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MASTER in ANALISI E TEORIA MUSICALE A.A.

2018-19
Teorie percettive e cognitive (Prof. Mario Baroni)

PRIMA LEZIONE: Analisi e ascolto

1. Il significato dei termini “percettivo” e “cognitivo”


“Percezione” è un termine così importante e necessario da essere diventato oggi di uso
comune. Ma il termine ha una lunga storia nella riflessione filosofica: da Aristotele a S. Tommaso a
Locke a Leibnitz a Kant tutti i filosofi occidentali si sono chiesti in che rapporto stava la percezione
con la realtà e in che rapporto stava con il pensiero. Sappiamo anche come Kant abbia concluso che
la “realtà” è inconoscibile e che l’unica cosa di cui possiamo parlare sono i “fenomeni” (cioè le
apparenze sensoriali) della percezione. A questo punto è nato, nel secolo XIX, lo studio scientifico
della psicologia percettiva, basato sul controllo empirico delle risposte dei soggetti agli stimoli
proposti dai ricercatori: che cosa “percepiscono” i soggetti umani? Questa è la domanda a cui
risponde lo studio scientifico della percezione.
Ma bisogna anche sottolineare che gli stimoli puramente sensoriali non sono ancora
percezioni: uno stimolo vibratorio che colpisce il timpano è il primo elemento di un processo che
deve passare attraverso il nervo acustico prima di arrivare al cervello: il quale infine lo riconosce
non come vibrazione, ma come uno dei tanti suoni possibili che gli arrivano dal mondo esterno e
che egli ha imparato a riconoscere. Bruner [1957] afferma a questo proposito che “ogni esperienza
percettiva è necessariamente il prodotto finale di un processo di categorizzazione”: ogni individuo,
posto di fronte al proprio ambiente che normalmente percepisce per abitudine, evoca, senza
accorgersene, “categorie oggettuali” acquisite e depositate in memoria, cioè “riconosce” ciò che
osserva, in base alle memorie di ciò che ha già osservato e categorizzato.
Questa è appunto la percezione.
Nella seconda metà del XX secolo si è affermato nell’ambito degli studi psicologici il
cosiddetto “cognitivismo”. Le teorie “cognitive” studiano l’elaborazione mentale dei dati percettivi
acquisiti dall’ambiente. La percezione sta dunque al livello più elementare dei dati cognitivi. Il
contributo della mente all’elaborazione di quei dati, tuttavia, è molto più complesso: l’attenzione,
l’apprendimento, la memoria, il ragionamento, il linguaggio, le reazioni emozionali, i processi
decisionali, sono altrettante funzioni della mente. Dunque “cognitivo” non è sinonimo di
“razionale”, ma piuttosto di tutto ciò che permette all’uomo di “conoscere” (e non solo
razionalmente) l ’ambiente che lo circonda. Agli studi “empirici” di tipo cognitivo si sono aggiunti,
e recentemente si sono ampiamente sviluppati, anche gli studi neuropsicologici che analizzano il
cervello, e le funzioni bio-fisiologiche ad esso legate.
Dagli anni Trenta del Novecento le teorie percettive, cognitive, e poi neurali sono state
sistematicamente applicate anche alla musica, con risultati enormemente complessi. Ma visto il
livello di densità disciplinare a cui è arrivata oggi la psicologia della musica, nel nostro corso non
possiamo che limitarci a pochi esempi semplici. In essi terremo presenti soprattutto i problemi del
rapporto fra la disciplina musicologica dell’analisi (da cui il Corso nasce) e qualche aspetto della
disciplina psicologica. In particolare il punto più delicato e controverso di questo rapporto sta nel
fatto che l’analisi “analizza” di solito le strutture musicali così come si presentano in una partitura,
mentre gli sudi precettivo-cognitivi, che hanno come oggetto del loro studio la mente umana,
tendono ad analizzare come le persone entrano in contatto con i fenomeni musicali, non
semplicemente quando li producono, ma soprattutto quando li ascoltano. E l’ascolto avviene
durante lo scorrere del tempo, mentre l’analisi avviene fuori dal tempo. In altri termini, le 4 lezioni
sulle teorie percettive e cognitive integrano le lezioni riferite a ciò che normalmente si intende per
“analisi della musica” ponendosi da un punto di vista diverso: lo scopo non sarà quello di capire
come son fatte e come sono definibili le strutture sonore della musica e quali sono i loro modi di

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connettersi fra loro (come fa l’analisi musicale), ma piuttosto quello di capire come funzionano i
procedimenti mentali dell’ascolto (e queste sono appunto le teorie percettive e cognitive).
Si tratta di due punti di vista complementari e assolutamente indispensabili l’uno all’altro.

2. Altre terminologie: parametri, strutture, sintassi, comunicazione

Quando ascoltiamo suoni dall’ambiente circostante percepiamo e riconosciamo suoni globali, ma


possiamo anche percepire singoli aspetti del suono. Per esempio quando un cane abbaia percepiamo
un suono e sappiamo che quel suono è stato prodotto da un cane. Possiamo però anche distinguere
la voce di un cagnolino (frequenze acute) da quella di un grande cane (frequenze basse); possiamo
percepire suoni forti, accenti, suoni più deboli oppure suoni di durata maggiore o minore . In altri
termini percepiamo anche diverse componenti di quel suono: altezza, forza, durata, timbro. Dunque
un suono può essere percepito globalmente ma nella sua globalità possiamo riconoscere la presenza
di diverse componenti, selezionabili durante l’ascolto.
Le varie componenti percepibili del suono sono state distinte in categorie (che normalmente
in linguaggio un po’ più specialistico chiamiamo “parametri”. Esistono i parametri considerati dalla
fisica del suono (frequenza, ampiezza, timbro, durata), ma in un contesto più ampio, esistono anche
altri parametri: quelli elaborati dalle teorie della musica
Le principali categorie parametriche della teoria musicale sono: ritmo e metro (durate e accenti
metrici), altezza (note, scale, relazioni tonali e contrappuntistiche), timbro (qualità sonore degli
strumenti, componenti spettrali del suono), energia dinamica (dal forte al piano. Ma all’interno di
questi parametri principali esistono altre categorie, o parametri più specifici come le categorie di
melodia, di armonia, di cadenza, di battuta, ecc. Aggiungiamo che il concetto di “parametro” è un
concetto di comodo più che un concetto scientificamente e teoreticamente precisato, tuttavia per i
nostri scopi può essere utile e continueremo a usarlo.
Mentre le categorie parametriche sono comuni alle varie musiche del mondo e di ogni epoca
(diciamo che sono quelle che permettono una definizione del concetto di musica), il modo con cui i
parametri sono organizzati variano da cultura a cultura. Si può fare un paragone con il linguaggio
verbale, dove esistono condizioni comuni a tutte le lingue (ad esempio la distinzione fra fonemi e
lessico, l’organizzazione di regole sintattiche che presiedono alla successione di fonemi e di parole,
la presenza di caratteristiche prosodiche nella pronuncia, e così via) e condizioni specifiche di ogni
lingua che sono estremamente diverse da cultura a cultura.
Ogni cultura musicale seleziona particolari tipi di unità parametriche (ad es. il repertorio
delle altezze, dei sistemi di durata, delle caratteristiche timbriche) che la caratterizzano e crea
particolari regole di sintassi che stabiliscono le relazioni fra tali unità. E i membri di una cultura,
ascoltando la musica a loro nota possono percepire intuitivamente sia unità parametriche singole (ad
esempio distinguono un’altezza da un’altra) o “strutture” parametriche cioè insiemi di unità ben
definibili perché organizzati secondo regole sintattiche (p. es. una frase, una cadenza, una
modulazione).
In musica (così come in lingua) esistono aspetti scrivibili (altezze, durate, fonemi, parole)
e altri non scrivibili: ed esistono microstrutture musicali relative all’esecuzione (durate, altezze,
dinamiche, varianti timbriche) e prosodia verbale (le convenzioni della pronuncia) che sono difficili
o impossibili da scrivere. In sostanza la scrittura non esaurisce né la musica né la lingua: una
partitura non è un brano di musica.
Infine si può aggiungere che le strutture musicali e verbali, hanno lo scopo comune di
rendere possibile la comunicazione fra esseri umani. I concetti e le ragioni della loro
comunicazione sono evidenti nel linguaggio verbale.
Esistono anche per i costrutti sonori della musica, ma sono più sfuggenti. Di questo parleremo nella
prossima lezione. Qui possiamo però anticipare che l’analisi ci dice come sono fatti i costrutti
musicali, ma non ci dice perché siano fatti così, e a che cosa servano: per questo scopo sono nati
altri sistemi di discorso, come l’ermeneutica e la critica.

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3. Percezione categorica e percezione statistica
Parecchi psicologi nelle loro ricerche hanno dimostrato che l’ascolto musicale può suscitare una
grande varietà di esperienze: nel momento in cui si ascolta musica si verificano processi interrelati
di natura emozionale ed “analitica”, con mescolanze che variano da individuo a individuo, secondo
“stili cognitivi” non omogenei, dipendenti da varie e molteplici cause. In questa fase a noi
interessano particolarmente gli aspetti strutturali (percezione e concettualizzazione delle unità
parametriche e delle loro connessioni sintattiche). Nelle lezioni successive ci interesseremo anche di
quelli emozionali.
Alcuni aspetti strutturali si possono riferire a quel fenomeno che comunemente si definisce con il
termine di “percezione categorica”. Mentre la musica scorre, chi è abituato ad ascoltarla (ad
ascoltare quel particolare tipo – genere o stile – di musica) coglie, anche senza volerlo e senza
saperlo, aspetti di ritmo, di timbro, di armonia, di andamento melodico, e coglie anche rapporti fra
questi aspetti: ad esempio contrasti di qualche tipo fra un momento e l’altro, segmentazioni fra frasi,
crescendi e diminuendi, soluzioni armoniche inconsuete, e via dicendo. Si tratta di unità
parametriche o di strutture parametriche che la teoria e l’analisi musicale hanno ben descritto e che
anche la percezione riesce a captare. Gli esperti di psicologia della musica hanno studiato il
fenomeno di queste capacità percettive immediate e l’hanno definito in termini di “percezione
categorica”: chi ha familiarità con un certo tipo di musica sa percepire intuitivamente (anche se non
sa esplicitare concettualmente) le unità e le strutture parametriche che la caratterizzano.
Il concetto di percezione “categorica” è nato in ambito linguistico: le principali “categorie”
linguistiche si riferiscono soprattutto ai fonemi. Quando ascoltiamo qualcuno che parla, è
importante capire se ad esempio egli ha pronunciato la parola “orco” o la parola “arco”: il fonema
vocalico “a” deve essere percettivamente ben distinguibile dal fonema “o” perché essi determinano
la semantica e il lessico. La stessa cosa avviene in musica: noi dobbiamo capire se quel violinista ha
eseguito un si o un si bemolle perché questa differenza può avere conseguenze rilevanti sull’ascolto.
Ci sono però differenze fra la percezione linguistica e quella musicale: anzitutto perché la quantità
di fonemi è limitata (l’alfabeto italiano ne conta poco più di 20) mentre la quantità di parametri
musicali (le categorie dell’altezza, della durata, della dinamica, del timbro) è enormemente più
estesa, e non sempre la teoria musicale tradizionale è chiara nel distinguerle e nel nominarle. In
secondo luogo perché le regole della semantica linguistica sono rigide e vincolanti, mentre la
comprensione della musica passa attraverso aspetti di interpretazione o di ermeneutica che non
hanno regole altrettanto precise e vincolanti.
Ma c’è anche un altro termine importante che alcuni psicologi (Huron: Sweet anticipation )
chiamano “percezione statistica”. La musica, (la capacità di ascoltarla) si impara da bambini, e i
bambini la imparano attraverso ore di “esposizione all’ascolto”, così come imparano a parlare
ascoltando per ore ciò che dicono i parlanti adulti.
In effetti la grammatica musicale di un certo stile o genere di musica (analogamente a quella di una
certa lingua) è sempre caratterizzata da un numero definito di unità parametriche e da un insieme
altrettanto definito (o definibile) di regole sintattiche. Le unità parametriche tipiche di quel tipo di
musica si ripetono continuamente e a lungo andare la loro presenza tende a diventare consueta per
chi le ascolta. Altrettanto avviene per le strutture sintattiche che nascono da un certo numero di
combinazioni fra unità.
La consuetudine (o familiarità acquisita) con le une e le altre si può anche misurare sulla base della
frequenza con cui questi fenomeni dell’organizzazione musicale compaiono durante l’ascolto, in un
determinato tempo. Se ad esempio un certo tipo di musica è presente molto frequentemente una
successione fra un accordo di dominante e uno di tonica, è probabile che un ascoltatore “si aspetti”
che questa successione compaia non appena abbia percepito il primo dei due membri della diade.
Questo è il principio su cui si basa la teoria delle “attese” d’ascolto di cui parleremo nella seconda
lezione.

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Il calcolo di queste frequenze di comparsa è abbastanza complesso, anche perché ogni unità e ogni
insieme strutturale hanno pesi quantitativi diversi all’interno di un repertorio . Occorre dunque
mettere a fuoco in termini statistici i dati riferiti a queste differenti presenze. E’ appunto ciò che
Huron ha cercato di fare in un repertorio da lui scelto. Il principio della percezione statistica è
comunque in grado di spiegare in modo abbastanza persuasivo un fenomeno importante come
quello dell’acculturazione musicale, cioè dell’acquisizione di una certa familiarità con un repertorio
musicale particolarmente diffuso nel proprio ambiente.

4) Memoria semantica, memoria episodica e forma musicale


Sia nell’apprendimento di nuovi repertori, sia nell’ascolto di un brano specifico di una musica già
familiare, ha un peso importante l’impiego della memoria. Il tema della memoria è uno dei più
delicati e dei più complessi nel campo della psicologia cognitiva e in quello degli studi neurologici,
se non altro perché la memoria, per i suoi modi di funzionamento e per la vastissima gamma delle
sue applicazioni, si è prestata a stimolare una straordinaria varietà di punti di vista e di discussioni.
In questa sede, ovviamente, potremo prendere in considerazione un solo aspetto delle sue
innumerevoli applicazioni alla musica che tuttavia, per i discorsi sviluppati fino a questo punto, ha
una pertinenza significativa.
L’argomento che vorrei mettere a fuoco è la differenza che esiste fra due tipi di memoria: quella che
si suole chiamare memoria “semantica” e quella che viene detta memoria “episodica”. La
distinzione è stata proposta da Endel Tulving [1972] ed è stata applicata a contesti diversi, di natura
verbale, o visiva, ma anche di natura musicale.
La memoria semantica contiene conoscenze generali acquisite nel tempo e necessarie per
vivere, come le parole di una lingua oppure i profili e i colori di oggetti riconoscibili (p.es. io
riconosco “semanticamente” il fuoco per il suo colore e per le sue forme cangianti: ho introiettato la
memoria della sua parvenza fenomenica). In musica ho memoria semantica delle unità parametriche
e delle strutture sintattiche che fanno parte dei repertori dei quali ho competenza. La qual cosa mi
mette in grado di riconoscerle durante l’ascolto.
La memoria episodica, invece, è individuale e specifica e si riferisce a un particolare avvenimento,
più o meno recente, della nostra vita passata. Io posso avere memoria episodica di una antica
situazione che mi ha colpito (la festa del mio matrimonio, un incidente stradale di cui sono stato
vittima) ma anche di episodi recenti (ieri ho avuto un colloquio con un vecchi amico). In musica la
memoria episodica si può riferire p.es. a un brano che ho appena ascoltato e di cui mi sono rimaste
impresse alcune caratteristiche.
La memoria episodica, beninteso, non è la fotografia esatta di un determinato avvenimento: è solo
un insieme di tracce che permettono di evocare alcuni dei suoi aspetti essenziali. Le teorie del
discorso, in linguistica, hanno cercato di chiarire che cosa avvenga durante ciò che si chiama
”riassunto” di qualche cosa: si tratta di selezionare alcuni elementi chiave che vengono ricordati per
la loro pregnanza semantica (Van Dijk e Kintsch 1983). Ma in musica, purtroppo, aspetti semantici
non esistono e il problema diventa più complicato, e comunque pieno di difficoltà diverse: noi non
possiamo certo ricordare tutte le note di un frammento che abbiamo appena ascoltato, ma
necessariamente ne ricorderemo solo alcuni aspetti. Così, in un ascolto distratto, le tracce saranno
scarse e casuali; in un ascolto finalizzato al piacere estetico, saranno relative a qualche aspetto
espressivo, mentre in un ascolto a finalità “analitica” le tracce si riferiranno ad alcune sue strutture.
Per quanto riguarda le strutture, la memoria “episodica” può ricordare l’esistenza e l’identità di un
episodio (p. es. gli eventi della prima area tematica in un quartetto di Haydn), ma spesso esistono
episodi senza identità precisa, e per di più è sempre difficile ricordare con chiarezza una
successione di episodi.
Il problema della successione degli episodi e della possibilità di ricordarli nel corso di un
ascolto coinvolge un aspetto di grande peso perlomeno nell’ambito della musica europea di
tradizione colta o dotta (o come si voglia chiamarla): la percezione della forma di un brano.
Sappiamo ovviamente che esistono brani (ad esempio brani particolarmente statici) la cui strategia

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compositiva non richiede una divisione in parti, oppure esistono brani le cui divisioni interne sono
così semplici e elementari da non richiedere particolari sforzi di memoria; ma in altri casi la
distinzione in parti e il corretto riconoscimento delle relazioni fra una parte e l’altra della sequenza
musicale può diventare francamente difficile: in alcuni casi la memoria episodica può venir messa a
dura prova.
La forma musicale suscita problemi nell’ascolto anche perché implica la presenza di condizioni che
non riguardano semplicemente la composizione, l’analisi o la psicologia (ossia condizioni interne
alla musica), ma riguardano una situazione più ampia, una condizione socio-culturale esterna al
contesto musicale strettamente inteso. Si tratta del fatto che, nella musica europea (molto meno in
altre culture), chi compone musica entra in contatto con chi l’ascolta attraverso un’intermediazione
grafica (la partitura) e professionale (l’esecutore). Fino al Settecento il distacco fra chi componeva e
chi ascoltava è stato compensato nelle musiche con canto o danza, perché tradizionalmente canto e
danza implicavano una maggiore partecipazione del pubblico in occasioni e luoghi rituali (feste,
celebrazioni, musiche per la chiesa). Il distacco si è accentuato quando si è imposto in Europa il
nuovo genere della musica strumentale. In questo contesto (senza parole e senza gesti) la memoria
episodica doveva risolvere problemi difficili quando veniva posta di fronte a forme musicali di una
certa complessità e durata. Ma di questo parleremo con maggiori dettagli nella lezione prossima.

5) Gestalt, raggruppamenti percettivi e forma musicale


La psicologia della musica ha messo in luce negli ultimi decenni l’esistenza di criteri che
intervengono nei processi d’ascolto e aiutano a percepire la forma e a superare alcune delle
difficoltà della memoria episodica. Per far questo si è ispirata a una classica teoria degli inizi del
900: la cosiddetta teoria della Gestalt, proposta da alcuni psicologi tedeschi degli inizi del
Novecento (QUI BILIO). La teoria è nata per indagare sull’organizzazione della percezione visiva:
Gestalt significa “forma”, che in questo caso, però, è intesa come relazione fra forme visive e non
coinvolge la temporalità. Verso gli anni 80 si è cominciato ad applicarla anche alla percezione
uditiva.
Alcuni principi ne stanno alla base: fra essi la simiglianza in opposizione alla dissimiglianza e la
vicinanza verso la distanza. Per ragioni di somiglianza non vediamo 50 pallini ma vediamo circa 25
pallini neri opposti a circa 25 bianchi. Per di più non vediamo pallini in disordine, ma vediamo due
cerchi: noi vediamo ogni pallino legato al suo vicino e questo legame fa sì che noi stabiliamo una
continuità fra tutti i pallini vicini. È ovvio che se i due cerchi fossero costituiti da pallini variopinti
noi percepiremmo ugualmente la loro forma. Nel caso della nostra figura, simiglianza e continuità
si potenziano a vicenda.

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Dunque la percezione non riconosce solo oggetti singoli e indipendenti ma raggruppa gli oggetti in
ragione della loro vicinanza e della loro simiglianza: riconosce “gruppi” di oggetti,): solo in questo
modo il processo percettivo si semplifica e può venire memorizzato.
Si tratta di principi che nei decenni del dopoguerra sono stati applicati anche alla musica con
risultati scientifici attendibili (Diana Deutsch e Irène Deliège): quando si ascolta musica, la nostra
mente tende automaticamente a legare fra loro unità vicine costituendole in continuità: una frase
melodica ha le stesse caratteristiche del cerchio dei pallini. Quando qualche aspetto di discontinuità
(una pausa, un forte contro un piano, un salto d’altezza) interviene al suo interno, la nostra
percezione avverte segmentazioni fra un frammento e l’altro e li divide. Fra frammenti divisi
possono esistere somiglianze date da durate simili, da aspetti percettivamente salienti di qualche
frammento (p. es. l’esistenza di un tema , di una certa figura melodica o ritmica, o sequenza di
accordi, ecc.) e i frammenti simili possono essere contigui o anche fra loro distanti. Ogni “gruppo”
percettivo, è costituito da “indizi” che la mente mette insieme in ragione della loro maggiore o
minore simiglianza.
Quando noi ascoltiamo un brano con l’intento di coglierne la forma, la nostra memoria episodica
non ricorda tutte le note del brano, ma tende a sintetizzarle in “gruppi” al fine di rendere più
semplice la loro memorizzazione. In alcuni casi le tecniche compositive (soprattutto quelle della
composizione tonale) tendono a mettere in evidenza con pause, note prolungate, scarti di intensità o
di tonalità le segmentazioni fra zone al fine di agevolare l’ascolto. E tende a rendere salienti alcuni
aspetti che favoriscano l’individuazione di simiglianze fra un gruppo e l’altro. Ma le tecniche
compositive fra Ottocento e Novecento tendono a ridurre il peso di queste agevolazioni. Per questo
è molto più difficile studiarle.

ELENCO DI ALCUNI TERMINI-CHIAVE DA MEMORIZZARE:


Percezione, Elaborazione cognitiva, Parametri, Sintassi, Comunicazione, Percezione categorica,
Percezione statistica, Memoria semantica, Memoria episodica, Gestalt, Raggruppamenti percettivi.

ALCUNE INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE SUI TESTI CITATI

J. Bruner Psicologia della conoscenza, Roma, Armando, 1976.

I. Deliège , Introduction: Similarity perception <–>Categorization <–> Cue abstraction, in


«Music Perception» 18/3 (2001), pp. 233-243.

D. Deutsch (ed.), The psychology of music, Academic Press, New York 1982.

E. Tulving, Episodic and semantic memory, in E. Tulving & A Donaldsonn (eds), Organization of
memory, Academic Press, New York., 1972

Van Dijk e Kintsch Strategies of discourse comprehension New York, Academic Press 1983

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