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LA GIOIA CLAUDIO
BALZARETTI
AMEDEO
CENCINI
FRANCESCA

LA GIOIA
COCCHINI
MATTEO
CRIMELLA
TIZIANO
LORENZIN
ROSALBA
MANES
LODOVICO
MAULE

parola spirito e vita


MICHELE
MAZZEO
GRAZIA
PAPOLA
GÉRARD
ROSSÉ
DONATELLA
SCAIOLA
CLAUDIO
Semestrale – n. 2
STERCAL
luglio-dicembre 2017
tariffa ROC: Poste italiane S.p.A. NORBERTO
sped. in A.P. - dl. 353/2003 VALLI

76
(conv. in L. 27/02/2004 n. 46)
art. 1 comma 1, DCB Bologna
ISSN 2240-6077 ROSANNA
VIRGILI

€ 24,60
(IVA compresa)
90376
76
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Direttore Parola Spirito e Vita n. 77


Alfio Filippi La Fraternità
Comitato di redazione
Enzo Bianchi (Comunità di Bose), Gian Paolo Carminati (Bologna), Giuseppe
De Carlo (Bologna), Dino Dozzi (Imola), Daniele Gianotti (Reggio Emilia), I. Antico Testamento
Luciano Manicardi (Comunità di Bose), Luca Mazzinghi (Firenze), Roberto
Mela (Trento), Antonio Nepi (Fermo), Sergio Rotasperti (Bologna), Maria 1. Giacobbe ed Esaù: storia di fratellanza e storia di separazioni
Pina Scanu (Urbaniana, Roma), Roberto Vignolo (Lodi), Marco Settembrini (Gen 25–36; Rm 9,11-13) (Germano Galvagno).
(Bologna), Rosanna Virgili Dal Prà (Roma), Giorgio Zevini (UPS, Roma).
2. Lea e Rachele (Cristiana Maria Dobner).
Collaboratori 3. Giuseppe, la fraternità riconciliata (Giuseppe De Carlo).
Luigi Di Pinto (Napoli), Franco Festorazzi (Ancona), Giuseppe Ghiberti 4. La fraternità diventa comunità: il Deuteronomio (dono di Dio
(Torino), Maurice Gilbert (PIB, Roma), Bruno Maggioni (Como), Alberto Mello e costruzione di vita) (Grazia Papola).
(Comunità di Bose), Mauro Pesce (Bologna), Gianfranco Ravasi (Roma), Paolo 5. I figli di Davide (Antonio Nepi).
Siniscalco (Roma), Klemens Stock (PIB, Roma), Albert Vanhoye (PIB, Roma),
Ugo Vanni (PUG, Roma). 6. «Com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme»
(Sal 133) (Tiziano Lorenzin).

II. Nuovo Testamento


Editore
Centro editoriale dehoniano 1. «Voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8) (Matteo Crimella).
via Scipione Dal Ferro, 4 – 40138 Bologna 2. Attorno alla Parola nasce la fraternità. L’esperienza degli Atti
Tel. 051/3941511 (Gérard Rossé).
3. Luci e ombre della fraternità nelle comunità paoline.
Abbonamento annuo 2017 La fraternità alla prova nelle comunità paoline
Italia € 37,00, Europa € 52,70
Resto del mondo € 53,70 (Giacomo Lorusso).
Singolo numero € 24,60 4. Marta e Maria (Vincenzo Battaglia).
c.c.p. 264408 intestato a CENTRO EDITORIALE DEHONIANO 5. Figure di sorelle nel NT (Rosalba Manes).
Direttore responsabile
Alfio Filippi
III. Vita della Chiesa
Segretario di redazione
Pier Luigi Carminati 1. Agostino e i Donatisti, fratelli «nonostante»
(Marcello Panzanini).
parolaspiritoevita@dehoniane.it 2. Basilio, Gregorio e Macrina: i fratelli santi
© 2017 Centro editoriale dehoniano
(Guido Innocenzo Gargano).
via Scipione Dal Ferro, 4 – 40138 Bologna 3. Chiara e le sorelle (Diana Papa).
www.dehoniane.it 4. La «vita comune» di Bonhoeffer (Vittorio Metalli).
EDB® 5. Come dire «fratello» oggi (Vinicio Albanesi).
Stampa: , Ferrara 2017

Semestrale – n. 2 – luglio-dicembre 2017


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LA GIOIA CLAUDIO
BALZARETTI
AMEDEO
CENCINI
FRANCESCA
COCCHINI
MATTEO
CRIMELLA
TIZIANO
LORENZIN
ROSALBA
MANES
LODOVICO
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ROSANNA
VIRGILI
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Sommario
Editoriale (Alfio Filippi) ........................................................ pag. 3

I. Antico Testamento
1. «Perché tu sia felice»: scopo del comandamento
è la felicità dell’uomo (Dt 6,3) (Grazia Papola) .... » 13
2. La gioia del culto e delle feste di pellegrinaggio
(Dt 12,18; Ne 8,10; Sal 33,1; 118,24; Sal 133)
(Tiziano Lorenzin) .................................................... » 25
3. «Ci fu una gioia straordinaria a Gerusalemme»
(2Cr 30,26) (Claudio Balzaretti) .............................. » 39
4. «Dio danzerà con il suo popolo» (Sof 3,17;
Is 62,3-5) (Donatella Scaiola) ................................... » 53
5. Un finale di gioia (Is 65–66). Come succo
in un grappolo (Rosanna Virgili) ............................. » 65

II. Nuovo Testamento


1. La gioia di annunciare il vangelo nell’opera
di Luca (Gérard Rossé) ............................................. » 81
2. La gioia nelle parabole di Matteo
(Matteo Crimella) ....................................................... » 93
3. «Vi ho detto queste cose, perché la mia gioia
sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11)
(Michele Mazzeo) ...................................................... » 105
4. «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto:
siate lieti» (Fil 4,4). I volti della gioia in Paolo
(Rosalba Manes) ........................................................ » 121

III. Vita della Chiesa


1. ...esultanti cantiamo. La dimensione della gioia
nella liturgia eucaristica (Norberto Valli) ................ » 137
2. L’invito alla gioia per eccellenza: il canto
dell’Exultet (Lodovico Maule) ................................. » 151
3. L’iniziazione cristiana fatta con gioia: la catechesi
del Buon Pastore (Francesca Cocchini) .................. » 167
4. I santi abitano la gioia (i perfetti no)
(Amedeo Cencini) ...................................................... » 179
5. «Gaudete in domino»: il magistero di una vita
(Claudio Stercal) ........................................................ » 191

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LA GIOIA NELLE PARABOLE DI MATTEO


Matteo Crimella
Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale – Milano

La gioia nel racconto del primo Vangelo è il corrispetti-


vo antropologico alla rivelazione dall’alto. La gioia non rap-
presenta solo un sentimento interiore, ma designa un atteg-
giamento più complesso, una vera e propria summa di feli-
cità suscitata dalla manifestazione gratuita di Dio. È l’atteg-
giamento dei magi, così caratterizzati dal narratore alla vi-
sione della stella (2,10); è la stessa risposta di colui che ascol-
ta e accoglie la Parola (13,20); è l’esperienza dell’uomo che
ha trovato un tesoro nel campo (13,44) e mette in atto una se-
rie di decisioni importanti per entrare in possesso di quello
spazio, immagine del Regno.

1. Il sostantivo chará (gioia) conosce solo sei attesta-


zioni nel Vangelo di Matteo: all’inizio del racconto caratte-
rizza i magi che vedono la stella (2,10), mentre al termine
della narrazione connota le donne che corrono a dare l’an-
nuncio della risurrezione ai discepoli (28,9). Le altre occa-
sioni sono sempre nel contesto parabolico: nella spiegazio-
ne della parabola del seme, il terreno sassoso è «colui che
ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia» (13,20); l’uo-
mo che ha trovato un tesoro nel campo va «pieno di gioia»
(13,44) a vendere quanto possiede per acquistare quel cam-
po; infine il padrone invita i servi cui aveva consegnato cin-
que e due talenti – e che ne hanno guadagnati altrettanti –
a prendere parte «alla gioia» (25,21.23). Anche il verbo
chaírō (gioire) è attestato sei volte: al di là dei passi dove
l’imperativo indica un saluto stereotipato («Salve», 26,49;
27,29; «Salute a voi», 28,9), esso ricorre nella pagina dei ma-

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gi (2,10), nella nona e ultima beatitudine (raddoppiato da


agalliáō [esultare], 5,12) e nella parabola della pecora smar-
rita, dove caratterizza il pastore (18,13). La semplice stati-
stica offre già un panorama degno di considerazione e non
privo di significato.
Sempre guardando alla concordanza, non sfugge che la
gioia, in più di un’occasione, è all’interno di un contesto di
ricerca: la ricerca ingenua ma soddisfatta dei magi, che
giungono a adorare Gesù, contrariamente a Erode, che cer-
ca per uccidere (2,13); la ricerca della perla preziosa (13,45)
nella parabola gemella del tesoro nel campo; la ricerca ef-
fettuata dal pastore della pecora smarrita (18,12); la ricerca
delle donne di Gesù crocifisso (28,5), che sbocca sull’inau-
dita sorpresa dell’annuncio della risurrezione. Sul nesso fra
«ricerca» e «gioia» si dovrà tornare.

2. La gioia, anzitutto, caratterizza i magi alla visione


della stella (2,10) e le donne, raggiunte dall’annuncio ange-
lico della risurrezione di Gesù (28,8). I contatti verbali fra
la scena dei magi (2,1-12) e quella delle donne al sepolcro
(28,1-10) sono molteplici. Anzitutto i due episodi sono ca-
ratterizzati dalla triplice sequenza «cammino, visione, ado-
razione»: sia i sapienti d’Oriente come le donne sono in
cammino (2,8.9; 28,7.9.11) e si recano in un luogo (2,2.9.11;
28,1.8.9.10) caratterizzato per pregnanza cristologica; gli
uni e le altre vedono (2,2.9.10.11; 28,6) un segno che deve
essere interpretato (la stella e il sepolcro vuoto); l’atto fi-
nale, di grande valore teologico, è l’adorazione (2,11; 28,9).
In entrambi i casi il lettore incrocia una ricerca cristologica:
la prima verte sul luogo della nascita, la seconda, invece, sul
luogo della sepoltura. I personaggi sono molto differenti fra
loro: i magi sono pagani provenienti dall’Oriente, mentre le
donne appartengono al circolo più ristretto dei seguaci di
Gesù; entrambi, tuttavia, obbediscono a un avviso celeste,
cui corrisponde una testimonianza attestante la verità di
quel presagio: la parola profetica certifica Betlemme come
luogo di nascita del pastore d’Israele (2,5-6), mentre lo stes-
so Risorto si presenta alle donne in corsa verso i discepoli
(28,9-10). In entrambi i casi la ricerca è favorita da un vero

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e proprio deus ex machina celeste, che funge da fattore


«adiuvante»: da una parte la stella che si muove e si ferma
«sopra il luogo dove si trovava il bambino» (2,9), d’altra
parte l’angelo che scende dal cielo, rimuove la pietra e si
siede «su di essa» (28,2). La stella e l’angelo apocalittico in-
dicano il luogo di nascita e di sepoltura, segnalando l’una la
presenza, l’altro l’assenza di Gesù.
Stella e angelo contribuiscono a caratterizzare la ricer-
ca all’insegna della grande gioia messianica (2,10; 28,8). La
notizia è fornita dal narratore stesso, che nei due casi offre
al lettore una focalizzazione interna dei personaggi. La
gioia dei magi è suscitata dal riapparire della stella, che li
precede sino a fermarsi sul luogo di nascita del bambino;1
la gioia delle donne è causata dall’annuncio angelico della
risurrezione di Gesù. La gioia dei magi è espressa dal nar-
ratore per mezzo di una frase fortemente enfatica (letteral-
mente: «gioirono di una gioia grande fortemente»; icastica
la Vulgata: «gavisi sunt gaudio magno valde») che segnala
un atteggiamento univoco; le donne invece, godono an-
ch’esse di «gioia grande», cui però si mescola il «timore»
(phóbos). Se però i magi vedono «il bambino» (2,11), alle
donne va incontro lo stesso Risorto (28,9), dando perfetto
compimento alla loro ricerca, ormai del tutto gratificata. La
gioia, dunque, non si può ridurre unicamente a un’emozio-
ne spontanea o interiore; rappresenta invece un atteggia-
mento antropologico complessivo che corrisponde a una ri-
velazione celeste, cristologicamente determinata.2

3. Nel discorso in parabole la gioia emerge in due oc-


casioni: a commento del terreno sassoso (13,20) e nella ca-

1 Il segno richiama forse la tradizione esodica nella quale la nube e la

colonna di fuoco guidavano il popolo in cammino e si fermavano in deter-


minati luoghi (cf. Es 13,21-22; 40,37-38; Nm 9,17).
2 Cf. K. BERGER, «chará», in H. BALZ – G. SCHNEIDER (a cura di), Di-

zionario Esegetico del Nuovo Testamento. Volume II. Kegchreaí – ōphéli-


mos, Paideia, Brescia 1998, 1870-1874, in particolare 1872.

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ratterizzazione dell’uomo che trova un tesoro nel campo


(13,44).
Dopo la parabola del seminatore (13,3b-9) e il dialogo
fra Gesù e i discepoli sul motivo del suo parlare in parabo-
le (13,10-17), l’evangelista riporta una spiegazione della
stessa parabola (13,18-23). In primo luogo il seme viene
identificato con «la parola del Regno» (13,19), cioè con
l’annuncio cristiano. Quest’espressione nel linguaggio della
Chiesa primitiva designa l’oggetto della predicazione, cioè
lo stesso messaggio evangelico. Inoltre pare che il semina-
tore sia Gesù stesso, mentre nella parabola indicherebbe
Dio. Vi sono dunque alcune differenze fra la parabola e la
sua spiegazione: l’accento della parabola cadeva sul frutto
abbondante, il commento, invece, insiste sulle applicazioni
pratiche, concretamente sulla qualità dei quattro terreni,
che corrispondono a quattro disposizioni dell’animo di
fronte alla Parola. Il punto di vista è cambiato: non più
quello del seminatore e del successo dei suoi semi, ma quel-
lo degli uditori; l’attenzione va sulle condizioni secondo cui
la parola di Dio porterà frutto o, per essere più precisi, sul-
le disposizioni che impediscono alla Parola di portare frut-
to. Non domina la speranza di un bel raccolto, ma il timore
del fallimento. Non si tratta più del seminatore e nemmeno
del seme, ma dei terreni. Questa spiegazione fa emergere
una forte preoccupazione catechetica: la mancanza di per-
severanza minaccia la vita cristiana.
Nel secondo terreno il seme è gettato dove vi sono pie-
tre. La pietra è un simbolo ambivalente: positivamente, ri-
manda al discepolo saggio che ha costruito la casa sulla
roccia (7,24-25); tuttavia essa è anche un simbolo negativo,
perché segnala sia l’incapacità di sentire, sia la durezza che
non permette alcun genere di relazione e di vita. La pietra
ricorda il «cuore di pietra» di cui parla il profeta Ezechie-
le (Ez 36,26), come pure la «pietra d’inciampo», ovverosia
la pietra di scandalo di cui parlano i Salmi (Sal 118,22). Il
lettore deve valutare attentamente il senso di questa con-
dizione e operare una scelta a favore della costruzione del-
la casa sulla roccia, evitando l’inciampo e lo scandalo du-
rante il cammino. Chi ascolta e accoglie la Parola «con

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gioia» (13,20) è chiamato a mettere salde fondamenta alla


base della sua costruzione, a rimuovere le pietre dal terre-
no sassoso.3
La gioia che caratterizza la risposta, ancora una volta
mostra la reazione antropologica di fronte alla manifesta-
zione della potenza di Dio. Tuttavia essa non è sufficiente.
Emerge la figura di un discepolo tale solo in apparenza,
persona del momento, effimero nella sequela, forse oppor-
tunista; è colui che sceglie di ascoltare la Parola solo in al-
cune circostanze e che, come l’uomo che edifica la sua casa
sulla sabbia (7,26-27), non resiste alle intemperie nelle sta-
gioni più difficili. Si deplora un’accoglienza della Parola uti-
le solo sul momento, occasionale, funzionale alle singole cir-
costanze; si esige invece un ascolto costante e attento, non
solo di un attimo, ma di sempre. La parola accolta «con
gioia» chiede perseveranza anche nel tempo della persecu-
zione e della tribolazione (5,11-12). Fra la gioia e la soffe-
renza procurata dalla tribolazione non c’è incompatibilità:
lo ricorda la beatitudine di coloro che sono perseguitati
(5,10). Persecuzione e tribolazione sono da leggere non
tanto come ostacoli che impediscono l’accoglienza della
Parola, ma come momenti di passaggio verso la pienezza
del Regno.
La parabola del tesoro (13,44) è strettamente unita a
una parabola gemella, quella della perla preziosa (13,45-
46).4 La difficoltà è capire chi siano i protagonisti: pare che
siano i due personaggi umani (ovverosia il contadino e il
mercante). In realtà, a uno sguardo più attento, ci si accorge
che al centro delle parabole vi sono il tesoro e la perla; pro-
prio il loro ritrovamento casuale obbliga i due uomini a ven-
dere tutto per entrare in possesso di quelle cose preziose.

3
Cf. W. CARTER – J.P. HEIL, Matthew’s Parables: Audience-Oriented
Perspectives, The Catholic Biblical Association of America, Washington,
DC 1998, 74-77.
4 Cf. B. MAGGIONI, Le parabole evangeliche, Vita e Pensiero, Milano

1992, 103-105.

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Il contadino e il mercante sono come afferrati dai due teso-


ri che trovano. Così, sembra dire la parabola, è l’incontro
con l’annuncio del vangelo: il tesoro è tanto grande che ob-
bliga a decidere, a non lasciarsi sfuggire la straordinaria oc-
casione.
Il bene che il contadino e il mercante hanno trovato è
così prezioso che non si guarda a spese per entrare in pos-
sesso di esso, coscienti che il valore acquisito supera di gran
lunga quello alienato. Che cosa è mai una casa o un picco-
lo podere nei confronti di un ricco tesoro? Che è mai una
serie di negozi di fronte a una perla preziosa? La parabola,
cioè, insiste sul valore incomparabile del Regno.
I due racconti nella loro brevità quasi fugace sono con-
centrati sul comportamento degli uomini. La prima para-
bola senza dubbio attira l’attenzione sul tesoro; poi però il
seguito della breve narrazione parla solo dell’uomo che
l’ha scoperto e di come si comporta. Su come si presentava
il tesoro, sulla sua natura, sul suo effettivo valore non è det-
to proprio nulla. Anche a proposito della perla v’è la stessa
indeterminazione: è «una perla di grande valore» (13,46),
ben differente da quelle che si trovano abitualmente. Mat-
teo non entra in troppi particolari, lascia molto all’immagi-
nazione del lettore.
La scoperta è descritta sommariamente, ma ci rivela la
situazione dei due uomini. Il primo è un povero salariato,
un contadino che lavora la terra di un altro e fa la grande
scoperta. Il secondo invece è un ricco mercante, uno che
possiede negozi e filiali. I due sono protagonisti di un ca-
suale ritrovamento: il contadino fa la sua scoperta proprio
per puro caso; il mercante invece è uno che cerca, ma pure
il suo ritrovamento è quasi casuale. La decisione dei due è
simile, anche se è espressa con verbi differenti: del contadi-
no si dice che «va, vende tutto quanto possiede e compra»
(13,44): tutto è al presente; del mercante si dice che «andò,
vendette e comprò» (13,46): tutto è al passato. Il primo
sembra essere un atteggiamento continuo, quasi abituale
(espresso dal presente greco), il secondo invece un gesto
puntuale (segnalato in greco dall’aoristo). Tuttavia queste
differenze stilistiche danno rilievo alla ripetizione, sulla

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quale il narratore pone l’accento. Passato e presente, poi, ri-


cordano che il duplice racconto fittizio può diventare la
chiave per comprendere più d’una situazione. Colpisce
l’immediatezza con cui il contadino e il mercante reagisco-
no alla scoperta: prendono radicali e importanti decisioni
con naturalezza, prontamente, senza esitazioni. In realtà, a
ben pensarci, essi fanno quanto chiunque altro in quel caso
avrebbe fatto. Di fronte a un bene tanto prezioso e inatte-
so non si può che agire così. Quello che il povero contadi-
no salariato possiede non è molto, ma il campo dove si tro-
va il tesoro vale immensamente di più di tutti i suoi pochi
averi. Ben diverso è il patrimonio di tutti i negozi del ricco
mercante: ma ancora una volta tutti quei beni non valgono
nulla rispetto alla preziosissima perla.
Le precisazioni sui personaggi, sulla situazione e sulla
decisione mostrano che le due parabole sono più comples-
se di quanto sembri a prima vista. Ci si accorge che il Re-
gno non assomiglia a un tesoro, né a una perla: il Regno è
simile a quello che succede quando si scopre un tesoro, a
quello che si fa quando si trova una perla. In altre parole, il
Regno è rappresentato da un complesso di azioni: il ritro-
vamento è solo il passo iniziale; poi bisogna mettere in cam-
po tutta una serie di scelte per venire in possesso di quella
fortuna. A pensarci bene la parabola potrebbe essere stata
diversa e cioè, pressappoco così: «Il Regno dei cieli è simi-
le a un tesoro sepolto nel campo che un uomo trova e pren-
de per sé». E cioè: il ritrovamento coinciderebbe con il pos-
sesso. Ma così non è: il ritrovamento non significa imme-
diato possesso; chiede invece una decisione forte, domanda
di compiere scelte radicali; diversamente non si entra in
possesso né del tesoro, né della perla.
Questo complesso di azioni assomiglia all’epopea dell’e-
sodo. Allorché il popolo d’Israele esce dall’Egitto, non si
trova davanti la terra promessa, bensì il deserto; la libera-
zione dalla schiavitù del faraone non coincide con l’ingres-
so nel Paese. Per arrivare nella terra promessa v’è un lungo
cammino di quarant’anni, nei quali il popolo fa l’esperienza
della fame, della sete, dell’insidia dei nemici; ma vede pure
la manna che cade dal cielo, l’acqua che sgorga dalla roccia,

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le quaglie che salgono dal mare e così via. Il popolo, in quel


cammino che dura un’intera generazione, deve apprendere
a servire il Signore, deve imparare a fidarsi unicamente di
Dio, deve stringere con lui un patto d’alleanza, in una pa-
rola, deve credere. Solo a queste condizioni è possibile en-
trare nella terra. Il carattere promettente della liberazione
dall’Egitto chiede di credere in Dio per entrare in possesso
della terra.
Se le immagini utilizzate da Gesù (il tesoro e la perla)
possono far pensare a un colpo di fortuna, le scelte del con-
tadino e del mercante chiariscono che la scoperta del Re-
gno è un procedimento molto più complesso, è l’assunzione
di una responsabilità. Il dono iniziale è gratuito, promet-
tente, inatteso, prezioso. Proprio la coscienza del valore di
quel dono mette in moto tutto il procedimento di appro-
priazione: fra la scoperta del tesoro e la sua acquisizione c’è
di mezzo la vendita dei propri averi.
Qual è la valutazione che la logica interna sollecita? Se
il comportamento del contadino e del mercante sono rite-
nuti ovvi, adeguati alla situazione, la valutazione conduce
alla determinazione di vendere tutto per avere il tesoro e la
perla. In altre parole, la grande fortuna che è l’incontro con
il vangelo obbliga a un certo comportamento. Il vangelo del
Regno richiede una scelta coraggiosa, addirittura un distac-
co totale. Tuttavia l’accento delle due parabole non va sul
sacrificio; al contrario si tratta di un affare, un affare che
nessuno si lascerebbe sfuggire. Il Regno di Dio capita da-
vanti all’improvviso e la sola scelta intelligente è lasciare
tutto per entrarne in possesso. Così hanno fatto i discepoli
nel momento in cui sono stati chiamati da Gesù (4,18-22);
così non ha fatto il giovane ricco (19,16-22) che, al contra-
rio del contadino pieno di gioia, se ne andò via triste «per-
ché aveva molti beni».
Le scelte di vendere e comprare sono causate, quasi
«spinte» (lo esprime la preposizione greca apó) dalla gioia:
è la conseguenza della scoperta. Se nella spiegazione della
parabola del seme la gioia era il corrispettivo antropologi-
co per il dono immenso della Parola, nella parabola del te-
soro avviene lo stesso. Tuttavia nell’uno e nell’altro caso il

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dono chiede una forte decisione, assente nella spiegazione


del terreno sassoso, presente invece nella parabola del te-
soro. La gioia, corrispettivo antropologico alla grazia, non
può arrestarsi al suo puro godimento, chiede piuttosto una
determinazione per il Regno, senza la quale essa stessa sva-
nisce. V’è un’ultima sfumatura: la misura del discepolato
non è il distacco, ma l’appartenenza, è la percezione di aver
trovato un tesoro non il dispiacere di vendere qualcosa.

4. La versione matteana della parabola del pastore e


della pecora (18,12-14) è all’interno del discorso comunita-
rio e si differenzia dal parallelo lucano (Lc 15,4-7). Il terzo
evangelista è volutamente ambiguo a proposito dei destina-
tari delle tre parabole (15,3): sono i pubblicani e i peccato-
ri, ma pure gli scribi e i farisei; nella versione di Matteo, in-
vece, i destinatari sono i discepoli. A loro, dunque, in primo
luogo, è chiesto di capire il racconto fittizio per regolare il
comportamento nei confronti di coloro che, all’interno del-
la comunità, si sono smarriti; non a caso, per ben tre volte si
ripete il verbo «smarrire» (planáō, vv. 12[2x].13). Il mecca-
nismo della parabola insiste sulla sproporzione fra l’unica
pecora smarrita e le altre novantanove, quasi che quella so-
la agli occhi del pastore valga più di tutte le altre, proprio
perché smarrita.5 La parabola è indubbiamente paradossa-
le, in ragione del comportamento anomalo del pastore
(economicamente quasi assurdo). Sullo sfondo risuona il
rimprovero profetico ai pastori che non si prendono cura
delle pecore loro affidate (Ez 34,6-8) e la promessa di un
pastore che «andrà in cerca della pecora perduta e ricon-
durrà all’ovile quella smarrita» (Ez 34,16). Tale è il com-
portamento di Dio e di Gesù, non genericamente, ma esca-
tologicamente riferito al Regno presente in Gesù. Il conte-
sto del discorso ecclesiale insiste sull’attenzione ai «piccoli»,

5 Cf. J. DUPONT, «La parabole de la brebis perdue (Mt 18,12-14; Lc

15,4-7)», in ID., Études sur les évangiles synoptiques. Tome II, Leuven Uni-
versity Press – Peeters, Leuven 1985, 624-646, in particolare 639.

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con una forte e significativa inclusione (18,10.14): sono i bi-


sognosi da ospitare (18,5), i deboli da non far inciampare
nel peccato (18,6-9), le persone semplici da non trascurare
(18,10), i peccatori.
Notevole è il risvolto antropologico della parabola, de-
stinata alla comunità chiamata ad agire come Dio in Gesù.
Da questo punto di vista la parabola ha un tratto molto rea-
lista: il pastore cerca la pecora, ma non è certo di poterla
trovare. Proprio per questa incertezza la gioia del ritrova-
mento è grande, esprimendo, ancora una volta, la reazione
umana di fronte a una manifestazione improvvisa e sor-
prendente.
Anche la parabola matteana dei talenti (25,14-30) ha un
corrispettivo lucano nella parabola delle mine (Lc 19,12-
27). Il contesto del primo Vangelo è quello del discorso
escatologico, all’interno di una teoria di tre parabole acco-
munate dal tema delle due vie: il servo posto a capo dei do-
mestici per essere «fidato e prudente» può anche mutare
atteggiamento, cinque vergini sono stolte e cinque sono
sagge, due servitori sono fedeli ma il terzo è «malvagio e pi-
gro». Se la prima parabola (24,45-51) insiste sull’atteggia-
mento giusto da assumere di fronte alla parusia, la seconda
(25,1-13) precisa che cosa sia la prudenza nel tempo della
lunga attesa. Strettamente collegata con la parabola delle
dieci vergini v’è la terza e ultima parabola, quella dei talen-
ti (25,14-30). Essa è in due momenti: anzitutto un breve rac-
conto (vv. 14-19) e poi un lungo dialogo (vv. 20-30).6
L’inizio (v. 14), per mezzo di un hósper gár («come in-
fatti»), congiunge strettamente la parabola alla conclusione
di quanto precede: «Vegliate dunque, perché non sapete né
il giorno né l’ora» (25,13). Il racconto fittizio dei talenti de-
ve far comprendere la necessità di vigilare, ovverosia di non
farsi sorprendere all’ora della parusia, che equivale al giu-
dizio.

6 Cf. A. MELLO, Evangelo secondo Matteo. Commento midrashico e

narrativo, Qiqajon, Magnano 1995, 429-430.

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L’evangelista poi precisa che il padrone dichiara al pri-


mo e al secondo servo: «Entra nella gioia del tuo padrone»
(vv. 21.23). Questo particolare è tipico della versione di
Matteo e non ha paralleli in Luca. Occorre chiedersi che
cosa rappresenti la «gioia» di cui parla il padrone. La fin-
zione parabolica è avara di particolari ed è difficile precisa-
re, se non ricorrendo all’allegoria. Per contro il destino del
terzo servitore (v. 30) è narrato con abbondanza di partico-
lari, obbligando il lettore a cogliere il nesso fra il giudizio
della parabola e il giudizio finale. La gioia, dunque, evoca
un convito festoso, un banchetto nuziale (25,10), una cele-
brazione solenne. Ne consegue che la vigilanza non è solo
un’attesa paziente, ma è il miglior uso possibile sia dei doni
di Dio, come pure delle responsabilità affidate all’uomo.

5. Che cos’è, dunque, la gioia nel racconto del primo


Vangelo? Essa, anzitutto, è il corrispettivo antropologico al-
la rivelazione dall’alto. In questo senso la gioia non rappre-
senta unicamente un sentimento interiore, ma designa un
atteggiamento più complesso e onnicomprensivo, una vera
e propria summa di felicità suscitata dalla manifestazione
gratuita di Dio. È l’atteggiamento dei magi, così caratteriz-
zati dal narratore alla visione della stella (2,10); è lo stesso
atteggiamento di colui che ascolta e accoglie la Parola
(13,20); è l’esperienza dell’uomo che ha trovato un tesoro
nel campo (13,44) e mette in atto una serie di decisioni im-
portanti per entrare in possesso di quello spazio, immagine
del Regno; col timore abita nel cuore delle donne raggiun-
te dall’annuncio pasquale della risurrezione di Gesù (28,9).
I segni della rivelazione di Dio, a contatto con l’uomo, ac-
cendono nel suo cuore un atteggiamento gratificante, rac-
comandabile e pure invidiabile.
La gioia non raramente si accompagna con la ricerca.
Essa rappresenta un positivo atteggiamento del discepolo,
ma è pure un’azione che caratterizza Dio. I magi – sapienti
d’Oriente – sono esemplari nella loro ricerca guidata dalla
stella e coronata dall’adorazione di Gesù, a differenza di
Erode che cerca il bambino per ucciderlo (2,13); così pure
le donne, ricercano alla tomba il crocifisso (28,5) e sono de-

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stinatarie dell’inatteso annuncio angelico che suscita la lo-


ro gioia mista a timore; anche il mercante di perle preziose
ne cerca una di grande valore (13,46); infine, la ricerca del
pastore (18,12), rimandando al mistero di Dio, è un atteg-
giamento normativo per la comunità dei discepoli che deve
prendersi cura dei piccoli. La ricerca intreccia la rivelazio-
ne cristologica e divina e si presenta come atteggiamento
adeguato per accogliere la novità della presenza del Messia
e quindi del Regno. Il nesso con la gioia escatologica sotto-
linea che la ricerca è soddisfatta dal ritrovamento di colui
che è cercato, segno di una pienezza – quella del Regno –
ormai disponibile all’umanità.
La concisione con cui la parabola dei talenti allude alla
gioia (25,21.23), senza precisare di che cosa si tratti, suscita
nel lettore un’attesa che deve essere colmata. A dire che la
gioia proveniente dalla rivelazione divina non è solo un at-
teggiamento antropologico, ma è pure un dono escatologi-
co, promesso ma ancora da attendere.
Laddove nelle parabole matteane emerge la gioia
(13,20.44; 18,13; 25,21.23), bisogna riconoscere che essa
evoca sia l’atteggiamento antropologico suscitato dalla gra-
tuità della rivelazione, come pure il compimento della pro-
messa nella pienezza di Dio. È un atteggiamento gratifican-
te, coerente con la poetica di Matteo che insiste sul compi-
mento della Scrittura e che annuncia la comparsa dell’E-
manuele (1,23), il Messia cercato e adorato da quelle genti
(2,11) destinatarie dell’invio degli Undici, perché possano
diventare discepoli (28,19).

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