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appunti di

SOCIOLOGIA
dell’AMBIENTE

sintesi del manuale di Pellizzoni - Osti

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SOCIOLOGIA dell'AMBIENTE
Nel complesso appare una tematica trasversale, cioè un qualcosa
che coinvolge degli ambiti disciplinari anche molto diversi tra
loro, e sul piano teorico la sociologia dell'ambiente attraversa
campi del sapere come l'ecologia, l'economia, la politologia, la
sociologia dei movimenti, lo studio delle organizzazioni, ecc.

Avvertenze:
per la bibliografia ed ogni altra necessaria precisazione, rinvio alla consultazione del
manuale di SOCIOLOGIA dell’AMBIENTE di Luigi Pellizzoni e Giorgio Osti (il
Mulino, Bologna, 2008 - seconda edizione).

…ho utilizzato questo manuale sia per inquadrare il problema dell’ambiente da una
prospettiva sociologica, sia in relazione alla necessità di sistematizzare conoscenze
sociologiche di base e saperi avanzati. In tal senso questi appunti rappresentano una
breve sintesi del testo citato, del quale, la struttura risulta sostanzialmente invariata
anche se integrata in alcuni passaggi da qualche specificazione.

In ogni caso ritengo rispettati i diritti d’autore, in particolare per ciò che riguarda la
proprietà intellettuale dell’opera.

Luigi Pellizzoni professore associato di Sociologia dell‟ambiente e Sociologia dei fenomeni


partecipativi presso la Facoltà di Scienze Politiche dell‟Università di Trieste, ha una lunga
esperienza di ricerca sulle tematiche ambientali, tecnologiche e di governance, con riferimento
particolare alla crisi delle istituzioni politiche e scientifiche, alla crescita di importanza del
rischio e dell‟incertezza, e all‟intreccio tra conoscenza e valori.

Giorgio Osti professore associato di Sociologia dell‟ambiente e del territorio e Sociologia delle
migrazioni presso la Facoltà di Scienze Politiche dell‟Università di Trieste, si occupa di
problemi ambientali, e di questioni legate allo sviluppo rurale. Tra i suoi interessi di ricerca: il
volontariato ambientale, l‟evoluzione dei parchi naturali, la reciprocità nelle società moderne.

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appunti di
SOCIOLOGIA dell‟AMBIENTE

immagini :
brochure of Sustainable Energy Europe Campaign - 2010
Executive Agency for Competitiveness and Innovation:
elaborazione by inopan - Paint Shop Pro (Jasc Software)

free©reations 2010 BorderLine by inopan


aggiornato al 2013 - pubblicato il 23 febbraio
google DOCUMENTS: appunti di Sociologia dell’Ambiente (Pellizzoni - Osti)

borderlinebyinopan@gmail.com

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LA CRISI AMBIENTALE 6
Sostenibilità ed insostenibilità
Crisi ambientale come giustizia sociale
Crisi ambientale in relazione alla qualità della vita
Conclusioni

AMBIENTE E SOCIETA‟ 17
Sociologia dell‟ambiente?
Parole chiave
Come la sociologia affronta la questione ambientale
Ambiente e tradizione sociologica
I quadri teorici della sociologia ambientale:
Il paradigma ecologico e l‟approccio ecosistemico
Luhmann e la comunicazione ecologica
La teoria culturale del rischio
Il filone neomarxista
Ecoanarchismo ed ecofemminismo
Modernizzazione ecologica e modernizzazione riflessiva
Conclusioni

INTERAZIONE SOCIALE ED AMBIENTE 60


L‟interazione socio ambientale
L‟approccio ecologico
L‟approccio strumentale
L‟approccio cognitivo
L‟approccio relazionale
Conclusioni

AMBIENTE E CONOSCENZA SOCIALE 77


La questione del “sapere”
Scienza e tecnologia
Sviluppo e trasformazione della scienza
Conoscenza scientifica come conoscenza sociale
Il rapporto tra scienza e società:
Pubblico e fiducia
Il rapporto tra scienza e politica
Ambiente e conoscenza sociale
Epidemiologia popolare e science shops
Conclusioni

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AMBIENTE E SVILUPPO ECONOMICO 94
Razionalità e questioni ambientali
Regimi di proprietà e gestioni associate
Vocazione professionale per l'ambiente
Sperequazioni socio ambientali
Conclusioni

AMBIENTE E POLITICA 105


Ambiente come oggetto-soggetto della politica
Partiti verdi e politiche ambientali
Processo di formazione delle politiche pubbliche
Lo sviluppo delle politiche ambientali
Ambiente e trasformazione della democrazia
Conclusioni

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LA CRISI AMBIENTALE

La “crisi ecologica”, almeno per quanto riguarda la prospettiva della sociologia coinvolge le
dinamiche che riguardano le questioni della sostenibilità, della giustizia sociale, e della qualità
della vita.

Un punto di partenza sotto il profilo analitico, è quello della degradazione della persona umana,
degradazione come conseguenza di un utilizzo poco adeguato dei beni naturali, peraltro, in
relazione a determinate rappresentazioni del benessere individuale e sociale.

La “crisi ambientale”, viene generalmente percepita dall‟individuo al livello di una serie di


problemi, ad esempio: l‟inquinamento, i rifiuti, il traffico, il cambiamento climatico, ecc.
tuttavia, il collegamento tra crisi dell‟ambiente e crisi dell‟uomo non è poi così immediato.

Negli ultimi 20 anni la durata della vita umana è andata allungandosi, e la popolazione mondiale
risulta tutt‟oggi in crescita secondo una tendenza maggiore rispetto a quanto registrato nei
decenni precedenti; inoltre, va rilevato che, nel complesso gli individui risultano più istruiti, più
ricchi, e la mortalità infantile tende a diminuire. In generale, almeno in riferimento ai dati della
Banca Mondiale, gli esseri umani sembrano sviluppare delle crescenti capacità di adattamento,
ed il problema ecologico-ambientale appare riferito a tematiche specifiche piuttosto che alla
prosperità della popolazione globale.

Secondo una certa prospettiva, la “crisi ambientale” può apparire come una questione morale
anziché una minaccia per l‟uomo e per la società, questo per dire che, al livello di molte dispute
sia locali che internazionali la crisi ambientale non è qualcosa che viene ritenuto così scontato,
poiché i dati ecologici appaiono relativamente confortanti per l‟essere umano.

Sotto un altro punto di vista, invece, il problema appare in modo diverso ed assume dei tratti più
preoccupanti in relazione alla degradazione o alla perdita di determinati beni naturali; in questo
senso, sono in molti a considerare le tematiche che riguardano l‟essere umano, ed in particolare
le questioni come:

la sostenibilità
la distribuzione sociale dei costi e dei benefici
la qualità della vita

Sostenibilità ed insostenibilità
In relazione al problema della sostenibilità, acquista sostanza la “prospettiva ecologia”, la quale
evidenzia come all‟incremento rapido di una specie possa seguirne un drammatico crollo; in tal
senso, viene portata l‟attenzione sul piano delle conseguenze future dell‟attuale livello di
sviluppo della specie umana, dove sarebbe proprio l‟uomo il responsabile della sua stessa
decadenza. Attualmente, i dati che riguardano le attività umane indicano delle forme di sviluppo

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insostenibili, cioè che non potranno durare a lungo nel futuro; uno dei principali criteri di
valutazione in questo senso è rappresentato dal calcolo dell‟impatto (o dell‟ingombro), delle
attività umane sull‟ambiente fisico, e nel momento in cui il volume complessivo delle attività
umane sarà troppo elevato rispetto alle capacità di tenuta o di riassorbimento dell‟ambiente, si
realizzerà una condizione di insostenibilità.

In questo senso, per un utilizzo “ecologico” della natura diventa fondamentale il concetto di
spazio ambientale, cioè la quantità dell‟ambiente che potrà essere utilizzata senza che per questo
vengano meno le caratteristiche essenziali dell‟ambiente stesso. Il calcolo dello spazio
ambientale viene effettuato considerando alcuni parametri, tra i quali:

l‟utilizzo delle risorse naturali in funzione del loro grado di rinnovamento,


la capacità di assorbimento dell‟ambiente in relazione ai materiali prodotti dall‟uomo,
il livello di utilizzo delle risorse non rinnovabili, quindi la capacità da parte dell‟uomo di
creare dei sostituti fisici equivalenti sul piano funzionale in forma di risorse rinnovabili.

L‟insieme di questi principi, se applicati, porterebbe a limitare il processo di sfruttamento delle


risorse naturali, un processo che, se oltrepassa una data soglia potrebbe condurre l‟ecosistema
all‟incapacità di rigenerarsi con il successivo sviluppo di un fenomeno di degenerazione, al
quale, a sua volta, conseguirebbe l‟indisponibilità di una serie di risorse e di beni naturali.

Appare dunque fondamentale stabilire la soglia oltre la quale l‟ecosistema inizia a degradare, ed
è a questo livello che va evidenziato come, a tutt‟oggi, risulta difficile stabilire dei valori precisi
in grado di dare adeguata sostanza alle varie previsioni e alle varie ipotesi, questo, a causa di una
serie di fattori:

è sconosciuto l‟effettivo grado di elasticità degli ecosistemi, quindi, il loro grado di


resilienza, cioè la capacità di tornare allo stato iniziale dopo aver subito una pesante
perturbazione;

risulta difficile stabilire il contributo dei fattori tecnologici che potrebbero portare a
modificare l‟uso di determinate sostanze naturali;

non è possibile valutare in modo preciso l‟atteggiamento umano nei confronti di


determinati beni, e di determinati processi naturali (es. comportamento degli esseri
umani nei confronti della riproduzione).

Nel considerare il fenomeno della resilienza appare relativamente semplice esprimere delle
valutazioni in merito ad ecosistemi circoscritti, quindi in riferimento al grado di sostenibilità-
insostenibilità dell‟azione umana (es. specie in via di estinzione), invece, il problema maggiore è
rappresentato dalla valutazione del sistema ecologico nel suo insieme, ovvero dalle condizioni
complessive che rendono possibile la sopravvivenza.

Uno dei tentativi per misurare la sostenibilità complessiva, è rappresentato dalla valutazione
dell‟impronta ecologica, cioè la traduzione in ettari di superficie dell‟ingombro dell‟attività

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umana complessiva, sia in riferimento agli scarti prodotti, sia in relazione alla capacità di
riassorbimento ambientale.

L‟impronta ecologica è un indicatore che permette di confrontare i consumi di vari gruppi di


popolazione nell‟ambito di una data area, in riferimento alle risorse disponibili nella stessa, ed in
generale, questo è un indice paragonabile al rapporto esistente tra popolazione di un dato
territorio, e risorse alimentari disponibili in quello stesso ambito.

Un esempio concreto dell‟utilizzo dell‟impronta ecologica come indicatore di confronto è


rappresentato dal “consumo di capitale naturale”, e per quanto riguarda l‟Italia, può far riflettere
il fatto che nel 1999 le stime riportavano una situazione per la quale, a fronte di una disponibilità
di terreni biologicamente attivi pari al 1.3 ettari pro-capite, veniva calcolato un ingombro
dell‟attività umana di circa il 4.2 ettari pro-capite, dunque, un deficit di 2.9 ettari.

Tale valutazione vede l‟Italia come un paese che non è in grado di tollerare la mole delle proprie
attività con le sole risorse presenti nel suo territorio.

Anche negli Stati Uniti la situazione è simile, poiché vengono rilevati elevati consumi di beni
naturali ed energia, quindi un qualcosa che tradotto nei termini dell‟impronta ecologica vuol dire
una disponibilità di 6.7 ettari pro-capite, con un impegno di circa 10, quindi un deficit di circa
3.6 ettari.

Va comunque ricordato che, tali indicatori sono da ritenere validi per finalità comparative, ma
non possono essere considerati attendibili per la valutazione della soglia di sostenibilità-
insostenibilità complessiva (valore soglia per il tracollo del sistema ecologico).

Possiamo comunque osservare che, nel suo insieme l‟umanità sta consumando il proprio capitale
ecologico, poiché il consumo complessivo viene stimato intorno a valori superiori al 35% in più
rispetto a quanto la natura è in grado di rigenerare (es. il pianeta non è in grado di assorbire
l‟anidride carbonica prodotta dall‟attività umana). Il problema, oltre ad essere legato alla
disponibilità delle risorse, tende quindi a coinvolgere la capacità complessiva di “rigenerazione”.

Crisi ambientale come giustizia sociale


Nel considerare la crisi ambientale secondo una prospettiva che porta l‟attenzione sul piano della
differenza nella distribuzione dei beni, l‟elemento chiave è rappresentato dal consumo
differenziato del capitale naturale, e l‟asimmetria distributiva in tal senso è indice di un problema
che può essere considerato a partire da questioni che coinvolgono aspetti riguardanti la
dimensione temporale, territoriale, e sociale.

In merito alla “dimensione temporale”, vanno considerate le precedenti manipolazioni di un


determinato territorio, le quali, oltre ad essere legate alle caratteristiche proprie dell‟ambiente
andrebbero valutate anche in funzione delle modalità di “colonizzazione”, cioè in relazione alle
scelte politico-economiche intraprese dai vari stati, dai regni, dagli imperi, che si sono succeduti
nel corso della storia. In questo senso, è importante osservare che uno squilibrio delle risorse
registrato nel passato riesce ad esercitare la propria influenza nel presente, ed allo stesso modo

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nel futuro, questo per dire che, è importante considerare anche l‟inerzia dei sistemi ecologici,
intesa come un elemento che, ad esempio per quanto riguarda lo sfruttamento delle zone
boschive, impone necessariamente dei tempi lunghi per la “rigenerazione” in quanto la
riproduzione degli alberi richiede degli archi temporali piuttosto ampi.

Un altro esempio significativo in tal senso è il processo di riassorbimento delle concentrazioni di


anidride carbonica da parte dell‟ecosistema, un processo che richiede tempi lunghissimi anche a
fronte di un immediata applicazione di misure restrittive sulle emissioni.

In relazione alla “dimensione territoriale” va invece considerato lo squilibrio nella distribuzione


dei beni e delle risorse ambientali secondo due differenti prospettive: l‟asimmetria dovuta ad un
eccessivo sfruttamento-danneggiamento dell‟ecosistema, ed il degrado territoriale legato al
benessere di un‟altra zona.

Nel primo caso è da considerare la cattiva gestione delle risorse, mentre nel secondo
l‟“ingiustizia ambientale” appare legata a qualcosa di più evidente: il degrado causato dalla
presenza di depositi di rifiuti, o di aree di stoccaggio di sostanze tossiche; in questo senso,
generalmente, tali zone vengono considerate “marginali” e socialmente discriminate.

In riferimento ai casi in cui, in alcune aree, sono state riscontrate delle elevate concentrazioni di
rifiuti tossico-nocivi, va evidenziato che sono molte le società ad industrialismo avanzato che
smaltiscono i loro rifiuti nei paesi del terzo mondo; questo ad esempio, è il caso dei rifiuti
radioattivi nei paesi africani.

Per quanto riguarda la situazione dell‟Italia, può essere interessante rilevare che emerge una
tendenza a smaltire rifiuti nel Sud (es. in Campania), ma un dato di altrettanto rilievo è
rappresentato dal fatto che tali scelte politiche hanno portato a favorire lo sviluppo di un mercato
illegale nello smaltimento di rifiuti, in generale un traffico caratterizzato dall‟assenza di qualsiasi
forma di regolazione, quindi, privo di garanzie per l‟ambiente e per la popolazione (fenomeno
delle ecomafie). Sul piano sociale, questo genere di situazioni chiama direttamente in causa
l‟operato delle istituzioni dello Stato, oltre che il meccanismo del consenso politico che viene a
crearsi a livello locale sulla base della possibilità di creare “impresa” e posti di lavoro lungo la
catena dello smaltimento di rifiuti.

Andrebbe comunque ricordato che sul piano territoriale la geografia dello squilibrio ambientale
è qualcosa di piuttosto complesso, poiché, spesso, le differenze territoriali non sono poi così
evidenti. Nei paesi ad alta densità abitativa, ad esempio, la distribuzione spaziale dello squilibrio
territoriale dell‟ambiente è meno polarizzata, e i punti a “rischio”, rappresentati dalle zone in cui
sono ubicate le discariche, le centrali nucleari, o quelle termoelettriche, finiscono per
danneggiare anche le zone meno marginali, questo, a causa della sovrapposizione dello spazio
utilizzato per le attività industriali, quelle agricole, e quelle abitative.

Invece, considerando lo squilibrio ambientale territoriale tra i vari paesi sembra più semplice
effettuare una distinzione: si possono riconoscere dei “paesi ricchi”, e dei “paesi poveri”, ed in
riguardo è stato stimato che un abitante medio di uno stato a Nord del mondo consuma una
quantità di risorse naturali di circa dieci volte superiore a quella di un abitante medio del Sud,

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complessivamente, una condizione che porta a considerare la differenza tra le varie necessità di
reperire spazio per lo smaltimento di rifiuti.

Questa diversità, in termini di ingombro dell‟attività umana (impronta ecologica), risulta


direttamente collegata al consumo di energia e di beni naturali, e questa ulteriore condizione
porta a suddividere i vari paesi in tre categorie principali:

paesi ricchi sotto il profilo ambientale e finanziario


paesi ricchi sotto il profilo finanziario
paesi ricchi soltanto in termini ambientali

Nel primo caso i paesi riescono a pareggiare il deficit in termini di impronta ecologica, nel
secondo, si registrano alti livelli di deficit biologico, nel terzo, la capacità biologica è superiore
rispetto al consumo.

Questa ulteriore evidenza sposta l‟attenzione sul “come” e sul “dove” vengano reperite le risorse
necessarie per compensare i vari livelli di deficit, e sulla scorta di tali considerazioni è possibile
portare il discorso sul piano delle conseguenze sociali ed ambientali che derivano dal commercio
mondiale di materie prime. In questo senso, va osservato che gli scambi commerciali tra aree e
paesi con capacità finanziarie molto diverse può portare soltanto a riprodurre gli squilibri
esistenti, poiché, il fatto di poter contare su ingenti risorse finanziarie, è una condizione che
permette di influenzare l‟andamento del mercato.

Istituzioni, amministrazioni, ed aziende, possono così subire l‟influenza che deriva dalle esigenze
(più o meno legali/illegali), di quei paesi e di quelle imprese multinazionali che, grazie alla loro
potenza finanziaria riescono a garantirsi posizioni di monopolio o di oligopolio.

Risultato di tali influenze è l‟aumento della possibilità di aprire margini discrezionali sui prezzi
delle merci, sul costo del lavoro, e sulle procedure che permettono di ottenere permessi e licenze,
questo, nell‟intento di aumentare i profitti nel processo di acquisizione delle risorse naturali a
livello dei paesi caratterizzati da economie deboli. Inoltre, non va trascurato il fatto che
l‟aumento del profitto da parte di quelle imprese che agiscono nei termini di uno sfruttamento
esasperato, tende ad aumentare l‟attrattività dei titoli azionari delle imprese stesse, ed in tal
modo, viene ulteriormente alimentato il movimento di capitali in direzione del regime di
oligopolio/monopolio.

Conseguenze dirette di tale situazione sono il progressivo rafforzamento economico-


commerciale delle imprese multinazionali, ed il corrispondente impoverimento dei paesi del
terzo mondo e delle imprese locali, dove, i beni naturali tendono a diventare merce di scambio a
basso costo. Questo fenomeno è conosciuto dagli studiosi con il nome di “dumping ambientale”,
peraltro accompagnato spesso dal fenomeno del “dumping sociale”, quest‟ultimo, caratterizzato
da un alto livello di sfruttamento della forza lavoro, la quale oltre ad essere sottopagata, risulta
priva di coperture sindacali ed assistenziali.

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Un esempio significativo è rappresentato in questo senso dallo sfruttamento della foresta
pluviale, un processo in cui le imprese “esterne” al territorio agiscono secondo delle logiche che
portano a delle condizioni che rendono possibile:

ottenere una licenza senza troppe difficoltà burocratiche,


disporre di manodopera a basso costo,
svincolarsi da obblighi particolari in relazione al processo produttivo (es. assenza di
vincoli di ripristino della risorsa prelevata, come il rimboschimento, oppure, la
superficialità dei controlli statali sul processo di produzione).

In contrapposizione a questa visione dello squilibrio ambientale si collocano invece delle


posizioni più “liberiste”, nel loro insieme degli atteggiamenti che tendono a portare l‟attenzione
non tanto sull‟operato delle multinazionali, quanto piuttosto sul ruolo del mercato.
Generalmente, viene data rilevanza al fatto che il commercio può aiutare la crescita delle varie
economie locali, ed in questo senso il modo di operare delle grandi imprese verrebbe giustificato
dalle mancanze di quei governi locali che non riescono a garantire e tutelare in maniera adeguata
i diritti e le regole che disciplinano i vari settori operativi; al riguardo l‟instabilità politica può
effettivamente rappresentare una condizione capace di generare elevati livelli di corruzione, e nel
complesso, i beni naturali presenti in un dato paese tendono a diventare in tal senso merce di
scambio per il benessere di una ristretta fascia di persone.

Altra tematica che riguarda l‟asimmetria distributiva interessa le caratteristiche della


“dimensione sociale”, e su questo piano il discorso permette di dare rilievo alle differenze tra
gruppi appartenenti alla stessa società. Secondo questa prospettiva sono da considerare i riflessi
sociali prodotti da una certa dispersione di beni naturali nell‟ambito di un dato territorio, e se da
un lato è vero che l‟aumento del degrado ambientale espone al medesimo rischio dei contesti
anche molto diversi tra loro, dall‟altro, è altrettanto concreto il fatto che sono in particolare
alcuni gruppi sociali ad essere più esposti ai rischi legati alle lavorazioni pericolose, o comunque,
alle attività che si svolgono in luoghi malsani (es. immigrati e marginali in genere), ed allo stesso
modo, sono i gruppi più avvantaggiati economicamente e socialmente che possono contare più di
altri su soluzioni residenziali in contesti meno inquinati, quindi, più salubri.

Altra problematica di rilievo sociale riguarda il fenomeno del “consumo”, sia in funzione del
potere d‟acquisto, sia in relazione alla capacità complessiva di far fronte in maniera adeguata alle
proprie necessità, e nel loro insieme questi fattori portano a considerare l‟asimmetria distributiva
dei beni naturali come una violazione dei diritti, ad esempio, il diritto alla vita, il diritto alla
salute, la libertà.

Crisi ambientale in relazione alla qualità della vita


Nelle scienze sociali la “qualità della vita” indica un parametro multidimensionale che esprime
una misura del benessere umano al di là degli indicatori puramente economici (reddito,
risparmio, produzione, ecc.); ed in generale, la qualità della vita rilevabile in un dato paese
appare legata ad una serie di fattori diversi, tra i quali, alcuni sono riferiti alle caratteristiche
individuali, come il livello di istruzione, altri all‟identità culturale, ad esempio le tradizioni e gli

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stili di vita, ed altri ancora alla socialità, questo come espressione del livello di possibilità di
convivenza più o meno pacifica; in questo senso, risulta in grado di esercitare influenza sulla
qualità della vita anche la qualità ambientale del territorio.

La “qualità della vita” è diventato un obiettivo politico di molti paesi, e a questo livello, se da un
lato non va trascurato che non esiste una teoria specifica della qualità della vita, dall‟altro, va
precisato che non è stata ancora sviluppata una precisa gerarchia tra i vari parametri che la
caratterizzano; in tal senso, andrebbe innanzitutto considerato il fatto che la nozione di qualità
della vita viene spesso utilizzata in modo piuttosto confuso, tuttavia, nel tentativo di interpretare
le tendenze sociali può essere utile considerarne due differenti aspetti: qualità della vita come il
fatto di “essere sani”, e come la condizione del “sentirsi bene”. Sotto il profilo metodologico,
esistono poi varie espressioni di questo concetto, e se ad esempio in riferimento al termine
“salute” il legame con l‟idea della “qualità della vita” può risultare intuitivo (es. assenza di
malattia, maggiore durata della vita, ecc.), per quanto riguarda il “sentirsi bene” il discorso si
complica poiché andrebbero considerati in tal senso degli specifici parametri bio-fisiologici. In
questi termini, il fatto di “sentirsi bene” può risultare anche una condizione legata al livello di
artificializzazione della vita quotidiana, quindi al progressivo distacco da una serie di pratiche
riconducibili ad un armonica e naturale collocazione nell‟ecosistema (modernità come negazione
degli aspetti fondamentali della natura umana).

In relazione alla “salute”, la qualità della vita esprime invece una condizione assai più vicina al
problema della crisi ambientale, all‟aumento delle possibilità di contrarre nuove malattie, o
comunque, alla recrudescenza di malattie già conosciute.

In tal senso, un primo problema è rappresentato dalla necessità di sviluppare una forma di
classificazione che comprenda:
ambienti di vita e di lavoro
vettori di malattia
patologie

Come già accennato in precedenza, i criteri per classificare la questione ambientale in relazione
alla salute umana possono essere vari, e tra questi, un parametro particolarmente diffuso tra le
organizzazioni che si occupano della crisi ecologica è la tassonomia per fattori ambientali, e per
quanto riguarda l‟Italia va ricordato che a partire dal 1993, a seguito del risultato del referendario
che ha visto togliere alle aziende sanitarie la competenza sulle questioni ambientali, il compito di
monitorare il rapporto tra le condizioni ambientali e la salute dei cittadini è stato affidato alle
Agenzie per la Protezione dell‟Ambiente; da un punto di vista sociologico può essere
interessante rilevare che sono stati considerati a questo livello, oltre ad un insieme di fattori
patogeni ritenuti significativi in base alla disponibilità di evidenze scientifiche, anche alcuni
aspetti psicosociali inerenti la percezione del rischio.

Come sviluppo concreto di tali attività a livello ministeriale, va evidenziata quell‟iniziativa che
ha portato l‟informazione a convergere nella Relazione sullo Stato dell‟Ambiente, ed in tal
senso, in merito alla questione dell‟inquinamento dell‟aria viene dato un certo risalto al
contributo negativo che deriva dall‟esposizione del particolato atmosferico presente

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nell‟ambiente urbano, il cosìdetto Pm 10, cioè l‟insieme delle “polveri sottili” capaci di
depositarsi a livello polmonare.

Il problema dell‟esposizione al Pm 10 interessa l‟intera Europa Occidentale, ed in particolare


sarebbe stato rilevato un aumento della mortalità (oltre che un aumento degli “eventi sanitari” in
genere), all‟aumentare della concentrazione di polveri sottili nell‟aria. Esiste comunque una certa
difficoltà in questo campo d‟indagine poiché va considerata anche la presenza di altre sostanze
dannose (biossido di azoto, anidride solforosa, ossido di carbonio), le quali, nel loro insieme
possono innescare un processo cumulativo e far aumentare il livello di rischio, ed in questi
termini il Pm 10 potrebbe rappresentare un indicatore importante di un certo degrado ambientale,
piuttosto che il responsabile dell‟inquinamento dell‟aria.

L‟acqua è un altro bene oggetto di studio nell‟ambito delle attività che riguardano il problema
della crisi ambientale, ed anche in questo caso è stata rilevata una certa difficoltà nel considerare
l‟effetto specifico determinato da certe sostanze chimiche; in questo senso è stato osservato che,
un adeguata evidenza scientifica richiederebbe l‟utilizzo di un campione molto ampio e di tempi
di osservazione piuttosto lunghi (forti vincoli finanziari ed organizzativi), ma in ogni caso è bene
ricordare che esistono situazioni molto diverse in base all‟agente patogeno considerato.

Altro ambito di studio di non facile valutazione è quello che riguarda i rischi legati
all‟esposizione ai campi elettromagnetici che derivano dalle radiofrequenze (radio, televisori,
telefoni cellulari, ecc), ma esistono anche altri agenti sui quali gravano meno dubbi circa i danni
che possono causare, ed un esempio in tal senso è dato dalla cancerogenicità dell‟amianto. In
relazione alla situazione italiana, le conseguenze gravi per la salute sono emerse già nel 1977, ma
è soltanto nel 1992 che sono stati posti dei vincoli normativi alla sua produzione ed al suo
utilizzo.

In generale, l‟amianto, sostanza che esercita i sui effetti nocivi in relazione all‟inalazione delle
polveri, ha prodotto una serie di danni sia agli addetti alla produzione, sia agli abitanti delle
località in cui erano ubicati i vari centri produttivi. In questo senso, oltre a rilevare un incidenza
maggiore di determinate patologie nelle zone più a Nord del paese in relazione alla maggiore
presenza di attività industriali, è stata osservata anche una concentrazione maggiore di patologie
nelle aree portuali, questo, a causa dell‟utilizzo dell‟amianto nell‟attività cantieristica.

Un esempio significativo del riflesso sociale che tali forme di “disequilibrio ambientale” possono
produrre, è lo sviluppo giudiziario che ha visto contrapposto il petrolchimico di Porto Marghera
(Montedison), ai familiari dei lavoratori deceduti a causa dell‟esposizione al C.V.M. (cloruro di
vinile monomero, come prodotto base per la produzione della plastica); non è secondario
osservare al riguardo come l‟esito del processo, che in 1° grado ha visto assolvere i dirigenti
Montedison (2001), condannati poi in 2° e in 3° grado (2004-2006), abbia portato in concreto ad
emergere una serie di intrecci tra interessi finanziari, necessità politiche, e questioni sociali.

Come già precedentemente accennato, un altro aspetto che va ad influire sul livello della “qualità
della vita” trova espressione nel concetto di artificializzazione. In generale l‟artificializzazione
tende ad indicare un “disagio”, inteso come una situazione in cui gli individui percepiscono la

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mancanza di un qualche cosa, ed in tal senso è possibile articolare il discorso su due differenti
livelli:

la mancanza di contatto con la natura


l‟alterazione dei ritmi naturali

Nel primo caso il disagio è riferito alla distanza che separa l‟ambiente naturale originario dalle
sue trasformazioni successive, ed in questo senso va osservato che l‟ambiente considerato oggi
come “naturale” è in realtà il frutto di una successiva trasformazione operata dall‟uomo nel corso
del tempo. I boschi europei, ad esempio, anche se oggi possono apparire come naturali, sono in
gran parte artificiali, frutto di una trasformazione avviata già nel corso del medioevo per
necessità di carattere militare, oltre che, per bisogni legati alla coltivazione di prodotti alimentari
e all‟allevamento, nel suo insieme un evidenza storica della tendenza umana ad individuare,
studiare, e sfruttare le potenzialità presenti in natura nell‟intento di trarre vantaggio.

Nel portare l‟attenzione a livello del senso che viene attribuito dall‟uomo al contesto che lo
circonda, possiamo poi distinguere varie modalità di approcciarsi alla natura, modalità che
chiamano in causa visioni differenti sotto vari profili, ad esempio:

filosofico-esistenziale
estetico
fisico-emozionale

Sul piano filosofico-esistenziale vengono prese come riferimento delle idee primordiali della
natura, quindi un qualcosa di cosmico, vitale, armonico, ed in tal senso la situazione attuale può
evocare una sensazione da “paradiso perduto”. Sotto il profilo estetico, la natura rappresenta
invece degli ideali in grado di suscitare ammirazione per la varietà delle forme, ed in questo caso
tende ad emergere un certo disagio in relazione allo squilibrio operato dall‟uomo nell‟ambito dei
processi di trasformazione. Infine, in riferimento alle concezioni fisico-emozionali, va rilevata la
mancanza della possibilità per l‟essere umano di sentirsi fisicamente immerso nell‟ambito di un
contesto naturale, quindi, la mancanza di un contatto diretto con l‟ambiente.

In merito all‟alterazione dei ritmi naturali, l‟attenzione va portata sul piano del “valore
normativo” espresso dalla natura, cioè il ritmo che la natura impone alla vita normale, ad
esempio, l‟alimentazione, l‟adattamento alle stagioni, alle vari fasi della giornata, e quant‟altro;
in questo senso, il distacco dai ritmi naturali tende ad esprimere un disagio legato ad un
organizzazione troppo razionale della vita.

Nelle varie forme assunte dai tentativi di riavvicinarsi ai ritmi naturali, la posizione più radicale è
rappresentata dal “biologismo sociale”, una corrente di pensiero che evidenzia la necessità
dell‟uomo di sottomettersi a quelle regole che derivano dal fatto di essere inseriti in un
ecosistema. Partendo dai presupposti che considerano i processi di adattamento della specie
all‟ambiente, il pensiero del biologismo sociale considera i criteri che regolano il funzionamento
della società, quindi, i meccanismi di selezione, la competizione per le risorse, la
specializzazione funzionale, ecc.

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Invece, una posizione meno estrema, ma non per questo meno rappresentativa della necessità di
un riavvicinamento alla natura, è quella orientata alla sacralizzazione della natura stessa, cioè il
fatto di riconoscere alcuni principi di funzionamento della vita come qualcosa che trascende
dall‟essere umano; tali principi troverebbero nella natura la propria ragion d‟essere.

In ogni caso va comunque ricordato che sono molto varie le forme assunte dalle critiche
all‟artificializzazione della vita umana, ed altrettanto varie le obiezioni sollevate nei riguardi di
queste correnti di pensiero, e tra queste appare interessante la critica che tende a definire nei
termini del “determinismo biologico” le posizioni che privilegiano il valore normativo della
natura, questo, poiché verrebbero escluse le varie forme di condizionamento che derivano
dall‟attività umana.

Il punto cruciale è rappresentato dalla necessità di comprendere come si realizza il processo di


artificializzazione, ed in questo senso uno dei metodi adottati è l‟occupazione ecologica della
specie umana, ovvero, un modello che considera come l‟umanità abbia distrutto, si sia
appropriata, o comunque abbia condizionato circa il 40% della produttività biologica. In Europa,
ad esempio, nel corso del 2000 è stato rilevato che soltanto il 15% circa dagli habitat naturali non
risulterebbe disturbato dall‟attività umana, mentre il 19% circa è parzialmente disturbato; ciò che
rimane, circa il 64%, risulta invece dominato dalle trasformazioni dell‟uomo.

Un altro criterio per valutare l‟artificializzazione operata dall‟uomo è la biodiversità, cioè un


insieme di valori che considerano:

il numero di specie presenti in un dato territorio


la variabilità genetica della specie
la diversificazione degli ecosistemi

In Italia possiamo distinguere i seguenti ecosistemi: montagna, collina, pianura, ed in particolare


negli ultimi due sono state registrate profonde alterazioni del contesto ambientale. Nell‟insieme,
viene ritenuto che l‟aumento delle pratiche agricole intensive, e l‟iperspecializzazione delle
infrastrutture e delle aree residenziali, rappresentino in questo senso dei fattori che hanno portato
ad un progressivo impoverimento ambientale, in altri termini, la causa dell‟appiattimento della
biodiversità.

Sempre nel 2000 è stato evidenziato che in Italia circa l‟8% delle specie vegetali è in pericolo di
estinzione, e lo stesso vale per il 68% degli animali vertebrati, dei quali i pesci d‟acqua dolce
sono quelli più minacciati (circa l‟88% della specie).

Complessivamente emerge una situazione in cui l‟attività umana, oltre a provocare una riduzione
delle specie, tenderebbe progressivamente a frammentare gli ecosistemi naturali, ed in tal senso è
stata registrata anche una preoccupante sostituzione delle specie autoctone con quelle alloctone,
un fenomeno legato alle attività venatorie in particolare.

Per quanto riguarda il fenomeno della “frammentazione” va evidenziato che le zone naturali, o
comunque le zone poco disturbate, subiscono progressive riduzioni delle loro dimensioni e sono
tra loro sempre più distanti, questo, con un conseguente aumento della problematicità per la

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sopravvivenza di molte specie, le quali oltre ad avere difficoltà nel reperire del cibo, incontrano
degli ostacoli anche per ciò che riguarda la riproduzione.

L‟insieme di questi processi sta portando ad una crescente semplificazione degli ecosistemi e
all‟impoverimento del loro valore oggettivo, tuttavia, sarebbero da considerare anche degli
aspetti psicologici e morali sulla percezione che hanno gli individui in merito ai vari processi di
trasformazione dell‟ambiente.

Nel 1999, nella fase di raccolta dei dati nell‟ambito di un sondaggio condotto a livello europeo, è
emerso che circa il 75% degli intervistati considera auspicabile per il futuro il passaggio ad un
modo di vivere più semplice e naturale, ed in riguardo, pur riconoscendo i limiti metodologici
dei sondaggi, va riconosciuta l‟importanza assunta dalle questioni ambientali, ne senso che, nel
momento in cui una parte considerevole della popolazione avverte la necessità di disporre di
spazi verdi per il tempo libero, il discorso tende ad interessare il senso diffuso di negatività
maturato nei confronti dell‟artificialità della vita moderna.

Considerando il bisogno di “naturalità” che emerge sia dall‟orientamento nelle scelte degli
ambienti in cui trascorrere i periodi di villeggiatura, sia a livello di fenomeni come quello
dall‟aumento del consumo di cibi biologici, risulta inoltre possibile sviluppare delle analisi anche
sui tentativi di compensazione realizzati attraverso la ricerca di ciò che è andato perduto, e che si
ritiene possa essere parzialmente recuperato.

Conclusioni
Nel valutare le problematiche che riguardano la “crisi ambientale” va innanzitutto considerata la
questione dello sviluppo della specie umana, quindi, le varie modalità con cui la crescita ha
trovato modo di realizzarsi, ed in questo senso il discorso sull‟ambiente è quello delle prospettive
per il futuro e delle conseguenze sociali della crescita, questo, anche per quanto riguarda la
percezione della “qualità della vita”.

Secondo questa prospettiva si possono evidenziare alcuni punti da cui sviluppare gli argomenti
della questioni ambientale, tra questi:
la sostenibilità (in relazione alle possibilità di continuazione della specie);
la distribuzione delle risorse (in relazione alla possibilità di sviluppare conflitti);
il significato culturale (modalità di definizione del benessere).

Nel complesso la “crisi ambientale”, intesa come un fenomeno che coinvolge l‟intero pianeta,
presenta dei tratti di forte rilevanza socio-culturale, dunque, delle caratteristiche tali da
permettere alla sociologia e alle altre scienze sociali di esprimersi al riguardo.

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AMBIENTE E SOCIETA‟

Uno sguardo alle questioni ambientali secondo l‟intenzione di questo manuale, implica
necessariamente il riferimento ai quadri teorici fondamentali della sociologia, ed in tal senso,
oltre a considerare le questioni della “modernità” va rilevata l‟importanza del significato assunto
da parole come: ambiente, natura, ecologia, rischio, crisi.

Sociologia dell‟ambiente?
Nel cercare di definire il campo d‟azione della sociologia dell‟ambiente andrebbe innanzitutto
ricordato che tale disciplina è relativamente giovane, e che in generale è possibile distinguere tra
una “sociologia dei problemi ambientali”, cioè lo studio di una serie di ambiti multidisciplinari
che comprendono tematiche che spaziano dall‟analisi dei movimenti allo studio dei valori, fino
ad arrivare all‟osservazione dei comportamenti ambientali (prospettive tendenzialmente
tradizionali), ed una “sociologia ambientale” intesa come la valutazione delle influenze esercitate
dalle caratteristiche dall‟ambiente fisico sul comportamento sociale.

Un esempio di questa differenza, quindi, del fatto che talune problematiche ambientali sono state
considerate ben prima che la sociologia dell‟ambiente godesse di un certo riconoscimento come
disciplina a sé stante, è dato dallo stato dell‟arte della sociologia in Italia, dove, il movimento
ecologista è stato l‟oggetto di studio degli specialisti dei movimenti sociali piuttosto che dei
sociologi dell‟ambiente; in ogni caso, nell‟avvicinarsi a questa specifica branca del sapere
risultano utili alcune definizioni, e può essere interessante rilevare come anche a questo livello
esistano delle differenze tre le due correnti principali, le quali vedono da un lato, la sociologia
dell‟ambiente come una specializzazione della disciplina tradizionale, e dall‟altro, l‟insieme di
queste conoscenze come un qualcosa capace di esprimere una certa autonomia rispetto alla
visione classica.

In linea con la prima idea di sociologia dell‟ambiente:


Diekmann e Jäger (1996), secondo i quali la sociologia dell‟ambiente si occupa dei problemi
ecologici socialmente prodotti

Strassoldo (1993), che concepisce questa disciplina come una “specializzazione ambientale”
della sociologia.

Invece, in relazione ad una concezione più autonoma ed interdisciplinare:


Bell (1998), il quale vede la sociologia dell‟ambiente come lo studio della comunità nel
senso ampio del termine (esseri viventi, umani, animali, vegetali, la natura inanimata), e
porta l‟attenzione sulle varie interconnessioni e sui rispettivi conflitti.

Dunlap e Catton (1979), degli autori che considerano complessivamente le dinamiche dei
processi di interazione tra ambiente e società.

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Dopo aver ricordato alcune tra le definizioni più rappresentative della “sociologia
dell‟ambiente”, può essere utile considerarne le tematiche affrontate, ed in tal senso:

Buttel (1987), prende come campo d‟indagine cinque specifiche dimensioni: 1- quella teorica
2- quella riferita ai valori e agli atteggiamenti 3- quella che riguarda lo sviluppo del
movimento ambientalista 4- la dimensione del rischio 5- l‟economia politica e ambientale.

Macnaghten e Urry (1995), riducono invece il campo di studio a 4 settori: 1- conoscenze


ambientali (critica delle forme di conoscenza) 2- percezione della natura (in relazione ai vari
gruppi sociali) 3- danno ambientale (processi sociali alla base del deterioramento
dell‟ambiente) 4- questione ambientale (ruolo dell‟ambiente nell‟ambito dei processi di
trasformazione sociale ed istituzionale).

Strassoldo (1993/94), include invece in questo settore di studio anche dei riferimenti di
carattere filosofico, evidenzia il ruolo politico dei movimenti ambientalisti, considera gli
aspetti legati alla comunicazione e all‟educazione ambientale fino ad arrivare ad una serie di
considerazioni sulle possibili forme di sviluppo, questo, senza trascurare quei fenomeni come
l‟eco-pacifismo e l‟eco-femminismo.

Nel complesso è importante evidenziare come i vari autori nel considerare la forma, il ruolo, le
tematiche, e gli ambiti di studio della sociologia dell‟ambiente, chiamano in causa delle realtà
multidisciplinari, le quali conferiscono a questa disciplina delle caratteristiche di trasversalità, in
parte legate allo “stato fluido” in cui si trova oggi la sociologia.

Parole chiave
Nell‟avvicinarsi allo studio dell‟ambiente dobbiamo considerare che la sociologia utilizza spesso
dei vocaboli presenti in gran parte del linguaggio comune, ed in tal senso, non andrebbe
trascurato che ogni termine può avere una molteplicità di significati; questo, porta ad interrogarsi
sul senso specifico delle parole, ed in riguardo diventa fondamentale poter contare sulla
possibilità di attribuire il giusto valore ai termini specifici, tra questi: ambiente, natura, spazio,
ecologia, ecc.

Ambiente
Letteralmente esprime “ciò che sta intorno”, quindi qualcosa che non va ad indicare
necessariamente la natura; l‟ambiente è in tal senso rappresentato dal contesto, quindi, da un area
circoscritta (es. l‟ambiente urbano), ma tale accezione del termine può essere estesa a situazioni
anche molto diverse tra loro, le quali possono riferirsi ad una stanza, oppure a una data situazione
sociale o culturale, o quant‟altro. Oltre a questo genere di considerazioni va rilevato che i vari
utilizzi del termine “ambiente” portano direttamente all‟idea di “relazione”, cioè del rapporto che
intercorre tra un oggetto (oppure un entità), e ciò che lo circonda e che è diverso da esso.

Natura
E‟ possibile riconoscere almeno tre significati del termine:
la totalità del mondo fisico

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una sfera che indica il “non-umano”
un essenza, cioè una serie di qualità innate che caratterizzano un essere

in tal senso, oltre ad osservare l‟oggettivabilità del termine è rilevabile anche una certa tensione
tra un qualcosa di cui gli esseri umani fanno parte (o che è parte stessa degli esseri umani), e
qualcos‟altro di estraneo, questo per dire che l‟uomo è separato dalla natura e trova modo di
distinguersi da essa per via di una certa struttura del senso, la quale, viene trasmessa di
generazione in generazione nel corso del tempo. Tale struttura di significato permette agli uomini
di comunicare tra loro, e di sviluppare conoscenza.

Spazio
L‟ambiente può, almeno in alcuni casi, sovrapporsi nel suo significato alla parola “spazio”
oppure al termine territorio, inteso come una data estensione fisica; in questo senso, in relazione
alle varie possibilità legate all‟azione dell‟individuo possiamo parlare di “spazio di interazione”
(es. una piazza, un locale, una sala d‟aspetto, ecc.), ma a questo livello del discorso va
evidenziato che l‟approccio ambientale utilizza questo termine per indicare il contesto fisico
naturale, dunque, quell‟insieme di elementi e di processi chimici, fisici, biologici, che
costituiscono la base materiale dell‟esistenza delle specie viventi. Va comunque osservato che, in
relazione allo “spazio” la sociologia tende ad utilizzare con maggiore frequenza il termine
ambiente, questo, per enfatizzare la dimensione relazionale nel suo rapporto con un qualcosa.

Ecologia
Il termine ecologia è stato introdotto per la prima volta dal biologo tedesco Ernest Haeckel
(1866), nell‟intento di definire uno specifico settore di studio: “la scienza dell‟insieme dei
rapporti degli organismi con il mondo esterno”, ovvero, lo studio delle relazioni degli animali
rispetto al loro ambiente organico ed inorganico. Questa definizione cerca di dare risalto ad una
visione sistemica del mondo vivente, ed in tal senso va osservata l‟influenza esercitata dalla
teoria darwiniana. Sulla base di questo influsso, tra 800 e 900 si è assistito allo sviluppo di una
prospettiva “organicista” secondo la quale gli individui si comporterebbero nel loro insieme
come delle parti di un singolo individuo, quindi, come degli elementi costitutivi di un
ordinamento superiore. Successivamente, nel corso degli anni ‟40 del 900, è stato poi sviluppato
il concetto di ecosistema, ovvero, una visione secondo cui l‟oggetto di studio della disciplina,
oltre ad essere rappresentato dalle relazioni tra esseri viventi, comprende anche l‟insieme dei
processi che coinvolgono i fattori abiotici (non riferiti agli organismi viventi).

Per quanto riguarda i progressi più recenti dell‟ecologia va rilevato il contributo di strumenti
sempre più complessi, fino a giungere al ricorso alle tecniche matematiche e all‟applicazione
della teoria dell‟informazione e della cibernetica, quindi allo studio dei sistemi di regolazione e
comunicazione tra macchine, organismi, ed organizzazioni di vario genere. Un concetto
importante sviluppato lungo questa traiettoria è quello di feed-back, noto anche come
meccanismo di “retroazione”, il quale può essere condensato in questi termini: se A agisce su B,
la modificazione di B può sviluppare a sua volta un influenza su A.

Tale concetto applicato alla natura ha portato ad evidenziare come, all‟aumento degli individui di
una specie sia rilevabile anche un aumento delle possibilità di sopravvivenza per i predatori, la

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cui azione può in questo senso determinare una successiva riduzione degli individui della specie
che aveva registrato l‟aumento iniziale; questo è un esempio significativo di come il feed-back
possa esplicare un azione negativa, tuttavia, tale effetto può essere anche di rinforzo (retroazione
positiva), e portare ad un successivo aumento degli individui di entrambe le specie.

La ricerca nel campo dell‟ecologia ha trovato modo di svilupparsi in particolare in alcuni settori,
tra questi l‟agronomia, dove è stata applicata al controllo biologico delle specie nocive alle
coltivazioni, peraltro, in contrapposizione all‟uso massiccio di sostanze chimiche. In tal senso, a
partire dagli anni ‟50, le conoscenze acquisite sugli equilibri ecosistemici hanno permesso di
sviluppare settori come l‟agricoltura organica o biologica, tuttavia, non va dimenticato che sono
state oggetto di sperimentazione anche delle applicazioni in “negativo”, ad esempio, nell‟ambito
delle operazioni di defoliazione durante la guerra del Vietnam.

Crisi e modernità
Oggi, spesso, il fatto di dimostrare interesse nei confronti delle questioni ambientali risulta come
qualcosa di strettamente legato ad una situazione di “crisi”, un termine che, dal greco krisis,
evoca l‟idea di una condizione problematica, l‟idea di un conflitto, ma al tempo stesso esprime
la necessità di effettuare delle scelte; in questo senso il concetto indicato dal termine trova piena
espressione in relazione alla “modernità”, intesa come un processo che porta al superamento di
certi vincoli, o quantomeno all‟allargamento di determinati orizzonti, quindi, ad una continua
trasformazione dell‟assetto sociale.

Secondo la tradizione del pensiero illuminista, “moderno” vuol dire una rottura nei confronti del
passato, ed è un termine che indica uno sviluppo dinamico e secolarizzato della storia
(espressione del concetto: “qui e ora”). Fondamentalmente, l‟idea di un continuo superamento
del passato porta a fare una serie di considerazioni sui fenomeni che riguardano i cambiamenti
sociali, economici, politici, e culturali, che hanno caratterizzato la storia del mondo a partire
dalla seconda metà del XVIII secolo.

Nell‟ambito di tali processi è possibile evidenziare alcuni fattori più significativi, tra questi:

la razionalizzazione,
la differenziazione,
l‟individualizzazione.

In merito al primo punto, la razionalizzazione, assumono importanza i significati di “regolarità –


ripetibilità – controllabilità – conformità”, ed il pensiero di Max Weber pone in risalto come la
“razionalità” rappresenta un qualcosa che si manifesta nei termini di una visione scientifica del
mondo, nell‟importanza del sapere tecnico, ed attraverso l‟oggettivazione e l‟organizzazione
dell‟impresa, dello stato, del diritto, della politica; razionalità, come sviluppo di un etica
professionale in cui la componente emozionale viene subordinata in favore di un atteggiamento
dettato dell‟accettabilità del mezzo rispetto ad un determinato fine.

Per quanto riguarda la differenziazione va invece osservato che, se da un lato questo fenomeno
coinvolge la dimensione tecnico-organizzativa, cioè le fasi in cui è possibile suddividere un dato

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processo produttivo (es. gli studi di Taylor), dall‟altro, essa chiama in causa un discorso di
carattere sociale legato allo sviluppo di una progressiva divisione del lavoro, ed in relazione a
questo, le esigenze in termini di sopravvivenza e di prosperità da parte dei vari gruppi sociali
(Durkheim). In merito a questi aspetti, alcuni autori trattano la questione secondo una logica che
considera i caratteri funzionali della differenziazione (Talcott Parson, Luhmann).

Nel considerare l‟individualizzazione viene invece portata l‟attenzione a livello delle fratture che
si vengono a creare nei legami sociali nel momento in cui viene meno una certa “solidarietà”;
questo processo, è stato oggetto di varie interpretazioni, delle quali alcune danno risalto al
pericolo che può derivare dall‟isolamento morale, politico, e sociale degli individui, mentre altre
enfatizzano il ruolo svolto dai bisogni in termini di “unicità - originalità - autorealizzazione”.

E‟ su questo piano che trova collocazione quella fase di sviluppo del processo antropocentrico
del XVIII e del XIX secolo, il quale, peraltro, presentava degli specifici tratti già nel XVI secolo
caratterizzandosi per una tendenza crescente in direzione di maggiori livelli di autonomia,
quindi, della necessità di seguire le proprie scelte e le proprie aspirazioni.

Indipendentemente dalle varie prospettive attraverso cui è possibile inquadrare le questioni dello
sviluppo dei processi di razionalizzazione, differenziazione, ed individualizzazione, è importante
ricordare che tali elementi presi separatamente hanno una forte valenza analitica, ma nel loro
insieme, cioè nel modo con cui caratterizzano i fenomeni sociali, risultano profondamente legati
tra loro.

In questo senso va osservato che, quelle dinamiche che hanno caratterizzato eventi come la
rivoluzione francese, la riforma protestante, e la rivoluzione industriale, rappresentano delle
trasformazioni critiche di importanti aspetti della società, ed allo stesso modo, pur con le dovute
cautele, oggi è possibile concepire la questione ambientale come un momento significativo di
riflessione sulle modalità con cui hanno trovato modo di realizzarsi i mutamenti più importanti
degli ultimi decenni, a loro volta, frutto di ulteriori processi di razionalizzazione,
differenziazione, individualizzazione. E‟ proprio in questo senso che i concetti di “crisi” e di
“modernità” permettono di aprire il discorso sulle potenzialità che risiedono nelle varie
espressioni dell‟atteggiamento umano, quindi, sull‟influenza che può essere esercitata sulle
future condizioni ambientali, ed in riguardo, l‟insieme di queste tematiche risulta direttamente
collegato con la dimensione del rischio.

Rischio
Generalmente, la crisi ambientale tende ad emergere nel momento in cui delle alterazioni
ecosistemiche assumono delle dimensioni tali da rappresentare una minaccia, ed in tal senso, si è
spesso portati ad associare il concetto di crisi con quello di rischio, ma in riguardo può risultare
utile qualche precisazione: se “crisi”, che etimologicamente risale al greco krisis tende ad
indicare una situazione problematica, di carattere conflittuale, che implica delle scelte, il termine
“rischio” appare invece come qualcosa di prettamente moderno, anche se la sua origine risulta
sconosciuta.

Sembra che la parola rischio abbia trovato modo di diffondersi in Europa con l‟invenzione della
stampa, in particolare in riferimento alle esigenze del commercio ed alle assicurazioni marittime,

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dove indicava la possibilità di un pericolo oggettivo, di una forza maggiore, o comunque di
qualcosa di non imputabile alla volontà dell‟uomo.

Nel corso del tempo, con l‟avvento di una modernità caratterizzata da elementi quali la
razionalizzazione, l‟individualizzazione, e la specializzazione funzionale, il “rischio” è diventato
qualcosa di direttamente correlato al calcolo, alla previsione, al controllo; questo per dire che, i
fattori di rischio sono passati da un piano riferito sostanzialmente alla natura, al livello
“moderno” dell‟esperienza umana, cioè ad un concetto fondamentalmente legato alla condotta
dell‟essere umano.

Questo sviluppo “razionale”, affermatosi in particolare nel XVIII e XIX secolo, ha visto
coinvolgere progressivamente l‟interesse politico e le questioni di governo, nel loro insieme,
delle componenti di una dimensione dove la gestione della condotta individuale è arrivata ad
assumere le caratteristiche di quella che Foucault ha definito attraverso il concetto di
“governamentalità”; questa espressione indica un modo di intendere la popolazione, nello
specifico l‟idea di un “corpo sociale”, quindi un qualcosa di “organico” che necessiterebbe di
politiche gestionali capaci di massimalizzare la ricchezza, il benessere, la produttività.

Storicamente è proprio nel corso del XVIII secolo che iniziano a svilupparsi le varie agenzie
pubbliche e private per la “gestione” degli esseri umani (scuole, ospedali, carceri, istituti
psichiatrici, ecc.), questo in risposta all‟esigenza di controllare il “rischio” legato agli individui
intesi come oggetti del potere, ed a questo livello è importante ricordare che la statistica ha
svolto un ruolo importante per lo sviluppo di questo genere di istituzioni, in quanto strumento
basilare per le varie forme di classificazione, identificazione, misurazione.

Tornando a delle considerazioni più generali, risulta interessante osservare che ogni cultura
presenta dei tratti distintivi in relazione all‟idea di “pericolo”, tuttavia il concetto di “rischio”
tende ad affermarsi soltanto in relazione allo sviluppo di specifici saperi.

Secondo Luhmann (1991), il “rischio” appare maggiormente legato alle decisioni che riguardano
i comportamenti da assumere (es. il gioco d‟azzardo), mentre il “pericolo”, invece, risulterebbe
collegato a qualcosa di estraneo alle scelte individuali (es. un terremoto), tuttavia va osservato
che nel considerare le conseguenze che possono derivare dall‟eventualità che si presenti un
determinato pericolo, emerge generalmente una tendenza a percepire la situazione in termini di
rischio, questo in relazione di ciò che si ritiene più opportuno fare o non fare. In questo senso,
valutando un pericolo in funzione del controllo che possiamo esercitare in una data situazione, è
generalmente rilevabile una tendenza ad esprimersi in termini di rischio, e secondo questa
prospettiva il rischio stesso appare legato ad una certa dose di incertezza (es. l‟esposizione
professionale alle radiazioni ionizzanti).

In linea con questo genere di considerazioni è il pensiero di Frank Knight, il quale già nel 1921
definisce il “rischio” come una situazione in cui è possibile effettuare un calcolo delle probabilità
in merito al verificarsi di un dato evento, mentre invece l‟“incertezza” caratterizzerebbe una
situazione che non permette di effettuare tale calcolo; in un certo senso, dunque, il rischio
rappresenterebbe una situazione di incertezza calcolabile.

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Un altra interessante distinzione su questo piano del discorso è quella effettuata da Keynes
(1921), tra probabilità oggettive e probabilità soggettive, dove le prime sarebbero fondate
sull‟accumulazione di dati, e le seconde, invece, su una serie di esperienze o di conoscenze
relative all‟andamento di un dato fenomeno.

In generale, nel considerare la valutazione del rischio va osservato che entrano in gioco due
elementi fondamentali:
la possibilità che si verifichi un dato evento
l‟ampiezza delle sue conseguenze (magnitudo)

In questo senso, ad esempio, va osservato che gli incidenti d‟auto sono piuttosto frequenti (alta
probabilità), tuttavia, quelli aerei hanno conseguenze ben più disastrose (maggiore magnitudo),
ed è sulla base di questo genere di considerazioni che può essere opportuno ricordare l‟esistenza
di una data soglia che un decisore deve considerare in relazione ad un determinato rischio,
superata la quale, il rischio stesso può evolvere in catastrofe.

Dopo aver analizzato l‟elemento del “rischio” in questi termini è più facile comprendere come,
almeno per quanto riguarda i problemi ambientali, la dimensione dell‟incertezza e le relative
probabilità diventano, in concreto, dei motivi di conflitto tra le parti che promuovono interessi
diversi (quindi delle divergenze nell‟opinione pubblica), ed al riguardo gli esempi più
significativi sono quelli degli impianti nucleari nel momento in cui non sono disponibili dei dati
con caratteristiche tali da portare a delle “probabilità oggettive”, oppure, il caso delle
problematiche legate al cambiamento climatico o all‟esposizione ai fattori del cosìdetto
inquinamento elettromagnetico (anche in relazione all‟ampia diffusione dei sistemi di telefonia
mobile), ed ancora, le questioni che riguardano gli Organismi Geneticamente Modificati, la cui
complessità rende difficile l‟elaborazione di stime con elevato livello di attendibilità.

Come la sociologia affronta la questione ambientale


De Marchi, Pellizzoni, Ungaro (2001), hanno proposto una periodizzazione sociologica della
questione ambientale, e a questo livello è importante rilevare come il problema non sia stato
considerato soltanto in relazione a determinati eventi catastrofici, ma anche in funzione del
significato che viene ad essi attribuito dagli individui; al riguardo, vanno considerati innanzitutto
il peso ed il ruolo svolto dalle “idee” in quanto sono queste che forniscono un certo “senso”,
quindi un certo valore alle cose.

In ogni caso, la suddetta periodizzazione traccia un profilo della crisi ambientale come un
qualcosa che tende a diventare un fenomeno di una certa rilevanza a partire dagli anni ‟60 -‟70
del XX secolo, e per quanto riguarda l‟attenzione del sapere sociologico a questo specifico
problema, è in particolare la seconda metà degli anni ‟70 il periodo in cui si assiste ad un certo
risveglio della disciplina; in riguardo, sono in molti ad evidenziare il complessivo ritardo della
sociologia.

L‟ampio processo di industrializzazione inteso come una caratteristica che contraddistingue il


panorama europeo, ovvero un fenomeno che spesso viene indicato come la principale causa della
“crisi ambientale”, è un qualcosa che ha trovato modo di svilupparsi e consolidarsi nel corso del

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XVIII secolo, mentre invece la sociologia ha iniziato a maturare e radicare le caratteristiche
proprie di una branca autonoma del sapere all‟incirca nei primi anni del XIX secolo; questo per
dire che, pur considerando i due distinti periodi di tempo, se da un lato è l‟attenzione
dell‟opinione pubblica in merito ai problemi legati all‟industrializzazione ha registrare un certo
impulso soltanto nel momento in cui si sono raggiunte condizioni di una certa drammaticità
(anche in relazione al‟intervento istituzionale), dall‟altro è la sociologia che, diversamente da
quanto è accaduto per altri fenomeni sociali, ha iniziato a considerare la “crisi ambientale” in
fase tardiva.

Anni ‟50 -„60


L‟evento che ha segnato in maniera irreversibile la percezione collettiva dell‟influsso che può
esercitare la scienza sull‟ambiente, è rappresentato dalle conseguenze successive al lancio delle
bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Per la prima volta l‟umanità ha avuto modo di
constatare, purtroppo in modo drammatico, come lo sviluppo scientifico e tecnologico possa
offrire l‟opportunità di operare ad un livello paragonabile (se non addirittura superiore), a quello
delle forze della natura; scienza e tecnica hanno così perduto le loro caratteristiche “benefiche”
in origine legate ad una certa idea di progresso.

Ad ogni modo non va dimenticato che i processi di industrializzazione erano divenuti oggetto di
pressanti critiche ben prima di Hiroshima e Nagasaki, e nel loro insieme le contestazioni e le
denuncie nei confronti di un certo sviluppo industriale risultavano in gran parte legate ai processi
di disumanizzazione conseguenti alla divisione scientifica del lavoro (critica al taylorismo), e
allo sfruttamento delle masse (analisi marxiologica).

La bomba atomica, invece, ha portato l‟attenzione a livello della capacità distruttiva delle
tecnologia in maniera eclatante, suscitando quindi una serie di reazioni al livello dell‟opinione
pubblica, ed in questo senso il dibattito sviluppato ha interessato principalmente la questione
della legittimità dell‟utilizzo di questo strumento di distruzione. Importante osservare che la
discussione si è caratterizzata per una certa trasversalità rispetto ai gruppi, alle classi, alle
nazioni.

Complessivamente, nel corso degli anni ‟50 -‟60, l‟attenzione pubblica si è dimostrata piuttosto
sensibile nei confronti di questo genere di problematiche, ed in riguardo va rilevato come in
questo periodo sia emersa una tendenza d‟opinione che considera gli stati che utilizzano queste
tecnologie come dei soggetti poco preparati nella gestione, dunque, orientati alla
sottovalutazione dei problemi che l‟utilizzo di un simile sapere comporta; interessante osservare
che, coloro i quali nutrivano un certo interesse nei confronti delle possibilità offerte dal nucleare,
rispondevano spesso alle contestazioni sollevando delle obiezioni per un allarmismo
ingiustificato.

L‟attenzione dell‟opinione pubblica è stata successivamente ravvivata nel decennio considerato


in relazione ad altri problemi nell‟utilizzo dell‟energia nucleare, nello specifico, in occasione
degli esperimenti dei militari americani nell‟Oceano Pacifico (isola di Bikini nel 1954), e
successivamente, un incidente con rilascio di radioattività nell‟impianto britannico del Windscale
(1957), ha rappresentato un evento che ha ulteriormente allargato l‟orizzonte della protesta.

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La questione ambientale si caratterizza in questo periodo anche per aspetti che non rientrano
nell‟ambito del nucleare, ed in tal senso, ad esempio, va ricordato che nel 1967 ha suscitato un
certo clamore l‟incidente della petroliera Torrey Canyon, un evento caratterizzato per la
fuoriuscita di oltre 100.000 tonnellate di petrolio in prossimità delle coste della Cornovaglia.

Un ruolo chiave nei processi di sensibilizzazione dell‟opinione pubblica è stato svolto dai mass-
media, ed in riguardo andrebbero segnalate molte fonti di informazione ed una certa varietà di
contributi alla riflessione, tra questi, dei libri come il l‟opera di Rachel Carson “Primavera
silenziosa” (1962), un autrice che affronta la problematiche ambientali considerando i rischi
legati all‟impiego massiccio di pesticidi (rischi a lungo termine).

Nel corso degli anni ‟50 -‟60 si collocano anche le prime iniziative internazionali di carattere
scientifico, ad esempio, “L‟anno scientifico” (1957), il “Programma biologico” (1964), la
“Conferenza sulla biosfera” (1968), e per ciò che concerne la dimensione politica, va ricordata la
stesura e la pubblicazione dei primi trattati internazionali sull‟ambiente.

E‟ proprio a partire da queste esperienze che l‟ambientalismo ha trovato modo di prendere forma
come movimento di massa, un movimento inizialmente caratterizzato da una certa partecipazione
di individui appartenenti alle classi medie istruite, spesso occupati nei servizi. Una figura
carismatica per il pensiero ecologista a questo livello è quella di Aldo Leopold, un intellettuale il
cui materiale di studio risale agli anni ‟40, ma che ha ottenuto un certo riconoscimento soltanto
nel corso degli anni ‟60.

Nel suo insieme, lo scenario delineato nell‟intervallo di tempo considerato non risulta
influenzato in modo significativo dalla sociologia, tuttavia, alcuni autori ritengono sia possibile
parlare di una protosociologia ambientale in riferimento ad alcuni studi isolati, tra questi, il
lavoro di Fred Cottrell (1955), fondato sull‟idea che l‟assetto sociale possa essere influenzato
dalla disponibilità di energia, sia a livello politico-economico, sia per ciò che riguarda gli aspetti
che coinvolgono il profilo psicologico di una data comunità.

In questo periodo sono stati avviati anche degli studi a livello urbano e rurale, e delle ricerche
sulle risorse naturali e sulle trasformazioni dell‟ambiente, tuttavia, nel loro insieme, questi lavori
non hanno sviluppato una particolare influenza sul clima sociale di quegli anni, e non sono
riusciti neppure a cogliere l‟ampiezza e la profondità dei primi segnali di un mutamento destinato
a realizzarsi nei periodi successivi.

Gli anni „70


Un momento significativo per la crescita del movimento ambientalista è rappresentato dall‟
“Earth Day” del 1970 (Stati Uniti), ed un dato interessante è rappresentato dal fatto che in quel
periodo, pur in presenza di eventi disastrosi o catastrofici di una certa rilevanza (es. Seveso ‟76, e
Mile Island -Pennsylvania- nel ‟79), il centro dell‟interesse dell‟opinione pubblica ha iniziato a
spostarsi su questioni diverse, tra queste, la problematica che riguarda la sostenibilità dello
sviluppo. In altri termini possiamo dire che nel corso degli anni ‟70 hanno acquisito un certo
peso le questioni dello sviluppo, questo, più o meno in coincidenza con la crisi dello “stato
assistenziale” (welfare state), e con l‟aumento delle difficoltà entro il contesto produttivo del
modello di stampo fordista. In ogni caso, non va dimenticato che il panorama che caratterizzava

25
gli anni ‟70, cioè lo sfondo nell‟ambito del quale andavano ad inserirsi tali problematiche, si
distingueva per la presenza di una serie di cambiamenti significativi, ad esempio, per l‟aumento
della competizione nella produzione a livello internazionale, per una forte trasformazione delle
caratteristiche nella domanda di beni, e per l‟emergere di nuove strategie nel processo produttivo
(maggiore flessibilità e minor impiego di manodopera).

Complessivamente le trasformazioni sociali dei primi anni ‟70 hanno portato ad una certa
instabilità, la quale va considerata anche nell‟ottica della crisi petrolifera del 1973, peraltro
legata all‟atteggiamento dei paesi produttori (guerra del Kippur); è anche in relazione a questo
che hanno acquistato pregnanza i problemi dell‟insostenibilità della crescita economica e le
questioni del sovrappopolamento.

In base al rilievo assunto da tali eventi hanno iniziato a svilupparsi nuove modalità
nell‟approccio alle questioni ambientali, e sotto il profilo sociologico appaio produttive in questo
periodo le riflessioni sul genere di quella proposta dall‟economista Fred Hirsch (1976), il quale
ha considerato i risvolti sociali dello sviluppo fondando un analisi della crescita economica in
funzione delle sue caratteristiche e della relativa distribuzione (crescita economica come fattore
legato ad elementi intrinseci alla società).

Un altro evento che ha caratterizzato l‟evolversi delle questioni ambientali è rappresentato dalla
1ª conferenza mondiale sull‟ambiente, una manifestazione svolta nell‟ambito delle attività
promosse dalle Nazioni Unite (Stoccolma 1972) 1. Come sviluppo politico-scientifico di questo
avvenimento va poi ricordata l‟istituzione del “Programma ambientale delle Nazioni Unite”
(1973), e nel loro insieme, questi passaggi assumono un ruolo particolarmente significativo
poiché segnano una transizione verso una dimensione “razionale” nell‟ambito della quale i
problemi ambientali hanno iniziato ad essere considerati secondo una logica globale, questo,
anche per quanto riguarda le finalità strategiche degli interventi (es. il lobbying istituzionale).

Nel corso degli anni ‟70 è possibile rilevare anche un interesse politico crescente nei confronti
dei problemi ambientali, probabilmente, un fenomeno in parte legato allo sviluppo di specifiche
correnti intellettuali; in tal senso va ricordato il contributo dato dalla filosofia e da riviste come
Environmental Ethics (1979), la quale, può essere considerata rappresentativa per
l‟ambientalismo di quel periodo. In generale va evidenziato l‟emergere di una tendenza a
sostituire l‟atteggiamento antropocentrico con quello ecocentrico, e su questo piano del discorso
un orientamento importante è il pensiero del norvegese Arne Naess, il quale ha introdotto il
concetto di “ecologia profonda”, cioè una situazione in cui l‟interesse umano verrebbe
subordinato a quello più ampio dell‟ecosistema.

1
Nell‟ambito dei lavori della Conferenza è stato sviluppato un dibattito a partire dalle modalità con cui
l'ambiente antropico viene realizzato, questo, sia considerando gli aspetti che riguardano gli insediamenti,
sia valutando le questioni di carattere sociale ed economico. L‟evento si è concluso con una Dichiarazione
articolata in sette punti e 26 principi: si parla di benefici per le attuali e per le future generazioni, della
necessità di mantenere intatta la capacità di carico del pianeta, dei diritti dei paesi in via di sviluppo, del
problema dell'inquinamento, dell‟esigenza di poter contare su una pianificazione razionale come strumento
essenziale per lo sviluppo, e dell‟ importanza della ricerca scientifica in campo ambientale.

26
Negli anni ‟70, un altra esperienza significativa per la storia dell‟ambientalismo e quella
dell‟eco-comunitarismo di stampo romantico, del quale si possono distinguere varie forme, tra
queste, la variante anarchista cioè l‟ecologia sociale. In questo senso Murray Bookchin individua
nella gerarchia la causa del degrado ambientale: gerarchia di classe, di razza, di genere, ed al
riguardo egli propone come alternativa la nascita di piccole comunità autosufficienti
(ambientalismo radicale, anti-industriale, contromoderno).

Come accennato in precedenza la questione ambientale ha suscitato in questo periodo un certo


interesse in campo sociologico, in particolare negli Stati Uniti: gli anni ‟70 assistono alla nascita
dei primi filoni di studio sui movimenti ecologisti, ed è in questo decennio che vengono
realizzate le prime analisi delle politiche di settore. In particolare, nella seconda metà degli anni
‟70 la sociologia dell‟ambiente risulta una disciplina in pieno sviluppo nel panorama americano,
ed a questa nuova espressione del sapere viene riservato anche uno spazio dedicato nell‟ambito
dell‟associazione dei sociologi americani (A.S.A.). Successivamente, i lavori prodotti a questo
livello svilupperanno un influenza considerevole sulla disciplina, al punto che un nuovo
paradigma tenderà poi ad affermarsi, questo, sulla base di argomentazioni che considerano le
forme organizzative dell‟attività umana al pari delle altre specie viventi; l‟attenzione verrà quindi
portata sulle interazioni tra ambiente e società.

Allan Schnaiberg e James O‟Connor sono autori di rilievo per le ricerche della sociologia
dell‟ambiente statunitense, e nell‟insieme le loro analisi vanno collocate nell‟ambito delle
revisioni del pensiero marxiano. Per quanto riguarda l‟Europa, invece, nel periodo considerato la
sociologia non ha dimostrato di avere un grande interesse nei confronti delle problematiche
ambientali, e complessivamente le ricerche avviate in questa direzione sono piuttosto scarse; in
merito alla situazione in Italia va comunque ricordato che uno dei primi contributi in tal senso si
deve al lavoro svolto da Raimondo Strassoldo.

Gli anni „80


Rispetto al fermento sociale degli anni settanta, gli anni ‟80 appaiono caratterizzati da una
relativa stabilità, e per quanto riguarda le caratteristiche assunte dalla produzione va evidenziata
un evoluzione in direzione dell‟aumento della flessibilità (es. decentramento della produzione).

Molti autori definiscono tali aspetti del cambiamento del modo di produrre ricorrendo al termine
“post-fordismo” per indicare delle forme legate fondamentalmente all‟innovazione tecnica della
comunicazione, ed in questo senso gli elementi caratterizzanti sono rappresentati dall‟espansione
del terziario e delle professioni intellettuali. La stratificazione della forza lavoro ha dunque
registrato una serie di aggiustamenti ai quali è sembrato corrispondere una crescita complessiva
della qualità della vita, ed in coincidenza con la crisi della militanza politica e sindacale si è
assistito all‟emergere di un certo interesse per le tematiche dell‟ambiente.

Questo è il contesto europeo degli anni ‟80, una cornice entro il cui ambito è stato registrato un
certo proliferare di partiti e liste “verdi”, le quali hanno trovato modo di distinguersi
principalmente per il fatto di promuovere delle politiche di stampo riformista in direzione dello
“sviluppo sostenibile”, cioè di quell‟idea fondata sulla possibilità di dare continuità allo sviluppo
economico senza per questo pregiudicare la disponibilità di risorse future.

27
Rispetto ai periodi precedenti gli anni ‟80 vedono la sociologia svolgere un ruolo di rilievo, ed è
anche a livello dei progetti di cooperazione economica che la disciplina porta il proprio
contributo, in particolare, per gli aspetti che riguardano le organizzazioni. Complessivamente, il
sapere sociologico è stato utilizzato per cercare di favorire lo sviluppo di determinate strategie
socio-politico-ambientali, ma al tempo stesso, in relazione alla questione ambientale sono stati
avviati dei progetti di studio del mutamento sociale, come dire, un ulteriore sviluppo dell‟analisi
dei processi di modernizzazione e razionalizzazione della società, questo, secondo una direttrice
che alcuni definiscono nei termini di un riformismo moderato (modernizzazione ecologica).

L‟esperienza della sociologia dell‟ambiente in Europa, pur se ha vissuto una condizione del
proprio sviluppo ben diversa rispetto al panorama statunitense, ha visto comunque maturare un
certo interesse anche in relazione dell‟atteggiamento assunto dai movimenti ambientalisti, e se
consideriamo l‟Italia va rilevato che nel 1988 è stata istituita una sezione specifica di questa
disciplina (Sezione “Territorio” dell‟Associazione Italiana di Sociologia).

In generale è importante ricordare che, a partire dalla fine degli anni ‟80 iniziano ad articolarsi
una serie di incontri, conferenze, e dibattiti, che in Europa hanno trovato un riferimento in
sociologi come Niklas Luhmann, Anthony Giddens, e Ulrich Beck; interessante notare che, sul
versante americano si è assistito invece ad una contemporanea diminuzione dell‟attenzione nei
confronti di tali problematiche, questo, in coincidenza con un certo “reaganismo” che mal
sopporta l‟idea di un controllo sull‟industria e sul commercio (limitazione delle politiche
liberiste). Inizia tuttavia a farsi strada una nuova corrente della sociologia dell‟ambiente, la
quale, secondo una prospettiva decisamente costruttivista concepisce i problemi ambientali dal
punto di vista culturale, quindi, partendo dal presupposto che vengano condivisi determinati
sensi e determinati significati. In riguardo, nel portare l‟attenzione a livello di quei processi che
coinvolgono l‟attribuzione di significato e l‟interpretazione, la “crisi ambientale” diventa un
qualcosa da leggere in termini di “social problem”, cioè, come un cambiamento che sviluppa la
propria influenza sull‟intero sistema di valori.

Gli anni „90 ed il nuovo millennio


Nel corso degli anni ‟90 le speranze e le aspettative degli ambientalisti circa la realizzazione
dell‟idea dello “sviluppo sostenibile” non hanno trovato modo di concretizzarsi, ed all‟aumento
della produzione e dei consumi non sono corrisposte delle politiche industriali capaci di cogliere
l‟esigenza di un rinnovamento più rispettoso nei confronti dell‟ambiente.

In altri termini, le scelte politiche riguardanti l‟ambito economico hanno guidato il cambiamento
in direzione della sostenibilità soltanto nelle grandi aziende e nei settori di maggiore visibilità
(es. nell‟industria chimica, ed in quella automobilistica), invece, per quanto riguarda le attività
“minori”, caratterizzate da una certa diffusione nel territorio, vanno rilevate difficoltà legate
principalmente alle alte spese per l‟adeguamento della produzione, o comunque per
l‟innovazione.

Complessivamente, sono molti gli autori che vedono gli anni ‟90 come un momento in cui si è
manifestata una “seconda crisi ecologica”, caratterizzata prevalentemente da questioni quali: il
cambiamento climatico, il buco dell‟ozono, la riduzione della bio-diversità, gli effetti
dell‟ingegneria genetica, ed i rischi legati all‟esposizione ai campi elettromagnetici; caratteristica

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di fondo di questa fase di stallo, oltre alla dimensione “globale”, è la profonda sensazione di
incertezza in riferimento alle dinamiche che coinvolgono i vari processi di trasformazione
sociale.

Inoltre va ricordato come nel corso degli anni ‟90, l‟opinione pubblica abbia subito l‟influenza di
eventi catastrofici registrati verso la fine degli anni ‟80, ad esempio, l‟incidente di Chernobyl
(1986), che a tutt‟oggi rimane il più grande disastro nella storia dell‟impiego civile dell‟energia
nucleare; in questo senso va rilevato che, almeno per quanto riguarda le modalità operative, è
proprio in questo periodo che vengono sviluppati i primi protocolli internazionali sull‟assistenza
in caso di incidente nucleare.

Altro momento significativo per gli anni ‟90 è rappresentato dalla Conferenza sull‟ambiente
tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992 (Nazioni Unite), un evento che a circa un ventennio di
distanza rispetto alla Conferenza di Stoccolma sancisce definitivamente la questione ambientale
come un problema globale.

Il dibattito sulla crisi ecologica è stato successivamente portato a livello delle implicazioni
scientifiche e politiche dello sviluppo, ed in tal senso l‟opinione pubblica ha trovato modo di
orientarsi sulla base di eventi eclatanti sul genere della “pecora Dolly” (clonazione realizzata
ufficialmente nel 1997), o della BSE (encefalopatia spongiforme bovina, ovvero morbo della
mucca pazza), nota fin dal 1985, ma esplosa come problema a livello internazionale soltanto
nella seconda metà degli anni ‟90.

La svolta del nuovo millennio si è poi caratterizzata per ulteriori problemi e nuove controversie,
questo, in relazione a particolari configurazioni assunte dal rapporto “ambiente e modernità”, ad
esempio, per ciò che riguarda l‟utilizzo delle colture ad organismi geneticamente modificati
(OGM), in merito alle questioni relative al mutamento climatico, ed in relazione al cosiddetto
“elettrosmog”, cioè una forte presenza di campi elettromagnetici e di radiofrequenze
nell‟ecosistema (es. linee ad alta tensione, telefoni cellulari, ecc.).

Uno degli aspetti peculiari della questione ambientale del XXI secolo riguarda lo sviluppo delle
nanotecnologie (dimensioni a livello dei nanometri, cioè milionesimi di millimetro), le quali,
grazie al controllo sulle strutture atomiche molecolari hanno aperto un insieme di possibilità
d‟intervento sulla materia. Questi specifici processi di carattere tecnico-scientifico prendono il
nome di “tecnologie convergenti”, intese come una combinazione tra biotecnologie, medicina,
tecnologie dell‟informazione, scienze cognitive, e neuroscienze, ed al riguardo il fatto che
l‟essere umano possa sviluppare il controllo manipolando gli elementi di base dei processi bio-
fisici e bio-psichici rappresenta un tema di grande interesse, il quale, se da un lato porta a
maturare nuove aspettative, dall‟altro, suscita anche molti timori.

In merito a questo genere di trasformazioni del sapere c‟è una frase che, utilizzata già a partire
dalla prima metà degli anni ‟90 riesce a dare espressione concreta alle caratteristiche assunte
dalla questione ambientale: la società del rischio, un termine legato all‟opera omonima del
sociologo tedesco Ulrich Beck (1986).

29
Con “società del rischio” si vuole indicare un certo modo di approcciarsi alle questioni
tecnologico-ambientali, quindi, a determinati processi di modernizzazione scientifica ed
industriale, i quali, nello specifico, pongono dei dubbi sulla controllabilità di determinate forme
di progresso (possibilità dello sviluppo di effetti indesiderati). Lungo questa direttrice si
collocano anche gli studi del sociologo inglese Anthony Giddens, un autore che si distingue, tra
l‟altro, per il fatto di essere tra gli ideatori della “teoria della modernizzazione riflessiva”,
ovvero, un modello centrato principalmente sulle implicazioni sociali e politiche che possono
derivare da simili forme di sviluppo.

Il passaggio dal XX al XXI secolo si è caratterizzato anche per un certo fermento nel panorama
della sociologia americana, dove l‟interesse per le questioni ambientali ha trovato modo di
rinnovarsi; in generale, si è assistito ad un ulteriore processo di istituzionalizzazione di questa
disciplina, e a livello internazionale è stata creata una specifica sezione di ricerca (sezione
ambiente e società), la quale, ha promosso ed organizzato svariati incontri, convegni, dibattiti, e
quant‟altro.

Anche nel contesto europeo sono state promosse delle iniziative specifiche al riguardo (network
di ricerca ambiente e società), tuttavia, vanno ricordate le sostanziali differenze tra la sociologia
ambientale americana, e quella europea.

Negli Stati Uniti prevale un approccio più pratico e “realista”, invece in Europa emerge una
tendenza più incline a sviluppare dei filoni teorici, inoltre, in relazione a quelle tematiche che
evocano l‟idea della “giustizia ambientale” va rilevato che i sociologi d‟oltre oceano prediligono
l‟analisi della discriminazione etnica in relazione all‟ambiente che caratterizza specifiche
comunità, ed i sociologi europei, invece, preferiscono orientarsi in direzione dell‟analisi delle
disuguaglianze sociali e delle discriminazioni di classe; in senso comparativo, ad esempio,
vengono considerate a questo livello le questioni che determinano il divario esistente tra il Nord
e il Sud del pianeta.

In Italia, a partire dal 1988 viene riconosciuto uno spazio proprio a questa disciplina, ed i primi
corsi universitari nascono nel 1992 nelle università di Roma e di Trento, ciò nonostante, pur se
in presenza di una relativa diffusione della sociologia dell‟ambiente va osservato come le
possibilità d‟intervento per l‟insieme di queste conoscenze sul piano delle attività di
pianificazione e di gestione rimangono tuttora piuttosto limitate: sul versante politico, anche a
livello internazionale (es. i finanziamenti comunitari), emerge una tendenza che attribuisce
maggiore importanza agli studi ed alle ricerche di carattere economico, oppure, a settori
disciplinari come le scienze naturali, ma è difficile che la questione sociologica dell‟ambiente
venga considerata, e più in generale è rilevabile una scarsa disponibilità nei confronti degli
approcci di carattere interdisciplinare; complessivamente, sembra emergere una volontà politica
che si muove in direzione della separazione delle varie possibilità d‟intervento.

Ambiente e tradizione sociologica


Come precedentemente accennato, gli aspetti sociologici della questione ambientale hanno
maturato un certo ritardo rispetto alla rilevanza assunta dal problema nella società, ed in questo
senso si renderebbe opportuna una breve riflessione sulla storia propria della stessa sociologia.

30
Organicismo – evoluzionismo – determinismo
La sociologia nasce e si sviluppa in pieno clima positivista, un ambiente dove l‟impostazione
delle scienze naturali rappresentava il riferimento principale anche per le scienze sociali; in
questo senso è stata sviluppata una corrente organicista, la quale interpreta la società secondo le
regole che caratterizzano gli organismi viventi, ed è in questi termini che emerge l‟influenza del
pensiero darwiniano dell‟evoluzionismo. Nel concepire la società secondo la logica della lotta
per la sopravvivenza, vanno ricordati gli studi di sociologi come Herbert Spencer (1820-1903),
ed Henry Sumner Maine (1822-1888), i quali hanno elaborato delle teorie che enfatizzano i
fattori legati al fenomeno della concorrenza e dell‟interesse individuale.

Il pensiero sociologico è andato poi strutturandosi sulla base di ciò che viene definito come
determinismo ambientale, cioè un atteggiamento che tende a considerare le istituzioni politiche e
i tratti culturali di un determinato gruppo di popolazione come il risultato dell‟influsso esercitato
dall‟insieme degli elementi geografici e climatici che caratterizzano una data regione, ed è
secondo questa prospettiva che Thomas Malthus elabora il “Saggio sui principi della
popolazione”, un lavoro pubblicato nel 1798 e successivamente riadattato fino al 1830.

Verso la fine del XIX secolo, lo sviluppo della sociologia si è invece caratterizzato per un ampio
dibattito sul metodo, ed in tal senso, opere come quella di Wilhelm Dilthey “Introduzione alle
scienze dello spirito”, mettono in evidenza la necessità di sviluppare un atteggiamento orientato
da criteri diversi rispetto a quelli strettamente positivisti, questo per dire che, a partire dal tardo
800 emergono nelle scienze sociali delle tendenze aperte in direzione della “comprensione”
dell‟agire umano; in altri termini, una contrapposizione al tentativo di ridurre i fenomeni sociali a
dei livelli elementari di spiegazione biologica o psicologica. Le posizioni più rappresentative al
riguardo sono quelle della sociologia di Max Weber (1864-1920), di Georg Simmel (1858-1918),
ed in un certo senso anche quella di Emile Durkheim (1858-1917), nel loro insieme degli
indirizzi teorici che rappresentano la base del successivo sviluppo del pensiero sociologico,
quindi di correnti come:
il funzionalismo di Talcott Parson (anni cinquanta del 900, ripreso poi nel corso degli
anni ottanta da Luhmann),

l‟interazionismo simbolico di Herbert Blumer (un filone dei tardi anni ‟60 fondato sulle
teorie di Herbert Mead degli anni ‟30),

la fenomenologia di Alfred Schutz (elaborata nel corso degli anni ‟70 sulla base dello
sviluppo del pensiero di Edmund Husserl, dei primi del 900).
Nel complesso può essere interessante osservare come la sociologia, a partire da quel certo rigore
che caratterizza il pensiero positivista, ha trovato modo di evolversi nel corso del tempo in senso
sempre più immateriale, cioè in direzione delle rappresentazioni, dei valori, e dei simboli che
contraddistinguono una società.

Morfologia sociale ed ecologia umana


L‟attenzione nei confronti della connessione tra mondo sociale e mondo naturale non si è
esaurita con lo sviluppo della “sociologia comprendente”, ed in tal senso va ricordata quella
parte del lavoro di Durkheim che, nel tentativo di analizzare una data morfologia sociale, cioè il

31
substrato materiale della società (fattori geografici e naturali), ha considerato l‟analisi di elementi
quali:
le dimensioni del territorio
la distribuzione della popolazione
le strutture insediative

Successivamente, all‟inizio del XX secolo, un contributo significativo allo sviluppo di quella


tendenza che considera la società in relazione all‟ambiente è stato dato dalla Scuola di Chicago
(Park, Burgess, McKenzie), la quale si contraddistingue sia per l‟approccio antropologico alla
cultura, sia per delle analisi dei processi sociali fondate sul concetto di ecologia umana, quindi,
per il fatto di applicare all‟ambiente urbano delle logiche di carattere “biologico”.

In tal senso l‟organizzazione sociale viene letta secondo il principio della cosiddetta “area
naturale”, cioè una zona omogenea della città per composizione etnica o sociale nell‟ambito della
quale sono rilevabili tutti i meccanismi tipici delle altre forme viventi, nello specifico:

competizione per il territorio,


competizione per le risorse,
insediamento di nuovi gruppi,
simbiosi tra comunità differenti.

Nel suo insieme, l‟ecologia sociale ha riscosso un certo successo in America nel periodo
compreso tra le due guerre mondiali, e in Europa nel corso degli anni ‟50 e ‟60, tuttavia, va
evidenziato come a questo approccio siano state sollevate numerose critiche, legate
principalmente ad un applicazione troppo elementare delle dinamiche ecologiche, ed al fatto di
aver considerato l‟ambiente come una variabile indipendente dal sistema organizzativo.

L‟eredità dei classici


Evoluzionismo, determinismo, morfologia sociale ed ecologia umana, rappresentano
complessivamente dei momenti che permettono di dare risalto al legame esistente tra società e
ambiente bio-fisico, ma le questioni specificatamente legate al rapporto ambiente/società
iniziano ad essere oggetto d‟attenzione del sapere sociologico soltanto a partire dagli anni
sessanta del 900, quindi, come riflesso dello sviluppo del dibattito legato alla “crisi ambientale”.

In questo senso va osservato che il pensiero dei classici della sociologia trova come sfondo le
questioni del loro tempo, quindi, specifici processi di un progresso tecnico-scientifico che,
peraltro, non era chiamato a confrontasi con il problema dei danni ambientali legati al progresso
stesso. Dopo queste considerazioni appare evidente come la prospettiva classica della “questione
ambientale” risulta in concreto ben diversa rispetto a quella dei nostri giorni, tuttavia, è possibile
rilevare alcuni elementi in grado di offrire degli interessanti spunti di riflessione.

I classici del pensiero sociologico non avevano completamente trascurato le problematiche


“ambientali”, ed oltre a ricordare che Marx aveva comunque espresso una serie di considerazioni
sulle questioni ecologiche legate ai processi di industrializzazione, va anche evidenziato il lavoro
svolto da Weber nell‟opporsi all‟evoluzionismo ed al determinismo sociale, in particolare, per

32
ciò che riguarda i fattori storico-sociali nell‟ambito dei quali i problemi ambientali sono inseriti
secondo modelli causali complessi, ed in relazione a questo, va ricordato che autori come
Raymond Murphy (1944), hanno elaborato studi di “sociologia ambientale” proprio a partire da
una visione weberiana, razionalizzante, della modernità.

I quadri teorici della sociologia ambientale


L‟assenza di una tradizione sociologica lineare rappresenta una condizione che, se da un lato
garantisce una certa pluralità di prospettive, dall‟altro, può rendere difficile tracciare dei precisi
quadri teorici di riferimento per ciò che riguarda la questione ambientale, tuttavia, nell‟esigenza
di delineare dei tratti comuni nelle modalità di approccio al tema specifico può essere utile
portare l‟attenzione sul dibattito sviluppato fino agli anni ‟90 del XX secolo, nel suo insieme un
discorso che contrappone realismo a costruttivismo; in questo senso, emergono il problema
ontologico, cioè la questione relativa all‟esistenza di un mondo esterno svincolato dalla
percezione dell‟essere umano, e quello epistemologico, ovvero il fatto di considerare i vari
aspetti dell‟osservare, del percepire, dell‟interpretare, sottolineando l‟importanza delle relazioni
che intercorrono tra studioso ed oggetto di studio.

Nel complesso i “realisti” accusano i “costruttivisti” di voler sminuire il ruolo delle scienze
sociali, un ruolo svolto nell‟ambito di un contesto scientifico caratterizzato dalla vicinanza alle
scienze naturali, mentre invece i costruttivisti ribattono sostenendo che è importante analizzare le
questioni considerando il modo con cui queste vengono sottoposte all‟attenzione collettiva,
quindi, lo svolgersi di quei processi che conferiscono legittimità alle rivendicazioni.

Un esempio concreto di questa contrapposizione è dato dal problema dell‟inquinamento urbano,


che dai realisti viene affrontato considerando l‟elevato potere inquinante dell‟auto, e dai
costruttivisti secondo una logica “strutturale” che cerca di spiegare le cause dell‟elevato utilizzo
di tale mezzo di trasposto portando l‟attenzione su fattori quali l‟inefficienza del servizio
pubblico, la diversa dislocazione tra aree residenziali ed aree abitative, la rigidità degli orari di
lavoro, ecc.

Nel suo insieme tale dibattito ha recentemente assunto dei toni più moderati, ed alcuni autori
sono arrivati a concludere che la realtà che possiamo apprezzare non è, né qualcosa di
interamente dato, né qualcosa di completamente costruito, quanto, piuttosto, l‟espressione di una
serie di “associazioni” tra elementi bio-fisici ed elementi sociali (Latour, 2005, Reassembling the
Social. An Introduction to Actor-Network-Theory) 2.

2
Latour è uno dei principali sviluppatori dell‟Actor Network Theory, un modello costruttivista pensato
nell‟intento di dare spiegazione ai fatti scientifici nella realtà sociale. Tale modello, peraltro influenzato
dall‟etnometodologia di Garfinkel (realtà come costruzione riflessiva), concepisce ogni fatto sociale come il
prodotto di una complessa rete di relazioni in cui interagiscono attori sociali umani e non-umani (chiamati
genericamente attanti), e dove giocano un ruolo importante sia la distribuzione del potere, sia le
rappresentazioni segniche delle idee o degli oggetti presi in considerazione. Uno dei concetti portanti del
pensiero di Latour è quello di “relazione”, ed a questo livello egli distingue tra relazioni intersoggettive,
sintagmatiche, e paradigmatiche, inoltre, per ciò che riguarda le relazioni che intercorrono tra ambiti diversi
viene fatta una distinzione tra l‟intraoggettuale, e l‟interoggettuale.

33
Le difficoltà che caratterizzano i tentativi di sistematizzare i quadri teorici della sociologia
dell‟ambiente appaiono legate anche all‟ampia varietà delle modalità utilizzate dai sociologi per
descrivere il passaggio dalla dimensione individuale a quella collettiva (logica micro-macro), ed
in relazione a questo, va ricordato che vengono diversamente accostati modelli concettuali anche
molto distanti tra loro (es. la teoria culturale del rischio con l‟ecomarxismo); nell‟intento di
sviluppare dei modelli analitici di riferimento, sembra dunque opportuno offrire una sintesi
orientativa.

Il paradigma ecologico e l‟approccio ecosistemico


Secondo alcuni sociologi, nel momento in cui il discorso sull‟ambiente si sposta sulle interazioni
tra società e natura, quindi, al di fuori della società, gli approcci tradizionali risulterebbero
inadeguati. In questo senso, verso la fine degli anni ‟70 Dunlap e Catton hanno evidenziato come
le prospettive classiche (marxismo, funzionalismo, interazionismo, ecc.), siano in realtà una serie
di varianti di una più ampia visione antropocentrica denominata “paradigma dell‟eccezionalismo
umano” (Human Exceptionalism Paradigm):
la specie umana possiede sia un eredità biologica che un eredità culturale,
la cultura può variare più rapidamente rispetto ai caratteri biologici,
le differenze culturali sono socialmente modificabili,
la cultura possiede un carattere cumulativo.

Secondo Dunlap e Catton questi assunti rappresentano la trasposizione sociologica di alcuni


valori che caratterizzano la cultura occidentale, ed in tal senso essi hanno affrontano il problema
sociologico dell‟ambiente cercando di differenziare la propria prospettiva. I due sociologi
americani hanno dunque elaborato un “nuovo paradigma ecologico” (New Ecological Paradigm),
che presenta alcuni elementi caratterizzanti :

gli esseri umani sono soltanto una delle tante specie viventi;
i legami tra esseri umani ed ambiente includono anche dei meccanismi di retroazione, e in
relazione a questo possono svilupparsi eventi inaspettati (se A agisce su B, le modificazioni
di B possono agire su A);
il pianeta Terra è un ambiente biologicamente e fisicamente limitato;
l‟attività umana tende a superare le capacità di carico dell‟ambiente;
le leggi ecologiche sono immutabili.

Dunlap e Catton, hanno sostanzialmente ripensato la modernità adattando il modello


dell‟ecologia umana elaborato dalla Scuola di Chicago spostando l‟attenzione dal livello socio-
spaziale a quello biofisico, ed in generale viene dato risalto al superamento delle capacità di
carico dell‟ambiente in relazione a tre gruppi funzionali specifici:

esigenze abitative, produttive, di trasporto, in relazione allo spazio vitale offerto


dall‟ambiente,
il consumo energetico in relazione alle risorse disponibili,
i prodotti di scarto in relazione all‟impegno richiesto per lo stoccaggio dei rifiuti.

34
Il tentativo di Dunlap e Catton di uscire dalle prospettive classiche della sociologia attraverso la
fondazione di un nuovo “paradigma” (n.e.p.), oltre a rappresentare un esigenza di rinnovamento
per la disciplina, ha suscitato, ovviamente, anche una serie di critiche, e tra queste il fatto di aver
utilizzato impropriamente il termine paradigma.

In tal senso è opportuno specificare che il termine paradigma viene generalmente utilizzato per
indicare qualcosa in più rispetto ad una semplice teoria, poiché, oltre a far riferimento a
determinati valori e specifiche generalizzazioni, esso definisce anche i metodi da utilizzare per
un dato campo di ricerca3. A partire dalla necessità di rispettare il concetto che il termine
paradigma vuole indicare, alcuni autori concepiscono quindi il n.e.p. come una serie di assunti di
fondo, o come una certa visione della realtà piuttosto che un paradigma vero e proprio; ad un
altro livello, invece, si colloca la critica di quegli studiosi che osservano come il n.e.p. si
caratterizzi per l‟essere eccessivamente astratto, dunque, in sostanza carente di ipotesi
sull‟influsso esercitato dall‟ambiente sull‟organizzazione sociale.

Il “nuovo paradigma ecologico” ha così finito con l‟essere paragonato all‟ambientalismo


radicale, cioè un approccio fondato sui presupposti tipici del giusnaturalismo: esistono vincoli e
doveri assoluti insiti nella natura, ed indipendenti dalla volontà umana.

Successivamente, Dunlap e Catton hanno più volte revisionato il n.e.p. nel tentativo di renderne
più incisivo l‟impianto, ed in tal senso, prendendo come riferimento il funzionalismo di Talcott
Parson (1951), è stata data maggiore strutturazione all‟insieme di quei processi che portano
l‟ambiente a modellare l‟organizzazione sociale; sono state dunque considerate dimensioni quali:
il sistema sociale (istituzioni),
il sistema culturale (norme e valori),
l‟insieme delle motivazioni e delle aspettative.
Anche se caratterizzate da un certo livello di astrazione, le modifiche apportate al n.e.p.
escludono sia il determinismo ambientale che quello culturale, e viene dunque scartata l‟ipotesi
della totale manipolabilità della natura da parte degli attori sociali.

In ogni caso, il tentativo di rivoluzionare la sociologia dell‟ambiente fondando un nuovo


paradigma non è andato a buon fine, tuttavia il n.e.p. di Dunlap e Catton presenta degli aspetti
meritevoli di attenzione, ad esempio, per quanto riguarda l‟esclusione delle spiegazioni
monocausali del degrado ambientale (aumento della popolazione, utilizzo della tecnologia, ecc.),
a favore di ipotesi più strutturate, e più in generale per il contributo dato come stimolo in
direzione di una sociologia più ricettiva nei confronti delle questioni ambientali.

3
Il termine paradigma viene specificato da Thomas Kuhn nel “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”
(1962). Egli afferma che lo sviluppo del sapere scientifico non è di carattere cumulativo (come invece
sostiene Karl Popper attraverso la metafora darwiniana dell‟evoluzione), bensì, troverebbe modo di
realizzarsi attraverso delle “rivoluzioni”, cioè dei momenti che, sulla base di una serie di “anomalie” rispetto
ai dati acquisiti dalla “scienza normale”, determinano una crisi a livello di una data impostazione scientifica
portando così l‟intera struttura concettuale ad una trasformazione, o comunque a dai processi di
adattamento.

35
Il n.e.p. presenta inoltre dei tratti comuni ad altri approcci teorici, nello specifico, quello
dell‟ecosistema umano, quello del metabolismo sociale, e quello della coevoluzione, ed in
riguardo, anche se che gli impianti concettuali di tali modelli risultano piuttosto diversi, sono
comunque rilevabili dei tratti che possono evocare l‟idea di una “famiglia ecosistemica”, la
quale:

cerca di integrare variabili bio-fisiche e socioculturali,


si esprime a livello macro,
considera in modo privilegiato la “teoria sistemica”.
In questo senso, similmente all‟idea di Dunlap e Catton circa l‟esistenza di un equilibrio di
carattere funzionale che vede l‟insieme delle risorse naturali, socioeconomiche, e culturali, come
qualcosa da utilizzare sulla base delle esigenze del sistema sociale, Machlis - Force - Burch
(1997), hanno sviluppato il concetto di ecosistema umano, inteso come una logica per la quale
sarebbe l‟insieme dei fattori biofisici e sociali a determinare l‟adattamento e la sostenibilità;
interessante rilevare che, a partire da questo modello sono poi stati elaborati degli assunti teorici
utilizzati da ecologi, sociologi, ed antropologi.

Altro membro della “famiglia ecosistemica” è il cosìdetto metabolismo sociale, una teoria
secondo la quale è possibile guardare la società attraverso il concetto biologico di metabolismo
(processi di reazioni biochimiche), e in questo senso la società stessa tende a rappresentare un
organizzazione dedicata alla sopravvivenza dove assumono una certa importanza i “processi
metabolici” con gli altri esseri umani, quindi, sia i fattori culturali che quelli organizzativi.

Lo sviluppo di questo filone trova come riferimento un panorama piuttosto ampio che spazia
dalla teoria marxiana del capitale alle teorie dei sistemi, e che prende in considerazione anche le
osservazioni di Spencer sul legame esistente tra energia disponibile e differenze materiali in seno
alla società; nel complesso, un approccio che tende a portare l‟attenzione sulle modalità
attraverso cui la dimensione simbolica esercita influenza sui sistemi materiali, e viceversa,
questo, con un risultato che permetterebbe di concettualizzare una serie di forme di interazione
tra società e natura. La popolazione rappresenterebbe secondo questa prospettiva un vettore
culturale orientato in direzione della natura, le cui rappresentazioni implicherebbero possibilità
di retroazione sulla cultura stessa.

Altro modello che presenta dei tratti comuni al n.e.p. è quello della coevoluzione (1994/97),
sviluppato principalmente dall‟ecologista Richard Norgaard considerando lo sviluppo umano
come un qualcosa di non lineare che coinvolge sistemi sociali ed ambientali, dei quali, i primi
sarebbero suscettibili di una suddivisione che considera:
conoscenze,
valori,
organizzazione,
tecnologia.

36
In ognuna di queste dimensioni risiederebbero capacità di sviluppo di dinamiche adattative in
relazione alle caratteristiche della realtà ambientale, quest‟ultima, a sua volta influenzata dagli
stessi sistemi sociali, quindi dalla qualità e dalla distribuzione delle rispettive componenti.

In altri termini, secondo Norgaard la coevoluzione esprime una condizione in cui tutto influenza
tutto senza che per questo vi sia uno specifico motore del cambiamento: mutazioni genetiche,
valori dominanti, livello tecnologico raggiunto, e forme di organizzazione sociale,
rappresenterebbero dei fattori che vengono posti tutti su un medesimo piano, e che
svilupperebbero degli effetti che si sottraggono ad un effettiva possibilità di controllo (sistemi ad
alta imprevedibilità).

Luhmann e la comunicazione ecologica


Altro modo di considerare l‟approccio sistemico è quello di Niklas Luhmann (1927-1998), uno
studioso che ha elaborato un modello costruttivista delle tematiche ambientali; i riferimenti a cui
attinge questo autore, considerato uno dei massimi esponenti della sociologia tedesca del XX
secolo, risultano piuttosto vari, ed in generale appaiono rilevanti le influenze di carattere
parsoniano, gli spunti che provengono dalla teoria cibernetica, i principi che caratterizzano la
teoria dell‟organizzazione, e la teoria biologica.

Per riuscire a comprendere la particolarità del modello ecologico di Luhmann (1986), va


considerata innanzitutto l‟ampia prospettiva teorica adottata, la quale, elaborata principalmente
tra il 1981 ed il 1984, offre un immagine del sistema sociale come qualcosa di diverso e separato
rispetto ai sistemi biologici e psichici; fondamentalmente, il sistema sociale rappresenterebbe un
sistema di comunicazioni, ed in questo senso, assume rilevanza il ruolo svolto dagli individui nei
vari contesti.4

Luhmann osserva che nel corso della storia le società hanno sviluppato una certa varietà di forme
organizzative, ma nel complesso è rilevante per la modernità il passaggio dalla differenziazione
segmentaria (scarso livello di differenziazione delle unità sociali, ad esempio nel caso delle tribù,
dei clan, e dei villaggi), alla differenziazione stratificata, per la quale l‟ordinamento è dato da una
determinata gerarchia (es. la suddivisione in ceti, classi, oppure il sistema delle caste);
complessivamente, questo passaggio rappresenterebbe il fondamento della differenziazione
funzionale che caratterizza l‟epoca moderna, cioè una dimensione nella quale assume rilevanza il
compito svolto da ogni singola unità sociale, individuale o collettiva che sia.

Il fatto di considerare determinate specializzazioni funzionali si è rivelato in questo senso un


qualcosa di efficace per la ridefinizione del concetto stesso di differenziazione, ed al riguardo
può essere interessante osservare come il principio gerarchico abbia assunto “funzione
ordinativa” di quei ruoli che, pur se diversamente collocati nei vari contesti sociali tendono
comunque a regolare le attività delle varie unità. Istituzioni come la famiglia e la scuola, e ad un

4
Un sistema sociale si realizza secondo Luhmann nel momento in cui le azioni umane vengono a connettersi
nell‟ambito di un insieme dotato di senso, ed in riguardo, oltre a considerare la complessità dell‟ambiente in
cui si sviluppano le relazioni (aspetti materiali, temporali, simbolici), egli effettua una distinzione tra i sistemi
stessi individuando: sistemi di interazione, ad esempio il fatto di incontrare un altro soggetto; sistemi di
organizzazione, caratterizzati per la presenza di insiemi di regole che permettono di conferire stabilità ai
comportamenti (in tal senso, ad esempio, sono sistemi di organizzazione la scuola ed il lavoro); sistemi di
società, ovvero, l‟insieme dei sistemi di interazione (dimensione comunicativa), e di organizzazione.

37
altro livello la burocrazia, avrebbero così trovato modo di specializzare progressivamente le
proprie funzioni allo stesso modo degli individui, quindi, di quei soggetti caratterizzati anche per
la differenziazione dei bisogni e delle rispettive richieste, ed è in questi termini che il discorso
della differenziazione permette di aprire in direzione delle dinamiche del conflitto.

Da una simile prospettiva la società appare come un insieme organizzato in “sottosistemi


differenziati” in base alle funzioni svolte, i quali tuttavia sarebbero tendenzialmente privi di un
vero e proprio centro e di un effettiva suddivisione gerarchica, ma nel loro insieme trovano
comunque modo di essere regolati. Sono le forme di reciproco controllo che permettono di
fissare un insieme di vincoli, questo secondo delle dinamiche che, ad esempio, riflettono il
principio di separazione dei poteri nello Stato (potere legislativo, esecutivo, giudiziario), ma
possono essere in tal senso rappresentative anche quelle logiche che contraddistinguono le
relazioni esistenti tra le esigenze di libertà a livello della ricerca scientifica, e i principi e le
necessità rilevabili sul piano delle varie espressioni della politica e della religione.

Come accennato in precedenza, la teoria “struttural-funzionalista” di Luhmann considera


cruciale la questione della comunicazione, o meglio dei codici comunicativi, e su questo piano
del discorso l‟autore osserva come la progressiva differenziazione funzionale sia stata
accompagnata da una specializzazione dei flussi realizzata secondo un principio che vede ogni
sottosistema impegnato ad elaborare un proprio codice, e in relazione a questo sviluppare
comunicazione nel rispetto di determinate regole.

Il codice monetario, ad esempio, chiama in causa gli ambiti delle funzioni del sistema economico
e i relativi meccanismi di regolazione degli scambi, i quali si fondano sulla possibilità di disporre
di un dato controvalore in denaro; allo stesso modo il sistema giuridico, dove il codice che porta
a considerare le questioni nei termini della legalità - non legalità, vede lo sviluppo della
comunicazione fondato sulla distinzione tra torto e ragione, e per quanto riguarda il potere, inteso
come codice fondamentale del sistema politico, le regole che specificano i flussi comunicativi
sono rappresentate dal fatto di essere o non essere autorizzati a fare una determinata cosa.

Un altro elemento che contraddistingue la specializzazione funzionale di Luhmann è


l‟autoreferenzialità dei sottosistemi, i quali, oltre a sviluppare funzioni proprie, elaborare
specifici codici comunicativi, e comunicare seguendo determinate regole, risultano dotati di
capacità di auto-organizzative e possono intrattenere rapporti con il proprio ambiente utilizzando
esclusivamente delle risorse interne (es. il sistema giuridico attribuisce diritti e responsabilità
sulla base dei principi che esso stesso si è dato). Questa è una condizione che assume un certo
rilievo anche in relazione al fatto che permette di portare l‟attenzione sul problema della
complessità, nel senso che, nell‟esigenza di un analisi e di una ridefinizione costanti delle proprie
componenti interne, ciascun sottosistema tenderà ad aumentare progressivamente la propria
riflessività.

Questo ulteriore aspetto della specializzazione funzionale elaborata da Luhmann, porta inoltre a
considerare la necessità di dover contare su adeguati livelli di specificità in ciascuna espressione
sistemica, in un certo senso l‟idea di una coerenza interna legata al fatto che nessun sottosistema
può essere sostituito con altri; interessante osservare che, è in questi termini che tende ad
emergere una certa rigidità nel meccanismo delle funzioni, questo, come un qualcosa che si

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esprime in relazione all‟alta efficienza richiesta. Nel concreto l‟influenza reciproca porterebbe,
ad esempio, il sistema economico a fondarsi sull‟efficienza di quello giuridico nei termini del
riconoscimento dei diritti di proprietà (applicabilità del codice monetario), ma in tal senso
svolgono un ruolo importante anche i legami con il sistema scientifico, la cui efficienza è
richiesta nell‟esigenza di effettuare delle scelte circa le tecniche da sviluppare in vista delle
esigenze di produzione. Anche l‟efficienza del sistema politico appare una condizione
indispensabile a questo livello, in quanto, è la sua specializzazione nella produzione di regole che
rende possibile lo sviluppo di una certa varietà di scambi commerciali; interessante osservare
come il sottosistema economico percepisca tutto ciò in termini monetari, cioè in relazione ai
costi da sostenere e in funzione delle possibilità di trarre profitto.

Saper cogliere il senso delle dinamiche complessive che caratterizzano la differenziazione


funzionale nel “sistema sociale” è quindi importante, ed in tal senso Luhmann considera i
fenomeni legati alla specializzazione e all‟efficienza anche per affrontare il “problema
ambientale”; al riguardo egli da risalto alle modalità attraverso cui le necessità del sistema
economico, fondato sul codice monetario, vengono regolate da fattori quali la convenienza e la
competitività. La promozione di prodotti ecologici appare in questo senso collegata alla
possibilità di esercitare influenza sui prezzi, ma lo stimolo per le imprese verso politiche più
sensibili nei confronti dell‟ambiente esprimerebbe un qualcosa che è funzione della capacità di
sviluppare atteggiamenti di carattere etico, ad esempio, a livello di ciò che esprime il sistema
giuridico (funzione normativa).

L‟insieme delle espressioni funzionali dei vari sistemi risulterebbe comunque un qualcosa di
relativamente manipolabile, questo per dire che, nell‟esigenza di considerare gli effetti esercitati
dalla comunicazione, Luhmann ricorre al concetto di risonanza, anche per evidenziare il ruolo
svolto dalle opinioni nella società; in generale, il sociologo tedesco sottolinea il fatto che la
comunicazione ecologica risulterebbe priva di un adeguato livello di risonanza, inadeguata,
dunque insufficiente per stimolare l‟attenzione nei confronti delle problematiche ambientali.

Mutuando termini e concetti della pratica medica, nello specifico quei saperi tecnico-scientifici
che caratterizzano gli ambiti della radiologia diagnostica, l‟idea della “risonanza” applicata agli
effetti della comunicazione può evocare l‟idea delle procedure dell‟imaging in risonanza
magnetica.

A questo livello vengono considerati quei parametri operativi per i quali si utilizza un “impulso”
(connotato da specifiche caratteristiche), nell‟intento di modificare temporaneamente le
condizioni magnetiche della materia a livello sub-atomico (precessione dei protoni). In questo
senso, la possibilità di rilevare un immagine è legata alle caratteristiche del segnale di ritorno
(tempo di rilassamento), e nell‟ambito di queste procedure la scelta delle modalità attraverso cui
emettere e ricevere gli impulsi (in generale gli aspetti che riguardano l‟impostazione dell‟esame,
ad esempio, la scelta dei protocolli operativi, della bobina di campo, ecc.), rappresenta una parte
fondamentale dell‟iter diagnostico, nel senso che, è a questo livello che si specificano quelle
condizioni che porteranno l‟ambiente sub-atomico ad emettere a sua volta un segnale che,
opportunatamente raccolto, codificato, ed elaborato, verrà tradotto in un immagine apprezzabile;
tuttavia, nei casi in cui le modalità che caratterizzano la produzione e la gestione degli “impulsi”

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non sono tali da adattarsi alle necessità del caso specifico, non sarà possibile ottenere immagini
significative sotto il profilo diagnostico.

A prescindere da questo paragone, è importante sottolineare che l‟autore tende a non imputare le
ragioni della crisi ambientale agli atteggiamenti della sfera politico-economica adducendo, ad
esempio, motivazioni di carattere etico o morale, egli cerca piuttosto di spiegare le ragioni del
problema considerando le caratteristiche stesse della specializzazione funzionale: il sistema
economico valuta le risorse ambientali soltanto in termini di costo, il sistema giuridico
esclusivamente in relazione alla necessità di stabilire torti e ragioni, e quello politico,
essenzialmente in vista della possibilità di strutturare dei centri di potere.

Allo stesso modo per quanto riguarda le funzioni del sistema scientifico e di quello etico, e se nel
primo caso la questione ambientale tende ad essere ridotta alla necessità di accertare i fatti intesi
come “verità scientifica”, in relazione al sistema etico, invece, il discorso tende ad essere
relegato al problema della specificità delle funzioni deputate al riconoscimento delle
responsabilità morali.

Pur in presenza di un elevato livello di specializzazione sembrerebbe dunque difficile stabilire


delle competenze specifiche, ed in tal senso non andrebbe esclusa la possibilità di considerare, da
un lato, l‟ipotesi dell‟innesco di un processo circolare caratterizzato da un continuo rinvio delle
responsabilità tra i vari sistemi, e dall‟altro, l‟esigenza di un analisi delle caratteristiche di quelle
condizioni per le quali l‟aumento della complessità rappresenta un momento in cui appaiono
necessarie adeguate capacità di integrazione. In ogni modo, l‟inadeguatezza della “risonanza”
della comunicazione ecologica tende ad essere giustificata da Luhmann attraverso il ricorso ad
una logica che vede l‟informazione veicolata da un sistema all‟altro assumere le forme di un
“non sapere”, il quale attribuirebbe di volta in volta, secondo modalità variabili, le cause
dell‟inquinamento a fattori quali le responsabilità del mercato, la carenza del diritto, e
quant‟altro.

Secondo una visione di maggior respiro è anche possibile evidenziare che, nel momento in cui
ogni sistema cerca di trattare dei problemi “esterni” come se questi fossero delle questioni
“interne”, si verrebbero a creare delle condizioni che rischiano di far perdere sostanza al senso
complessivo dei problemi stessi in ragione dei quali i sistemi sarebbero chiamati funzionalmente
ad esprimersi.

Complessivamente, la visione sistemica di Luhmann tende a rappresentare i tratti peculiari della


modernità, ed in questo senso egli si dimostra piuttosto scettico nei confronti di quelle correnti di
pensiero che auspicano un ritorno a delle forme di regolazione sociale più elementari, quindi, a
delle società dotate di una maggiore generalizzazione dei propri sistemi; l‟autore non ritiene
dunque possibile ricondurre la questione ambientale al problema della diminuzione del consumo
e dell‟inquinamento, e all‟affermazione di una nuova etica dell‟ambiente. Egli considera inoltre
rischioso il fatto di cercare delle forme di legittimazione politica, economica, e scientifica,
ispirandosi ai cosiddetti “valori ecologisti”, ad esempio, per quanto riguarda l‟estensione dei
diritti umani a tutte le specie animali e vegetali, poiché, in tal modo, potrebbero venir messi in
discussione anche vantaggi legati dall‟aumento del livello di specializzazione funzionale, quindi,

40
sia quei benefici che trovano espressione in un maggior livello di benessere materiale, sia la
maggiore indipendenza degli individui dalle gerarchie sociali e religiose.

La differenziazione funzionale viene concepita come un processo irreversibile, un qualcosa che


ha originato complessità sistemica con delle modalità tali da rendere sostanzialmente poco
efficaci i vari tentativi di (ri)politicizzazione dell‟economia, di (ri)eticizzazione della politica, del
diritto, della scienza, e che ha originato una situazione dove appare possibile ipotizzare soltanto
uno sviluppo in direzione di livelli di differenziazione crescenti, con un progressivo aumento sia
della riflessività interna ad ogni sistema, sia delle capacità richieste per la comunicazione tra i
sistemi stessi, questo, salvo eventuali cambiamenti di carattere catastrofico in grado di
sconvolgere l‟intero assetto.

L‟atteggiamento del mondo accademico nei confronti del pensiero di Luhmann risulta piuttosto
controverso, e sa da un lato il suo lavoro è stato apprezzato, dall‟altro, sono state sollevate varie
critiche nei confronti della “sociologia dell‟ambiente” da lui sviluppata, tuttavia, è lo stesso
sociologo a precisare il fatto che il suo modello si caratterizza principalmente per l‟essere
descrittivo, quindi, orientato alla comprensione di quegli atteggiamenti assunti da una società nel
momento in cui questa si trova nella necessità di considerare le problematiche ambientali; va
comunque evidenziato che, seppure Luhmann non sia un autore di facile approccio,
principalmente, a causa della complessità del suo impianto teorico e della scarsa adattabilità del
modello in termini di ricerca empirica, complessivamente va riconosciuto che il suo contributo al
pensiero sociologico moderno è rilevante (differenziazione secondo i canoni della razionalità
formale).

Infine riportando l‟attenzione sul piano delle critiche al suo pensiero, può essere utile evidenziare
come Luhmann tenda a sottovalutare il ruolo dell‟individuo, nel senso che egli lo ritiene
sostanzialmente incapace di modificare le strutture sociali esistenti; a questo livello, anche
l‟accusa mossa dal suo rivale Jurgen Habermas (Teoria dell‟agire comunicativo), uno studioso
che rimprovera a Luhmann il fatto di non aver tenuto conto dell‟azione dei gruppi di protesta che
tentano di opporsi ai sistemi, tuttavia, Luhmann replica in tal senso osservando che i gruppi di
protesta rientrano nei sistemi stessi.

La teoria culturale del rischio


In generale, anche le tematiche culturali trovano un certo spazio sul piano delle modalità e delle
prospettive attraverso cui approcciarsi ai problemi ambientali, ed in tal senso è meritevole di
attenzione la teoria culturale del rischio, un modello elaborato dall‟antropologa Mary Douglas
nell‟ambito di un filone di studi sulle cosiddette “culture di gruppo” (modello multidimensionale
della stratificazione, 1966/1973).

L‟importanza assunta dai processi comunicativi ha inoltre portato, a partire dagli anni ‟70, a
sviluppare una serie di iniziative di studio finalizzate all‟analisi e alla gestione del rischio,
questo, quasi in coincidenza con l‟aumento della competizione tra i vari produttori di impianti
industriali, ed è nell‟ambito di tale cornice che trovano collocazione quei fenomeni sociali
conosciuti come N.I.M.B.Y (not in my back yard), ovvero, non dietro casa mia, e N.I.A.B.Y.
(not in anyone‟s back yard), cioè, da nessuna parte.

41
Nel suo insieme, tutto ciò sembra esprimere la tendenza di un contesto che nel corso degli anni
‟70 manifestava la necessità di contrapporsi all‟utilizzo della tecnologia, e fonti di riferimento in
tal senso sono rappresentate da programmi come il risk assessment e il risk management
(valutazione e gestione del rischio), i quali, in senso scientifico forniscono indicazioni di
carattere strategico. In riguardo alla possibilità di incorrere in malfunzionamenti di carattere
tecnico, oppure, in relazione alle probabilità di trovarsi coinvolti in eventi di carattere
catastrofico (es. alluvioni e terremoti), sono state così elaborate delle “stime oggettive del
rischio”, anche per ciò che concerne quelle problematiche economiche che chiamano in causa il
rapporto costi-benefici (es. in merito al problema del valore legato all‟incremento di produzione
in un impianto chimico in rapporto alla possibilità di un aumento di determinate patologie),
questo, proprio nel periodo in cui la crisi ambientale iniziava ad assumere un ruolo di un certo
rilievo sociale.

L‟influenza esercitata sull‟opinione pubblica non ha raggiunto i risultati attesi da coloro i quali
hanno cercato di reagire alla crisi dell‟ambiente sviluppando dei presupposti scientifici da
contrapporre agli interessi dominanti, ed è emersa una situazione per la quale si è avvertita
l‟esigenza di approfondire in merito alle dinamiche della percezione soggettiva del rischio,
paradossalmente, non tanto sul versante degli oppositori di un dato utilizzo della tecnologia
industriale, quanto su quello dei “produttori”, o meglio a livello di quei poteri che tali processi
gestiscono.

Nell‟intento di svelare la struttura cognitiva che orienta il giudizio, sono stati dunque avviati
degli studi fondati sull‟approccio psicometrico (anni ‟70 -‟80), peraltro integrati dall‟utilizzo di
tecniche di ricerca fondate sulla somministrazione di questionari in risposta alla necessità di
soddisfare ulteriori esigenze conoscitive, e nel loro insieme, i risultati ottenuti sembrano
evidenziare una situazione dove la percezione del rischio appare affetta da una certa distorsione,
questo, secondo una dinamica che porterebbe a minimizzare il rischio stesso.

In ogni caso, sembra che l‟avversione al rischio aumenti quando l‟esposizione avviene contro la
propria volontà (oppure all‟insaputa dei soggetti esposti), ed allo stesso modo quando il rapporto
costi-benefici appare iniquo; diversamente invece, il rischio tende ad essere considerato più
accettabile quando rappresenta una scelta individuale (es. il tabagismo), quando si ritiene di
avere possibilità di controllo della situazione (es. lo stile di guida), oppure, quando viene
sviluppata una certa abitudine nei confronti di un rischio specifico (es. gli individui che vivono in
zone a rischio sismico).

In senso pratico queste ricerche hanno portato a rielaborare la gestione del rischio, quindi, allo
sviluppo di strategie successivamente impiegate nell‟esigenza di gestire i conflitti a livello di
determinati gruppi di popolazione; su questo piano si è assistito ad un tentativo di orientare il
discorso in direzione di una maggiore accettabilità del rischio stesso, sia attraverso l‟adozione di
tecniche di public relations per cercare di rafforzare la fiducia nelle istituzioni, sia attraverso il
ricorso a delle misure di compensazione (es. aumentando i posti di lavoro e migliorando le
infrastrutture), tuttavia, anche in questo caso i promotori di tali iniziative non sono riusciti a
raggiungere i risultati sperati.

42
E‟ in questo senso che appare interessante la prospettiva del rischio come costruzione sociale
elaborata da Mary Douglas, la quale, cerca di spiegare la diversità dei significati attribuiti dai
vari gruppi sociali ai medesimi argomenti in funzione di determinate differenze culturali.

Alla base del pensiero della Douglas, peraltro di influenza durkheimiana, in particolare per ciò
che riguarda il concetto di “solidarietà”, risiede un assunto secondo il quale ogni cultura
prenderebbe forma sulla base delle modalità con cui gli individui si pongono in relazione con
altri, quindi, in funzione delle caratteristiche dell‟organizzazione sociale (stretto rapporto tra
cultura e società); l‟analisi della vita sociale viene quindi sviluppata da questa antropologa
attraverso il “modello griglia-gruppo” (1970/1982), ovvero uno schema dove la dimensione di
“griglia” identifica il livello di regolazione sociale, e quella di “gruppo” rappresenta invece la
coesione.

La lettura del modello segue una logica che vede corrispondere ad un alto livello di griglia un
forte controllo sociale (assumono pregnanza i vincoli sociali forti), e ad un elevato fattore di
gruppo una situazione nella quale gli individui orientano le loro azioni principalmente in
funzione della collettività (viene dato rilievo alle condizioni di appartenenza / non appartenenza
ad un dato gruppo).
Applicando il modello della Douglas è possibile definire quattro situazioni principali:
basso livello di griglia e di gruppo,

alto livello di griglia e basso livello di gruppo,

alto livello di griglia e di gruppo,

basso livello di griglia ed alto livello di gruppo.

Effettuando poi la lettura, la prima forma di organizzazione sociale porterebbe gli individui ad
orientarsi in direzione dell‟individualismo in quanto impegnati a perseguire principalmente il
proprio personale interesse, ed esempi in questo senso sono quelli dell‟atteggiamento
imprenditoriale, e più in generale il clima delle società pluraliste.

Un alto livello di griglia e un basso livello di gruppo, vedrebbero invece rafforzato il senso della
collettività, ma al tempo stesso, considerando che in tali condizioni risulta più difficile curare i
propri interessi personali, tenderebbe anche ad emergere il fenomeno dell‟emarginazione (gruppi
stratificati, spesso in lotta tra loro, e con deboli legami interni).

L‟organizzazione sociale tende invece ad assumere altre caratteristiche in presenza di alti livelli
di griglia e di gruppo, ed in questo caso, un forte controllo individuale in presenza di una
tendenza a privilegiare gli interessi collettivi rappresenta una situazione per la quale è più
probabile si originino forme sociali di stampo gerarchico. Questo, ad esempio, è il caso tipico
delle organizzazioni burocratiche, o comunque delle società complesse dove i rituali si fondano
principalmente sui riti di passaggio tra i vari status.

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Altra configurazione considerata dalla Douglas è quella caratterizzata da un basso livello di
griglia, e da un alto livello di gruppo; complessivamente una forma organizzativa
tendenzialmente egalitaria. Non viene esercitato un controllo eccessivo sugli individui, e
permane un orientamento agli interessi collettivi; questa forma sembra caratterizzare quei gruppi
piuttosto chiusi nei confronti dell‟esterno, anche se scarsamente stratificati, ad esempio, i gruppi
con risorse carenti, oppure le società chiuse in difesa di sé stesse.

Complessivamente il modello della Douglas da rilievo all‟esistenza di una visione comune delle
cose, quindi a quel certo ordine morale posto alla base di ogni data forma di organizzazione
sociale, ed in questo senso, il fatto di riconoscere gli eventi attribuendone specifici significati
rappresenta un qualcosa che permette di sviluppare il discorso su ciò che può essere socialmente
costruito. Ad ogni modo va ricordato che le forme dell‟organizzazione sociale delineate
dall‟autrice hanno principalmente una funzione analitica: esse coesistono nelle società moderne,
le quali si contraddistinguono per un certo livello di eterogenicità culturale.

L‟idea dell‟esistenza di una “cultura del gruppo” è stata adottata anche nell‟ambito degli studi
sulle comunità scientifiche, in particolare nell‟esigenza di spiegare gli atteggiamenti rilevabili nel
momento in cui gli studiosi si trovano dinnanzi a risultati anomali rispetto a quelli attesi; in
questo senso, è stato osservato che nelle comunità a bassa griglia e alto gruppo tende ad
emergere una tendenza a proteggersi a fronte di elementi inconsueti, mentre invece in quelle ad
alta griglia e basso gruppo sembra più facile incontrare situazioni in direzione di uno
sfruttamento dell‟elemento insolito.

Il modello griglia/gruppo trova poi modo di essere applicato a vari ambiti, e se per quanto
riguarda i processi di costruzione sociale va evidenziato come le caratteristiche dell‟ambiente
possano esercitare grande influenza sull‟individuo, in relazione alla percezione del rischio,
invece, è la stessa Douglas (1992) a ricordarci che l‟esistenza di varie visioni del mondo
rappresenta una condizione che implica anche varie modalità di porsi dinnanzi al pericolo.

In relazione alla questione ambientale Schwarz e Thompson (1990) hanno considerato le


questioni morali poste alla base delle forme dell‟organizzazione sociale, ed a questo livello sono
state considerate alcune specifiche visioni della natura.

In presenza di atteggiamenti più inclini all‟individualismo (forme sociali con basso livello di
griglia e di gruppo), parrebbe spiccata la tendenza all‟assunzione del rischio, anche se, almeno
per ciò che riguarda l‟ambiente le problematiche verrebbero sottostimate, forse a causa della
predominanza di un pensiero che considera la natura come qualcosa capace di riequilibrarsi a
fronte di qualsiasi intervento umano.

Per quanto riguarda quelle forme sociali dove è più spiccata la tendenza a marginalizzare, quindi
in presenza di gruppi stratificati e scarsamente coesi (alto livello di griglia e basso livello di
gruppo), sarebbero in generale rilevabili atteggiamenti di carattere fatalista, nel senso che la
natura tende ad essere considerata imprevedibile e non avrebbe senso pianificare l‟azione;
complessivamente, un atteggiamento che può rappresentare un riflesso dell‟esperienza maturata
nell‟ambito di una forma sociale dove l‟individuo si troverebbe nelle condizioni di essere
soggetto a vincoli, ma privato della possibilità di cogliere le opportunità.

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Nei contesti più gerarchizzati (alto livello di griglia e di gruppo), si tenderebbe invece ad
allontanare le responsabilità e ad assumersi pochi rischi, e per ciò che riguarda la natura,
considerata in generale qualcosa di piuttosto stabile quindi suscettibile di manipolazione, le
questioni ambientali verrebbero solitamente affidate agli esperti, e gestite attraverso il ricorso a
procedure con elevato grado di standardizzazione.

L‟atteggiamento egalitario (bassa griglia e alto gruppo), concepirebbe infine la natura come un
sistema fragile, e in funzione di questo verrebbero sviluppati atteggiamenti caratterizzati da un
diffuso senso di responsabilità e da una maggiore prudenza.

E‟ sulla base degli argomenti considerati da questo genere di elaborazioni teoriche che diventa
più facile comprendere come possano esistere modalità diverse del concetto di rischio, questo, in
relazione allo sviluppo di una “selezione culturale” riconducibile alle caratteristiche delle forme
assunte dalla struttura dei gruppi, quindi, dall‟organizzazione sociale; in altri termini delle
differenze che, socialmente costruite, porterebbero ad esprimere gradazioni variabili del livello
della sensibilità nei confronti delle problematiche di carattere ambientale.

Al riguardo è stata anche osservata l‟esistenza di una correlazione tra la diffusione di valori
ambientalisti e la crescita di gruppi egalitari, i quali sembrano quelli più motivati ad opporsi sia
alle forme organizzative di stampo individualistico, sia a quelle gerarchiche. In un certo senso è
anche possibile ipotizzare una situazione per la quale l‟enfasi sulle problematiche ambientali si
esprime in funzione della necessità di opporsi al potere e alle istituzioni presenti in una società,
ad esempio, contestandone i valori dominanti, forse nel tentativo di acquisire maggiore spazio e
visibilità5.

Le principali critiche sollevate a questa interpretazione della teoria culturale del rischio
riguardano, da un lato, il fatto di aver considerato strumentale la protesta contro il degrado
ambientale, e dall‟altro, la connotazione settaria data all‟ambientalismo stesso, anche in ragione
dell‟aver attribuito ai gruppi che vivono questa dimensione delle caratteristiche negative in
termini di pregiudizi contro la scienza e la tecnologia. Altre obiezioni al modello sono
l‟eccessiva schematicità, e la sottovalutazione delle scelte individuali, quindi, la scarsa
considerazione dell‟opinione soggettiva, ciò nonostante, una lettura delle forme
dell‟organizzazione sociale effettuata ricorrendo alle dimensioni griglia/gruppo conserva una
certa efficacia, in quanto offre comunque la possibilità di evidenziare l‟influenza esercitata
sull‟individuo dal contesto sociale e culturale.

Il filone neomarxista
Anche se da una prospettiva ambientalista, nell‟avvicinarsi al pensiero marxiano è comunque
importante ricordare che il discorso ruota attorno alla critica mossa nei confronti

5
In merito alla possibilità di rilevare un legame tra forme di protesta di stampo ambientalista e
contrapposizione al potere, può essere interessante portare l‟attenzione sulla situazione in Italia, nello
specifico, sui contenuti della RELAZIONE SULLA POLITICA DELL‟INFORMAZIONE PER LA SICUREZZA 2011 (Presidenza
del Consiglio dei Ministri - Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica), capitolo II, sezione 2,
pagina 35, dove viene considerato il fenomeno della strumentalizzazione della protesta, in particolare per ciò
che riguarda le espressioni dell‟estremismo politico, e l‟antagonismo di matrice anarchica.

45
dell‟industrialismo capitalista, questo secondo un approccio realista che concepisce le forze che
muovono il mondo sociale come indipendenti dai fenomeni legati al processo interpretativo 6.

Anche se può essere considerata poco adattabile rispetto alla situazione attuale, nell‟ampiezza
del pensiero di Marx è possibile rilevare una traccia della problematica ambientale, questo a
partire da alcune questioni di fondo:
Marx non ha sviluppato una visione coerente del problema ecologico, e nel complesso,
emerge una tendenza a considerare la natura come un oggetto di conquista e di sfruttamento
(rapporto tra uomo e natura come rapporto tra uomo ed oggetto);

scienza e tecnologia, una volta sottratte al capitalismo, vengono concepite come strumenti al
servizio dell‟uomo;

l‟essere umano viene posto ad un livello superiore, sia in riferimento alle sue capacità
riflessive, sia in relazione al fatto di essere meno vincolato alla natura rispetto agli altri esseri
viventi (maggiore capacità manipolativa).
Il passaggio forse più significativo del pensiero marxiano circa il problema ambientale (o meglio,
del rapporto con l‟ambiente), risiede nelle modalità con cui egli considera il valore delle merci,
cioè quello trasformativo dell‟attività umana; queste considerazioni, permetterebbero di aprire il
discorso sul problema di un economia che attribuisce alla natura il valore di un “prodotto netto”
in funzione del contributo che essa può dare in termini energetici (es. combustibili, minerali,
prodotti per la catena alimentare), complessivamente, il discorso marxiano dell‟attività umana
sul piano delle condizioni del lavoro.

Anche se non è possibile sostenere l‟esistenza di un vero e proprio pensiero marxiano in


relazione all‟ambiente poiché non emergono particolari contrarietà in riguardo allo sfruttamento
della natura, per ciò che concerne i processi di produzione della ricchezza, e una certa avversione
nei confronti di quell‟ordine sociale caratterizzato da una forte asimmetria distributiva, può
tuttavia apparire come non immotivata quella concezione del pensiero marxiano come un
qualcosa che rappresenta i prodromi di una situazione destinata a maturare soltanto in futuro,
quindi, in condizioni ben diverse rispetto al tempo in cui la teoria marxiana andava
strutturandosi. Portando invece l‟attenzione sui tentativi di spiegare la società moderna
ispirandosi al marxismo, una delle questioni da considerare è quella del livello raggiunto in

6
Per dare adeguato risalto al pensiero marxiano è necessario considerare innanzitutto ciò che esso
rappresenta nei termini della contrapposizione alla filosofia hegeliana, intesa come un “idea del
comprendere” sviluppata secondo una logica che vedrebbe concretizzato nello “spirito assoluto” il momento
di “sintesi” di tutta la realtà. In questo senso, va rilevata l‟ambivalenza della dialettica di Hegel, quindi il
fatto che, da un lato, sono state sviluppate delle posizioni che concepiscono la sintesi come un momento di
conservazione di condizioni precedenti, e dall‟altro, invece, una concettualizzazione della sintesi stessa come
uno spingersi oltre, ovvero, un drastico superamento di ciò che è stato storicamente determinato, ed è in
questo senso che il discorso filosofico di Marx va considerato. Egli ha ideato un sistema che trova modo di
svilupparsi nelle forme di un materialismo storico-dialettico che, nel momento in cui porta l‟attenzione sui
fattori materiali della produzione, tende ad evocare il riflesso della contraddizione hegeliana, questo, non
tanto tra i momenti astratti della vita dello spirito, quanto, piuttosto, tra l‟assetto concreto delle classi sociali
in lotta tra loro.

(Cenni sull'evoluzione del pensiero filosofico free©reations 2007 BorderLine by inopan)


https://docs.google.com/file/d/0B55Ccwn2HUVadjlnQTNZaTRCV0U/edit?usp=sharing&pli=1

46
termini di sfruttamento della natura, questo, nell‟ambito di rapporti di produzione dove la natura
stessa viene considerata principalmente in funzione del valore commerciale che essa rappresenta,
ed è a questo livello che il discorso tende a coinvolgere anche il ruolo assunto dalla scienza.

Circa il problema marxiano dell‟industrializzazione dell‟agricoltura, alcuni autori (es. Foster,


1999), trattano la questione ambientale nei termini di un impoverimento del suolo, anche in
relazione allo sviluppo della produzione di fertilizzanti chimici (rapporto tra agricoltura
intensiva, industrializzazione, e sfruttamento capitalistico del lavoro), e per quanto riguarda
Leroy (2001), va considerato il fatto di dare rilevanza alla “crisi ambientale” come un evento che
va a collocarsi nell‟ambito di una crisi sociale preesistente, ed in questo senso si attribuisce al
predominio del razionalismo economico, e agli stretti legami tra stato ed economia, la
responsabilità di una trasformazione della società caratterizzata dal radicamento della crisi, nello
specifico negli aspetti ambientali del fenomeno.

Prospettive simili a questa caratterizzano anche il pensiero di autori come André Gorz, Jürgen
Habermas, ed Alain Touraine, tuttavia, per l‟ambito specifico della sociologia dell‟ambiente
vengono considerati di maggior rilievo i contributi di autori come Allan Schnaiberg e James
O‟Connor 7.

Nel suo insieme, il pensiero di questi autori tende a mettere in evidenza l‟idea marxiana della
“contraddizione del capitalismo”, cioè una situazione che in conseguenza dell‟esasperata logica
del profitto metterebbe in discussione le stesse condizioni di sussistenza del sistema; verrebbero
realizzati in questo senso investimenti crescenti in beni strumentali a svantaggio del lavoro
umano (riduzione dei salari, dell‟occupazione, dei profitti).

Tra gli autori che hanno rivisitato la teoria marxiana, alcuni mettono in evidenza il problema che
riguarda la difficoltà di spiegare come la “contraddizione del capitalismo” non abbia portato fino
ad oggi al tracollo del sistema, ed a questo livello O‟Connor (1994), ricorrendo all‟idea delle
“capacità rigenerative” cerca di spiegare come il capitalismo possa arrivare ad utilizzare
l‟innovazione tecnologica nell‟intento di manipolare, oltre che l‟assetto politico ed ideologico,
anche l‟equilibrio biofisico (es. l‟ingegneria genetica).

Interessante osservare che in tal senso le dinamiche sottese all‟esperienza del mutamento
tendono ad assumere il significato di un qualcosa che risponde principalmente alle esigenze delle
classi dominanti, ed a questo livello, ad esempio, il passaggio dal fordismo al post-fordismo
viene letto come un tentativo di risolvere attraverso la dislocazione i problemi legati ai costi, o
comunque, all‟inefficienza nella gestione degli impianti produttivi.

7
James O‟Connor ha elaborato una teoria (la Teoria della crisi fiscale dello stato - 1973), collocabile
nell‟ambito delle “teorie marxiane”: partendo dal presupposto che nel capitalismo moderno il conflitto trova
modo di svilupparsi principalmente tra manager statali e capitalisti, egli concepisce il “settore statale” al pari
di un vero e proprio datore di lavoro, quindi, come uno specifico attore economico, ed in questo senso, nel
considerare quelle attività statali orientate in direzione dei servizi ai settori monopolistici, O‟Connor delinea
una situazione in cui il potere politico trasferirebbe i costi dei servizi alle imprese ed ai consumatori;
complessivamente, una sproporzione tra spese ed entrate a svantaggio dei settori non organizzati dello
stato.

47
Su questa linea di pensiero si colloca anche Wallerstein, il quale tende a concepire il welfare
state come uno strumento utilizzato per smorzare i toni del conflitto sociale attraverso una
maggiore accessibilità a determinati servizi e a specifiche risorse.

Per quanto riguarda Schnaiberg risulta interessante quell‟analisi di ispirazione marxiana circa i
problemi ambientali considerati in relazione alla dimensione politica ed ecomomica (1975/80);
nel suo insieme, questo approccio presenta una certa continuità con il modello marxiano in
relazione a questo assunto: l‟espansione economica ha portato ad un crescente sfruttamento delle
risorse fino al punto di determinare una situazione per la quale i problemi ecologici creati
tendono a limitare le possibilità di un ulteriore sviluppo in senso capitalistico.

Schnaiberg indica poi tre possibili sviluppi:

la sintesi economica, ovvero una situazione in cui il conflitto tra espansione economica e
degrado ambientale porta sostanzialmente a trascurare il problema ambientale in favore della
massimalizzazione del profitto;

la scarsità pianificata, che vedrebbe l‟intero sistema impegnato nel cercare di risolvere le
urgenze più pressanti, quindi, i rischi concreti che minacciano direttamente la salute pubblica
o la produzione;

la sintesi ecologica, intesa invece come una condizione caratterizzata da una profonda
ristrutturazione dell‟economia in direzione della sostenibilità, e da un aumento del controllo
sull‟utilizzo delle risorse non rinnovabili.
Lo sviluppo nella prima delle direzioni indicate da Schnaiberg appare un condizione frequente
nel periodo antecedente agli anni ‟70, la scarsità pianificata, invece, ha rappresentato un genere
di risposta ricorrente nel periodo successivo ai ‟70, ed infine, per quanto riguarda la sintesi
ecologica, le risposte date fino ad oggi appaiono le loro insieme inadeguate.

Considerando gli sviluppi del pensiero marxiano secondo la prospettiva di autori come
Schnaiberg ed O‟Connor, può essere interessante evidenziare come emerga una tendenza a
privilegiare le dinamiche interne alla società, tuttavia, l‟eredità marxiana può essere colta anche
spostando l‟attenzione sui processi di interazione tra ambiente e società.

Peter Dickens (1997), ad esempio, specifica che le società umane sono composte da un insieme
di relazioni e di meccanismi che, pur essendo fondati sulle caratteristiche dei sistemi biologici,
possono essere spiegati soltanto attraverso l‟insieme delle pratiche sociali, ed in questo senso, le
dinamiche rilevabili a livello delle relazioni più esterne andrebbero in un certo qual modo ad
influenzare ciò che avviene negli strati più interni 8.

8
In questo passaggio emerge la problematica marxiana del rapporto tra struttura e sovrastruttura, cioè, la
questione dei legami esistenti tra la struttura economica della società, intesa come base reale della società
stessa, e quell‟insieme di forme “sovrastrutturali” assunte dalla “coscienza sociale”, delle forme che,
rappresentano un complesso sistema di manipolazione dei bisogni, quindi, un espressione del controllo
esercitato dalle classi dominanti per riuscire a mantenere le proprie posizioni di potere. In riguardo, se da un
lato andrebbe considerata la questione della riconducibilità dei “fattori spirituali” ai rapporti materiali di
produzione, dall‟altro, emerge il problema di stabilire come gli elementi sovrastrutturali (famiglia, moralità,
stato, religione, scienza, ecc.), possano variare in funzione delle esigenze degli elementi che costituiscono la

48
Secondo questa logica vengono concepite le scienze, viste quindi non come un qualcosa che
opera in modo disgiunto dal “sistema”, quanto, piuttosto, come un elemento ad esso integrato.
Esse offrono la possibilità di comprendere i vari aspetti della realtà, tuttavia, considerando che la
scienza opera coprendo ambiti che spaziano da un livello più astratto e generale fino ad arrivare a
delle espressioni più concrete, andrebbe riconosciuto anche il fatto che essa stessa rappresenta un
insieme stratificato.

La particolarità del contributo delle teorie sociali rispetto alle altre scienze, sarebbe in tal senso
rappresentato dalla possibilità di offrire dei saperi in grado di incidere e condizionare gli sviluppi
delle altre conoscenze scientifiche, ed in riguardo Dickens ha applicato il modello della
differenziazione del lavoro per riuscire a spiegare come in una società moderna abbiano potuto
realizzarsi sia una progressiva specializzazione della scienza, sia una crescente dipendenza della
tecnica nei confronti dell‟interesse economico e del business, questo, come fattore principale nel
determinare l‟incapacità di sviluppare un adeguato rapporto con il “mondo naturale” (secondo la
scuola di Francoforte: razionalizzazione come estraniazione dell‟uomo dalla natura).

Ecoanarchismo ed ecofemminismo
Le teorie di Darwin hanno esercitato un indubbia influenza sulle scienze sociali, ed al riguardo è
possibile rintracciare dei riferimenti al suo pensiero in autori come Herbert Spencer, quindi
nell‟idea di una differenziazione sviluppata considerando la contrapposizione dell‟uomo
all‟organizzazione sociale nell‟intento di salvaguardare la propria autonomia, e nel pensiero di
Sumner Maine, il quale ha elaborato una teoria fondata sulla storia del diritto contrapponendo la
logica delle società di status a quelle di “contratto”.

Il principio darwiniano della “selezione naturale” è stato comunque sviluppato con varie
modalità, ed in questo senso, ad esempio, può essere interessante ricordare l‟intento di Petr
Kropotkin (1842-1921), di dare spiegazione al processo evolutivo in termini di “mutuo aiuto”.

In questo senso, il pensiero anarchico di Kropotkin considera la cooperazione come un elemento


in grado di portare alla realizzazione di una società egalitaria caratterizzata dall‟assenza
dell‟incombente presenza delle istituzioni dello stato, ed al riguardo egli evidenzia l‟esperienza
dei villaggi e delle corporazioni medioevali che, fondate sull‟aiuto reciproco, non necessitavano
dell‟intervento regolativo degli apparati burocratici. Nell‟avvicinarsi al pensiero di Kropotkin va
innanzitutto ricordato che nel suo paese, la Russia zarista del XIX secolo, la nobiltà era al potere,
e la ricchezza era rappresentata principalmente dal “capitale agrario”, peraltro gestito attraverso
il sistema del latifondo; in riguardo, è necessario considerare come la gestione della terra abbia
rappresentato, da un lato una condizione di servitù per i contadini, e dall‟altro un vero e proprio
ostacolo per l‟avvio del processo di sviluppo economico. Complessivamente, la Russia degli Zar
ha registrato un certo ritardo rispetto alle altre potenze europee nell‟avvio dei processi di
industrializzazione, questo, sullo sfondo di uno scenario politico ben diverso da quello
occidentale; in breve: l‟inadeguatezza dei tentativi di riforma agraria e l‟impossibilità di

base economica. Su questo punto si rilevano due correnti di pensiero contrapposte, di cui una sostiene la
tesi di un certo “determinismo economico”, mentre la seconda, invece, nel considerare l‟inerzia delle forme
sovrastrutturali, afferma l‟esistenza di un certo asincronismo tra la realtà della base economica e le varie
espressioni della sovrastruttura, arrivando anche a considerare la preesistenza di talune forme rispetto ai
fattori economico sociali.

49
sviluppare delle forme di emancipazione, hanno rappresentato i presupposti per un profondo
senso di sfiducia nei confronti del riformismo, e in questo senso molti intellettuali videro
nell‟anarchia una strada per la libertà.

Fu soltanto verso la fine dell‟800 che la Russia diede avvio ad un processo di sviluppo
dell‟economia in senso industrialistico, tuttavia la “forzatura” effettuata a scapito delle
campagne, i problemi legati all‟improvvisa urbanizzazione, la presenza di una forte tensione tra
fazioni di potere (complessivamente una serie di reazioni anti-riformatrici), portarono ad una
progressiva crisi nazionale caratterizzata dalla mobilitazione delle masse, ed allo sviluppo di
forme terroristiche di stampo insurrezionalista, le quali culminarono successivamente nella
rivoluzione dell‟ottobre del 1917.

Dopo aver introdotto alcuni elementi che caratterizzano il contesto storico, economico, e sociale
dell‟esperienza di Kropotkin, risulta necessario considerare che il suo pensiero è andato
sviluppandosi in un periodo dominato dal determinismo scientifico, dall‟evoluzionismo, e dal
positivismo; in questo senso, egli cercò di elaborare una filosofia partendo dalle riflessioni sul
dato empirico sulla base di una concezione antimetafisica della realtà (positivismo filosofico),
quindi, sia contrapponendosi al razionalismo astratto dell‟illuminismo, sia rifiutando la
concezione idealista dello spirito assoluto come fondamento della realtà. Sulla base di questo è
possibile rilevare alcuni momenti di rilievo nel lavoro di Kropotkin, ad esempio per ciò che
riguarda il tentativo di dare dignità scientifica all‟anarchia (anarchia come concezione
dell‟universo fondata sull‟interpretazione meccanica dei fenomeni, così nella natura, come nella
società), e la critica nei confronti delle implicazioni sociali della teoria darwiniana.

In relazione al primo punto il pensiero di Kropotkin tende a giustificare i principi di libertà e


uguaglianza attraverso la critica radicale all‟autorità, e considera quindi lo sviluppo di una
visione della storia in contrapposizione al socialismo scientifico marxista, questo, attraverso un
costante riferimento alla “scienza naturale”, ed al metodo empirico ed induttivo. Secondo
Kropotkin, i cambiamenti del cosmo, della natura, della società, sono un continuo susseguirsi di
processi di evoluzione e rivoluzione (quest‟ultima intesa sia come una fase successiva
all‟evoluzione, sia come un processo di evoluzione accelerata); seguendo questa logica, nella
storia tenderebbero a prevalere due tendenze contrapposte: quella “imperiale”, e quella
“federativa”, ovvero, una tendenza autoritaria ed una tendenza libertaria, le quali troverebbero
modo a loro volta di svilupparsi in senso antagonista non soltanto in relazione alla lotta tra classi
sociali.

Per quanto riguarda il rapporto individuo/società, Kropotkin osserva poi che lo sviluppo dei
rapporti gerarchici e di dominio sarebbe una condizione che tende a produrre sentimenti di
estraneità, avversione, o di accettazione passiva (ritualismo), e che porterebbe a concepire la
società stessa come un elemento a sé, simbolo della coercizione, invece, nelle società non
gerarchizzate, costituite da individui liberi, individui che scelgono essi stessi come gestire la vita
in comune, la frattura tra individuo e società tenderebbe a saldarsi. In questo senso Kropotkin
ipotizza una società dove gli individui abbiano piena capacità di gestire la vita sociale
promuovendo cooperazione e libera convivenza, e dove possa essere garantito lo sviluppo
dell‟individualità; nel complesso, una visione in netta contrapposizione con la tradizione
collettivistica autoritaria di stampo comunista.

50
E‟ in questo passaggio che va collocato il concetto di “mutuo appoggio”, un idea sviluppata
nell‟ambito della critica alla “selezione” di stampo darwiniano; Kropotkin ha in tal senso
evidenziato quelle condizioni che determinano la capacità di cooperare giungendo a delle
conclusioni che vedono la specie più adatta alla sopravvivenza quella che riesce a sviluppare dei
processi di cooperazione più intensi, e non quella caratterizzata dal maggior livello di
“selezione” (idea del mutuo appoggio come fattore dell‟evoluzione). La contrapposizione
all‟evoluzionismo darwiniano emerge quindi anche nella critica dei processi di differenziazione
del lavoro, ai quali l‟autore contrappone l‟abolizione delle divisioni gerarchiche in vista della
possibilità di sviluppare dei processi di “umanizzazione” tali da garantire una maggiore capacità
di integrazione. Esaltando i vantaggi dei processi produttivi realizzati su piccola scala, egli
valutò inoltre la possibilità di realizzare un nuovo ordine economico fondato sull‟armonia tra
sviluppo industriale e sviluppo agricolo, e nel complesso, rimangono tutt‟oggi di un certo
interesse le sue ricerche sui modelli di comunità autogestite fondate sulle dinamiche che
riguardano la “natura sociale dell‟uomo”, quindi, sulla capacità di cooperare auto organizzandosi
senza alcuna costrizione esterna.

Nel complesso, portare l‟attenzione su questi argomenti rappresenta un momento di riflessione


per comprendere la contrapposizione tra anarchici e marxisti, un contrasto che appare legato,
fondamentalmente, alla lotta tra i principi del federalismo e quelli dello statalismo, quindi alla
tensione sviluppata tra la libertà dell‟azione delle classi popolari e l‟inquadramento delle
condizioni sociali delle stesse realizzato attraverso lo strumento legislativo; il pensiero di
Kropotkin fa parte del filone classico del pensiero libertario, una corrente che vede nella gestione
collettiva dei mezzi di produzione e nella distribuzione egualitaria dei prodotti il modello
economico di riferimento, peraltro, pervaso dagli elementi caratteristici del populismo e del
romanticismo rivoluzionario.

In un certo senso, la visione di Kropotkin tende probabilmente a fondersi con lo scientismo


evoluzionista occidentale, ma in ogni caso il suo pensiero è assai diverso rispetto alla concezione
anglosassone, o comunque “americaneggiante”, di un anarco-capitalismo legato principalmente
all‟idea di uno stato fondato sulla competizione tra privati. Alla base del pensiero di Kropotkin
risiede essenzialmente un idea della società fondata sull‟integrazione tra industria e agricoltura,
tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, questo, secondo la logica di un “municipalismo
libertario” che vede nelle piccole società indipendenti un qualcosa capace di amalgamarsi in
modo armonico. Questi, sono anche i tratti fondamentali che caratterizzano i più recenti filoni di
pensiero conosciuti come ecoanarchismo, o eco-comunitarismo, e che trovano espressione
concreta nelle piccole comunità autogestite che svolgono attività cooperative ecologicamente
sostenibili.

Alcuni autori (McGinnis, 1998), utilizzando tali basi concettuali hanno cercato di spiegare alcune
specifiche realtà territoriali, ed al riguardo è stato coniato in termine “bio-regione” per indicare
un luogo geografico caratterizzato da caratteri morfologici, climatici, ed ecologici simili, ma al
tempo stesso da una medesima cultura.

Portando ora l‟attenzione sull‟ecoanarchismo, va specificato che questa tendenza risulta legata
principalmente all‟ecologia sociale, una vera e propria corrente di pensiero sviluppata sulla base
dell‟opera di Murray Bookchin (1921-2006), il quale ha cercato di conciliare l‟anarchismo con

51
l‟ambientalismo; in questo senso emergono degli atteggiamenti orientati al naturalismo
dialettico, una visione che, nel suo insieme tende a concepire gli esseri umani come una parte
attiva nell‟ambito dei processi di evoluzione sociale e naturale, questo, secondo la prospettiva
olistica del tutto. Nel complesso, il pensiero di Bookchin rappresenta un tentativo di contrapporsi
sia all‟antopocentrismo della cultura tradizionale, sia all‟ecocentrismo ed all‟ambientalismo
radicale: secondo Bookchin, naturale e sociale non si contrappongono e non si confondono,
piuttosto, risultano integrati.

Secondo questa prospettiva la frattura tra natura e società appare legata all‟emergere delle
gerarchie, ed al fatto di adottare dei processi di trasformazione delle risorse che comportano la
modificazione dell‟ambiente, ed è a questo livello che si porrebbe il problema dello stato, delle
istituzioni, della proprietà privata. La questione appare superabile per i seguaci dell‟ecologia
sociale, nei termini di una riconciliazione tra “sociale” e “naturale” realizzata sulla base dello
sviluppo di una maggiore ricettività nei confronti delle problematiche ambientali.

Nel suo insieme il discorso ruota principalmente attorno al concetto di società organica9
delineato da Ferdinand Tönnies (1855-1936), nell‟ambito di uno studio sulla comprensione del
cambiamento sociale, e sull‟idea di “comunità” elaborata da Kropotkin, quindi, in riferimento
alla capacità di integrarsi con l‟ambiente sviluppando cooperazione, interdipendenza,
complementarietà dei ruoli e compartecipazione alle risorse.

In tal senso, il passaggio che segna il distacco dalla natura sarebbe rappresentato dalla rottura dei
legami organici della comunità, dal fatto di relegare nel privato la vita familiare, e dalla
possibilità di fondare le relazioni sulla base dell‟interesse economico. E‟ in relazione a queste
trasformazioni che emergerebbero un insieme di “valori repressivi”, i quali, spingerebbero ad
organizzare l‟esperienza umana secondo delle linee di comando e di obbedienza
(istituzionalizzazione e spersonalizzazione operate dallo stato). Secondo Bookchin, la possibilità
di uscire da una tale situazione è data dal ritorno ad una vita sociale più “naturale”, questo,
attraverso il recupero di quei valori e di quelle idee libertarie capaci di contrastare le gerarchie di
dominio (ricostruzione della società in senso ecologico).

Questa riarmonizzazione degli esseri umani attraverso un riequilibrio del rapporto con la natura,
implicherebbe un radicale cambiamento delle prospettive della politica, cioè, la sostituzione
dello stato con una serie di municipalità indipendenti fondate su un modello di democrazia

9
Diversamente rispetto all‟idea durkheimiana di “solidarietà”, distinta in meccanica ed organica in base alle
forme di coesione sociale, le quali vedrebbero le società premoderne, quindi le comunità, caratterizzarsi per
una scarsa divisione del lavoro e per la prevalenza di logiche “meccaniche”, il pensiero di Tönnies (Comunità
e società, 1887), colloca invece il concetto di “organico” proprio al livello della comunità, questo, per indicare
un insieme di fattori che legati al linguaggio, ai significati, all‟esperienza, tendono a ridurre il peso delle
disuguaglianze e a rendere simili gli uni agli altri. Per quanto riguarda la società, invece, Durkheim (La
divisione del lavoro sociale, 1893), considera gli aspetti “organici” della coesione portando il discorso sulle
differenze tra i gruppi e gli individui (nesso tra differenziazione ed individualismo), dunque su una certa idea
della dipendenza reciproca. Complessivamente, il tema che riguarda il rapporto organico/meccanico secondo
la prospettiva considerata da questi autori, si sviluppa attorno alla distinzione tra comunità e società, ed in
funzione della necessità di spiegare il fenomeno della coesione, della stabilità, del cambiamento, ed in
questo senso può essere interessante osservare come questi sociologi abbiano affrontato la questione in
termini contrapposti, scrive infatti Tönnies: nella comunità gli individui rimangono essenzialmente uniti
nonostante i fattori che li separano, nella società restano invece essenzialmente separati nonostante i fattori
che li uniscono (idea della modernità come una perdita dei valori autentici di solidarietà).

52
diretta, e collegate in reti di assemblee elettive (municipalismo libertario). Nel loro insieme,
queste tendenze in direzione dell‟ecoanarchismo possono essere collocate entro il più ampio
contesto di ciò che recentemente è stato definito come “movimento per la decrescita”,
rappresentato da un insieme di istanze mirate alla de-differenziazione materiale e simbolica della
società.

In questo senso, oltre alla promozione di un uso più ponderato delle energie e delle risorse, viene
portata l‟attenzione sull‟importanza della convivialità, quindi, delle relazioni sociali e della vita
comunitaria.

Nelle varie fasi di sviluppo del movimento ambientalista, un momento significativo è


rappresentato dalla convergenza tra l‟ecologia sociale di Bookchin e l‟ecofemminismo,
convergenza che, in altri termini, ha visto intrecciare i problemi dell‟ambiente con le questioni di
genere. Il discorso dell‟ambiente in relazione al femminismo ha trovato nel suo insieme uno
sviluppo legato principalmente alle modalità di approccio alle questioni di genere, e su questo
piano del discorso è stata data una certa importanza alle questioni socioculturali, ma al tempo
stesso sono stati considerati anche dei fattori biologici.

Per quanto riguarda l‟approccio socioculturale viene evidenziata la maggior esposizione delle
donne alle conseguenze che derivano dal degrado ambientale, in particolare nei paesi in via di
sviluppo, ed in questo senso, considerato che sono gli uomini a prendere le decisioni più
importanti, alcune autrici portano in rilevo il fatto che nei processi di modernizzazione avviati
dalle varie agenzie di sviluppo verrebbero proposti dei modelli di organizzazione del lavoro di
stampo occidentale che tendono a non considerare il ruolo svolto dalle donne (Vandana Shiva,
1989 - Rosi Braidotti, 1994).

Nel complesso, il diffondersi dell‟agricoltura intensiva e la privatizzazione delle terre


rappresentano dei momenti in cui si sarebbero prodotte delle difficoltà per i paesi in via di
sviluppo, principalmente, a causa di un certo utilizzo del terreno e alle modalità di
approvvigionamento dell‟acqua. Questi problemi avrebbero contribuito a radicare le distinzioni
di genere e i relativi rapporti di dominio, e lo sviluppo dell‟economia di mercato avrebbe portato
ad una situazione che vede sia la natura, sia il ruolo della donna, apparire come delle esternalità
prive di valore, quindi, come degli “effetti” esterni al processo economico.

Per quanto riguarda l‟approccio biologico, invece, emerge un atteggiamento che cerca di
enfatizzare la maggiore sensibilità femminile nei confronti dell‟ambiente, tuttavia, va rilevata
una certa ambiguità in questa affinità con la natura, poiché, è proprio sulla base degli stereotipi
della fecondità e della corrispondenza ai cicli naturali che è emerso il dominio culturale del
maschio, quindi, una certa segregazione di genere.

Indipendentemente dai vari approcci, è importante evidenziare come l‟ecofemminismo tenda ad


identificare i problemi di genere con quelli ambientali, ed in riguardo, un tentativo esplicito di
coniugare l‟ecologia sociale con le questioni di genere è quello di Janet Biehl (1991), che nel
criticare sia l‟approccio socioculturale che quello biologico, ha riadattato l‟idea di Bookchin
della frattura tra natura e società nel tentativo di tracciare un percorso capace di dare risalto alla

53
necessità di forme di emancipazione che sappiano portare ad una società libera e non gerarchica,
quindi, al superamento del dualismo maschile-femminile nell‟ambito dei rapporti di dominio.

Modernizzazione ecologica e modernizzazione riflessiva


Altro momento significativo per la sociologia dell‟ambiente è rappresentato dallo sviluppo di
quelle correnti di pensiero che prendono il nome di “modernizzazione ecologica” e
“modernizzazione riflessiva”, due filoni teorici che a partire dalla fine degli anni ‟90
promuovono il discorso della crisi ambientale come qualcosa di legato all‟insufficiente sviluppo
della modernizzazione.

Per quanto riguarda la modernizzazione ecologica, una sua prima elaborazione era già stata
proposta in Germania nel corso degli anni ‟80 (Martin Jänicke e Joseph Huber), e
successivamente, nel corso degli anni ‟90, in particolare grazie al contributo di alcuni sociologi
olandesi (Van Tatenhove, Arts, Leroy, 2000), questo filone del pensiero ecologista ha iniziato ad
essere considerato anche in ambito internazionale.

Il ruolo svolto dal contesto si è rilevato fondamentale per lo sviluppo di questo specifico settore
della sociologia, ed in riguardo va evidenziato che, se la Germania si caratterizzata per una forte
presenza dei partiti verdi, l‟Olanda si è invece contraddistinta per una politica nella quale hanno
trovato un certo spazio le tematiche della partecipazione, e della pianificazione.

Entrando nel merito della modernizzazione ecologica può essere interessante osservare come
essa rappresenti al tempo stesso una teoria sociologica, e un programma politico, dove
l‟attenzione viene portata sul ruolo del cambiamento.
Tra i punti fondamentali di questo approccio vanno evidenziati:

la centralità della scienza e della tecnica nello sviluppo ecologico delle democrazie
industriali;

la salvaguardia dell‟ambiente come fattore congiunto alle dinamiche economiche e di


mercato (il cosìdetto “capitalismo verde”);

la revisione del ruolo dello stato in senso partecipativo, e la strutturazione di spazi decentrati
di autoregolazione degli attori economici (modernizzazione ecologica come modernizzazione
politica);

la ridefinizione del ruolo dei movimenti in vista del passaggio da posizioni avverse al
cambiamento, ad atteggiamenti partecipativi al piano di riforma.

I sostenitori della modernizzazione ecologica considerano poi alcune specifiche espressioni


dell‟attività degli attori istituzionali, tra queste:

i risultati delle politiche ambientali dello stato, delle regioni e dei vari comparti economici;

le argomentazioni poste alla base dei processi che muovono le scelte politiche;

54
la capacità di controllo delle problematiche dell‟ambiente da parte degli attori coinvolti;

lo sviluppo delle coalizioni nei processi decisionali.

Complessivamente, la modernizzazione ecologica può essere concepita come un programma


strategico per la gestione dell‟ambiente dove il centro del discorso è la capacità tecnologica di
ridurre gli effetti indesiderati della crescita, quindi, il ridimensionamento delle unità produttive, e
la ridefinizione dei processi di interazione tra stato, capitale, e scienza.

Nonostante il programma promosso dai sostenitori della modernizzazione ecologica risulti


economicamente e politicamente fattibile non sono mancate delle critiche, in particolare per ciò
che riguarda il fatto che il discorso verrebbe limitato ai soli paesi del Nord Europa, cioè a quegli
stati caratterizzati da particolari assetti economici, politici e sociali; a un altro livello, invece,
sono state sollevate delle obiezioni circa la scarsa attenzione nei confronti dei settori economici
tradizionali, quindi, quelli caratterizzati da un basso livello di innovazione (es. l‟industria
dell‟acciaio e l‟agricoltura convenzionale), ma allo stesso modo, il problema riguarderebbe
anche le attività delle piccole imprese, le quali, incontrerebbero gravi difficoltà nel superare il
gap legato alla sostituzione degli impianti, questo, senza considerare i conflitti tra i processi di
regolazione statale e quelli di autoregolazione posti al livello dei vari attori economici.

Per ciò che concerne la modernizzazione riflessiva, invece, va innanzitutto rilevato il contributo
di sociologi come Ulrich Beck e Anthony Giddens, i quali hanno sviluppato un approccio
all‟analisi delle società moderne fondato sui rischi legati alle attività umane. In questo senso, il
problema del rischio chiamerebbe in causa, da un lato l‟inadeguatezza dei controlli istituzionali,
e dall‟altro, la diffusione del business della riduzione del rischio (il fondamentalismo della
sicurezza).

In un certo senso, il problema di una ridefinizione dei termini che caratterizzano la questione del
rischio nella modernità in relazione alle dinamiche del conflitto, questo, nel senso che
emergerebbero nuove linee di frattura sociale fondate non sulle disuguaglianze nella
distribuzione dei beni e delle risorse, quanto, piuttosto, sulla “distribuzione dei mali” (es.
l‟inquinamento, la precarietà delle condizioni ambientali, la scarsa vivibilità dei luoghi di lavoro,
ecc.). In funzione della possibilità di un esposizione comune alle minacce ambientali (effetti
sociali del rischio), necessiterebbe dunque di ridefinizione l‟idea della “solidarietà di classe”, o
di ceto, ed al riguardo il pensiero di Giddens (1990), cerca di dare risalto a dimensioni che
considerano:

la separazione spazio temporale (spazio globale, quindi, minore rilevanza delle distanze,
questo, in associazione ad una concezione del tempo più astratta, fondamentalmente
omogenea e quantitativa);

gli emblemi simbolici, intesi come degli elementi che non considerano le caratteristiche
dell‟utilizzatore (es. il denaro come mezzo di legittimazione);

sistemi esperti (fondati sull‟utilizzo di determinate risorse, su precise abilità professionali


e specifiche tecnologie).

55
Complessivamente, Giddens considera questi come dei fattori di disaggregazione delle relazioni
sociali, le quali troverebbero modo di riaggregarsi lungo delle scale spazio-temporali più ampie,
fondate sulla base di un certo livello di “fiducia sistemica”. Da questo genere di considerazioni
egli elabora una nozione del rischio nel mondo contemporaneo come un qualcosa di legato
principalmente alla globalizzazione, ai limiti del sapere, allo sviluppo di ambienti di rischio
istituzionalizzati (es. i mercati d‟investimento).

Diversa invece la questione del rischio secondo la prospettiva di Ulrich Beck, il quale affronta la
problematica considerando la difficoltà di effettuare dei calcoli razionali in grado di garantire
l‟affidabilità delle azioni intraprese (inadeguatezza dell‟informazione). In questi termini, il
rischio non appare più come qualcosa di legato all‟insieme dei processi decisionali (es. la
burocrazia), ma come un elemento direttamente connesso agli ampi margini d‟incertezza che
caratterizzano le situazioni (incapacità di conoscere). Beck (2000), osserva che i rischi legati alla
cosìdetta “seconda modernità” tenderebbero a sottrarsi alla percezione comune, e risulterebbe
quindi indispensabile la mediazione della scienza e della tecnica; in tal senso, egli intende
evidenziare quelle possibilità che portano ad imbattersi in valutazioni del rischio poco adeguate,
spesso, un entità delle minacce fondamentalmente influenzata da esigenze di carattere politico. In
un certo senso il problema riguarderebbe una “cultura dell‟insicurezza” costruita da scienziati,
biologi, psicologi, neurologi, antropologi, ecc., quindi, da alcune di quelle espressioni dei
“sistemi esperti” a cui fa riferimento Giddens.

Al riguardo, Beck rileva come il fenomeno dell‟“irresponsabilità organizzativa” tenda a


coinvolgere anche la regolamentazione ambientale nella misura in cui, al verificarsi di un dato
evento, emergono difficoltà nell‟attribuzione delle responsabilità per i danni prodotti, questo,
anche in relazione all‟esistenza di conflitti istituzionali sulla natura del rischio.

La problematicità della salvaguardia dell‟ambiente avrebbe, secondo il sociologo tedesco,


favorito la trasformazione degli assetti istituzionali in direzione della “sub-politica”, ovvero, uno
svuotamento dei poteri delle istituzioni democratiche in favore delle grandi multinazionali, degli
scienziati, e degli organismi burocratici. In questo senso si ritiene che alcune forme di
mobilitazione popolare, peraltro diverse rispetto ai movimenti ed alla partecipazione politica
tradizionale, abbiano portato a sviluppare azioni collettive sul genere del consumerismo politico,
cioè al boicottaggio e all‟acquisto selettivo dei prodotti sia nel tentativo di modificare alcune
pratiche di mercato, sia per sensibilizzare le istituzioni.

Nel complesso l‟analisi di Beck cerca di evidenziare la “radicalizzazione” della modernità, intesa
come una fase dove, all‟idea di istituzione come un qualcosa di fondato sull‟autorità e sulla
tradizione, subentra un atteggiamento “riflessivo” capace di generare delle espressioni critiche
nei confronti di pratiche sociali consolidate, questo, in base all‟emergere di nuovi dati e nuove
evidenze circa un dato fenomeno. Almeno nel senso ampio del termine, “riflessività” indica
dunque una condizione dove i legami con le istituzioni tradizionali (famiglia, comunità,
religione, ecc.), tendono ad alleggerirsi in funzione della possibilità di costruire in modo
autonomo la propria identità, quindi, in relazione alla possibilità di intraprendere delle proprie
scelte di vita. La possibilità di essere “riflessivi” implicherebbe in questo senso una crescita della
partecipazione democratica, quindi, il bisogno di portare a livello della società civile l‟insieme

56
dei processi decisionali nell‟intento di de-monopolizzare il sapere e la conoscenza attraverso il
riconoscimento di una certa expertise ai cittadini.

Sono ritenute necessarie per uno sviluppo in senso “riflessivo” delle condizioni quali:
l‟efficienza e l‟autonomia degli apparati giudiziari, l‟indipendenza della sfera pubblica rispetto
alla politica, la libertà dei mass-media, e più ingenerale l‟adeguatezza dell‟informazione, in altri
termini, una tutela istituzionale di quelle competenze che possono trovarsi nelle condizioni di
dover subire il “dominio delle professioni e delle imprese”, dunque dei vari gruppi in grado di
esercitare attività di lobbing.

Un altro tratto caratteristico del pensiero di Beck è il risalto dato alla “reattività” delle risposte
istituzionali, cioè una situazione in cui le soluzioni promosse dai vari enti e dai vari organismi,
seguirebbero la stessa logica che ha portato all‟insorgere dei problemi, e che vedrebbe riproporre
gli stessi in aree diverse, oppure coinvolgere soggetti diversi (es. la chiusura del traffico nei
centri urbani, porta spesso il problema dell‟inquinamento a livello delle zone più periferiche).

Allo stesso modo in cui è possibile rilevare una certa continuità tra il pensiero di Beck e quello di
Giddens (quest‟ultimo più ottimista nei confronti della possibilità di una risoluzione politica dei
problemi attraverso lo sviluppo di dinamiche che sappiano coinvolgere partiti, governi, ed
istituzioni sopranazionali), si possono evidenziare anche delle convergenze tra la prospettiva
della modernizzazione ecologica e quella della modernizzazione riflessiva, ad esempio, il fatto di
considerare la questione ecologica come una componente rilevante del cambiamento, e vedere
nello sviluppo di ulteriori processi di modernizzazione una possibilità in vista della risoluzione
dei problemi legati al rischio e all‟incertezza.

Per quanto riguarda le differenze tra queste due correnti di pensiero va invece evidenziata la
diversità del ruolo attribuito ai movimenti sociali, ed a questo livello può essere interessante
osservare come la modernizzazione riflessiva (Beck in particolare), concepisca i movimenti
come un momento fondamentale di opposizione all‟ordine istituzionale, quindi, di cambiamento
profondo, invece, la prospettiva della modernizzazione ecologica affronta la questione dei
movimenti considerandone il contributo in termini di integrazione a livello delle organizzazioni
governative nell‟ambito di processi istituzionali.

Passando invece a considerare le critiche sollevate, alcuni autori evidenziano il fatto che il
concetto di “riflessività” non è poi così nuovo, e nel complesso il suo utilizzo sembra piuttosto
diffuso (es. sociologi come Bourdieu, Goffman, Bauman); inoltre, la nozione di riflessività può
risultare affetta da una certa ambiguità a causa della molteplicità dei suoi significati, ed allo
stesso modo, anche il fatto che le tesi elaborate sulla società del rischio presentino molti tratti in
comune con il pensiero della scuola di Francoforte (peraltro caratterizzata da un maggior
spessore argomentativo), rappresenterebbe un elemento che riduce l‟originalità di questo
approccio.

Altra critica significativa nei confronti del pensiero di Beck e di Giddens, viene mossa in
relazione ai limiti della loro concezione dei fenomeni di individualizzazione operati nell‟ambito
della modernità, ed in questo senso, sarebbe stata considerata soltanto la crescita del livello di

57
autodeterminazione, invece, le conseguenze dell‟isolamento e della dipendenza dai sistemi
esperti sarebbero state fondamentalmente trascurate.

Conclusioni
Nel considerare gli sviluppi della sociologia in relazione alla crisi ambientale, può essere utile
soffermarsi sulle caratteristiche della modernità, quindi, sull‟insieme dei fenomeni di
razionalizzazione, individualizzazione, differenziazione, ed in riguardo va ricordato che i vari
quadri teorici attribuiscono ai tali caratteri un peso differente.

In generale, le correnti del pensiero di stampo neomarxista enfatizzano i processi di divisione del
lavoro che caratterizzano il capitalismo industriale, ed alcuni autori, ad esempio, privilegiano al
riguardo il fenomeno della divisione sociale del lavoro (Schnaiberg, O‟connor), altri, invece,
ritengono più utile per l‟analisi considerare in senso più ampio le caratteristiche organizzative, e
la crescente specializzazione del sapere (Dickens).

Per quanto riguarda poi gli approcci ecosistemici ed il Nuovo Paradigma Ecologico, il cardine
del discorso è rappresentato dalla razionalizzazione, invece, di altro genere è la concezione dei
fenomeni legati ai processi di differenziazione funzionale sviluppata da Luhmann.

La questione della differenziazione caratterizza anche l‟esperienza dell‟ecofemminismo (in


questo caso la differenziazione di genere), anche se non va dimenticato l‟influsso legato ad una
concezione razionalizzata del rapporto natura/società, questo, secondo delle logiche di carattere
biologico e culturale.

La teoria culturale del rischio, invece, evidenzia un certo legame tra i processi di differenziazione
e quelli di individualizzazione, ed in tal senso, se da un lato va considerata la pluralità di visioni
del mondo, dall‟altro, deve essere riconosciuta l‟importanza delle questioni individuali rispetto
all‟appartenenza ad un gruppo.

Diversa rispetto alle precedenti la prospettiva delineata dall‟ecoanarchismo, la quale, nel


momento in cui porta l‟attenzione sulla dimensione legata ai processi di individualizzazione,
tende a mettere in evidenza sia la frattura dei legami tra individui, sia quella tra uomo e natura.

Infine, anche per quanto riguarda la modernizzazione ecologica e la modernizzazione riflessiva


vanno rilevate delle tendenze razionalizzanti, e se nel primo caso queste appaiono più legate ai
processi di divisione del lavoro, nel secondo risultano invece più vicine ai fenomeni connessi
all‟individualizzazione.

In riferimento alle tre dimensioni che caratterizzano la modernità, è anche possibile


schematizzare tenendo conto, da un lato, delle ipotetiche possibilità d‟uscita dalla crisi, e
dall‟altro, delle modalità di approccio al mutamento sociale:

58
filone neomarxista anche se con modalità diverse, viene
approccio sistemico di Luhmann considerato fondamentale compensare la
USCITA DALLA CRISI
ecofemminismo disomogeneità sociale legata all‟elevata
differenziazione (es. divisione de lavoro)
teoria culturale del rischio

considera lo sviluppo di ulteriori processi


ecoanarchismo di individualizzazione

approcci ecosistemici promuovono un discorso fondato sulla


modernizzazione ecologica necessità di un ulteriore sviluppo
“razionalizzante”
modernizzazione riflessiva

riforma della modernità intesa come


MUTAMENTO SOCIALE

modernizzazione ecologica l‟aggiustamento di un dato l‟ordine


sociale
VISIONE DEL

filone neomarxista rifondazione della modernità, quindi, una


serie di cambiamenti profondi

ritiro dalla modernità, ovvero il ritorno a


ecoanarchismo delle forme di vita sociale più semplici

59
INTERAZIONE SOCIALE ED AMBIENTE

Una delle questioni fondamentali per la sociologia è rappresentata dalla necessità di capire la
forma che i processi di interazione possono assumere in relazione allo spazio fisico, ed in tal
senso, la crisi ambientale va a coinvolgere l‟insieme dei fenomeni che caratterizzano le
mobilitazioni organizzate, l‟agire degli organismi non governativi, e dei comitati di base.

Gli ambiti interessati dallo svolgersi di questo genere di processi chiamano in causa prospettive
interpretative diverse, ad esempio:

la prospettiva ecologica
lo studio dei movimenti come organizzazioni razionali
l‟analisi del “frame” in funzione del ruolo
la prospettiva di rete

In generale, nell‟avvicinarsi alla comprensione delle dinamiche che caratterizzano la


mobilitazione ambientalista, andrebbe considerato innanzitutto il fatto che esistono degli aspetti
comuni ad altre dinamiche collettive, ad esempio, un certo livello di volontarietà dell‟azione, e la
necessità di muoversi orientati da un fine comune, ed in questo senso, ad esempio, è possibile
mettere sullo stesso piano l‟azione dei cittadini che si mobilitano in una manifestazione di piazza
contro la cementificazione, l‟attività di un gruppo di volontari in difesa della natura, piuttosto che
quello di un associazione impegnata per la promozione di prodotti biologici.

Allo stesso modo, vanno considerati anche quegli attori sociali come il movimento antinucleare,
Legambiente, le cooperative che operano nell‟ambito dei piani di salvaguardia della natura, fino
ad arrivare ai comitati contro le discariche, nel senso che, anche in questi casi i tratti
fondamentali che accomunano queste esperienze, oltre alla promozione della tutela
dell‟ambiente, sono la forma libera della partecipazione, l‟attivazione di dinamiche collettive, e
la presenza di una qualche forma di gerarchia interna 10.

Per definire in maniera più accurata un movimento sociale, gli studiosi di questi fenomeni
considerano necessario portare l‟attenzione su altri due aspetti della questione, nello specifico, le
dinamiche attraverso cui si sviluppa la protesta, e la capacità di interloquire con il potere.

Alcuni autori considerano questi tratti dell‟azione collettiva anche per cercare di spiegare le
logiche sottese al comportamento dei movimenti politici, la cui essenza sarebbe quella di gruppi
relativamente organizzati, ed impegnati a far emergere delle istanze che non trovano modo di
essere accolte, o rappresentate, sul piano delle istituzioni pubbliche piuttosto che a livello dei
partiti.

10
Robert Michels (1911), in linea con la teoria elitaria del potere, quindi, con l‟idea che nella società vi
siano soltanto pochi individui che hanno la possibilità di prendere delle decisioni veramente importanti, ha
formulato la cosidetta “legge ferrea dell‟oligarchia”, secondo la quale, nel momento in cui una massa di
persone cerca di organizzarsi, si creano le basi per una divisione specialistica del lavoro, e di conseguenza
tenderà ad emergere una “minoranza organizzata” che, nel tempo, cercherà di tutelare i propri interessi, ad
esempio, selezionando essa stessa le modalità con cui rinnovarsi.

60
In ogni caso andrebbe ricordato che, generalmente, i movimenti non svolgono azioni di protesta
soltanto in vista della possibilità di un ipotetico cambiamento, poiché, almeno in alcune
circostanze le loro azioni possono essere rivolte alla conservazione di un determinato ordine
delle cose, inoltre, rimane il fatto che gli interlocutori dei movimenti possono anche non essere
delle strutture di potere pubblico.

In breve, per un analisi di carattere sociologico dei movimenti è importante far riferimento a
delle “azioni collettive”, questo per indicare un ambito entro il quale collocare determinati
comportamenti sociali e specifici assetti organizzativi, caratterizzati, tra l‟altro, anche per delle
logiche proprie sotto il profilo giuridico; in altri termini, un “azione collettiva” è tale nel
momento in cui presenta determinate modalità dell‟interazione tra soggetti, e nel caso specifico
assumono rilevanza le modalità di porsi nei confronti della crisi ambientale.

L‟interazione socio ambientale


Nell‟ambito delle relazioni che intercorrono tra ambiente e società possiamo riconoscere varie
forme di interazione e interdipendenza, ed al riguardo, un primo elemento da considerare è il
livello del “condizionamento ecologico”, cioè l‟insieme di quelle modalità che riguardano sia il
fatto che l‟essere umano si trova nelle condizioni di dover attingere dalla natura le risorse
necessarie alla propria sopravvivenza, sia lo svolgersi dei processi che coinvolgono le relazioni
tra esseri umani. In tal senso, l‟attenzione va portata sul piano delle strategie adottate dall‟uomo
in funzione di determinate esigenze di conservazione, oppure a livello delle scelte da compiere in
situazioni caratterizzate da relazioni simbiotiche o competitive (cooperazione o conflitto).

Considerando in generale l‟interazione socio ambientale, un primo riferimento può essere quello
dato dalla teoria del biologismo sociale, la quale, anche se presenta dei limiti legati al fatto di
considerare il comportamento umano alla stregua del comportamento animale (visione
strettamente funzionale), fornisce una spiegazione della base su cui si fonda l‟azione collettiva: i
movimenti sociali rappresenterebbero delle reazioni alla mancata realizzazione delle aspettative
legate alla necessità di soddisfare i propri bisogni, ed in questo senso vengono considerate alcune
possibilità in relazione all‟efficacia del gruppo rispetto all‟ambiente (azione collettiva come
colonizzazione).

Oltre al “condizionamento ecologico”, la sociologia riserva una certa attenzione anche ad altri
parametri, ad esempio la “prossimità spaziale”, cioè l‟influenza esercitata sulle relazioni umane
dalla distanza fisica tra le stesse; a questo livello è stato osservato come una maggiore distanza
fisica tra soggetti possa portare le relazioni umane ad apparire più fredde, fondate sul calcolo e
sulla specializzazione del ruolo, mentre invece, nel caso delle relazioni di compresenza i rapporti
tenderebbero ad essere più diffusi, e a connotarsi per una certa componente emotiva. Questa
distinzione era ben nota già ai tempi della sociologia classica, e Gerog Simmel (1908), ad
esempio, osservava quanto segue: “con persone assai vicine si è di solito in termini amichevoli
oppure ostili, invece, l‟indifferenza tende a svilupparsi proporzionalmente alla distanza”.

Circa l‟ampio processo di intellettualizzazione sviluppato nei primi del 900, Simmel rilevava
anche l‟influenza sui processi di relazione, ed in questo senso egli ha adottato il termine
“intellettualità” per indicare un elemento in grado di frapporsi nelle relazioni tra individui: in

61
condizioni di prossimità le relazioni parrebbero più fredde e distaccate, ma allo stesso modo,
l‟intellettualità porterebbe ad avvicinare i soggetti più distanti (concordanza tra persone
fisicamente lontane).

La questione del rapporto tra la dimensione fisica dell‟ambiente e le relazioni sociali, è stata
considerata anche da Giddens (1990), attraverso lo sviluppo del concetto di disaggregazione
spazio-temporale; in questo senso Giddens rileva come l‟influenza della tecnologia abbia portato
ad enucleare i rapporti sociali dai contesti specifici di interazione, i quali troverebbero poi modo
di riaggregarsi in ambiti più astratti e indefiniti (es. la globalizzazione delle attività economiche,
e più in generale, i processi di comunicazione telematica).

In questo senso, un problema della sociologia è rappresentato dalla necessità di capire fino a che
punto i rapporti a distanza possano rappresentare un sostituto delle relazioni face to face, ed
anche in questo caso il pensiero sulla “metropoli” di Simmel ben si adatta per dimostrare come
un atteggiamento tendenzialmente blasé, oltre ad assumere la valenza di un meccanismo di
difesa, possa anche esprimere un segnale indice di un processo di selezione delle relazioni
sociali.

In generale è possibile rilevare, da un lato, delle tendenze di pensiero che considerano


l‟annullamento dello spazio operato dalla modernità, e dall‟altro, quelle che vedono nella
modernità stessa un momento di recupero della dimensione qualitativa dello spazio ambientale;
comunque, in concreto, rimane il fatto che lo spazio si caratterizza anche per dei significati nella
sfera del simbolico, quindi, per un qualcosa che influisce sui processi di fruizione, ed a questo
livello va osservato che i luoghi possono addirittura condensare una serie di significati in modo
piuttosto stabile (es. un luogo sacro, una zona di interesse turistico, un luogo di importanza
storica, ecc.).

Sulla base di queste considerazioni è anche possibile aprire un discorso sul significato simbolico
dello spazio nel WEB, ed allo stesso modo, nel momento in cui si considera l‟ambiente come
l‟estensione fisica dello spazio, è possibile osservare come questo possa rappresentare un
parametro indice di un certo potere (es. spazio in ettari di superficie come misura della
ricchezza); alcuni autori parlano in questi termini di “spazio organizzato” in funzione di un dato
centro o di un dato potere, ad esempio, in relazione alle attività industriali, politiche, o religiose.

Oltre a questo genere di riflessioni è interessante osservare come l‟ambiente, inteso nei termini di
uno spazio di potere, possa evocare anche l‟idea del possesso, del controllo, del conflitto, quindi,
un insieme di relazioni asimmetriche di dominio e sottomissione; secondo questa prospettiva
l‟ulteriore distinzione riguarda le modalità di avvicinarsi allo studio dell‟interazione a partire
dall‟osservazione delle forme di mobilitazione sociale, e nel loro insieme si riconoscono modelli
di:
carattere ecologico, dove entrano in gioco quei meccanismi che vedono impegnato l‟uomo ad
adattarsi ad un certo ambiente;

carattere strumentale, in relazione ai fenomeni “strategici” di interrelazione tra soggetti;

62
carattere cognitivo, sulla base di un certo valore simbolico, quindi, in relazione ad un insieme
di significati;

carattere relazionale, questo, nell‟ambito di una dimensione “aperta” dell‟ambiente che


considera i vincoli di reciprocità.

L‟approccio ecologico
Lo studio dei movimenti sociali secondo una prospettiva “ecologica”, è un approccio che prende
in considerazione le modalità con cui le caratteristiche dell‟ambiente fisico, sociale, e culturale,
intervengono sulle relazioni individuali, plasmandole. A questo livello, la questione che riguarda
le mobilitazione collettiva in favore dell‟ambiente viene letta attraverso dinamiche organiche,
quindi considerando quelle situazioni che pongono un “organismo” minacciato nella sua
integrità, nelle condizioni di sviluppare dei meccanismi di difesa; Neil Smelser, partendo da
questi presupposti ha elaborato una teoria del comportamento collettivo (1962), nell‟ambito della
quale un azione (aggregazione e protesta), acquista il senso di una reazione meccanica sviluppata
in risposta alle necessità di sopravvivenza di determinati gruppi in una società.

Le teorie che si fondano su questo assunto sono parecchie, ed in generale possono essere
classificate come “teorie della tensione”; per quanto riguarda il caso specifico, cioè lo studio del
movimento ecologista, l‟elemento che sviluppa “tensione” sarebbe rappresentato dalla
contrapposizione tra le esigenze di produzione della società, i cui processi comportano anche
l‟immissione nell‟ambiente di una serie di sostanza inquinanti, e le necessità di alcuni specifici
settori della società stessa per ciò che riguarda la salvaguardia della salute e la tutela
dell‟ambiente. Secondo le ricerche di vari studiosi (es. Robertson, 1972), questa tensione
rappresenta il fondamento dello sviluppo dei nuovi movimenti sociali.

Nel considerare l‟efficacia esplicativa di questo modello risultano opportune alcune precisazioni,
ed innanzitutto andrebbero chiariti i termini con cui si arriva a considerare una situazione
“pericolosa”. Molti autori evidenziano in tal senso il ruolo svolto dalla cultura intesa come un
elemento sistemico capace di esercitare un certo controllo, questo per dire che, il fatto di
riconoscere in una data situazione degli elementi di pericolo rappresenterebbe una condizione
dettata da specifici tratti culturali.

Per riuscire a spiegare le dinamiche del comportamento collettivo, sarebbero poi necessarie altre
condizioni di base, ed in questo senso Smelser prende in considerazione elementi quali:
la propensione strutturale;
eventuali tensioni preesistenti;
le convinzioni generalizzate circa un dato fenomeno;
i fattori partecipanti (es. un aumento di determinati eventi).

In relazione a questi lo sviluppo del comportamento collettivo, anche se, da un lato, appare
legato ad una certa tensione, quindi all‟esistenza di determinate contrapposizioni in seno alla
società, e dall‟altro, tende ad esprimersi in funzione di specifici presupposti culturali, rimarrebbe

63
comunque vincolato alle caratteristiche di specifiche contingenze, ed alle modalità di
adattamento dei gruppi al sistema. In altri termini, sarebbe possibile concepire il comportamento
collettivo come un qualcosa che segna una frattura nei confronti di una situazione precedente nel
tentativo di raggiungere una condizione di equilibrio fondata su basi diverse.

Questo modo di avvicinarsi allo studio dei movimenti sociali viene spesso indicato con il termine
“analisi ecologica”, nel suo insieme un filone che attribuisce una grande importanza a quelle
condizioni socio ambientali che svolgono un ruolo propulsivo per lo sviluppo delle azioni
collettive.

Lungo questa direttrice si colloca anche il lavoro della Fortmann (1988), una ricercatrice che, nel
tentativo di spiegare le diversità che hanno caratterizzano i vari livelli della protesta contro lo
sfruttamento delle risorse di legname in alcune aree della California, ha preso in esame alcuni
elementi di carattere sociale.

In questo senso, ella ha considerato delle variabili indipendenti (o esplicative), quali:

il livello di urbanizzazione;
il benessere economico;
la presenza di gruppi ambientalisti;
il tasso di immigrazione.

La Fortmann, per quanto riguarda l‟urbanizzazione, ne evidenzia il ruolo cruciale, nel senso che,
il fatto che vi siano degli insediamenti caratterizzati da un dato livello di sviluppo rappresenta
una situazione che, oltre ad avere maggiori possibilità di sviluppare azioni in salvaguardia
dell‟ambiente, registra più marcate tendenze in direzione della concentrazione di risorse.

In relazione al benessere economico, la mobilitazione risulterebbe invece favorita se in presenza


di basi materiali più solide, ed a questo livello, inoltre, l‟attività dei gruppi ambientalisti
rappresenterebbe un importante serbatoio di esperienze.

Infine, per quanto riguarda l‟immigrazione sembra che la presenza di flussi più intensi possa
indicare anche degli atteggiamenti più aperti da parte della popolazione residente, quindi, una
maggiore disponibilità al cambiamento come fondamento di una certa sensibilità anche nei
confronti delle problematiche ambientali.

Nel correlare le variabili la Fortmann ha poi evidenziato come, in relazione all‟urbanizzazione, la


città sia il luogo dove più facilmente si rilevano le condizioni per lo sviluppo della protesta,
questo, principalmente in funzione di maggiori possibilità in termini di risorse disponibili;
l‟autrice da anche rilievo al peso dei gruppi ambientalisti, nel senso che, se nelle aree
caratterizzate da un certo livello di benessere questi svolgono un ruolo complementare rispetto
ad altre organizzazioni, nelle aree più svantaggiate essi diventano invece un fattore essenziale per
la mobilitazione.

64
Interessante osservare che le conclusioni a cui giunge la Fortmann permettono di aprire il
discorso su altre modalità del concepire l‟azione collettiva: in ogni società sarebbero presenti
degli “anticorpi sociali” capaci di innescare il processo di mobilitazione. L‟azione collettiva
appare in questo senso come qualcosa di fisiologico per il corpo sociale, e per quanto riguarda il
ruolo del contesto va invece rilevato che, l‟ambito urbano, in relazione alle sue caratteristiche
intrinseche (risorse culturali in particolare), tende a svolgere una funzione direttiva per l‟intero
sistema, questo, nell‟esigenza di mantenere coesa la società; anche in questo caso,
complessivamente, l‟approccio ecologico evidenzia dunque quella visione dei movimenti sociali
riconducibile all‟ambito delle teorie della tensione (struttura socio-ambientale come base
dell‟azione collettiva).

Portando invece l‟attenzione sulle critiche, va rilevato che un punto debole dell‟approccio
ecologico è rappresentato dal fatto di non considerare una certa varietà delle forme
dell‟aggregazione sociale, nel senso che queste teorie tendono ad enfatizzare il ruolo degli
elementi culturali comuni ad un dato gruppo; tuttavia, rimane l‟importanza di un contributo
“razionale” allo studio dei fenomeni che riguardano i movimenti collettivi, i quali, per contro,
vengono spesso considerati delle manifestazioni irrazionali legate a delle condizioni di
marginalità.

Un altra modalità di approccio allo studio dell‟azione collettiva è quella dell‟ecologia delle
popolazioni (Hanna e Freeman, 1977), un modello orientato principalmente sui principi di
“selezione” che permettono alle organizzazioni più efficaci di sopravvivere. Diversamente
dall‟ecologia sociale, la quale cerca più che altro di spiegare la nascita dei movimenti, l‟ecologia
delle popolazioni appare uno strumento più adatto per comprenderne i successivi processi di
strutturazione, e più in generale ciò che riguarda i processi di consolidamento delle
organizzazioni, le quali sarebbero chiamate al confronto, quindi alla lotta, nel momento in cui
emergono quelle necessità legate al fatto di avere una certa dipendenza dalle risorse per la
sopravvivenza (es. risorse materiali, umane, professionali, ecc.).

Il discorso dell‟ecologia delle popolazioni coinvolge in tal senso le dinamiche della


competizione, quindi, lo spazio di cui le organizzazioni dispongono (nicchia ecologica), ed a
questo livello assumono una certa importanza fattori quali: le condizioni sociali dei partecipanti
ad una data organizzazione (spazio socio-democratico), e gli obiettivi che un dato gruppo si
prefigge (programmi, statuti, competenze).

Partendo dal considerare questi assunti è possibile concepire le organizzazioni come delle entità
impegnate ad occupare determinate nicchie sociali (es. in relazione al problema delle
mobilitazioni contro l‟energia nucleare, contro i prodotti transgenici, oppure a difesa delle specie
a rischio di estinzione, e quant‟altro); in funzione di questo, tenderebbero a svilupparsi degli
specifici processi di “selezione” in relazione all‟ambiente in cui ciascun gruppo si trova ad
operare, quindi, un meccanismo di carattere competitivo legato sia alla scarsità delle risorse, sia
alla limitatezza degli spazi d‟intervento. Interessante osservare che, la differenziazione
funzionale rappresenta spesso una risposta alle dinamiche della competizione, ed in tal senso, la
lotta per le risorse può arrivare anche ad assumere le caratteristiche più miti di una tensione
generata dall‟interdipendenza.

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Molto diversa rispetto ai modelli precedenti è la visione organicista, nel complesso un approccio
che si contraddistingue per il fatto di considerare uomo e ambiente come un tutt‟uno, cioè al pari
di un insieme organico; gli indirizzi di pensiero posti alla base dell‟approccio organicista
risultano piuttosto vari, e per certi versi anche contraddittori, nel senso che spaziano dal
romanticismo, in particolare quello tedesco, fino ad arrivare alle ideologie totalitarie, anche
collegate a delle espressioni di stampo religioso. In ogni caso, almeno per ciò che riguarda
l‟interesse della sociologia dell‟ambiente, piuttosto di spingersi in direzione dei possibili universi
culturali a cui attinge l‟organicismo, è più importante cercare di capire se esistano, in concreto,
dei movimenti sociali ispirati all‟ecologismo. A questo livello il discorso include quei fenomeni
che, ad esempio nella Germania all‟inizio del XX secolo, vedevano nascere delle comunità
naturiste come lo Jungborn, questo, sulla base dell‟esigenza del ritorno ad una vita semplice
come risposta alla frenesia della città.

Nel loro insieme, queste comunità si caratterizzano per un sentimento nostalgico nei confronti
della natura e per un atteggiamento “salutista” che comprende sia la sfera fisica che quella
spirituale, inoltre, sotto il profilo sociologico, in questi collettivi si rintracciano le caratteristiche
tipiche del concetto di “comunità”, cioè quelle dinamiche per le quali l‟attività di un insieme di
individui prende forma, almeno in riferimento alla condivisione dei significati e delle ideologie,
questo, peraltro, nell‟ambito di uno spazio relativamente limitato entro il quale trovano
collocazione stili di vita pressoché sovrapponibili.

In questo senso Tönnies (1887), vede nella “residenza” un elemento capace di modellare
l‟interazione sociale secondo delle dinamiche unitarie, invece, nel considerare l‟“ordine”
rilevabile a livello delle pratiche della vita quotidiana, può risultare utile ricordare i fondamenti
dell‟analisi goffmaniana delle istituzioni totali (1961), quindi, agli aspetti fondamentali del
controllo.

Nell‟ambito degli studi sui movimenti naturisti è stata anche rilevata una certa ciclicità nella
comparsa di queste comunità, ed in tal senso il riaffiorare di questi gruppi appare un fenomeno
che tende ad assumere il significato di una risposta alle varie fasi del processo di
“razionalizzazione” che contraddistingue le società occidentali; complessivamente, in questo
genere di comunità persiste sia l‟idea della sacralizzazione della natura, sia il bisogno di un
ritorno a delle forme meno complesse di società, tuttavia, considerato che tale panorama
comunitario risulta piuttosto variegato, è opportuno cogliere anche delle differenze. Al riguardo,
va rilevato che alcuni gruppi si caratterizzano per un atteggiamento più aperto nei confronti della
società (alcune comunità promuovono anche momenti educativi rivolti alle persone esterne al
gruppo), mentre altri, invece, in particolare quelli più selettivi, quelli che tendono ad orientarsi
nella mediazione con l‟ambiente naturale ricorrendo a delle forme di ritualismo magico-
simbolico (es. esoterismo e magia), ricorrono a dei meccanismi di chiusura nei confronti della
società, ed al loro interno adottano rigide regole di comportamento; altri gruppi ancora, inoltre,
impostano i rapporti sociali secondo i principi dell‟egalitarismo radicale, e si caratterizzano per il
fatto di vivere in condizioni frugali, ad esempio rinunciando all‟energia elettrica, al
riscaldamento, e ad altri comfort.

66
L‟approccio strumentale
Come accennato in precedenza, le logiche sottese alle varie forme della mobilitazione in favore
dell‟ambiente presentano dei tratti comuni con le dinamiche che regolano anche lo sviluppo di
altre azioni collettive, questo, in particolare per ciò che riguarda gli aspetti strategico-
organizzativi.

Una certa importanza per la riflessione a questo livello è senz‟altro il meccanismo della
specializzazione nell‟ambito di uno specifico settore (ecologia delle popolazioni), ma nel
considerare la logica della “razionalità”, almeno al verificarsi di determinati eventi, il discorso
della mobilitazione chiama in causa il confronto tra l‟attaccamento alle questioni di principio e le
esigenze pratiche di sopravvivenza, in termini weberiani: un oscillazione tra l‟agire orientato in
direzione di una razionalità rispetto al valore, e l‟agire della razionalità rispetto allo scopo
(razionalità strumentale).

Considerare i tratti fondamentali dell‟approccio strumentale, vuol dire quindi sottolineare il ruolo
dell‟ambiente inteso come uno spazio di potere, come luogo di relazioni asimmetriche, ed al
riguardo è il senso stesso dell‟ambiente che tende a mutare: da fattore principale verso cui
orientare l‟azione, esso diventa un semplice “elemento” nell‟ambito del quale si sviluppa
l‟azione stessa. Questo cambio di prospettiva rispetto all‟approccio ecologico risulta piuttosto
interessante, poiché permette di evidenziare uno dei momenti fondamentali nell‟esperienza dei
movimenti, cioè la fase del processo di istituzionalizzazione, un qualcosa che spesso si rivela
cruciale per la vita di un movimento.

In genere i movimenti sociali tendono ad essere instabili e provvisori, e se da un lato trovano


nella presenza di un certo livello di tensione il loro fattore propulsivo (movimento come
elemento di innovazione rispetto ad un assetto sociale preesistente), dall‟altro, è la presenza di
figure carismatiche, o comunque di una certa risonanza, a rappresentare un riferimento attorno al
quale mobilitare risorse in vista dello sviluppo dell‟azione collettiva; ad ogni modo, ciò che
appare più importante nell‟ambito di questa trattazione è il fatto che, se un movimento riesce a
raggiungere il suo obiettivo (es. portare alla formazione di una legge), nel momento in cui non
riesce ad istituzionalizzarsi in una struttura relativamente stabile sarà destinato a sciogliersi, ed
allo stesso modo va ricordato il rischio della disgregazione nel caso di un fallimento rispetto agli
obiettivi fondanti, questo, sia per un eventuale debolezza interna, sia come conseguenza della
repressione.

Riportando l‟attenzione sui movimenti ambientalisti, una certa tendenza alla “stabilizzazione”
sembra caratterizzare in particolare il periodo a partire dagli anni ‟80, ed in tal senso hanno
assunto un certo rilievo le attività svolte dagli staff organizzativi composti da personale
retribuito; questo, ad esempio, è il caso delle attività di carattere scientifico (es. tecnici e biologi),
oppure di quelle che richiedono competenze manageriali, complessivamente, una dimensione
ben diversa rispetto a quella del classico militante, il quale risulta spesso privo di competenze
specifiche11.

11
In relazione al fenomeno della professionalizzazione dei gruppi di protesta, appaiono necessarie alcune
precisazioni in riguardo all‟utilizzo dei termini adottati per indicare le forme assunte dai gruppi, questo,
anche in relazione al fatto che nella sintesi di questo manuale tali termini sono stati utilizzati con un
approssimazione che, se da un lato cerca di rendere più scorrevole la lettura limitando le ripetizioni,

67
Considerando poi le modalità concrete attraverso cui si esprimono le varie attività strategiche ed
organizzative, vanno evidenziate le forme che la protesta può assumere, tra queste: le petizioni,
la disobbedienza civile, i boicottaggi, le occupazioni, ecc., ovviamente, senza trascurare la
cosìdetta “protesta di piazza”, ovvero, l‟espressione tipica delle entità collettive in cerca di
visibilità.

Prendendo poi come riferimento il livello di professionalizzazione in relazione alla frequenza


con cui si manifesta la protesta concreta, è possibile elaborare un modello orientativo delle
principali caratteristiche dei movimenti:

ORGANIZZAZIONE

centralizzata e professionale decentrata e


frequente (gruppi di protesta professionali) partecipativa
PROTESTA

(gruppi partecipativi)

sporadica lobby di interesse pubblico gruppi di pressione su


base volontaria

Nell‟esigenza di dare adeguata collocazione ad organizzazioni sul genere di Greenpeace, Della


Porta e Andreatta (2001), hanno realizzato delle ricerche mettendo in evidenza come, nel
concreto, sia sufficiente un numero ristretto di attivisti per realizzare forme clamorose di
protesta, ed in tal senso, nel momento in cui la questione riguarda quei microgruppi molto
preparati sia sotto il profilo tecnico, che sul piano fisico, è possibile parlare di gruppi
professionali. Per quanto riguarda Legambiente, invece, è stato evidenziato un ruolo di “lobby”
in certa parte legato alle espressioni politiche della sinistra italiana, ed in tal senso emerge una
tendenza più incline ad utilizzare degli strumenti come le campagne informative e l‟educazione

dall‟altro, mal si adatta alle esigenze di carattere scientifico. In questo senso va innanzitutto ricordato che
“gruppo” nelle scienze sociali, indica un insieme di individui che agiscono nell‟intento di raggiungere
determinati obiettivi in funzione di certe regole, e per quanto riguarda il concetto di “istituzione”
(diversamente dal linguaggio comune dove il termine viene usato per indicare un apparato preposto allo
svolgimento di compiti e funzioni di interesse pubblico), in sociologia questa parola va utilizzata in
riferimento a quei modelli di comportamento caratterizzati da elementi normativi in qualche modo vincolanti,
quindi, un qualcosa che esprime la regolarità dei comportamenti stessi sulla base di regole che tendono a
specificarli (es. i ruoli familiari). Il senso sociologico, inoltre, un “movimento” indica quella forma di
aggregazione che può nascere in contrapposizione agli assetti istituzionali esistenti, e che tende a
caratterizzarsi per una forte personalizzazione dei rapporti sociali, i quali assumono dei tratti significativi in
termini di espressività, spontaneità, ed entusiasmo. Un “associazione” è invece una forma di partecipazione
ad un gruppo in funzione di interessi ideali, ed a questo livello viene dato maggior risalto all‟individuo in
quanto tale piuttosto che al ruolo svolto nell‟assegnazione di compiti, infine, per ciò che concerne
“organizzazione”, va evidenziato come questo termine venga utilizzato dalla sociologia in presenza di un
insieme coordinato di risorse umane e materiali, nella cui gestione assume rilevanza il ruolo svolto da
ciascun attore sociale, questo, in relazione alle finalità strumentali dell‟organizzazione stessa.

(Bagnasco, Barbagli, Cavalli, Corso di sociologia, il Mulino, Bologna, 1997).

68
ambientale, piuttosto che delle forme di protesta di carattere movimentista. I gruppi autonomi,
variamente diffusi sul territorio, appaiono invece una caratteristica di alcune espressioni del
movimento animalista (es. lega antivivisezione), ed a questo livello tendono a prevalere le
proteste realizzate in coincidenza di determinati eventi, nel complesso, un qualcosa di
relativamente frequente ma che rimane comunque legato a forme organizzative scarsamente
centralizzate, e a espressioni di protesta radicali (es. l‟estensione dei diritti agli animali).

Indipendentemente dalle modalità adottate per classificare le varie forme di protesta, va ricordato
che l‟esperienza dei movimenti ambientalisti in Italia tende a riflettere una realtà piuttosto
complessa; in generale, alcuni gruppi sviluppano le loro azioni in funzione della tensione tra
centro e periferia, nello specifico in relazione al dissenso nei confronti delle decisioni e delle
iniziative del potere centrale, tuttavia, alcune associazioni ambientaliste sembrano caratterizzarsi
anche per una certa ambiguità, nel senso che, spesso nell‟ambito del contesto nazionale, è
possibile rilevare degli atteggiamenti opportunistici a livello di alcuni gruppi, i quali, sembrano
più che altro interessati a guadagnare visibilità in determinate situazioni, per poi allontanarsi
dalle proteste e dalle rivendicazioni considerate troppo particolaristiche.

In Italia, nel panorama della protesta locale, in circa il 60% dei casi risultano operative delle
associazioni regolarmente costituite, ed in genere, oltre all‟autofinanziamento, a questo livello la
partecipazione è un fenomeno su base volontaria; complessivamente, una situazione piuttosto
diversa rispetto ad altri paesi europei (Gran Bretagna e Germania in particolare), dove sono
presenti livelli di professionalizzazione più elevati.

L‟esiguità del numero dei gruppi di protesta professionali in Italia, oltre che un espressione di
carattere culturale, può trovare spiegazione considerando la questione delle risorse, cioè nel fatto
che, se da un lato il sostegno dello Stato è piuttosto debole, dall‟altro, queste associazioni
possono incontrare maggiori possibilità di sopravvivenza cercando l‟inclusione nelle istituzioni;
in altri termini un opzione che, in relazione alle caratteristiche della stessa struttura istituzionale
vede questi gruppi limitare la contrapposizione con le varie espressioni dello Stato, a vantaggio
della possibilità di insediarsi negli organismi pubblici. Una scelta dettata da una razionalità
strumentale che, in senso “strategico”, vedrebbe aumentare le possibilità di sopravvivenza a
scapito dell‟opportunità di ottenere un più ampio consenso a livello dell‟opinione pubblica.

Anche in ambito europeo è rilevabile una certa tendenza all‟istituzionalizzazione


dell‟ambientalismo, tuttavia i rapporti intrattenuti dai gruppi con i vari attori istituzionali
presentano delle differenze legate alle caratteristiche specifiche dei rispettivi contesti nazionali
(es. differenze nell‟accesso alle opportunità offerte dai sistemi politici dei vari paesi); ciò
nonostante, è possibile tracciare un quadro complessivo della situazione considerando la
contrapposizione tra sistemi politici pluralisti e sistemi politici corporativi.

E‟ in ragione della maggiore permeabilità della prima tipologia di sistemi politici che diventa
comprensibile la tendenza più moderata delle azioni collettive in paesi come la Gran Bretagna,
invece, a causa delle minori opportunità nei sistemi di carattere corporativo, ad esempio in
Germania, l‟azione dei movimenti risulta connotata da una maggiore carica oppositiva.

69
Ovviamente, queste sono situazioni che vanno necessariamente riferite ad una certa contingenza
politica, quindi, alle caratteristiche che contraddistinguono le varie coalizioni di governo, ed in
questo senso, appare indispensabile considerare anche quelle possibilità di uno sviluppo di
correnti in controtendenza rispetto al processo di istituzionalizzazione dei movimenti, quindi,
l‟emergere di nuovi movimenti ambientalisti radicali più o meno interdipendenti.

L‟approccio cognitivo
Nel considerare elementi come le caratteristiche organizzative dei gruppi, le opportunità
politiche, il rapporto con le istituzioni (in generale l‟approccio strumentale), tendono a perdere
importanza gli aspetti propriamente ideologici dell‟ambientalismo, invece, portando l‟attenzione
su ciò che contraddistingue in senso immateriale le varie espressioni del movimento, anche nello
stile delle forme di protesta, è possibile riconoscere altre differenze a livello degli atteggiamenti
assunti da questi gruppi; in tal senso, si possono rilevare espressioni moderate o alternative,
orientamenti radicali o fondamentalisti, tuttavia, per ciò che riguarda l‟ambientalismo come
ideologia di riferimento prevale complessivamente una tendenza in direzione dell‟avanguardia
culturale.

Esempi significativi al riguardo sono quelli delle mobilitazioni contro l‟utilizzo dell‟energia
nucleare, quelle in difesa dell‟ambiente, quelle in favore dello sviluppo sostenibile, nel loro
insieme, un qualcosa che esprime il fatto di riconoscersi nell‟idea di un cambiamento in
direzione di una società fondata su valori post-materialisti, questo, come conseguenza
dell‟aumento della riflessività, quindi, dello sviluppo di maggiori capacità d‟analisi da parte dei
vari attori sociali.

Per cercare di comprendere come il movimento ambientalista possa essere considerato


rappresentativo di una certa fase del mutamento sociale, non va considerata soltanto l‟esistenza
di una molteplicità di significati attribuiti alla natura in relazione alle varie differenze culturali,
ma risulta necessario considerare anche il quadro cognitivo nell‟ambito del quale si realizzano,
concretamente, quegli eventi che portano al conflitto sociale, ed in questo senso diventa cruciale
il concetto di “frame”.12

12
Il concetto di “frame” viene elaborato da Erving Goffman (1974), nell‟ambito di un programma di studio
sulla definizione della situazione e dei processi di costruzione della realtà (critica alla fenomenologia di
Schutz, e all‟etnometodologia di Garfinkel). Secondo Goffman, una situazione si caratterizza per il fatto di
presentare una determinata struttura, ed una serie di contingenze, le quali, non sono legate esclusivamente
al processo interpretativo e alla definizione della situazione. Partendo da questi presupposti egli propone un
modello, la “frame analysis”, fondato sull‟idea di una serie di cornici (frames), intese come dei livelli che
posti uno sull‟altro darebbero sostanza alla natura multipla della realtà, ed in tal senso risultano
fondamentali i criteri con cui i frames trovano modo di ordinarsi tra loro. Goffman effettua poi una
distinzione tra frames primari e frames secondari, dei quali, i primi comprendono sia il mondo naturale e gli
oggetti fisici presenti nell‟ambiente in cui le persone vivono, sia il mondo sociale degli individui, quindi, le
varie reti relazionali. Per quanto riguarda i frames secondari Goffman ricorre invece al concetto di
“trasformazione”, intesa come una certa serie di modalità attraverso cui le persone possono svolgere le
proprie attività, in altri termini: frames secondari come un qualcosa che assume una data configurazione in
funzione di una determinata esigenza (modalità dell‟interazione). Complessivamente il modello di Goffman
concepisce la realtà come uno sfondo predeterminato entro il quale trovano collocazione delle realtà
multiple, cioè una serie di espressioni dei vari ambiti della vita sociale.

70
Oltre al contributo degli studi di Goffman, va evidenziato che il discorso della frame analysis è
stato ripreso anche da altri autori, ed in questo senso un applicazione del modello goffmaniano
all‟ambientalismo è stata tentata da Klaus Eder (1996), il quale ha cercato di considerare
l‟ambientalismo stesso al pari di un “frame primario” in relazione alla profondità dei riferimenti
culturali adottati. In questi termini Eder da risalto non tanto all‟idea di “movimento
ambientalista”, quindi, all‟interazione tra soggetti, quanto, piuttosto, ad una specifica visione
delle cose. Ispirandosi ad Habermas per ciò che riguarda le modalità che portano a caratterizzare
il confronto pubblico13, Eder considera l‟influenza esercitata dall‟ambientalismo sui processi di
trasformazione della sfera pubblica, ed in relazione a questo, egli evidenzia il tentativo di
contrastare il dominio delle tendenze all‟individualizzazione attraverso il rivendicare la necessità
di una maggiore equità sociale; nello specifico, troverebbero modo di esprimersi delle forme
laiche di identità collettiva, ed è in funzione di questo che il “frame” di Eder tende ad assumere il
significato di uno spartiacque per i criteri di legittimazione del potere. Lo spazio per l‟azione
collettiva verrebbe così orientato da una serie di “eventi multipli” caratterizzati da una certa forza
simbolica ed argomentativa, degli eventi che coinvolgono questioni come la globalizzazione,
l‟equità sociale, i modelli di sviluppo, le possibilità partecipative, ecc.

Un approccio simile a quello di Eder, è il modello della “prassi cognitiva” (Eyerman e Jamison,
1991), ed a questo livello viene osservato che il presupposto per giungere alla realizzazione di un
movimento sociale è dato dalla convergenza di una serie di interessi cognitivi, cioè, da quelle
situazioni che conferiscono ad un insieme di idee e di tematiche la capacità di mobilitare delle
risorse. In questo senso, il movimento ambientalista sarebbe essenzialmente il frutto di un attività
intellettuale che ha portato a delineare determinate caratteristiche identitarie, le quali,
attribuiscono un certo significato all‟ambiente, all‟ecologia, alla politica, all‟economia.

Considerando da questa prospettiva il movimento ambientalista su scala mondiale, emerge una


situazione per la quale, a partire dagli anni ‟80, i vari interessi cognitivi, ad esempio sul piano
tecnologico ed organizzativo, sarebbero stati progressivamente marginalizzati dal contesto
specifico del movimento per essere istituzionalizzati nell‟ambito di strutture più stabili, questo,
con degli esiti che avrebbero parzialmente decostruito la base cognitiva del movimento stesso.

Il problema dell‟interesse cognitivo viene considerato anche dalla “teoria dei nuovi movimenti”,
un modello fondato sul riconoscimento delle distinzioni, in particolare per ciò che riguarda le
caratteristiche culturali nell‟ambito dell‟esperienza dei nuovi collettivi messi a confronto con i
movimenti tradizionali, ad esempio, il movimento operaio e il movimento per i diritti civili;
importante evidenziare che, complessivamente, emerge a questo livello una tendenza più incline
alla difesa dell‟identità piuttosto che al conflitto politico in senso stretto, quindi, in generale, un
minor interesse nei confronti della lotta per il potere nelle istituzioni.

Sociologi come Alberto Melucci (1992), tendono poi a concettualizzare i movimenti sociali in
termini di “antagonismo”, una condizione che risulterebbe legata principalmente alle modalità

13
Secondo Habermas, la realtà sociale è un punto di partenza per mettere in risalto i tratti fondamentali che
specificano un determinato orientamento ideale, come dire: una visione della “pubblica argomentazione”
come caratteristica fondamentale dell‟agire sociale.

71
organizzative dell‟azione collettiva, ma che trova come fondamento la necessità di negoziare una
data identità14.

Di altro genere invece, quelle analisi che portano l‟attenzione sulle modalità dell‟interazione tra
movimenti ed ambiente sociale, ed in tal senso, ad esempio, le specificazioni della sociologia
come l‟interazionsimo simbolico evidenziano che l‟identità stessa (individuale o collettiva che
sia), quindi i simboli attorno ai quali essa si forma, rappresenta in concreto un processo di
“costruzione” continua nell‟ambito dei rapporti tra un organismo e l‟ambiente circostante.

A questo livello si colloca la teoria dell‟attivazione (enactment), la quale è stata adottata anche
per lo studio di organizzazioni come il Wwf (World wide fond for nature); Cattini e Lanzara
(2001), nel considerare questa espressione dell‟associazionismo ambientalista hanno sviluppato
un analisi fondata sul fatto di considerare le organizzazioni come un qualcosa che non soltanto
cerca di adattarsi ad un dato ambiente istituzionale, ma che nel tempo finisce per rappresentarlo
in funzione di determinati criteri di rilevanza. In questi termini l‟ambiente tende ad assumere il
significato di un prodotto di uno specifico “organismo”, quindi, il risultato di una certa influenza
sviluppata con l‟interazione; l‟insieme dei processi dell‟enactment vedrebbe dunque un
organizzazione impegnata a promuovere determinate mappe cognitive, cioè a diffondere
nell‟ambiente i propri valori ed i propri significati, ed a questo livello gli studiosi parlano di
attivazione dell‟ambiente sociale.

Osservando un associazione come il Wwf da una simile prospettiva, è possibile dare risalto a
quelle attività che portano il discorso delle organizzazioni sul piano dei fenomeni di
colonizzazione dell‟ambiente, dove la persuasione, il proselitismo, la produzione e la diffusione
di simboli, rappresenterebbero un qualcosa che permette di plasmare la società; nel momento in
cui si creano quelle condizioni per il riconoscimento e la condivisione dei significati, si aprirebbe
poi il campo per la mobilitazione in direzione del cambiamento rispetto ad un sistema di valori

14
Melucci considera la lotta antagonista come un qualcosa che tende a frammentarsi, nel senso che i campi
delle opposizioni rimarrebbero costanti mentre invece gli attori muterebbero di volta in volta; in questo
senso, nelle società complesse andrebbe considerata la necessità di riconsiderare l‟analisi dei conflitti. Il
problema della provvisorietà e della variabilità degli attori del conflitto antagonista assume rilevanza in
particolare per i movimenti di contestazione, tuttavia, secondo una prospettiva di sistema, l‟autore fa notare
che la mutevolezza è una condizione che caratterizza anche i gruppi dominanti. Sotto il profilo analitico tali
condizioni porterebbero principalmente a delle conseguenze che:

vedono gli attori sociali conflittuali non esaurire il loro ruolo nel conflitto in cui sono impegnati;
portano ad esprimere il conflitto stesso a livello di questioni specifiche, le quali tendono a mobilitare
attori variabili;
attribuiscono alla mobilitazione il senso della contrapposizione alla logica sistemica, come dire che
l‟antagonismo è tale se porta gli attori alla mobilitazione.

Entrando nel merito della logica del conflitto, Melucci osserva poi che nei sistemi contemporanei il potere si
colloca a livello dei linguaggi che organizzano i flussi di informazioni, e la sfida tende a manifestarsi nel
rovesciamento dei codici culturali. Complessivamente, gli obiettivi di carattere strumentale mantengono
comunque una loro importanza, ma diventano sostituibili, invece, gli aspetti cruciali tendono ad investire la
definizione del sé nella sua dimensione biologica, affettiva, simbolica, ed allo stesso modo le relazioni con il
tempo e lo spazio, più in generale le relazioni con l‟altro; il discorso si sposterebbe dunque sulle possibilità
individuali e collettive di riappropriarsi del senso dell‟agire.

(Alberto Melucci, L’invenzione del presente, il Mulino, Bologna 1991)

72
istituzionalizzato (componente conflittuale), e nel caso specifico del Wwf questo si esprimerebbe
anche in termini di donazioni, sponsorizzazioni, volontariato, ecc.

Considerando la logica dei “frames”, può essere interessante rilevare come inizialmente il Wwf
fosse impegnato principalmente nelle attività di protezione dei lembi di natura incontaminata, e
che soltanto in una fase successiva dell‟esperienza di questa associazione siano state sviluppate
idee per l‟acquisizione di terreni su cui istituire delle oasi, e per un estensione delle iniziative alla
promozione dei parchi naturali. Complessivamente, il Wwf sembra aver maturato nuovi valori,
ed in tal senso è stato dato un certo spazio anche alle questioni di carattere educativo, quindi, a
degli ambiti che riguardano in maniera specifica la produzione di significati; a questo livello, le
azioni simboliche di maggior successo per l‟organizzazione sono state quelle riguardanti la
protezione dei grandi animali in pericolo di estinzione, mentre altre iniziative, invece, ad
esempio la promozione di stili di vita più sobri, non hanno incontrato un gran consenso; questo
per dire che, nel tentativo di modellare l‟ambiente sociale appare necessario il ricorso ai
“frames” più adatti ad una determinata circostanza.

In questi termini, è stato osservato che l‟elemento cruciale risiede nella possibilità di manipolare
l‟“enactment”, quindi, la costruzione di senso in funzione della possibilità di risposte strumentali
in termini di adesioni e di fondi, nel suo insieme, una situazione che può portare a marginalizzare
le tematiche più scottanti del problema ambientale; il discorso riguarda la “costruzione sociale”
delle questioni ambientali, ovvero, quei calcoli per i quali le finalità ideali dell‟associazione
risultano subordinate ad altre esigenze, ed a questo livello l‟interesse della sociologia è rivolto
sia in direzione dell‟analisi dei processi di reciproca influenza, sia verso lo studio dei segnali di
cambiamento sociale legati alle attività dei movimenti, nello specifico sulle modalità dell‟agire
di quei gruppi che, in senso razionale, rappresentano dei momenti in cui si producono simboli in
funzione della possibilità di ottenere risonanza sociale.

L‟approccio relazionale
Per l‟analisi delle dinamiche che portano a sviluppare le azioni collettive, i fenomeni che si
realizzano a livello dei movimenti vengono considerati di una certa importanza, ed in tal senso,
oltre alla dimensione culturale, simbolica, ed alle modalità dell‟azione, viene dato un certo
spazio allo studio della struttura organizzativa dei movimenti stessi.

Caratteristiche come il livello di divisione dei compiti, la specializzazione dei ruoli, e la struttura
gerarchica, sono nel concreto di una certa utilità per l‟analisi, tuttavia, alcuni sociologi
preferiscono considerare il problema della struttura organizzativa dei movimenti come un
elemento che specifica l‟essenza stessa del “movimento”, nel senso che, per definizione un
“movimento” sarebbe di per sé rappresentato da un insieme di persone prive di una vera e
propria definizione dei ruoli, quindi, da un gruppo tendenzialmente disarticolato; considerando il
“senso strutturale” di questo genere di aggregazioni, e ricorrendo all‟analisi di rete, sono state
realizzate delle ricerche sui rapporti che intercorrono tra i militanti dei movimenti ambientalisti e
le rispettive organizzazioni, ed in riguardo Diani (1998), rileva a questo livello l‟esistenza di una
realtà caratterizzata dalla convivenza tra ruoli specializzati (professionisti della protesta e della
negoziazione), e militanza comune (normali cittadini sensibili alle problematiche ambientali).

73
Il problema del coordinamento tra i militanti viene invece considerato da Tarrow (1996), ed in
questo senso, anche per ciò che riguarda le opportunità politiche, viene osservato che più delle
questioni culturali e delle ideologie appare di maggiore rilevanza per lo sviluppo delle forme di
partecipazione la possibilità di connettersi a specifiche reti di relazioni. Nel suo insieme
l‟approccio relazionale si differenzia quindi rispetto ai precedenti per il fatto di privilegiare il
ruolo svolto dalle relazioni sociali intese come un ambito dove l‟elemento cruciale è
rappresentato dal livello di “solidarietà”, quindi, dalla possibilità di agevolare gli scambi di
informazione ed il sostegno reciproco.

Inquadrare il discorso dei movimenti secondo questa prospettiva, vuol dire cercare di
comprendere le logiche che spingono individui appartenenti a gruppi diversi a sviluppare dei
vincoli più o meno stabili, ed in generale è stato osservato che nell‟ambito di un movimento, è
comunque a partire da una visione comune della realtà che tendono a svilupparsi dei rapporti di
reciprocità, in un certo senso, la logica dell‟identità e dello scambio come fondamento di “reti”
in “movimento”.

Portando invece l‟attenzione sul rapporto tra aspetti organizzativi e mobilitazione, appare
interessante ciò che Melucci (1982), definisce come fase di latenza, cioè quel particolare periodo
nella vita di un movimento che si caratterizza per un livello di protesta e di mobilitazione debole
o addirittura assente, ma che non segna necessariamente una fase di disgregazione del
movimento stesso. Il discorso della latenza porta a considerare le differenze esistenti tra le
attività dei gruppi istituzionalizzati e quelle dei movimenti, quest‟ultime in genere assai meno
visibili anche in relazione alla scarsa attenzione da parte dei mass-media, tuttavia, su questo
piano del discorso l‟elemento che contraddistingue i movimenti non è tanto quello della
visibilità, quanto, piuttosto, il fatto di operare mantenendo un relativo riserbo circa le proprie
attività (fase di latenza), magari in previsione di successivi sviluppi con caratteri eclatanti (es.
occupazione di edifici).

Un altro aspetto della “fase di latenza” può invece essere colto estendendo il discorso dall‟ambito
dei movimenti a quello delle associazioni, ed a questo livello una certa intermittenza della
protesta tenderebbe a realizzarsi, almeno in alcune circostanze, in coincidenza con lo sviluppo di
progetti di natura intellettuale (es. ricerca e formazione), quindi, con la possibilità di accedere a
determinate risorse, o comunque alcune opportunità; su questo piano si collocano, ad esempio, i
progetti per la commercializzazione di prodotti eco-compatibili, per la rilevazione di sostanze
inquinanti, per la gestione delle aree protette oppure di alcuni servizi ambientali; in questo senso,
va anche ricordato che questo genere di iniziative riguarda spesso delle attività economiche
senza fini di lucro, tuttavia, ciò permette comunque di collegare il discorso dell‟analisi
relazionale all‟approccio strumentale.

Le varie fasi che caratterizzano la vita dei movimenti sono nel loro insieme delle esperienze che
permettono di sviluppare delle riflessioni sulle traiettorie evolutive dei movimenti stessi, ed al
riguardo Diani e Forno (2003), osservano che il fenomeno del “volontariato ambientale” tende ad
aumentare proporzionalmente alla riduzione del livello di protesta nelle piazze, ed in questo
senso tale condizione può rappresentare, oltre che un ulteriore espressione del concetto di
“latenza”, il segnale dell‟avvio per un dato movimento, di un processo di istituzionalizzazione.

74
La differenziazione interna ed una certa convergenza tra gli stili di associazioni diverse, sono
invece dei processi evolutivi a cui danno risalto autori come Osti (2007), questo, almeno da
quanto emerge nell‟ambito degli studi sulle grandi organizzazioni (es. Greenpeace, Legambiente,
il Wwf), e per quanto riguarda le linee evolutive dei gruppi ambientalisti locali, invece, è stato
osservato che queste tendono a seguire delle logiche diverse. In questo senso va evidenziata
innanzitutto una certa interdipendenza rispetto alle grandi organizzazioni, anche se nel loro
insieme i gruppi locali comprendono situazioni molto diverse. Al riguardo è stato osservato come
alla fine degli anni ‟90, in Italia risultassero iscritte nei registri regionali ben 631 organizzazioni
di volontariato con finalità ambientali, e tra queste: i comitati locali di protesta, gruppi per la
gestione delle oasi, dei boschi, e dei giardini pubblici, associazioni impegnate a svolgere attività
di “guardie ecologiche” oppure di “custodia della natura”, più in generale, un insieme di attività
collocabili al di fuori dei tradizionali circuiti ambientalisti.

Nell‟analisi delle associazioni che operano negli ambiti più periferici, un altro dato importante
riguarda il fatto che tali gruppi oltre alla salvaguardia dell‟ambiente perseguono una serie di
finalità multiple spesso legate ad attività culturali e ricreative; questo per dire che, nel suo
insieme il “movimento ambientalista” ha sviluppato, da un lato dei processi di
internazionalizzazione (es. il movimento NO Global), ma dall‟altro sembra registrare una
tendenza a diffondersi in una variopinta serie di forme aggregative. Indubbiamente questi sono
fenomeni caratterizzati da una certa complessità, ed in ragione di questa l‟analisi di rete può
fornire un contributo importante per la comprensione di quelle dinamiche che
contraddistinguono le modalità attraverso cui si manifestano le relazioni che intercorrono tra
“unità sociali” scarsamente gerarchizzate.

Ad ogni modo, va ricordato che l‟esperienza delle attività associazionistiche, cooperative, e di


volontariato, nel momento in cui trova fondamento nell‟idea dell‟ambiente come un qualcosa che
crea legami di “solidarietà” (ambiente come contesto in cui operare ma al tempo stesso come
riferimento simbolico), vede lo “scambio” come un criterio svincolato dalla calcolabilità; le
esperienze di cooperazione reciproca in difesa della natura, peraltro oggetto di specifiche
ricerche, tenderebbero dunque a differenziarsi rispetto al modo di concepire la questione
ambientale soltanto nei termini della protesta politica, tuttavia, l‟insieme di tali attività trova
comunque collocazione entro il quadro della più ampia prospettiva dello squilibrio economico tra
il Nord ed il Sud del pianeta.

Conclusioni
A conclusione di questo capitolo può risultare utile sottolineare il fatto che le “questioni
ambientali” sono state fin qui presentate seguendo le varie prospettive teoriche piuttosto che gli
aspetti concreti del movimento ambientalista, ciò nonostante, vista la rapidità con cui tale
movimento è mutato negli ultimi 30 anni, l‟aver adottato un approccio alla questione secondo
una prospettiva metanalitica risulta comunque interessante in quanto permette di implementare la
conoscenza per ciò che riguarda i vari aspetti del rapporto tra ambiente e società.

Per quanto riguarda la dimensione tecnica delle ricerche presentate, quindi le questioni del
metodo, va infine ricordato che esistono alcune sostanziali differenze, nello specifico:

75
l‟analisi ecologica, quindi lo studio delle relazioni tra l‟ambiente e le varie entità
territoriali, è una tipologia di ricerca che necessità di ipotesi molto robuste e di una
grande quantità di dati;

l‟analisi strategico-organizzativa porta invece l‟attenzione sull‟esperienza degli attori


sociali a livello delle varie associazioni, e fornisce risultati poco generalizzabili;

l‟analisi dei frames vede nel ricercatore una figura caratterizzata da una certa
discrezionalità sul come e cosa rilevare, quindi, va considerato che a fronte della
ricchezza di informazioni i risultati possono portare all‟indeterminatezza;

l‟analisi delle relazioni può infine risultare difficile in considerazione del fatto che i
rapporti si contraddistinguono per la multidimensionalità, tuttavia, è fondamentale per lo
studio della reciprocità.

Nel suo insieme il problema della ricerca vede molti autori concordi circa la possibilità di un
utilizzo integrato delle tecniche come alternativa all‟adozione di un unica prospettiva d‟analisi,
questo, anche nell‟esigenza di uscire dalla rigidità dei metodi più sofisticati in relazione alla
complessiva fluidità che caratterizza gli ambiti del sociale; in questo senso Jasper (1996),
evidenzia come gli studi sul movimento ambientalista tendano più che altro a descriverne alcune
espressioni senza per questo riuscire a coglierne le caratteristiche complessive, ed a questo
livello rimarrebbe da chiarire se il problema risieda nella debolezza delle elaborazioni teoriche,
nei metodi di ricerca troppo condizionati dalla scarsità di risorse, dal fatto che i campi d‟indagine
risultano eccessivamente circoscritti, o piuttosto, da periodi di rilevazione troppo brevi.

76
AMBIENTE E CONOSCENZA SOCIALE

Un problema fondamentale per il discorso sull‟ambiente riguarda i processi che portano a


sviluppare conoscenza, questo per dire che, sia le caratteristiche del rapporto scienza/società, sia
il ruolo assunto dal sapere tecnico-scientifico, rappresentano nel loro insieme un punto cruciale.

La questione del “sapere”


Nel considerare l‟influenza che il sapere tecnico-scientifico esercita sull‟ambiente, è importante
evidenziare come in genere prevalga la tendenza a considerare “universali” i sistemi di
conoscenza occidentali, in quanto questi rappresentano i sistemi dominanti, mentre invece, si
tende spesso a trascurare l‟insieme di quegli aspetti legati alle specificità delle varie impronte
culturali. In altri termini, il problema della conoscenza può essere letto come un fenomeno di
“globalizzazione” di una precisa tradizione localistica, la quale, nel momento in cui raggiunge
determinati livelli di diffusione assume i tratti di una colonizzazione intellettuale.

Ad un altro livello, invece, il discorso del sapere coinvolge le condizioni in cui si trovano ad
operare i sistemi di conoscenza contrapposti al sistema dominante, ed in questo senso andrebbe
innanzitutto evidenziata la difficoltà per i sistemi di conoscenza non ufficiali di veder
riconosciuto il proprio status di sapere sistematico, poiché, spesso, il sapere ufficiale tende a
negare la validità di conoscenze diverse da sé in relazione ad una presunta mancanza di
scientificità; nel complesso, una situazione che porta a considerare gli aspetti legati al “potere”
più che al “sapere”, quindi, a delle visioni ideologizzate della scienza. Un esempio significativo
di questa asimmetria del sapere è rilevabile a livello dell‟attività di quegli intellettuali impegnati
a denunciare le conseguenze dell‟applicazione del sapere tecnico-scientifico dominante nei paesi
del terzo mondo, nel suo insieme una situazione che, anche in relazione ai disastri provocati in
tempi relativamente recenti (in particolare per quanto riguarda l‟attività petrolifera, e il problemi
legati all‟utilizzo di sostanze radioattive), a messo l‟opinione pubblica in condizioni tali da
sollevare dubbi sulla legittimità delle applicazioni del “sapere”.

Nell‟ambito del rapporto tra scienza e società, è dunque riscontrabile una certa ambivalenza, e se
da un lato continuano a maturare grandi aspettative di progresso, dall‟altro è andato
consolidandosi un atteggiamento scettico se non addirittura ostile. Considerando queste
tendenze, può essere utile portare l‟attenzione sui risultati di alcuni sondaggi realizzati in Europa
tra il 2001 ed il 2007, dove, all‟emergere di un certo interesse per gli aspetti scientifici che
riguardano l‟ambiente e la medicina, sembra non corrispondere una visione complessiva del
“sapere” come un qualcosa che può aiutare a risolvere i problemi, inoltre, per quanto riguarda il
ruolo degli scienziati, emerge un opinione altrettanto ambivalente, nel senso che essi vengono
tenuti in alta considerazione ma al tempo stesso sono in molti a sostenere che il potere a loro
affidato risulta eccessivo.

Complessivamente, sulla base di queste considerazioni la questione del sapere può essere
rappresentata come una situazione in cui gli individui ritengono che affidarsi alla “scienza” sia
necessario, tuttavia, il rapporto tra valori morali e progresso tecnico-scientifico suscita molte
perplessità.

77
Paradossalmente, un atteggiamento tendenzialmente ambivalente è rilevabile anche tra gli
ambientalisti, i quali, pur nell‟affidarsi alla “scienza” per esprimersi in senso critico nei confronti
di altre pratiche scientifiche (contrapposizione alla scienza ufficiale), tendono a promuovere
delle rivendicazioni fondate su delle questioni esclusivamente morali senza considerare degli
adeguati riscontri scientifici. Sembra dunque che il ricorso della “scienza” tenda spesso a
rappresentare un momento in cui si cerca di legittimare delle esigenze spesso contrapposte. In tal
senso, va anche osservato che sono le stesse “autorità scientifiche” ad orientare l‟opinione
pubblica attraverso l‟utilizzo dei mass-media in direzione di determinati atteggiamenti; questo,
ad esempio, è il caso della condanna all‟inquinamento atmosferico nelle città a causa dell‟elevato
numero di decessi per patologie ad esso correlate, ma è anche quello delle asserzioni scientifiche
che escludono rischi per la salute in relazione alle radiazioni prodotte dai telefoni cellulari
nonostante le accuse mosse dai comitati, i quali, protestano per il fatto che non sarebbero state
considerate delle sufficienti evidenze scientifiche.

Nel loro insieme le problematiche ambientali chiamano in causa la questione dell‟atteggiamento


del “sapere” dinnanzi ad una “conoscenza profana” che chiede di essere ascoltata, ed in questo
senso va riconosciuto che la “scienza”, almeno in alcune circostanze, si dimostra disponibile
all‟ascolto, ad esempio, quando emerge che alcuni filoni di ricerca avvalorano le perplessità
espresse dai comitati nell‟ambito delle controversie ambientali. In ogni caso, considerare il
rapporto tra scienza e società, implica necessariamente il fatto di portare l‟attenzione sulle
condizioni storiche, sociali, e culturali che rendono il sapere scientifico suscettibile di influenza,
ed al riguardo la prospettiva della sociologia dell‟ambiente diventa terreno comune della
sociologia della scienza.

Scienza e tecnologia
Considerato che nel concreto scienza e tecnica risultano strettamente correlate, nell‟avvicinarsi
all‟analisi di questi ambiti del sapere risulterebbe opportuno distinguere alcune differenze
concettuali, e se in tal senso la “scienza” può essere definita come un attività sistematica
orientata alla conoscenza, cioè, alla descrizione ed alla spiegazione degli eventi, per quanto
riguarda la “tecnica”, invece, andrebbero in primo luogo precisate le differenze rispetto alla
“tecnologia”; la necessità di effettuare una distinzione a questo livello nasce in particolare in
relazione al dibattito sull‟avvio del processo di industrializzazione, nel suo insieme un discorso
che ha portato a definire la nozione di “tecnica” come l‟espressione di un sapere orientato alla
soluzione di problemi pratici, questo, indipendentemente dalle caratteristiche del sapere stesso,
quindi, sia nel caso esso trovi fondamento su precise basi scientifiche, sia nell‟eventualità di una
sua derivazione da un insieme di conoscenze di carattere empirico. Diversamente la definizione
di “tecnologia”, un termine che invece viene utilizzato per indicare quel piano della conoscenza
nell‟ambito del quale collocare quei principi sottesi alla capacità di ottenere determinati risultati,
in un certo senso, una forma più astratta del sapere, ed a questo livello Gallino (2007), utilizza il
concetto di “tecnologia” in riferimento all‟utilizzo razionale delle conoscenze specifiche di una
data epoca, nell‟esigenza di dare risposte efficienti ad una serie d problemi pratici.

Nel suo insieme la distinzione tra tecnica e tecnologia appare legata essenzialmente alle
caratteristiche del sapere, che nel primo caso assume dei caratteri più artigianali, per esprimere
invece delle forme più ideali o teoriche nel momento in cui diviene “tecnologia”; al riguardo può

78
essere interessante osservare come, a partire dalla cosìdetta rivoluzione industriale il rapporto tra
queste due forme del sapere sia diventato più intenso, questo, in funzione di una serie di
necessità che hanno richiesto nel corso del tempo crescenti capacità di controllo sulla natura.

Un altro aspetto importante del dibattito sullo sviluppo tecnologico riguarda la spiegazione delle
forze propulsive del progresso, ed in questo senso risulta piuttosto diffusa l‟idea del
determinismo tecnologico, cioè una visione della tecnologia come un qualcosa che si evolve
secondo dei criteri propri che finiscono poi per imporsi portando gli ambiti del sociale alla
dissoluzione nel tecnico, secondo Ellul (1990), una situazione per la quale si ritiene che tutto ciò
che risulta tecnicamente realizzabile debba comunque essere realizzato. In altri termini, questa è
l‟idea di una ricerca scientifica che sviluppa influenza sulla società attraverso il controllo
dell‟innovazione tecnologica, tuttavia, non andrebbe trascurato il fatto che spesso sono gli
interessi economici ad esercitare una certa influenza, ed in questo senso alcuni autori tendono a
replicare al determinismo tecnologico sollevando la questione del determinismo economico.

La questione dello sviluppo tecnologico da un punto di vista economico appare legata alle
necessità della “produzione”, quindi, alle dinamiche della competizione e alle logiche di
mercato, ed in questo senso va rilevato che tendono ed essere esclusi quei fattori sociali e
cognitivi che contribuiscono a determinare lo sviluppo.

Il discorso sull‟innovazione tecnologica è stato inoltre considerato portando l‟attenzione sui


processi di “costruzione sociale”, ed a questo livello autori come Mayntz (1998), evidenziano
come la tecnologia possa essere concepita come una risultante di una serie di forze legate alle
caratteristiche intrinseche di un dato ambiente sociale, peraltro suscettibili di influenza reciproca;
un esempio concreto è dato dall‟evoluzione dei sistemi di video registrazione domestica nel
periodo precedente alla diffusione delle tecnologie informatiche, dove il sistema betamax, pur
essendo tecnicamente superiore al VHS, è stato eliminato dal mercato per ragioni di carattere
commerciale, ed ancora, nel settore automobilistico, dove il fatto di portare alcuni comandi
dell‟auto sul volante a vantaggio di una certa ergonomicità nella posizione del guidatore, non ha
di fatto trovato il consenso da parte di un pubblico che, invece, ha continuato a preferire le
tradizionali levette.

Complessivamente, un intreccio tra esigenze commerciali dei produttori e adattamento delle


funzioni a livello progettuale, quindi dell‟utenza, ma in ogni caso è opportuno ricordare che le
forme di “razionalizzazione strumentale” che caratterizzano il capitalismo, portano in sé il
rischio di ricadute sociali capaci di condurre all‟asservimento dell‟individuo, come peraltro
evidenziato dall‟esperienza storica del XX secolo.

Sviluppo e trasformazione della scienza


E‟ possibile identificare alcune fasi nello sviluppo complessivo del sapere scientifico, ed in tal
senso, oltre a rilevare delle attività di natura scientifica fin dall‟antichità, andrebbe riservata una
certa attenzione ai processi di istituzionalizzazione della scienza realizzati nel periodo compreso
tra il XVII e del XIX secolo, un momento in cui si è assistito alla nascita e allo sviluppo delle
“accademie scientifiche” (l‟Accademia dei Lincei in Italia, l‟Académie des Sciences in Francia,
la Royal Society in Inghilterra), all‟affermarsi di un gran numero di discipline specialistiche, e

79
alla cristallizzazione della professione dello “scienziato” (un termine utilizzato per la prima volta
nel 1833).

Per quanto riguarda il XIX secolo un momento di particolare interesse è la riforma dei percorsi
educativi realizzata in Prussia da Wilhelm von Humboldt (1810), il quale introdusse in ambito
universitario numerose materie di carattere scientifico garantendo in tal modo un ampia libertà di
insegnamento e di ricerca; successivamente, nella seconda metà del secolo il modello prussiano è
andato diffondendosi sia in Europa che in America, e nel suo insieme questo periodo va ricordato
anche per la nascita dei primi grandi laboratori di ricerca applicata (istituti e politecnici con
attività legate a processi di carattere industriale), e per lo sviluppo del “sistema dipartimentale”,
cioè, la strutturazione di ambiti disciplinari diversi in funzione della costituzione di un sistema
organizzativo capace di comprendere vari gruppi di ricercatori specializzati.

Il coinvolgimento dei governi e delle aziende private rappresenta un altro passaggio importante
nella storia che caratterizza il “nuovo sviluppo della scienza”, ed è in particolare nel XX secolo,
con l‟esperienza della IIª guerra mondiale, che convergono una certa varietà di interessi
economici, organizzativi, ed intellettuali, nel suo insieme un qualcosa che ha portato il rapporto
tra scienza, tecnologia, potere politico, ed economia, ad assumere nuove forme.

L‟aumento dell‟importanza del ruolo svolto dalla tecnologia caratterizza invece gli ambiti della
ricerca scientifica nell‟esperienza contemporanea, e questo è l‟esempio degli impianti per
l‟accelerazione delle particelle nella fisica nucleare, oppure quello dei calcolatori per lo studio
della mappatura genetica nelle ricerche che riguardano la biologia; in questo senso, oltre al
problema legato alla necessità di poter contare su risorse sempre più importanti, il dibattito a
questo livello riguarda la possibilità di considerare l‟esperienza di oggi nei termini di una
“seconda rivoluzione scientifica”, anche in relazione all‟intreccio tra ricerca pubblica e privata,
quindi, alla diffusione di concezioni privatistiche ed economicizzate della proprietà intellettuale
(stretto rapporto tra governi, industria, ed università). Su questo piano del discorso autori come
Nowotny, Scott, e Gibbons (2001), considerano che l‟attività scientifica degli ultimi decenni è
maturata entro un quadro caratterizzato da profonde mutazioni delle modalità di produzione del
sapere, ed in particolare per la tendenza a diffondersi di una serie di settori di carattere
“industriale” come la biochimica, l‟informatica, e l‟elettronica, questo con dei risultati che hanno
visto aumentare le pressioni di carattere economico esercitate sull‟attività scientifica stessa.

Nel complesso emerge dunque una situazione per la quale le fasi più avanzate dello sviluppo
scientifico coinvolgono maggiormente gli ambiti della ricerca privata, anche secondo delle
dinamiche che tendono ad inglobare le attività degli istituti pubblici e delle università;
quest‟ultime, ad esempio, dimostrano spesso di essere aperte al sostegno del finanziamento
privato, ed al riguardo sono in molti che sollevano critiche per ciò che riguarda il coinvolgimento
nella brevettazione e lo sfruttamento commerciale dei risultati ottenuti con la ricerca realizzata
con fondi pubblici. Seguendo queste traiettorie dello sviluppo del sapere scientifico è stato
inoltre evidenziato come gli esiti di questo genere di trasformazioni nelle modalità di gestione
della conoscenza abbiano portato in seno alle università, alla creazione di spazi dedicati per vere
e proprie imprese di carattere commerciale, peraltro, incoraggiate da quelle politiche di governo
che enfatizzano il ruolo della competizione economica.

80
L‟interesse complessivo nei confronti della scienza è quindi aumentato, e per quanto riguarda i
“poteri pubblici” sembra di particolare rilevanza la questione dei riflessi sociali sviluppati
dall‟innovazione tecnologica in relazione alla necessità di elaborare nuove politiche (es. energia,
sanità, trasporti, ecc.). Sulla base di questo genere di argomentazioni emergono i tratti di una
realtà dove la “scienza” esercita in concreto una certa “attività regolatrice”, ed in relazione a
questo, la figura dello scienziato, almeno in alcune circostanze, tende a sovrapporsi a quella del
“consulente politico”, nello specifico, nel momento in cui lo scienziato si dimostra più
interessato a sviluppare delle linee di ricerca orientate a legittimare un certo ordine delle cose
(magari sulla base di elementi incerti), piuttosto che produrre dei risultati qualitativamente
rilevanti sotto il profilo scientifico.

Un esempio significativo delle caratteristiche che possono assumere in tal senso le relazioni tra
scienza e potere politico è dato dalle vicende che riguardano gli OGM (organismi geneticamente
modificati), dove, se da un lato sorge il problema della tracciabilità in relazione all‟inserimento
accidentale nella catena produttiva, dall‟altro, si pone la questione dell‟urgenza di regolamentare
un settore sottoposto a forti tensioni15; nel suo insieme una situazione problematica che ha
portato la normativa europea a considerare gli alimenti come privi di sostanze geneticamente
modificate, purché in essi non venga superata una data percentuale.

L‟intreccio tra scienza, tecnologia, politica, e business, porta così a sviluppare quella che autori
come Nowotny (2000), definiscono nei termini di una situazione in cui gli esperti si trovano a
dover rispondere a domande che riguardano ambiti non hanno scelto, e a parlare di questioni che
trascendono le loro competenze, in altri termini, una trasformazione del ruolo istituzionale della
scienza che chiama in causa la mutazione delle modalità con cui viene sviluppata l‟attività di
ricerca, una questione che a pieno titolo riguarda le problematiche che gravano oggi sulle
condizioni della “crisi ambientale”, e che necessiterebbe innanzitutto di una seria riflessione
sulle prospettive della conoscenza.

Conoscenza scientifica come conoscenza sociale


Nell‟affrontare le questioni che riguardano le forme di conoscenza, il dibattito sulla produzione
del sapere vede tradizionalmente contrapposti i “positivisti”, sostenitori dell‟eccezionalismo
cognitivo, secondo i quali la conoscenza è legata alla verificabilità delle teorie (esperimento
come base scientifica della conoscenza), e gli “empirici”, quindi, l‟idea della possibilità di
sviluppare un sapere razionale direttamente dall‟esperienza (origine sociale della conoscenza);
questa contrapposizione, oltre a chiamare in causa figure storiche come Bacon, Galilei,

15
Alcune della attività dell‟European Food Safety Authority (EFSA) possono offrire in tal senso degli
importanti spunti di riflessione, nello specifico, le critiche sollevate a questa Agenzia nel novembre 2012 dal
gruppo dei Verdi al Parlamento Europeo (Greens/EFA), circa gli studi condotti sugli effetti per la salute del
mais geneticamente modificato NK 603, e dell‟erbicida ad esso associato: gli scienziati dell‟EFSA avrebbero
in un primo tempo espresso parere negativo in merito all‟utilizzo del prodotto EFSA Journal
2012;10(10):2910 , per poi riconsiderare la questione secondo delle modalità che, pur senza aggiungere o
modificare alcunché al rapporto precedente vedevano mutare l‟esito dello studio, questo, evidenziando delle
condizioni per le quali verrebbero escluse le necessità legate ad una prosecuzione degli studi a lungo termine
EFSA Journal 2012;10(11):2986 ; complessivamente, una situazione per la quale è possibile esprimere dei
dubbi in merito all‟esistenza di un possibile conflitto d‟interesse tra gli scienziati dell‟EFSA e l‟industria
produttrice del mais NK 603, quindi, sulla credibilità della stessa Agenzia per la sicurezza alimentare.

81
Descartes, porta l‟attenzione sui filosofi del XX secolo, quindi sul pensiero di autori come
Husserl, Heidegger, Gadamer, ma al tempo stesso coinvolge anche il pensiero sociologico
classico; Marx16, ad esempio, sostiene che solo l‟analisi empirica permette di contrastare la
“falsa coscienza”, cioè, quell‟ideologia che permette di rappresentare una realtà condizionata
dagli interessi di classe come se questa fosse obiettiva (Unterbau e Überbau).

Per quanto riguarda Comte17 va invece rilevata l‟idea di una “razionalità scientifica” intesa come
uno strumento che permette alla società di allontanarsi dalle credenze erronee, ed in riferimento a
Pareto18 emerge una concezione della “logica” intesa come il frutto della conoscenza scientifica
sperimentale, una condizione che nella società risulterebbe minoritaria rispetto agli istinti
cristallizzati nell‟ambito delle tradizioni culturali, le quali troverebbero modo di essere
razionalizzate nel corso del tempo.

Portando poi l‟attenzione sul pensiero Durkheim19, gli ambiti della scienza (ad esempio: lo
spazio ed il tempo), acquisterebbero caratteristiche di stabilità in quanto legati a delle forme di
conoscenza superiore, tuttavia, ciò dipenderebbe dalle modalità con cui è costruita ed organizzata
una società; invece, per quanto riguarda il pensiero di Mannheim20, va evidenziata la tendenza a
considerare il caso specifico della “scienza” come qualcosa di indipendente rispetto alle
influenze delle condizioni storiche e sociali, questo, in forza dell‟elevato grado di razionalità.

Weber21 considera inoltre quanto sia importante la possibilità di controllare i nessi causali tra una
serie di elementi, quindi il fatto di concepire le forme di conoscenza in senso “posizionale”, e

16
Marx (1818-1883), sviluppa una teoria di sistema che concepisce il cambiamento come qualcosa di legato
essenzialmente agli elementi interni al sistema stesso, o meglio, alle sue contraddizioni. Nel complesso, il
suo modello è fondato sul capitalismo e sulle sue necessità, quindi, sull‟esigenza del “sistema” di riprodurre
e legittimare una serie di disuguaglianze economiche e sociali.

17
Tra i principali esponenti del positivismo francese, Comte (1798-1857), cercò di sviluppare una sociologia
fondata sul metodo delle scienza naturali, questo, nel tentativo di dare avvio ad una sorta di rivoluzione
scientifica anche nelle scienze politiche e sociali. Cercando di accreditarsi come il fondatore della sociologia,
egli elaborò la “teoria dei tre stadi”, secondo la quale le società evolverebbero partendo dallo stadio militare,
in direzione di uno stadio legalistico, per poi passare a quello industriale.
18
Esponente della sociologia italiana del primo „900, Pareto (1848-1923) identifica come origine delle
credenze e dei valori (elementi che, nel loro insieme, egli definisce come “derivazioni”), una serie di stati
affettivi e di sentimenti residui, i quali, permetterebbero di dare un “senso razionale” ad un dato istinto.

19
Nel complesso Durkheim (1858-1917), elabora dei modelli portando l‟attenzione sui “vincoli morali” che
caratterizzano una data società, quindi, da un lato sulle caratteristiche che riguardano i vari processi di
differenziazione, e dall‟altro su ciò che riguarda le rappresentazioni collettive, ed il simbolismo sociale.
20
Allievo di Max Weber, Mannheim cercò di promuovere una sociologia intesa come un sapere in grado di
spiegare l‟origine della varie forme di conoscenza, quindi, le condizioni sociali che ne consentono lo sviluppo.

21
Un punto fondamentale del pensiero di Max Weber (1864-1920), è rappresentato dal fatto di porre
l‟accento sui “valori” che caratterizzano un certo agire sociale; in tal senso è possibile, ad esempio,
considerare l‟influenza del pensiero ellenistico sul cristianesimo, oppure il ruolo della “sensibilità” sulle forme
produttive e descrittive dell‟arte, fino ad arrivare al peso degli orientamenti religiosi sulla stratificazione
sociale.

82
sulla stessa linea Simmel 22, il quale rileva come la variabilità delle categorie del sapere possa
portare ad esprimersi in relazione a determinati “criteri di utilità”.

Nel complesso, così come nella filosofia, il dibattito sociologico sulle forme di produzione del
sapere si caratterizza per una dicotomia che vede, da un lato una forte dipendenza dei processi
cognitivi dalle collettività sociali, e dall‟altro delle forme di “conoscenza oggettiva” fondate sul
sapere che caratterizza le scienze naturali e matematiche. E‟ sulla base di questa
contrapposizione che ha trovato modo di svilupparsi la “sociologia della scienza”, una disciplina
che ha prodotto i suoi primi lavori già negli anni ‟30-‟40 del 900, ma che ha trovato modo di
consolidarsi in ambito accademico soltanto in un periodo successivo (anni ‟70), questo, sulla
base del crescente interesse degli studiosi nei confronti delle influenze sviluppate dalla scienza
nei confronti della politica, dell‟economia, della società.

In questo senso, nell‟intento di evidenziare gli aspetti organizzativi dell‟attività scientifica,


Robert Merton 23 (1942), ha considerato una struttura normativa articolata in quattro principi:

universalismo (rilevanza delle affermazioni scientifiche rispetto alle condizioni di chi le


pronuncia);
comunitarismo (diffusione dei risultati delle ricerche);
disinteresse personale (interesse economico subordinato al progresso della conoscenza);
dubbio sistematico (esame della comunità scientifica come momento validante dei
risultati della ricerca).

Successivamente sono stati elaborati anche degli impianti concettuali più lontani dall‟immagine
tradizionale della scienza, ed in tal senso Mitroff (1974), ad esempio, considera come base della
scienza dei principi ben diversi rispetto a quelli evidenziati da Merton, nello specifico:

particolarismo (riferito all‟appartenenza sociale e professionale degli scienziati);


individualismo (in relazione ai diritti di proprietà che tutelano i risultati delle ricerche);
interesse (sia di carattere personale, sia relativo ad un determinato gruppo di studio);
dogmatismo organizzativo (estrema fiducia sul proprio lavoro, e perplessità sul lavoro
eseguito da altri).

In ogni caso, indipendentemente dai principi considerati come base di una determinata “prassi
scientifica”, va preso atto che gli scienziati possono trovarsi nelle condizioni di dover adattarsi ai
criteri che caratterizzano il modo di operare di una data comunità scientifica, questo, senza

22
Similmente a Weber anche Simmel (1855-1936), riconosce l‟importanza dell‟influenza reciproca tra idee e
società, tuttavia, egli porta l‟attenzione sul fenomeno dell‟oggettivazione dei valori, un fenomeno che
contribuirebbe allo sviluppo di “forme” di sensibilità verso gli aspetti della vita che possono essere calcolati e
quantificati.
23
Merton è tra i sociologi più rappresentativi del funzionalismo, ed in tal senso va ricordato un suo lavoro del
1938 sul rapporto tra protestantesimo e sviluppo della scienza nell‟Inghilterra del XVIII secolo, un lavoro
nell‟ambito del quale viene evidenziata l‟influenza delle condizioni storiche e sociali sui processi di
istituzionalizzazione del sapere (connessione della struttura sociale ai meccanismi cognitivi).

83
considerare quelle modalità che regolano gli altri ambiti sociali con i quali essi devono
comunque confrontarsi, quindi, quelle situazioni che riguardano un insieme di differenze nella
possibilità di accedere a determinate risorse.

Un momento particolarmente significativo per lo sviluppo del dibattito che riguarda il problema
delle influenze esercitate sulla conoscenza scientifica, è rappresentato dall‟introduzione della
nozione di paradigma (Thomas Kuhn, 1962), ovvero, dalla messa in discussione della
cumulatività del sapere scientifico. In questo senso va precisato che un paradigma
rappresenterebbe non soltanto un approccio teorico ad una determinata questione, bensì, un
insieme di pratiche, riferimenti, ed idee, quindi, un insieme più o meno standardizzato di
procedure che, almeno secondo il parere di alcuni studiosi, può portare a respingere o
sottovalutare tutti quei dati che appaiono in contrasto con delle convinzioni consolidate.

Nell‟intento di dimostrare come la conoscenza scientifica sia in realtà legata agli interessi degli
scienziati, nel corso degli anni ‟70 è stato avviato un filone di studi (Sociology of Scientific
Knowledge), nell‟ambito del quale è emersa una situazione per la quale gli scienziati avrebbero
in realtà sia degli interessi di carattere professionale, ad esempio in termini di prestigio e
riconoscimenti economici, sia di carattere sociale, cioè riferiti a questioni che coinvolgono gli
aspetti culturali e più in generale le caratteristiche del contesto in cui essi si trovano ad operare;
complessivamente, una situazione per la quale sarebbe la “dimensione sociale” ad esercitare
influenze capaci di prestrutturare l‟atteggiamento degli studiosi. In altri termini, i risultati di una
ricerca verrebbero interpretati con una certa flessibilità in funzione di fattori extrascientifici, ad
esempio, del prestigio del ricercatore o dell‟istituzione in cui è stata sviluppata la ricerca stessa,
oppure, in base a degli accordi più o meno informali tra appartenenti alla comunità scientifica
(imprescindibilità degli eventi scientifici dai fattori sociali). Il carattere sociale della conoscenza
scientifica emerge anche a livello degli studi sul lavoro nei laboratori, ed in riguardo può essere
interessante osservare come in questi casi il sapere appare spesso come qualcosa di legato ad una
serie di processi di negoziazione di carattere contingente, ad esempio, alla tipologia della
strumentazione impiegata, al livello delle competenze del personale coinvolto nella ricerca, ed
alla disponibilità finanziaria, nel loro insieme dei fattori ben lontani rispetto ad un logico
processo di accertamento dei fatti.

Alcuni autori, ad esempio Latur (1984), considerano i processi di produzione della conoscenza
scientifica secondo una prospettiva diversa, e nello specifico portano l‟attenzione, oltre che sulle
relazioni tra gli ambiti del sociale e la tecnologia, sul ruolo svolto dalla natura; questo per dire
che, se da un lato un laboratorio rappresenterebbe un luogo che permette di creare legami nuovi
tra mondo bio-fisico ed umanità, dall‟altro, sarebbe il dualismo tra natura e società a
rappresentare un artificio moderno. Latur (1991), evidenzia i limiti di questa separazione
prendendo come riferimento i risultati dell‟azione umana sul mondo fisico e la proliferazione dei
“quasi-oggetti” al di fuori del laboratori (es. gli organismi geneticamente modificati), quindi,
l‟evidenza che il naturale ed il sociale non possono essere tenuti separati.

Il problema sarebbe dunque rappresentato dalla difficoltà di tracciare una demarcazione del
confine (boundary work), sia per ciò che riguarda la distinzione tra ciò che è “scienza” e ciò che
invece è “società” nell‟ambito dei processi di costruzione del sapere, sia in relazione ai campi
specifici della varie discipline, comprese le linee che separano le diverse prospettive teoriche

84
nell‟ambito della medesima disciplina. La questione della demarcazione appare interessante
anche per via del fatto che tale concetto può essere utilizzato non soltanto per evidenziare una
condizione di separazione, ma anche per dare risalto ad un momento nel quale si pongono in
relazione ambiti caratterizzati da culture e da interessi diversi. Gli oggetti di confine (boundary
object), cioè quei materiali che possono essere interpretati in modo diverso in base alla natura dei
soggetti che partecipano ad un determinato progetto, ma che conservano comunque una serie di
significati condivisi (es. testi, mappe, ed idee), assumono in tal senso una certa importanza, e nel
concreto l‟idea di “virus”, ad esempio, indica al tempo stesso: un entità da studiare, dei farmaci
da produrre, delle terapie a cui essere sottoposti, dei reparti da organizzare.

Il rapporto tra scienza e società


Nell‟ambito dei problemi che caratterizzano la questione ambientale (es. energia nucleare,
prodotti transgenici, cambiamento climatico, ecc.), il fatto di portare l‟attenzione sul rapporto tra
scienza e società permette, anche in questo caso di rilevare una contrapposizione, nello specifico
tra un atteggiamento più tradizionale nell‟avvicinarsi ai problemi che di volta in volta si pongono
(eccezionalismo cognitivo), e la prospettiva critica.

Nel primo caso un esempio tangibile è rappresentato dall‟atteggiamento dell‟Unione Europea, la


quale, con la cosìdetta “strategia di Lisbona” (varata nel 2000), fissa degli obiettivi che
attribuiscono alla scienza e alla tecnologia un ruolo fondamentale per l‟economia, e più in
generale per il funzionamento della società. A questo livello, sono le competenze di carattere
specialistico a spingere in direzione della competitività, ma considerando che società e ricerca
scientifica appaiono come dei sistemi strettamente correlati, diventa necessario portare
l‟attenzione su quelle traiettorie che permettono nel concreto di realizzare un processo di
“creazione della ricchezza”, quindi, sulle dinamiche pensate e sviluppate dai vari policy makers,
e su come queste vengano recepite.

In generale emerge dunque l‟esigenza di comprendere l‟idea pubblica della scienza, ed in tal
senso sono state avviate delle ricerche (Royal Society, 1985 - Durant, 1999), che evidenziano
delle condizioni per le quali nella società, pur in presenza di un certo interesse per le
problematiche di carattere scientifico, il livello complessivo di conoscenza risulterebbe
comunque relativamente modesto, in altri termini, gli individui tenderebbero a non capire il ruolo
della scienza e dell‟innovazione tecnologica (deficit della comprensione pubblica della
scienza)24, e sarebbero portati ad esprimere atteggiamenti caratterizzati, da un lato da una certa
diffidenza, e dall‟altro, da un eccesso di aspettative. Alla base di questo modello esplicativo del
modo di concepire la scienza, risiedono un idea “diffusionista” della comunicazione scientifica
ed una concezione del pubblico come qualcosa di tendenzialmente passivo e relativamente

24
La questione della conoscenza in merito ai problemi di carattere scientifico, e più in generale il discorso
del rapporto tra scienza e società, trova in un recente sondaggio dell‟ISPO alcuni importanti spunti di
riflessione (ricerca ISPO: italiani e OGM - novembre 2012); in questo senso, emerge come la conoscenza
complessiva dei prodotti transgenici risulti piuttosto bassa, anche per ciò che riguarda gli aspetti normativi;
inoltre, pur riconoscendo una certa proporzionalità tra il livello di conoscenza degli OGM e il titolo di studio,
viene rilevato che la diffusione della conoscenza nella materia specifica in Italia risulterebbe insufficiente,
almeno in relazione al fatto che soltanto una minima parte della popolazione sarebbe stata esposta ad
informazioni al riguardo.

85
omogeneo, ed in relazione a questo viene data una certa importanza a coloro i quali avrebbero il
compito di tradurre e diffondere quei contenuti scientifici caratterizzati da una certa complessità
(i “divulgatori”). In questo senso, risultano dunque cruciali le modalità di selezione e di
presentazione delle informazioni (agenda setting), quindi, l‟influenza esercitata sul pubblico in
relazione ad un dato problema. 25

Diversamente rispetto alla visione tradizionale del rapporto tra scienza e pubblico il pensiero di
autori come Irwing (1985), cioè l‟idea di un modello che considera il problema della
comprensione degli argomenti scientifici in relazione all‟utilità percepita dal pubblico stesso
entro gli ambiti del proprio contesto sociale. In un certo senso questo è il problema della
rilevanza della scienza sul piano delle preoccupazioni quotidiane, ad esempio, per quanto
riguarda la percezione del rischio concreto per la salute nelle zone industriali, al di là dei dati
numerici.

25
In merito all‟influenza esercitata dai media sul “pubblico” può essere utile ricordare che a partire dagli
anni 70-80 del secolo scorso, gli studi sulle comunicazioni di massa realizzati in Europa e negli Stati Uniti
hanno evidenziato dei rischi di lungo periodo, quindi degli effetti indiretti e cumulativi dei media (i cosìdetti
“effetti forti dei media”); questi studi tendono nel loro insieme a rivalutare gli esiti delle ricerche sulla
comunicazione realizzati a partire dagli anni ‟20 (es. Pubblic Opinion di Walter Lippman, 1922 e Propaganda
Technique in the World War di Harold Lasswell, 1927), e rappresentano una critica nei confronti della “teoria
degli effetti limitati” sviluppata da Lazarsfeld a partire dagli anni ‟40 (The People’s Choice, Lazarsfeld,
Berelson, Gaudet, 1944); complessivamente, vengono messi in discussione i modelli comunicativi che
considerano l‟influenza dei media nei termini del meccanismo S-R (stimolo-risposta), soltanto per ciò che
riguarda gli effetti comportamentali più visibili ed immediati. Il fatto di indagare sugli effetti a lungo termine
viene invece considerato utile per la comprensione di quelle dinamiche che permettono di influenzare il
sistema delle conoscenze degli individui, quindi, il modo di percepire ed interpretare la realtà sociale (effetti
di tipo cognitivo); a questo livello sono stati realizzati degli studi noti come il “nuovo filone delle teorie dei
media”, i quali, nel corso degli anni ‟90 hanno portato ad una concezione dell‟influenza dei mass-media nei
termini di un “influenza negoziata” (Mc Quail, 1994), ovvero, una condizione in cui il potere dei media stessi
verrebbe mediato dal contesto sociale e dalle relazioni interpersonali (Wolf, 1992).

Nell‟ambito del “nuovo filone dei media” inaugurato con il saggio di Noelle Neumann “Return to the Concept
of Powerful Mass Media” (1973), trova collocazione anche la “teoria dell‟agenda setting” (The Agenda Setting
Function of the Mass Media, Mc Combs e Shaw, 1972), la quale, considera il processo di costruzione della
realtà con particolare riferimento all‟informazione di carattere giornalistico; è interessante osservare in
questo senso come Mc Combs e Shaw evidenziano una tendenza del pubblico a dare maggiore importanza
agli eventi a cui i media riservano una certa attenzione, mentre invece tendono ad essere considerati
irrilevanti i contenuti informativi posti in secondo piano: …si tende ad includere o escludere dalle proprie
conoscenze ciò che i media includono o escludono dal proprio contenuto… (Shaw, 1979). Considerando che
l‟influenza dei media viene esercitata attraverso la selezione degli argomenti, la “teoria dell‟agenda setting”
effettua inoltre una distinzione tra due differenti livelli di selezione: l‟ordine del giorno (quindi, gli argomenti
da trattare), e la gerarchia d‟importanza degli argomenti considerati, ed in questo senso, il passaggio in
direzione della riflessione sul processo di costruzione delle notizie (news making), è qualcosa di pressoché
immediato.

Il punto centrale del news making è rappresentato dalla “notiziabilità” (newsworthiness), cioè, dalle logiche
che portano a trasformare gli eventi in notizie. In questi termini, i cosìdetti “valori notizia” rappresentano
una serie di regole pratiche per l‟elaborazione del materiale informativo; tra queste:
rilevanza delle persone o dei paesi coinvolti in un determinato evento,
influenza sull‟interesse nazionale di un determinato avvenimento,
numero di persone coinvolte in un determinato fatto,
possibilità di sviluppi futuri di una data situazione (anche in relazione alla quantità delle informazioni
disponibili),
novità dell‟evento (rottura rispetto alla routine delle cose).

(Saveria Capecchi, L’audience attiva, effetti e usi sociali dei media, Carocci editore, Roma 2004)

86
La questione tende a coinvolgere al riguardo anche la gestione del sapere, quindi quei problemi
rilevabili nelle situazioni pratiche che rendono il sapere stesso difficilmente applicabile, ed in
questo senso basti pensare al caso della BSE (encefalopatia spongiforme, meglio conosciuta
come “il morbo della mucca pazza”), che ha reso le norme previste per la separazione delle parti
pericolose degli animali difficilmente applicabili, a causa del funzionamento concreto dei
processi di lavorazione nei centri di macellazione.

Sempre considerando gli aspetti più pratici della questione, è stato inoltre osservato che, almeno
in relazione a determinati rischi, la precarietà delle condizioni occupazionali, l‟esperienza
pregressa, l‟attaccamento ad un dato contesto sociale, e l‟esistenza di stretti rapporti con le
“istituzioni”, sono elementi che possono contare molto di più rispetto al valore dei dati
scientifici, ed allo stesso modo non andrebbero trascurate quelle situazioni dove l‟informazione
veicolata in relazione a determinati processi scientifici rappresenta un qualcosa che porta a
sviluppare dissenso in seno ad un dato gruppo, o ad una data comunità, questo, in relazione ad un
certo velo d‟ignoranza dietro al quale possono in realtà celarsi degli interessi di natura politica o
quant‟altro.

Altri autori considerano invece il problema del rapporto tra scienza e società secondo la
prospettiva del “modello interattivo” (o democratico), complessivamente, un discorso che vede
le posizioni espresse dagli scienziati in merito ad un dato problema, riflettere determinate visioni
della realtà; in tal senso, gli individui assumerebbero le caratteristiche di “soggetti attivi” capaci
di elaborare in senso critico la conoscenza, esercitando quindi influenza sul processo di sviluppo
scientifico. Emerge a questo livello il problema della “comprensione”, quindi delle capacità
d‟analisi degli individui comuni, una tematica che ha trovato varie modalità di sviluppo; tra
queste risulta interessante l‟idea proposta da Cloître e Shinn (1985), cioè un modello che prende
in considerazione quattro livelli di diffusione della conoscenza:

intraspecialistico (materiale informativo specializzato in un dato settore),


interspecialistico (informazioni che mettono in relazione varie discipline scientifiche),
pedagogico (conoscenza legata ad un sapere di carattere manualistico),
popolare (il sapere riferito alla diffusione dell‟informazione operata dai mass-media).

Considerando la questione della diffusione della conoscenza secondo modalità simili, Latour e
Woolgar (1979) hanno evidenziato anche il fatto che le questioni scientifiche tendono ad
acquisire una certa solidità e ad essere condivise nel momento in cui attraversano i livelli sopra
citati, con un risultato che vede un determinato fatto scientifico allontanarsi dalle affermazioni
che lo riguardano; questo, ad esempio, è il caso del problema che riguarda il cambiamento
climatico, e che ha visto gli scienziati sviluppare un atteggiamento politicizzato che a sua volta a
portato a ridurre la percezione circa la complessità di tale fenomeno, trasformando nel contempo
una serie di eventi in una situazione spesso molto vicina alla catastrofe.

Pubblico e fiducia
Le posizioni più critiche nei confronti degli approcci che, in senso tradizionale, descrivono il
rapporto tra scienza e società, portano l‟attenzione al livello della mancanza di fiducia nei
confronti delle istituzioni che esercitano una funzione regolatrice dell‟attività scientifica, ed in tal
senso i risultati di molte ricerche indicano che la sfiducia appare come qualcosa di legato
87
all‟inaffidabilità del comportamento istituzionale piuttosto che ai problemi di comprensione dei
contenuti dell‟informazione scientifica; in riguardo, è importante osservare come alcune
questioni che rimandano ad un ampia serie di problematiche di carattere scientifico, vengano in
qualche modo collegate dal “pubblico” al comportamento scorretto dell‟autorità e degli esperti;
ancora una volta questo è il caso degli OGM, oppure, ad un altro livello, quello dei farmaci che
nonostante una fase di sperimentazione ritenuta soddisfacente, si sono poi rilevati comunque
pericolosi per la salute.

Secondo Wynne (2006), il problema è legato al fatto che gli argomenti scientifici verrebbero
usati per giustificare delle scelte politiche che, spesso, tendono a favorire esclusivamente gli
interessi economici e l‟industria attraverso dei processi decisionali che escludono ogni possibilità
di un confronto pubblico, e che non considerano le rimostranze sollevate dai cittadini in merito
ad un dato argomento adducendo ad una presunta mancanza di scientificità. La diffidenza della
“società” nei confronti della “scienza”, trova inoltre modo di essere spiegata considerando il fatto
che i conflitti sulle possibilità di utilizzo della tecnologia riguardano anche un insieme di
differenze sistematiche ed istituzionalizzate nella valutazione dei rischi legati all‟innovazione, ed
in tal senso sono state individuate due principali tipologie di errori: i “falsi positivi”, cioè degli
eventi ritenuti erroneamente pericolosi, ed i “falsi negativi”, ovvero il fatto di non riconoscere un
rischio legato ad un dato processo innovativo.

In genere il “pubblico” appare preoccupato in quanto si trova troppo spesso dinnanzi al fatto
compiuto, ed al riguardo una certa disaffezione nei confronti delle istituzioni appare quantomeno
legittima, in particolare quando i problemi scientifici che escono dai circuiti specialistici di
discussione evidenziano l‟incapacità del sapere scientifico di concordare sull‟entità di un dato
fenomeno, e le controversie sul livello di tollerabilità delle sostanze inquinanti presenti nei cibi e
nell‟acqua, oppure, le questioni che riguardano gli effetti legati all‟esposizione ai campi
elettromagnetici dei telefoni cellulari, sono esempi tipici al riguardo.

Andrebbe comunque ricordato che alcune autorità, ad esempio, al livello della Commissione
Europea e della Camera dei Lord, viene ufficialmente riconosciuta la necessità di una maggiore
trasparenza dei processi decisionali, tuttavia si renderebbe allo stesso modo necessario
evidenziare come le modalità di diffusione dell‟informazione, il confronto con i cittadini, ed in
generale le possibilità partecipative, tendano ad essere in qualche modo limitate a preoccupazioni
di carattere etico, quindi, un qualcosa di ben diverso rispetto al ruolo che le istanze dal basso
dovrebbero svolgere (essenza delle problematiche scientifiche come idea della neutralità della
scienza rispetto ai valori); questo, ad esempio, è il caso di quegli eventi nell‟ambito dei quali il
pubblico trova in qualche modo la possibilità di essere rappresentato, senza per questo avere la
possibilità di formulare delle questioni rilevanti circa le implicazioni dei limiti del sapere (es.
Consulte Nazionali, Summit, Conferenze, e più in generale ogni spazio di discussione e di
confronto con l‟autorità scientifica o con le istituzioni).

Ovviamente, il problema della diffusione del sapere non riguarda soltanto l‟esperienza del
rapporto tra scienza e società nell‟era dell‟informazione e della globalizzazione, ed in questo
senso va ricordato che già negli anni ‟30 del 900 la diffusione del sapere seguiva delle logiche
orientate alla semplificazione, spesso, in vista della possibilità di strutturare, quindi, “costruire”
un certo senso comune delle cose.

88
Il rapporto tra scienza e politica
Nel considerare che è in particolare a partire dal XIX secolo che la scienza inizia ad assumere un
ruolo di un certo rilievo, alcuni studiosi hanno elaborato un modello esplicativo denominato
“modello lineare” per evidenziare gli stretti legami tra scienza, industria, economia, e politica, ed
in questo senso il sapere viene concepito come uno spazio fondato sulla ricerca, nel concreto,
come un tentativo di rispondere a determinate necessità di carattere sociale; nel suo insieme
questo modello si è caratterizza per una complessiva capacità esplicativa oggi, così come nel
periodo del secondo dopoguerra, tuttavia presenta dei limiti in relazione al fatto di non
considerare il problema della politicizzazione della scienza. Autori come Pielke (2005),
evidenziano in riguardo come la scienza possa esprimere la capacità di incidere sui processi di
decisione politica fino al punto di arrivare a trasformarne il dibattito, ed è proprio su questo
piano che il discorso sul ruolo degli esperti segna un cambiamento in direzione di quello dei
“decisori” che operano nell‟ambito di forme più o meno indirette di tecnocrazia,
complessivamente, ciò che Pellizzoni (2006) definisce come uno spazio di confronto tra valori ed
interessi che tende a restringersi proporzionalmente all‟aumentare della presunta neutralità delle
argomentazioni tecniche o fattuali; in altri termini, questa rappresenta una messa in discussione
sia dell‟efficacia, sia del disinteresse della ricerca, e lungo questa direttrice è a partire dagli anni
‟90 che sono stati sviluppati vari modelli d‟analisi del rapporto tra scienza e politica, questo
secondo dei criteri che cercano di evidenziare l‟influenza esercitata dalle questioni non
scientifiche sugli ambiti della conoscenza (rilevanza dei processi che coinvolgono le scelte
politiche).

Ambiente e conoscenza sociale


Anche in merito alle problematiche ambientali, la tendenza dominante appare oggi quella della
superiorità delle visioni scientifiche delle cose, ed è partendo dal rilevare questo genere di
evidenze che la sociologia offre la possibilità di riflettere sull‟opportunità di ridefinire i rapporti
tra scienza e società, ed in particolare tra scienza e politica.

Il discorso in questo senso riguarda un tema classico del sapere sociologico, cioè il problema del
conflitto, e a questo livello andrebbe innanzitutto rilevato come la conoscenza tenda, di fatto, a
sollevare conflitti ogni qualvolta emergono dei contrasti tra il livello generale del sapere (livello
astratto, analitico, e sistematico), ed il sapere concreto (fondato essenzialmente sull‟esperienza).

In particolare nell‟ambito di quelle dimensioni caratterizzate da un certo grado di incertezza, ad


esempio in materia di questioni ambientali, per autori come Weale (2001) il nodo critico del
discorso sul sapere riguarda il fatto che nello sviluppo dei processi decisionali entrerebbero in
gioco sia i fattori che riguardano la comprensione generale di determinati processi (es. il
decadimento radioattivo), sia le condizioni specifiche in cui tali processi si realizzano, ed in
genere queste due prospettive che riguardano lo sviluppo del fenomeno vedono l‟expertise
chiamata a rispondere su questioni che rendono difficile ogni scelta; questo è ad esempio il caso
degli interventi negli impianti industriali dove la competenza di chi vi ha lavorato (conoscenza
contestuale), può risultare un fattore capace di garantire maggiore efficacia rispetto alle regole
stabilite dai vari “esperti esterni”. Un aspetto significativo per le questioni che interessano questo
genere di conflitti può essere evidenziato considerando l‟esperienza studiata da Brian Wynne
(1996), in una regione britannica a seguito del fall-out radioattivo dell‟incidente alla centrale

89
nucleare di Chernobyl. In questa circostanza, le ipotesi degli esperti sul decadimento radioattivo
risultarono inesatte pur essendo teoricamente ineccepibili; in breve, il problema era legato alla
mancanza di conoscenza dell‟ambiente specifico, quindi di quei fattori legati alla particolarità del
terreno ed alle abitudini di pascolo del bestiame, nel loro insieme degli aspetti ben noti agli
allevatori della zona, i quali, tuttavia, non vennero presi in considerazione (negazione della
valenza del “sapere profano” come contributo alla conoscenza scientifica).

La questione del rapporto tra scienza e società riguarda in questo senso la necessità di mettere in
relazione delle forme di conoscenza diverse, e di sviluppare adeguati spazi di partecipazione, ma
in questi termini non va dimenticato che il carattere fondamentale di questo rapporto è
rappresentato dall‟incertezza, la quale non va intesa tanto come una mancanza di informazione,
quanto, piuttosto, come una condizione stabile nel processo di produzione della conoscenza, in
un certo senso, una rilevanza immediata di ciò che non si conosce, ed è alla base di questo che
risiede l‟idea della ridefinizione sia delle forme di conoscenza sociale, sia dell‟immagine
tradizionale della scienza.

In relazione al problema dello stoccaggio delle scorie radioattive, Alvin Weinberg già all‟inizio
degli anni „70 definiva come “trans-scienza” quei processi di acquisizione del sapere scientifico
il cui procedere per prove ed errori può comportare conseguenze catastrofiche, questo in
relazione al fatto che gli esperimenti condotti non possono essere confinati e controllati in un
ambiente artificiale di laboratorio ma trovano modo di svilupparsi nel mondo reale; allo stesso
modo il problema riguarda oggi anche le questioni come le interazioni tra il “mondo naturale” e
gli organismi geneticamente modificati, oppure il problema dell‟effetto serra. Funtowicz e
Ravetz (1993), considerano in questo senso come l‟esplorazione del mondo bio-fisico richieda
oggi dei processi sempre più interattivi a causa della moltiplicazione degli effetti imprevisti, nel
suo insieme una fase dello sviluppo scientifico caratterizzata, tra l‟altro, da fatti incerti, da valori
in conflitto, e da decisioni dettate dall‟urgenza (caratteristiche della scienza post-normale).

Diversamente da un passato nel quale veniva chiesto al sapere tecnico-scientifico di intervenire a


livello di sistemi relativamente semplici, la nuova fase della prassi scientifica, quindi quei
processi che riguardano le possibilità di controllo della natura, oltre a lasciare un margine minore
alla reversibilità, si caratterizzano anche per un incertezza legata all‟aumento della complessità
(relazioni non lineari tra gli elementi di un sistema), ed in tal senso le variabili in gioco risultano
complessivamente poco controllabili.

Sulla base di queste considerazioni il discorso diventa quello di una situazione per la quale, sotto
il profilo epistemologico l‟incertezza porta i fatti ad essere discutibili e non completamente
verificabili, caratterizzati anche da un intima connessione tra incertezze cognitive ed etiche;
questo, ad esempio, è il caso degli esperimenti a cielo aperto come quelli degli OGM e dei campi
elettromagnetici dei telefoni cellulari, delle situazioni che, se da un lato hanno portato alla
partecipazione involontaria di esseri umani e di altre specie viventi, dall‟altro, hanno trovato
degli esiti caratterizzati da un conflitto sui valori, sulle priorità degli obiettivi, sul rapporto tra
rischi e benefici, ecc.

Emergerebbe in questo senso la necessità di un allargamento della discussione sulle questioni


scientifiche, quindi l‟estensione del discorso all‟intera collettività, in altri termini un

90
cambiamento in direzione di quelle condizioni capaci di portare la conoscenza a livello locale a
modellare i processi di formazione delle scelte politiche. In ogni caso va osservato che uno
sviluppo in questa direzione anche se permette di soddisfare determinate esigenze, presenta
comunque alcune problematicità e non implica la necessaria risoluzione del conflitto. La
discussione che ha caratterizzato la ricerca sull‟AIDS, ad esempio, può fornire alcuni spunti di
riflessione circa lo sviluppo di una serie di relazioni vincolanti tra scienziati, case farmaceutiche,
malati, ospedali, giornalisti, e quant‟altro, con degli esiti che hanno visto rinsaldare l‟autorità del
sapere scientifico, ma confermare al tempo stesso una certa frammentarietà della conoscenza,
quindi, un rinvio al futuro di ogni eventuale certezza.

Il cambiamento climatico è un altra delle questioni che evidenziano quanto spossa essere
necessario considerare la possibilità di allargare lo spazio della discussione, ed in tal senso Zehr
(2000), osserva che le questioni dell‟incertezza scientifica hanno finito con lo sviluppare una
certa “gerarchia sociale” che ha lasciato al pubblico uno spazio molto limitato nella produzione
del sapere, questo per dire che, l‟incertezza ha in questo caso permesso di salvaguardare le
posizioni dell‟autorità scientifica a svantaggio della possibilità di uno sviluppo più autorevole
delle forme di conoscenza.

Epidemiologia popolare e science shops


Risulta fin troppo spesso evidente come l‟esigenza di una maggiore sicurezza nei confronti di un
certo livello di rischio venga in concreto trascurata da coloro che gestiscono, in generale, gli
spazi materiali e sociali, e generalmente la causa di questo risiede nel fatto che non verrebbero
considerati degli adeguati dati scientifici in relazione ai danni alla salute o all‟ambiente.

Per contro, le preoccupazioni degli individui vengono considerate come il frutto dell‟emotività e
della cattiva informazione, e paradossalmente la validazione scientifica giunge spesso soltanto
quando i segnali di pericolo si trasformano in sindromi conclamate e in danni diffusi. E‟ sulla
base di questo genere di esperienze che nasce il fenomeno dell‟epidemiologia popolare, cioè
l‟attivazione di individui e di gruppi in direzione di qualcosa che va ad aggiungersi alla protesta,
e che si caratterizza per un processo di raccolta e di elaborazione delle informazioni nell‟intento
di far emergere quei problemi che non vengono riconosciuti come tali dagli esperti e
dall‟autorità.

In altri termini il concetto di epidemiologia popolare descrive un processo finalizzato a rilevare


una serie di elementi, basandosi su delle prospettive diverse rispetto a quelle considerate dalle
“versioni ufficiali”, ed in tal senso il discorso riguarda quelle forme di conoscenza fondate
sull‟esperienza concreta, delle forme che possono arrivare anche a precedere la consapevolezza
ufficiale, quindi il riconoscimento scientifico circa le dinamiche di un dato fenomeno. A questo
livello assumono rilevanza fattori come la struttura sociale intesa come un elemento causale di
disagio, le connessioni tra le malattie e l‟esposizione ad un determinato fattore di rischio, le
conseguenze inattese di determinati eventi, e cosa non meno importante i racconti concreti degli
individui che hanno vissuto determinate esperienze; portando poi l‟attenzione sui processi in
grado di sviluppare un expertise locale, è rilevante il contributo dei “science shops”, cioè di
quelle strutture poste all‟interno delle università o di altri istituti di ricerca, che offrono delle
informazioni scientifiche su problematiche di vario genere (es. l‟impatto ambientale di un piano

91
di sviluppo turistico), questo, con particolare riguardo alle necessità conoscitive di quei soggetti
privi di mezzi ed orientati da logiche di carattere non commerciale.

I “science shops” vedono in un paese come l‟Olanda un esperienza avviata già negli ‟70, ed allo
stesso modo in altre regioni europee queste iniziative possono contare su qualche decennio di
sperimentazione, tuttavia in Italia sono pressoché sconosciuti; questo, purtroppo, sembra essere
uno dei tratti che culturalmente caratterizzano l‟atteggiamento complessivo del Paese nei
confronti della necessità di promuovere la diffusione della conoscenza, in particolare nelle sue
forme più locali e contestualizzate.

Conclusioni
Nell‟ambito delle trasformazioni indotte dalla modernità, il ruolo del sapere tecnico-scientifico è
rilevante, ed in tal senso l‟analisi sociologica evidenzia la necessità di porsi in maniera critica nei
confronti di quegli atteggiamenti che, in generale, negano l‟esigenza di un discorso capace di
sviluppare soluzioni alternative.

In merito alle problematiche che caratterizzano la crisi ambientale, in particolare per ciò che
riguarda le questioni caratterizzate da una certa complessità, le autorità tecnico-scientifiche
sembrano avere qualche difficoltà nella pretesa di mantenere il monopolio della conoscenza, in
altri termini, ciò che Vandana Shiva (1993) definisce come una monocultura della mente. La ri-
eticizzazione della scienza, e la compartecipazione alla produzione della conoscenza appaiono in
tal senso condizioni necessarie, questo anche in relazione a quel certo livello di “ignoranza
scientifica” che, almeno in alcuni casi, sembra aver portato ad errate valutazioni del rischio
nell‟ambito di determinati processi di innovazione.

Quando l‟intervento sulla natura rappresenta un qualcosa di legato essenzialmente a delle


esigenze commerciali, considerare i processi di produzione della conoscenza vuol dire anche, ed
in particolare, portare l‟attenzione sul piano delle responsabilità, ed in questo senso può essere
utile ricordare l‟esperienza di quegli eventi dove si è reso necessaria una definizione processuale
della conoscenza scientifica a fronte dei danni causati. Il caso del Petrolchimico di Porto
Marghera, ad esempio, appare emblematico: legislazione e giurisprudenza hanno stabilito che
l‟innovazione non può farsi carico dei rischi imprevedibili, i quali, vanno invece sopportati dalla
collettività che dall‟innovazione trae un determinato vantaggio, questo, senza che la comunità
interessata possa avere lo spazio per esprimersi in merito alle decisioni assunte dall‟innovatore.

In questo senso possono risultare interessanti le riflessioni di autori come Wynne (2006), il quale
osserva che l‟ignoranza scientifica appare come un qualcosa di privo dello status legale o morale
in relazione alle responsabilità per l‟intervento sulla natura, quindi, se al momento della
valutazione di un rischio legato ad un processo innovativo non esistevano particolari dubbi
scientifici in relazione ad un determinato problema, la responsabilità umana per gli effetti inattesi
è da considerarsi inesistente.

Dopo questo genere di considerazioni, oltre ad osservare che la libertà di ricerca rappresenta un
ambito caratterizzato da una certa fragilità a causa dell‟aumento delle pressioni sociali, è
importante rilevare che sia gli “esperti”, sia i gruppi di cittadini che rappresentano le comunità

92
esposte ai rischi ambientali hanno sviluppato la tendenza a differenziarsi in relazione a molteplici
aspetti, ad esempio, per ciò che riguarda i valori di riferimento, il livello di conoscenza
disponibile, e la natura degli interessi di cui sono portatori; in particolare per ciò che riguarda le
comunità scientifiche, andrebbe poi ricordato che la questione del sapere appare sempre più
vincolata alle caratteristiche assunte da un certo insieme di relazioni, nello specifico, i rapporti
tra interessi politici ed economici, e quelli sviluppati a livello della società civile.

Nel complesso, uno dei pregi maggiori dell‟analisi sociologica della scienza e della tecnologia, è
quello di aver evidenziato che la concezione classica della ricerca scientifica, quindi, l‟idea di
qualcosa di puro e disinteressato, è in concreto un qualcosa di poco adatto al mondo
contemporaneo, caratterizzato invece da fenomeni come la corruzione, l‟incompetenza, e dal
dominio del denaro e del potere politico.

In merito alle questioni ambientali la sfida per il futuro chiama in causa delle esigenze
apparentemente contrastanti che vedono, da un lato le necessità di una ricerca sottoposta a
discussione pubblica ma che nel contempo ha l‟esigenza di muoversi autonomamente, e
dall‟altro, quei bisogni legati alla ridefinizione del modo di operare degli scienziati in direzione
di un maggior rigore sul piano del metodo, quindi, l‟urgenza di sviluppare una maggiore capacità
di dialogo con la società e i saperi in essa diffusi.

93
AMBIENTE E SVILUPPO ECONOMICO

In questo capitolo Osti e Pellizzoni considerano la prospettiva che riguarda i rapporti che
intercorrono tra ambiente ed economia, ed in tal senso, se da un lato l‟attenzione va portata al
livello delle modalità di utilizzo delle risorse naturali, dall‟altro, diventano rilevanti le questioni
che interessano l‟analisi dei costi ambientali che l‟intera collettività è chiamata a sostenere; in
questo senso, entrano in gioco quei fattori che riguardano gli orientamenti di consumo e
l‟insieme delle scelte politiche legate alla gestione dei rapporti economico-sociali.

L‟approccio sociologico considera innanzitutto il fatto che la produzione e la distribuzione dei


beni trovano modo di realizzarsi nell‟ambito di un determinato contesto sociale, ed in relazione a
questo sono le dinamiche che caratterizzano le interazioni tra individui ed istituzioni a
condizionare le modalità con cui la tecnologia viene utilizzata nello sfruttamento delle risorse
ambientali (interferenze nell‟uso razionale delle risorse); per comprendere come nell‟ambito
delle relazioni tra uomo e natura abbia potuto innescarsi la crisi ambientale, un punto di partenza
è dunque rappresentato dall‟analisi del mercato.

Razionalità e questioni ambientali


Secondo la visione economica neo-classica, il valore dei beni si determina in relazione alla legge
della domanda e dell‟offerta, quindi, in base al rapporto tra le proprie possibilità, e il desiderio di
disporre di determinati beni; in tal senso, va rilevato che il valore di un bene è dato non tanto dal
“lavoro”, quanto, piuttosto, dalla sua scarsità relativa.

Importante considerare al riguardo che la trasformazione efficiente delle risorse naturali tende ad
abbassare i costi di produzione, questo con delle conseguenze che si riflettono sulla domanda di
mercato, inoltre, laddove si registreranno dei costi marginali26 che eguagliano l‟utilità
marginale27, si potrà parlare di condizioni di equilibrio che permettono ad un dato sistema
economico di funzionare correttamente.

Interessante osservare che, in simili condizioni non si registrano sprechi di risorse poiché la
domanda e l‟offerta di un dato bene trovano modo di incontrarsi in un mercato in concorrenza
perfetta, cioè delle condizioni dove un dato bene trova un valore che corrisponde alla sua scarsità
relativa; tuttavia, in tal senso va anche rilevato che, nel momento in cui un bene si caratterizza
per una particolare scarsità, finirà con il registrare dei prezzi crescenti fino al suo esaurimento, e
viceversa.

26
Il costo marginale indica il costo di produzione di un ulteriore unità di prodotto da immettere nel mercato;
caratteristica principale di tale costo è la tendenza ad aumentare con l‟aumento della produzione nel lungo
periodo, questo sia a causa della progressiva usura dei mezzi di produzione, sia in relazione al fabbisogno di
tecnologie sempre più sofisticate.

27
L‟utilità marginale esprime il benessere legato alla fruizione dell‟ultima unità consumata di un dato bene o
di un dato servizio; nella teoria economica neo-classica, tale utilità ha caratteristiche decrescenti, nel senso
che, viene considerato come all‟aumentare della disponibilità di un dato bene, il consumatore vedrà
diminuire il bisogno di quella specifica merce, ed in relazione a questo, sarà disposto a pagare un prezzo
inferiore.

94
Considerato questo modello, emergono tre punti critici per ciò che riguarda la questione
ambientale:

la “razionalità” tende a scaricare su altri i costi di produzione e consumo (esternalità);


nelle condizioni di equilibrio di mercato il prezzo di un dato bene non ne rappresenta
pienamente il valore (asimmetrie informative);
le condizioni di mercato non permettono di controllare i limiti di utilizzo dei beni
esauribili in via definitiva (assenza di limiti).

Il problema della razionalità è riferito in particolare al fatto che non vengono considerati gli
effetti secondari dell‟attività primaria (esternalità), quindi i danni alla società in termini di
inquinamento e malattie professionali; al riguardo l‟attenzione va portata sul concetto di
esternalità negativa, cioè quel danno provocato a terzi da un soggetto intento a svolgere la
propria attività, in assenza un precedente accordo che vada a regolare le responsabilità, anche
nell‟ottica risarcitoria. Nel concreto questo è il caso dei processi produttivi che prevedono la
combustione, e che vedono un impresa prelevare a costo zero aria pulita dall‟ambiente
immettendovi sostanze dannose senza considerare la possibilità di risarcire i danni causati,
quindi, il problema dell‟atteggiamento “razionale” dell‟imprenditore che cerca di mantenere
bassi i costi di produzione evitando di installare nelle proprie officine i filtri per la combustione.

Il problema dell‟inquinamento dell‟aria porta in generale a considerare la fruizione dei cosìdetti


“beni pubblici non escludibili”, cioè quei beni non divisibili in singole unità, e dal cui godimento
nessuno può essere escluso; nel caso specifico: tutti possono accedere al “bene-aria” ma risulta
difficile regolarne il consumo, tuttavia, quando l‟utilizzo da parte del singolo tende a raggiungere
quantità elevate è l‟intera comunità a risentirne, ed è in questo senso che il meccanismo di
allocazione dei costi e dei benefici secondo le logiche di mercato dimostra di essere inadeguato.

L‟internalizzazione dei costi esterni grazie all‟intervento dell‟autorità pubblica rappresenta una
delle risposte al problema delle esternalità negative, tuttavia, l‟imposizione di limiti sulle
emissioni di sostanze dannose e l‟applicazione di sanzioni, è una condizione che nell‟economia
di mercato si caratterizza per la tendenza a superare comunque gli standard imposti per legge.

Altro strumento a cui ricorre l‟autorità per cercare di intervenire sugli effetti delle esternalità
negative sono le agevolazioni e i sussidi, e più in generale quelle misure che cercano di portare le
imprese ad agire in maniera spontanea sull‟abbattimento delle sostanze inquinanti (copertura
pubblica dell‟internalizzazione dei costi); sullo stesso piano vanno poi collocate le forme di
regolazione statale rappresentate dalle varie “tasse ambientali”, peraltro caratterizzate da una
certa varietà di forme, e tra queste le tasse sulle immissioni inquinanti e le tasse sui prodotti. In
generale, il meccanismo delle tasse ambientali segue una logica che vedrebbe le imprese con dei
bassi costi di raffinazione dei prodotti di scarto impegnarsi maggiormente nella depurazione,
mentre invece quelle chiamate a sostenere dei costi più elevati verrebbero portate alla
corresponsione delle penalità, in altri termini, un idea della “tassa” non tanto secondo il suo
significato punitivo, quanto, piuttosto, come una modalità che orienta le imprese nel momento in
cui queste sono chiamate a scegliere una determinata combinazione di costi relativi agli
investimenti di carattere tecnologico, e di costi sociali ad essi correlati.

95
Nel considerare le tasse sui prodotti, alcuni autori (es. Roodman 1998), evidenziano il fatto che
queste avrebbero un valore regressivo, cioè colpiscono le fasce di reddito meno elevate; questo, è
ad esempio, il caso dei prodotti energetici come il gas per uso domestico e la benzina, dei
prodotti che nel momento in cui incidono con maggior rilievo nel paniere di spesa delle classi
meno abbienti, fanno assumere alle tasse il significato di qualcosa di poco equo.

Andrebbe inoltre osservato che il tentativo di internalizzare i costi ambientali attraverso


l‟intervento politico è un percorso che presenta alcuni problemi, in particolare per quanto
riguarda i processi di definizione dei rischi per la salute, che a torto o a ragione, sono spesso
oggetto di molte polemiche; per ciò che concerne la disponibilità a sostenere i costi ambientali da
parte dei consumatori, inoltre, non va dimenticato che la “razionalità” tende in genere ad
orientare gli acquisti in funzione del vantaggio del prezzo, quindi a scapito dei prodotti ecologici,
i quali sono più rispettosi nei confronti dell‟ambiente ma si caratterizzano per un costo più
impegnativo. In altri termini, il problema della “razionalità del consumatore” intesa come una
condizione ristretta alla propria utilità, la quale viene considerata esclusivamente nel breve
periodo.

Il fatto di considerare le caratteristiche dei prodotti, permette di sviluppare una riflessione


sociologica alquanto suggestiva, ed in tal senso, oltre a considerare che in generale il sistema
delle etichette, quindi della specificazione delle caratteristiche dei prodotti, rappresenta un
momento informativo importante in quanto è sinonimo di garanzia, il discorso riguarda anche
quella logica che rimanda al senso di appartenenza a determinati gruppi. Questo è il campo della
sociologia dei consumi, ed a questo livello viene evidenziato come un “marchio” possa assumere
sia un significato funzionale legato alla necessità di comunicare uno specifico contenuto, sia un
significato sociale, quindi un segno di appartenenza ad una data classe.

Tra gli studi più significativi del consumo inteso come un “esperienza sociale” vanno ricordati: il
lavoro di Pierre Bourdieu La Distinction: critique social du jugement28, e quello di Mary
Douglas e Baron Isherwood The world of goods 29. Pubblicati nei rispettivi paesi nel 1979, questi
studi portano l‟attenzione sul valore simbolico di un bene nelle scelte di consumo, con
particolare riguardo al ruolo assunto dagli oggetti nei termini dell‟identificazione (oggetto come
elemento rappresentativo dell‟identità).

28
Lo studio di Bourdieu risulta interessante per il fatto di aver portato in evidenza il fenomeno del consumo
secondo delle logiche che riguardano la dimensione inconscia ed interiorizzata, una dimensione che trova
modo di svilupparsi attraverso i processi di socializzazione (riproduzione di determinate rappresentazioni
culturali), ed in tal senso, esisterebbe una logica capace di “strutturare” delle configurazioni sistematiche di
proprietà (stili di vita), e di rendere evidenti ed oggettive le differenze nelle condizioni di classe. Questa
logica viene definita da Bourdieu con il termine “habitus”, cioè un concetto che esprime un principio
unificatore delle scelte e delle pratiche sociali realizzate dall‟individuo, il quale viene in tal modo portato a
concepire le cose come dei simboli caratterizzati da un certo significato.

29
Il lavoro della Douglas e di Isherwood va invece ricordato per l‟approccio antropologico (consumo come
“cultura materiale”); in questo caso i vari oggetti vengono concepiti come dei mezzi che veicolano significati,
ad esempio, norme, credenze, valori, ecc. Il fenomeno del consumo secondo questa prospettiva assume
dunque i tratti di un mezzo per definire una cultura e stabilirne la forma, quindi, di una serie di scelte che, in
generale, rappresentano dei giudizi morali capaci di creare ed esprimere cultura.

96
In questo senso i marchi e le etichette del commercio equo-solidale e quelli dell‟agricoltura
biologica, rappresentano espressioni identitarie che rimandano a determinati valori, quindi a un
insieme di differenze e a specifici presupposti culturali; l‟individuo, nel momento in cui si
accinge a fare delle scelte che caratterizzano un certo modo di consumare, tende così ad
affermare un determinato stile di vita, ovvero un fenomeno che sociologi come Osti (2006),
oppure Rebughini e Sassatelli (2008), definiscono “consumerismo culturale”.

Per le aziende e le imprese i marchi e le etichette rappresentano poi dei veri e propri strumenti
strategici sotto il profilo comunicativo, ed in tal senso la comunicazione ambientale diventa un
modo di operare dettato dalla necessità di stimolare il consumatore in direzione dell‟eco-
compatibilità, questo, secondo delle dinamiche molto vicine a quelle delle normali tecniche
pubblicitarie; in altri termini, una situazione dove la comunicazione ambientale rappresenta un
metodo attraverso cui un impresa cerca di assicurarsi una parte di mercato in modo tale da
riuscire a garantirsi una certa regolarità nelle vendite, questo, nell‟intento di coprire, perlomeno, i
costi di produzione.

La riconversione dei processi produttivi rappresenta comunque una tendenza complessiva ad


allontanarsi da una “modernizzazione agricola” che per vari decenni ha trovato come
fondamento un largo impiego di concimi chimici e di fitofarmaci, e nel loro insieme i metodi
“organici” di coltivazione sono riconosciuti oggi anche dall‟Unione Europea. Al riguardo può
essere interessante osservare che, sulla base del consolidamento di questi processi produttivi
hanno inoltre trovato modo di svilupparsi altri settori “ecologici”, e tra questi hanno assunto una
certa importanza la bio-edilizia, la bio-architettura, e l‟ecoturismo, tuttavia, l‟allargamento della
gamma degli eco-prodotti ha nel tempo stesso reso meno evidente la distinzione rispetto ai
prodotti tradizionali, questo, anche in relazione al fatto che le grandi imprese hanno iniziato ad
immettere nel mercato degli articoli che biologici non sono, ma che vengono etichettati in modo
tale da richiamare all‟ecologia in termini di protezione della salute.

Regimi di proprietà e gestioni associate


In relazione all‟intervento dell‟autorità pubblica nella necessità di fornire strumenti per la
gestione dei problemi legati alla crisi ambientale, nel momento in cui viene affrontata la
questione dei costi andrebbe considerato che a questo livello quelli di transizione (cioè quei costi
in cui le parti intercorrono nell‟intento di raggiungere un accordo e metterlo in atto), sono
piuttosto elevati; in questo senso il discorso non riguarda soltanto l‟impegno economico ma
chiama in causa anche il problema delle risorse in termini di disponibilità e di tempo, e nel suo
insieme la questione coinvolge momenti quali il percorso di formazione delle leggi, il controllo
degli adempimenti, l‟adozione di eventuali forme repressive o comunque sanzionatorie. Inoltre,
non è di secondaria importanza il fatto che, in presenza di una tendenza prevalente da parte dei
privati in direzione del mancato rispetto dei vincoli, il problema diventa quello dell‟accumulo di
una massa di pratiche e di procedure da espletare, magari a danno delle imprese che rispettano la
legge, questo, senza trascurare l‟eventuale accanimento da parte dei funzionari pubblici.

Anche in relazione a questo, l‟attenzione delle politiche d‟intervento si è caratterizzata per


investimenti crescenti nell‟intento di sensibilizzare e responsabilizzare gli imprenditori, tuttavia
questa si è dimostrata una scelta non priva di rischi, in particolare in relazione allo sviluppo di

97
atteggiamenti di carattere strumentale; questo per dire che, sa da un lato il fatto di puntare alla
responsabilizzazione sulla base di un calcolo fondato sulla convenienza rappresenta una
possibilità per orientare le attività produttive in direzione di un più attento consumo dei beni
ambientali, dall‟altro, invece, emerge il rischio di una situazione che nel concreto porta le
aziende allo sfruttamento delle possibilità della cosìdetta “produzione verde”, alla quale poi
corrisponde, per ragioni di profitto, l‟immissione nel mercato di prodotti con qualità ecologica
scadente, quindi a basso prezzo.

L‟insieme di questi processi sembra dunque caratterizzarsi per l‟elemento della circolarità, intesa
come una condizione per la quale esigenze contrapposte tendono ad alimentarsi reciprocamente
quindi, per una logica che può essere interrotta soltanto nel momento in cui gli imprenditori per
ciò che riguarda le modalità della produzione, e i consumatori a livello degli stili di consumo,
troveranno modo di orientarsi sulla base di motivazioni di carattere ideale che risultino, in
concreto, eco-compatibili.

Sulla base di queste evidenze, e nella necessità di riuscire a garantire la tutela del patrimonio
ambientale, come alternativa al capitalismo più che considerare i regimi ad economia pianificata,
i quali, peraltro, in passato non hanno di certo brillato per il buon esempio nella tutela
dell‟ambiente, sembrerebbe più proficuo cercare di sviluppare un analisi in direzione di un
riassetto dell‟economia di mercato; questo per dire che, a fronte dell‟esigenza di risolvere, o
quantomeno limitare i danni provocati dalla crisi ambientale, risulterebbe preferibile valutare le
possibilità di alcuni specifici aspetti organizzativi delle economie capitalistiche.

In questo senso, la questione delle modalità della proprietà è stata considerata nell‟ottica di
condizioni quali l‟escludibilità e la sottraibilità, rispettivamente, la privatizzazione e la delega
della gestione dell‟esercizio dei beni, tuttavia rimangono in tal senso non pochi problemi: nel
caso della svolta in senso privatistico, ad esempio, andrebbe sciolto il nodo della questione della
divisibilità dei beni naturali come l‟aria, e per quanto riguarda le gestione pubblica, assumono
invece dei tratti problematici le questioni relative ai costi di transizione, quindi, il ruolo svolto
dall‟autorità centrale per ciò che riguarda i criteri di distribuzione secondo il principio
dell‟equità, oltre che il problema dei costi attuativi (es. gli aspetti normativi), e di quelli riferiti
all‟esercizio delle funzioni di controllo.

Esistono comunque vari esempi di forme locali di gestione dei beni pubblici, ed al riguardo
Elinor Ostrom (1990), osserva come queste tendano a diventare efficienti nel momento in cui gli
accordi tra residenti delle aree interessate, ad esempio tra residenti di un villaggio, tendono a
consolidarsi, questo, senza che vi siano delle specifiche direttive imposte dalle autorità centrali;
il successo nell‟esercizio di tali forme è una condizione che la Ostrom considera riconducibile al
fatto che queste rappresentano un modo di creare delle istituzioni dal basso, quindi fondate sulla
base delle esigenze di tutti i membri di una data comunità. Questo, ad esempio è il caso
dell‟assegnazione della proprietà alla comunità residente (forme di proprietà collettiva, e
autogestione dei beni), un esperienza che in anche in Italia trova alcune delle sue espressioni, in
particolare nelle realtà delle aree montane.

Va comunque ricordato che l‟autogestione dei beni è un fenomeno che tende a caratterizzare
prevalentemente le forme di proprietà nei paesi del terzo mondo, e complessivamente la

98
questione riesce a muovere un certo interesse nei ricercatori. Alcuni autori vedono in tal senso la
gestione collettiva dei beni come un momento in cui le esigenze individuali e quelle collettive
tendono a coincidere, almeno finché risulta possibile estrarre delle risorse senza intaccare il
capitale naturale nel suo insieme; invece, considerando l‟efficacia di queste forme di gestione è
stata osservata una certa dipendenza dalle caratteristiche fisico-geografiche, nel senso che la
proprietà collettiva sembra rappresentare un opzione valida entro gli ambiti di un estensione
spaziale limitata, ad esempio, a livello dell‟esperienza delle piccole comunità di pescatori, ma nel
momento in cui nasce l‟esigenza di gestire aree più ampie, come l‟accesso in mare aperto lontano
dalla coste, ecco che il ruolo svolto dagli accordi tra le parti interessate assume un peso di
maggior rilievo, ed è in questi casi che nel tentativo di conciliare interessi diversi,
potenzialmente in conflitto, si rendono in genere necessari i meccanismi della politica sviluppata
a livello statale.

Le forme di gestione pubblica dei beni comuni nei paesi industrializzati, risultano invece assai
lontane rispetto all‟idea del villaggio o delle piccole comunità auto organizzate, e coinvolgono
l‟operato delle “imprese pubbliche” nell‟ambito delle attività che interessano l‟estrazione e la
distribuzione di determinati beni, oppure l‟erogazione di determinati servizi, nel loro insieme
delle attività che lasciano oggi uno spazio più o meno ampio anche alle società private. Le
questioni che in tal senso rinviano ai criteri dell‟equità e dell‟efficienza, e più in generale ai
principi a cui dovrebbero conformarsi le modalità dell‟agire degli attori coinvolti a questo livello,
rappresentano al riguardo delle tematiche spesso oggetto del conflitto politico, ed in generale su
questo piano il discorso vede, da un lato le esigenze che riguardano l‟incremento dei profitti (o
comunque la spartizione del potere), e dall‟altro, la necessità di appellarsi al concetto di pubblica
utilità.

L‟affidamento della gestione a delle associazioni di utenti (gestione sociale dei beni), rappresenta
un altra possibile alternativa all‟idea del dualismo pubblico-privato, e rispetto alla proprietà
collettiva la differenza consiste nel fatto che l‟amministrazione viene affidata all‟associazione di
coloro che traggono beneficio dall‟utilizzo della proprietà, la quale rimane tuttavia all‟autorità
pubblica. I consorzi di bonifica rappresentano in Italia un esempio di queste forme di gestione:
sono enti di diritto pubblico ma risultano di fatto autonomi rispetto all‟autorità (autogestione),
nel senso che gli organi dirigenti vengono eletti dai proprietari dei terreni agricoli dove tali
consorzi sono istituiti. Complessivamente, le attività a questo livello sono quelle che riguardano
l‟irrigazione dei campi e l‟efficienza dello scolo delle acque attraverso delle reti di canali minori,
questo, sotto il finanziamento economico delle regioni le quali fissano con delle proprie
normative delle competenze specifiche.

La storia dei consorzi di bonifica, peraltro legata ad eventi politici e condizionata dalle capacità
cooperative degli operatori economici locali, andrebbe letta considerando una certa differenza
nel rendimento di queste strutture, una differenza in parte legata all‟ampia frammentazione delle
istituzioni italiane; tuttavia, per ciò che riguarda l‟interesse in materia ambientale, quindi il
mantenimento delle risorse naturali, assume rilevanza il fatto che i consorzi nel momento in cui
svolgono attività finalizzate a garantire l‟approvvigionamento idrico, rappresentano anche un
qualcosa capace di influire sull‟equilibrio degli ecosistemi semi-naturali rappresentati dalle zone
rurali. Nel concreto la questione è quella delle funzioni che riguardano, ad esempio, la
manutenzione delle sponde dei canali, oppure le attività legate alla caccia, alla pesca, oppure al

99
turismo, ma al tempo stesso quelle opere finalizzate alla salvaguardia di un certo habitat; nel suo
insieme una situazione che tende a far emergere interessi contrastanti e che può rilevarsi difficile
da gestire.

Nel concludere questa panoramica sulla gestione dei beni comuni va evidenziata la possibilità di
sviluppare varie architetture istituzionali che non implicano necessariamente la scelta della
privatizzazione, ma che possono anche non escluderla, inoltre, per ciò che concerne il ruolo della
collettività è importante sottolineare che un coinvolgimento a questo livello non va concepito
soltanto in funzione della scarsa disponibilità di beni, poiché nell‟ambito di una data collettività è
presente un insieme fondamentale di risorse relazionali, ovvero quella certa quantità di capitale
sociale 30 che può rilevarsi determinante per l‟utilizzo sostenibile delle risorse naturali.

Vocazione professionale per l'ambiente


Rispetto all‟agire dettato dalla razionalità strumentale dell‟imprenditore, una visione alternativa
dell‟impresa è quella di Joseph Schumpeter (1912), il quale considera in senso “creativo” il
contributo degli imprenditori nei termini di un innovazione qualitativa. In questo senso
l‟imprenditore schumpeteriano sarebbe portato a plasmare la realtà senza per questo spingersi in
direzione di un ostinata ricerca della massimalizzazione dei profitti in relazione alle possibilità di
sfruttamento scientifico del mondo naturale, complessivamente, un atteggiamento che tende ad
allontanarsi dai dettami della teoria economica tradizionale. Idealmente, lungo questa direttrice si

30
Passando dalla sfera economica al piano dell‟azione sociale è anche possibile estendere il concetto di
capitale, ed in tal senso Coleman (1990), utilizza il termine di “capitale sociale” per esprimere l‟idea delle
risorse che risiedono nella struttura intrinseca delle relazioni che intercorrono fra due o più persone. Nelle
scienze sociali la nozione di capitale sociale è stata utilizzata in molti campi d‟indagine, ad esempio, nello
studio del mercato del lavoro, delle carriere scolastiche, della mobilità sociale, ed in astratto esso
rappresenta non tanto un oggetto specifico, ma qualcosa che esprime una certa visione della società, o
comunque, un vasto insieme di fenomeni sociali (Bagnasco, 1999).

Allo stesso modo del capitale inteso nell‟accezione economica del termine, anche il capitale sociale ha delle
caratteristiche proprie che lo rendono utile per certi scopi piuttosto che altri, ed in generale esistono dei
fattori che possono condizionarlo, tra questi:
- la conformazione della rete di relazioni che collega i vari attori sociali, quindi, le modalità con cui si
generano norme ed aspettative reciproche;
- la stabilità delle relazioni nel tempo;
- il grado di apertura o di chiusura culturale dei network (elementi ideologici della rete di relazioni);
- il livello di interdipendenza delle relazioni, nel senso che, quanto più le persone fanno ricorso le une
alle altre tanto maggiore sarà la quantità di capitale sociale generata.

Il concetto di capitale sociale è stato utilizzato anche a livello degli studi del rendimento istituzionale da
autori come Robert Putnam (1993), il quale, nell‟ambito di una ricerca comparata sulle amministrazioni
regionali italiane ha considerato in tal senso la capacità di realizzare scelte politiche: alla base di questo
studio risiede l‟idea che le differenze del contesto producano modalità diverse nel rendimento delle
istituzioni, questo, nonostante tutte le regioni abbiano il medesimo assetto. Tali differenze sono state
spiegate considerando quel tessuto di valori, norme, istituzioni, ed associazioni che permette di sviluppare
impegno civico, quindi, portando l‟attenzione sugli atteggiamenti caratterizzati da solidarietà, fiducia
reciproca, e tolleranza diffuse, in altri termini, il livello dell‟interesse personale valutato nel più ampio
contesto dell‟interesse pubblico. Nell‟insieme è stato rilevato che gli scenari caratterizzati da una tradizione
civica più radicata, permetterebbero di garantire quote maggiori di capitale sociale, in presenza delle quali
risulterebbero più efficaci sia le modalità con cui operano le istituzioni, sia le modalità con cui operano i
mercati.

(Conflitti d’interesse e risorse, free©reations 2012 BorderLine by inopan)

100
possono collocare tutte quelle innovazioni tecnologiche che cercano di armonizzare le esigenze
ambientali con quelle di carattere economico; questo, ad esempio, è il caso dei pannelli solari e
delle auto elettriche, cioè di quegli oggetti capaci di “mediare” il rapporto con la natura.

L‟ottica weberiana della “vocazione professionale” è secondo Osti (2006), ciò che rende
possibile tradurre l‟operatività dell‟imprenditore nei termini di un atteggiamento morale
finalizzato all‟attività economica, nel caso specifico una attitudine che trova fondamento
sull‟idealità di carattere ambientalista. L‟attività delle imprese nel settore no profit rappresentano
nel concreto uno degli esempi possibili in tal senso, ma in più generale il discorso riguarda il
significato attribuito al lavoro nel mondo occidentale, ed a questo livello appaiono rilevanti sia i
contributi di autori “ambientalisti” come Andrè Gorz (1983), i quali privilegiano gli argomenti
in contrapposizione alla smania per l‟efficienza e alle tensioni di carattere organizzativo
nell‟intento di dare rilevanza al ruolo dell‟autonomia individuale e della creatività, sia le analisi
degli studiosi della qualità del lavoro.

Quest‟ultimi, ad esempio La Rosa (1987), sono molto vicini ai quadri che caratterizzano la
sociologia del lavoro, ed in tal senso viene rilevata l‟importanza di quei criteri di valutazione
delle attività come l‟ergonomia, l‟equa remunerazione, la formazione, le capacità di controllo
sull‟attività produttiva, ecc.

In relazione alla questione ambientale le tematiche della qualità del lavoro riguardano in generale
il problema dell‟emancipazione dal lavoro fisico e quello della specializzazione, e se nel primo
caso è pertinente la questione dell‟agricoltura biologica, quindi il maggior carico di lavoro fisico
da parte dell‟operatore a causa di un minor livello di meccanizzazione dell‟agricoltura, e
l‟esclusione dei prodotti chimici, per quanto riguarda la specializzazione funzionale, invece, il
discorso riguarda le nuove possibilità per le professioni connesse alla tutela e alla fruizione
dell‟ambiente in relazione alla crescente domanda di natura (es. le cosìdette professioni verdi),
questo senza trascurare l‟insieme di quelle attività collegate al mercato della certificazione,
quindi, ai marchi di eco-compatibilità per le varie aziende; tuttavia, andrebbe anche rilevato che
nuove professioni ambientali tendono a riproporre i meccanismi che caratterizzano anche le altre
attività lavorative, quindi, l‟insieme delle questioni legate ai problemi del mercato del lavoro,
alla flessibilità dei rapporti, alle retribuzioni, alle segregazioni di genere, e quant‟altro, e nel
complesso è possibile affermare che, lavorare oggi per la tutela dell‟ambiente rappresenta in gran
parte una vocazione, sia per ciò che riguarda gli imprenditori, sia per i lavoratori dipendenti.

Sperequazioni socio ambientali


Secondo una prospettiva macro-economica, il rapporto tra produzione e distribuzione dei beni e
problematiche ambientali, può essere interpretato ricorrendo agli strumenti della critica al
pensiero economico neoclassico, e su questo piano il modello del sistema mondo elaborato da
Immanuel Wallerstein 31, teorico del pensiero neo marxiano, è di grande rilevanza sociologica.

31
L'analisi del sistema capitalistico mondiale elaborata da Wallerstein (1974/80), segue l'orientamento delle
“teorie della dipendenza”, le quali portano in evidenza come i paesi “sottosviluppati” devono la loro
condizione al ruolo svolto dalle economie dei paesi forti (es. Gran Bretagna e Stati Uniti).
Complessivamente, il lavoro di Wallerstein è fondato sull'analisi della letteratura storica riguardante lo
sviluppo dell'economia mondiale a partire dal medioevo, e in tal senso l‟autore cerca di descrivere le
differenze tra le dinamiche di un “impero-mondo” caratterizzato da una serie di relazioni dettate dal “potere

101
Questa teoria non nasce per spiegare il problema ambientale, tuttavia, essa risulta utile per
comprendere le logiche sottese ad alcune delle questioni che ne caratterizzano gli aspetti critici;
in generale, Wallerstein considera il capitalismo come un sistema che presenta due aspetti
specifici: la tendenza ad espandersi nel tentativo di mantenere l‟obiettivo dell‟accumulazione, e
la tendenza a non pagare il prezzo dell‟espansione stessa.

In relazione allo specifico problema ambientale, Wallerstein (1999) trova invece riferimento
negli approcci radicali di stampo neo-marxista, ed in tal senso egli sostiene che le regole di fondo
dell‟accumulazione non sarebbero state fino ad oggi intaccate dalle varie misure di carattere
politico. I rapporti commerciali fra le diverse regioni del pianeta rappresentano la trama del
discorso dell‟autore, e in riguardo egli evidenzia una prospettiva che mette in relazione il
degrado delle risorse naturali e la dipendenza economica, dunque, una logica per la quale le
nazioni forti conterebbero sulla possibilità di mantenere alti i propri margini di profitto
ricorrendo allo sfruttamento delle risorse naturali dei paesi collocati nelle aree più svantaggiate
del pianeta.

Partendo da questi assunti teorici, autori come Bergesen e Parisi (1999), hanno dimostrato che in
generale il modello della dipendenza economica, peraltro legato anche alle caratteristiche dei
vari sistemi politici (es. sviluppo del sistema democratico), ben si adatta per spiegare il degrado
ambientale, ed in tal senso, verrebbe data giustificazione della presenza di condizioni
complessivamente più svantaggiate in alcuni paesi a causa delle azioni di carattere finanziario
sviluppate delle grandi compagnie multinazionali.

Interessante osservare che, per ciò che riguarda il degrado ambientale l‟eccezione al modello è
rappresentata dalle economie mono-colturali (agricole o minerarie), le quali, anche se subiscono
l‟influenza del sistema-mondo pagando il prezzo dello sfruttamento, registrano dei tassi di
inquinamento relativamente limitati, questo, in relazione al fatto che esportano prevalentemente
materiali grezzi, quindi, risultano assai ridotte le attività di carattere trasformativo delle risorse
naturali.

militare”, e quelle dell‟ “economia-mondo”, dove invece assumono maggior rilievo l'insieme delle logiche
dello scambio economico. L'economia mondo è per Wallerstein un sistema di stati suddivisi in base
all'appartenenza a determinate zone: nelle aree centrali trovano collocazione gli stati caratterizzati da
economie forti, le aree periferiche corrispondono alle regioni sottosviluppate e sottoposte a dominio
coloniale, e le aree semi-periferiche, caratterizzate da economie più deboli rispetto a quelle dei paesi
dell'area centrale, danno invece collocazione ai paesi con risorse tali da poter aspirare ad un futuro ruolo di
stati centrali. Nel descrivere la dinamica capitalistica Wallerstein identifica delle fasi di espansione e di crisi a
livello di ogni area, ed in tal senso, oltre a considerare la successione ciclica di archi temporali della durata di
circa 150-200 anni ciascuno (cicli che appaiono dominati da un particolare stato egemonico, rispettivamente,
Spagna, Paesi Bassi - Francia, Gran Bretagna, e Stati Uniti), egli evidenzia il fatto che ogni fase espansiva si
caratterizzerebbe per un economia mondo che tende a coinvolgere porzioni sempre maggiori di territorio, e
che appare legata a delle logiche di stampo “imperialista”, contraddistinte da un progressivo aumento della
produzione capitalistica; la fase restrittiva vedrebbe invece l'innesco di una crisi egemonica, questo, nel
momento in cui l'espansione verso l'esterno cessa di essere economicamente vantaggiosa. La successione
dei cicli continuerebbe poi fino all'esaurirsi delle aree più esterne, una condizione che viene considerata da
Wallerstein come l'origine della crisi globale, ed il cui esito, similmente al modello marxiano classico,
vedrebbe prevalere delle forme di governo di stampo socialista, ma in questo caso fondate sulla base di
condizioni democratiche organizzate su scala mondiale.

(Randall Collins, Teorie Sociologiche, il Mulino, Bologna, 1992)

102
Muradian e Martinez-Alier (2001), osservano al riguardo che i paesi a Sud del mondo come ad
esempio le aree della foresta pluviale, stanno svendendo il loro capitale naturale poiché non
hanno la capacità di trasformarlo in loco, ed in questo senso le condizioni della dipendenza
economica fanno assumere al problema della crisi ambientale delle forme diverse ma comunque
capaci di condizionare, oltre alle possibilità dello sviluppo economico, gli interi assetti sociali.

Portando invece l‟attenzione sulle critiche sollevate alla teoria di Wallerstein andrebbe
evidenziato che la spiegazione data allo sviluppo risulta troppo vincolata ai fattori materiali. In
tal senso, prendendo come riferimento delle quantità fisiche come alternativa alle quantità
economiche, alcuni autori mostrano che il quadro complessivo del commercio mondiale tende a
mutare, ad esempio nel caso del PIL32 che conteggia anche il ripristino dei trasporti e delle
infrastrutture conseguente ad un disastro ambientale, quindi, qualcosa di ben diverso rispetto alle
attività di alto profitto realizzate in condizioni normali. Questo per dire che, considerando
indicatori alternativi al PIL, ad esempio il GPI (genuine progress indicator), risulterebbe
possibile comprendere nella stima del benessere economico fattori quali la salute umana e la
qualità dell‟ambiente, ed in tal senso Pieroni (2002), osserva che soltanto portando l‟attenzione
sulle modalità di utilizzo delle risorse e sulla distribuzione del reddito è possibile affrontare
adeguatamente il problema dello “sviluppo sostenibile”, un qualcosa che nel suo insieme appare
più legato alla necessità di mediare le tensioni presenti nella società piuttosto che all‟esigenza di
fissare una specifica dimensione operativa orientata al calcolo.

Per indicare quelle condizioni che dovrebbero garantire il passaggio di una certa quantità di
capitale alle generazioni successive, alcuni autori distinguono tra il concetto di “sostenibilità
debole”, cioè una quantità di beni equivalenti a quelli goduti nel periodo attuale, e quello di
“sostenibilità forte”, ovvero la composizione di ciò che si vorrebbe garantire più in generale nel
corso del tempo, ed in questo senso è stato osservato come la possibilità di tramandare la stessa
quantità di beni naturali implicherebbe oggi il fatto di dover bloccare immediatamente qualsiasi

32
A livello macro gli analisti considerano alcuni dati per monitorare l‟andamento del sistema economico, ed
in questo senso il prodotto interno lordo (PIL), è una tra le statistiche più studiate. Questo indice esprime la
misura del reddito totale di una nazione, e viene considerato in riguardo il parametro più affidabile del
benessere economico; in generale il PIL segue una logica che permette di valutare i cambiamenti
dell‟economia prendendo come riferimento la sommatoria dei redditi guadagnati da tutti i componenti della
società. Considerando poi quel principio per il quale gli individui con reddito più elevato saranno nelle
condizioni di soddisfare più facilmente le proprie necessità, la stima del PIL misura contemporaneamente al
reddito anche la spesa totale, questo, in relazione al fatto che in un sistema economico tali parametri
vengono considerati nelle condizioni di eguagliarsi. Nello specifico il PIL, per definizione, è il valore di
mercato per tutti i beni e i servizi finali prodotti in un paese in un dato periodo di tempo, e gli economisti
sono impegnati a studiarne la ripartizione tra le diverse voci di spesa; in questo senso, assumono rilevanza
gli elementi in cui il PIL può essere scomposto, quindi, il consumo (ammontare speso dalle famiglie per
l‟acquisto di beni e servizi finali, con la sola eccezione delle spese per immobili ad uso abitativo),
l‟investimento (ammontare speso in beni capitali, scorte e strutture, inclusa la spesa per immobili ad uso
abitativo), la spesa pubblica (ammontare speso dalle amministrazioni centrali e locali per l‟acquisto di beni e
servizi finali), le esportazioni nette (saldo tra il reddito derivante dalla vendita all‟estero di beni prodotti
internamente, cioè le esportazioni, e la spesa interna per i beni prodotti all‟estero, cioè le importazioni).
Andrebbe poi ricordato che l‟economia è solita distinguere tra un PIL nominale, il quale utilizza i prezzi
correnti nell‟intento di attribuire un valore alla produzione di beni e servizi realizzata dall‟economia, ed il PIL
reale, cioè dei prezzi costanti di un anno specifico come base del riferimento. In relazione alla capacità del
PIL di misurare il benessere economico, va infine rilevato che tale indice non comprende alcune delle cose
che contribuiscono alla qualità della vita, tra queste, il tempo libero e la qualità dell‟ambiente.

(Gregory Mankiv, L’essenziale dell’economia, Zanichelli, Bologna, 2002)

103
sfruttamento delle risorse non rinnovabili (es. petrolio, gas naturale, minerali). Nel suo insieme si
renderebbe dunque necessaria una valutazione della crescita in funzione della disponibilità a
rinunciare a risorse e beni naturali, questo, in rapporto alle modalità di produzione e agli stili di
consumo che caratterizzano le varie regioni del pianeta, tuttavia in questi termini emerge una
situazione per la quale il problema non è delegabile soltanto all‟economia. In concreto la
questione riguarda anche le modalità con cui i mercati interagiscono con le istituzioni locali, ed il
fatto che quest‟ultime subiscono varie forme d‟influenza al livello delle loro espressioni
funzionali.

Conclusioni
Una delle particolarità che caratterizza i beni ambientali è rappresentata dal fatto che non
possono essere ridotti in termini puramente quantitativi, ed in tal senso le scienze sociali hanno
cercato di affrontare il problema della crisi ecologica individuando alcune soluzioni.

Una prima possibilità è rappresentata dall‟autogestione, ed in tal senso, se alcuni osservano che
le “gestioni comunitarie” si propongono come una valida soluzione, ad esempio nel momento in
cui vengono a strutturarsi un insieme di accordi volontari tra imprese, organizzazioni non
governative, ed alcune espressioni funzionali degli enti pubblici (incapsulamento sociale del
mercato di alcuni beni pubblici, ad esempio, i boschi per i residenti locali e l‟acqua per i
coltivatori); altri, non mancano di evidenziare il fatto che queste forme di gestione possono
entrare in conflitto con la necessità di garantire un accesso universale a tali beni.

Portando invece il discorso sul ruolo dell‟impresa, il problema dell‟ambiente permette di


evidenziare una certa “conversione” della produzione alla causa ambientalista, una situazione
che, tuttavia, in molti casi appare legata a questioni di interesse piuttosto che da esigenze di
carattere ideale. Ciò nonostante va comunque rilevato un generale sviluppo in direzione di un
atteggiamento imprenditoriale che tende ad uscire dallo schema del capitalismo classico, questo
in favore di forme dell‟innovazione che appaiono più sensibili nei confronti della necessità di
salvaguardare il patrimonio ambientale. Nell‟insieme possono essere rilevate a questo livello
principalmente due linee di tendenza, delle quali una vede coloro che sostengono una posizione
per la quale si ritiene debba essere il mercato a fornire le risposte necessarie per l‟innovazione,
anche per ciò che riguarda la ridefinizione del ruolo degli imprenditori, mentre l‟altra, invece, si
caratterizza per un idea che non limita il problema a delle questioni di mercato, ma che evidenzia
la necessità di ciò che può essere definito nei termini di una creatività etico-sociale che, oltre alle
questioni puramente materiali riesca a garantire lo sviluppo di quelle misure politiche orientate
alla ridefinizione della produzione e degli stili di consumo.

Considerando poi la ripartizione delle risorse a livello mondiale, emergono altri aspetti della crisi
ambientale, ed acquistano in tal senso particolare rilievo le dinamiche dello sviluppo nelle aree
più a Sud del pianeta, complessivamente, la necessità di rispondere al problema dell‟esaurimento
delle risorse vitali per il pianeta considerando al tempo stesso le aspettative di benessere su scala
mondiale, quindi, le necessità di inclusione sociale.

104
AMBIENTE E POLITICA

Le azioni collettive a difesa dell‟ambiente sviluppate in maniera sistematica sono un fenomeno


relativamente recente, il quale tende ad assumere un certo rilievo in particolare in merito ad
alcuni aspetti della crisi ambientale; a questo livello, si ritiene che oltre alle caratteristiche che
contraddistinguono l‟esperienza della rappresentanza raggiunta dalle istanze ecologiste, sia
necessario considerare le modalità con cui sono andati strutturandosi gli strumenti utilizzati dalle
politiche ambientali.

Ambiente come oggetto-soggetto della politica


Nel considerare il rapporto tra ambiente e politica, autori come Gert Spaargaren (2000), danno
rilievo al fatto che le questioni ecologiche avrebbero nel tempo intrapreso un percorso di
emancipazione, nel senso che molte attività umane avrebbero trovato modo di essere inquadrate
nell‟ambito di una prospettiva ecologica. Tuttavia, se l‟ecologia appare oggi complessivamente
rivalutata, non andrebbe trascurato il fatto che sembra in atto anche un processo di
normalizzazione, quindi una riduzione delle sue tematiche sul piano delle altre questioni presenti
nell‟agenda politica.

Le istanze ecologiste vivono invece i problemi ambientali come un qualcosa che si ritiene vada
collocato al centro della politica, ed in questo senso è l‟idea stessa di natura a rappresentare un
vero e proprio soggetto politico; questa è in particolare la visione delle espressioni più radicali
dell‟ecologismo, nel loro insieme delle correnti di pensiero che fino ad oggi sono riuscite ad
influenzare l‟impostazione delle politiche pubbliche soltanto in minima parte, riuscendo ad
ottenere più che altro un relativo consolidamento degli atteggiamenti di carattere riformista nella
materia specifica.

Bruno Latour (1998), cerca di leggere il quadro di questi cambiamenti identificando le diverse
tipologie di argomento prodotte da questi gruppi, quindi una serie di “regimi di giustificazione”
distinguibili principalmente in :

regime domestico
regime industriale
regime civico
regime commerciale

Nel primo caso, verrebbero privilegiati gli argomenti legati al valore della tradizione, della
specificità locale, del territorio; nel regime industriale, invece, i problemi ambientali verrebbero
trattati secondo una prospettiva che affida allo sviluppo tecnologico la capacità di rispondere a
qualsiasi problema (es. depuratori, inceneritori, marmitte catalitiche, ecc.); e per quanto riguarda
la prospettiva civica, va rilevato il ruolo assunto dai concetti di “volontà generale” e di “bene
comune”, ed in tal senso, il problema ambientale diventa una delle tante questioni da conciliare
(es. i piani regolatori che cercano di mediare tra istanze ecologiste e necessità dell‟industria).

105
Per ciò che concerne il regime commerciale, Latour osserva infine che il discorso tende ad essere
ridotto nei termini dei “marchi ecologici”, i quali, se da un lato correrebbero il rischio di
diventare un segno di distinzione in linea con certe espressioni della moda, dall‟altro, potrebbero
anche rappresentare uno strumento da utilizzare in vista di un ulteriore espansione economica.

Nel complesso Latour mette in evidenza come questi regimi riescano a svuotare il potenziale
rivoluzionario dell‟ecologismo, e come l‟idea di mettere al centro del discorso la natura e non
l‟uomo possa rilevarsi un approccio che nel concreto non riesce a promuovere adeguatamente le
richieste degli ambientalisti; in questo senso, il problema dell‟ecologismo sarebbe anche quello
del confronto con una serie di controversie di carattere scientifico su cui i vari esperti non
concordano (es. la pericolosità dei campi elettromagnetici, OGM, riscaldamento globale, e
quant‟altro).

Partiti verdi e politiche ambientali


La formazione di un ampio e diversificato movimento ambientalista ha portato a considerare
come il rapporto tra ambiente e politica possa subire l‟influenza della questione ambientale,
almeno in relazione alle risposte collettive date dai movimenti sociali. In questo senso un aspetto
interessante della questione è rappresentato dall‟importanza attribuita ai processi partecipativi
intesi sia come un complemento alla democrazia rappresentativa tradizionale, sia come un
alternativa, ed in generale il discorso a questo livello rimanda alle varie forme politiche assunte
delle istanze ecologiste, in particolare per ciò che riguarda i partiti verdi 33.

Nel loro insieme queste formazioni presentano storia e connotazioni culturali anche molto
diverse tra loro, e per quanto riguarda le rispettive attività nei vari stati va innanzitutto
considerato che esistono differenti “strutture delle opportunità”, questo, ad esempio per quanto
riguarda le caratteristiche del sistema elettorale, il grado di polarizzazione del sistema politico, le
caratteristiche dei processi di istituzionalizzazione, ecc.

Secondo alcuni autori, il discorso politico dell‟ambientalismo avrebbe potuto trovare uno spazio
maggiore, anche in relazione alla crisi attraversata dai partiti tradizionali, ciò nonostante non si è
assistito ad una vera e propria ascesa dei partiti verdi, ed al riguardo può anche essere
considerato non trascurabile il fatto che molti partiti, in tempi relativamente recenti, hanno
sviluppato una tendenza ad includere delle tematiche ambientaliste nei loro programmi, ma in
ogni caso non va dimenticato che i “verdi” tendono a proporsi più che altro come dei soggetti
interessati a diffondere delle tematiche di discussione, o come portavoce di determinate istanze
piuttosto che come “contenitori” di interessi e di identità.

33
I primi partiti verdi si sono costituiti in Nuova Zelanda (1972), nel Regno Unito (1973), ed in Francia
(1974), tuttavia, essi ottengono il loro primo ingresso in un parlamento nazionale soltanto nel 1979 (in
Svizzera); in Italia, invece, i “verdi” appaiono per la prima volta nel 1978 in Trentino Alto Adige. Nel
complesso, questi partiti oltre a presentare una certa oscillazione nel successo politico nell'ambito dei vari
paesi, si caratterizzano anche per il fatto di poter contare su delle posizioni modeste ma piuttosto stabili a
livello del Parlamento Europeo, ed in tal senso va rilevato che nel periodo compreso dal '99 ad oggi (dalla
quinta legislatura - 1999/2004 - , alla settima -2009/2014), a questi partiti sono stati assegnati circa il 6-
7% dei seggi ad ogni tornata elettorale.

106
L‟insieme delle azioni orientate alla salvaguardia dell‟ambiente, oltre ad essere una delle
tematiche promosse a livello dei movimenti ambientalisti, è anche l‟oggetto delle cosìdette
“politiche ambientali”, ma in questo senso va evidenziato che lo stesso concetto di “ambiente” è
diversamente considerato dalle carte costituzionali dei vari paesi, ed in relazione a questo non
viene sempre riconosciuto come oggetto di diritti. In generale è la nozione stessa di ambiente a
coprire un campo semantico piuttosto ampio, ed in tal senso essa può trovare una certa varietà di
significati essendo associata, ad esempio all‟idea di paesaggio, di patrimonio naturale e storico-
artistico, all‟assetto territoriale, ma ad ogni modo essa assume importanza nei termini di
elemento in grado di incidere sulla salute e sulla qualità della vita.

Un aspetto rilevante nell‟ambito dello sviluppo delle politiche ambientali è rappresentato dalle
modalità di utilizzo, e prima ancora dalla disponibilità della conoscenza tecnico-scientifica, ed in
riguardo, sia in merito all‟individuazione dei problemi, sia in relazione ai possibili rimedi, va
ricordato che anche sui processi decisionali a questo livello grava il peso dell‟incertezza, nel suo
insieme un qualcosa che rappresenta un elemento in grado di giustificare il rinvio delle decisioni,
ma al tempo stesso uno stimolo in direzione di interventi cautelativi. Al riguardo, un altro aspetto
importante delle questioni che caratterizzano lo sviluppo delle politiche ambientali è il fatto che i
tempi dei processi di policy (scelte legate ad un determinato problema collettivo), possono essere
profondamente dissonanti rispetto a quelli dei processi ambientali, e nel suo insieme questa
differenza tende a riflettersi sull‟efficacia delle soluzioni messe in atto nel tentativo di
salvaguardare il patrimonio ambientale.

Portando invece l‟attenzione sui processi di natura politica, quindi sulle politics (insieme di
attività che hanno attinenza con lo stato), andrebbe innanzitutto rilevata l‟influenza esercitata
dalle scadenze elettorali, dunque, la necessità di ottenere consenso, ed è in questo senso che
assumono rilevanza i criteri di definizione dell‟agenda politica delle tematiche oggetto di
discussione. Secondo Hilgartner e Bosk (1988), il problema andrebbe affrontato considerando la
competizione tra tutte le questioni che richiedono un attenzione collettiva, e nel considerare le
difficoltà che le tematiche ambientali spesso incontrano per entrare tra le priorità dell‟azione di
governo, questi autori hanno elaborato il “modello delle arene pubbliche”, cioè un approccio allo
studio dei processi di decisione politica che porta l‟attenzione sulla particolarità dei fattori
istituzionali, politici, culturali, ed a questo livello, nel momento in cui mantengono la priorità
nell‟agenda politica questioni quali, ad esempio, l‟occupazione, la crescita economica, l‟ordine
pubblico, e l‟immigrazione, risulterebbe più difficile per le altre tematiche trovare una soglia di
attenzione adeguata.

Un ulteriore difficoltà che grava sulle problematiche ambientali, è rappresentata dal fatto che
molte di queste tendono a coinvolgere delle aree che oltrepassano i confini degli stati; questo, è
ad esempio il caso della nube radioattiva di Chernobyl, oppure quello dei pollini delle piante
geneticamente modificate, ma allo stesso modo questo vale anche per le risorse naturali
liberamente disponibili come l‟aria, l‟acqua, e le varie specie animali e vegetali; in questo senso
il problema è rappresentato sia dalla difficoltà di applicare politiche d‟intervento comuni, quindi,
da una certa complessità nella ripartizione dei costi, sia dai limiti delle capacità di sfruttamento
(e di salvaguardia), dei beni naturali.

107
Complessivamente questo è il problema che riguarda la necessità di poter contare su crescenti
capacità di integrazione e regolazione, ed un esempio significativo, anche se su piccola scala, è
quello dei centri cittadini dove, chiunque intento a passeggiare si trova nel concreto nelle
condizioni di dover competere con gli impianti di riscaldamento e con le auto per l‟utilizzo del
bene aria, la quale cessa in tal senso di essere un bene pubblico per assumere l‟aspetto di una
risorsa comune che determina conflitto.

Processo di formazione delle politiche pubbliche


L‟insieme delle scelte che coinvolgono la cosa pubblica (processi di policy) chiama in causa,
anche per ciò che concerne le politiche ambientali quelle dinamiche che riguardano varie
categorie di attori, e tra questi ad esempio, i gruppi politici, il personale amministrativo, le
imprese, i gruppi di pressione, i tecnici e gli esperti, e nel complesso è importante rilevare come
il comportamento di questi possa subire l‟influenza legata sia a fattori interni a un dato gruppo
(es. idee, interessi, e risorse disponibili), sia a fattori esterni (es. caratteristiche del contesto in cui
si svolgono tali processi, livello di conflittualità tra i vari gruppi, ecc.), tuttavia, un analisi
complessiva delle politiche pubbliche può essere realizzata partendo dalla distinzione tra alcune
fasi, nello specifico:
fissazione dell‟agenda
formulazione del programma
applicazione
valutazione

le quali non seguono necessariamente uno sviluppo di carattere lineare (es. la valutazione può
realizzarsi in corso di applicazione innescando a sua volta un ulteriore processo di formulazione
che va a modificare le decisioni fissate in precedenza).

Per quanto riguarda la fissazione dell‟agenda appare evidente come questa possa, nel concreto
essere influenzata da una molteplicità di cause, tra le quali risultano piuttosto rilevanti: le
caratteristiche del clima politico, l‟impellenza del problema, e il contributo dei cosìdetti
“imprenditori di policy”, cioè quei soggetti che appartenendo all‟apparato politico
amministrativo si dimostrano capaci di catalizzare l‟interesse in merito ad un determinato
problema.

In relazione alla formazione del programma, oltre a ricordare che il peso delle cosìdette “non
decisioni” può essere considerevole (insieme degli sforzi finalizzati ad impedire che una data
questione raggiunga la soglia dell‟attenzione pubblica), rimarrebbero da spiegare l‟insieme delle
dinamiche sottese ai processi di policy, ed al riguardo gli studiosi prendono come riferimento
alcuni modelli, tra i quali:

il modello della razionalità sinottica, che vede il decisore come un soggetto unitario
impegnato nella ricerca della miglior soluzione possibile;

il modello della razionalità limitata, caratterizzato dalla presenza di elementi che


impediscono una precisa definizione della situazione, e che orientano il decisore verso
soluzioni soddisfacenti ma non ottimali;
108
il modello incrementale, fondato sul riconoscimento di una pluralità di decisori legati da
reciproca dipendenza nel processo di scelta;

il modello del bidone della spazzatura, che contempla situazioni dove la casualità appare
il fattore determinante, e le soluzioni tendono a riflettere gli interessi e le competenze di
coloro che prendono parte al processo decisionale.

Almeno per ciò che interessa le problematiche ambientali, può essere utile osservare che il primo
modello appare sostanzialmente inapplicabile, il secondo invece può essere utilizzato per
spiegare i processi decisionali che trovano modo di realizzarsi in contesti organizzativi
relativamente limitati, e per quanto riguarda il modello incrementale e quello del bidone della
spazzatura alcuni autori osservano come questi tendano a riflettere le dinamiche dei processi
decisionali rilevabili a livello delle grandi organizzazioni pubbliche e private, quindi i
meccanismi decisionali tipici delle policy; al riguardo, andrebbe inoltre evidenziata l‟importanza
delle “policy network”, cioè di quell‟insieme di reti di relazione che comprendono attori pubblici
e privati, e che conferiscono una certa struttura al processo decisionale nel sua totalità.

Portando invece l‟attenzione a livello delle fasi che riguardano l‟applicazione e la valutazione
delle politiche pubbliche, è proficuo per l‟analisi considerare il ruolo svolto dalle burocrazie,
poiché in concreto, i comportamenti tenuti nell‟ambito dell‟azione amministrativa svolta nella
fase applicativa di una data politica, possono incidere sui risultati della politica stessa; per quanto
riguarda la fase valutativa, diventa inoltre rilevante la questione del formalismo34 dell‟approccio
amministrativo nel suo insieme, ovvero quella condizione che può portare a trascurare gli
obiettivi elaborati dall‟organizzazione; in genere si considera che quanto più elevato è il grado di
formalismo, tanto sarà maggiore la tendenza a dare per scontato che i risultati discendano
direttamente dalle decisioni anziché dai processi ad esse correlate, ed in questo senso prevale
spesso la tendenza ad attribuire ad altri la responsabilità tralasciando invece i problemi che
coinvolgono il piano dell‟adeguatezza delle stesse decisioni.

Un caso interessante circa il funzionamento del “formalismo” nella valutazione delle decisioni
intraprese a livello politico riguarda quelle situazioni che considerano i vincoli rappresentati da
un certo insieme di divieti e di sanzioni, e che vede il “formalismo” rispondere al problema

34
Il formalismo porta a sollevare le questioni che riguardano l‟inefficienza delle organizzazioni, quindi
l‟inefficacia dell‟azione amministrativa, ed in questo senso, partendo dal presupposto che in una data
struttura organizzativa siano presenti risorse sufficienti per garantirne un adeguato funzionamento, sono
stati considerati alcuni modelli esplicativi fondati sul cosìdetto “formalismo burocratico”. Secondo Robert
Merton (1949), ad esempio, il formalismo esprime una condizione che vede i membri di una data
organizzazione operare con delle modalità che tendono a sostituire le finalità dell'azione amministrativa con
una rigida applicazione delle norme; in altri termini, il formalismo indicherebbe una condizione per la quale
viene data maggiore importanza alle regole piuttosto che agli obiettivi al cui raggiungimento sono orientate
le regole stesse, in un certo senso la “conformità al regolamento”. Tale conformità verrebbe sviluppata a
causa della pressione esercitata dalla struttura burocratica sui compiti di carattere amministrativo, ed al
riguardo si verrebbe portati a sviluppare un aderenza puntigliosa alle regole formali perdendo nel contempo
l'obiettivo principale dell'azione amministrativa. Interessante osservare che, in tal senso i presupposti per
l'efficienza, quindi la presenza di regole che vanno a specificare le varie procedure, può tradursi, almeno in
alcuni casi, in condizioni che producono inefficienza.

109
dell‟aumento delle infrazioni attraverso l‟intensificazione dei controlli e l‟inasprimento delle
ammende, lasciando così in secondo piano la questione dell‟adeguatezza del limite imposto in
quanto questo non viene neppure messo in discussione (es. il problema di comprendere se i limiti
di velocità, o quant‟altro, siano funzione della sicurezza o piuttosto di un occorrenza che impone
il dovere di sollevare contravvenzioni).

Lo sviluppo delle politiche ambientali


La dimensione che caratterizza il governo dell‟ambiente sul piano nazionale ed internazionale,
vede principalmente due tendenze nello sviluppo dei processi decisionali: la centralizzazione, e il
decentramento, e se nel primo caso il problema è quello di regolamentare sotto il profilo
normativo gli ambiti di ciò che supera la dimensione delle amministrazioni locali, per quanto
riguarda il decentramento, il discorso può essere inquadrato da una prospettiva che considera la
possibilità di dare delle risposte globali grazie ad un insieme di contributi locali, ed è in questo
senso che andrebbero lette quelle iniziative sul genere dell‟Agenda 21 locale, la quale si
proporrebbe come un momento istituzionale che, promosso dalle Nazioni Unite, dovrebbe
garantire delle funzioni propositive per le questioni della sostenibilità e delle iniziative dal basso
(principio della sussidiarietà).

Alcuni autori osservano inoltre che lo sviluppo della questione ambientale è andato
progressivamente ad interessare gli ambiti delle relazioni internazionali, ed in tal senso la materia
sembra aver assunto il ruolo di una questione con valenza diplomatica; Andersen e Skodvin
(2000), osservano ad esempio come abbiano acquisito importanza i cosìdetti regimi
transnazionali35, cioè quell‟insieme di orientamenti in campo ambientale che coinvolgono
problematiche come le piogge acide, la caccia alle balene, la fascia dell‟ozono, e quant‟altro.

Il cambiamento climatico è uno dei fenomeni che permette di comprendere come le politiche
ambientali abbiano assunto rilevanza globale, ed a questo livello va ricordato che la Conferenza
sull‟ambiente di Stoccolma del 1972 rappresenta ciò che viene considerato l‟avvio del dibattito
in tal senso, tuttavia andrebbe anche ricordato che, nel suo insieme la questione ha raggiunto una
dimensione tale da influenzare in maniera significativa l‟opinione pubblica soltanto a partire dal
1985, cioè nel momento in cui gli scienziati hanno reso pubblico il fatto di aver individuato una
vasta lacerazione nello strato di ozono dell‟atmosfera nella regione dell‟Antartide. Lo sviluppo
della questione sul piano internazionale, ha visto poi siglare nel 1987 il Protocollo di Montreal
sulla riduzione dei CFC (clorofluorocarburi), cioè di quelle sostanze ritenute le principali
responsabili del “buco dell‟ozono”, e lungo questa linea d‟intervento va a collocarsi anche
l‟IPCC (International Panel on Climate Change), un altro organismo multilaterale istituito nel

35
I regimi transnazionali sono rappresentati dall'insieme di regole formali, principi, programmi, ruoli, e
procedure che caratterizzano gli scenari delle relazioni internazionali (elementi regolativi sia a livello dei
singoli stati, sia a livello degli accordi multilaterali), ma allo stesso modo il concetto va esteso anche ad una
serie di regole e di pratiche informali, ed in tal senso, ad esempio, può essere utile considerare che accanto
ai governi nazionali è possibile rilevare spesso altri attori istituzionali come le corporations transnazionali e le
organizzazioni non governative. Alcuni esempi di regimi transnazionali sono dati dal Med Plan
(Mediterranean Action Plan, 1975), impegnato nella riduzione dell'inquinamento nel Mediterraneo, il Trattato
sulla non proliferazione delle armi nucleari (1968), ed il WTO (World Trade Organization, 1995), le cui
attività riguardano la regolamentazione degli scambi commerciali.

110
1988 con l‟intento di raccogliere ed elaborare informazioni scientifiche sull‟impatto ambientale e
sociale del mutamento climatico, e portare allo sviluppo di risposte adeguate in termini di policy.
I problemi che riguardano questi aspetti della crisi ambientale sono stati successivamente
affrontati in varie fasi, caratterizzate da eventi quali:

l‟Earth Summit di Rio de Janeiro del 1992 (un evento che ha portato a delle convenzioni
tra 150 paesi in relazione al mutamento climatico e alla biodiversità, ad una dichiarazione
che evidenzia la responsabilità globale delle questioni ambientali, ed all‟istituzione
dell‟Agenda 21 quale strumento operativo per lo sviluppo sostenibile);

il Protocollo di Kyoto del 1997 (protocollo per la riduzione delle emissioni inquinanti);

il Summit di Johannesburg del 2002 (sviluppo sostenibile);

la Conferenza di Copenhagen del 2009 (riscaldamento globale).

Complessivamente, una attività in ambito internazionale che chiama in causa la necessità di poter
contare su livelli di apertura adeguati sul piano delle relazioni, tuttavia questi eventi sono stati
nel loro insieme oggetto di varie critiche, ed in questo senso va rilevato ciò che può essere
definito nei termini di un “deficit di applicazione”, cioè una situazione problematica non tanto
per la possibilità di trovare accordi sulle regole, quanto, piuttosto, per la difficoltà di dare spazio
alla loro applicazione. Ad ogni modo, sostengono alcuni critici, la scarsa capacità di definire gli
obiettivi in relazione agli specifici problemi dell‟ambiente (es. clima, biodiversità, acqua,
energia, ecc.), sarebbe legata al fatto che gli ambiti internazionali coinvolti nell‟approccio alle
politiche ambientali non risultano popolati soltanto da stati, ma si contraddistinguono per la
presenza di soggetti quali, la Banca Mondiale, le Organizzazioni Inter-Governative e quelle Non
Governative, il WTO, l‟Organizzazione Mondiale della Sanità, ecc, quindi, anche per una serie
di attori attraverso cui le grandi imprese commerciali possono svolgere attività di lobbying.

In questo senso è rilevante il fatto che, in occasione di questo genere di appuntamenti


internazionali le Organizzazioni Non Governative organizzino spesso dei lavori paralleli rispetto
alle conferenze ufficiali, quindi dei momenti di confronto e di dibattito nell‟ambito dei quali
viene promossa la cosìdetta “controinformazione”; questo, inoltre, è anche lo spazio entro il
quale le associazioni cercano di promuovere la coesione del movimento ambientalista
stimolandone l‟internazionalizzazione, e a questo livello viene dato rilievo ai collegamenti tra
reti globali e reti locali.

Per quanto riguarda invece lo sviluppo di politiche in materia ambientale nel contesto europeo,
una prima valutazione può essere sviluppata considerando che è soltanto a partire dagli anni „70
che inizia a svilupparsi un approccio concreto nei confronti del problema ecologico (il Trattato
istitutivo della Comunità Economica Europea è del 1957); in breve, i programmi che stabiliscono
principi e priorità d‟intervento nelle politiche di settore sono del 1973, e nel tempo sono stati
sviluppati dei programmi pluriennali in alcune aree prioritarie, tra le queste: il cambiamento
climatico, l‟ambiente e la salute, la biodiversità, l‟utilizzo sostenibile delle risorse naturali, la
gestione dei rifiuti ecc. Complessivamente, le competenze dell‟Unione Europea in campo
ambientale trovano oggi come riferimento atti quali il Trattato di Maastricht (1992), e quello di

111
Amsterdam (1997), ed in riguardo va evidenziata innanzitutto la natura prevalentemente
regolativa dell‟azione dell‟Unione Europea. Gli organismi istituzionali a questo livello, hanno
tracciato delle linee di indirizzo che trovano espressione concreta nella produzione di documenti
che dovrebbero orientare la formazione delle politiche nei paesi aderenti (regolamenti e
direttive), questo, secondo delle modalità che lasciano agli stati membri una certa iniziativa in
merito alle soluzioni da adottare.

Continuando il discorso sullo sviluppo delle politiche ambientali nell‟Unione Europea, può
essere utile evidenziare alcuni dei principi che rappresentano il fondamento dei vari approcci di
policy a questo livello, in particolare, i criteri di:

riparazione,
correzione,
prevenzione,
precauzione,

questo, oltre al principio della sussidiarietà, peraltro applicato anche a tutti gli altri ambiti di
policy. In senso “riparativo”, la politica ambientale dell‟Unione Europea troverebbe modo di
svilupparsi secondo il principio di “chi inquina paga”, in senso “correttivo” nel rispetto del
criterio della rettifica prioritaria dei danni alla fonte, in senso “preventivo” nell‟intento di
limitare l‟entità di eventuali interventi successivi, ed in senso “precauzionale” in relazione a
quelle condizioni caratterizzate dall‟incertezza scientifica. Negli ultimi decenni, nello specifico a
partire dal programma d‟indirizzo per il periodo 1987-1992, lo sviluppo delle politiche
ambientali ha trovato modo di essere inquadrato anche secondo la prospettiva del principio
dell‟integrazione, nel senso che sarebbe stata rilevata la necessità di “integrare” la politica
ambientale con l‟insieme delle altre politiche pubbliche.

Il problema dell‟integrazione delle politiche ha suscitato un certo interesse, ed in tal senso sono
state definite delle linee guida per supportare questo processo, in particolare in relazione ai costi
e ai benefici, per ciò che riguarda la proporzionalità delle misure da adottare, oltre che, la
possibilità di revisione nel caso vengano acquisite nuove evidenze scientifiche; nel suo insieme
questa svolta, pur rappresentando un occasione per l‟innesco del dibattito in merito alle
implicazioni politiche e giuridiche di questo modo di approcciarsi alle questioni ambientali,
segna un inversione di tendenza anche per gli aspetti tecnici che riguardano l‟iter procedurale
dell‟onere della prova. In altri termini, nel tentativo di integrare criteri d‟intervento per politiche
riguardanti settori diversi, le istituzioni europee hanno provveduto a tracciare degli indirizzi per i
quali spetta a coloro che introducono una data tecnologia fornire le garanzie necessarie circa
l‟assenza di rischi per la salute e per l‟ambiente, questo, diversamente dai principi giuridici
tradizionali che indicano in colui che subisce un danno il soggetto su cui grava l‟onere di
dimostrare, provare, e collegare gli esiti lesivi di un dato comportamento.

Un complessivo ritardo nello sviluppo delle politiche ambientali è il dato che, purtroppo,
caratterizza la situazione in Italia, ed in tal senso può essere utile osservare come alla fine degli
anni „80 la spesa ambientale dell‟Olanda era pari al 2,3% del Pil, e quella della Germania ne
rappresentava il 3,7%, mentre invece l‟Italia impegnava soltanto l‟1% circa; anche se in tempi
più recenti è rilevabile un certo miglioramento per quanto riguarda la riduzione complessiva

112
delle emissioni industriali, non è irrilevante il fatto che la performance ambientale italiana risulti
tutt‟ora inadeguata rispetto al deterioramento delle risorse, e nel complesso gli analisti
sottolineano tra le cause sia la lentezza nell‟adeguamento alla normativa europea, sia uno stile di
policy caratterizzato dal formalismo burocratico, dal clientelismo, e da una certa frammentarietà.

La fase probabilmente più significativa sul piano normativo riguarda l‟istituzione del Ministero
dell‟Ambiente nel 1986, quindi il riconoscimento ufficiale dell‟importanza delle politiche
ambientali, e a questo livello va anche ricordata la creazione dell‟Agenzia Nazionale per la
Protezione dell‟Ambiente (ANPA) nel 1994, un organismo che successivamente ha cambiato la
propria denominazione in Agenzia per la Protezione dell‟Ambiente e per i servizi Tecnici
(APAT), al quale sono stati attribuiti compiti riguardanti la raccolta, l‟elaborazione, e la
diffusione di dati attraverso una serie di funzioni articolate sul territorio a livello delle Agenzie
Regionali per la Protezione dell‟Ambiente (ARPA).

Considerando poi gli strumenti di policy in campo ambientale, una prima distinzione può essere
effettuata sulla base della discrezionalità di cui dispongono i destinatari delle misure adottate, ed
in generale, nel considerare gli obblighi il discorso ruota attorno all‟insieme degli standard
normativi previsti, ad esempio nel caso dei motori automobilistici, in relazione alle tecnologie
impiegate e in riferimento ai limiti delle emissioni. Per quanto riguarda le norme che stabiliscono
delle specifiche procedure di analisi, andrebbe inoltre ricordata l‟importanza dei piani di
“valutazione di impatto ambientale”, ovvero, degli studi preventivi finalizzati alla valutazione
della compatibilità ambientale di una data innovazione (es. nei progetti di attività pubbliche e
private).

La valutazione dell‟impatto ambientale è una procedura sviluppata negli Stati Uniti nel corso
degli anni ‟60, e per quanto riguarda l‟esperienza europea è nel 1985 che tale procedura viene
riconosciuta da una specifica direttiva, recepita in Italia nel 1986, e successivamente introdotta
anche a livello regionale, ed in tal senso è importante sottolineare come l‟iter procedurale sia
stato considerato anche in funzione della necessità di informare e consultare preventivamente il
pubblico. In tempi più recenti, va inoltre ricordata al riguardo l‟istituzione di un altra procedura,
la cosìdetta “valutazione ambientale strategica” (2001), la quale contempla un insieme di piani e
di programmi elaborati da autorità nazionali, regionali, e locali.

Altro esempio di procedura obbligatoria è la cosìdetta “Direttiva Seveso”, successiva al disastro


del 1976 causato dalla diossina nell‟impianto industriale dell‟omonima città, e caratterizzata da
un intento orientato alla prevenzione nei confronti degli incidenti chimici anche per ciò che
riguarda le procedure mirate a limitare le conseguenze sanitarie; interessante osservare che,
anche in questo caso verrebbe contemplato il coinvolgimento della popolazione residente nelle
aree in cui sia prevista la realizzazione di nuovi stabilimenti, oppure la modifica di stabilimenti
già esistenti.

Le forme di regolazione ad alta discrezionalità lasciano invece ai destinatari la possibilità di


scelta in relazione ad una data modalità di comportamento; a questo livello trovano collocazione
procedure facoltative come l‟Environmental Management and Audit System (EMAS, introdotte
nel 1993 e ridefinite nel 2003), cioè dei sistemi di eco-gestione e certificazione ambientale,
oppure, l‟Ecolabel (marchi di qualità ambientale, introdotti nel 1992 e ridefiniti nel 2000), in altri

113
parole, un percorso finalizzato alla promozione di prodotti in grado di ridurre gli impatti
ambientali negativi. Altri strumenti ad alta discrezionalità, sono rappresentati dalle iniziative di
educazione ambientale, le quali vengono spesso promosse e finanziate da governi ed enti locali
nell‟intento di sensibilizzare i cittadini, e su questo piano sono collocabili anche gli strumenti
informativi su prodotti e processi (registri ed etichette), e gli standard di qualità promossi da
imprese ed associazioni di categoria (processi di autoregolazione o di “regolazione civile”).

Ad un altro livello si collocano invece quegli strumenti di policy che prevedono accordi tra
imprese e governi (politiche contrattualizzate), le quali, diffuse in particolare a partire dagli anni
‟80, hanno trovato applicazione a vari ambiti, e non soltanto in materia ambientale (es. ordine
pubblico, sviluppo economico, fornitura di servizi, ecc.), coinvolgendo enti pubblici e soggetti
privati; in Italia questo è l‟esempio degli accordi di programma, delle conferenze dei servizi, dei
protocolli d‟impresa, dei contratti d‟area, dei patti territoriali, e dei contratti di quartiere.

Infine, un ulteriore esperienza nello sviluppo delle politiche ambientali riguarda una serie di
strumenti di carattere finanziario, complessivamente un qualcosa che tende a seguire la logica del
punire o premiare uno specifico comportamento nell‟intento di raccogliere risorse da destinare
alle spese per l‟ambiente. In generale questo è il caso delle forme di tassazione fondate non sul
consumo di una data risorsa, ma su parametri come il valore o la superficie della proprietà
immobiliare (es. in Italia la tassa sui rifiuti urbani), ma allo stesso modo questo è anche il caso
dei vari contributi una tantum per finanziare opere di ripristino territoriale rese necessarie da
alluvioni, terremoti, o eventi eccezionali di altro genere.

Ambiente e trasformazione della democrazia


Globalizzazione, deregulation, privatizzazione, sono termini entrati ormai nel linguaggio
comune, ed in un certo senso possono rappresentare dei segnali di un cambiamento, e non
soltanto degli scenari di policy, in direzione dell‟aumento della complessità, quindi, di un mondo
sempre più orientato in direzione dei flussi (materiali ed immateriali)36, dove assumono
importanza crescente i network di relazioni 37. A questo livello il progressivo coinvolgimento del

36
Lo spazio è, secondo la prospettiva della teoria sociale, il supporto materiale delle pratiche sociali di
condivisione del tempo, ed in tal senso il nesso fra spazio e società e dato dalla simultaneità. Questa è nel
suo insieme una concezione che tradizionalmente viene assimilata alla contiguità, tuttavia emerge oggi
l‟esigenza di dar conto delle pratiche sociali dominanti nell‟Età dell‟informazione, quindi di separare il
concetto di supporto materiale di pratiche simultanee dalla nozione di contiguità. In altri termini la questione
riguarda il fatto che esistono supporti materiali che non dipendono dalla contiguità fisica. La società appare
costruita attorno ai flussi: flussi di capitali, flussi di informazione, flussi di tecnologia, flussi di interazione
organizzativa, flussi di immagini, suoni e simboli, nel loro insieme un qualcosa che esprime dei processi che
dominano la nostra vita economica, politica, e simbolica. Ecco allora che il supporto materiale dei processi
nella società diventa l‟insieme degli elementi che supportano i flussi e che rendono materialmente possibile
l‟articolazione degli stessi nella simultaneità; questa è l‟idea della nuova forma che caratterizza quelle
pratiche sociali che dominano e plasmano la società in rete: lo spazio dei flussi.

(Manuel Castells, La nascita della società in rete, Università Bocconi, Milano 2002 - edizione paperback 2008).

37
Allo stesso modo in cui nelle società moderne (dopo la rivoluzione industriale), le forme organizzative
dell‟industria tendevano a riflettersi nei vari campi d‟attività, l‟ “informazionale” rappresenta un attributo di
una specifica forma di organizzazione sociale, dove i processi di elaborazione e trasmissione delle
informazioni assumono il ruolo di fonti basilari di produttività e di potere. Complessivamente, il fondamento
di queste trasformazioni è rappresentato da quelle dinamiche che hanno portato all‟esperienza della “società

114
privato per ciò che riguarda la produzione di beni e servizi che un tempo spettavano agli stati, è
un fenomeno che ovviamente coinvolge anche i processi decisionali che riguardano la cosa
pubblica, ed al riguardo ha assunto rilevanza il concetto di governance, quindi la creazione di
spazi di collaborazione tra autorità e parti sociali in vista dell‟autoregolazione di quest‟ultime.
Una definizione interessante di tale concetto è quella proposta da Rhodes (1996), un autore che
definisce la governance come un processo di governo, o di mutato ordinamento, o di nuovo
metodo, attraverso il quale la società viene governata, e nell‟ambito del quale risultano impegnati
vari attori collegati da rapporti di mutua dipendenza.

Entro il quadro delle mutazioni realizzate negli ultimi decenni, un aspetto importante che il
concetto di governance tende ad esprimere è quello del ridimensionamento del ruolo statale,
quindi del cambiamento del ruolo del soggetto che mediava tra specifici interessi di un numero
limitato di rappresentanze (condizione base della concertazione), ed in un certo senso questo
porta il discorso sulla trasformazione della democrazia nel mondo contemporaneo, un qualcosa
che oltrepassa gli ambiti che caratterizzano le politiche ambientali.

Complessivamente gli studiosi evidenziano una perdita sia della legittimazione, sia dell‟efficacia
dei processi decisionali tradizionali, ed in riguardo oltre al ruolo delle istituzioni viene messo in
discussione anche quello degli esperti e delle relative competenze; in questi termini, se
l‟attenzione viene in genere portata sul problema della tecnocrazia38, per quanto riguarda

in rete”, ovvero una svolta epocale, tuttora in corso, nello sviluppo delle società umane. Processi e funzioni
dominanti appaiono oggi organizzati attorno a delle reti, ed è la stessa “logica di rete” che costituisce la
nuova morfologia della società; al riguardo, la pervasività dell‟idea di rete nella struttura sociale emerge
considerando che una rete rappresenta un insieme di nodi interconnessi, ed in tal senso possono essere dei
nodi le piazze finanziarie, i governi, i sistemi televisivi, i nuovi media, i laboratori clandestini, le gang di
strada, le istituzioni per il riciclaggio del denaro, e quant‟altro, la differenza risiede nel tipo di rete reale a cui
si fa riferimento. Portando l‟attenzione sulle dinamiche delle reti, andrebbe rilevato che queste tendono ad
espandersi quando riescono ad integrare nodi capaci di comunicare tra loro, quindi finché questi condividono
i medesimi codici di comunicazione, inoltre, per ciò che concerne la capacità delle reti di connettersi va
evidenziato che gli interruttori sono rappresentati dai flussi finanziari, dalla droga, dalle informazioni,
oppure, ad un altro livello, dai processi politici; in generale, ciò che riesce ad accendere una rete
rappresenta uno strumento privilegiato del potere. Le reti sono in questo senso molteplici e con varie forme,
ed i rispettivi codici e le relative connessioni possono sia guidare che deviare il corso delle società; nel suo
insieme, un evoluzione sullo sfondo della convergenza tra tecnologie dell‟informazione, un qualcosa che può
creare delle nuove basi materiali per le varie attività, ma generare al tempo stesso dei rischi, anche a livello
di quei processi capaci di dar forma alla struttura sociale.

(Una prospettiva informazionale della società, free©reations 2012 BorderLine by inopan)


https://docs.google.com/file/d/0B55Ccwn2HUVaaGM4Z3d3WE1NSFE/edit?usp=sharing&pli=1

38
Il termine viene in genere impiegato per indicare quelle condizioni che portano degli esperti ad esercitare
influenza, quindi potere, a livello delle questioni pubbliche; il problema della tecnocrazia tende ad emergere
nel periodo della seconda rivoluzione industriale (XIX secolo), ma oggi appare quanto mai attuale se
consideriamo il fatto che viviamo nell‟Età dell‟informazione. La tecnocrazia sviluppa influenza, oltre che sulle
procedure che riguardano il “controllo della natura”, sugli assetti degli apparati politici, sociali, ed economici,
e nel suo insieme è la complessità tecnica di molte questioni che enfatizza il ruolo degli esperti (anche in
relazione alla mancanza di conoscenza da parte dei cittadini), una situazione per la quale i “tecnici” si
trovano nelle condizioni di guadagnare potere accanto alle strutture formali, ad esempio, nelle vesti di
organi consultivi, e di autorità regolative. A questo livello il problema è quello della “politicizzazione della
scienza”, una condizione che porta a trasformare il dibattito scientifico in dibattito politico, e che tende a
limitare lo spazio e le possibilità di confronto e discussione nel momento in cui aumenta il peso delle
“argomentazioni tecniche” presentate come neutrali (stretta relazione tra scienza, politica, ed affari).

115
l‟ambiente nella prospettiva dell‟autoregolazione è la dimensione della partecipazione ad
assumere rilevanza, in quanto rivalutata come presupposto di ciascun programma di policy.
Dal tardo latino participatio-onis, il termine partecipazione presenta almeno due valenze
semantiche fondamentali: prendere parte, quindi il concorso con altri (es. ad un atto oppure a un
processo), e far parte, cioè l‟essere o il divenire (es. in un gruppo o in una comunità); nel primo
caso si fa riferimento ad un attività che chiama in causa la disponibilità dei destinatari a
comportarsi in un certo modo, mentre nel secondo il problema riguarda invece la possibilità di
essere inclusi in un ambito dato in quanto titolari di determinati diritti.

Per quanto riguarda i processi di policy possono essere considerati entrambe i significati, ma ad
ogni modo l‟aspetto interessante della questione è che l‟elemento della partecipazione emerge
come un fenomeno legato all‟esistenza di una data rete di relazioni, o comunque, in funzione
dell‟intensificazione delle connessioni tra alcuni elementi di rete (es. aggregazione ed
integrazione nelle assemblee e nei gruppi di lavoro). In campo ambientale, è possibile rilevare
esempi significativi per ciò che riguarda la dimensione della partecipazione, e nel loro insieme,
sotto il profilo analitico vengono considerate delle fasi fondamentali quali:
comunicazione,
consultazione,
deliberazione,

questo, almeno in relazione alle iniziative promosse come sviluppo di policy da parte di attori
istituzionali (pubblici o privati che siano), in quanto l‟esperienza della partecipazione intesa
come mobilitazione dal basso tende a differenziarsi, e ad assumere i tratti delle forme
aggregative dei movimenti, o comunque delle espressioni associative.

Per quanto riguarda la comunicazione, sembra aver assunto una certa importanza a livello degli
strumenti utilizzati nelle politiche ambientali la cosìdetta “comunicazione del rischio”, cioè lo
scambio e la diffusione di informazioni che riguardano eventi, fenomeni, attività, che possono
causare danni alla salute e all‟ambiente; più in generale, è lo stesso modo di concepire la
comunicazione che appare mutato, ed in questo senso, in particolare a partire dagli anni ‟70, dal
piano dell‟argomentazione e della persuasione la comunicazione ha iniziato a coinvolgere anche
gli aspetti relativi alla promozione del dialogo tra soggetti interessati a specifici aspetti della
questione ambientale.

Nell‟Unione Europea l‟accesso all‟informazione è disciplinato in modo tale da rappresentare un


diritto riconosciuto presso qualsiasi autorità amministrativa connessa con l‟ambiente, questo
secondo delle modalità che devono essere garantite indipendentemente dall‟esistenza di uno
specifico interesse; nel loro insieme sono gli stessi enti pubblici a promuovere programmi di
informazione, mentre invece per quanto riguarda i privati è possibile distinguere da un lato, delle
attività informative a livello di associazioni e organizzazioni impegnate a vario titolo in attività
attinenti all‟ecologia (comunicazione finalizzata principalmente alla sensibilizzazione), e
dall‟altro, la comunicazione ambientale d‟impresa, intesa come un attività orientata
principalmente al marketing, o comunque utilizzata come strumento per mediare i conflitti legati
alle attività produttive.

116
Passando a considerare la consultazione, va in primo luogo evidenziato come questa fase
andrebbe collocata in un momento precedente all‟avvio del processo decisionale, ed al riguardo
essa si connota per l‟essere un qualcosa di innovativo rispetto all‟iter politico-amministrativo
tradizionale, almeno per quanto riguarda l‟esperienza italiana; complessivamente la
consultazione è quell‟aspetto della partecipazione che vedrebbe riservare un certo spazio ai
cittadini, ai gruppi, alle organizzazioni, per rispondere alle esigenze di rappresentatività di
interessi diffusi, tuttavia questa diventa una fase problematica nel momento in cui tende a
prevalere l‟atteggiamento restrittivo nei confronti dei privati, ed alcuni autori identificano in tal
senso delle aree tematiche che interessano principalmente:

lo stato di attuazione delle norme, una condizione che in molti casi non riesce ad essere
soddisfacente;
le possibilità di utilizzo degli istituti partecipativi, una situazione che vede prevalere
nell‟accesso alle risorse le organizzazioni caratterizzate da una maggiore stabilità;
la capacità di rappresentare le istanze del pubblico nel senso che, spesso le organizzazioni
lasciano poco spazio alle priorità dei cittadini;

il peso delle opinioni del pubblico sui processi decisionali, cioè l‟assenza di garanzie
circa il rispetto formale dell‟orientamento espresso nella consultazione.

A livello del processo di policy, quando l‟intervento dei cittadini, anche in forma associata, si
realizza nella fase in cui le decisioni vengono prese, ecco allora che il discorso si sposta sul piano
della deliberazione, ed a questo livello è possibile distinguere tra delle esperienze più
istituzionalizzate che tendono a riflettere maggiormente le caratteristiche di ciò che la
deliberazione vorrebbe rappresentare, e delle espressioni che invece dalla deliberazione tendono
a discostarsi; il primo caso è quello delle pratiche negoziali sul genere della “mediazione
ambientale”, le quali, utilizzate in particolare negli Stati Uniti si propongono come uno
strumento per individuare soluzioni orientate al bene comune piuttosto che all‟accomodamento
di interessi di parte (es. planning cells, consensus conference, scenario workshop), e per ciò che
riguarda gli aspetti che tendono a non rappresentare una fase regolamentata del processo di
policy, quindi le esperienze meno istituzionalizzate, autori come De Marchi e Ravetz (2001),
portano l‟attenzione sulla “democrazia deliberativa”, ovvero una condizione dove trovano
espressione, più che dei processi decisionali in sé, delle ulteriori fasi di confronto e discussione.

Questo per dire che, nella pratica può essere difficile incontrare delle situazioni che soddisfano i
vari aspetti del fenomeno partecipativo, ciò nonostante, anche se non possono essere escluse
quelle condizioni per le quali il fatto di ricorrere alla partecipazione rappresenta un espediente
dettato dall‟esigenza di ottenere una certa base in termini di legittimità, le forme di democrazia
deliberativa offrono comunque la possibilità di alimentare la dimensione del civismo (rispetto e
fiducia dei cittadini), e di rendere più efficiente ed efficace la discussione in merito ad un dato
problema.

Come osservano Pellizzoni (2005), ed altri autori, esistono comunque una serie di varianti della
deliberazione pubblica, ed in alcuni casi è previsto il coinvolgimento sia della cittadinanza, sia
degli esperti, quest‟ultimi chiamati a coinvolgere la popolazione nell‟intento di fornire supporto
tecnico al dibattito; questo, ad esempio, è il caso delle questioni che riguardano la politica
117
energetica, la commercializzazione di alimenti transgenici, oppure l‟individuazione di un sito per
la costruzione di un impianto industriale, ed è a questo livello che vanno a collocarsi le iniziative
sul genere dell‟Agenda 21 locale, la quale svolge attività finalizzate a promuovere lo sviluppo
sostenibile anche attraverso la ricerca di spazi per dei processi consultivi e cooperativi tra
autorità e comunità nell‟intento di impegnare formalmente le amministrazioni a sostenere i vari
progetti.

Secondo questa prospettiva la “deliberazione pubblica” rappresenta un momento caratterizzato


da un forte potenziale innovativo, tuttavia, non va dimenticato che una discussione rappresenta
un momento che può portare ad individuare soluzioni, ma al tempo stesso può determinare un
radicamento delle posizioni alimentando così la dinamica del conflitto; esiste inoltre in tal senso
il pericolo del trade-off tra inclusività di un processo di policy, e tempestività delle decisioni,
anche in riferimento all‟atteggiamento dei partecipanti oppure come effetto delle dinamiche di
gruppo (es. conformismo, polarizzazione delle opinioni, influenza del ruolo svolto dai
partecipanti, ecc.), questo per ricordare che, la partecipazione è un fenomeno complesso che
richiede adeguate e specifiche capacità sia al livello della progettazione, sia nella gestione. Il
fatto poi di trovarsi nelle condizioni di doversi confrontare con una molteplicità di strumenti di
policy (es. piani regolatori, Agenda 21, accordi territoriali, bilanci, ecc.), rappresenta una
situazione nell‟ambito della quale un amministrazione può incontrare una serie di difficoltà di
coordinamento, questo anche a causa della natura stessa di alcuni strumenti d‟intervento, nel
senso che non è detto che questi siano tra di loro facilmente conciliabili; nel suo insieme, delle
condizioni che rimandano al problema della legittimazione democratica degli esiti dei processi di
deliberazione pubblica in relazione alle connessioni tra istanze partecipative e processi politici
tradizionali.

L‟impatto effettivo della deliberazione pubblica rappresenta quindi un qualcosa di difficile


valutazione, ed in tal senso gli elementi problematici appaiono legati principalmente al fatto che
il processo deliberativo si traduce spesso nel concreto in un processo politico, e la deliberazione
finisce per diventare più che altro una forma di consultazione avviata nel tentativo di
armonizzare una certa varietà di impegni e di interessi, i quali tuttavia trovano spesso il modo di
essere elusi a causa del gap temporale tra la fase deliberativa e quella applicativa.

Conclusioni
Oggi i problemi ambientali si caratterizzano, da un lato per il fatto di essere spesso preda della
routine politica, e dall‟altro, oltre che per una certa trasversalità rispetto alle appartenenze
partitiche, per le possibilità offerte in termini di mobilitazione dell‟azione collettiva.

Lo scenario con il quale le questioni ecologiche, e le relative risposte istituzionali devono


confrontarsi è poi caratterizzato dalla crisi degli approcci tradizionali di policy, e più in generale
per la messa in discussione del principio della legittimità come fondamento del sistema
democratico, ed in questo senso, tra il considerare l‟ambiente come oggetto della politica, ed il
fatto di renderlo soggetto della politica stessa, sembra profilarsi un alternativa fondata sulla
concezione dell‟ecologia come un qualcosa che non riguarda soltanto il fatto di prendersi carico
dei problemi dell‟ambiente, ma più in generale come un modo diverso di considerare le cose.

118
Secondo Latour (2000), si tratterebbe di definire il “regime dell‟ecologia”, cioè una condizione
caratterizzata da una profonda incertezza, e per la quale ogni decisione richiederebbe una certa
cautela anche in relazione all‟esistenza di una molteplicità di associazioni possibili tra cose e
persone, le quali avvertono innanzitutto l‟esigenza di non essere considerate alla stregua di un
semplice mezzo.

Nel complesso è possibile cogliere la necessità di ripensare in modo profondo la “modernità”,


quindi, le sue espressioni a livello delle istituzioni e della prassi politica; in questo senso la crisi
ambientale rappresenta l‟evidenza di quegli esiti legati al fatto di aver privilegiato l‟interesse di
parte a scapito del senso morale, dunque l‟accrescimento di una visione strumentale
dell‟ambiente; emerge in altri termini l‟esigenza di un approccio di policy innovativo, sia a
livello locale, sia sul piano delle decisioni che coinvolgono scale più ampie, almeno fino a
quando a fronte delle molte contraddizioni che caratterizzano le questioni ambientali, risulterà
possibile ipotizzare una società ecologicamente sostenibile; siamo ancora in tempo?

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