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Agli inizi del secolo si era riproposta tra i letterati la cosiddetta "questione della lingua". Il
desiderio, largamente sentito, di superare i limiti del volgare, rendeva urgente definire il
modello della lingua italiana e dello stile letterario. Uno dei i primi e più attivi animatori del
dibattito fu il veneziano Pietro Bembo ( 1470 - 1547 ). La sua opera di filologo, di critico, di
poeta, incanalò le aspirazioni della nuova cultura in una precisa direzione: le regole, i canoni
della lingua italiana si dovevano cercare, a suo giudizio, nella letteratura del Trecento, più
particolarmente in Petrarca per la poesia, nel Boccaccio per la prosa, con una spiccata
direzione per il primo dei due.
Il Bembo fu l'iniziatore del petrarchismo rinascimentale: negli Asolani ( 1505 ) congiunse la
lirica d'amore al pensiero platonico, nelle Prose della volgar lingua ( 1525 ) sostenne che il
linguaggio petrarchesco era il linguaggio assoluto e supremo della poesia italiana.
Il Canzoniere del Petrarca fu dunque il modello dal quale ricavare le regole del
comportamento letterario ( lessico, versificazione,stile ) e le forme espressive. La poesia
d'amore del Cinquecento accolse le indicazioni del Bembo e fu, con rare eccezioni,
petrarchista. Finché questa scelta non fu un fatto di moda e di costume.
Le poesie d'amore che furono tradotte in suono nei madrigali entrano tutte in questo quadro:
erano opere del Petrarca, anche di Boccaccio e di Dante, ma soprattutto dei maggiori poeti
del sec. XVI: Jacopo Sannazaro, Ludovico Ariosto e, più, i petrarchisti: il Bembo stesso,
Giovanni della Casa, Annibal Caro, Luigi Tansillo; più avanti Torquato Tasso, Giovan
Battista Guarini; altre ai minori.
L'univocità del genere ( lirica d'amore ) e dello stile ( petrarchesco ) non condizionava il
panorama espressivo che, al contrario, era ricco di toni e di climi: descrittivo, narrativo,
meditativo; idillico, psicologico, naturalistico, pittorico; sentimentale, sensitivo, sensuale;
patetico, appassionato.
Questa varietà di accenti e colori espressivi si propose alla ri-creazione attraverso il suono
delle voci del madrigale.
Intorno alla metà del secolo si precisò la scrittura e la struttura di quello che fu
definitivamente il madrigale. Decisivo fu il passaggio dall omoritmia allo stile
contrappuntistico. Il madrigale permutò dal mottetto la struttura a episodi concatenati, nella
quale brani nello stile del contrappunto - a volte imitato, a volte libero - si alternavano ad altri
che procedevano omoritmicamente.
Si affermarono in questa fase le composizioni a 5 voci ( ma si continuò anche a comporre
madrigali a 4 voci ) e il cromatismo.
La scrittura a 5 voci conferiva ai madrigali una sonorità più piene e permetteva di spezzare il
procedere insieme in tutte la parti, introducendo episodi a 3 voci ( anche a 2 o a 4 ), con
varietà di combinazioni ed efficacia maggiore di effetti.
Sui frontespizi di alcune raccolte pubblicate dopo il 1550 apparve la locuzione Madrigali
cromatici. Testimonianza di una approfondita ricerca espressiva, il cromatismo significava
due cose diverse: l'impiego di valori di durata piccoli ( crome ) e l'uso di intervalli melodici si
semitono che spezzavano l'andamento diatonico.
Personalità centrale di questo periodo fu Cipriano de Rore, che dal suo maestro Willaert
derivò l'interesse per l'impiego del cromatismo. Rappresentanti insigni di questa fase del
madrigale furono Andrea Gabrieli, il Palestrina, Annibale Padovano, e gli oltremontani
Orlando di Lasso e Filippo de Monte.
La fase più matura e ricca di risultati artistici coincise per il madrigale con gli ultimi decenni
del secolo XVI e l'inizio del XVII, l'epoca alla quale appartengono le raccolte date alla
stampa da Luca Marenzio, Gesualdo da Venosa e Claudio Monteverdi.
Fu in questa fase che il processo di integrazione tra le parole e la musica toccò il segno più
alto. In vari modi e su diversi piani i compositori perseguivano l'interpretazione musicale
della parola: osservanza delle strutture prosodiche delle frasi e dei versi, uso di figurazioni
melodiche che riproducevano il significato lessicale di determinate parole ( i cosiddetti
madrigalismi: so-spir, tremolar, greve, scendere ecc. ), imitazioni degli effetti, dei moti
psicologici, dell intensificarsi e del variare dei sentimenti. Quanto più musica si piegava a
definire la forma e il significato delle parole, tanto più cresceva la bellezza del madrigale.
L'impegno dell'integrazione con la parola creò melodie più duttili, varie e complesse, fece
spazio a intervalli di uso inconsueto, salti ascendenti e discendenti, ma anche sillabazioni
recitative su una sola nota o con brevi moti intervallati.
Anche la struttura armonica diventò più ricca e varia. Come nella fase precedente, i
madrigali si presentavano come una successione di brani, spesso incastrati uno con quello
che seguiva; il contrappunto, imitato e non, a 4, 5 o 6 voci, era intercalato da episodi
omoritmici. Oltre ai citati Marenzio, Gesualdo e Monteverdi, ebbe notevole fama Giaches de
Wert, maestro prima alla corte di Mantova, poi al servizio di Alfonso II d'Este. Alla corte di
Ferrara egli costituì il "concerto delle dame", un complesso formato di gentildonne della
corte, cantatrici di livello professionale, per il quale composero molti maestri, tra i quali
Luzzasco Luzzaschi.
La maturità estrema del madrigale coincise con la sua massima diffusione europea. Tra la
fine del XVI e l'inizio del XVII secolo il linguaggio musicale colto sovranazionale era costituito
dal madrigale. Come già avevano fatto i fiamminghi Orlando Di Lasso e Filippo de Monte,
pubblicarono madrigali italiani, tra altri, Heinrich Sch�tz, Hans Leo Hassler, Jan Peterszoon
Sweelinck. ( Sulla nascita di una scuola madrigalistica inglese, vedi più avanti. )
I massimi madrigalisti furono Luca Marenzio, Carlo Gesualdo principe di Venosa e Claudio
Monteverdi.
MARENZIO
Le sue composizioni sono tra le più mature testimonianze della polifonia vocale
rinascimentale profana. La fama di Marenzio è essenzialmente legata al genere del
madrigale, che occupa gran parte della sua produzione musicale, svolta in circa due
decenni, nel corso dei quali produsse dieci libri di madrigali a cinque voci, tra cui uno di
madrigali spirituali.
Le composizioni più tarde mostrano la tendenza verso una scrittura più moderna rispetto a
quella del periodo precedente; infatti, dal Sesto libro de madrigali a cinque voci del 1594,
Marenzio sviluppò uno stile declamatorio, ispirato dalle istanze della Camerata fiorentina e al
melodramma incipiente, e utilizzò in gran parte i testi poetici di Petrarca, Sannazaro, Tasso
e Guarini. Marenzio fu uno dei principali interpreti della moda, tipica della musica reservata
cinquecentesca, di musicare i versi di Petrarca (in senso al cosiddetto petrarchismo
musicale). Alcuni madrigali sono particolarmente esemplificativi di questo orientamento:
Zefiro torna e'l bel tempo rimena (a 4 voci) e Solo e pensoso (a 5 voci), basati sugli omonimi
sonetti del Canzoniere.
Marenzio compose anche musica sacra, sebbene questa non sia la parte più significativa
della sua opera – né per numero, né per stile – probabilmente perché la sua attività fu legata
a servizi di corte piuttosto che ecclesiastici.
La sua fama rimarrà insuperata fino alla comparsa della generazione dei giovani
compositori, come Claudio Monteverdi, che abbracceranno definitivamente le nuove
tendenze proprie della musica barocca, con l'uso prevalente della monodia e la presenza
sistematica di accompagnamento strumentale e polifonico.