Escolar Documentos
Profissional Documentos
Cultura Documentos
3 - 2007
La democrazia ha
bisogno dei cattolici
Santa Sede e Cina,
il miracolo dello sport
stiani in politica
Democratici e Cri-
della Repubblica Ceca
L’Europeismo prudente
sommario
PRIMO PIANO
LA STORIA E NOI
IL PROFETA DELL’UGUAGLIANZA 29
Luigi Bonanate
SPRAY
PASSIONI ADDIO!
I PARTITI SONO DIVENTATI S.P.A. 39
P. B.
sommario LO SPIRITO DEL TEMPO
TRANSECONOMIA
43
47
EUROPAMONDO
IRAQ 77
L’EUROPEISMO PRUDENTE
DELLA REPUBBLICA CECA 83
Giuseppe Caggiati
IL DIAVOLO
Marcello Colitti
SCAFFALE
119
Kamila Kowalska-Angelelli
Democratici
e Cristiani in politica
di Lucio D’Ubaldo
I
«I cattolici vogliono anzitutto una politica onesta». Così esordiva Romolo Murri in un breve
articolo del 1° giugno 1900, parlando come leader della giovane
corrente democratico-cristiana.
Era una dichiarazione semplice e impegnativa, che indicava
nell’onestà, appunto, la categoria destinata a strappare la vita pub-
blica e istituzionale all’assedio del burocratismo e del favoritismo
delle classi dirigenti dell’epoca.
Formalmente non partiva dalla difesa dell’identità cristiana,
benché nel ritmo del suo discorso si potesse cogliere tanto orgo-
glio e tanta speranza proprio nella nascita di un partito nazionale
cattolico, uno strumento moderno, pensava Murri, di lotta politica
e, a suo dire, né reazionario né sovversivo. Oggi lo potremmo defi-
nire un partito democratico e riformatore capace, con il suo pro-
gramma, di porsi al servizio di un’Italia che cambia.
Cosa ci dice questo riferimento a un codice ideale tanto lonta-
no e al tempo stesso tanto vicino, che implica la ridefinizione e l’a-
malgama di ciò che potremmo ancora oggi identificare né più né
meno come una politica onesta?
È un quesito che può avere valore e significato solo se posto a
contatto con la profonda secolarizzazione intervenuta dal dopo-
guerra in poi nelle società dell’occidente democratico, resa ancora
più potente, negli ultimi anni, da un processo di globalizzazione
sia dell’economia, sia degli stili di vita. Per questo il riferimento a
Murri può sembrare azzardato, poiché un cambio di mentalità
epocale produce sempre uno spartiacque oltre il quale ogni even-
to si pone, almeno nella forma, in totale contrasto col passato.
•6 • • • • • • • • • P R I M O P I A N O
È a tutti noto come la sensibilità democratico-cristiana sia stata all’origine della laicizzazio-
ne del movimento cattolico e anche della formazione del partito
La scelta laica aconfessionale di matrice sturziana. Ma dopo la svolta del ’68 e
del movimento dopo la caduta del muro quel retaggio di idee e di valori finisce
cattolico con il configurarsi nei termini di una posizione antiquata. In un cer-
to senso è difficile ammettere persino la sussistenza di un proble-
ma attuale in ordine alla eventuale ricongiunzione dei due aggetti-
vi, quello democratico e quello cristiano, che invece potrebbero o
dovrebbero caratterizzare per noi una politica nuova. E allora si
ragiona sulla scorta dell’abbandono definitivo di ogni ancoraggio
identitario, quasi che dietro l’identità si debba nascondere obbli-
gatoriamente la rinascita di una tentazione integralista, o la prete-
sa di una autarchia filosofico-morale.
Dopo la lunga, complessa e straordinaria vicenda della Demo-
crazia Cristiana, si ricomincia inavvertitamente con il desiderio di
guardare all’essenziale, a quella sola e pervicace ambizione di
una politica onesta. Torniamo a Murri, sapendo comunque che in
questa spontanea riduzione all’essenziale, non per pigrizia ma per
virtù, c’è il segno di quella operazione intrisa di forte spiritualità
proveniente dal Concilio Vaticano II.
Se finisce la storia del partito di ispirazione cristiana, non finisce
invece la meditazione e l’iniziativa di quanti avvertono la necessità
di armonizzare nello spazio della politica il loro essere buoni demo-
cratici e buoni cristiani. È la sfida verso un modello di pensiero,
quello attuale, che si limita a registrare la percezione diffusa del
carattere antiquato di ogni storia e di ogni tradizione politica.
In passato ha preso corpo una sintesi alta, di grande livello intellettuale e politico: per tutto
il ‘900 la politica dei democratici-cristiani si è nutrita di un patrimo-
Il grande nio diffuso di idee e di suggestioni. Tendiamo facilmente, forse col-
contributo del pevolmente, a dimenticarcene. È vero, non c’è più il pericolo totali-
pensiero tario e dunque non c’è più l’esigenza dell’originale ‘terza via’ tra
cattolico del ’900 fascismo e comunismo, tra libertà di mercato e regole collettiviste,
tra individualismo e massificazione, una terza via immaginata e poi
costruita da una grande generazione di pensatori e dirigenti politi-
ci, anche se, nella furia di cancellare ogni antecedente ideologico,
può esistere il rischio della banalizzazione e dell’infantilismo al
punto che oggi ci si trova all’improvviso a discutere nuovamente di
terza via solo per il fatto che a proporne la realizzazione sono i teo-
rici del liberismo etico e i leader della new left, la nuova sinistra
mondiale, libertaria e post-socialdemocratica.
Esistono valori che non tramontano malgrado la censura dei
tempi; ci sono esperienze degne di essere rilette e attualizzate; ci
sono ragioni ancora vive e ancora integre: la difesa della persona
e l’autonomia del sociale, il profondo rispetto per le istituzioni e
delle regole democratiche, l’umanizzazione della politica e dello
P R I M O P I A N O • • • • • • • • • • • • 7•
ALBERTO
GAFFI Via della Guglia 69 B - 00186 ROMA - Tel. 06.699.42.118
EDITORE Ufficio commerciale: Via Sebino 32 A - 00199 ROMA
IN ROMA Tel. 06.841.33.24 - Fax 06.853.04.639
www.gaffi.it - E-mail:info@gaffi.it
P R I M O P I A N O • • • • • • • • • • • • 9•
Quale riforma
elettorale?
Quale modello
di Guido Bodrato
di democrazia?
LA SITUAZIONE POLITICA IMPONE SCELTE E MODELLI
IN LINEA CON I TEMPI
L
La riforma elettorale è tornata al centro del dibattito politico anche per effetto della iniziativa
referendaria di Segni e Guzzetta, che perseguono l’obiettivo di
modificare la legge imposta da Berlusconi nella fase finale dell’ulti-
ma legislatura, ma che si propongono sopratutto di riaprire il dibat-
tito sulla Repubblica Presidenziale. In realtà l’abrogazione della leg-
ge Calderoli non cancellerebbe gli aspetti più gravi della legge che
lo stesso proponente ha definito «una porcata»: non rafforzerebbe
la governabilità, non cancellerebbe le liste bloccate che hanno per-
messo alle oligarchie di consolidare il loro dominio sulle istituzioni,
rafforzerebbe le tendenze trasformistiche che caratterizzano que-
sto ‘finto proporzionale’. E finirebbe con l’assegnare il premio di
maggioranza ad una lista che ha conquistato meno del 40 per cen-
to dei voti, con evidenti distorsioni per la vita democratica.
I partiti di Centro-sinistra non dovrebbero dimenticare che il
referendum che nel giugno del 2006 ha bocciato la proposta di
revisione costituzionale, ha detto no al ‘presidenzialismo’ eppure i
sostenitori di sinistra del nuovo referendum promosso da Segni,
nel giugno del 2006 si attendevano una vittoria di misura del ‘no’
per riaprire subito il dialogo con la destra sulle riforme istituzionali.
Il modello presidenzialista è stato rilanciato dalla vittoria di Sarkozy
nelle presidenziali francesi: il dibattito sulla riforma elettorale si è
intrecciato nuovamente con il dibattito sulla riforma della Costitu-
zione, e sempre più il decisionismo si è intrecciato con la persona-
lizzazione della politica, come se non fossero ‘presidenzialisti’
anche Chavez e Putin.
Per uscire dall’ambiguità, tutti i partiti debbono verificare se il
Parlamento è capace di riformare una legge sbagliata e di porre
•10 • • • • • • • • • P R I M O P I A N O
La polemica provocata dal referendum si sta incrociando con la polemica sulla durata di
un governo che i sondaggi considerano a rischio di dissoluzione e
Tra una polemica con la polemica sulla ‘spallata’ berlusconiana che dovrebbe porta-
e l’altra re allo scioglimento del Parlamento. È comunque difficile capire se
Berlusconi sia pronto ad un confronto sulla riforma elettorale o se
questa disponibilità sia destinata a naufragare al primo incidente
di percorso, poiché l’obiettivo strategico sono le elezioni anticipa-
te. Tuttavia è utile tentare un riepilogo delle proposte che da oltre
vent’anni alimentano il dibattito politico, poiché il tema della rifor-
ma elettorale sarà centrale anche nella fase costituente del Partito
Democratico, in quanto un discorso sulla qualità della democrazia
ha a che fare con l’identità di un ‘partito nuovo’ che dovrà essere
‘maggioritario’ ma anche ‘plurale’, dovrà cioè tenere insieme tradi-
zioni riformiste che si sono duramente scontrate e che ora debbo-
no ripensarsi in una prospettiva di convergenza degli ex democri-
stiani e degli ex comunisti che ‘supera’ l’esperienza che ha carat-
terizzato la strategia morotea dell’attenzione e gli anni del confron-
to e della solidarietà nazionale.
Sin dal tempo del centrismo degasperiano, cui il voto del 18 aprile ’48 ha assegnato la
maggioranza assoluta, per evitare che la Dc spostasse il baricen-
Necessità di tro a destra per garantire la stabilità del governo, De Gasperi e
alleanze giuste Scelba si erano proposti di rafforzare la politica di centro con un
premio di maggioranza da assegnare alla coalizione che superas-
se il 50 per cento dei consensi. Rafforzando l’alleanza della Dc con
i partiti laici si contrastava la tentazione dei moderati a cercare il
sostegno dei monarchici e del Msi, entrambi in crescita nelle
regioni meridionali. Non si trattava di un ragionamento astratto:
infatti nel ’52, in occasione delle elezioni amministrative di Roma,
anche la gerarchia ecclesiastica aveva auspicato una lista anti-
comunista senza confini a destra, e questa pressione aveva
costretto De Gasperi ad opporsi personalmente a questa ipotesi.
Tuttavia nel ‘53 la riforma della proporzionale è naufragata, poiché
la sinistra ha sostenuto che si trattava di una ‘legge truffa’, proget-
tata per consolidare ‘il regime democristiano’; e dopo quel voto
Alcide De Gasperi, ‘il ricostruttore’ del Paese, ha subito il voto con-
trario del Parlamento. Ma la sua politica ha inciso profondamente
sulla esperienza democratica del paese.
L’introduzione di un ‘premio di maggioranza’ che favorisse l’al-
leanza della Dc con i partiti di centro e la stabilità dei governi a gui-
da democristiana, è rimasta per molto tempo la proposta della Dc;
la quale ha pensato anche al ‘cancellariato’ (modello tedesco),
cioè ad un sistema proporzionale con clausola di sbarramento
(contro la proliferazione dei partiti) e con la sfiducia costruttiva (per
la stabilità del governo). Questo progetto è stato avversato dai par-
titi laici (liberali, repubblicani e socialdemocratici) che temevano di
restare prigionieri della Dc, dalla destra che si proponeva di condi-
zionare il centrismo, e soprattutto dai comunisti che lo ritenevano
un artificio per rendere impossibile una ’alternativa democratica’ di
sinistra. In quella fase della politica nazionale la Guerra Fredda e la
conventio ad exludendum dalle alleanze di governo erano un vin-
colo che da solo impediva al Pci di guidare l’alternativa alla Dc.
Dopo il referendum sul divorzio, vinto nel ‘74 da uno schieramento
radical-socialista che con il sostegno dei comunisti aveva supera-
•12 • • • • • • • • • P R I M O P I A N O
to il 60 per cento dei consensi, gli stessi radicali che avevano gui-
dato la battaglia divorzista ‘contro la Dc’, hanno dichiarato che il
Pci era utile per battere il fronte clericale ma che con il Pci non era
possibile governare l’Italia. Quando Sorgi ha scritto su La Stampa
che la proporzionale e le correnti democristiane sono all’origine
dell’instabilità dei governi, sembra dimenticare del tutto la com-
plessità della situazione politica, ed il fatto che comunque in quegli
anni la situazione del paese non è rimasta prigioniera di quelle
straordinarie condizioni internazionali.
Nel corso della ‘seconda fase’ dell’esperienza post-fascista, cioè nella stagione dell’aper-
tura ai socialisti, che dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria
Gli obiettivi (1956) camminavano verso l’autonomia dal Pci, il sistema propor-
del sistema zionale si è diffuso anche agli enti locali, prima caratterizzati da
proporzionale leggi elettorali di impianto maggioritario. L’elezione dei consigli
comunali e provinciali con il sistema proporzionale, e poi l’adozio-
ne della proporzionale anche per i consigli regionali (1970), aveva
l’obiettivo di indebolire la formula centrista e di rendere possibili, a
seconda dei casi, alleanze con partiti di diverso orientamento al
fine di favorire una alleanza politica che non ruotasse attorno alla
sola Dc. Solo all’inizio degli Anni Novanta, quando si fa più eviden-
te il declino della Dc, il Parlamento approva una legge maggiorita-
ria per gli enti locali e decide l’elezione diretta del sindaco e del
presidente della Provincia, accompagnando questa riforma con
un forte ridimensionamento delle competenze dei consigli comu-
nali e provinciali. La riforma maggioritaria e l’elezione diretta del
sindaco consolidano la stabilità dei governi locali, ma indebolisco-
no la partecipazione ed il ruolo delle amministrazioni elettive. Non è
tutto oro ciò che luce: di questa riforma non si è fatto sin’ora un
bilancio serio, non si è fatta una completa riflessione sulla tenden-
za populista alimentata dal voto diretto e sull’intreccio che in molti
casi si è rafforzato tra le istituzioni locali e le nomenclature locali. È
comunque sempre più evidente che con il declino della democra-
zia dei partiti, che si accompagna al declino del primo centro-sini-
stra, si è avviato un dibattito che punta alla riduzione del potere dei
partiti (e della delega) e all’affermarsi di diversi modelli di ‘demo-
crazia diretta’. La sinistra pensava soprattutto all’assemblearismo,
e partendo dal dibattito sulla ‘partecipazione si svilupperanno
diverse forme di ‘democrazia dei consigli’: dalle scuole alle fabbri-
che ai quartieri delle città. Dalla ‘contestazione studentesca ed
operaia (che coinvolgerà anche i sindacati) ha prenso forza il
movimento anti-parlamentare. Eda ancora oggi la piazza svolge
un ruolo decisivo sulla strategia della sinistra. La destra ed alcuni
democristiani guardavano invece al modello gollista: hanno pun-
tato sin dagli anni ‘80 sul presidenzialismo ed hanno parlato di
‘seconda repubblica’. Il repubblicano Pacciardine ha parlato sin
P R I M O P I A N O • • • • • • • • • • • 13•
L’avviarsi del dibattito sulla ‘terza fase’ della vita nazionale, di cui parlerà Aldo Moro e che
sarà caratterizzata dalla solidarietà nazionale e dall’ingresso dei
La ‘terza fase’ Pci nella maggioranza parlamentare (1975/79), porta in primo pia-
secondo Moro no «la riforma del regolamento di Montecitorio, che attribuisce
all’assemblea (presieduta da Ingrao) poteri che si intrecciano con
ciò che dovrebbe caratterizzare una responsabilità esclusiva del
governo. Da questo punto di vista l’assemblearismo anticipa scel-
te che faranno parlare di consociativismo». Il confronto parlamen-
tare tra maggioranza ed opposizione favorirà l’approvazione di
importanti leggi: (lo Statuto dei Lavoratori, la riforma della sanità),
ma sarà responsabile anche della crisi della finanza pubblica, del-
l’esplosione del debito pubblico. Con la politicizzazione delle lotte
sociali e la mobilitazione della piazza, finisce il collateralismo delle
Acli e della Cisl nei confronti della Dc, mentre il diffondersi dell’o-
peraismo mette in discussione il ruolo del partito della classe ope-
raia e la stessa democrazia sindacale.
Questo intreccio indebolisce la centralità del Parlamento ma
anche la distinzione dei poteri (Legislativo, Esecutivo, Giudiziario),
e provoca la ripresa (da sinistra) di un dibattito sulle riforma istitu-
zionale ed elettorale che si farà più forte dopo gli Anni di Piombo e
dopo l’assassinio di Aldo Moro, interlocutore di Enrico Berlinguer
e garante del ‘compromesso’ che avrebbe dovuto portare al supe-
ramento della conventio ad exludendum ed all’approdo alla Demo-
crazia Compiuta.
Quando il Congresso della Dc (1980) decide che «allo stato
degli atti» è impossibile il dialogo con il Pci, l’attenzione si sposta
sulla ‘grande riforma’ di Craxi e poi sulla ‘strategia referendaria’ di
Pannella e di Segni. La contorta vicenda degli Anni Ottanta si può
interpretare solo riconoscendo che diversi modelli politici sono più
funzionali alla conquista del potere che alla governabilità ed alla
trasparenza democratica. Quando Roberto Ruffilli, uno dei più
acuti politologi, ucciso dalle Br nel 1983, pochi giorni dopo essere
diventato il consulente di De Mita per le riforme istituzionali, ha
chiesto di «restituire ‘lo scettro agli elettori’ non proponeva un
sistema autoritario, in qualche modo riferibile alla democrazia
diretta, ma il ritorno alla democrazia dei partiti, nel contesto della
modernizzazione di uno stato democratico che deve permettere la
•14 • • • • • • • • • P R I M O P I A N O
Veniamo allora alle discussioni di questa stagione. È giusto che chi vuole garantire la sta-
bilità del governo e vuole associarla ad una corretta vita parlamen-
Urgenza tare, proponga la riforma della legge elettorale in primo luogo per
della riforma risolvere le contraddizioni provocate dal diverso meccanismo
elettorale ‘maggioritario’ previsto per Senato e Camera. Tuttavia bisogna
riconoscere che i limiti di questa legge ‘oligarchica’, non sono da
attribuirsi alla proporzionale (comunque stravolta dal premio di
maggioranza) ma alla lista bloccata, e che gli aspetti peggiori della
legge sono stati avvallati dalla coalizione di Centro-sinistra, la qua-
le li ha adottati con liste costruite dalla nomenclatura che guida la
Quercia e la Margherita. In realtà la lista rigida è stata utilizzata
come l’uninominale-maggioritario. E su questo punto Grillo ha
ragione. Tuttavia le leggi elettorali condizionano ma non sostitui-
scono la politica, e sono sempre aggirabili, anche perché il com-
portamento degli elettori è imprevedibile e può differenziarsi tra
Senato e Camera. L’uninominale maggioritario, costruito per
costringere gli elettori a stare a destra od a sinistra e per rendere
irreversibile la svolta bipolare, in questi dodici anni ha costretto sia
la Destra che la Sinistra a raschiare il fondo del barile per conqui-
stare Palazzo Chigi, ha costretto a sommare voti riformisti e massi-
malisti, moderati e leghisti. Con la conseguenza di assegnare alle
ali estreme, alla sinistra radicale ed alla Lega, un potere di veto
che ha costretto uno dei sacerdoti del bipolarismo (Passigli) a par-
lare di un ‘falso bipolarismo’ ed a riconoscere che comunque la
‘democrazia dell’alternanza’ dovrebbe essere altra cosa. Non a
caso Mario Monti ha ripetutamente notato che la politica delle rifor-
me, da cui dipende la modernizzazione del paese, deve cercare la
convergenza verso il centro della destra moderata e della sinistra
riformista. Ed il club dei ‘volonterosi’ ha in seguito dimostrato che
questa critica è condivisa anche da molti bipolarismi, i quali hanno
scritto un lungo elenco di scelte strategiche che dovrebbero esse-
re affidate a decisioni bipartisan. Poi, quando si è acceso il dibatti-
to sull’identità del Partito Democratico, prima Rutelli e poi anche
Veltroni hanno parlato di un Centro-sinistra «di nuovo conio» che
dovrebbe fare alleanze coerenti con il programma del Governo
cioè, se necessario, spostando il baricentro delle alleanze elettora-
li al centro. «Se questa è la strada obbligata della governabilità e
della modernizzazione, la democrazia dell’alternanza resta in pie-
P R I M O P I A N O • • • • • • • • • • • 17•
Sono passati più di dieci anni dalla svolta del ’94 e dalla fine della Prima Repubblica. Si
sono sperimentate due bicamerali e si sono svolte tre elezioni poli-
La lunga tiche, è tempo di fare un bilancio della svolta che ha avviato la
transizione ‘transizione’. Per non tentare un bilancio della strategia referenda-
ria, i bipolaristi continuano a parlare di transizione incompiuta e
ritornano alla strategia referendaria, rischiando in questo modo di
affondare nella palude dell’anti-politica. Il referendum promosso
da Segni e Guzzetta in netto contrasto con l’orientamento certifica-
to dal referendum confermativo del 2006, non può dare la soluzio-
ne di un problema che è politico. Con l’uninominale-maggioritario
la frammentazione del Parlamento è cresciuta ed entrambi gli
schieramenti si definiscono più per ‘essere contro’ un nemico
(Berlusconi, i comunisti…) che per il programma che si propongo-
no di realizzare. Il presidente Napolitano, dopo il voto sulla politica
estera che aveva costretto Prodi a dare le dimissioni, ha consulta-
to 24 gruppi parlamentari. Quando la Prima Repubblica’ è giunta
al capolinea, il Presidente Scalfaro ha consultato nove gruppi par-
lamentari. Un bipolarismo caratterizzato dalla radicalizzazione del-
lo scontro, quando per un voto si vince tutto o si perde tutto, nau-
fraga nel trasformismo. Entrambi gli schieramenti sono alla ricerca
di un pilastro che sorregga il bipolarismo, ma è sempre più chiaro
che la formazione di partiti unici di destra o di sinistra, immaginati
come ‘partiti del presidente’, rischia di rendere più fragile la gover-
nabilità poiché spinge le ali estreme a darsi una più forte caratteriz-
zazione; di rivolgersi alla piazza; e rischia anche di aprire un dibat-
tito sulla leadership, sulla capacità del Premier di tenere insieme
coalizioni senza identità e di dare loro una reale forza di governo.
Questa riflessione si accompagna alla constatazione che in
entrambi gli schieramenti non è possibile trovare una intesa sulla
legge elettorale, e l’inciucio che potrebbe mettere insieme una
parte della Sinistra ed una parte della Destra per varare una legge
di impianto maggioritario, metterebbe a rischio l’unità delle coali-
zioni e l’esito della contesa elettorale, e quindi la conquista di
Palazzo Chigi.
•18 • • • • • • • • • P R I M O P I A N O
Da queste riflessioni deve partire la discussione sulla riforma della legge elettorale, che
sembra tornata al primo posto nell’agenda politica e che non può
Il modello non riguardare anche le ‘primarie’ del PD e la fase costituente del
tedesco nuovo partito. Per parte mia metto al primo posto il modello tede-
sco, cioè la proporzionale con uno sbarramento per l’assegnazio-
ne dei seggi al 4/5 per cento (o la proporzionale con premio di
maggioranza) e la clausola della sfiducia costruttiva; al secondo
posto il modello spagnolo (che privilegia, nell’attribuzione propor-
zionale dei seggi, i partiti che hanno una più forte concentrazione
regionale dei voti), a condizione che non si definiscano collegi elet-
torali cinicamente studiati per soffocare i partiti minori; al terzo
posto il doppio turno francese, a condizione che si tratti del model-
lo che prevede un secondo turno aperto a tutti i candidati che nel
primo turno superano la soglia del 10/12 per cento dei voti espres-
si. E ricordando che in Francia è in corso un dibattito per corregge-
re quel sistema con una importante riserva di seggi da assegnare
con la proporzionale, ogni sistema ha i suoi pregi ed i suoi difetti.
Quasi tutti cercano un equilibrio tra l’obiettivo di garantire la rappre-
sentanza delle forze in campo e quello della stabilità del governo.
Tutti riconoscono la centralità del Parlamento (anche il modello bri-
tannico) ed il ruolo dei partiti. Anche Gordon Brown, nuovo leader
del Partito Laburista, ha proposto un rafforzamento del ruolo del
Parlamento ed un ripensamento della legge elettorale britannica.
Quando sento che il ministro per le riforme, sta cercando la
convergenza delle posizioni attorno ad un modello che si riferisce
a quello della elezione dei consigli comunali, o dei consigli regio-
nali, o dei consigli provinciali, i primi due caratterizzati dalla pro-
porzionale con liste e premio di maggioranza, l’ultimo da candida-
ture di collegio e premio di maggioranza, suggerisco a Chiti due
condizioni: purché rispettino la centralità del Parlamento e non
prevedano di riferire il premio di maggioranza ad un ‘listino’ di can-
didature che gli elettori non possono che ratificare. E se dovessi
esprimere una preferenza sulla presentazione delle candidature,
consiglierei candidature uninominali di collegio, nell’ambito di cir-
coscrizioni elettorali di dimensione regionale. Come era in passato
per il Senato, come è ancora per le Province. Non liste rigide. Ed a
chi insiste su modelli elettorali che evocano il Presidenzialismo,
cioè l’idea del ‘partito del presidente’, di una politica caratterizzata
dal rapporto diretto tra il leader e l’opinione pubblica mediato della
TV, vorrei ricordare che non a caso dietro ogni Cesare c’è l’ombra
di Bruto.
P R I M O P I A N O • • • • • • • • • • • 19•
Lo sviluppo
della democrazia e
di Franco Marini
le riforme istituzionali
Q
Quando utilizzo il termine ‘federalismo’ sono consapevole dei molteplici significati di que-
sta espressione e delle diverse forme ed esperienze di Stato che
ad essa vengono ricondotte. Federalismo e democrazia, un bino-
mio che sta mostrando una capacità espansiva sempre più inten-
sa, anche in questo nuovo secolo. Infatti, quanto più si realizza la
crescita e la maturazione della democrazia rappresentativa, tanto
più si alimentano le aspirazioni di maggiore partecipazione delle
comunità locali al governo della ‘cosa pubblica’, di maggiore valo-
rizzazione delle identità territoriali, di riconoscimento delle diverse
componenti sociali e culturali presenti, oramai, in tutte le civiltà
occidentali, ma anche in quelle di molti paesi in via di sviluppo.
La strutturazione in senso federale dello Stato costituisce uno
strumento che si sta dimostrando cruciale per la realizzazione di
queste aspirazioni di partecipazione e di maggiore responsabilità
della società. Il federalismo deve essere, infatti, in grado di con-
temperare le esigenze di coinvolgimento delle popolazioni locali
nelle decisioni pubbliche e di valorizzare il pluralismo territoriali
con migliori garanzie di equità, di solidarietà e di unità. I sistemi
federali, inoltre, avvicinando il livello della decisione politica ai cit-
tadini, devono anche contribuire a migliorare l’efficienza ammini-
strativa e a rendere insieme più trasparente e responsabile l’eser-
cizio del potere.
Tutto questo, però, a patto che chi governa abbia ben presen-
te che ogni sistema federale:
richiede la ricerca e il mantenimento, di equilibri forti, spesso
molto delicati e in continua evoluzione;
•20 • • • • • • • • • P R I M O P I A N O
Su tutti questi punti devo riconoscere che l’esperienza istituzionale del Canada ha matu-
rato molte cose da insegnare. Già due secoli fa Tocqueville aveva
L’esempio colto il nesso fondamentale tra federalismo e democrazia ed ave-
del Canada va evidenziato come l’assetto federale di uno stato potesse con-
trobilanciare, in modo efficace, quei fenomeni che possono porta-
re ad una degenerazione della democrazia.
Certamente il federalismo non è la panacea dei molti mali che
affliggono le democrazie contemporanee, strattonate, da una par-
te, dalla crisi di vecchie politiche sociali, da istanze autonomistiche
e localiste, da fondamentalismi religiosi e culturali, dalla mutevo-
lezza delle proprie componenti etniche, e, dall’altra, dalla competi-
zione e dalla globalizzazione delle economie e dei mercati, non-
ché dalle spinte ad equilibrare il prelievo fiscale e a rendere più
efficienti la spesa pubblica.
Tuttavia, l’insegnamento di Tocqueville credo sia ancora attua-
le e in grado di spiegare la diffusa tendenza degli stati contempo-
ranei a ricorrere a sistemi istituzionali caratterizzati dalla coesisten-
za di forti governi locali accanto a quello centrale. E qui, consenti-
temi di allargare le mie riflessioni al rapporto fra democrazia, siste-
ma politico e ruolo dello Stato.
I problemi delle democrazie contemporanee fanno emergere
con sempre più evidenza l’insoddisfazione verso gli attuali mecca-
nismi di scelte collettive e, il passo è breve, il diffuso scontento
anche verso i sistemi politici. In Italia, ad esempio, abbiamo appe-
na vissuto una stagione di forte attacco verso la politica e verso il
sistema pubblico, considerati solamente dei costi da ridurre in
modo drastico.
Lo Stato nel suo complesso viene messo in discussione fino al
rischio che, nelle teorie del cosiddetto ‘stato minimo’, si finisca per
riconoscere solamente il ‘mercato’ come principio regolatore indi-
P R I M O P I A N O • • • • • • • • • • • 21•
La nostra vita democratica dovrebbe così caratterizzarsi con un più sano ed efficace bipo-
larismo, con coalizioni capaci di sfidarsi e di competere per gover-
Verso nare e non per difendersi l’una dall’altra secondo gli schemi di un
un bipolarismo contrasto ideologico che non esiste più nella realtà delle cose.
efficace Come potete capire ho ritenuto di dover fare qualche riferi-
mento concreto ed attuale alla situazione politica del mio Paese,
non solo per offrirvi una mia riflessione, ma proprio per raccontarvi
dal vivo quello che accade, e per rinsaldare così quel sentimento
di lungo confronto e di amicizia che ha sempre distinto i nostri rap-
porti.
•24 • • • • • • • • • P R I M O P I A N O
La democrazia ha
bisogno dei cattolici
di Giuseppe Fioroni
U
«Un politico – diceva De Gasperi – guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla
prossima generazione». È questo, credo, un buon viatico che
dovremmo tener presente nel momento in cui ci apprestiamo a
dare vita al Partito Democratico, un partito nuovo dove non dovrà
esserci spazio per le correnti ma per il confronto tra aree culturali.
Noi non abbiamo l’ambizione, come area cattolico-democratica,
di costruirci la nostra stanzetta nel PD ma abbiamo l’ambizione di
costruire una casa accogliente per tutti in cui tutti si possano sentire
contemporaneamente progettisti e costruttori. Abbiamo anche
un’ambizione in più: competere per la guida del processo di costru-
zione perché, sulla base della nostra storia e dei valori antichi decli-
nati nel cogliere i segni dei tempi, abbiamo l’opportunità di offrirci
come sale e lievito nella costruzione del nuovo soggetto politico.
La missione dei cattolici non è quella di chiudersi in un recinto.
Non dobbiamo temere il confronto ma, anzi, stimolarlo. Un partito
di cattolici, oggi, sarebbe solo arroccamento, chiusura, paura.
I cattolici hanno sempre dato un apporto fondamentale alla
società italiana e in modo particolare alla nascita, al consolida-
mento e all’allargamento della democrazia repubblicana, come
accadde quando lavorammo tutti insieme alla Carta Costituziona-
le. Vogliamo portare nel PD il nostro contributo di idee, la nostra
cultura politica, la nostra laicità che non rinuncia al valore dell’ispi-
razione religiosa ma la vive nella storia come garanzia di libertà,
metodo che si fa dialogo, ricerca, ascolto, incontro con gli altri.
Con il PD non vogliamo costruire il Grande Centro e tantome-
no inseguire inutili nostalgie. Il PD, infatti, ha vocazione maggiori-
•26 • • • • • • • • • P R I M O P I A N O
Sono convinto che il PD sia destinato a segnare l’evoluzione della politica italiana. Stiamo
costruendo, infatti, un partito popolare che realizza la sua politica
Il rinnovamento attraverso l’impegno, la passione e la fatica di tante persone. Un
della politica partito nazionale, radicato nella varietà del territorio italiano, che
vuole dare spazio alla partecipazione dei cittadini che per la prima
volta, con le primarie di ottobre, sono chiamati ad eleggere diretta-
mente il leader di un partito e lo fanno sulla base di programmi.
Il PD è un progetto politico che deve avere la capacità di inter-
pretare valori e idee che offrano le soluzioni agli italiani per i pros-
simi decenni, al di là delle storie personali di ciascuno di noi. Il
metodo elettorale di una testa un voto è fondante per scegliere
qualunque dirigente del Partito Democratico, abolendo completa-
mente il metodo della cooptazione e delle riserve.
Ad Assisi il 2 settembre, a conclusione del convegno Cattolici,
democratici e riformatori. È il tempo nuovo, abbiamo sottoscritto
un manifesto per dare contenuti e risposte ai bisogni e ai problemi
della gente. Un manifesto che sarà anche il contributo dei cattolici
democratici alla costruzione del PD in termini di contenuti.
La politica ha la responsabilità cruciale di realizzare condizioni
che favoriscano la coesione sociale, l’aiuto reciproco, l’interscam-
bio, il mutuo riconoscimento in una società in costante e a volte
disordinato divenire. Per questo ci impegniamo a promuove una
‘società della cura’, una società che sappia non solo affrontare i
bisogni creati dalle emergenze e dalle marginalità ma anche valo-
rizzare le attitudini di ogni persona. Per fare questo il PD dovrà
riportare nell’agenda politica la dimensione sociale e partecipativa
mettendo al centro la persona, i suoi bisogni, le sue potenzialità e
la sua unicità.
Pechino, inizi degli anni Settanta. La Cina si sta riaprendo lentamente al mondo
esterno, ma all’interno resta oppressa da uno spietato regime poliziesco. Sono gli
anni bui della Rivoluzione Culturale, estrema espressione di una lotta feroce tra i
dirigenti del partito che si contendono il governo del Paese. Arrivata con l’entusia-
smo di scoprire quella Cina nuova che aveva acceso gli entusiasmi di tanti intellet-
tuali occidentali, una giornalista italiana ignora le ferree leggi di un regime che, per
assicurarsi il potere assoluto, pretende di governare anche i sentimenti. Verrà a sco-
prirlo lentamente, in seguito all’incontro casuale con un giovane medico della capi-
tale cinese. Tra i due nasce un amore appassionato che, però, può esprimersi sol-
tanto attraverso poche parole e furtivi incontri in pubblico. Incapace di sopportare
una relazione che le sembra senza sbocchi, alla fine la ragazza decide di interrompe-
re anche quel sottilissimo filo di dialogo che la tiene legata all’amico e nell’ultimo
incontro lo evita ostentatamente. Ignora che all’indomani il medico sarà costretto a
partire per una località sconosciuta dello sterminato territorio cinese dove le autorità
lo hanno inviato con l’intento di punirlo e rieducarlo ai principi rivoluzionari.
ALBERTO
GAFFI Via della Guglia 69 B - 00186 ROMA - Tel. 06.699.42.118
EDITORE Ufficio commerciale: Via Sebino 32 A - 00199 ROMA
IN ROMA Tel. 06.841.33.24 - Fax 06.853.04.639
www.gaffi.it - E-mail:info@gaffi.it
L A S T O R I A E N O I • • • • • • • • • 29•
Il profeta
di Luigi Bonante
Docente di Relazioni dell’uguaglianza
Internazionali
all’Università di Torino
J
Jacques Maritain comincia ad interessarsi relativamente tardi, attorno ai cinquant’anni di
politica e di filosofia politica. La sua opera più importante di cultura
e politica, Umanesimo integrale, è pubblicata nel 1936, anche se
letta a Santander, in Spagna, nel 1934. Precedentemente i suoi
interessi hanno riguardato la metafisica, l’arte e la filosofia della
natura. La rottura con l’Action française, gli farà comprendere però
che il filosofo non può vivere separato dal mondo, ma ha anche il
compito di riflettere sui problemi del tempo. Insomma è la rottura
con Charles Maurras con cui aveva simpatizzato, come molti catto-
lici che vedevano nella sua associazione un baluardo contro l’anti-
clericalismo, a spingerlo ad interessarsi ai problemi della città.
Tale rottura ha un enorme impatto su di lui, apre un capitolo
nuovo nella sua riflessione che gli permetterà di comprendere
appieno la dimensione della politica, anche in rapporto all’etica.
Primauté du spirituel, del 1927, è il libro clou che Maritain scrive
contro il ‘primato della politica’ di Maurras.
Il pensiero del filosofo dovrà maturare ancora nel campo della
filosofia politica, della filosofia della cultura e della filosofia della
storia, per arrivare a delineare, con Umanesimo integrale, l’«ideale
storico concreto» di una «nuova cristianità», una politica d’ispira-
zione cristiana adatta ai tempi moderni. La sua riflessione si situa,
apparentemente, ancora nell’ambito della cristianità sia pur ‘profa-
na’, ma vi sono aspetti che già caratterizzano la nuova stagione:
l’accettazione del pluralismo religioso e del pluralismo politico,
insomma il superamento dello Stato cattolico. Con L’uomo e lo
Stato del 1951, non si parla più di cristianità (anche se l’idea per-
•30 • • • • • • • • • L A S T O R I A E N O I
Andando indietro nel tempo, mi pare che bisogna arrivare al 1930 per cogliere il primo
testo esplicito sul tema. Si tratta di un articolo per il quotidiano La
I momenti Croix, del 26 dicembre, intitolato proprio L’essence de l’internalisa-
principali tion in cui si rileva che un corretto internazionalismo si costruisce a
dell’interesse partire del riconoscimento dell’identità della patria di ciascun
di Maritain popolo, a differenza di quanto afferma l’internazionalismo comuni-
per la politica sta che tende à «réduire toutes les nations à l’unité du prolétariat
internazionale mondial considéré comme le représentant de l’humanité»1. E «(le
catholique) sait que l’organisation juridique de cette communauté
des peuples est une des tâches nécessaires du temps present [...]
Il appartient aux catholiques de témoigner de l’accord nécessaire
entre le juste amour de la patrie et le juste amour du genre
humain: il leur appartient de promouvoir un sage esprit d’interna-
tionalité; il leur appartient de travailler à la réalisation de cette paix
qu’annoncèrent les anges [...] il leur appartient de collaborer aux
organisations (internationales) permanents [...] pour introduire un
esprit de coopération dans les relations politiques et économiques
entre les nations»2. Nello stesso anno, assieme ad alcuni intellet-
tuali tedeschi (Albert Einstein, Thomas Mann, ed altri), firma una
protesta contro il regime sovietico per l’esecuzione di alcuni politi-
ci ed intellettuali dopo un processo sommario3.
L’anno successivo, con un articolo su la Vie intellectuelle, del
20 gennaio, presentando la Ligue des Catholiques Français pour
la Justice et la Paix Internationale, affronta il problema del rapporto
tra pace e capitalismo: «Il est clair que pour assurer la paix d’une
L A S T O R I A E N O I • • • • • • • • • 31•
Come si è visto, nei suoi interventi Maritain torna spesso sull’idea che oggi sia ancor più
necessaria una società politica mondiale, solo così potranno
Verso superarsi i contrasti tra le nazioni e realizzare il bene comune del-
una democrazia l’umanità. Maritain ripete spesso nella suo opera questo concetto,
internazionale specialmente durante gli anni della guerra e del dopo-guerra. Nel
luglio 1943 in una conferenza al Schuster’s Hunter College affer-
mava: «le nazioni debbono scegliere tra la prospettiva di un caos
aggravato e senza rimedio e uno sforzo strenuo di cooperazione,
impegnato con pazienza e perseveranza verso un’organizzazione
progressiva del mondo in una comunità sopranazionale»27. E in
un discorso a Palazzo Taverna a Roma il 14 luglio 1945, intitolato
Bien commun national et bien commun international, insiste sul fat-
to che bisogna andare oltre la ricerca del bene comune nazionale
e auspica «une structure internationale capable d’assurer vraiment
la paix [...] Tout en voulant et aimant davantage, naturellement, le
bien de notre peuple et de notre pays, il nous est demandé d’ai-
mer et de vouloir aussi le bien des autres peuples et des autres
pays [...] Il n’y aura vraiment une société des nations que lorsque
les citoyens d’un pays se sentiront touchés, quoique à un moindre
degré d’intensité, par l’effort des autres pays vers l’accomplisse-
•34 • • • • • • • • • L A S T O R I A E N O I
1 J. Maritain, Oeuvres Complètes, vol. IV, Éditions Universitaires Fribourg, Suisse-Éditions Saint-
Paul, Paris, p. 1144.
2 Ibidem, pp.1146-1148.
3 Ibidem, pp. 1166-1167.
4 Ibidem, p. 1169.
5 Maritain, op. cit., O. C., vol. XVI, op. cit., pp. 1168-1169.
6 Ibidem, 447-448.
7 Maritain, O.C., vol. VI, op. cit., pp. 1040-1042.
8 Ibidem, pp. 1123-1129 e pp. 1178-1190.
9 Ibidem, pp. 1130-1132.
10 Ibidem, pp. 1215-1255.
11“Notes et Documents”, n. 6, gennaio-marzo 1997.
12 Maritain, O.C., vol. XII, op. cit., pp. 481-552.
13 Maritain, O.C., vol. VI, op. cit, p. 1192.
14 Ibidem, pp. 1192-1196.
15 Maritain, O.C., vol. VIII, op. cit., pp. 279-306.
16 Maritain, O.C., vol. VII, op. cit., pp. 283-425.
17 “Commonweal”, 19 aprile 1940.
18 Messages, cfr. in particolare il messaggio dell’8 marzo 1944.
19 Maritain, Religion et paix, O.C., vol. VIII, pp. 937-957.
20 Maritain, O.C., vol. IX, op. cit., pp. 1081-1089.
21 Ibidem, pp. 143-164.
22 Ibidem, pp. 1002-1054.
23 Ibidem, p. 1051.
24 Ibidem, pp. 471-736.
25 Maritain, O.C., vol. X, op. cit., p. 1136.
26 Ibidem, pp. 1183-1186.
27 Maritain, Messages, 1941-1944, O.C., vol. VIII, op. cit. Tema ripreso in, Á travers la victoire,
Ibidem, p. 366.
28 Maritain, O.C., vol. VIII, op. cit., pp. 1109-1114.
L A S T O R I A E N O I • • • • • • • • • 37•
Il polemico saggio di Togliatti, apparso su “Rinascita” a cavallo fra il ’55 e il ’56 – prima
dei fatti di Ungheria – viene riproposto in versione integrale. Un testo che resta centra-
le per comprendere l’analisi delle lezioni degasperiane e togliattiane. Due portatori di
politiche fondate su ideologie diverse. Togliatti e De Gasperi, sia pure in modo simme-
trico conservatori, innovarono e trasmisero valori.
Oggi, crollate le ideologie e di fronte al rischio di un nuovo sincretismo, resta attuale il
richiamo all’importanza intrinseca della politica, intesa come studio, approfondimento,
riflessione e nutrimento dell’azione quotidiana.
Un monito per l’intera classe dirigente dove la prassi cancella la politica.
ALBERTO
GAFFI Via della Guglia 69 B - 00186 ROMA - Tel. 06.699.42.118
EDITORE Ufficio commerciale: Via Sebino 32 A - 00199 ROMA
IN ROMA Tel. 06.841.33.24 - Fax 06.853.04.639
www.gaffi.it - E-mail:info@gaffi.it
S P R A Y • • • • • • • • • • 39•
Passioni addio!
di P. B. I partiti sono
diventati S.P.A.
«Finalmente la nuova regola fu pronta nella primavera o estate
dell’anno 1223. Inviata a Roma, dove subì ancora qualche
ritocco da parte del cardinale Ugolino, fu approvata da papa
Onorio III con la bolla datata 29 novembre 1223, “Solet annue-
re”, donde il nome di “Regula bullata”. La maggior parte delle
S
citazioni evangeliche della regola del 1221 vi erano state sop-
presse, i passaggi lirici erano stati sostituiti da formule giuridi-
che. Fu soppresso un articolo che autorizzava i frati a disubbi-
dire ai superiori indegni»*
Nella vasta platea del Lyric, siamo così stati informati dell’esi-
stenza di un ‘mercato religioso’, dove in Italia rimane leader il
cattolicesimo, quantunque insidiato da una concorrenza agguer-
rita come quella dei Testimoni di Geova, degli evangelici, degli
ortodossi, degli ebrei, dei musulmani e di tanti altri ancora che,
però, non sono ancora in grado di ridurre in maniera preoccu-
pante la quota di mercato dei cattolici, nonostante la pubblicità
faccia periodicamente oscillare l’indice di fedeltà dei credenti,
attraverso promesse di vantaggi allettanti, quali sconti sui pecca-
ti, facilitazioni sui percorsi verso il Paradiso, riduzioni nelle spese
di viaggio e soggiorno per i luoghi di culto più frequentati e via
discorrendo.
Il tema del convegno verteva sull’impegno dei cattolici in
politica, ragion per cui di religione hanno parlato un po’ tutti. E
non avrebbe potuto essere diversamente, considerata l’atmosfe-
ra mistica che aleggiava a pochi chilometri dal teatro e la neces-
sità di dimostrare che si può restare fedeli alla propria religione,
pur scegliendo il Centro-sinistra.
In omaggio alla nostra devozione politica, siamo stati edotti
sul significato del termine vacuità, vanitas vanitatum, da non
confondere con il secondo Comandamento che impone di non
nominare il nome di Dio invano e che sicuramente, e qui sta lo
scoop della relazione, è quel peccato contro lo Spirito «che non
sarà perdonato», riportato dal Vangelo di Matteo e che fino a ieri,
ha dato tanto filo da torcere a tutti i massimi teologi dell’era cri-
stiana.
Applausi, applausi e applausi. Si è applaudito tutto e tutti,
perfino quelli che si sono vantati di non essere cattolici adulti
come De Mita, al quale l’anagrafe dovrebbe impedire certe sorti-
te e perfino Carra, quando ha invocato una «religione nazionale»
di inquietante memoria.
Eh sì, aveva ragione Franceschini quando nel suo intervento
ha messo in guardia contro l’uso sconsiderato del plausometro
per verificare la popolarità e quindi la credibilità dei politici!
E però Franceschini ha detto anche che con il Partito Demo-
cratico il cuore non c’entra per niente, c’entra soltanto la ragione.
E se non c’entra il cuore, vuol dire che sono da eliminare anche i
sentimenti, le passioni, gli entusiasmi.
Inizia la nuova era dei consigli politici di amministrazione e di
conseguenza si annunciano tempi durissimi per tutti quelli che
della passione politica hanno fatto fino a ieri, la loro bandiera. È
vero che veniva distribuita la rivista Quarta Fase, con la copertina
dedicata ad Aldo Moro, in quella famosissima fotografia dove
sembra meditare con dolore sul suo partito e sulla sua stessa
vita. Ma è altrettanto vero che adesso il potere viene sbandierato
e non più coperto da quel pudico velo che le vecchie convenien-
S P R A Y • • • • • • • • • 41•
* J. Le Goff - Saint François d’Assise, Gallimard, Paris, 1999; tr. It. San Francesco d’Assisi, Lat-
erza, Roma- Bari, 2000.
L O S P I R I T O D E L T E M P O • • • • • • • • • 43•
Una proposta
di Corrado Gorchi
Docente, scrittore, indecente
uomo politico
I
In un tempo lontano per l’odierna gioventù di oggi, stretta fra droga e assenza di valori
individuali e comunitari, ho in qualche modo collaborato a liberare
lo scrittore francese Regis Debray dalle prigioni boliviane condan-
nato per aver cercato di raggiungere la guerriglia del Che.
Lo scrittore ha lasciato alle sue spalle il messaggio di Gioventù
è rivoluzione, e già nel 1990 pubblicava A domani, presidente (edi-
zione italiana di Marsilio), rileggendo De Grulle fuori dai conformi-
smi che hanno provocato il collasso dei partiti. Ma è un altro volu-
me di Debray che mi ha interessato: Fare a meno dei vecchi. Una
proposta indecente, pubblicato l’anno scorso da Marsilio.
Ho letto con l’animo di una persona anziana e che in un recen-
te passato, per qualche tempo e in via straordinaria, ha ammini-
strato un grande ospizio fiorentino.
Debray riflette da cittadino francese e da filosofo di formazione
sul dominante invecchiamento della popolazione con il conse-
guente deficit nei bilanci statali. È una catastrofe la longevità? Ed è
ipocrita la dizione melliflua di terza età?
È vero che la vecchiaia costituisce un ‘rischio’ per il cosiddetto
benessere e per il consumo, come è vero che un vecchio non ha più
posto in una società di emulazione votata alla Mobilità permanente.
Scrive Debray che è falso ripetere che l’età non fa il vecchio. Il
giovane se la cava molto meglio del vecchio in un mondo tecnolo-
gicamente globalizzato; in un mondo dove ci si reinventa ogni
giorno con la consacrazione dell’istante e del presenzialismo.
«La vecchiaia è banale e la senescenza una degenerazione»,
come affermano gli occhi degli adolescenti invaghiti di se stessi,
•44 • • • • • • • • • L O S P I R I T O D E L T E M P O
Giovanni Grandi (a cura di), L’idea di persona nel pensiero orientale, Rubbettino,
Soveria Mannelli, 2003.
Antonio Pavan (a cura di), Dire persona. Luoghi critici e saggi di applicazione di
un’idea, Il Mulino, Bologna, 2003.
Piero Viotto, Jacques Maritain. Dizionario delle opere, Città Nuova, Roma, 2003.
Piero Viotto, Raïssa Maritain. Dizionario delle opere, Città Nuova Editrice,
Roma, 2005.
Vincent Aucante e Roberto Papini (a cura di), Jacques Maritain: la politica della
saggezza, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005.
I
Il XXI secolo è ancora giovane, ma dopo aver già portato molte novità promette (o forse
minaccia?) di portarne ancora altre, e con velocità crescente. Per
la maggior parte di noi la vita sembra mutare troppo rapidamente
perché sia possibile seguirne le curve e le tortuosità, non parliamo
poi di anticiparle. Pianificare le proprie mosse e rimanere fedeli a
quanto si è ideato, già sembrano imprese rischiose, mentre pro-
gettare sulla lunga distanza e pensare al futuro sembrano compor-
tamenti totalmente azzardati. Gli itinerari della vita sembra che sia-
no divisi in episodi; le connessioni tra questi episodi, per non par-
lare delle loro connessioni causali, diventano leggibili (quando va
bene) solo retrospettivamente. Le preoccupazioni e le apprensioni
riguardo ai loro esiti sono numerose (e pesanti da portare), così
come lo sono i piaceri che un mondo pieno di sorprese e una vita
caratterizzata da ‘sempre nuovi inizi’ promettono di darci.
In un contesto di questo tipo la nostra condizione è resa ancor
più confusa dalle ‘reti concettuali’ che abbiamo ereditato dal pas-
sato per comprendere le realtà più problematiche, e dal lessico
che siamo stati abituati a usare, quando riferiamo ciò che abbiamo
scoperto. Molti concetti e molte parole che servivano a questo
scopo ora si dimostrano non più adatti. Abbiamo assolutamente
bisogno di nuove categorie con le quali fissare e organizzare la
nostra esperienza, in un modo che ci consenta di percepirne la
logica e di riconoscerne il messaggio, nascosto, indecifrabile o
facilmente equivocabile.
Per rendere un po’ più chiaro il discorso su ciò di cui avremmo
bisogno per poter ridefinire gli schemi comunemente utilizzati, e
•48 • • • • • • • • • L O S P I R I T O D E L T E M P O
La possibilità che qualche ape o vespa operaia varcasse i confini tra una colonia e l’altra,
che abbandonasse l’alveare di nascita per unirsi ad un altro – l’al-
Gli assiomi veare di elezione – era vista (nei rari casi in cui la si prendeva in
discutibili esame) come un’idea assurda. Si accettava come un assioma che
i ‘nativi’ della colonia, coloro che erano nati in quel nido e ne erano
perciò i membri ‘legittimi’, avrebbero prontamente scacciato gli
intrusi, eliminandoli se questi avessero rifiutato di allontanarsi.
Come tutti gli assiomi, questa convinzione non fu mai messa
in discussione né provata. Il pensiero di seguire gli spostamenti
tra i nidi o gli alveari non venne in mente né al grande pubblico né
agli esperti. Per gli studiosi, il presupposto che gli istinti di socia-
lizzazione fossero limitati a ‘parenti e amici stretti’, in altre parole
alla comunità di nascita e dunque di appartenenza, era ‘logico’. Ai
profani, la cosa sembrava ‘ragionevole’ Ammettiamo che i mezzi
tecnici per risolvere la questione di una possibile migrazione tra i
nidi (mediante il ‘pedinamento elettronico’ di singole vespe) non
fossero disponibili, ma è anche vero che strumenti del genere
non erano stati messi a punto poiché la questione non sembrava
nemmeno meritevole di essere indagata. Al contrario, molte ener-
gie e molte risorse furono investite per scoprire come gli insetti
sociali riconoscono un estraneo fra di loro: lo distinguono a vista?
Dal suono? Dall’odore? Da lievi differenze di comportamento? La
domanda intrigante era: come riescono a fare gli insetti quello
che noi esseri umani, con tutta la nostra efficiente ed avanzata
tecnologia, siamo riusciti a realizzare solo parzialmente? In altri
termini: come riescono a mantenere ben protetti i confini della
‘comunità’ e a mantenere separati i ‘nativi’ dai ‘forestieri’ – e cioè,
‘noi’ da ‘loro’?
L O S P I R I T O D E L T E M P O • • • • • • • • • 49•
Quello che i ricercatori di Londra evidentemente hanno dimenticato o hanno evitato di dire,
è che ci è voluto più di un secolo di duro lavoro, svolto talvolta
Gli esempi delle brandendo le spade e talaltra praticando il lavaggio del cervello,
nostre società per convincere i Prussiani, i Bavaresi, gli abitanti del Württemberg o
i Sassoni (proprio come attualmente si sta cercando di fare con gli
Ossi e i Wessi - i tedeschi dell’ex Germania Est e quelli dell’Ovest -
o con i calabresi e i lombardi) che erano tutti parenti stretti tra loro,
cugini o persino fratelli, discendenti dalla stessa razza germanica e
animati dallo stesso spirito germanico, e che per questi motivi
L O S P I R I T O D E L T E M P O • • • • • • • • • 51•
Quando fu proclamato per la prima volta, nel clima eccitato della rivoluzione in Francia, lo
slogan Liberté, Egalité, Fraternité era una frase sintetica che espri-
Il messaggio meva allo stesso tempo una filosofia di vita, una dichiarazione di
della Rivoluzione intenti ed un grido di guerra. La felicità è un diritto umano, mentre
francese la ricerca della felicità è un’inclinazione umana naturale ed univer-
sale – così suonava la tacita, realistica premessa di tale filosofia di
vita; e per raggiungere la felicità, gli esseri umani devono essere
liberi, uguali e anche fratelli, poiché per i fratelli la reciproca solida-
rietà, il conforto e l’aiuto vicendevole sono diritti di nascita, non un
privilegio che debba essere guadagnato e garantito solo a tale
condizione.
Due tacite, assiomatiche (poiché considerate autoevidenti) pre-
messe sostenevano quel triplice progetto. Il programma di libertà,
uguaglianza, fraternità, implicava come un fatto scontato che fosse
dovere della collettività fornire e preservare le condizioni favorevoli
per la ricerca della felicità, così concepita. La ricerca della felicità
era una questione, un interesse, un destino ed un dovere individua-
le, doveva essere praticata individualmente, ciascun individuo
applicando ad essa le risorse di cui disponeva, ma il richiamo a
perseguire la felicità era indirizzato allo stesso modo agli individui e
alla società nel suo complesso: la possibilità che questa ricerca
ricevesse una risposta adeguata, dipendeva dalla configurazione
della ‘collettività’ – della società intesa come casa comune, interes-
se condiviso e prodotto degli sforzi di les hommes et les citoyens,
gli uomini/cittadini. L’altra premessa sottaciuta ma accettata come
assioma, era la necessità di condurre la battaglia per la felicità su
due fronti. Mentre gli individui avevano bisogno di acquisire e svi-
luppare l’arte di vivere felicemente, i poteri che dettavano le condi-
zioni per l’esercizio effettivo di quell’arte dovevano essere essi stes-
si riformati, perché divenissero alleati dei cittadini-apprendisti. La
ricerca della felicità non aveva alcuna possibilità di essere elevata
al rango di un diritto genuinamente universale, se questi poteri non
si fossero davvero interessati ai parametri di una ‘buona società’ – e
tra di essi, i più rilevanti e decisivi erano l’eguaglianza e la fraternità.
Sono queste premesse del vincolo intrinseco e infrangibile tra
la qualità della collettività e le opportunità di felicità individuale che
hanno perso, o stanno rapidamente perdendo, la loro autoeviden-
za, per l’opinione comune così come per i prodotti raffinati che gli
intellettuali ne sanno ricavare. Ed è forse per questa ragione che le
supposte condizioni della felicità individuale vengono progressiva-
mente rimosse dalla sfera sovraindividuale della Politica ‘con la P
maiuscola’ e trasferite verso la ‘politica di vita’ individuale, consi-
derata come l’ambito di iniziative essenzialmente individuali, in cui
risorse individuali vengono utilizzate principalmente (se non esclu-
sivamente) in chiave individuale. Il cambiamento riflette le mutevoli
condizioni di vita che derivano dai processi ‘liquido-moderni’ di
L O S P I R I T O D E L T E M P O • • • • • • • • • 55•
Il problema è che la ricerca del riconoscimento è, in molti casi, lenta, aleatoria, o destinata
a essere frustrata – e fin troppo spesso con modalità crudeli, bru-
I diritti negati tali, irridenti e umilianti. «Un atto è umiliante - secondo la definizio-
ne di Dennis Smith2 - se decisamente ignora o contraddice le
rivendicazioni avanzate da particolari individui, gruppi o società
sul loro status, sul loro ruolo e sulle loro aspirazioni». La devastan-
te consapevolezza dell’umiliazione deriva dallo scontro tra l’idea
dominante di un diritto universale all’autoaffermazione e la realtà
di fatto dell’impossibilità assoluta di ottenere rispetto per il modo in
cui ciascuno ha scelto, o ha dovuto adattarsi a vivere. Il diritto
all’autorealizzazione tende ad essere rapidamente reinterpretato
come obbligo di affermarsi, ed il fallimento nella richiesta di legitti-
mità e approvazione per la condizione di vita praticata (o desidera-
ta) tende ad essere interpretato dagli altri e dagli stessi protagoni-
sti dell’insuccesso come la prova di una loro inadeguatezza; ne
consegue un senso di prigionia o di esclusione, accompagnato da
disistima e depressione, oppure un furioso desiderio di vendetta.
Umiliazione è l’esperienza che vive un gran numero di persone
alle quali «prerogative umane come la capacità di agire, la libertà,
la sicurezza e il riconoscimento sono negate - e alle quali dunque
viene - brutalmente dimostrato con parole, azioni e fatti, che loro
non possono essere ciò che ritengono di essere. L’umiliazione è
l’esperienza dell’essere ingiustamente e irragionevolmente messi
da parte, imprigionati, bloccati ed espulsi»3. Ma è, innanzitutto e
soprattutto, l’esperienza del ‘non sentirti all’altezza’, di non essere
capaci di realizzare quello che molti altri riescono ad ottenere sen-
za sforzo […] Nella lapidaria versione di Richard Rorty, «il miglior
modo per causare alle persone un dolore persistente nel tempo è
umiliarle facendo apparire le cose per loro importanti futili, obsole-
te, senza valore»4. Alla soglia del XXI secolo Dennis Smith sugge-
L O S P I R I T O D E L T E M P O • • • • • • • • • 57•
Attualmente, a quanto pare, in molte o forse nella maggior parte delle aree del pianeta, il
sentimento di incertezza prevale sul timore per la mancanza di
Le insidie libertà (anche se nessuno può dire quanto durerà questa tenden-
della paura za). In Gran Bretagna, ad esempio, un’ampia maggioranza delle
persone si dichiara disposta a rinunciare ad alcune libertà civili per
L O S P I R I T O D E L T E M P O • • • • • • • • • 59•
Avendo considerato tutto ciò, possiamo notare un’altra somiglianza rilevante tra il modo in
cui vivono le vespe di Panama e quello in cui viviamo noi… In una
Gli sciami e noi società liquido-moderna gli sciami tendono a rimpiazzare i gruppi
–- caratterizzati dalla presenza di leader, di una gerarchia di auto-
rità e un ordine interni. Lo sciame può fare a meno di tutte quelle
redini e stratagemmi senza i quali un gruppo non si costituirebbe
né sarebbe in grado di sopravvivere. Gli sciami non hanno biso-
gno di portarsi sulle spalle un simile kit di sopravvivenza; essi si
formano, si disperdono, si radunano nuovamente secondo le cir-
•60 • • • • • • • • • L O S P I R I T O D E L T E M P O
Ovunque i legami interumani, sia quelli ereditati che quelli intessuti nel corso di interazioni
personali, perdono le loro precedenti protezioni istituzionali, le
Fragilità quali ora vengono viste sempre più come vincoli frustranti e insop-
dei legami umani portabili della libertà di scelta e di autoaffermazione degli individui.
Liberati dal loro inquadramento istituzionale (ora censurato e dete-
L O S P I R I T O D E L T E M P O • • • • • • • • • 61•
In realtà, diversamente che nei casi dello ‘sradicamento’ e dell’’esclusione’, non c’è nulla
di irrevocabile, o anche solo di decisivo, nel gettare l’ancora. Se le
Fenomeni radici sono state strappate dal terreno in cui erano cresciute, è
migratori probabile che secchino e muoiano: l’eventualità (molto improbabi-
le) che rinascano avrà del miracoloso. Le ancore, invece, vengono
issate sperando che possano essere gettate nuovamente altrove:
e di fatto, esse possono essere gettate con uguale facilità in molti
porti di sbarco, distanti tra loro. Inoltre, le radici definiscono e
determinano anzitempo la forma delle piante che da loro cresce-
ranno, escludendo la possibilità di altre forme; le ancore invece
sono solo un attrezzo ausiliario di un’imbarcazione in movimento,
e non determinano le qualità della nave, né la quantità di risorse di
cui essa dispone. Le fasi temporali che separano il gettare l’ancora
dall’issarla di nuovo costituiscono degli episodi nella traiettoria
della nave. La scelta del porto nel quale l’ancora sarà gettata la
prossima volta sarà con ogni probabilità determinata dal tipo di
carico che la nave trasporta: un porto che va bene per un certo
tipo di cargo può essere completamente inadatto per un altro.
Tutto sommato, la metafora delle ancore coglie quello che la
metafora dello ‘sradicamento’ trascura o non esprime: l’intreccio
di continuità e discontinuità nella storia di tutte, o perlomeno di un
numero crescente di identità contemporanee. Proprio come le
navi che gettano l’ancora successivamente o in modo intermitten-
te in vari porti di sbarco, allo stesso modo agli ‘io’, nelle ‘comunità
di riferimento’ nelle quali cercano di essere ammessi durante la
loro continua ricerca di un riconoscimento e di una conferma, ven-
gono controllate e approvate le credenziali ad ogni fermata; cia-
scuna ‘comunità di riferimento’ determina le sue richieste per il
tipo di documenti che devono essere presentati. Il libro di bordo
della nave e/o la testimonianza del capitano, molto frequentemen-
te, sono il tipo di documenti da cui dipende questa approvazione,
e a ogni fermata successiva il passato personale (accresciuto dal-
le registrazioni delle fermate precedenti) viene riesaminato e nuo-
vamente valutato.
Paradossalmente, l’emancipazione del sé e la sua effettiva
autoaffermazione hanno bisogno di comunità assertive ed esigen-
ti. L’autoaffermazione è vista come un diafano parto dell’immagi-
nazione; se viene messa alla prova, è destinata a essere sconfitta,
e per questo motivo è screditata come se fosse un sintomo di auti-
L O S P I R I T O D E L T E M P O • • • • • • • • • 63•
Da qui, l’attuale rivalutazione sul piano culturale del fenomeno dell’‘ibridismo’ (e cioè la
combinazione di tratti derivanti da razze differenti e separate),
Elogio delle come una virtù e un segno di distinzione piuttosto che come un
contaminazioni vizio e un sintomo sia di inferiorità culturale che di riprovevole
déracinement e déclassement (secondo un’opinione diffusa in un
recente passato). Nella scala emergente della superiorità culturale
e del prestigio sociale, gli ibridi tendono ad occupare posizioni
elevate e la manifestazione del proprio ‘carattere ibrido’ diventa il
primo veicolo della mobilità socio-culturale verso l’alto. D’altronde,
l’essere condannati per sempre a uno e a un solo sistema, immu-
tabile e confinato in se stesso, di valori e di modelli comportamen-
tali, è sempre più visto come un segno di inferiorità o povertà
socio-culturale. Le ‘comunità di integrazione’ vecchio stile, gelose
e monopolizzatrici, sono state messe ai margini e si trovano perlo-
più, o forse esclusivamente, ai gradini più bassi della scala socio-
culturale.
Per gli intenditori e gli apprendisti della vita come una forma
d’arte, questo nuovo scenario apre prospettive senza precedenti.
La libertà di auto-creazione non ha mai raggiunto prima un livello
così emozionante - elettrizzante, sicuramente, ma allo stesso tem-
po spaventoso… Ci sono indizi convincenti che, in misura cre-
scente, i malesseri psicologici del presente derivino dalla sovrab-
bondanza e non dalla penuria di scelte. Mai in passato il bisogno
di punti di orientamento e di guida era stato sentito in modo così
forte e doloroso come ora; e mai come prima i punti di orienta-
mento stabili e le guide fidate sono stati così pochi a fronte di un
bisogno così intenso e diffuso.
Siamo chiari: c’è un’irritante penuria di punti di orientamento
stabili e affidabili, di guide fidate. Questa penuria (paradossalmen-
•66 • • • • • • • • • L O S P I R I T O D E L T E M P O
Può lo spazio pubblico essere reso ancora una volta un luogo di impegno durevole piutto-
sto che di incontri casuali e fugaci? Uno spazio di dialogo, discus-
Nuove sione, confronto e accordo? Sì e no. Se ciò che si intende per
responsabilità ‘spazio pubblico’ è la sfera pubblica disposta attorno a noi, al cui
politiche servizio si pongono le istituzioni rappresentative dello Stato-nazio-
ne (come è avvenuto per la maggior parte della storia moderna) -
la risposta probabilmente è ‘no’. Quella particolare varietà di pal-
coscenico pubblico è stata spogliata della maggior parte dei suoi
vecchi strumenti, quelli che le permettevano di ospitare i drammi
allora rappresentati. Tali palcoscenici pubblici, costruiti originaria-
mente per gli scopi politici dello Stato-nazione, rimangono testar-
damente locali - mentre il dramma contemporaneo si estende
L O S P I R I T O D E L T E M P O • • • • • • • • • 69•
NOTE
1 Vedi quanto riportato il 25 gennaio 2007 da Richard Jones, in ‘Why insects get such a buzz
out of socializing’, http://www. guardian. co. uk/g2/story/0,, 1997821, 00. htm/
2 Vedi Dennis Smith, Globalization: The Hidden Agenda, Polity Press 2006, p. 38.
3 Ibid., p. 37.
4 Richard Rorty, Contingency, Irony and Solidarity, Cambridge UP 1989, p. 89.
5 Dennis Smith, op. cit., p. 37.
6 François de Singly, Les uns avec les autres: Quand individualisme crée du lien, Armand Colin
2003, pp. 108-9
7 Vedi Claude Dubar, La Socialisation: Construction des identities sociales et professioneles, A.
Colin 1991, p. 113.
8 Les uns avec les autres, p. 108
9 Si veda Jean-Claude Kaufmann, L’invention de soi: Une théorie d’identité, Hachette 2004, p. 214.
10 Ibid., pp. 212-3.
11 Theodor W. Adorno, Critical Models: Interventions and catchwords, trans. by Henry W. Pick-
ford,
12 Jürgen Habermas, The Postnational Constellation: Political Essays, transl. by Max Pensky,
Polity Press 2001, p. 109.
T R A N S E C O N O M I A • • • • • • • • • • • 71•
Segni inquietanti
sul futuro del petrolio
di Marcello Colitti
C
Ci sono in ogni campo delle attività umane, momenti in cui gli indici di controllo assumo-
no andamenti contraddittori, o sono oscurati da fenomeni che non
si erano verificati in precedenza. Quando gli indicatori ‘ballano’, e
sembrano oscillare senza una spiegazione plausibile, vuol dire
che il fenomeni che stiamo osservando stanno cambiando, che
entrano in campo forze che portano ad un mutamento, forse molto
profondo.
Nel caso del petrolio, la straordinaria volatilità del suo prezzo
sembra proprio indicare un inizio di discontinuità, anche perché le
spiegazioni che vengono proposte non sono né stabili né convin-
centi, se giudicate con il metro che si era soliti usare.
Una periodizzazione dell’andamento del prezzo del petrolio
con dei periodi di 10 -15 anni, indica che agli inizi degli Anni Set-
tanta, l’OPEC assunse il controllo del prezzo, e lo tenne alto. Essa
soffrì del calo della domanda e della concorrenza del greggio non
OPEC, e il suo prezzo crollò quando l’Arabia Saudita non riuscì più
fare il producer of last resort, quello che assorbe tutte le riduzioni
di produzione dell’intero gruppo.
Nel 1985, con il controshock, iniziò un periodo incerto, in cui il
prezzo rimase molto volatile, ma si mantenne a livelli piuttosto bas-
si, con andamenti altalenanti. L’OPEC recuperò posizioni, ma il
non OPEC si sviluppò in modo abbastanza soddisfacente, fino a
quando il sistema non entrò in tensione, a causa di un miscuglio di
cause politiche e industriali.
Il prezzo allora schizzò verso l’alto, e mantenne i livelli raggiun-
ti, con una forte tendenza a crescere ulteriormente.
•72 • • • • • • • • • T R A N S E C O N O M I A
La fase che stiamo attraversando, inizia con questa spinta al rialzo dei prezzi.
I commentatori, in un primo tempo, la spiegarono con il mer-
Il nuovo periodo cato dei futuri, che riflette le aspettative di chi vi partecipa.
Ma ora altri fenomeni sembrano insinuarsi nel quadro e vengo-
no usati per spiegare, se non per giustificare, il prezzo in aumento.
La forte volatilità verso l’alto del prezzo è agli inizi giustificata
con l’andamento della produzione di greggio, dovuto ai problemi
in Nigeria ed in qualche altro paese, poi come conseguenza delle
tensioni sul mercato statunitense dei prodotti, ed in particolare del-
la benzina.
Le oscillazioni, anche di lieve entità, della capacità di raffina-
zione disponibile negli Stati Uniti, già visibilmente insoddisfacente,
oltre al volume delle scorte di prodotti, non solo hanno ripetuta-
mente spinto in alto il prezzo del greggio, ma hanno anche creato
un sistema di approvvigionamento via mare dall’emisfero orientale
a quello occidentale simile a quello in vigore, ma in senso contra-
rio, agli albori dell’età del petrolio.
Questo andamento sembra aver creato una certa apprensione
fra i produttori di greggio.
I sauditi cercano di confortare il consumatore con una previ-
sione al ribasso, che però si basa soprattutto su argomenti relativi
alla produzione di greggio, che non sembrano avere più tanta
capacità esplicativa nella nuova situazione.
«Di petrolio greggio è disponibile una quantità sufficiente e
nessuno rimarrà a secco», sostiene come sempre l’ARAMCO.
Intanto, sauditi e kuwaitiani stanno investendo in raffinazione,
stanno cioè ripercorrendo una linea di sviluppo presa tanti anni fa
e poi rapidamente abbandonata, in considerazione del fatto che il
trasporto del greggio costa molto meno di quello dei prodotti.
Fino ad ora, le avventure downstream dei paesi produttori era-
no sembrate sempre un poco incerte. Anche il Venezuela, che ha
in passato ha investito pesantemente sul mercato americano, oggi
si dice pronto ad abbandonarlo per essere libero di vendere il pro-
prio greggio dove si guadagnano tanto non più dollari, quanto più
proficue alleanze politiche.
Da parte libica, voci sempre più insistenti danno come fatto
compiuto la vendita della Tamoil, una azienda ben piazzata, con
una buona rete di distribuzione in Italia.
Solo la compagnia del Kuwait, dopo una lunga fase di assesta-
mento, sembra essere presente in Europa con l’intenzione di
restarci.
Oggi, i progetti di nuove raffinerie dei paesi produttori vanno
avanti un po’ a sbalzi, anche perché sono molto grandi e molto
costosi. Eppure, e nonostante le difficoltà, continuano ad andare
avanti. Molti produttori probabilmente si rendono conto che se il
mercato oggi è fatto dalla benzina, è però il venditore della benzina
T R A N S E C O N O M I A • • • • • • • • • 73•
che alla fine detta il prezzo di tutto il barile. In questa ottica, non è
neanche necessario avere una rete di distribuzione. Bastano le navi.
Il compito di sviluppare la capacità di raffinazione, sembrereb-
be spettare proprio alle compagnie petrolifere americane dato che
proprio la raffinazione è il collo di bottiglia che influenza il mercato
non solo della benzina, ma di tutto il barile.
Il motivo per cui questa opportunità viene trascurata, dipende,
secondo i diretti interessati, dal fatto che un impianto nuovo che
obbedisse completamente alle regole contro l’inquinamento del-
l’aria e dell’acqua sarebbe troppo costoso. Ma un’affermazione
del genere, se fosse vera, starebbe ad indicare che l’industria
petrolifera è destinata a finire anche prima della fine del greggio,
perché incompatibile con le esigenze economiche del pianeta.
Mentre il mercato dei raffinati in America è in continuo sviluppo
e quelli dell’India e della Cina continuano ad aumentare, il mercato
europeo e quello giapponese restano praticamente stabili.
Gli europei usano macchine piccole e prediligono il gasolio,
mentre tutti gli usi termici del petrolio sono stati assorbiti dal gas
naturale, la cui domanda è ancora in forte aumento.
La cosa più strana è che per gli europei i prezzi del petrolio
risultano i meno cari, perché pagato in dollari, moneta in continua
discesa rispetto all’Euro o alla Sterlina.
Molti osservatori, esaminando questo quadro, concludono
che sono visibili i segni dell’inizio della fine dell’epoca del petrolio.
Sembrano così pensare che un prezzo stabilmente e seria-
mente in aumento da qui in avanti avrà prima o poi un effetto
deprimente sulla domanda, dato che la storia ci dimostra come,
presto o tardi, l’elasticità della domanda sul prezzo sia destinata a
farsi sentire. Ma non si domandano se il prezzo alto sia il frutto di
un capriccio, o di una situazione transitoria.
In realtà, resta alto perché la mano invisibile del mercato prefi-
gura il momento in cui il greggio non convenzionale sarà necessa-
rio per coprire la domanda, con costi molto superiori a quelli dei
giacimenti oggi in sfruttamento.
Questa ipotesi sarebbe valida anche per spiegare la volontà di
non investire in nuovi impianti di raffinazione. Il petrolio non finirà
certo all’improvviso, sostengono. Si andrà piuttosto incontro ad un
lungo periodo di prezzi alti e di riduzione della domanda, anche a
causa della crescente inclusione di carburanti non petroliferi, fino
a quando domanda ed offerta non arriveranno ad estinguersi più o
meno contemporaneamente.
Un fenomeno di tale portata non può avvenire in nessun altro
modo, data la sua importanza e il livello degli interessi in gioco.
Queste previsioni non sembrano affatto preoccupare le com-
pagnie petrolifere. Prezzi alti significano profitti alti, corsi del titolo
e dividendi sufficienti a scoraggiare qualsiasi tentativo di scalata in
•74 • • • • • • • • • T R A N S E C O N O M I A
Il capitale cambia
di M.C.
rotta
S
Sono usciti di recente i dati di previsione dei flussi di capitali privati verso i paesi cosiddetti
emergenti, quelli che un tempo si chiamavano sottosviluppati, o
addirittura paesi poveri.
I dati misurano in miliardi di dollari l’afflusso di capitali privati
verso paesi che stanno uscendo dalla povertà soprattutto grazie a
questi capitali privati che vi affluiscono da tutto il mondo. The Insti-
tute for International Finance li pubblica con un breve commento,
sottolineando che di previsioni, ma mettendo contemporanea-
mente in luce l’importanza delle cifre.
Anche se il totale dei flussi di capitale privato avrà una leggera
riduzione nel 2007 rispetto al 2006, l’afflusso complessivo sarà pur
sempre di 545 miliardi di dollari, che arriveranno ai paesi emergen-
ti dell’America Latina, dell’Europa, dell’Africa e Medio Oriente, e
dell’Asia-Pacifico. Questa cifra è formata per 236 miliardi dagli
investimenti nel capitale di imprese, divisi in investimenti diretti e di
portafoglio, e da tutti gli altri flussi di creditori privati, banche o
imprese, pari a 309 miliardi. L’investimento diretto vero e proprio
verso tutti i paesi considerati, cioè l’afflusso diretto di capitale di
rischio, e’ salito di 26 miliardi di dollari fino a 194 miliardi, mentre
gli investimenti di portafoglio, cioè l’acquisto di azioni di imprese
già esistenti, sono leggermente calati, dato il corso altissimo delle
azioni sulle borse di quei paesi.
Questi dati mostrano una grande novità, relativa alla ripartizio-
ne geografica dei flussi finanziari. È la prima volta che i paesi
emergenti europei (cioè i paesi dell’Est Europeo, molti dei quali
sono entrati o stanno entrando nell’Unione Europea) superano i
•76 • • • • • • • • • T R A N S E C O N O M I A
Iraq
R
«Realisticamente parlando, per l’Iraq non si può azzardare alcuna possibilità di soluzio-
ne». Il verdetto è pronunciato da un diplomatico di altissimo rango
che ha chiesto l’anonimato. È un verdetto senza appello e ancora
nessuno è in grado di azzardare il più modesto dei progetti.
Una Nazione è stata distrutta, un Paese è stato sterminato e
ancora si spendono forze e risorse per gonfiare una campagna di
propaganda alla quale nessuno riesce più a prestare attenzione.
Quando fu chiaro a tutto il mondo che la presenza di armi di
distruzione di massa era una delle bugie più colossali mai inventa-
te in un paese democratico, quando fu evidente che il terrorismo
che oggi dilania l’Iraq è arrivato dopo l’invasione americana ed era
prima inesistente, quando soprattutto nessuno poteva più ignora-
re che fra tutti i paesi arabi l’Iraq era quello che meno si poteva
accusare di connivenza con Al Qaida, sono state avanzate le con-
getture più macchinose per dare una spiegazione alla sciagurata
avventura americana. Si è pensato al petrolio, ma i pozzi non fun-
zionano in stato di guerra ed era facilmente prevedibile che la
mancata produzione del greggio avrebbe avuto come prima,
immediata conseguenza la salita dei prezzi del barile.
Le ragioni dell’iniziativa americana, ammesso che ne esista
una credibile, possono essere molteplici e forse presto qualche
stralcio di verità si farà strada. Forse.
Quello che ora pare certo, è che i profeti della giustezza dell’in-
vasione, i grandi propagandisti della necessità della guerra, di
fronte alla disfatta, si sono fatti silenziosi. Ma la tragedia dell’Iraq
grava non solo sulla coscienza di tutto l’Occidente, ma anche sulla
•80 • • • • • • • • • E U R O P A M O N D O
Niente di nuovo
sul fronte del Kosovo
di Kamila
Kowalska-
Angelelli IL PAESE È VITTIMA DEL DISACCORDO DEI GRANDI
Giornalista e ricerca-
trice universitaria
L
La vicenda del conflitto per il Kosovo, sin dal suo inizio nel marzo del 1999, ha consumato
verosimilmente più inchiostro che qualsiasi altro avvenimento nella
storia della geopolitica recente. Sulle diverse sfumature di questa
‘guerra in difesa dei diritti umani’, unica nel suo genere, sono stati
scritti numerosi articoli, saggi, reportage e libri.
Le vicissitudini dei profughi kosovari venivano seguite quotidiana-
mente in prima serata dall’audience del villaggio globale su tutti i più
importanti canali dei mass media mondiali. Non poteva, quindi, sem-
brare illegittima la domanda, postasi da molti interlocutori, de ‘il per-
ché’ di questo enorme interesse dei grandi poteri verso una provincia,
apparentemente come tante altre. La risposta, scontata già allora e
ripropostasi di recente, porta alla conclusione che il Kosovo non è
affatto un territorio qualsiasi. Al contrario, pur essendo di dimensioni
piuttosto insignificanti, sembra che oggi, ancora più che ieri, possa
scomporre perfino il gigantesco puzzle che, con tanta fatica, stanno
mettendo insieme i potenti del Vecchio Continente. Sembrerebbe sin-
golare includere Pristina nell’ottica del processo di allargamento del-
l’Unione Europea, eppure sarebbe del tutto ragionevole.
Di fatto, dal punto di vista di Bruxelles, di fronte ai mutamenti di
genere politico, economico e strategico che interessano da diversi
anni i paesi dell’ex-Jugoslavia, la questione kosovara può compro-
mettere l’attuale immagine della Penisola che si vuole orientare
uniformemente, e della sua spontanea volontà, verso l’Europa
comune. Per far sì che questo non accada, e che i Balcani, così diffi-
cilmente conquistati, non uscissero dall’orbita dell’Unione, la Comu-
nità ha già espressamente annunciato che Albania, Bosnia-Erzego-
•82 • • • • • • • • • E U R O P A M O N D O
Come finirà questa partita di poker internazionale, è abbastanza difficile da prevedere. Così
come, forse, nessuno si aspettava, che la risoluzione n. 1244 del Con-
Amare previsioni siglio di Sicurezza dell’ONU, entrata in vigore nel giugno del 1999, per
introdurre in Kosovo il personale civile e forze di sicurezza «per un
periodo iniziale di 12 mesi» in realtà sarebbe rimasta valida per molto
di più. Una cosa è certa: indietro non si può sicuramente tornare. Il
problema principale è, però, che non c’è nemmeno il consenso inter-
nazionale per andare avanti e ciascuno dei mediatori e diretti interes-
sati ritiene di essere in pericolo se le altre proposte vengano accolte.
L’Unione Europea teme che la separazione del Kosovo costituisca un
precedente per i Paesi Baschi, la Russia lo teme per la Cecenia. La
Serbia infine paventa il pericolo dell’influenza americana e del patto
Nato nelle proprie vicinanze. Gli USA tengono a sottolineare, invece,
come l’indipendenza del Kosovo sia stata programmata già nel giu-
gno del 1999. Per ora, apparentemente, la decisione definitiva deve
arrivare durante una conferenza a New York a fine settembre del
2007, ma alla luce dei fatti del passato è davvero difficile crederci.
E U R O P A M O N D O • • • • • • • • • 83•
L’europeismo
di Giuseppe
Caggiati prudente della
Repubblica Ceca
PAURE E TITUBANZE DOPO IL LUNGO INVERNO
S
Sono passati ormai quattro anni da quando, a metà luglio del 2003 la Repubblica Ceca
con un referendum approvava, con il 77% dei consensi, il suo
ingresso nella Unione Europea.
La conseguenza è stata l’adesione della Repubblica Ceca, il
primo maggio del 2004 alla UE. Questo è stato il primo passo di
un cammino che prevede alcune tappe fondamentali per l’integra-
zione di questo Paese con l’Europa tra cui va ricordato che fra il
dicembre e il marzo del 2008 la Cekia aderirà pienamente all’area
di Shengen, rimuovendo gli attuali confini doganali e di frontiera
tuttora esistenti. Infine il primo semestre del 2009 vedrà la presi-
denza della Repubblica Ceca nel Consiglio dell’Unione Europea.
La stessa data prevedeva l’ingresso di questo Paese nell’area del-
l’euro, ma per il momento l’abolizione della corona che era stata
decisa per il 2012, secondo le ultime dichiarazioni del primo mini-
stro Mirek Topolanek, è stata rinviata a data da stabilirsi.
La prudenza se non addirittura la reticenza con la quale il
governo ceco tratta il tema della moneta unica, fa da sfondo alle
preoccupazioni di un’economia che nonostante la sua crescita
piuttosto sostenuta non è ancora in grado di allinearsi ancora pie-
namente con l’Europa monetaria e ancor prima con quella econo-
mica. La crescita del pil nel 2007 si aggirerà intorno al 6%, ma in
controtendenza è il deficit sul pil che attualmente viaggia intorno al
4%, mentre per il 2010 l’obiettivo è di portarlo al 2,5%.
La preoccupazione che l’euro trascini l’economia ceca in una
spirale inflativa o che comunque accentui la sperequazione tra
costo della vita e potere d’acquisto dei salari risulta, fra gli argo-
•84 • • • • • • • • • E U R O P A M O N D O
anno visto una sostanziale parità di risultati fra gli opposti schiera-
menti. È solamente dal gennaio di questo anno che, attraverso la
partecipazione di due deputati socialisti, si è sbloccata la situazio-
ne di stallo ed è stato eletto premier Topolanek. La sua elezione a
premier, ha dato un notevole contributo al miglioramento delle
relazioni della Cekia con gli Stati Uniti, fino alla accettazione del
progetto di scudo spaziale rispolverato da Washington.
Il timido ritorno
di Paolo Barbi dell’Unione Europea
C
Cruciale e decisivo si è rivelato il Consiglio europeo di Berlino del giugno scorso. Come si
é concluso? Si potrebbe dire che è andato meglio di quanto si
temeva, ma peggio - molto peggio - di quanto si sperava. Certo
non all’altezza di quanto era necessario dopo che un altro più
positivo ‘vertice’ a Laeken (sempre in Belgio) nel dicembre del
2001 aveva deciso di convocare non la solita Conferenza Intergo-
vernativa (CIG) ma un’eccezionale Assemblea, la Convenzione,
costituita non solo dai rappresentanti dei governi ma anche da
quelli del Parlamento Europeo (PE) e dei Parlamenti Nazionali,
oltre che della Commissione Europea (CE), col compito di elabo-
rare un ‘Progetto di Costituzione’; e soprattutto dopo che a Roma
nell’ottobre 2004 tutti i Capi di governo, adottando quel Progetto,
avevano firmato solennemente il «Trattato che istituisce una Costi-
tuzione europea»
Il compito del Vertice era peraltro difficilissimo, per non dire
sostanzialmente impossibile. A quella firma, infatti, non erano
seguite le necessarie ratifiche che, invece, erano state bloccate
dall’esito negativo dei referendum francese e olandese del maggio
2005. Era iniziata allora la più grande crisi dell’Unione, che rischia-
va di minare tutta la costruzione unitaria europea e che si cercò di
fronteggiare concordando una ‘pausa di riflessione’ per far matu-
rare una soluzione di rilancio del progetto unitario. Ma, nonostante
gli apporti culturali del milieu europeista e le pressioni politiche dei
maggiori leader, non ne maturò alcuna costruttiva e percorribile. E
non lo si poteva fare, perché si trattava di conciliare due posizioni
inconciliabili: da una parte l’esplicita volontà di non rinunciare alla
•88 • • • • • • • • • E U R O P A M O N D O
Queste ‘riflessioni sull’Europa’ di Sarkozy suscitarono molto interesse perché, pur seppel-
lendo definitivamente la Costituzione, lasciavano intravedere l’in-
I progetti tenzione di rilanciare l’integrazione europea adottando alcune del-
e l’impagno le riforme istituzionali essenziali in essa contenute. Ed effettiva-
della Merkel mente furono, nel complesso, quelle le posizioni su cui si dovette-
ro ridurre ed attestare il dibattito dei mesi successivi e le decisioni
del Vertice di giugno.
Infatti la presidenza tedesca non poté andare oltre, nonostante
le forti e ambiziose proclamazione della Markel, nonostante la sua
attivissima opera di tessitura iniziata con il suo insediamento ai pri-
mi di gennaio 2007 e nonostante le insistenti sollecitazioni dei
maggiori leader europei: da Napolitano e Prodi, a Zapatero, a
Verhofstat, a Junker, a Karamanlis oltre che dai leader di alcuni dei
piccoli Stati recentemente aggregati (Slovenia, Ungheria, Marta,
Cipro). Sia attraverso l’annuncio (già a dicembre 2006) del suo
Ministro degli esteri Steinmeier, sia nei suoi primi interventi alla CE
e al PE (all’inizio di gennaio 2007) la Markel aveva dichiarato espli-
citamente che «la Presidenza tedesca poneva la Costituzione al
•90 • • • • • • • • • E U R O P A M O N D O
centro del suo programma» tenendo conto anzitutto del fatto che
diciotto Stati (su ventisette) la avevano già ratificata, ma anche del-
l’impossibilità di ottenere la ratifica degli altri nove, ed in particola-
re di quelli che l’avevano bocciata con un referendum. Di conse-
guenza, «il processo costituzionale poteva esser rilanciato solo
adottando nel più breve tempo possibile le riforme istituzionali
necessarie per governare un’Unione allargata a 27».
Perciò la Merkel - accogliendo già l’indicazione di Sarkozy -
intendeva chiedere che si concordasse di varare tali riforme con
un Trattato da definire entro il 2007 e ratificare nel 2008, prima del-
le elezioni europee del 2009. La presidenza tedesca riuscì ad otte-
nere questa calendarizzazione impegnativa nel Vertice (Punto 11
delle Conclusioni). Ma, se è prevedibile che sarà rispettata nella
sua prima fase, resta molto incerto che si riesca a far rispettare
anche il tempo delle ratifiche (e se saranno attuate tutte... La spa-
da di Damocle dell’unanimità incombe sempre!).
Dunque fin dall’inizio dei negoziati - pur non rinunciando al
‘processo costituzionale’ perché «più che in passato l’Europa ha
bisogno di una legge fondamentale che la costituisca in una Unio-
ne politica stabile ed irreversibile e la mette in condizione di parla-
re con una voce sola, in modo che gli Stati membri possono agire
tutti insieme» - si dovette constatare realisticamente che, per ora,
di Costituzione non si poteva neppur parlare. Si affermò peraltro
che non ci si doveva accontentare solo di un ‘mini-trattato’, ma
che si doveva mirare ad un ‘Nuovo Trattato’ che contenesse una
‘mini-costituzione’ costituita dalle più importanti innovazioni istitu-
zionali. Su questo piano che si svolse l’abile e tenace opera di
honest broker (come aveva preannunziato Steinmeier) cioè di
mediatore capace di far convergere in un compromesso accettabi-
le posizioni contrastanti e spesso tenacemente irrigidite.
Si riuscì in questo modo a far accettare il mandato ad una CIG - da convocare subito, entro
luglio - di definire il testo di un ‘Trattato di riforma’ che, accogliendo
Mandato alla CIG le proposte della Convenzione Giscard, unificasse i Trattati che
per un Trattato avevano istituito la CEE (Roma ‘57) e l‘UE (Maastricht ’91 e Amster-
di riforma dam ’97) e ne fondando i ‘tre pilastri’, come chiedeva insistente-
mente il PE. Ma nel mandato tale fusione è delineata in forma ambi-
gua, evidente effetto del difficile compromesso perché intende
superare e unire i precedenti Trattati, ma cancella il termine «comu-
nità» che caratterizzava quello della CEE e lo ribattezza col nome di
«Trattato sul funzionamento dell’Unione» (alla quale, peraltro, viene
attribuita la personalità giuridica): chiara espressione della volontà
degli antieuropeisti di rimuovere ogni possibile interpretazione
‘comunitaria’, sovrastatale, e di ridurre, invece, l‘Unione a sistema
di intese intergovernative (Punto 2 delle ‘Progetto di mandato alla
CIG’ – Allegato I - delle Conclusioni del Vertice).
E U R O P A M O N D O • • • • • • • • • 91•
Ma anche nel settore in cui soprattutto si verifica se un’Unione é veramente politica, quello
della Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) - nel quale,
I limiti oltretutto, l’opinione pubblica di tutti i Paesi membri (compresi
e la debolezza inglesi e scandinavia, secondo i rilievi dell’Eurobarometro) si
della PESC attende un’azione unitaria dell’Europa - le pur significative innova-
zioni dell’‘Alto Rappresentante’ e del ‘Servizio per l’azione esterna’
sono gravemente inficiate dalle forti limitazioni dettagliatamente
fissate dal Punto 8 del Mandato. Infatti la assoluta sovranità dei
singoli stati viene pesantemente ribadita con la precisazione che
«le disposizioni riguardanti la PESC non incidono sulla base giuri-
dica, sulla responsabilità e sui poteri esistenti in ciascuno Stato
membro per quanto riguarda la formulazione e la conduzione del-
la sua politica estera, il suo servizio diplomatico, le relazioni con i
paesi terzi e le partecipazione alle organizzazioni internazionali,
compresa l’appartenenza al Consiglio di sicurezza dell’ONU». Si
ribadisce inoltre che «le disposizioni relative alla PESD (Politica
Estera e di Sicurezza Europea) non conferiscono nuovi poteri alla
CE di proporre decisioni - come, invece, la Costituzione mirava a
fare con l’inserimento del Ministro degli Esteri nella CE quale suo
Vicepresidente e con un forte, autonomo ‘servizio per l’azione
esterna’ – né accrescono il ruolo del PE.
Nel Punto 8 si ripete solennemente ciò che era stato deciso
già a Maastricht: «La competenza dell’Unione in materia di PESD
riguarda tutti i settori della politica estera e tutte le questioni relati-
ve alla sicurezza dell’Unione, compresa la definizione progressiva
di una politica di difesa comune, che può condurre ad una difesa
comune» - la PESC, ben lungi dal diventare una autentica «politica
comune», rimane al livello di ricerca di ‘intese fra i governi’ ed è
•92 • • • • • • • • • E U R O P A M O N D O
Come e quando si potrà avere una vera politica estera comune con questi strumenti e con
queste procedure?
Ci sarà una vera Forse uno stimolo potrà venire dal significativo progresso che
Europa? è stato compiuto nel delicatissimo settore della difesa, nel quale
peraltro la gelosia delle sovranità nazionali è fortissima. Infatti è
stata confermata la creazione delle cosiddette ‘cooperazioni strut-
turate permanenti’, come erano state stipulate - su indicazione del-
la Convenzione - nella CIG di Napoli nel novembre 2003. Tali «coo-
perazioni strutturate» hanno una portata politica anche maggiore
di quella delle altre «cooperazioni rafforzate», perché forniscono la
base giuridica per la formazione di strutture militari comuni e per-
manenti e quindi per una strettissima collaborazione militare,
aprendo la via per una «area europea della difesa», ovviamente
destinata ad avere un grande peso nella PESC.
Un altro passo significativo è stato compiuto con l’accettazio-
ne dell’inserimento nel sistema comunitario del Primo Pilastro di
Maastricht della politica per la Giustizia e gli Affari Interni (la GAI,
che finora costituiva il Terzo Pilastro, intergovernativo). Cosa
importante perché riguarda una politica che - insieme a quella del-
la difesa - è diventata indispensabile per fronteggiare unitariamen-
te e con efficacia la grande sfida di questi ultimi tempi: il terrorismo
interno e internazionale (oltre che l’espansione internazionale del-
la criminalità organizzata).
Ma questo passo è interessante anche dal punto di vista istitu-
zionale perché si prevede esplicitamente – art. 2, com. d delle
Modifiche al Trattato CEE - che «almeno un terzo degli Stati mem-
bri possa instaurare una cooperazione rafforzata sulla base di un
progetto di Regolamento che la CE e il Consiglio non riescano ad
adottare con la normale procedura».
L’inserimento integrale nel nuovo Trattato delle disposizioni
sulle «cooperazioni rafforzate» stipulate nell’art. I-44 del Progetto
di Costituzione, con la precisazione che «il numero minimo di Stati
membri per avviarle sarà pari a 9 - Punto 14 delle Modifiche al Trat-
tato dell’Unione -», apre un piccolo ma utile spiraglio istituzionale
alla speranza di progresso verso la piena integrazione politica del-
l’UE. Rende infatti realizzabile quella Europa a due velocità - che
ormai sembra inevitabile - all’interno delle regole generali dell’U-
nione e senza provocare lo smembramento del sistema definito
dai Trattati.
Quello che è stato già fatto negli anni scorsi con l’espediente
dell’opting out (che ha permesso la creazione dell’Euro affidata ad
E U R O P A M O N D O • • • • • • • • • 93•
Le decisioni del Vertice di giugno, dunque, non hanno certamente rimosso il pericolo di
ridurre l’UE al ‘libero mercato’ voluto dagli inglesi, né la minaccia
Bloccato il letale al progetto politico comunitario, federalistico, concepito e
‘grande passo’ si avviato dai padri fondatori 50 anni fa. Ma ne ha preservato e alme-
torna ai ‘piccoli no parzialmente migliorato le strutture istituzionali che sono state
passi’ lentamente – con tanti ‘piccoli passi’ - ma coerentemente costruite
in mezzo secolo. Dopo la lunga crisi del 2005-2006 si può dire che
nel 2007 la illuminata e realistica Presidenza Merkel ha riaperto la
strada verso l’integrazione europea con la tempestiva convocazio-
ne di una CIG, la quale non dovrebbe incontrare molte difficoltà
nella stesura formale del testo di un Trattato ‘rettificativo’ già detta-
gliatamente formulato nel mandato che le viene affidata. Testo che
non sarà certamente semplificato, ma ancor più complicato e di
difficile lettura di quanto non lo fosse il tanto vituperato testo della
Costituzione del 2004.
Quindi della protagonista del Vertice di giugno non si può dire
che sia riuscita a ‘rilanciare la Costituzione’ - come i 18 Stati delle
ratifiche avevano chiesto (anche con una riunione straordinaria a
Madrid) e come lei stessa nelle prime dichiarazioni si era proposto
- né a vincere le tenacissime resistenze degli inglesi. Ma si deve
riconoscerle il merito di avere fatto uscire l’UE dalla pericolosa crisi
determinata dal fallimento del ‘grande passo’ della Costituzione e
di avere riavviato il processo di integrazione con l’ormai obbligato
metodo dei ‘piccoli passi’.
E U R O P A M O N D O • • • • • • • • • 95•
Ucraina,
di Maurizio
Caggiati terra di frontiera
U
Ucraina significa terra di frontiera. Nel tardo Medioevo gran parte del suo territorio formò il pri-
mo importante Stato slavo-orientale, precursore della Russia. Era,
dunque, una terra tutt’altro che periferica. Poi decadde, a causa di
vicini più forti che la invasero: lituani, polacchi, poi russi. Divenne così
un territorio periferico, le cui vaste distese della steppa separavano
gli stati europei che si andavano organizzando dalle orde turco-tarta-
re. È allora che inizia il suo ruolo di frontiera contesa.
L’identità nazionale è stata messa a dura prova già in passato
dalla presenza di forze disgreganti al proprio interno. Se ne osserva-
no tuttora le conseguenze.
L’Ucraina è un Paese etnicamente eterogeneo, come del resto
sono quasi tutti i Paesi nati dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica. I
russi sono assai numerosi e molti di più i ‘russofoni’.
Spinte autonomistiche non mancano: in alcune frange periferi-
che occidentali, come la Transcarpazia o nella regione orientale del
Donbass, il bacino del fiume Donec, la regione più industrializzata
del Paese. Ragioni di contiguità geografica si sono abbinate ad un
poderoso processo di industrializzazione durante il passato regime
sovietico, con conseguenti flussi migratori di popolazioni russe. In
quest’area prevale l’idea russocentrica dell’inesistenza della nazione
ucraina che è sempre stata considerata una parte della Russia, anzi
la chiamavano la ‘Piccola Russia’.
Non va sottovalutata la presenza tartara nella penisola di Crimea,
ora Repubblica Autonoma, regione regalata all’Ucraina da Krushev.
L’identità nazionale ucraina è percepita in modo integrale in Gali-
zia, regione occidentale con capitale Leopoli, area a lungo contesa
•96 • • • • • • • • • E U R O P A M O N D O
L’Ucraina potrebbe diventare uno dei Paesi della nuova Europa a più intenso sviluppo. Nel
2005 e 2006 il Prodotto Interno Lordo è cresciuto rispettivamente del
Una grande 12% e del 7%, mentre il reddito pro-capite è aumentato nel 2006 del
potenzialità 28% ed i consumi delle famiglie del 32%. La crescita dell’export di
beni e servizi, unita ad un continuo flusso di rimesse di valuta da par-
te delle comunità ucraine affermatisi all’estero, hanno consentito di
E U R O P A M O N D O • • • • • • • • • 97•
registrare dei surplus nel saldo delle partite correnti in questi ultimi
anni. Pur partendo da livelli bassi, risulta in continuo incremento il
flusso degli investimenti diretti dall’estero. Notevole il consolidamen-
to delle riserve conseguito dalla Banca Centrale. Il processo di priva-
tizzazione si è accelerato solo a partire dalla fine degli Anni Novanta
dello scorso secolo. I settori a più forte sviluppo sono: commercio,
trasporti, edilizia.
L’Italia rappresenta un partner privilegiato per questo Paese.
Figura infatti al quarto posto come cliente ed al quinto come fornito-
re. Prospettive interessanti per gli investimenti diretti delle aziende
riguardano l’industria del legname, la meccanica leggera, il turismo,
le Public Utilities ed i progetti infrastrutturali. Essendo un grande pro-
duttore di derrate agricole il Paese necessita di macchinari per la
movimentazione terra, macchine per l’imballaggio e tutte le apparec-
chiature legate alla cosiddetta catena del freddo: da quelle aziendali
alla trasportistica frigorifera.
Tra i problemi posti dall’eredità sovietica c’è anche quello, di
grande rilevanza strategica, di un apparato militare costituito da armi
nucleari e dalla consistente Flotta del Mar Nero. Una presenza a volte
ingombrante, ma che non può essere certo ignorata.
Al momento dell’indipendenza (agosto 1991) non poche speran-
ze si erano create nel Paese circa il ruolo strategico – sia da un punto
di vista politico che economico - che l’Ucraina avrebbe potuto assu-
mere: considerando la base territoriale, il peso demografico, le risor-
se produttive, l’apparato militare, la posizione geopolitica tra Est ed
Ovest in Europa.
La disillusione è stata totale.
In breve tempo è emersa nettamente la contraddizione di un’e-
conomia imperniata su di un’industria pesante, forte consumatrice di
energia, in un Paese povero di gas e di petrolio. Va sottolineato, inol-
tre, che la produzione di energia elettrica dipende da centrali nucleari
fortemente obsolete. Chernobyl insegna.
La dipendenza dalla Federazione Russa per gli approvvigiona-
menti energetici (petrolio, gas naturale, uranio arricchito) ha minato
la stessa sovranità della neonata Ucraina: nei primi dieci anni ha
accumulato un ingente debito estero con Mosca.
La dissoluzione dell’URSS ha causato, inoltre, il crollo del più
importante mercato di sbocco dell’industria nazionale, obsoleta e
legata a comparti pesanti come la siderurgia.
In un quadro di totale disorganizzazione dei circuiti produttivi e
di rifornimento, la transizione al mercato ha comportato deboli pas-
si avanti. L’iniziativa privata si è affermata principalmente nel com-
mercio al dettaglio e nell’artigianato. Nel credito e nel commercio
estero hanno continuato ad operare le vecchie oligarchie statali
che frappongono forti ostacoli alla libera concorrenza degli opera-
tori stranieri.
•98 • • • • • • • • • E U R O P A M O N D O
La ‘guerra del gas’ scoppiata nell’inverno 2005-06 tra Russia e Ucraina ha portato alla ribalta
la duplice dipendenza che lega i due maggiori Paesi slavi: quella
La geopolitica energetica dell’Ucraina e quella geografica della Federazione Russa,
del gas la quale, a causa dei vincoli degli orizzonti marittimi, è obbligata a far
transitare in territorio ucraino i gasdotti provenienti dai giacimenti
degli Urali e della Siberia Occidentale e diretti verso i consumatori
dell’Unione Europea. Da una parte l’Ucraina, fortissimo consumatore
(batte la Germania) di energia a basso prezzo, dall’altra la Russia,
principale produttore mondiale di una risorsa energetica chiave. Un
braccio di ferro che è durato parecchie settimane. Di fronte alla
richiesta di forte rialzo del prezzo (dagli iniziali 50 dollari per 1.000
metri cubi si è passati alla pesante tariffa di 230 dollari, la stessa prati-
cata nei confronti dei clienti europei) avanzata da Gazprom, minac-
ciando un taglio delle forniture, Kiev si è rivalsa, prelevando 1 milione
di metri cubi al giorno delle forniture dirette verso i Paesi dell’Unione
Europea, che dipendono per il 24% dal gas russo, quasi interamente
instradato verso Ovest attraverso le pipe-lines ucraine. Sono seguiti
momenti di tensione che hanno messo in allarme i clienti europei:
E U R O P A M O N D O • • • • • • • • • 99•
La ‘guerra del gas’ fra Russia e Ucraina ha comunque reso evidente la strategia differenziata
con cui Mosca intende usare l’arma energetica in quella che fu l’area
La strategia d’influenza sovietica. Nel rinnovo dei contratti di fornitura sono stati
diversificata stabiliti livelli diversi di prezzo: la Bielorussia è passata dai 47 dollari
della Russa per l’acquisto di 1.000 metri cubi di gas agli attuali 190; la Polonia da
120 a 190; i Paesi Baltici da 80 a 120; la Moldavia da 80 a 160, tranne
la Transdnestria che rimarrà ancorata ai 60 dollari; le tre Repubbliche
caucasiche – Georgia, Armenia, Azerbaigian - da 60 a 110. La filo-
occidentale Turchia continuerà a pagare 100 dollari il gas trasportato
lungo il gasdotto sottomarino Bleu Stream, che attraversa il Mar Nero.
Dopo il voto, nel marzo del 2006, si è assistito ad una lunga para-
lisi politica con quattro mesi senza formazione di governo.
Se dalle urne fosse uscito un risultato netto, la parte sconfitta
avrebbe con ogni probabilità accettato il nuovo assetto parlamenta-
re. L’affermazione del Partito delle Regioni del filo-russo Yanukovich
come prima forza, seguito dai tre partiti del raggruppamento arancio-
ne (Nostra Ucraina di Yuschenko, Blocco di Julia Timoshenko ed i
socialisti di Alexander Moroz) ha tracciato, invece, un quadro di
sostanziale paralisi. È cresciuto il rischio che la spaccatura parlamen-
tare trovi riflesso su quella territoriale, riproponendo la divisione fra
ucraini occidentali europeisti e orientali russofili.
Il Paese è attraversato da una profonda frattura che disegna l’a-
rea d’influenza della Russia nella parte Est del Paese, mentre le
regioni ad Ovest aspirano ad una rapida adesione all’Unione Euro-
pea. Un Paese gestito a mezzo servizio non offre garanzie di poter
fronteggiare la minacciata crisi energetica invernale. Il Presidente
Romano Prodi ha avvertito ripetutamente che i depositi di gas ucraini
sono per metà vuoti e ciò rappresenta una minaccia per le forniture
dei Paesi europei comunitari, tra cui l’Italia. Kiev getta acqua sul fuo-
co indicando di aver raggiunto una nuova intesa con la Russia sul
patto del gas. Senza però rivelare che la variabile non ancora definita
è il Turkmenistan, che vuole alzare il grezzo del gas venduto alla Rus-
sia e che questa invia all’Ucraina: E se Gazprom pagherà di più,
girerà l’aumento su Kiev. La crisi energetica è tutt’altro che risolta.
Nessun rappresentante politico è in grado di sottoscrivere a Kiev
•100 • • • • • • • • E U R O P A M O N D O
Il Presidente della Repubblica Viktor Yuschenko, dopo aver constatato per ben cinque mesi
l’impossibilità di metter d’accordo i leader dei partiti della coalizione
Filorussi arancione, è stato costretto a scegliere come primo ministro il grande
al governo a Kiev rivale Yanukovich. Un esecutivo a pieno titolo, che offre migliori lega-
mi con Mosca, fortemente intenzionato a garantire la sicurezza ener-
getica europea e che dovrebbe scongiurare un’altra crisi del gas.
Il compromesso è diventato possibile dopo che il premier incari-
cato Yanukovich ha accettato di firmare una dichiarazione favorevole
alla politica d’integrazione dell’Ucraina in Europa, alle riforme struttu-
rali di mercato, all’ingresso immediato nell’organizzazione mondiale
del commercio, ad una cooperazione più intensa con la NATO. D’al-
tra parte i legami molto stretti tra il premier Yanukovich, il Cremlino e
la comunità degli affari russa dovrebbero escludere una nuova crisi
del gas. Pochi giorni dopo l’insediamento del nuovo governo a Kiev,
Gazprom assicurava il pieno rispetto delle intese sui rifornimenti di
gas all’Ucraina. Questo avveniva nell’ambito dei colloqui fra il neo-
premier Yanukovich ed il Capo del Governo russo Mikhail Fradkov.
Riesplode la crisi in Ucraina nell’aprile di quest’anno. Dopo mesi
di braccio di ferro con il Governo del premier filo-russo Viktor Yanuko-
vich, il Presidente della Repubblica Viktor Yuschenko firma un decre-
to per lo scioglimento della Rada, il Parlamento ucraino e per la con-
vocazione di nuove elezioni legislative fissate per la fine di maggio.
L’offensiva del premier negli ultimi mesi era stata quella di conso-
lidare sempre più la maggioranza parlamentare, strumentalizzando i
dissidi sorti all’interno della coalizione arancione e raggiungere una
quota di consensi parlamentari così ampia da poter così bypassare
gli eventuali veti del Presidente e procedere verso alcuni cambia-
menti fondamentali della Costituzione ucraina che riducessero i
poteri presidenziali. Le ultime settimane di maggio hanno fatto pen-
sare al peggio. Lo showdown fra il Capo del Governo e il Presidente
della Repubblica aveva coinvolto anche parti della polizia e delle for-
ze speciali: lo spettro della guerra civile era imminente.
La contestuale azione di convincimento a favore di un accordo
sulla data delle elezioni svolta dalla Russia da una parte e dall’Unione
Europea dall’altra, ha permesso di giungere ai primi di giugno ad un
compromesso, accettato dalle due parti e siglato anche dal leader
dell’opposizione parlamentare, l’ex-premier Julia Timoshenko: le ele-
zioni parlamentari si terranno alla fine di settembre. La miccia è stata
disinnescata. Ma i sondaggi indicano una maggioranza favorevole al
capo del Governo. Il consolidamento del regime parlamentare a sca-
pito di quello presidenziale è solo rimandato.
E U R O P A M O N D O • • • • • • • • 101•
ITALIA UCRAINA
Urbanizzazione (%) 68 67
Commercio
- Export 225 mld Euro 19 mld Euro
(metalli, prodotti agricoli)
- Import 221 mld Euro 34 mld Euro
(carburanti, macchinari)
Principali clienti/fornitori:
Russia, Germania, Italia,
Turchia e Turkmenistan
Spese (% PIL)
- Militari 2 2,7
- Sanitaria 8,4 5,7
- Istruzione 4,7 5,4
- Medici (x 1.000 ab.) 4,2 3
- Matrimoni 4,5 5,7
- Divorzi 0,8 3,4
- TV color (x 100 fam.) 96 77
- Abb. Cellulari (x 100 ab.) 110 30
- Computer (x 100 ab.) 32 3
•102 • • • • • • • • E U R O P A M O N D O
Tra le comunità straniere in Italia quella ucraina è di recente immigrazione, emersa con il
processo di regolarizzazione in atto. I cittadini provenienti dall’U-
Ucraini craina superano le 100.000 presenze, in gran parte imputabile alla
d’Italia componente femminile, impegnata soprattutto nell’assistenza
degli anziani.
E U R O P A M O N D O • • • • • • • • 103•
L
MA IL FUTURO SARÀ EUROTURCO
Le polemiche seguite alla elezione di Abdullah Gul, undicesimo presidente della Repub-
blica Turca, hanno riacceso i riflettori sul difficile cammino che il
Paese di Ataturk ha intrapreso per entrare in Europa.
L’inserimento della Turchia nel Vecchio Continente è estrema-
mente complesso e presenta problemi di non facile soluzione, da
quello economico, a quello politico e religioso, a quello militare.
Quest’ultimo aspetto infatti ha legato indissolubilmente l’Occiden-
te alla Turchia, attraverso la sua appartenenza alla Alleanza Atlanti-
ca. Alcune tra le posizioni più intransigenti nel rifiutare l’ingresso
della Turchia in Europa come, della Francia e dell’Olanda, per cita-
re i casi più noti, riflettono il difficile rapporto di alcuni paesi euro-
pei nei confronti delle minoranze straniere musulmane presenti al
loro interno.
La stessa Germania di Angela Merkel che vanta una comunità
turca e curda di 2, 3 milioni di persone, si è mostrata tiepida se
non contraria all’inserimento della Turchia nella UE, limitandosi a
proporre un accordo per una area commerciale privilegiata tra
Germania e Turchia.
La UE nell’intento di coinvolgere al suo interno il paese della
Mezzaluna, come per altri paesi di recente ingresso, non nascon-
de l’obiettivo di regolamentare in maniera più efficace i flussi
migratori che dalla Turchia si diffondono in Europa. Per questo
motivo, uno sviluppo più monitorato e controllato della politica e
della economia turca, potrebbero garantire in prospettiva un con-
tenimento e una regolamentazione, se non il ritorno, di una parte
consistente della popolazione turca emigrata.
•104 • • • • • • • • E U R O P A M O N D O
È indubbio che la candidatura della Turchia alla UE stia determinando una interessante
quanto sana dialettica politica in questo Paese, anche se le possi-
In positivo bili ingerenze della componente musulmana potrebbero rallentar-
risveglio politico ne il processo di democratizzazione.
La Turchia vanta una popolazione di 70 milioni di persone ed
una crescita economica stimata intorno al 5% annuo a partire dal
2001 Nel 2006 ha sfiorato addirittura il 6%. Si tratta del migliore
risultato degli ultimi anni nell’area OCSE. L’interesse geopolitico
ed economico che suscita la Turchia nei confronti dell’Europa, è di
grande rilievo, costituendo un punto di osservazione e di controllo
privilegiato non solo verso il Medio Oriente, ma anche verso il Cau-
caso ed i Balcani.
La Turchia è membro della Nato dell’ONU e dell’OSCE.
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, si aprono prospettive di un
suo ruolo più attivo, attraverso il Vecchio Continente, nei confronti
dell’area medio-orientale. La storia recente della Turchia, a partire
dalla fine del Secondo Conflitto Mondiale, al quale peraltro non par-
tecipò, è profondamente legata all’Europa e più in generale all’Oc-
cidente, anche se con forti limitazioni ed a volte battute d’arresto.
Nel 1951 la Turchia entra a far parte della Nato, dove ha rico-
perto un ruolo centrale nella strategia di contenimento dell’influen-
za sovietica, grazie anche ad un esercito che convenzionalmente
era secondo solo agli Stati Uniti. L’esercito turco si è proclamato
sostenitore della laicità dello Stato e della custodia dei principi
repubblicani di Mustafa Kemal Atatürk, il padre fondatore della Tur-
chia. Questo ruolo di controllo, a volte estremamente pressante,
ha comportato tre colpi di stato, nel 1960, nel 1971 e nel 1980.
Nella seconda metà degli Anni Novanta, l’esercito è arrivato a
sciogliere, attraverso il cosiddetto Colpo di Stato post moderno, il
partito islamico allora al governo.
La Turchia è stata caratterizzata, fin dalla sua fondazione da
profondi contrasti fra le sue vocazioni democratiche e laiche e
quelle più autoritarie e fondamentaliste. Fin dalla sua nascita nel
1923, si costituisce come Repubblica parlamentare dotata di un
sistema elettorale a suffragio universale, ma fino agli Anni Cin-
quanta il sistema politico ammette l’esistenza di un solo partito. La
Costituzione del 1982 assegna il potere legislativo unicamente alla
Grande Assemblea Nazionale Turca, la TBMM che con 550 depu-
tati viene rinnovata ogni cinque anni. Il sistema elettorale è propor-
zionale con uno sbarramento del 10%. Il Presidente della Repub-
blica è eletto ogni sette anni ed ha ampi poteri di controllo sul
potere esecutivo del governo e su quello legislativo del Parlamen-
to. A controbilanciare gli organi descritti la costituzione turca pre-
vede pure un organo di controllo l’MGK, il Consiglio di Sicurezza
Nazionale, che non è un organo direttamente politico, ma può, per
questioni di rilevanza nazionale, inviare raccomandazioni con
E U R O P A M O N D O • • • • • • • • 105•
sciuti i propri diritti civili, politici e linguistici. Ora, come da più parti
è stato auspicato, attraverso l’europeizzazione della Penisola Ana-
tolica il problema sarebbe di più facile soluzione. Tuttavia occorre
aggiungere che nonostante la tradizionale politica di esclusione
delle minoranze linguistiche e religiose dalla vita civile del Paese,
ultimamente i governi turchi hanno preso l’impegno di rispettare
l’utilizzo di lingue diverse dal turco e di professare tre religioni dif-
ferenti rispetto a quella ufficiale mussulmana. A fare da freno ai
negoziati da anni vi è poi il contenzioso sul riconoscimento del
genocidio degli armeni che la Turchia ancora non vuole riconosce-
re e questo rappresenta un punto di forte frizione con la Francia.
D’altra parte, per contrastare le tentazioni inclini al fondamen-
talismo islamico, come ha sottolineato recentemente il ministro
degli Esteri Massimo D’Alema: «La migliore risposta a una guerra
di religione sarebbe avere nell’UE la Turchia». Se infatti attraverso
sforzi più intensi si riuscisse a collocare con maggiore sicurezza e
stabilità il percorso di ingresso della Turchia nella UE, l’Europa si
doterebbe di uno strumento di dissuasione nei confronti del fonda-
mentalismo. Si potrebbe così offrire l’esempio di come anche un
paese con radici islamiche possa contribuire alla crescita ed al
rafforzamento dell’Europa.
L’Europa ha forse qualche difficoltà nel rivendicare in maniera
omogenea le proprie radici cristiane. Ma certo sarebbe di grande
giovamento tentare il recupero delle radici culturali e giuridiche
che hanno dato vita allo ius romano e soprattutto meditare sulle
sorti del ‘pio’ eroe dell’Eneide, fuggiasco da Troia e arrivato nei
pressi di Roma, per volontà divina…
E U R O P A M O N D O • • • • • • • • 107•
Forse
di Pabri
è l’ora del disgelo
UN SOFFIO
DI SPERANZA
PER I RAPPORTI
TRA CINA
E SANTA SEDE
I
Il 21 settembre, due mesi dopo la lettera del Papa ai cattolici di tutta la Cina, è stato ordi-
nato il nuovo vescovo di Pechino.
Mons. Li Shan succede a Michele Fu Tieshan, morto il 20 apri-
le scorso, già presidente della Associazione Patriottica e conside-
rato uno dei prelati più intransigenti nel rifiuto della riconciliazione
con la S.Sede, nonostante la situazione della Cina oggi induca alla
massima prudenza su ogni valutazione che riguardi la coscienza
dei religiosi. A Fu Tieshan fu infatti negato dalle autorità governati-
ve il permesso di recarsi a Roma per ottenere la nomina dal Papa,
nonostante le sue ripetute richieste.
La divisione tra i cattolici ‘patriottici’ e quelli cosiddetti ‘uder
ground’ o ‘clandestini’ costituisce dopo la linea del governo di
Pechino, uno degli ostacoli più difficili da superare per la normaliz-
zazione dei rapporti con i Vaticano. Un’inchiesta condotta anni fa
da un gruppo di ricercatori irlandesi, denunciava addirittura una
sorta di acuta acrimonia degli uni contro gli altri, i patriottici rivendi-
cando la loro lealtà alla nazione, i ‘clandestini’ ricordando la loro
disponibilità al martirio e le persecuzioni subite a causa della loro
fedeltà a Roma che li priva anche dei benefici materiali e delle
risorse finanziarie di cui invece l’Associazione patriottica dispone.
Le diatribe vanno avanti da decenni e non si sono mai acquie-
tate, neppure dopo il martirio subito da entrambi negli anni della
Rivoluzione Culturale che non perdeva tempo a fare certe disquisi-
zioni, affratellando tutti nella stessa condanna.
Non a caso la lunga e storica lettera di Benedetto XVI rivolta «ai
vescovi, ai presbiteri, alle persone consacrate e ai fedeli laici della
•108 • • • • • • • • E U R O P A M O N D O
«La complessità dei problemi è enorme - osserva Mons. Loris Capovilla dalla sua sede di
Sotto Il Monte Giovanni XXIII - e certamente la distanza non aiuta a
Il dialogo risolverli. È necessaria una grande disponibilità di spirito, ricordan-
non è spento do che il Cristo ci ha dato sì la missione di divulgare il Vangelo
ovunque, ma senza dimenticare che il Vangelo è, appunto, la
‘buona novella’, da portare sempre e comunque con grande
umiltà e serenità.»
«Non posso dimenticare - continua Mons. Capovilla - le parole
di François Mauriac, alla vigilia del Concilio Vaticano II: “Ho sem-
pre atteso una parola di fiducia ed ora vedo un Papa, Giovanni
XXIII, che fa sentire la sua umanità in mezzo agli altri uomini,
aprendo una strada che richiederà forse millenni per essere intera-
mente percorsa, ma che ormai è davanti a noi. Il cammino è inizia-
to, il processo è irreversibile”».
La fiducia di Mons. Capovilla nell’avvio di nuove relazioni tra il
governo di Pechino e la S. Sede è anche confortata dal prossimo
grande appuntamento delle Olimpiadi, interpretata come una
grande opportunità di confronto e di dialogo.
Non a caso le relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Cina furo-
no anticipate dalla storica partita di ping pong tra le squadre dei
rispettivi paesi, con una gara spettacolare che è diventata ormai
leggenda.
La Pira sosteneva che certi eventi della storia debbano venire
interpretati come ‘segni’. Ma la Pira era un profeta e sicuramente
vedeva molto più lontano di quanto non sia concesso ai comuni
mortali. È certo, però, che in questi ultimi tempi si è assistito ad
una concatenazione di fatti che indicano una situazione nuova.
Forse il periodo della stagnazione è arrivato alla sua conclusione.
Per la prima volta dal 1951 ad oggi, un Papa dichiara ufficial-
mente lecita la concelebrazione tra sacerdoti ‘clandestini’ e sacer-
doti ‘patriottici’, implicitamente abrogando la scomunica dei catto-
lici governativi. Non solo, ma «anche i fedeli laici, che sono animati
da un sincero amore per Cristo e per la Chiesa, non debbono esi-
tare a partecipare all’Eucaristia, celebrata da vescovi e da sacer-
doti che sono in piena comunione con il Successore di Pietro e
sono riconosciuti dalle Autorità civili. Lo stesso vale per tutti i
sacramenti».
E per togliere ogni ombra di dubbio, l’ordinazione dei Vescovi
consacrati senza il mandato pontificio ma nel rispetto del rito cat-
tolico, «è illegittima ma valida, così come sono valide le ordinazioni
sacerdotali da loro conferite e sono validi anche i sacramenti
amministrati da tali vescovi e sacerdoti».
E U R O P A M O N D O • • • • • • • • 109•
Da oggi, il nuovo vescovo Li Shan, pastore della capitale, eserciterà la sua influenza
anche sul resto dei cattolici cinesi, oltre 15 milioni, di cui 5 ‘patriot-
Il nuovo vescovo tici’ e circa 10 ‘clandestini’.
di Pechino Fonti anonime del Vaticano considerano l’evento ‘un buon
passo’, mentre la folla che si accalcava sul sagrato della cattedrale
dell’Immacolata Concezione, ‘Nan Tang’, a Pechino, dimostrava in
modo inequivocabile la vitalità di tutti i fedeli cattolici in Cina, sen-
za distinzione di appartenenza o di schieramenti.
Mons. Li Shan, parroco della chiesa di San Giuseppe di Pechi-
no, costruita vicina alla tomba di Matteo Maria Ricci, era stato
•110 • • • • • • • • E U R O P A M O N D O
Corsi e ricorsi
(A proposito di esami, di lauree e di diplomi)
Il diavolo
di Marcello Colitti
L
L’individuo ha un cappottino marrone con un colletto di velluto nero, un po’ demodé, un po’
sdrucito.
«Che bello, vero?» ripete facendo un largo gesto della mano verso il
Foro Romano.
«Bello davvero» risponde il signore col cappello. «Anche se piove, è
bello lo stesso. È una cosa unica».
«Non le piace la pioggia? La vogliamo far smettere?»
Il signore col capello sorride. «Vuol far smettere la pioggia? E perché?
Un po’ di pioggia fa bene».
«Come lei vuole». L’individuo col cappottino marrone sembra deluso.
«Se le va bene così…»
Il signore col cappello lo guarda, non commenta.
«Mi scusi se attacco bottone così, anche se non la conosco… volevo
comunicare la mia commozione di questo colpo d’occhio».
«Non importa. Ha fatto bene. Ci possiamo sempre presentare» e ten-
de la mano.
«Non mi dica il suo nome, lo so già» dice l’individuo col cappottino.
Nomina non sunt res». Si stringono la mano.
«Lei sa il mio nome? E parla latino. Lei chi è?»
«Io sono il Diavolo».
Il signore col cappello sorride.
«Ma davvero. E perché è il Diavolo?»
«Come, perché. Sono il diavolo e basta, non c’è un perché!»
«Beh, un perché c’è sempre. Io ad esempio, sono un uomo perché mi
ha partorito mia madre, fecondata da mio padre… Lei ha genitori?»
«No. Io non sono stato creato. Io sono il Diavolo, esisto e basta».
«Non si stupirà, spero, se mi troverà un poco scettico. E anche se lei
fosse il Diavolo, l’avrebbe pur sempre creato qualcuno, no?»
«Ma allora lei crede alle balle dei preti! Che il Diavolo è un angelo
•112 • • • • • • • • D I V A G A Z I O N I
me. Piove anche oggi… no, non voglio che smetta. Lasci piovere».
«Come vuole» La cosa lo disturba come la prima volta.
«Posso offrirle qualcosa? Io ho bevuto un caffè, è proprio buono, lo
fanno bene qui».
L’individuo accetta con un gesto. «Sa, ho pensato - dice sorridendo -
al dialogo dell’altra volta, lei parlava delle donne…»
«Lo so che non è un argomento nuovo… non sapevo che a lei non
interessassero…»
«A me interessa tutto».
«Ricordavo il Faust…»
«Non mi parli di quel buffone!»
«Un buffone?»
«Della peggior specie!»
«Davvero?»
«Ma non si ricorda? Quel tedesco là l’ha scritto in tutte lettere, pove-
retto…»
«Ma che dice! Il Faust?»
«Mi scusi, non vorrei insistere… le posso rinfrescare la memoria?»
«Mi fa un favore».
Allora, quello sta lì nel suo studio, pieno di roba, che sembra una sce-
nografia di Walt Disney disegnata da Durer, e vuole sapere tutto… e
io, zac, quello vuole capire i quanti, chissà cosa fa… e cosa mi chie-
de? Di portarsi a letto una donna, una donna qualunque! C’era biso-
gno del diavolo, dico?»
«Capisco. Non ci avevo pensato».
«Poi la cosa si complica, e lui la tratta da cane, roba da chiodi! Un vero
mascalzone, senza gusto, né stile. Non c’è proprio da stupirsi che si
sia convertito… un vero buffone!»
«E poi si è salvato, come si dice…»
«Beh, certo, quello là pur di farmi un dispetto, fa di tutto, anche le cose
più basse…»
«Mi scusi, ma la storia dell’anima… lei aveva comperato un’anima…»
«E che anima! Di un frustrato di provincia! Cosa voleva che me ne
facessi… cosa vuole che me ne faccia, in generale… se comprassi
anime sarei già fallito! Non basterebbe tutto l’oro che c’è sulla terra. È
vero che, come dicono gli economisti, l’offerta sarebbe così grande,
così superiore alla domanda che il mercato farebbe un prezzo negati-
vo, mi dovrebbero dare qualcosa per tenerle… magari per comprare
degli armadi…»
Il signore col cappello ride. Arriva il caffè, l’individuo lo beve.
«Buono davvero. Voi italiani fate un caffè davvero unico, se uno ci si
abitua, l’altro caffè non gli piace più…» riappoggia la tazza sul piattino.
«Lo sa che a Praga fanno vedere ai turisti la casa di Faust? Dicono che
fosse un praghese, che si chiamava Stasny, che vuol dire appunto
Fausto… c’è un bel buco nel tetto, da cui è scappato il diavolo quan-
do Stasny è morto… manco fossi un pallone aerostatico…! Ma le
•116 • • • • • • • • D I V A G A Z I O N I
pare?» Il signore ride ancor più forte. «Un pallone! Questa è buona!
Un buco nel tetto che ci piove dentro…» guarda fuori dalla vetrata.
Non piove più.
«Facciamo due passi?»
Si alzano, escono nella mattina fredda.
«Io vengo qui la mattina della domenica, a fare due passi… è molto
bello qui, ci sono tanti alberi…»
«A lei piacciono gli alberi?»
«Tanto».
«Vuole che gliene faccia crescere uno qui davanti, tutto d’un colpo?»
«Per carità! Cosa fa adesso? Si mette a far miracoli? Non mi pare
serio».
L’individuo lo guarda.
«Non le pare serio? Che vuol dire?»
«Vuol dire che gli alberi devono crescere pian piano, come vuole la
natura, se no non sono alberi, ma scherzi di natura, come dicono al
mio paese…»
«Scherzi di natura… È giusto. Hanno ragione al suo paese. Lei ha una
conversazione molto interessante».
«Anche lei. Non avevo mai pensato al Faust in quel modo…» il signo-
re col cappello guarda con piacere il panorama di alberi che li circon-
da, e si volta verso di lui. L’individuo col Burberry non c’è più.
Ma lo riincontro, dico lo riincontro perché l’uomo con il cappello sono
io, nessuno porta più il cappello, ormai, in città. Lo ritrovo sul Lungote-
vere dove sta come Planchet, sputando nel fiume.
Gli rivolgo la parola, sembra sorpreso. Nega di star sputando.
«Planchet sputava per vedere i circoletti che faceva nell’acqua, se non
ricordo male. Qui l’acqua è troppo lontana, i circoletti non si vedono,
non ci sarebbe nessun gusto».
Ha ancora il Burberry, e anche un ombrello, ma non piove.
«Vedo che ha un ombrello. Pioverà?»
«Non so. Cosa dice il giornale?»
«Perché, Lei non può far piovere, o smettere di piovere?»
«Beh, beh, non è certo il caso di abusarne, se no quello là…»
«Quello la?»
«Mi capisce vero?»
«Sì, la capisco ma mi viene una domanda, a cui ho pensato spesso,
dopo i nostri incontri. Lei è il Diavolo, vero? Lei così ha detto»
«Sì, sono il Diavolo. Non ho la coda, né il piede caprino, né le corna,
lei capisce, anche se siamo quasi a Carnevale…»
«Capisco. Mi può spiegare una cosa? Lei è il nemico di Dio, vero? E
Dio è onnipotente, no? E allora, come mai questa guerra non finisce
mai? Perché non vince? O deve finire col Giudizio Universale? Ma
anche dopo di quello, ci vorrà ben qualcuno che guardi coloro che
sono rimasti all’Inferno…»
«All’Inferno? Lei crede all’Inferno?»
D I V A G A Z I O N I • • • • • • • • • 117•
te per vivere bene, e quando Dio gli ricorda la sua potenza, l’universa-
le, cioè che piove e lui si bagna, o cade per terra, quello s’arrabbia…
Mi pare logico».
«Secondo Lei, quindi, la lotta non è fra il bene e il male, ma fra l’uomo
e Dio. E lei tiene per l’uomo…»
«Le pare una novità? Si ricorda quel toscano, qui da voi, Satana, Sata-
na o ribellione, e quant’altro… L’aveva già detto. Lei l’ha letto?»
«Sì»
«O forza vindice della ragione? che poi era un treno… Carducci ado-
rava i treni… si ricorda dei cipressi?»
«Sì, certo. E in questa guerra, l’uomo, microscopico, sperduto nell’U-
niverso dopo il Big Bang, lotta da solo contro tutto…»
«Contro tutto quel po’ po’ di roba, sì. Niente male, no? Coraggioso, il
giovanotto!»
«Sì, ma l’uomo muore, dura poco…»
«…ma intanto finché è vivo ne fa degli altri… non è poi così debole. Sa
imparare e con il mio aiuto chissà dove andrà. Diamogli tempo, è da
poco che sta qui, crescerà».
«Quindi lei è amico del progresso, delle macchine, della velocità, delle
esplorazioni spaziali…»
«Sono amico dell’uomo, io. Lei lo chiama progresso, ma lei capisce,
io sono eterno e le parole che implicano il tempo le trovo ostiche … mi
scusi, nessuno è perfetto».
«Me lo dice sempre, questo».
«Perché io dico la verità, o perlomeno quello che credo che sia la
verità».
«Ma l’uomo, è piccolo, indifeso, ha paura della morte…»
«Sì, ha paura della morte. Morto lui, non c’è più niente, si capisce che
ne ha paura! E i preti ci hanno costruito sopra, e gli uomini vivono
ancor più nella paura… ma per fortuna, finché sono vivi si comporta-
no come se fossero immortali… ci ho messo uno zampino anch’io, e
quindi ognuno continua a fare cose come se dovesse, lui solo, l’uni-
co, durare millenni».
«Guardi che la medicina sta distruggendo quest’ignoranza, quest’i-
dea di non sapere quando…»
«È vero. Ma anche se lo sa, spera sempre di non morire, no? e allo-
ra…”
«Sarà anche vero. Ma rimane pur sempre un punto oscuro. Lei non mi
ha spiegato il bene e il male…»
«Sa, io di filosofia morale… non sono ferratissimo. Il bene è ciò che è
bene per l’uomo».
«Basta così?»
«Le pare poco? Mi scusi, ma qui comincia a piovere, e lei non vuole
mai che io la faccia smettere…»
Guardo in alto. Piove forte. L’uomo col Burberry non c’è più.
S C A F F A L E • • • • • • • • 119•
La Polonia,
un paese vicino
di Kamila
Kowalska- “LA POLONIA TRA IDENTITÀ
Angelelli NAZIONALE E APPARTENENZA
EUROPEA”, LITHOS EDITRICE
2007, PAGG.591, EURO 18,00
L
Primo numero, 2007
La Polonia tra identità nazionale e appartenenza europea è il titolo del primo volume di una
rassegna annuale, che vuole proporre al lettore italiano una rifles-
sione eclettica su questo Paese che da ‘lontano’ è divenuto recen-
temente e, a pieno titolo, ‘vicino’. È una pubblicazione del tutto
singolare, curata «da chi in Polonia si è occupato della cultura ita-
liana» e da chi, invece, in Italia ha abbracciato la questione polac-
ca, nell’assoluta molteplicità dei rispettivi aspetti e tematiche.
Da una base simile, il risultato finale non poteva essere che un
mosaico assai stimolante per chi sente la curiosità di approfondire
la conoscenza di questo Paese «dell’Europa rapita», definizione
usata da Milan Kundera e richiamata dagli ideatori del volume, che
sebbene riconosciuto a livello politico come ‘pienamente’ europeo
solo il 1 maggio del 2004, in realtà lo è stato da sempre.
Il tema chiave della rassegna è quello «dell’unità nella diver-
sità», e come propongono gli autori, anche «dell’apprezzamento
di ciò che è differente». In questa ottica, nelle varie parti del libro, si
passa dai discorsi sugli aspetti storici, sulla geopolitica, sui rap-
porti fra Polonia e Italia per soffermarsi successivamente sulle
tematiche della cultura più o meno odierna, percepita, però, nel
modo maggiormente ampio possibile. Si analizzano quindi la let-
teratura, l’arte della traduzione, lo stile e la lingua, la musica, il
cinema, la pittura, la fotografia, la società, i luoghi, gli eventi e tan-
to altro. Un accenno particolare va, anche con una forte convinzio-
ne, ad un capitolo peculiare dal titolo Cercasi editore, dove vengo-
no presentati i libri polacchi che gli autori del volume vorrebbero
vedere tradotti in lingua italiana.
•120 • • • • • • • • S C A F F A L E