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BRUNO CERVENCA
Titolare di musica corale e direzione di coro
nel consr:rvatorio di musica G. Tartini - Trieste

IL CONTRAPPUNTO
NELLA POLIFONIA VOCALE CLASSICA

Trattazione - Esempi d'autore


Esercizi per gli studiosi

EDIZIONI BONGIOVANNI - BOLOGNA


INTRODUZIONE

La musica vocale chiamata « a cappella » è, come è noto, la musica vocale


scritt;pèt~- solo~n;;~;;-~;;P-;in~-;;~-;rt~~- Stilistica;ente dunque la musica
a cappeiia-de-~e è~r~ispondere nel modo più perfetto alle esigenze particolari delle
voci cantanti non accompagnate; perciò essa deve avere delle caratteristiche
proprie che la distinguono non solt~~to dalla musica strumentale in generale, ma
anche, -in particolare, da quella musica vocale che, o per doversi eseguire assieme
a degli strumenti, o per essere concepita in funzione di un « basso continuo »,
è da intendersi come musica vocale accompagnata.
La musica corale a cappella sarà l'oggetto principale di questo studio, soprat-
tutto nell'espression_~~~i.fu~~S~-cb'~§~~J;>h~--11~1_ ~~~())_() __~_Y.1; ciò l?~!~é,_J1?:. qu~
secolo la pratica di quel genere di canto_ r~~!!?:~~-uJ?:'elevatezza che non si ripeté
~ai_E!LJ!ei E_9)i__i~~c~;si0- Infatri-d;T secolo ..~Yii'-i~"-p~T~~-~p~~- piò ~ndÒ ·
pr~valendo la musica strumentale e sempre più la .rrmsica c.2E~l.e ve~re,. concepi~a
assieme ad un accompagnamento strull1~11t~k.__
È bensl ~~ro èhe a~cbe prima del secolo XVI la musica vocale predominava
su ogni altra forma di musica, ma tale predominio si manifestava più nell'estrin-
secazione pratica che nell'intima struttura: _!}9.fl_~!§t_c:;ya__ ~12S<?E~...irrfattLw1:a n~tta_
differenza, almeno nel campo dottrinale, fra musica vocale e musica strumentale,
sl èhe le composizioni potevano venire eseg~-it~ i~diff~;entemente dall~ -v~ci ''a'
dagli strumenti oppure anche da quelle e da questi insieme. Invece ~el sec~lo xv{
Ìa musica vocale acquista una §~~Ofl()~~~ propria, cht.1'L.!!J.a11ifesta in"'~~~@ s~wp)ifi:-
èazione dei mezzi con riguard9____alla voq~Jità..;, i salti fra i suoni vengono sempre
pjù limitati_. Ya prevalendo I.? conJg_tja_}!J.<l9-dirn per _gr~di vicini, si ta strada
;·:<l~;-d~TI~-frase con i relativi punti salienti e con i respiri e le pause necessarie
a: riposo della voce; imp()ftante innovazione è pure il progressivo uniformarsi
.:lell'andamento _delle singole voci, dimodoché nessuna di queste assume più un
rilievo o una costituzione differenti dalle altre, a meno che non si tratti di un
« cantus fìrmus ».

3
P~tu~r~~ql!~t.e !a~~.??} A secolo J"YI 11,~~i;,~' ee,~,c~,,.~.h,e....,;~Js- nel campo della
musica_ vocale a cappella e che perciò deve essere preso quale fonte particolare
di studio per tale genere musicale(').
Peraltro Io stile a cappella cinquecentesco non è uniforme né unico. Accanto
alla musica severa, rigorosa, direi quasi regolamentare, aderente spirJ!ual~~tee
f.2E!W!lroente allo spirito religioso del tempo, vive e va S.~rnl2r~...Pi~_J?E_~s_p~t.l:lndo
~ysi~?.: sH pr~valente carattere pr~ta~<_J,_!,end~.Il!.S all'espressività passionale e
ad un alto grad9 di calore umano. La prima vuole ordine, chiarezza, sublimazione
e trova J'esp~~~n~e suo più ~lto in Palestrina; essa guarda all'indietro, ai secoli
passati e non aspira ad altro che alla perfezione di se stessa. L'altra tende al nuovo,
trova fertile terreno nella maniera madrigalistica, ed è il campo sperimentale degli
spiriti progressisti del secolo, tanto che Coclico non esita a definirla « musica re-
servata » (2).
È strano il constatare che mentre in pratica le intenzioni degli spiriti più
avventurati erano protese verso i nuovi mezzi espressivi, la teorica restava tuttora
ancorata alla vecchia maniera e perpetuava le antiche regole senza tenere alcun
conto di ciò che in realtà i compositori andavano scrivendo. Ad esempio alcune
figurazioni come il portamento e la nota cambiata, che già da lungo tempo erano
entrate nell'uso comune, non vengono affatto nominate dai teorici dell'epoca; e
così la tonalità moderna stava già chiaramer..te imponendosi in tutti i generi di
composizione, quando i trattati continuavano ad ignorarne l'esistenza e persiste-
vano nell'enunciazione delle antiche scale medioevali.

(1) E' stata fatta finora una grande confusione nella scuola a proposito dell'indirizzo da
dare allo studio del contrappunto. Ancora oggi non si capisce proprio di. quale contrappunto
vi si intenda parlare. In effetti ci sono· statT-neUe varie epoche sforiche diversi stili contrappun-
tiStici,anz°i'sì'pùo··a!re che dal '500 in poi (e anche da prima) per ogni secolo si andò tormando
un linguaggio contrappuntistico proprio. Si tratta, in ultima analisi, della divergenza fra due
concezioni fondamentali: il contrappunto che nasce dalla combinazione di varie melodie intese
linearmente e il contrappunto che nasce dal complesso verticale dell'armonia; il primo lil~çi!.!Se
dalla sostanza armor.Ìc!!,; il secondo la presuppone, anzi ne scaturisce; il primo trova a sua
~rinsecazione p1u elevata nelle opere della scuola romana del '500 e soprattutto in Palestrina,
il secondo ha il suo modsjlo ..12il.r.J~S:I{t;t,to J.r;i._.Bacli. Dei trattatisti di contrappunto alcuni segui-
'i"Ori010~pmèslfir1iaìfo'ò' almeno ebbero l'intenzione di seguirlo (J. J. Fux, L. Cherubini,
M. Haller), altri seguirono lo stile bachiano (E. F. Richter, S. Jadassohn, H. Riemann). Pur-
troppo i primi, pur professandosi cultori deLlo stile palestriniano, non sempre dimostrano di
conoscerne a fondo la natura, sicché i loro dettami e i loro esempi spesso contrastano con i
model!, dell'epoca ci.ii vorrebbero riferirsi. E così nelle scuole, un po' per la lamentata confu-
sione operata dai trattati stessi, un po' per altre ragioni, si è giunti a praticare un contrappunto
ibrido, basato su uno stile che non corrisponde a nessuna epoca, né classica, né barocca, né
moderna, un contrappunto che si potrebbe dire inventato ad usum scholae. Per rendere me-
glio l'idea dirò che nel campo scolastico del contrappunto avviene ciò che si riscontrerebbe
nello stud1o del latino qua1om dalla scuola venissero banditi i testi classici, non si studiasse
più il latino di Virgilio né quello di Cicerone, per far posto ad un latino « maccaronico » di
pura c comoda invenzione, alla Me.rlin Cooai. L'errore più grave consiste nel voler far rispet-
tare ciecamente dali'allievo un certo numero di regole secondo i dettami di un qualunque trat-
tati~•a, senza preoccuparsi menomamente di risalire alle fonti, di vedere con i propri occhi, di
prendere fili esempi direttamente dagli autori, indifferentemente se si preferisce che questi
siano un 1 alestrina, un Monteverdi o un Bach. Recentemente perè anche nel campo rigmoso
dei trattati si puo notare la tendenza ad una migliore sp.:cializzazione e ad un'esposizione teo-
rica basata s11lla diretta conoscenza degli autori; per quanto riguarda il contrappunto della
polifonia classica hanno seguito questo indirizzo: R. O. Morris « Contrapuntal tecnique in
the sixteenth century » (Oxford 1922); A.T. Merrit « Sixteenth-Century Polyphony » (Cam-
bridge 1939); K. Jeppesen « Kontrapunkt » (Kopenhagen 1930); G. F. Soderlund « Direct
Approach to Counterpoint in 16th Gentury Style » (New Yock 1947); P. Samuel Rubio o.s.a.
«La polifonia clasica » (El Escurfol 1956).
( 2 ) « Ut igitur rursus Musicam illam, quam vulgo reserYat.1111 ia:titant, in lucem revocem ...
conscripsi silvulam quandam et Epitomen de ea arte, quam a Iosquino percepì... » A. Petit
Coclico, Compendium musices, Norimberga. 1552.

4
CENNO STORICO

con ~u~:er~;i~~;i~~~~J;~I~~~i;~1~~~~g~~~:I~i~·-~t;!~!~i:~~~;~~}~·
fu dÙe sec~li e che le aveva meritato il primato musicale durante tutto il '400.
Quella ~~mm~ di sapere, che· recava c~n sé non poche nordiche pesante;;e, giu~ta
in Italia, S\lQLLi!Ulusso. ,Ero,ficu.2.~~.çfs...9Jl gysto )_tjilian().1;. ~ dalla. recip_r~ca
compenetrazione sci:'JJlrJ.)<;,t .s~iJL che .~aE~!}erizzò il secolo e che possiamo dire
« classico .». .. .. -~--~-·····-·····~- """''"~··'" ··· ·· •· .•.,, ·~-·--·'""······- .,, ..,.... · ·· ·
Anche l'importante movimento religioso della controriforma ebbe dei riflessi
decisivi nef ca1Ilp_() . g~Ha semplificazione stilistica della musica vocale. La chiesa
cattolica era depositaria di una immane tradizione nel campo della musica. Col
distacco provocato da Lutero della chiesa protestante dalla chiesa di Roma e colla
conseguente introduzione nella chiesa protestante del « corale », ossia di una espres-
sione musicale semplice, sorse di riflesso anche per la chiesa cattolica il problema
di una semplificazione dello stile musicale religioso, che, per la recente eredità
fiamminga, aveva adottato una sontuosità architettonica di soverchia op~lenza e
complicatezza.
Di questo problema musicale si occupò anche il Concilio di Trento, che,
aQerto da Paolo III nel l545, durò con. interruzioni fino. dièemb~;·d.~ì"'156T af
D~fi;-Jf;;;;foni. u;èir~n~, in una delle ultime sedute del Concilio, alcune racco-
mandazioni ,rivolte ai vescovi, affinché ciascuno per la propria diocesi in avvenire
bada~semche le composizio?i .1?1usical:_lit~:~i.che,,.~~~-~~~~1!~.~~S~.~~L-~~P.\1S?'
il che tra· l'altro comportava il 'bàllifO d"irla chiesa di quelle oomposizioni che,
secondo un'usanza allora molto diffusa, si vale·; ano di canti popolari co~e è~ntd
'fermo· 10.· un~''dèlie voci del complesso polifonico;tri'.\che la musica sacra fosse
.tale da lasciare al testo liturgico una perfetta intellig~tà:··~~~~ a;~-e~ide~t~fl'.:ènt~··
f>"?r~~va all'esclusione delle composizioni aventi un compli~ato int;eccio contrai?:
puntistico imitativo.
-Chi~s~ il Concilio, il papa Paolo IV volle procedere alla realizzazione pratica
delle proposte e delle raccomandazioni, e a questo fine nominò speciali commis·
sioni di cardinali. In particolare vennero chiamati ad occuparsi delle questioni musi-
cali i cardinali Vitellozzo Vitelli e Carlo Borromeo arcivescovo di Milano.
Molti compositori cercarono allora di conformare la propria musica alle nuove
esigenze della Chiesa. Si suol dire che il Palestrina abbia avuto parte importante
nella riforma. In realtà del Palestrina a Trento musica non pervenne. Vi arrivò
invece probabilmente un lavoro composto dal fiammingo Giacomo de Kerle, lavoro
che egli scrisse nel '62 per suggerimento del suo protettore il cardinale Ottone von
Truchsess, e che intitolò « Preces speciales pro salubri generalis Concilii successu ».
Si trattava dunque di una raccolta di preghiere e non è escluso che se ne fosse
fatta un'esecuzione per i partecipanti al Concilio.
Nel 156 7 l' Animuccia pubblicò una raccolta di messe nella cui prefazione
dichiarò esplicitamente di aver voluto conciliare l'intelligibilità delle parole con la
perfezione artistica.
Anche Vincenzo Ruffo, che operava nel duomo di Milano e quindi aveva .

5
frequenti contatti col cardinale Borromeo e col vicario di questo, il vescovo Orma-
neto, si fece zelante esecutore della riforma stilistica suggerita dalla Chiesa; egli
arrivò a comporre quasi del tutto nello stile armonico omo~, ("' tr· r: .;
(~
anche a costo
di far cantare dalle voci frammenti sillabici di parole (3):

Es. 1

V. Ruffo: «Missa secundi toni»

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pec - Cci? - t.z. mun - di

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Qui /is Cél mun - d/

Certo è però che neppure il Palestrina rimase estraneo alla questione. In una
storica adunanza di cardinali tenutasi a Roma in casa del Vitelli nel '65 con lo scopo
di esperimentare direttamente come si comprendevano le parole di alcune composi-
zioni, è probabile che venisse eseguita anche della musica del Palestrina. Alcuni indizi
fanno pensare che in quell'occasione venisse fatta sentire la famosa messa Papa::
Marcelli, la messa che il Palestrina compose intitolandola al Papa Marcello II
Cervini, pontefice per 20 giorni dell'anno 15 55. Durante il suo brevissimo ponti-
ficato questo papa ebbe occasione di dare delle direttive di carattere musicale,
che il Palestrina volle certamente seguire. La messa Papae Marcelli rivela infatti
delle caratteristiche particolari ?er la sobrietà dell'intreccio polifonico e per gli
impasti prevalentemente armonici delle sei voci, talvolta suddivise in due cori
alternati.
Si vede dunque che l'influenza del Concilio di Trento sulla musica dell'epoca
si manifesta più che altro nei riguardi di singoli musicisti o addirittura di singole

( 3 ) Lewis H. Lockwood « Vincenzo Ruffo and the musica! reform after the Council of
Trent » in The Musical Quarter~y, vol. XLIII, n. 3. pag. 362

6
opere. Ricordiamo che ancora nel '68 il Palestrina, nell'inviare al duca di Mantova
una messa che questi gli aveva ordinato, chiedeva se le nuove eventuali messe che
il duca volesse fargli scrivere dovessero essere di qi.:elle nelle quali si capivano le
parole {4 ).
Ma sebbene gli effetti. immediati della controriforma non furono grandi in
campo music;i~:·t~-tl:àvia·é·s~lcooperarono a quella semplifi~azione dello stile vocale
che. in quel secolo si nota rispetto al secolo imm~diatamente precede~te; e, come.
lo'sùfe"strumentale comincia a separarsi da quello vocale, così anche la musica reli-
giosa si stacca sempre più da quella profana e va formando un corpo stilisticamente
indipendente.

I
Per stile polifonico .classico
~_._ .
si deve
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d~--
intendere lo stile che......nel
--=-~--·---~".,.._._~ ..,_..,~.,_-...., ,._, . ., ...
'500
____
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-~~~_._,,-....-,,.,.,..., ~,,_.,..._.. -.~

forma la musica vocale a cappella di contenuto religioso, ossia in definitiva lo stile


pal~triniano. · ·· - ·-· ··· -

LA TONALITA'

La musica del secolo XVI è basata ancor sempre - sebbene più in teoria che
i!u~ratic~ - sugli antichi modi ecclesiastici o modi gregoriani, risalenti alle primi-
tive melodie della chiesa cattolica. Essi erano tradizionalmente otto, divisi in quat-
tro autentici e guattro plag:iJi, e distinti <làJ;p-;.-i~~ ~~ri-I\-~èffip!ic~·ri~J;~t"r;~Ioiiè~ p-01
an~he con dei nomi-presi dalle. antiche scale greche, sebbene con uno spostamento
dei termini.
Nel corso del secolo il Glareano portò il numero dei. modi da otto a dodici
(Dodekachordon, 1547), cosicché i modi autentici diventati sei venivano a
partire ciascuno da uno dei sei suoni do, re, mi, fa, sol, la, i quali appunto erano
detti le finali del modo. Le due scale autentiche aggiunte dal Glareano sono quelle
del do e del la: e~se corrispondono ai nostri modi maggiore e minore,·T q{iall c.:01
t~mpo, come si sa, soppiantarono del tutto i modi originari.
Nel secolo XVI si ebbe dunque, in teoria, il seguente sistema tonale:

Es. 2
1° modo, autentico, do neo Finale Dominante
e '2 e

' a e a ~
o e (j

2" modo, plagale, ipodorico

~ -& o -e- () e o _,_e a


(j o

( 4 ) ••. « questa messa qui inclusa,... se in questa prima volta non havrò -sodisfatta la
mente di V.a Ecc.a se li piacerà comandarmi, come la voglia, o breve o longa, o che si
sentan le parole, io mi provarò servirla secondo il mio potere ... », A. Cametti, « Palestrina »,
Milano, 1925 - K. Jeppesen, « P.L. da Palestrina, Herzog Guglielmo ... » in Acta Musicolo-
gica, vol. XXV, pag. 147.

7
3" modo. autentico, frigio Finale + Dominante·.
e a
g e D ~i s a

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40 modo, plagale,
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ipofrigio

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5" modo, autentico, lidio


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60 modo, plagale, ipolidio

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7° modo, autentico, misolidio
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go modo, plagale, ipomisolidio ~, ~)1) '; ~. ' ;

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90 modo, autentico, - eolio


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D a
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100 modo, plagale, ipoeolio
o e a
e

'& o e o a e
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11 o modo, autentico, ionio

-e- o e a e 1:1 e 1:1


e I
12° modo, plagale, ipoionio
e g
a e D
a a
e

'
e a

8
I modi plagali hanno, come si vede, la stessa finale dei corrispondenti modi
autentici, ma se ne differenziano anzitutto per la dominante, e poi per la posizione
delle altre note rispetto alla finale, la quale nei modi autentici si trova all'estremo
·della scala., mentre nei modi plagali si trova nel mezzo. Questo criterio serve anche
per distinguere una melodia secondoché essa appartenga a un modo autentico
oppure al corrispondente plagale.

Es. 3 Melodia nel primo modo, autentico:

@ Jj ~ ~ ~
n - ve ma-ns
p
stella
...., ~
~ ~~e! ~
..

De - /
~
JJ
Il«
\
i~
ter al
~
, J
l11cl.
~~

Es. 4 Melodia nel secondo modo, plagale:

Hi - se - ra - tor /Jp mi - nus e - scam de - dlf

i J~ J j J1 J ece
l

' J)
t/ - men - ti - /Jus se

Ma con il passaggio dalla melodia gregoriana alla polifoni\i, un po' alla volta
l'impiego dei modi ecclesiastici subì un profondo mutamento. Anzitutto, fatta ecce-
zione per il caso particolare in cui una melodia greg~riana ser;~·di base nell'eÌ~bo­
··:raziòne di un pezzo polifonico, l~~~iiJ~iJngqi,~ut~nt~çLe, J;llodi plagali non
E:ri~]~ Ji2}l'fonia 1 111o!iy9 .4'i. ~sistere: Infatti l'estensione delle voci nel loro com-
plesso non consente più la semplice differenz~azione di tessitura fra due modi pa-
ralleli, e inoltre sulla differenza fra le due dominanti, che nella polifonia non si
avverte più, prevale decisamente l'unicità della finale, che conferisce al brano un
unico preciso significato tonale (5).

( 5 ) Qualche trattatista dell'epoca ammetteva che, in relazione all'estensione de1le singole


veci, alcune di queste potessero trovarsi in un tooo autentico e le altre nel tono plagale
relativo, avente la stessa finale. Cosi Martino Agricola in «· Quaestiones vulgatiores in musi-
cam » 1543. Sisto Calvisio, in « Melopoiia », 1592, stabilisce addirittura che se >l Cantus e il
Tenor si trovano in un tono autentico, l'Al1:1Us e il Ba.ssus devono trovarsi nel plagale dallo
stesso nome, ..e vicever,sa.

9
Altri fatti ancora contribuiranno a ridurre nella pratica il numero dei modi
ecclesiastici.
~.I\ si }r1m0~pe R' 1~~ Jg~. iicf~o .;.' e,r~J1B,~-~.~l_posto del si naturale ogni
qual~òlta e~so,_ per - a pres.enza piu o 1;1eno v1ci~a di uri·. fa,. sei:yjyailad ~~~rela
relazione d1 trJt()il(.)~ Ben presto nel I e nel V .modo il Sl gemolfe a•1v1ene un
s~q~~~Tstabil~: anche se per ~='fe~;~~~lterazione non viene indi-
cata definitivamente in chiave. Si vede subito che con tale correzione il I° modo si
identifica con ilIX (il nostro modo minore) e il V" modo si identifasa.._.s~n; 1'~"
0

(ff'~~st~~ mod~ ~;gg.iore). Successivamente con q~;st'~tt~~-;ie~e ~~d id~~ifi~arsi


anche il Vrl .modo perché in esso si impiega con una frequenza sempre maggiore
0

il fa diesis.
Invece il III° modo mantiene a lungo la fisionomia originale. con il fa natu-
rale ed il re naturale, ma appunto per questo la sua finale mi, a mano a mano
che l'orecchio si va assuefacendo alle tonalità moderne, sempre più dà la sensa-
7ione di dominante della tonalità di la minore.
Insomma tutto converge verso i due modi moderni maggiore e minore; ma
si tratta pur sempre di un fenomeno inavvertito, che per molto tempo ancora dopo
essere entrato nel vivo della composizione musicale, resterà escluso dalla teoria.
Si vede infatti che nella scrittura nessun cambiamento viene posto in opera; se
in chiave compare il si bemolle esso significa sempre per i musici dell'epoca soltanto
il trasporto di uno dei modi tradizionali alla quarta superiore. Per esempio, se
si vuol trasportare sul sol il I modo bisognerà porre il si bemolle in chiave; idem
0

se si vuol trasportare sul la il III modo; e così via per gli altri modi.
0

Es. 5
I modo trasportato
0

e o
a e a
C) e
e III° modo trasportato

e a
(j
"
Comp~~~Jlot;!. n_elJ~rn!TIPQ!ii_z_ion_i_~r~~portate i f,
&liiiJli per la stessa
ragione per la quale comparivano i si bemolli nefmodo · i origine. · ·· ··- ·-----·-
Un altro fatto cl1e concorre al decadimento dei modi antichi in favore della
tonalità moderna è l'entrata nell'uso comune delle alterazioni apportate a determi-
nati suoni in senso ascendente, per conferire loro quell'effetto cadenzale che noi
chiamiamo di sensibile. Ciò si verifica nelle cadenzt! del I modo col do diesis, del
0

VII modo col fa diesis e del IX'' modo col sol diesis; non c'è invece bisogno di
0

questa alterazione nelle cadenze dei modi V e Xl i quali portano già al posto
0 0
,

voluto il semitono mi-fa e rispettivamente si-do; non si procede ad alcuna altera-


zione nel III modo per il motivo che abbiamo detto poc'anzi.
Queste alterazioni non sempre vengono segnate nella scrittura dell'epoca,
tuttavia è certo che esse venivano eseguite Si tratta di un procedimento semito-
nale entrato nel modo comùne di sentire e perciò il relativo segno di alterazione
poteva anche venire sottinteso; il che si denotava con b frase: '' semitonia subin-
tell ecta ».
Naturalmente nessuno parlava allora di sensibile, né considerava quel suono

10
afterato come ccstituente della tonalità; al più, per gbmHicaru. il l1tUe; j, H8liici
dell'epoca avevan~-1,;~_to .ch~1:!,a~i~~~~!~J~-~.~.S~~~,~~~
e' ..
ottava, quella sest~ . CJ'.~~~~~ ~-s~~f:C;!,)~J~~9r,c;,X~ì,·:&:• , wutllil ,.Jld,~i;.llohg,Ja, .tg?!!..-
procèderite ''à'd'{iilU'nfsono'èfovev:a, essere .mi~9re (J; ~ che similmente doveva essere
m;ggior'è'Yferza·-quàndo per~ moto con'tr~~io pr~cedeva ad una quinta (8 ); se
quella sesta e quella terza tali non erano, si dovevano rendere maggiori mediante
un'alterazione, e se l'alterazione non era scritta si doveva considerare sottintesa
( « sub in tellecta ») ( 9 ).

Es. 6

t: '' ~: : P: : :
Da quahto si è detto risulta che i modi, così come sono impiegati nella pra-
tica musicale del '500, rappresentano una forma di passaggio tra gli originali modi
medioevali e la tonalità moderna. La situazione si può riassumere come segue:
~Lpfagaii non_Ji:gyano. più applicazione nella polifonia;
dei modi autentici il V~ -(Ìidio)~·- à causa dell'impiego costante del si
bemolle, è del tutto assimilato all'XI°_:(ion!o) e pertanto non esiste più come
modo a sé;
i rimanenti modi autentici ancora usati sono:
il I" (dorico), alle volte con il si naturale e più spesso con il si bemolle,
nella cadenza sempre con il do diesis,
il_Jl1° (frigio),
il. vn· (misolidio) con il fa diesis nella cadenza,
il ·-IX~- (~i:;lio) con il sol diesis nella cadenza,
--·~ l'XÌ (ionfo).
0

( 6 ) « Bequadrum in ca.ntu superiori positum facit illam sextam minorem, esse majorem,
eo quod in majoritate minus distat a loco ad quem accedere intendit, scilicet ab octava majori
immediate sequenti, quam in sua minoritate ». Pirosdodmo de Beldemandis, « T.ractatus de
contrapuncto », Montagnana, 1412.

(7) ... «passando dalla terza all'unisono se gli va con la terza minor; et all'ottava con la
sesta maggior ... ». Giov. Maria Lanfranco, « Scintille di musica», Brescia, 1533.

(8) «Si forte tertia quintam praecedens fuerit minor, utendum erit auxilio diesis ut
quo fiet major ». Stefano Vanneo, « Recànetum de musica aurea», Roma, 1533.

( 9 ) Si comprende facilmente che l'applicazione .rigorosa di tale regola comporterebbe un


uso eccessivo di alterazioni sotti:ntese. In molte trascrizioni moderne della musica quattro e
cinquecentesca si nota infatti un abuso di tali alterazioni. La questione è alquanto controversa.
Modernamente si propende per ridurre in questi casi le aggiunte di alterazioni al minimo.
Un giudizio moderato sull'argomento viene espresso, con poche parole, da W. Apel in « The
notation of polyphonic music », Cambridge, 1953, pag. 120: « Summing up a11 the evidence
available, a very .cautious use of sharped seventh would seem to be most proper for music
prior to 1550. Por compositions from the second half of the century, the use of subsemi-
tonium will probably have to be focreased, particularly, ot comse, in the secular literatun'
(chanson, madrigal, etc.)».

11
Nel complesso, dunque, le note impiegate nella scrittura musicale, oltre a
quelle corrispondenti ai sette suoni naturali, sono il do diesis, il fa diesis, il sol
diesis, il si bemolle e, nei modi trasportati, il mi bemolle.
Altri suoni alterati potevano intervenire nell'esecuzione di brani trasportati
a qualche altro intervallo che non fosse la quarta superiore ( « musica ficta » ),
oppure in quelle composizioni dell'arte profana nelle quali gli autori ricercavano
effetti armonici speciali e nuovi. Ma di ciò si parlerà più avanti.

LA MELODIA

La melodia dello stile a cappella classico _si muove con un ari~?Jp~nt9 -~-e_n.2:~
plice e tranqui!~;-;z;;sse. ~-;;e;;;;-a~~~~ti-vi~Ì~~ti .. tJessun m~tivo viene posto
T~-;:-f;;ft~~--~-~~sun elemento tecnico è messo in ~~ndizioni .di. pre~-àl~~-;~-;~gli·-~ltri;
un·r;~;f~tt~-~q~iiTb~io regna nel suo sereno fluire. · -··--·--· · ·· ·· -
Questa speciale natura melodica è un linguaggio per noi piuttosto inconsueto,
assuefatti come siamo alle melodie dell'ottocento, alle quali un fraseggio ricor-
rente di due in due o di quattro in quattro misure conferisce delle accentuaji.oni
simmetriche piuttosto pesanti.
Nulla di questo si avverte nello stile cinquecentesco, ,.c:b~.11Jt<JPDQSJ<:L.tifaggt!
dalle simmetrie, da ogni forma di progressione, e comunque da tutti gli effetti
t~:~ppo a~centuati. . · ··· ···· · . .
·Anzfti.itìo :i:>revale il. .P!.()S~.9tEl~~-~+;,,,,.&ticlLc.f~~l~:

Es. 7
Palestrina: « Laudate Dominum » Offertorio.

J J~ ~· r r ~~ ~~

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I J J. J a e D

Psal - !t" - te {Jt) - m1- nt e /ti.I

Es. 8
Palestrina: Sanctus della Messa « L'homme armé »

9= J r r r r r r r r· r -e-
E 0 o

Oe L/.S s~ - ba ()tf,

fusi CQffi~_que_~J~..Eelle quali non si_t~()~a alcun mo".Al!le11_!Q._ç{i ~~lt9, ~


in Palestrina molto comuni. Però in generale i salti non possono né devono man-
~~;~. Soltanto ch~--ff fòr~--buon uso dipende dalla qualità del salto e, in parte,
anche dal valore delle note che lo compiono, in quanto i salti sono meno marcati
e quindi meglio accetti quando sono fatti da note di valore relativamente maggiore.
Non tutti i salti, poi, sono permessi. Esclusi i salti di intervalli dissonanti

12
(sui quali torneremo nella parte speciale) e limitati ad alcuni casi salti di sesta,
rimangono di libero uso i salti di:
terza maggiore e terza minore
quarta giusta
quinta giusta
sesta...... minore soltanto ascendente
~ "
,._ ~ -., " -~ ""''- _., "<"t.,,..,...,,;;,,._-_~._,.,.,"C"",l;";

ottava giusta.
Sono gli stessi salti che, più o meno, si trovano nel canto gregoriano.

Es. 9
T. Ludovico da Victoria: « Tenebrae factae sunt »

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Te 11e - brae fac fae SU!Jf dum cru


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~uardo al salto ~i . sesta,. esso, p~r.51,~~fl.!<J.~'è cl,e,ttoi res~a esc!usq §~mpre


se si tra~tti'di salto -di;c~~d~nte,· mentre in direzione ascendent~ resta escluso se S<Qf'<> b""w;"'ovtL
A S< <> v. ~'2Lll<i.
;rt;;!1:~··disesta maggior~ .. Così almeno '11effa ~alestril1iana. In àltJ:i autori
~ della stessa epoca l'impi~g-; del salto di sesta è un - f>o' ~~~~ ri'1~Tt1'~to; per esempio
Jl ~i~rce~ntra qualche volta, seppure di raro, anche il salto ascendente di sesta mag-

Es. 10
Cipriano De Rore: « Mia benigna fortuna » 1557.
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Però qui si tratta di un'espressione tematica, avente carattere di madrigali-
smo. che, in seguito, si ripete più volte nelle varie voci, su parole come « odiar »
e « crudele ».
Per quanto concerne il valore delle note che saltano, si deve tener presente
che, mentre i salti con le.. ,,,;.;-c,"
note di _cfll..t.a!a ,Pa.r,i. all'unilàAt. 111?vin;ento o di durata.
~°"'f",;.~,·-"·'-''~·,·~~o·,~··~p-~·-,,.,,,_._.,-~
.. c.- - - ' · ·-· --- --·- ·

maggiore, sono impiegati con una certa libertà, sempre ei1tro i limiti degli inter-

13
valli sopra elencati, i salti con note di valore minore dell'unità sono trattati con
molto maggiore circospezione.
Premesso che nella trascrizione corrente della musica del '500 si ~onsidera
di solito la minima come l'unità del movimento, si può anche dire che i salti in
note bianche (brevi, semibrevi e minime) sono pili liberamente praticabili che i
salti in note nere (semiminime, crome).
Una acuta indagine fatta su questo argomento dallo Jeppesen (1°) ha portato
questo studioso ad una importante constatazione:
- \ poiché i salti all'insù sono di un effetto molto più spiccato che i salti all'ingiù,
e p~!èhlé:iuèsto ..effettc;iumeni·à·anc~rase·n salì~ aii'iiìsù parte da una nota ritmi-
camente accentata, avviene che nello stile palestriniano, c.h.~.~P~.o,_,~i!1:1gg~ .~
ogni sorta di tali effetti, non si praticano salti all'insù da note accentate se tali
;;Òte sono di un va/'7i;e·inferiore all'unità (semiminime, crome). Perciò non devono
saltare all'insù ;;é la primà né la terz~ nota di un gruppo di quattro semiminime
che stanno al posto di una semibreve.
lii Figure come le due seguenti sono tanto rare che si possono bene qualificare
I' come estranee allo stile.

Es. 11

J J
Un'indagine posteriore fatta .dall'Hamburger (1 1 ) ha portato, come vedremo,
alla conclusione che anche dalle semiminime disaccentate i salti all'insù sono nel
complesso abbastanza rari.
Dopo un salto il movimento più corretto è quello che procede per grado
congiunto in direzione contraria al salto stesso, quasi nell'intento di rimediare con
ciò allo scompenso prodotto dal salto nel fluire regolare della melodia. Non si
tratta però di una regola assoluta; comunque essa è più rispettata dopo· un salto
all'insù, per la solita ragione che tale salto è di effetto più marcato in confronto
a quello prodotto da un salto all'ingiù. Si osservi nella melodia del Da Victoria
sopra riportata, la spontanea e logica discesa per grado dopo il salto ascendente
di sesta minore.
Tuttavia non . sono neppure rari due salti nella stessa direzione, sempre,
s'inte~de;·~~··n~~e ..di valore. almeno pari àll'unità. In proposito l'Handschin ha
fatto Ì'interessante osservazione che quando si tratta di un doppio salto ascendente
compiire prima l'intervallo più grande e poi .iL p,iù picç()lo, quando si tratta di un
doppio salto discendente compare prima il più piccolo e poi il più grande. fo
altre parole, di due intervalli nella stessa direzione, quello, più grande si trova
sempre più in basso. L'Handschin •è portato a vedere in questo fatto un'inconscia
influenza della nostra sensibilità armonico-accordica (1 2 ).

( 10 ) Knud Jeppesen, « Kontrapunkt », Breitkopf u. Hartel, pag. 68.


Knud Jeppesen, « Der Palestrina!>til und die Dissonanz », Lipsia, 1925, pag. 48.
( 11 ) Povl Hamburger « Studien zur Vokalpolyphonie ». Kopenhagen, 1956, pag . .rn.
J acques Handschin « Die Grundlagen dcs A cappella-Stils » ( 1929 ), articolo riportato a
( 12 )
pag. 90 e segg. di « Gedenkschrift - Jacques Handschin ». Berna. 195ì.

14
Quasi sempre una_frase meloAicit, se è espressiva, porta in sé una parabola
dinamica che culmina in una nota di spicco maggiore delle altre, di solfr~ in una
~Ota acuta, la quale, appunto perché ha in sé un particolare rilievo, non V~ tlp~:
tuta nel c~rso di quella stessa frase. Infatti una sua ripetizione, che fosse troppo
vicina o troppo frequente, ne smorzerebbe l'efficacia. Si ritorni ancora una volta
alla melodia del Da Victoria riportata sopra e si osservi come essa culmina sulla
nota. fa e come questa nota non appaia più nel corso della frase.
Questa melodia è di modo dorico trasportato, com~ si vede dal si bemolle
in chiave, dall'inizio re-sol (dominante-tonica) e dalla cadenz:t finale sul sol, tonica
del modo trasportato di una quarta sopra il re. Perciò il mi bemolle al principio
non è che il trasporto del si bemolle, il quale nel modo dorico, come s'è detto,
compare spesso. Qui il bemolle è particolarmente necessario, più ancora che a
rendere minore il salto di sesta ascendente, ad evitare la relazione melodica di
tritono con il si bemolle che segue dopo le due crome di passaggio. Nel seguito,
non ricorrendo più nessuna di queste circostanze, sulla parola « crucifixissent »
il mi ritorna naturale.
La relazione melodica di tritono viene di solito evitata: .sempre, quando sta
fra due note consecutive; a seconda delle particolari circostanze e dell'effetto pro-
dotto, quando è indiretta, ossia quando si riscontra fra due note separate da suoni
interposti.
Movimenti cromatici, ossia l'inalzamento o abbassamento
~~-~e;,~--;~.;_~c-~-"'..'".,,,.,_._ac. ..,,_"Y-"'·'"·'.,.·--"""-~"",~+'°,•c~--'--'-'"'°''~'-''''"- -···- ,,, _, __

di semitono di una.__,._,
"-~e-•--··-''-"--"-~-'"-::,_ _.,_,--.,..,"-.,.,·.-~.""'-.---·~····•.+<.~·-··""~'-•.
.,,_0 ..

stessa nota, esulano dallo stile severo. Non è detto tuttavia che talora essi non si
incontrino, sia pure Tn circostanze spe~i~li, sempre però all'infuori della produzione
palestriniana.
Il movitÌ1ento c.romatico ascenden!e ·.si in~ontra soltanto quando si tratta di
i
11
rende~~;~~ps];ile ;>-~~·a· n~t~--~h~-·p;iffi; non lo era, in vista di una immediata
cadenza. ~

Es. 12

T. L. da Victoria: Messa « Vidi spec10sam »

ecc.

I te- rum ven - lu rus e.rt

Il movimento cromatico discendente invece si incontra soltanto nei cosiddetti


« int~·rvalli morti », vale a dire fra l'ultimo accordo di una foi~e e il primo della
frase successiva. Poiché, come vedremo, l'ultimo accordo di una frase è spesso
maggiore, all'occorrenza reso tale con un'alterazione della terza, l'inizio della frase
seguente, dovendo riportare quella nota all'altezza naturale, la costtinge ad una
disalterazione, cioè a un cromatismo discendente.

15
Es. 13 Melchior Franck: Quodlibet " Lasst uns frohlich singen » 1605.
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Tale cambio da maggiore a minore si effettua però mqlto più spesso disal-
terando la nota in voci differenti e sopprimendo così il cromatismo diretto nella
stessa voce. Eccone un esempio tratto dallo stesso Quodlibet:
Es. 14 Melchior Franck ibidern
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16
I movimenti cromatici delle specie ora spiegate si possono consic;erare acqui-
siti anche dallo stile cinquecentesco più formale e rigoroso. Di tutt'altra portata so-
no invece quelle alterazioni che vengono di moda dopo la metà del secolo in certo
genere dì composizioni volutamente, e spesso arditamente, cromatiche, le quali
hanno di solito un indirizzo profano, ma mostrano talora anche, come si vede dai
seguente esempio, una destinazione religiosa.

Es. 15

Orlando di Lasso: da « Selectissimae cantiones » 1568.


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(ÌJri sie /Je - I so - bo - !es spes _ __


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IL RITMO

Si è già avuto occasione di accennare a quella particolarità intrinseca del ritmo


della polifonia classica per cui una melodia di questo stile si differenzia in modo
così sorprendente da una melodia dei secoli successivi. Tale particolarità consiste
nell'assenza completa di "una qualsiasi legge che disciplini la distribuzione degli
accenti ritmici, per modo che questi ricorronò a distanze irregolari, con intensità
ineguali, con la più varia alternativa fra le singole voci.
Per chi è abituato ad un battito regolare e simmetrico degli accenti ritmici,
la musica vocale a cappella del secolo XVI può sembrare, sulle prime, del tutto
aritmica. Quest'impressione deriva dal fatto che l'andamento ritmico della melodia

17
non coincide necessariamente con la battuta, anzi ne rimane decisamente indi-
pendente.
Ciò che in primo luogo mette in risalto gli accenti di una melodia è l'aJter-
narsi di suoni di diversa durata, nel st:nso che i suoni di più lunga durata ,attrag-
gono su di sé le più forti accentuazioni.
Per fare un esempio, abbiamo segnato, secondo tale principio, le note
della seguente melodia palestriniana, sulle quali cadono, con maggior evidenza,
gli accenti.

Es. 16
Palestrina: In festo transfigurationis Domini - Inno.

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Da questo esempio si vede che tra due accenti ritm1c1 .:onsecutlv1 possono
intercorrere indifferentemente 2, 3, 4, 5 e più tempi della misura senza obbligo
alcuno. Nella citata melodia gli accenti si succedono rispettivamente alla distan:z.a
di 5, 3, 4, 7, 3, 4, 6 minime.
Si capisce pure che, svolgendo ciascuna delle voci del complesso polifonico
una proprla ~-;;iodi;, gli accenti di una voce non coincidono con quelli di un'altra,
se non per puro caso. Anzi in questa indipendenza ritmica delle voci sta una
delle maggiori ricchezze della musica poHfonica, per cui sempre alla maggiore
quiete di una voce corrisponde il maggior movimento di un'altra.
Pur in un fluire così libero del ritmo, come quello che abbiamo descritto,
esiste tuttavia sempre, in una melodia dello stile a cappella, un regolare anda-
mento metrico, che fa sentire, sotto sotto, il suo influsso. E' noto che nella scrit-
tura musicale del '500 le misure non erano ancora segnate con quelle stanghette
vertkali che~sono usite nella scritt~ra attuale; tuttavia certe determinate regole
di natura metrica esistevano e venivano ri,spettate come se quelle stanghette ci
fossero. Se noi immaginiamo di dividere una qualsiasi melodia dell'epoca, di ritmo
pari, !n caselle di 4 tempi, cioè di 4 minime ciascuna, osserveremo:
QÌ) che l'accordo finale cade sempre su un tempo di posto dispari (primo o
te~~.<;2.; ~
'J~) che le dissonanze costituite da ritardi cadono anch'esse esclusivamente
f su tempi"d'Gparr;-· ·
3 che all'inverso le dissonanze costituite da note di passaggio si trovano
posto pari (secondo o quarto).

18
Si vede dunque che esisteva fin d'allora un nettissimo senso metrico, sia bina-
rio che ternario, il quale, pur non risultando espresso nel corso della composizione
da alcun segno (al principio della composizione stava l'indicazione generica della
divisione), tuttavia era mantenuto in costante efficienza appunto dal susseguirsi di
figurazioni aventi, per loro natura, una ben determinata posizione metrica, come
i ritardi, le note di passaggio ed anche, come si vedrà, le suddivisioni dei movi-
menti in note di piccolo valore (semiminime, crome), dovendo anche queste avve-
nire su determinate parti del metro e secondo certe particolari leggi metriche che
impareremo a conoscere.
Si capisce dunque che volendo trascrivere una musica del '500 e volendo
aggiungere le stanghette delle misure in uso nella notazione moderna, tale assunto
può essere portato a compimento in un modo unico e sicuro per ogni singolo
brano, senza difficoltà.
Per esempio, la melodia di prima si presenterebbe nel tempo di 4/2 così (1J):

Es. 17

41 e J r Ir ,, J I J. JJ J o -e-

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( 13 ) Sul modo di moclificare il valore delle note di una musica antica, quando se ne fa
la trascrizione in notazione moderna, non c'è uniformità di vedute tra gli studiosi. La questione
sta nella scelta della figura moderna da prendere come unità di battuta e nella consegu~te
riduzione da conferire proporzionalmente a tutte le figure musicali dell'originale. Alcuni· pro-
pendono per tenersi il più vicini possibile alla notazione bianca originale e adottano come
unità la minima, cosa che corrisponde spesso (non sempre) ad una riduzione dei valori alla
metà (K. Jeppesen); altri, accusando l'assurdità di una tale scrittura che in fondo, né è
moderna, né rispetta fedelmente l'antica, propendono piuttosto per un ammodernamento de::iso
della scrittura con l'adozione del quarto (semimin1ma) quale unità (W. Apel o.e.; vedi anche
l'articolo «Some remarks about old notation » di Curt Sachs in The Musical Quarterly a. 1948,
n. 3 ). In realtà però prLma di parlare di una eventuale riduzione del segno grafico dell'unità
di tempo, occorre assodare ·qual'era esattamente quest'unità nella musica da trascrivere. Si sa
infa.t~i.. eh..e.... il. co~!_,~.et.t~. -'f.-.tac!ll~. ;>,.....che. in antico m···.is1;1.r~.va il t~.mp.o, .. passò ~on l.\md.are de.i
secoli, dalla .~teve a1Ta semiprey(!, e oa quest•a alla )Illnlma, e mfine dalla rrnnima alla semi-
h'iìmma. Perciò il grado della riduzione dei valori in una trascrizione moderna varia a seconda
~usica da trascrivere appartiene ad un'epoca oppure ad un'altra. Infatti trascrivere nella
nostra unità di quarti un l:g_3'1}o del -~colo__JQIL...s!i~~!!;a .il tactus . di bre_vi, significa ridurre
i valor.i scritti all'ottava 1part~ (~ = Jì. mentre trascnvere un brano aeIIa--séconda metà del
'600, che porta già la battuta in quarti, significa lasciare inalterati i valori originali. Certa-
mrnte non è facile distinguere sulle prime quale sia il tactus di un brano polifonico appar·
tenente ad una qualunque epoca storica, ma un'analisi attenta del brano non può lasciar~
dubbi in proposito, quando si consideri che per un lunghissimo periodo storico il « tempo
giusto » ebbe per unità un tactus di una frequenza approssimativa di 60-80 per minuto primo;
quindi uno scambio dell'unità tale da portare il tactus ad una frequenza 120-160, o da
ridurlo, all'inverso, a 30-40, è un errore quasi inconcepibile!

19
LA DISSONANZA

+,'Handschin ( 14 ), P!.d~~:Q.~~Y:? stile a c~lla, o~~~~va c~e.•vi v:en~o110 11-s!':te:


due specie distinte di dissqnanze; la diSSQiianza ornam · ·· · , :il cui esempio tipico
è dato dalla no.ta .s!i,~,I?:~~ la issdnahza' quale e èho musicale voluto per se
stesso, l!: ~le..,S ~tt,eputt,,Rs;~ ,w~ rld ,rjtiwlP·
La dissonanza di passaggio. Una caratteristica di questa specie di dissonanza
è quella di trovarsi sempre il meno possibile in rilievo. Perciò essa viene intro-
dotta e proseguita per gradi congiunti e appare soltanto sulla parte disaccentata
deU:t misura; per parte disaccentata della misura s'intende il secondo e il quarto
movimento di 4/2.

Es. 18

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Inoltre, sempre per non acquistare troppo spicco, la dissonanza di passaggio


Q9!l~Y~J;.9n.tl~te.r~.di una,.ngg_~i Ju111ta gl}nita. Presa~ cònìe sempre, la minima
come unità di tempo, la dissonanza di passaggio non deve aver valore maggiore
della minima stessa. Alle note di passaggio del valore di metà si oppongono gene-
ralmente note di valore maggiore. Sono forse di migliore effetto quelle che pro-
cedono in direzione discendente, ma si trovano con quasi la stessa frequenza
anche quelle che si muovono in direzione ascendente.
Iri confronto alle dissonanze di passaggio del valore di metà, molto più usate
sono quelle del valore di un quarto (sempre beninteso quando l'unità di tempo
è la metà). Esse possono trovarsi sulle parti deboli di tutti i movimenti, dssia
sul 2°, sul 4°, sul 6° e sull'8° quarto di una misura di 4/2 (es. 18, b); ma, pur
con certe limitazioni delle quali parleremo, possono trovarsi anche sul 3° e sul 7°
quarto di questa misura, cioè sulle parti relativamente accentate dei movimenti
disaccentati (es. 18, c).
S'intende che le dissonanze di passaggio possono essere prodotte anche da
note di valore di ottavi.
Nella parte speciale esamineremo altre forme di dissonanze ornamentali,
come la nota di volta, la nota cambiata, il portamento.

( 14 ) J. Handschin, I.e. in nota 11

20
7-t
. . '1- 5
La dissonanza prodotta dal . ritar<!o. Lo stile a cappella è ricco di tutte le , _8
più ~.D;"iinffor~~ -di rit~;J~, .i~ p~rticolare sono frequentissimi i ritardi di. 7" a 6" .
e di 4· a 3·; un po' meno frequente quello di 9· a s·. Anche i"rita;di"":'f~:"';;""'''
tr~~~~~~he* · appii~~;r;;~;:-··Del -~e~t~·- ·r~It::rd'.f ;~~gono trattati con la stessa ..
tecnica che rimase loro propria nei secoli successivi e che si può riassumere col
dire: la preparazione del ritardo avviene in una parte di misura non accentata,
la per~ussfone . su1Ia: successiva parte ;ccent~ta; ·~be' 'ilèlf;-'~isur;""'in q~atirc;"'piiò
~sere.i[P!~"'";"1T"t~iQi?:]~--~i~~i~~f~~~- neUa. part~ -~~~ ~~centata·
imme9iatam~nte seguente. Faremo notare, a tempo, la p·articolarità éhe . suo . nef
ì~D:;po ternario di 3/1 la percussione del ritardo avviene quasi sempre sul secondo
movimento.

L'IMITAZIONE

La composlZlone polifonica del '500 porta l'imitazione ad un alto grado di


sviluppo. Anclie se, comesi f'g!Iosservato:·-g1T~~ped1entl'-iecnicò:rmfratTvT'·mo~·
man~-illia semplificazione rispetto a quelli usati dagli antichi fiamminghi, come
fil~~~- o-Jo~qÙin;· in ..è.:ompenso 1'imitazione nella polifonia italiana raggiunge
'· , ....,.,..,,.•,.,,.._,,,...._,..._, .. _/ ,
~••'>-.....·:.;;;..:::~~;:...~...->":•-'*''"'"-"'i~,,...,<.~""~"~t•~i._,,.,-,.\..,..::.,.,....·,,., ;;:rc;;"--'•~;· ..,.,,.,,._,,-~e"·' -~•,,, ~~--,.

un contenuto altamente espressivo. Vi si aistingue 'imitazione severa o -cano-


nièa dà quella i~it~~i~~~- ~be. è- soggetta invece a un trattamento più libero. In.:...
quest'ultimo caso il compositore fa comparire successivamente nelle voci soltani~
fì'tèma: poi procede Ùberamente, oppure fa sentire qua e là, nel corso della
~mpo~Ì.~ione, qualche frammento melodico che si ripercuote nelle varie voci.
Nell'imitazione libera le risposte al tema non sono sempre rigorose, bensì pos-
sono cambiare qualche intervallo corrispondentemente alle esigenze dell'insieme.
Quando la composizione si divide in . varie sezioni, ciascuna di esse è di solito
basata sull'imitazione di un tema differente.
L'imitazione canonica invece si estende per lo più per il decorso di un intero
bran~-: 'se questo è a piÒ di d~e voci, due di queste possono essere in canone
~ l~. altre libere, oppure tre voci possono essere in canone, o ancora possono
svolgersi contemporaneamente due canoni a due voci. Sappiamo peraltro che gli
espedienti canonici non occupano nella produzione palestriniana la parte mag-
giore. Vi sono comunque intere sue messe basate su tale artifìzio. Citiamo ad
esempio la messa «Ad coenam », la messa « Repleatur os meum laude »; in par-
ticolare I.a messa « Ad fugam » {la parola fuga è ancora il termine usato per
designare l'imitazione canonica) è costrui!_~ÉL ~aO:~~~ d~p.efaJ..J?sr~,,~1li,, {S9!1·
tralto è imitato dal soprano e il basso dal tenore; il Bencdzctus, che è a tre voci,
ha1Jn'unléo ca~onetra''s;p;;;~,""~;;~tralt;;'"è-t~ìì'o-r"e; l'Agnus Dei, che è a dnque
voci, porta un canone tra le tre voci superiori e contemporaneamente un ca-
none tra le due voci inferiori (1 5 ).
Riportiamo un piccolo frammento del Kyrie di questa messa per mostrare
come fanno spicco i due canoni contralto-soprano e basso-tenore.

( 15 ) Vedere: A. Ghislanzoni, « Storia della fuga», pag. 145 e segg.

21
Es. 19 Palestrina: Messa « Ad fugam » - Kyrie.
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Stante la continua corrispondenza, nell'intervallo prestabilito, fra le due


voci in canone, la resolutio, cioè lo svolgimento della seconda voce dalla prima,
non veniva neppure scritta, bensl ne venivano semplicemente indicati: l'intervallo
dalla prima voce (fuga ;id unisonum; fuga in diapason: all'ottava; in epidiapente:
alla quinta superiore; }n subdiapente: alla quinta inferiore; in diatessaron: alla
quarta, ecc.) e il punto d'entrata della seconda voce (mediante un segno speciale).
Ecco, ad esempio, come Coclico presenta nel suo « Compen,1.ium » l'inizio
di un canone a tre voci (1 5 ):

- Es. 20 Fuga trium vocum in Diapente, et Subdiatessaron

( 16 ) A. Coclico, « Compendium musices » (1552), pag. 101 dell'edizione in fac-sim.i.le


Biirenreiter, 1954.

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la cui resolutio in notazione moderna è la seguente:

Es. 21
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Altte volte le voci del canone entrano contemporaneamente, ma il loro


svolgimento, secondo un unico sistema, si differenzia per la diversa misura delle
note, che viene attribuita a ciascuna voce all'inizio, mediante i segni di t)topor-
zione. Si veda per esempio la «Fuga quatuor vocum ex unica » di Pierre de La
Rue, il cui inizio è riportato nella forma originale e nella trascrizione moderna
da F. Abbiati in «Storia della Musica »{' 7 ). Tutto il canone in fac-simile è
riprodotto dall' Apel (1 8 ).

( 17 ) F. Abbiati, «Storia de1la Musica» vol. I, p. 321, Treves, 1939.

( 18 ) W. Ape!, « The notation of polyphonic music », p. 181, Cambridge, 1953.

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Se poi mancavano anche le indicazioni dell'intervallo e dell'entrata della
resolutw, se cioè la ricerca di questi dati necessari all'esecuzione erano lasciati
all'intuizione degli stessi esecutori, che -al più venivano aiutati dal compositore
in tale ricerca mediante l'aggiunta di una frase dal senso adombrato a mo' di indo-
vinello, allora il canone prendeva il nome di enigmatico. Dobbiamo rendere omag-
gio all'abilità e alla perspicacia di quei lontani cantori che, a quanto pare, erano
in grado di leggere, trovandone la chiave, quei canoni, alcuni dei quali ancor
oggi danno non poco da pensare, per il loro stupefacente ermetismo, ai più
avveduti nostri moderni trascrittori (1 9 ),

LE FORME

Le principali forme della polifonia classica sono, in campo profano il ma-


drigale, in campo religioso la messa, il mottetto, il madrigale spirituale (quest'ul-
timo su testo italiano).
La messa musicata è l'insieme di quelle cinque parti della messa cattolica,
le quali presentano sempre lo stesso testo, indipendentemente dal giorno in cui
la funzione viene celebrata ( ordinarium missae ). Questi cinque pezzi non for-
mano liturgicamente un insieme continuato, ma sono separati tra di loro da altri
canti dal testo variabile (proprium de tempore ). Tuttavia i compositori usavano
spesso conferire ai cinque pezzi un carattere unitario, che si otteneva per esempio
dando a tutti lo stesso cantus firmus, oppure imponendo loro il medesimo trat-
tamento canonico, oppure ancora prendendo i temi da un'altra composizione poli-
fonica dello stesso o di un altro autore. Solitamente il Kyrie, il Sanctus e l' Agnus
sono le parti composte con una tecnica contrappuntistica più ricca, mentre al
Gloria e al Credo viène riservato un trattamento più omofono, per evitare che
la lunghezza del testo porti, se congiunta con una elaborazione polifonica, ad
una durata eccessiva.
I testi per i mottetti sono presi generalmente dalla traduzione latina della
Bibnfa. spesso dal libro dei Salmi, nel quale caso il mottetto prende addirittura
il nome di salmo. Stilisticamente non c'è differenza sensibile fra il mottetto e le
parti della messa. Il madrigale invece ha un'espressione propria: l'affinamento del
gusto letterario che si attua nel '500, specie con il ritorno alla poesia petrarchesca,
sta alla base della produzione madrigalistica. Nella forma musicale più matura
del madrigale la poesia viene musicata come fosse prosa, le parole del testo ven-
gono ripetute a volontà, si tende soprattutto a riprodurre con la musica l'espres-
sione delle parole. Perciò la scansione ritmata; i versi, le rime non trovano
rispondenza nelle frasi musicali. La musica alterna brani lenti e brani veloci, parti
omofoniche e parti contrappuntistiche, sempre cercando di seguire il concetto del
testo. Tutte le voci, che sono di solito quattro o cinque o sei, contengono il mede-

( 19 ) Da quelle frasi, adombranti la regola da seguire per trovare la corretta resolutio,


derivò il termine di canone, che appunto significa regola o norma. Tinctoris nel suo « Diffi-
nitorium » (c. 1475) dice appunto: « Canon est regula voluntatem compositoris sub obscurita-
te quadam ostendens ». Si veda W. Ape!, o.e., pag, 179 e segg.

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,::no grado di vocalità, mentre le sillabe vengono accuratamente disposte sotto le
.:;:-propriate note. Tutti i mezzi tecnici servono alla coloritura delle parole. Coclico
~ 'liamò tale stile « musica reservata », intendendo dire che tale musica era acces-
•:bile soltanto alle persone colte e preparate (2°). Per esempio si accompagnano
e parole cielo-terra, alto-basso con suoni acuti e rispettivamente gravi; i concetti
~: dolcezza o di dolore vengono riprodotti con cromatismi, dei quali appunto i
~ompositori si servono sempre più per accrescere l'espressività; si arrivò perfino
.i ;.1sare le note nere per le parole come notte, tenebre e simili (madrigalismi).

Anche Palestrina scrisse madrigali su testi profani, cosa di cui però sembrò
;:;entirsi nell'età matura. Nella prefazione al volume di mottetti dei Cantico dei
Cantici ( 1584) egli confessa di provare rossore e dolore per essere appartenuto al
:mm ero di coloro che mettono in musica gli amori terreni. Ex eo numero aliquando
;uisse me, et erubesco et doleo ( 21 ).
Forme minori profane sono nel '500 la villanella e la canzonetta, la chanson
irancese, il lied tedesco.

( 20 ) A. Coolico, o.e., pa.g. 3: veramente .il C.oclico non attribuisce a se stesso l'invenzion~
della frase, poiché dice « . Musicam illam, quam vulgo reservatarn iactitant, ... ».
( 21 ) Caml'.ttÌ. o.e. (in nota 4), pag. 57 e 246.

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