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Le insidie dell’ovvio
Tecnologie educative e critica della retorica tecnocentrica
INTRODUZIONE
Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione ITC sono parte integrante della vita quotidiana,
nei paesi industrializzati costituiscono l’infrastruttura che connette gran parte delle attività umane
(formazione, lavoro, servizi, divertimento..). Dalla fine degli anni 70 sono entrate nel sistema
dell’istruzione attraverso investimenti, iniziative, con posizioni entusiaste e contrarie (Postman 1993).
Ma che impatto hanno avuto sulla scuola, sull’apprendimento sulle pratiche cognitive e culturali delle
nuove generazioni di studenti? Molti autori si sono pentiti dell’iniziale ottimismo. Come intrepretare
questo pentimento? Per Formenti bisogna andare oltre lo schema dicotomico apocalittici vs integrati,
sono usciti molti libri sui limiti della rete come strumento di democratizzazione dell’economia, della
politica e di produzione culturale; sono usciti anche molti libri basati anche su analisi empiriche sui
rapporti fra tecnologia ed educazione, sullo scarto fra quanto preteso e quanto accade (Selwyn 2011)
anche Calvani (2007 e 2009) ha messo in guardia dai rischi della retorica dell’ottimismo.
Il presente lavoro vuole decostruire la retorica dell’ottimismo che ancora impera e individuare piste di
lavoro utili per una riforma della ricerca tecnologico-educativa. Il testo è strutturato per quesiti perché i
dubbi sembrano più delle certezze e non si può rischiare di essere apocalittici o paladini. L’educazione
ha il compito di raccogliere e analizzare dati, prove, evidenze, senza cedere al richiamo del mito, alle
credenze ingenue. Bisogna fare appello ad una evidenza frutto di un’impresa euristica per produrre
avanzamenti cognitivi in un determinato campo del sapere, in una cornice teorica solida formata di dati
e informazioni di natura eterogenea, per mettere alla prova tesi, miti e discorsi intorno al rapporto tra
educazione e tecnologie.
1 cap: La tecnologia cambierà l’educazione. Il cambiamento tecnologico della scuola, l’impatto delle
tecnologie, argomentazioni dei favorevoli a confronto con i sottoproblemi, storia delle tecnologie
educative per desumere indicazioni utili per agire nel futuro.
2 cap: La tecnologia sta trasformando le nuove generazioni di studenti? Rapporto tra giovani, nuove
tecnologie ed educazione, i nativi digitali, lo stile cognitivo dei nativi cambia per effetto delle tecnologie
digitali, la scuola deve riconfigurarsi, media e nuove generazioni.
3 cap: La tecnologia migliora l’apprendimento? Approfondimento sull’impatto dell’ITC sull’istruzione,
la retorica dell’ottimismo sostiene che l’impiego della tecnologia produca un miglioramento quantitativo
e qualitativo dei processi di apprendimento, per Hobbs (2011) tutto è ridotto a una questione di strumenti
e tecnologie, ma in realtà non c’è nessun automatismo, si dà troppo per scontato.
CAPITOLO PRIMO
LA TECNOLOGIA CAMBIERA’ L’EDUCAZIONE 17-60
1 - Introduzione
Per Selwyn (2011) al concetto di tecnologia si associa l’idea di sviluppo e progresso umano, spesso di
segno positivo, di futuro, ma così la tecnologia è considerata in chiave astorica. Una simili visione la
troviamo nel rapporto tecnologia-educazione. Collins e Halverson (2009) prospettano radicali
cambiamenti per la scuola e le istruzioni educative, grazie alle straordinarie opportunità delle nuove
tecnologie (pc, dispositivi mobili, media digitali, videogame, sociale network); le persone imparano,
giocano, simulano, lavorano, studiano e interagiscono attraverso le NT che consentono a tutti di
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imparare alle proprie condizioni e in luoghi diversi (scuola, casa, caffè..); il sistema scolastico
organizzato per classi, attraverso il curriculum e l’accreditamento professionale, mal si adatta alle NT
incentrate sul singolo. Su cosa si basa quindi il potere positivo trasformativo che le tecnologie digitali
avrebbero sulla scuola?
flessibili e adattabili. Wellington (2005) l’imperativo professionale è quello che fin dagli esordi ha
esercitato maggiore pressione per l’introduzione delle ICT nella scuola. Per avere successo la capacità
tecnologia è una life-skill essenziale.
Imperativi economici, politici e sociali che hanno spinto i governi dei paesi sviluppati e in via di sviluppo
a investire sullo sviluppo delle ICT (pc, web, lim), meno sulla formazione degli insegnanti, sulla
riformulazione dei curricula (argomenti tecnologici). Ma ci sono anche pressioni interne legate a bisogni
emergenti dal basso per far sì che l’offerta funzioni meglio.
IMPERATIVI PEDAGOGICI (pressione interna). La convinzione che le NT possono migliorare i
processi di apprendimento e le pratiche didattiche segue l’imperativo professionale. Le NT influiscono
sulla motivazione degli studenti, migliorano i processi di ritenzione (?) che rendono l’apprendimento
attivo, interattivo e coinvolgente, aumentano la produttività della classe, migliorano le prestazioni
individuali e collettive. La chiave di successo sta nella flessibilità (Selwyn 2011), nel porre lo studente
al centro del processo di apprendimento, libero di accedere alle risorse, di relazionarsi sia a livello
globale che locale; l’insegnante inoltre con il web ha a disposizione risorse e può interagire con colleghi,
migliorando la pratica e la crescita professionale.
IMPERATIVI ORGANIZZATIVI e gestionali delle istituzioni scolastiche (pressione interna).
Modernizzazione, efficienza nell’erogazione (lo studente sceglie in base alle preferenze), formazione on
line (+ flessibile, economica, accessibile in qualsiasi momento) che aiuta l’inclusione di gruppi
svantaggiati.
Esistono livelli di analisi diversi, Calvani (2007 e 2009) suggerisce 3 piani: MACROECOLOGICO,
riguarda i valori e le visioni; STRATEGICO-INNOVATIVO, NT come innovazione scolastica;
MICROECOLOGICO O ERGONOMICO-DIDATTICO, gli effetti che le ICT producono.
Bisogna sempre ricordare: formare ad un uso critico e consapevole dei media e delle tecnologie;
affermare di voler dare accesso a tutti alle ICT significa affermare un concetto di cittadinanza legato ad
un principio di equità (stessi diritti); essere chiari e specifici negli obiettivi, evitando il genericismo e
finalizzando le azioni (Calvani 2009) e con adeguati riscontri ed evidenze (Selwyn 2011); nessuno trae
benefici dalle NT nello stesso modo; il cambiamento non significa necessariamente progresso (Fullan
2007).
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catalogo di film educativi pubblicato a New York risale al 1910. Farné (2002): l’impiego didattico di
immagini in movimento servì per migliorare l’efficienza e l’efficacia dell’istruzione, intorno al 1910
nasceva la cinematografia scientifica e i film d’insegnamento, veri e propri sussidi efficaci e innovativi
per sviluppare l’apprendimento. Quando il cinema intorno agli anni 20 diviene la maggiore forma di
intrattenimento e informazione, ne viene sollecitato l’impiego in senso didattico, lo stesso Edison (1922)
affermava che “attraverso l’educazione visuale sarà possibile ottenere il 100% dell’efficienza”; Edison
promosse iniziative sull’impiego educativo del cinema, aveva anche una propria biblioteca
multimediale. In Europa tra fine 800 e primi anni 30 il cinema scientifico e didattico conobbe una
fortunata stagione; Roberto Ardigò nel 1893 in La scienza dell’educazione elogia il cinema perché rende
grande ciò che è piccolo e consente di percepire movimenti rapidissimi. Dopo questa fase iniziale di
entusiasmo intorno agli anni 30 in Usa fu introdotto il cinema didattico, attrezzando aule con
strumentazioni, formando insegnanti all’educazione audiovisuale. L’uso delle immagini in movimento
fu considerato simbolo dell’insegnamento moderno e progressista (Cuban 1986), la più potente arma
per combattere l’ignoranza (commissario per l’educazione Usa Tiagert), per portare sviluppo e
progresso, per una educazione di massa, proprio per il suo realismo che trasmette conoscenze sui fatti,
sviluppa abilità percettivo-motorie, influenza. L’entusiasmo fu supportato da ricerche e riscontri, gli
studenti che facevano film didattici avevano sviluppato maggiori capacità di apprendimento (Allen
1956). Indagini successive degli anni 60 evidenziavano mancanza di risultati e una generale disaffezione
per l’impiego di film didattici, sempre meno usato in classe (Cuban 1986). Le 4 principali aree di criticità
individuate negli anni 50 in Usa sono: il tempo necessario, coordinamento maggiore, classi meglio
attrezzate, maggiore supporto. Per Cuban (1986) mancavano competenze tecniche, i costi erano elevati,
le attrezzature inaccessibili, difficoltà a reperire film, tutto ciò si tradusse nel declino del media.
USI EDUCATIVI DELLA RADIO. Sempre tra gli anni 20 e 30 si studiò il potenziale didattico ed
educativo della radio, accompagnato da entusiasmo e ottimismo. Del 1917 la prima stazione radio
educativa presso l’Università del Wisconsin; dal 1920 molte le stazioni con trasmissioni educative, come
il programma musicale RCA educational hour, popolarissimo; vennero create stazioni radio nelle scuole;
ambizioso fu il World radio university del 1937 che erogava corsi in lingue; da ricordare le School of
the air, attive dai 30 ai 60, scuole radiofoniche che erogavano corsi di vari livelli su argomenti dei
curricula scolastici, programmi che raggiunsero oltre un milione di persone. Anche in Italia il fascismo
colse le potenzialità della radio, nel 1933 hanno inizio le trasmissioni dell’Ente radio rurale per
promuovere l’acculturazione e insegnare la lingua italiana, il regime donò apparecchi per i luoghi di
riunione e le scuole, tramite collette, si dotarono di radio. Al grande ottimismo iniziale supportato da
prove empiriche che ne documentavano l’efficacia (mezzo per trasmettere contenuti di qualità ad un
vasto numero di persone a bassi costi; porta il mondo in classe, Darrow; fascino sui giovani che motiva
ad apprendere; strumento democratico, dà accesso a contenuti di qualità al di là della fascia economica
e zona geografica) già a partire dai 40 si diffuse l’idea che il potenziale della radio non fosse sfruttato,
molti insegnati ne facevano un uso sporadico. Perché? Le ricerche degli anni 40 e 50 imputano
l’insuccesso ad una varietà di fattori, in particolare (Cuban): mancanza di attrezzature, non conciliazione
tra strumento e tempistica scolastica, assenza di inf, programmi distanti dai curriculum, percezione di
un lavoro superiore, disinteresse degli insegnanti. Oggi la radio educativa continua ad essere usata in
paesi nei via di sviluppo e in aree rurali.
USI EDUCATIVI DELLA TV. Perché l’educazione ha resistito all’adozione di cinema, radio e tv? La
discrepanza tra discorsi e realtà d’impiego è evidente per la tv. I primi impieghi d’uso formativo
risalgono agli anni 30, nel 1952 in Usa si aprono 242 canali a scopo educativo, ciò incoraggiò la nascita
di tv universitarie, grazie a finanziamenti pubblici e provati. Nel Regno Unito negli anni 70 furono
prodotte di 50 serie educative e le scuole si avvalevano di programmi televisivi in classe. In Italia si
ricorda Non è mai troppo tardi, del maestro Manzi, in onda dal 15 nov 1960, programma di
alfabetizzazione (leggere, scrivere e usare la lingua italiana); nei 70 la tv assume un ruolo di divulgazione
culturale, come supporto per la scuola, promuovendo trasmissioni di approfondimento per ragazzi.
L’entusiasmo per la tv fu enorme, per Darrow la tv è la radio ad occhi aperti, per Bates offre risorse
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didattiche uniche, una finestra sul mondo, offre esperienze autentiche e vicine alla vita reale, aumenta
l’efficacia dell’insegnamento e amplia la dimensione della classe, un mezzo veloce ed economico. Le
prove empiriche dimostrarono che gli insegnanti erano favorevoli, come nelle Samoa dove gli insegnanti
usavano la tv per formarsi. Alla fine degli anni 80 cambia la visione, malgrado al diffusione della tv in
ambito domestico il suo impatto non fu significativo, gli insegnanti la usavano poco per i costi,
mancanza di attrezzature, incompatibilità tra contenuti e curricula, bassa qualità del palinsesto; la tv fu
lanciata addosso agli insegnanti (Cuban 1986) fu vissuta come un’esperienza intrusiva e distruttiva della
routine della classe, proprio perché il suo uso fu pianificato da non insegnanti.
USI EDUCATIVI DEL COMPUTER. Con la rivoluzione microelettrica gli strumenti microelettronici
e le tecnologie digitali e computazionali furono usate solo nelle università, per ricerca e
amministrazione, poi dai 60 cominciarono ad essere impiegati in ambito didattico, per primi i docenti di
matematica e informatica, poi altre discipline; il computer diventò un tutor capace di erogare formazione
in modo flessibile, individualizzato e equo. Si cominciò a parlare di CAI (computer assisted instruction)
che comprendeva (Martin e Norman, 1970): istruzione tutoriale e coaching (il pc presenta materiali
informativi poi quesiti relativi all’argomento, la macchina monitora l’interazione studente-sistema), drill
and practice (acquisire abilità ripetendo più volte lo stesso esercizio), dialogue system (dialogo
complesso, quasi una conversazione tra pc e studente), simulazione (di esperimenti + osservazioni degli
effetti), uso di data base (lo studente seleziona info), videogiochi educativi (giochi su tematiche
educative).
In Usa l’uso dei pc nelle scuole dai 70 ai 90 arrivò al 98%. In Italia l’introduzione dell’ICT risale agli
anni 80 con il progetto IRIS o informatica povera; del 1985 il 1 piano nazionale (PN1) per insegnanti di
matematica e fisica + attenzione verso ipertesti e multimedia per educatori di area umanistica. Il forte
entusiasmo è stato accompagnato da un senso di inevitabilità “i computer didattici dilagheranno” Evans,
1979; due le ragioni principali: l’uso del pc sviluppa abilità tecnologiche essenziali per essere membri
attivi della società del futuro, Besser 1993; l’istruzione assistita promuove pensiero critico e creatività,
motiva. La diffusione fu supportata da ricerche che ne attestavano l’impatto positivo (la prima nel 1966
in una scuola svantaggiata). Malgrado l’entusiasmo il suo uso in classe non si normalizzato, è rimasto
sporadico e incoerente, i pc sono usati solo nei laboratori informatici, come videoscrittura e drill and
practice, “senza promuovere elevate capacità cognitive come sintesi, analisi e comunicazione” (Conte,
1997). I motivi? La scarsa famigliarità tecnologica dovuta a mancanza di formazione, o resistenza degli
stessi insegnanti, mancanza di supporto tecnico, inaffidabilità delle macchine, per Hawkridge (1993)
varietà limitata di hadware e software, cambiamento del ruolo docente, elitarismo e rischio di esclusione,
timori per un indebolimento del sistema educativo, implicazioni commerciali ..(p.43)
3.2 – Lezioni dalla storia
L’introduzione di tecnologie didattiche nella scuola è stata accompagnata da altisonanti promesse di
grandi benefici che hanno mancato l’obiettivo di modificare l’educazione, sebbene le tecnologie
dell’informazione e della comunicazione si siano insinuate con successo a livello individuale e collettivo
in ambiti diversi, lavoro, divertimento. Quali lezioni possiamo trarre dalla storia delle tecnologie in
educazione?
LEZIONE N° 1 – Corsi e ricorsi. Gli autori che si sono occupati di tecnologie educative del 900 hanno
individuato l’alternarsi di fase di illusioni e grandi promesse a forte disillusione e recriminazioni. Le
argomentazioni: le tecnologie accrescono efficienza e produttività, sviluppano competenze utili per il
mondo del lavoro, la tecnologia rende gli studenti liberi di seguire i propri interessi e libera gli insegnanti
dalla routine. A questi proclami seguono ricerche volte a dimostrare l’efficacia. Emergono le prime
criticità: difficoltà d’uso, incompatibilità, mancanza di tempo, gli inseganti sono accusati di essere chiusi
e impreparati. Il ciclo si ripete nella generazione successiva (Oppenheimer, 1997). Secondo Rushby e
Seabrook (2008) il ciclo di apprendimento di tecnologie può essere rappresentato come una curva (curva
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di adozione dell’innovazione) cha sale fino al saturazione del mercato, quando diventa piatta e decade
perché gli utenti usano nuove soluzioni o strumenti.
Questo ciclo è fondato sull’alternanza di entusiasmo, speranza, delusione (la + imp lezione appresa dalla
storia dell’ultimo secolo).
Per le ICT ogni nuova innovazione produce un’impennata nella ricerca e sviluppo per esplorare le
opportunità, aumenta l’entusiasmo per le nuove potenzialità, ma la nuova tecnologia prima ancora di
aver raggiunto una sua maturità teorica e applicativa è superata da una nuova innovazione. Questo è
accaduto anche per il CSCL (coputer supported collaborative learning) non ancora sfruttato e incalzato
da nuovi studi sul mobile learning e sul web 2.0.
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cultura dell’insegnamento, con credenze sociali e individuali. La struttura di scuola e classe pongono i
limiti di espressione delle credenze e dell’etica individuale. I contesti con i suoi vincoli e pressioni
influiscono sull’organizzazione quotidiana della didattica. Malgrado i limiti dei contesti e della cultura
professionale i docenti assumono strumenti nuovi come le nuove tecnologie, modificando così il proprio
comportamento e l’organizzazione della classe, solo se queste non minino la propria autorità e li aiuti a
risolvere problemi rilevanti, apporti benefici tangibili, sperimentati e immediati, se semplifichino,
migliorino la qualità delle loro attività didattica.
Riepilogo e sintesi. Lo schema di Kozma (2003), non esaustivo, distingue i fattori/variabili che
influiscono nell’uso di tecnologie in educazione in micro, meso e macro livello, facendo luce sui
molteplici fattori, spesso alcuni ignorati o trascurati.
MICRO, background (socio-economico, culturale) di studente e docente, grado di esperienza
tecnologica; organizzazione della classe (dimensioni); tipologia di tecnologie e come sono inserite nello
spazio.
MESO, leader economici nazionali, dirigenti (amministrazione scolastica nazionale e locale), genitori;
tipo di scuola, tipo di cultura locale, tipo di tecnologia offerta.
MACRO, policy makers, industria high-tech influenzano i curriculum nazionali, i fondi per
l’educazione, le forze economiche, sociali, culturali.
LEZIONE N° 5 – La tecnologia non può essere considerata una panacea per i problemi dell’educazione.
Le tecnologie non sono una panacea per risolvere i problemi dell’educazione, soprattutto quando ci si è
appellati al suo potere per risolvere di natura non tecnologica (Robins e Webster 1989). Le tecnologie
sono state presentate come strumento per accrescere la motivazione e rendimento, per potenziare
l’efficacia e l’efficienza organizzativa, per rendere l’educazione più democratica attraverso la fruizione
per tutti, ma lo scarto tra tecno euforia e la realtà hanno fatto capire che i problemi non si risolvono
facendo leva su un unico fattore.
C.1 – Conclusioni. 59
CAPITOLO SECONDO
LA TECNOLOGIA STA TRASFROMANDO LE NUOVE GENERAIZONI DI STUDENTI? 61- 114
1 – Introduzione
Una delle tesi che giustifica la trasformazione tecnologica della scuola è quella dei NATIVI DIGITALI,
le nuove generazioni di studenti dotate di nuove capacità cognitive legate all’uso intensivo di tecnologie
digitali, delusi e insoddisfatti dalle proposte educative della scuola; questi tesi sono fortemente
argomentate con articoli, video di adolescenti che denunciano l’inutilità dei saperi e l’arretratezza
tecnologica degli insegnanti. Per l’inadeguatezza della scuola e degli insegnanti davanti alle nuove
generazioni si parla di moral panic (Cuban 1972), quando un fenomeno o un gruppo di persone vengono
additati come una minaccia per la società; è un panico enfatizzato da media, politici; vari autori hanno
proclamato diagnosi e rimedi, ma il fenomeno poi scompare o si ridimensiona. Malgrado il ripensamento
dello stesso inventore della formula nativi digitali (Prensky, 2009) che oggi parla di saggezza digitale,
considerandola come un obiettivo educativo non come caratteristica dell’essere nati nell’era digitale ..
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le tesi sui nativi digitali continuano ad esercitare un certo fascino a causa degli stereotipi sul rapporto
tra giovani, tecnologie ed educazione, e sulla funzione delle istituzioni nei riguardi dei giovani.
Il capitolo è diviso in 2 parti: 2-7 i nativi digitali, 8-9 rischi e opportunità dei media digitali.
2 – Nativi digitali e altre formule
Le etichette sono varie e interscambiabili: per Prensky i nativi digitali (2001) sono native speakers dei
linguaggi multimediali, costantemente immersi nelle nuove tecnologie (pc, videogiochi, mp3,
videocamere, cellulari); si parla anche di net generation, Istant-Message generation, Playstation
generation, Gamer generation (riferimento ai giochi), Homo zappiens (per la capacità di gestire
molteplici fonti informative); ma anche formule millenials (per la portata epocale) e New millennium
learners (per le implicazioni educative); più recentemente Ipod generation, iGeneration, Google
generation (per i giovani nati dopo il 1996-1998, che non conoscono passato prima di google),
generation now (richiedono gratificazione istantanea di risposte), born digital.
Non c’è accordo sulla data di nascita della generazione che non conosce passato senza personal
computer: Tappscott è estremamente preciso, gennaio 1977, dicembre 1997, qndo nasce la generation
next; Prensky a metà anni 80 con la diffusione dei pc; i millenials di Oblinger dal 1982; Palfrey e Gasser
dopo gli 80; altri a metà anni 90 quando la rivoluzione digitale ha coinvolto le famiglie.
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Formale vs informale Un discreto numero di autori (Persky, Tapscott, Oblinger) sostiene che
nell’educazione del nuovo millennio si sta delineando una divaricazione tra contesti d’apprendimento
formali (scuola, università, biblioteche, musei che hanno perso di significato) e informali (extrascuola,
coinvolgenti, che insegnano veramente qualcosa).
Web 2.0 e social networking Blog, social bookmark .. possono trasformare i sistemi educativi con il
sistema asincrono di apprendimento 24 ore su 24, 7 giorni su 7 (Thompson, 2007), in luoghi diversi,
abbattendo così i confini dell’aula, degli orari, dei programmi, degli argomenti, delle ragioni di
apprendimento. Le nuove generazioni possono cambiare il futuro dei sistemi educativi attraverso le
innovazioni legate a nuovi sistemi di produzione e condivisione delle risorse di apprendimento, alla
possibilità di apprendere indipendentemente dal proprio status e dall’autorità (Tapscott e Williams
2008).
Vecchia vs Nuova Pedagogia Gli ID continuano a insegnare gli stessi contenuti con gli stessi metodi e
approcci pedagogici senza capire che il mondo è cambiato e che le esperienze formative dei giovani
sono diverse, per cui non bisogna proteggerli dalle tecnologie digitali che permettono di imparare i modo
autonomo e di fare rete e collaborare con persone di tutto il mondo.
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deve adeguarsi piuttosto che orientare i cambiamenti in accordo con le istanze educative e con le
esigenze degli insegnanti, dirigenti e studenti. Sul piano empirico stanno crescendo le indagini che
mettono in discussione le tesi sui ND, secondo i net gen scettici (come Bullen) non si può parlare di
generazione con tratti omogenei di abilità e non si può dire che queste si colleghino a particolari stili
cognitivi né che dal mondo giovanile emerga un bisogno di cambiamento; Bullen: l’uso delle ICT è
diffuso ma competenza digitale, connettività, necessità di immediatezza e apprendimento esperienziale
non caratterizzano una particolare generazione di studenti.
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concetto di privacy, suggerendo 4 aspetti dell’era digitale: persistenza (quello pubblicato on line rimane
nel tempo); ricercabilità (si possono fare ricerche on line su qualsiasi persona e trovare info);
replicabilità (si possono copiare e incollare info da un contesto ad un altro); invisibilità del pubblico
(non si può mai essere certi di quale sia l’audience). La tracciabilità dei dati sensibili unitamente al
crescente potere d’acquisto legato ai bambini si sono legati alle nuove opportunità del web, le web
strategie tracciano azioni e utilizzano gli utenti stessi come generatori e promotori di contenuti
pubblicitari, unitamente a spyware o cookies (che tracciano la navigazione senza consenso), per
raccogliere info.
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Opportunità sul versante della condotta (sul piano educativo, sociale e civile)
Apprendimento collaborativo, nuove forme di impegno civico (Staksrud 2009, Hasebrink 2008);
partecipare alla comunicazione, alla creazione, alla condivisione all’uso di conoscenze e informazioni.
Dalla partecipazione possono derivare benefici a livello individuale (competenze, empowerment, punti
di vista diversi), comunitario (condivisione), sociale (impegno civico, partecipazione democratica).
Jenkins (2010) ha parlato di tecnologie digitali e culture partecipative che possono sviluppare nei giovani
nuove abilità utili per l’esercizio della piena cittadinanza e per la vita professionale.
Come per i rischi non tutte le aree di opportunità sono state analizzate, gli studi si concentrano sull’uso
di Internet per studio o divertimento, partecipazione a social network e a forme di partecipazione civica
e alla produzione di contenuti. Condividere on line il lavoro in progress sviluppa peer critiquing,
assunzione di ruoli, responsabilità anche se va ricordato che la tecnologia non ne è la causa quanto le
regole condivise dai partecipanti e le pratiche che si stabiliscono; l’assumere ruoli partecipativi può
sviluppare capacità (empowerment), supportare i giovani nell’azione politica e sociale (Bennett 2007)
creare comunità (Jenkins 2010), far riconoscere il ruolo civico e gli obblighi verso la comunità,
promuovere responsabilità sociale, creare un luogo in cui essere cittadini consapevoli dove scambiare
idee e opinioni, un nuovo modello di volontariato sociale (Gardner 2007) di civic engagment o
engagment 2.0 (Pettingill 2007).
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Calvani (2010): evitare le tecniche di cui gli adolescenti sono già dotati, ma formare alla valutazione
dell’affidabilità dell’info, alla privacy, alla gestione die dati personali, alla tecnologia per costruire
conoscenza (uso tecnologico e mediale avanzato dal punto di vista critico e cognitivo e su aspetti di
natura etica e sociale). Come? creando una didattica che alterni azione e riflessione, produzione e analisi,
creatività e attenzione critica, esperienza e analisi metacognitiva; partendo da un fare legato alle
esperienze, da un’attività pratica (costruire un archivio, produrre un oggetto multimediale) e poi
orientato alla meta riflessione, facendo imbattere lo studente (Calvani 2010) in modo spontaneo in nodi
e quesiti cruciali capaci di innescare riflessione. Ad esempio:
Wiki e collaborazione
Wikipedia è un progetto cooperativo di costruzione della conoscenza, è il prodotto di una attività di co-
creazione (Jenkins 2006). Per co-costruire un prodotto bisogna sviluppare consapevolezze circa:
linguaggio, scrittura, stile, genere, registri, il testo è coerente?; regole comunicazione e organizzazione,
scelta die ruoli, revisione e critica; responsabilità circa le fonti e partecipazione, contribuire attivamente.
9.2 – Valutazione
Se con l’ECDL si valutano competenze tecnico procedurali e abilità informatiche ci sono altri aspetti da
indagare (Clavani). Un primo lavoro è stato quello dell’ETS (educational testing service) che sulla base
dell’International ICT Literacy Panle ha sviluppato l’iCritical Thinking, uno strumento multi-target (per
studenti superiori e lavoratori) che valuta abilità tecniche di base e capacità critiche di ricerca, selezione
e valutazione di risorse. Un altro strumento è il Technology and Engineering Literacy Assessment of
Educational and Item Specifications for the 2014 National Assessment of Educational Progress,
articolato in 3 sezioni: comprensione dei principi tecnologici, sviluppo di soluzioni, comunicazione e
collaborazione. Il gruppo di ricerca DCA-Digital Competence Assessment (Calvani 2011) ha sviluppato
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2 strumenti (Instant DCA e Situated DCA o prove situate) per verificare le dimensioni cognitive,
metacognitive ed etico sociali legate all’impiego di tecnologie. IDCA, mezzo rapido e automatico di
verifica per istituti e singole classi; è organizzato in 3 dimensioni: tecnologica, riconoscere interfacce e
risolvere problemi comuni; cognitiva, estrarre dati rilevanti da un testo, valutare l’affidabilità di una
info, comparare info, organizzar dati in tabelle e compiere inferenze; etica, salvaguardare, rispettare ed
essere consapevoli delle disuguaglianze tecnologiche. SDCA, valutano le competenze in situazione, con
compiti più complessi, presentando situazioni d’uso delle tecnologie simili a quelle della vita reale,
confrontandosi con un problem solving tecnologico. Le prove si articolano in 5 tipologie: esplorazione
tecnologica, confronto con un interfaccia sconosciuta; simulazione, elaborare dati formulando ipotesi
sulle variabili; inquiry, selezionare criticamente info pertinenti e affidabili; collaborazione in una
scrittura con contributi individuali e commenti reciproci; partecipazione, individuando comportamenti
appropriati in ambienti sociali.
9.3 – Ricerca
Jaquinot (2009): troppo scarsa è la ricerca valutativa sull’efficacia dei percorsi di educazione sui media
e le tecnologie digitali; pochi gli studi a valutare la qualità ed efficacia didattica dei percorsi formativi,
la dimensione pedagogica. La maggior parte degli studi empirici si basa su questionari di
autovalutazione (Hargittai 2005) sulle competenze mediali o digitali; questi rivelano come l’utente si
auto-percepisce ma non quali siano le reali competenze, servono quindi valutazioni più oggettive, per
cui utilizzar internet per le ricerche non significa saper valutare criticamente l’info (Livingstone 2008)
aiutandoci così a non cadere in certe trappole mitologiche.
10 – Conclusioni
Dalle ricerche emergono 3 elementi di rilievo. Non c’è una generazione omogenea di ND, le differenze
di accesso, uso e abilità si riscontrano in tutte le generazioni, per cui l’età anagrafica non crea una
distinzione tra generazioni; le nuove generazioni usano le NT per studio e svago ma non è un dato
omogeneo. Ci sono ancora molte aree di ricerca inesplorate, come le pratiche di appropriazione
tecnologica dei più giovani e le rappresentazioni che i giovani hanno delle NT in rapporto
all’educazione; per cui a scuola non deve adattarsi a ciò che più piace ai giovani (Bennett e Maton 2010)
ma bisogna conoscere meglio gli allievi per capire cosa si aspettano da noi. Per comprendere il ruolo
che la scuola può giocare nel rapporto tra educazione, giovani e tecnologie, bisogna non trascurare le
differenze intra-generazionali, i diversi livelli di accesso, uso e abilità delle nuove generazioni, per
ridurre la distanza tra retorica e realtà. Le tesi sui ND si sono sviluppate sulla spirale certezza-
compiacenza, conferendo loro credibilità, senza prove ed evidenze, con un accettazione acritica che è
andata a gonfiare il numero delle pubblicazioni che adottano queste formule, ripetendo le tesi come
verità inconfutabili riducendo la possibilità di un dibattito aperto, incoraggiando la compiacenza
intellettuale sull’esistenza dei ND con caratteristiche precise e che l’educazione necessita di una
cambiamento tecnologico.
CAPITOLO TERZO
LA TECNOLOGIA MIGLIORA L’APPRENDIMENTO? 115-158
1 – Introduzione
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La psicologia comportamentista e in particolare i lavori di Skinner hanno fornito le basi per lo
sviluppo dell’Ed Tech.
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declino), sono fondate sul principio del condizionamento operante, richiedevano allo studente di
completare una frase (costruire la risposta per ricordarla meglio) o di rispondere ad una domanda. I
principi dell’Istr. Progr. influenzano la nascita del CAI (computer assisted instruction), come i software
DRILL AND PRACTICE, o alla base dei pacchetti tutoriali. SOLO I COMPORTAMENTI
OSSERVABILI/ESTERNI POSSONO ESSERE INDAGATI. SI CONSEGUONO OBIETTIVI
DIDATTICI
succede quando gli individui utilizzano tecnologie digitali (Siemens 2004). Si è osservato che le
tecnologie non migliorano l’apprendimento quanto il rapporto con la conoscenza e l’informazione, il
rapporto soggetto-informazione, proprio in virtù del loro essere strumenti informativi più che per
apprendere. Queste nuove suggestioni prendono il nome di CONNETIVISMO il cui esponente più noto
è SIEMENS che ha sintetizzato i principi fondamentali:
- Apprendimento e conoscenza risiedono nella diversità di opinioni
- L’apprendimento è un processo di connessioni di nodi o risorse informative specializzate
- L’apprendimento può risiedere in dispositivi non umani
- La capacità di conoscere è + imp di ciò che si sa in un determinato momento
- Alimentare e mantenere connessioni è necessario per facilitare l’apprendimento continuo
- La capacità di vedere connessioni tra ambiti, idee e concetti p un’abilità cruciale
- Il tener aggiornate le conoscenze è lo scopo di tutte le attività di apprendimento connettiviste
- La presa di decisione è essa stessa un processo di apprendimento
- La scelta di che cosa imparare e il conferimento di senso alle informazioni in arrivo avvengono
attraverso le lenti di una realtà in movimento
I connettivisti danno una spiegazione dei processi di apprendimento in relazione con al crescente
reticolarità del mondo, la conoscenza è distribuita in network da attraversare. Per Siemens e
Tittenberger (2009) l’apprendimento è una rete a 3 livelli: neurale (le connessioni neurali sviluppano il
cervello), concettuale (i concetti chiave di una conoscenza formano una rete), esterno (le tecnologie
partecipative del web – blog, wiki etc – aumentano la capacità di connettersi con gli altri e la
comprensione reticolare) La comprensione reticolare è un elemento emergente legato alla forma delle
info personali e delle resti sociali dello studente.
Per cui oggi è importante rimanere connessi a fonti e reti più che conoscere. Selwyn ricorda come lo
scrittore S Johnson più di 30 anni fa distingueva tra una conoscenza diretta di un argomento e una
conoscenza delle modalità di acquisizione d’informazioni su un argomento (biblioteche). Da qui l’idea
di archivi ditali per rimanere connessi, e l’idea che le tecnologie sono strumenti per accedere alle info
3 – Tecnologie e apprendimento: quali evidenze? Che impatto e che risultati hanno avuto le
applicazioni sulle acquisizioni apprenditive?
Per aver una valutazione più oggettiva governi ed istituzioni accademiche (specie anglofone, governo
inglese, canadese, nord-americano) a fronte degli ingenti investimenti nell’introduzione di TD hanno
speso tempo e risorse per misurare l’impatto delle ICT sull’apprendimento. La sintesi dei risultati si rifà
a 4 fonti.
e così via. La tecnologia è un dispositivo neutrale, esente da valori, diversamente da McLuhan per il
quale il medium è il messaggio.
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Le pretese delle ricerche non sono giustificate: la rete aiuta l’accesso alle persone impossibilitate,
garantendo equità; la rete aiuta a personalizzare i processi formativi, rispettando gli stili di
apprendimento; in realtà però la ricerca è ancora agli inizi, servono ricerche più rigorose e sistematiche,
in particolare focalizzandosi sui bambini e gli adolescenti, le donne e le persone a rischio di esclusione.
- Non esistono evidenze chiare e coerenti sull’impatto positivo delle ICT sullo sviluppo di
competenze linguistico-espressive, in alcuni casi non c’è differenza rispetto al non utilizzo.
- Per l’area matematico-scientifica ci sono evidenze più confortanti, ma l’effetto positivo non vale
per tutti i software o contenuti; la visualizzazione grafica per le funzioni, le simulazioni per i
concetti scientifici, ma gli studenti devono possedere una conoscenza critica die software ed essere
guidati dagli insegnanti in attività esplorative di simulazione.
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(figura da re-inserire)
Hattie rileva anche non è vero che maggiore è il grado di sofisticazione, di interattività delle tecnologie,
maggiori sono i benefici e l’apprendimento è più efficace. Non influiscono sull’efficacia delle tecnologie
didattiche nè l’età nè il livello di abilità o gli anni di utilizzo degli allievi.
Infine negli studi prevale l’utilizzo didattico di pc da parte di insegnanti in classe, pochi sull’uso dello
studente per studio.
Classificazione delle tecnologie: apprendimento basato sul web (web based learning), video interattivi,
simulazione istruzione programmata, istruzione a distanza.
A – Web-based learning = forme di impiego in Internet per attività in classe di studio e ricerca di
informazioni. Con lo sviluppo del web è emersa la necessità di imparare a utilizzare i motori di ricerca
e a selezionare le info; quando si usa il web in didattica spesso si dimenticano principi istruttivi basilari,
come interazione e feedback, con effetti didattici bassi (Olson e Wisher, 2002), mancano cmq studi di
ampia portata.
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B – Uso dei video interattivi, multimedia e ipermedia = i video interattivi si basano sulla combinazione
di Computer Assisted Instruction e video; è la tipologia che per Hattie produce risultati nella zona degli
effetti desiderati. In uno studio dei 90 (McNeil e Nelson) veniva rilevato che gli effetti dell’uso dei video
erano disomogenei e difficilmente identificabili a causa di diverse variabili: contenuto didattico, fattori
ambientali, metodi d’insegnamento, materiali d’apprendimento; l’uso dei video ha scarsi effetti per
l’apprendimento (Blanchard, Stock, Marshall); altri (Baker e Dwyer) evidenziano che il linguaggio delle
imm trasmette in modo efficace concetti; Clark e Angert hanno condotto una meta-analisi sull’efficacia
del linguaggio iconico (imm statiche) secondo variabili e attributi: i materiali con illustrazioni (meglio
colorate) sono + efficaci; lo psicologo Mayer sostiene che l’uso di materiale multimediale migliora i
processi cognitivi a patto di non sovraccaricare i canali percettivi, vista e udito; Liao: l’uso di ipermedia
(i.e., multimedia interattivi, simulazione, video interattivi) in classe con l’insegnante migliora
l’apprendimento.
L’uso di tv, film, video (anche se non veri video interattivi) hanno risultati minori, meno confortanti,
come il fornire le registrazioni delle lezioni universitarie.
C – Simulazioni =
Simulazioni e videogiochi hanno l’obiettivo di coinvolgere in attività di apprendimento realistiche e
accattivanti. Alcune ricerche (VanSickle) dimostrano che hanno scarso effetto su memorizzazione di
fatti, concetti, generalizzazioni, quindi effetti positivi modesti. Altre ricerche rilevano differenze rispetto
all’età. LeJeune ha approfondito l’uso delle simulazioni per le scienze; i risultati sono superficiali
quando si usano per consolidare quanto già appreso; profondi quando si hanno esplorazioni libere ma di
basso livello (memorizzare) o alcune capacità cognitive di livello superiore (applicare la conoscenza a
fenomeni vita quotidiana).
D – Istruzione programmata =
Presentazione sequenziale e graduale di contenuti istruttivi accompagnata da feedback. È una tecnica
meno efficace del tutoriale, nei corsi di scienze e matematica, con studenti universitari, riscontrando
anche livelli minimi di gradimento.
E – Istruzione a distanza =
Riguarda diverse tipologie tecnologiche (tv, videoconferenza, strumenti comunicazione sincrona e
asincrona).
Le metanalisi (Machtmes, Asher) rivelano che tra corsi a distanza e in presenza non ci sono differenze,
anche nella scuola dell’obbligo (Cavanaugh), indipendentemente da fattori quali contenuto, livello
scolastico, tipo di scuola, esperienza personale, ritmo, tempo, gradi preparazione dell’insegnante, setting
degli studenti; stesso successo accademico a distanza o in presenza. Allen: gli studenti universitari
preferiscono (leggera preferenza) i corsi in presenza con materiali visuali.
Le comunicazioni sincrone derivano da esperienze di teledidattica (+ persone o classi collegate tramite
audio o videoconferenza). Le comunicazioni asincrone sono una derivazione di comunicazioni per
corrispondenza, prevedono lavoro autonomo. Bernard non producono effetti positivi, anzi negativi su
atteggiamenti e memorizzazione. Il medium non fa la differenza, ma come è impiegato (Lou).
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4 – Altre evidenze su tecnologie e apprendimento. L’uso del computer a scuola è + efficace qndo
….
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Anche se l’impatto delle tecnologie sull’apprendimento è spesso basso e ininfluente dall’analisi delle
meta-analisi Hattie (2009) ha ricavato che i pc in classe sono efficaci quando:
Queste raccomandazioni non sono un banale ricettario per ottenere un risultato (qndo si parla di
tecnologie ed educazione si hanno più probabilità che certezze), troppe le varietà di fattori in gioco.
1 Un ragionamento avveduto suonerebbe così: dato questo contesto, considerati gli obiettivi proposti,
l’impiego del metodo Y aumenta la probabilità di conseguire i risultati auspicati.
2 la valutazione dell’efficacia di una tecnica o strumento dipende, va valutata in rapporto agli obiettivi
didattici e dalle finalità educative iniziali; se voglio sviluppare tecniche collaborative e pianifico attività
individuali, al termine dell’esercizio la scelta sarà poco efficace.
3 quando si ragiona intorno a metodi e tecniche per raggiungere un fine intervengono altri fattori, come
i costi, se un metodo costa di più rispetto ad un altro ma è più efficace, si è obbligati a sceglierlo.
Quindi le raccomandazioni vanno interpretate come informazioni utili in un processo decisionale, non
determinano l’azione educativa, in caso contrario ricadiamo nel determinismo tipico delle false credenze
intorno all’uso delle tecnologie.
Quali sono per Hattie le condizioni per un impiego più efficace del computer nella scuola?
L’uso del computer a scuola è + efficace qndo viene proposto come risorsa integrativa e non
sostitutiva dell’insegnante
Con il pc l’allievo sperimenta due diverse strategie istruttive: quella del pc e quella dell’insegnante, il
lavoro al pc genera benefici se è integrazione non in sostituzione del lavoro dell’insegnante, quando
affianca, questo permette un confronto fra diverse strategie.
L’uso del computer a scuola è + efficace qndo l’insegnate viene formato sull’impiego del computer
come strumento di insegnamento e apprendimento
Le ricerche mostrano come i docenti usino il pc per usi personali e amministrativi, meno per finalità
educative. Per riprendere Cuban l’uso del pc non rientra ancora nella grammatica scolastica (vedi cap.
1), per cui serve formazione preparatoria (Jones 1991), almeno 10, in poche settimane.
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L’uso del computer a scuola è + efficace qndo vengono offerte ripetute occasioni per apprendere
Tassonomia (2009) degli usi + frequenti del pc in classe, ordinando le categorie secondo un ordine di
maggiore/minore efficacia, pc tutoriale, programmazione, scrittura elettronica, drill and practice, pc per
problem solving e simulazioni.
Uso del computer in modo tutoriale = implicano esperienze d’apprendimento strutturate.
Drill and practice = da risultati positivi se non presentata in forme noiose e ripetitive, ma coinvolgenti,
la ripetizione dell’esercizio finchè non si sviluppa padronanza è un concetto chiave del mastery learning2
(il + efficace per Hattie), inoltre implica partiche deliberative e decisionali. Per Luik gli attributi tipici
sono: motivanti, controllo da parte dello studente (++), presentazione di info o focalizzazione
sull’obiettivo didattico (++), caratteristiche delle domande, delle risposte, feedback (++). La maggior
parte dei videogiochi si basa su D&P, i computer games includono livelli crescenti di difficoltà, superati
attraverso l’esercizio, quindi coinvolgenti.
L’uso del computer a scuola è + efficace qndo lo studente, non l’insegnate, esercita il controllo
sull’apprendimento
Se ritmo, tempo, sequenza dei materiali istruttivi, scelta degli argomenti, revisione, risiedono nelle mani
dello studente l’uso del pc è + efficace (Niemiec), lo studente deve regolare la tecnologia (Abrami),
l’apprendimento, come nella scrittura elettronica, videoscrittura che rispetto alla carta da risultati
maggiori (Bangert-Drowns), aumentano revisioni, si fanno meno errori (Goldberg), chi impara scrivere
al pc è + motivato e coinvolto, producono con maggiore qualità e quantità (Torgerson e Elbourne).
L’uso del computer a scuola è + efficace qndo viene valorizzato l’apprendimento tra pari
L’attività è + efficace (Lou), i gruppi (non troppo grandi) possono fare attività di problem solving,
procedendo per step progressivi, confrontando le prospettive e modalità di risoluzione, confrontandosi
con diversi feedback e provando modi alternativi di costruire conoscenza; il lavoro al pc a coppie
favorisce interazioni tra pari, si impara a confrontarsi e a discutere.
Le raccomandazione di Lou e altri:
1 si consiglia il lavoro a coppie quando gli studenti lavorano con tutoriali o programmi di
addestramento controllati dal sistema o chiusi.
2 quando gli studenti lavorano con programmi esplorativi/per scoperta (simulazioni e ipertesti) o con
software general purpose (videoscrittura) è imp che ciascun membro metta in atto le proprie
strategie, che illustri e analizzi varie ipotesi e soluzioni, bisogna enfatizzare la discussione.
3 I piccoli gruppi devono essere formati con precise strategie cooperative, creando gruppi eterogenei.
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Tecnica istruttiva messa a punto negli anni 50 da Bloom e Carrol, favorire l’acquisizione graduale e progressiva dei
contenuti istruttivi, il buon apprendimento è il risultato del rapporto tra tempo dell’alunno e dell’insegnante.
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5 – Conclusioni
La tecnologia migliora l’apprendimento? Negli ultimi 50 anni la storia delle tecnologie educative è stata
influenzata da diverse teorie dell’apprendimento, ciascuna teoria ha rappresentato in modi diversi ruolo
e potenzialità delle tecnologie: a seconda delle teorie (dei processi di apprendimento), a seconda delle
visioni pedagogiche (delle relazioni pedagogiche tra docente e studente), a seconda di visioni
epistemologiche (della natura della realtà e della conoscenza).
Le teorie offrono diverse prospettive su come impiegare le tecnologie, nessuno è migliore dell’altro,
dipende dalla corrispondenza tra compito, tecnologia e metodo istruttivo.
Dalle evidenze empiriche emerge che i risultati sono contrastanti, per cui l’uso del pc non migliora i
risultati acquisitivi. Hattie: i computer possono accrescere la probabilità dell’apprendimento, ma non
c’è una relazione necessaria. Non possiamo semplificare, ma avere senso critico.
Spesso le discussioni su tecnologie e apprendimento sono guidate da credenze, opinioni, ideologie,
visioni più che da solide teorie, empiricamente fondate. Si entra su un piano normativo che coinvolge i
valori e l’idea di società che si desidera costruire. Finchè il dibattito sarà guidato da ideologie, il divario
tra retorica e realtà aumenterà.
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