimo. È vero che
vi è circolarità tra fede e ragione, ma non bisogna dimenticare che in questa circolarità vi è un inizio,
costituito dalla fede.
1. Esortazione della mente a contemplare Dio
Tutto il primo capitolo, come l'ultimo, ha il tenore della preghiera, mentre le parti centrali dell'opera
utilizzano un linguaggio molto formale, di tipo logico.
Alla fine del capitolo, Anselmo precisa che la ricerca di Dio non è semplicemente un tempo che troverà il
suo senso esclusivamente alla fine, quando la ricerca sarà completata: Dio, infatti, si mostra come Colui che
va cercato. Per questo la fede cerca l'intelletto. Anselmo sottolinea che si può ragionare bene solo se si è
buoni: la mentalità moderna ha perso quest'accezione.
19/2/2019
5. Dio è tutto ciò che è meglio essere che non essere. Egli è il solo ente esistente per sé e
crea tutte le altre cose dal nulla
Affermare che la massima potenza di essere equivalga alla massima potenza di bene è problematico: anche
se si intendesse panteisticamente la materia come massima potenza di essere, non necessariamente essa
sarebbe la massima potenza di bene. Platone parla della trascendenza come di qualcosa che riguarda lo
stesso essere: l'idea del bene è al di sopra dell'essere. Bonaventura da Bagnoregio nell'Itinerarium mentis in
Deum dice che il penultimo nome divino è essere, mentre l'ultimo è bene, e solo quest'ultima
denominazione gli consente di parlare in termini trinitari: Dio è bene perché è reciproca donazione
all'interno della Trinità20.
20
Lévinas parlerà dell'amore come qualcosa di dis-inter-essato, cioè come un movimento di uscita dall'essere.