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1 L’Universo newtoniano
La Fisica studia i fenomeni che accadono in quello che ordinariamente chi-
amiamo Universo. Per comprendere meglio la visione dell’Universo newtoni-
ano conviene immaginare di costruire un tale universo. Il punto di partenza
dell’Universo newtoniano è uno spazio vuoto che possiamo immaginare come un
grande contenitore (infinito!). Dentro a questo contenitore potremo porre man
mano quello che ci occorre. Avremo, per prima cosa, bisogno di un osservatore
perché senza di esso non potremo esaminare gli eventi che si manifesteranno e
intendiamo studiare. Esso avrà un orologio e un metro. Nella meccanica newto-
niana l’osservatore e le sue operazioni non influenzano in alcun modo il sistema
fisico.
Poniamo in esso la prima particella. Secondo Newton sappiamo già tutto
sul possibile moto di questa particella singola: la particella rimane ferma se era
ferma quando è stata creata oppure si muoverà di moto rettilineo uniforme se
aveva inizialmente una velocità diversa da zero. Quest’affermazione, sulla quale
ritorneremo, è nota come Primo Principio della Dinamica o Principio d’Inerzia.
Non potendo fare altro proseguimo nella nostra costruzione dell’Universo
newtoniano. Aggiungiamo la seconda particella. Con l’arrivo della seconda par-
ticella si può procedere alla costruzione della meccanica newtoniana. Indichiamo
con 1 e 2 le due particelle che supporremo, ovviamente puntiformi.
L’osservatore è ora in grado di fare le sue prime osservazioni sperimentali e
quest’ultime mostrano che i due punti materiali esercitano un’azione reciproca
l’uno sull’altro e queste azioni hanno carattere vettoriale.
E’ importante sottolineare che la costruzione della meccanica newtoniana
necessita, come ipotesi fondamentale, l’assunzione dell’esistenza di almeno due
punti materiali. Infatti, per avere il movimento di un punto materiale 1, ci deve
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sempre essere almeno un secondo punto 2, che con la sua azione sul primo ne
determina il moto. Inoltre, poiché i due corpi, istante per istante, interagiscono
tra di loro, anche il punto materiale 2 si muove in seguito all’azione del punto
materiale 1. Allora, un punto materiale, in presenza di un secondo punto ma-
teriale, è nello stesso tempo, soggetto ad una azione e produttore di un’azione.
Questo è un risultato molto importante, perché vuol dire che nella fisica new-
toniana, un punto materiale non può esercitare alcuna azione su se stesso. É
sempre almeno un’altro punto materiale, esterno al punto materiale di cui stu-
diamo il moto, che esercita l’azione che produce il moto del punto materiale in
esame.
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1.3 Misura della massa inerziale
Possiamo aggiungere altri punti materiali al nostro Universo. Ogni nuovo punto
materiale che aggiungiamo eserciterà su ciascuno dei precedenti due punti una
forza. Indicheremo con Fe1 la risultante delle forze esterne al sistema dei due
punti materiali e agenti sul punto materiale 1, mentre con Fe2 la risultante delle
forze esterne al sistema dei due punti materiali e agenti sul punto materiale 2.
Data la natura vettoriale delle forze, le risultanti delle forze agenti sui punti
materiali 1 e 2 si possono scrivere
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punti materiali: dobbiamo ritornare all’Universo fatto da solo due punti mate-
riali. Senza questa ipotesi, che è comunque un’approssimazione della realtà, non
è possibile costruire la meccanica newtoniana. Questo è un punto fondamentale
che mostra, fin dai primi passi, il valore approssimato di una legge fisica, in
questo caso le leggi di Newton, rispetto alla complessità del mondo reale.
L’ipotesi di assunzione di assenza di forze esterne, se si pensa al sistema
Sole-Terra, significa che si deve poter trascurare l’effetto delle forze esercitate
non solo degli altri pianeti e della Luna, ma anche quello di tutti gli altri corpi
dell’universo. In altre parole, occorre ipotizzare che tutte le forze esterne al
sistema, che abbiamo indicato con Fe1 e Fe2 , siano nulle. In tal caso, il sistema
dei due punti materiali è detto isolato:
Con questa approssimazione, le relazioni che legano le forze agenti sui due
corpi, le loro masse e le loro accelerazioni
F12 = M1 a1 − F12 = M2 a2
da cui deduciamo che
M2 |a1 |
= (6)
M1 |a2 |
In un sistema isolato di due punti materiali, i corpi si inducono una recip-
roca, ma differente accelerazione; le due accelerazioni sono in rapporto inverso
al rapporto tra le loro rispettive masse inerziali. Misurando le accelerazioni,
reciprocamente indotte, tra i due punti materiali che costituiscono il nostro sis-
tema isolato, è possibile misurare il rapporto tra le due masse inerziali dei punti
materiali.
Allora, le accelerazioni reciproche consentono solo di conoscere il rapporto
tra le masse e non il valore di ciascuna di esse. Per fare questo ulteriore passo si
stabilisce, in maniera arbitraria, il valore della massa inerziale di un corpo come
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unitario (massa campione), in un dato sistema di unità di misura. Fatto ciò,
il valore di tutte le altre masse inerziali dei corpi si possono misurare facendoli
interagire con la massa campione e misurandone le accelerazioni reciproche.
L’osservatore che, fin ad ora, portava solo un metro e un orologio, per poter
individuare i punti materiali, ora deve portarsi dietro anche l’unità di massa. Il
sistema di unità di base si allarga alla terza unità: la massa.
L’unità di misura della massa, nel Sistema Internazionale, è il chilogrammo
(kg). La dimensione della massa sarà indicata con [M ].
Le dimensioni della forza sono di una massa per una lunghezza diviso per il
quadrato del tempo
[M L]
F =
[T 2 ]
Nel Sistema Internazionale (S.I.) l’unità di misura della forza è chiamata
Newton ( N ). Un Newton è definito pari a quella forza che imprime ad un
corpo di massa pari ad un chilogrammo un’accelerazione di un metro al secondo
quadro.
Concludiamo osservando che il vettore forza è un vettore applicato, vale a
dire, per esso è importante specificare esattamente su quale punto materiale
agisce.
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interagisce. Poiché quest’ultima è l’unica quantità fisica del corpo 1 che varia, in
seguito all’azione esterna delle forze, si può tentare di estrarre dalla conoscenza
dell’accelerazione dei corpi le informazioni sul moto della particella 1. Una tale
argomentazione si dimostra fondata e si può rendere quantitativa postulando
che la relazione tra forza ed accelerazione è anche un’equazione, nota come
Seconda legge di Newton o equazione fondamentale della dinamica. Il passaggio
da relazione di definizione ad equazione non è dimostrabile ma è assunto. In
altre parole, il fatto che l’equazione
Ma = F (7)
sia in grado di descrivere e spiegare il movimento dei corpi non può essere
dimostrato a priori, ma è un piacevole risultato verificabile a posteriori.
In questa nuova ottica, cioè come equazione fondamentale della meccanica
noi daremo la seguente interpretazione e prescrizione per il suo uso: In natura
esistono diversi tipi di forze (la forza di gravitazione universale o quella Coulom-
biana, per esempio) le cui espressioni vanno sostituite nel secondo membro della
(7) e rappresentano le cause del movimento. L’unica incognita che resta da de-
terminare nella (7) è allora l’accelerazione, che si può interpretare come l’effetto
prodotto dall’applicazione della forza.
La conoscenza dell’accelerazione ci consente di risolvere il problema del moto,
perché nota l’accelerazione, possiamo dedurre prima la velocità e poi la po-
sizione. Il metodo che consente di ottenere dall’accelerazione, prima la velocità
e poi la posizione è l’integrazione. Essa, per questa sua proprietà, può essere
intesa come operazione inversa della derivazione.
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M1 a1 = Fe1 + F12 (8)
ovvero
M1 a1 = F1 (9)
Questa approssimazione delle equazioni del moto dei due punti materiali è
detta equazione del moto del punto materiale. Conclusione: anche il moto di un
punto materiale è, a posteriori, incluso, come un’approssimazione, all’interno
della meccanica newtoniana. Tuttavia è palese che, non potendo la forza agente
sulla particella, avere origine sulla particella stessa, vi deve essere un restante
Universo che esercita la sua forza sulla particella stessa.
Osservazione: stiamo assumendo che il corpo M1 non esercita alcuna in-
fluenza rilevante sul restante Universo. In tal modo, quest’ultimo non si modifica
e a sua volta non rimodifica il moto di M1 .
M1 a1 = F1
dove F1 è la risultante di tutte le forze agenti su M1 ed a1 è l’accelerazione
di M1 prodotta dalle forze agenti su di esso. Se su M1 si possono trascurare le
azioni di tutte le forze, cioè se possiamo porre
F1 = 0
nella precedente equazione, allora M1 a1 = 0 e la sua accelerazione è nulla:
∆v1
a1 = 0 → lim =0
∆t→0 ∆t
Questo vuol dire che, qualunque sia l’intervallo tenporale ∆t che si considera
durante il moto del punto materiale, avremo
∆v1
=0
∆t
cioè
v1 (t + ∆t) = v1 (t)
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Quando il vettore velocità di un punto materiale non muta nel tempo si dice
che si muove di moto rettilineo uniforme
Allora, un punto materiale, non soggetto a forze, si muove di moto rettilineo
uniforme. (Prima legge di Newton o principio di inerzia di Galileo).
I sistemi di riferimento in cui vale il principio di inerzia o, in modo equiv-
alente, i sistemi nei quali vale l’equazione fondamentale, sono detti sistemi in-
erziali.
Osservazioni: Abbiamo derivato il principio d’inerzia dall’equazione fon-
damentale. Di conseguenza dovremmo concludere che il principio d’inerzia è
superfluo una volta assunta la validità dell’equazione fondamentale. In realtà,
questa conclusione è errata. Infatti, nel costruire il modello newtoniano di
meccanica abbiamo sottolineato il prerequisito di un Universo fatto di almeno
due punti materiali. Il moto del punto materiale è fuori dal modello newtoni-
ano e solo l’esistenza del principio d’inerzia può riempire il vuoto concettuale
dell’universo fatto da un solo punto materiale. In altre parole, si affermare il
Primo Principio nel modo seguente: Nella meccanica Newtoniana è possibile in-
cludere anche l’Universo fatto di un solo punto materiale, ma in tale Universo
il punto materiale o è fermo o si muove con velocità costante, come avevamo
affermato all’inizio di questo capitolo.
Inoltre, il Primo Principio confermando la validità dell’equazione
M1 a1 = 0
afferma, anche se in un caso particolare (assenze di forze), che la relazione
che lega le forze con le accelerazioni è una equazione (equazione fondamentale).
Allora, assumere l’esistenza del Primo Principio, serve a giustificare l’esistenza
dell’equazione fondamentale e completa il mondo newtoniano consentendo di
trattare anche il singolo punto materiale.
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nell’Universo. Abbiamo però un problema. Non potendo misurare le acceler-
azioni non siamo in grado di assegnare il valore della massa al punto materiale
(lo spazio assoluto, tuttavia esiste indipendentemente dalla presenza del nostro
unico corpo). Abbiamo bisogno di almeno un’altro corpo. Aggiungiamolo al
nostro Universo. Adesso siamo in grado di assegnare al nostro punto materiale
(ed al nuovo corpo) la sua massa inerziale e possiamo descrivere il loro moto in
ogni momento. Allontaniamo il secondo corpo e portiamolo, man mano, sempre
più lontano. Possiamo ipotizzare che ad una distanza ”infinita” il punto mate-
riale non ”sentirà” più il secondo corpo che avevamo aggiunto (identico discorso
vale per il secondo corpo) e il punto materiale ritornerà ad essere isolato e,
quindi, si muoverà di moto rettilineo uniforme.
La prima considerazione che possiamo fare sulla precedente ”operazione”
è quella che l’esistenza di un sistema di riferimento (che abbiamo chiamato
inerziale), rispetto al quale il moto di un corpo è rettilineo uniforme, è palese-
mente solo un’esistenza ”limite”, ovvero solo concettuale, perché non sappiamo
precisare correttamente cosa voglia dire ”portare un corpo a distanza infinita
tanto da non sentire la sua influenza”. Quindi, l’affermazione che "l’equazione
fondamentale è valida in un sistema inerziale" oppure che "un sistema inerziale
è quello in cui vale l’equazione fondamentale", oltre che essere tautologica, è
anche da considerarsi come affermazione valida solo approssimativamente.
La seconda considerazione riguarda la struttura geometrica dello spazio. Essa
è, come abbiamo già detto, quella euclidea e non muterebbe se nell’universo
cambiasse il contenuto di materia perché lo spazio è solo un contenitore della
materia e degli eventi che in esso accadono.
Prima di passare alla discussione del tempo assoluto svolgiamo qualche con-
siderazione sul concetto di massa. Se un punto materiale è isolato, la sua massa
non è influenzata dalla presenza ”all’infinito” del secondo corpo: la massa di un
corpo è, per Newton, una proprietà intrinseca dei corpi che non dipende dalla
distribuzione di materia (su larga scala) dell’Universo. Ma noi abbiamo deter-
minato la massa inerziale del punto diventato successivamente isolato, usando
proprio il secondo corpo e la sua massa, che ora non sembra avere alcun influenza
sul primo corpo. Se crollasse l’ipotesi di un sistema isolato, cioè del principio
d’inerzia, forse il valore della massa di un corpo potrebbe anche dipendere dalla
distribuzione di materia, su larga scala, dell’universo.
Come si vede, la definizione del quadro generale all’interno del quale è stata
costruita la meccanica Newtoniana presenta non pochi problemi.
Passiamo al concetto di tempo newtoniano. Il tempo, secondo Newton, è
assoluto. L’orologio del riferimento assoluto scandisce il tempo assoluto. Esso,
ovviamente, scorre in modo uniforme e non è influenzato dalla materia contenuta
nell’universo (né influenza la materia e il moto di essa). Risulta difficile pensare
allo scorrere del tempo senza un fenomeno periodico; di conseguenza, senza la
materia non avremmo lo scorrere del tempo.
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6 Esempi di forze newtoniane
Per poter risolvere il problema del moto di un punto materiale, occorre conoscere
l’espressione della forza (o delle forze) cui esso è sottoposto. In questo paragrafo
presenteremo e discuteremo di alcune leggi di forza. Quando si potrà indurre
un qualunque equivoco (vedi cap. ottavo) tutte le forze di cui parleremo in
questa sezione saranno indicate col nome di forze newtoniane e la loro comune
caratteristica è la chiara determinazione della loro origine: esse si originano su
corpi diversi da quello su cui agiscono.
Occorre innanzitutto precisare che le forze newtoniane possono essere divise
in due categorie concettuali: le forze fondamentali (per esempio la forza gravi-
tazionale e quella elettrica) e quelle non fondamentali (la forza elastica, quella
di attrito, la reazione vincolare etc.).La differenza tra le due categorie è che le
seconde, almeno in linea di principio, si possono dedurre dalle prime. Tuttavia,
nel caso di fenomeni macroscopici (e l’oggetto della Meccanica Newtoniana è la
realtà macroscopica) sarebbe molto complicato, se non addirittura impossibile
nella pratica, procedere alla risoluzione del problema del moto partendo dalle
leggi fondamentali. Perciò, per ragioni pratiche, è conveniente introdurre espres-
sioni di forze non fondamentali che, dal punto di vista tecnico, semplificano la
risoluzione del problema del moto.
Fp = mg (10)
Come la massa inerziale, anche la massa gravitazionale di un corpo è una
proprietà dei soli corpi.
Il vettore accelerazione di gravità g, in ogni punto dello spazio vicino alla su-
perficie della Terra, ha la direzione ed il verso del filo a piombo. Il modulo di g,
sebbene di poco, varia da una regione ad un’altra dello spazio intorno alla Terra.
In regioni limitate dello spazio, vicino alla superficie della Terra, l’accelerazione
di gravità si può considerare costante in modulo, direzione e verso.
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6.2 Gravitazione universale e massa gravitazionale
La forza peso, descritta brevemente nella sezione precedente, è una forma ap-
prossimata di una forza fondamentale detta forza di gravitazione universale.
Cercheremo di mostrare come Newton arrivò alla sua comprensione. Lo faremo
attraverso due passi sostanziali. Il primo è la comprensione che per mantenere
un corpo in moto su di una circonferenza occorre l’azione di una forza e il secondo
che se si assumono vere le leggi cinematiche di Keplero, la forza che mantiene
i pianeti intorno al Sole ( o la Luna intorno alla Terra) non può essere la forza
peso ma deve essere una forza che deve dipendere da 1/r2 , dove r è la distanza
del pianeta dal centro del Sole.
Trattiamo il primo punto esaminando il moto circolare. Il moto circolare
si presta molto bene a capire la grande rivoluzione concettuale che la mecca-
nica newtoniana ha operato rispetto alla tradizione aristotelica, in particolare
rispetto a quella separazione che vi era stata tra la ”fisica” del Cielo e la ”fisica”
della Terra che la tradizione greca aveva tramandato. Scriveva Aristotele:
”Si può ora dimostrare chiaramente che il moto primordiale è quello circo-
lare. Ogni moto, come abbiamo già detto prima, è circolare o rettilineo o misto;
e i due primi devono essere anteriori al terzo poiché sono gli elementi di cui
quest’ultimo consiste. Inoltre, il moto circolare è anteriore a quello rettilineo
perché è più semplice e perfetto, il che si può dimostrare come segue. La linea
retta percorsa dal moto rettilineo, non può essere infinita, perché non esiste nulla
di simile a una linea retta infinita; e anche se esistesse, non sarebbe percorsa da
alcunché in moto: giacché l’impossibile non accade ed è impossibile percorrere
una distanza infinita. D’altro canto, il moto rettilineo lungo una retta finita, se
ritorna indietro è un moto misto, anzi forma due moti, mentre se non torna in-
dietro è imperfetto e perituro, e, nell’ordine della natura, della definizione e del
tempo il perfetto è anteriore all’imperfetto e l’imperituro al perituro. E ancora,
un moto che ammette la possibilità di essere eterno è anteriore ad uno che non
lo è. Orbene, il moto circolare può essere eterno: ma nessun altro moto, sia
esso trasporto o sia moto di qualunque specie, può essere tale, perché in tutti
questi altri movimenti deve avvenire un arresto, e col verificarsi di un arresto
cessa il moto. Inoltre, è risultato ragionevole che il moto circolare sia unico
e continuo, mentre quello rettilineo non lo è. Nel moto rettilineo è fissato un
punto di partenza, un punto d’arrivo e un punto di mezzo.....invece, nel moto
circolare tali punti sono indeterminati:.....ogni punto alla pari di ogni altro è
insieme punto di partenza, punto di mezzo e punto di arrivo”.
Vediamo cosa prevede la meccanica newtoniana perché si realizzi il moto
circolare. Supponiamo di voler descrivere il moto della Luna intorno alla Terra
e supponiamo che tale moto sia circolare. Sia r il raggio dell’orbita. Supponiamo
che, ad un certo istante la Luna si trovi nel puntoA.
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Se non ci fossero forze, la Luna, per il principio d’inerzia, andrebbe in B con
un moto rettilineo uniforme. Quindi
AB = v∆t
AB 2 = 2r · BC + BC 2
Per ∆t piccolo, la precedente equazione si può approssimare con (l’approssimazione
è tanto migliore quanto più è piccolo ∆t):
AB 2 ∼
= 2r · BC
Sostituendo in tale espressione i valori di AB e BC troviamo il valore dell’accelerazione
(moltiplicando per la massa della Luna avremmo la forza agente sulla Luna)
necessaria a tenere la Luna sulla circonferenza,
v2
a∼
= (11)
r
Nel limite dell’intervallo di tempo tendente a zero, l’ultima relazione diventa
un’uguaglianza. Conclusione: il moto della Luna non può avvenire senza la
presenza di una forza, perché un corpo per muoversi su di una circonferenza
deve essere soggetto ad una forza esterna. Il risultato è in contrasto con le
affermazioni di Aristotele.
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Allora, seguendo Newton, diremo che deve esistere una forza che costringe la
Luna a girare intorno alla Terra. Lo stesso tipo di analisi vale per un qualunque
pianeta che giri intorno al Sole. Il nostro scopo, ora, è determinare, in maniera
esplicita, la forma di questa forza. Assumeremo vera, con Newton, la terza
legge di Keplero (essa è il risultato di un’analisi accurata fatta da Keplero sulle
osservazioni astronomiche di Ticho Brake e stabilisce che i quadrati dei periodi di
rotazione dei pianeti sono proporzionali ai cubi delle distanze dal Sole) e faremo
l’ipotesi (semplificatrice) che i pianeti si muovono di moto circolare uniforme
su orbite circolari. Mostreremo, come fece Newton, che vi deve essere una
forza, prodotta dal Sole e agente sui pianeti (ovvero dalla Terra sulla Luna)
che è inversamente proporzionale al quadrato della distanza reciproca (forza di
gravitazione universale).
Abbiamo mostrato che un corpo in rotazione è soggetto ad una accelerazione
data da
v2
a=
r
Se indichiamo con T il periodo di rotazione sull’orbita, avremo vT = 2πr, e
la precedente relazione diventa:
4π2 r
a= (12)
T2
D’altra parte abbiamo assunto la validità della terza legge di Keplero
T 2 = k0 r 3 (13)
dove k0 è una costante di proporzionalità. Sostituendo tale relazione nella
(12) avremo:
4π 2 1
a= (14)
k0 r2
Infine, usando la definizione di Forza F = M a, troveremo la forma della
forza che mantiene i pianeti in orbita intorno al Sole:
4π2 M 1
F = (15)
k0 R2
Ma Newton non si è fermato al solo moto dei pianeti intorno al Sole. Egli
ha intuito che la forza responsabile del moto dei pianeti intorno al Sole aveva
un carattere universale.
Egli, infatti, affermò che tutti i corpi dell’universo sono soggetti e ne sono
loro stessi sorgenti della forza di Gravitazione universale.
Più precisamente, egli affermò che tra due corpi puntiformi si esercita una
mutua attrazione (forza gravitazionale) che è diretta lungo la congiungente i
due corpi e il cui modulo è espresso dalla relazione,
m1 m2
FG ≡ kG (16)
r2
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dove m1 ed m2 sono due costanti intrinseche di ciascun corpo, dette masse
gravitazionali, r è la distanza tra le due particelle e G una costante che dipende
solo dalle unità di misura scelte.
La massa gravitazionale è, in principio, differente dalla massa inerziale di
un corpo: la prima caratterizza la forza con la quale un corpo viene attirato
(e attira) da un altro corpo, secondo la (16), mentre la massa inerziale è una
misura della difficoltà di un corpo a farsi variare di velocità.
Osservazione: Vogliamo subito precisare che affermare la validità della
(16) non significa, in alcun modo, spiegare la natura e l’origine della forza di
gravitazione universale. Nella meccanica che stiamo costruendo le varie forme
di forze non sono spiegate, ma solo giustificate da una verifica sperimentale. A
tale proposito riportiamo un passo di E. Mach sul problema:
”Per Newton la gravitazione universale era un fatto reale. Egli stesso disse
di non essere riuscito a trovare una spiegazione di questo fenomeno, né di aver
su esso inventato ipotesi. Che il problema però continuasse a occuparlo lo si vede
da una sua nota lettera a Bentley. Gli sembrava assurdo ammettere che la grav-
itazione sia essenziale e intrinseca alla materia, così che un corpo possa agire
direttamente su un altro attraverso lo spazio vuoto; né volle decidere se l’agente
intermedio fosse materiale o immateriale (spirituale?). Come altri scienziati
prima e dopo di lui, Newton ha sentito il bisogno di spiegare la gravitazione
con una specie di azione per contatto. É comunque certo che i risultati che
egli ottenne in astronomia, assumendo a fondamento della deduzione le forze a
distanza, mutarono in modo considerevole lo stato della scienza. Gli scienziati
presero l’abitudine di considerare le forze a distanza come il dato da cui muove
ogni spiegazione, lasciando cadere il problema della loro origine.”.
Per sviluppare una teoria delle interazioni, per azioni a contatto, bisognerà
attendere i lavori sul campo elettromagnetico svolti da Faraday e Maxwell. Oc-
corre, tuttavia, avvertire fin d’ora, che mentre ambedue le formulazioni (azioni
a distanza e azione per contatto) sono possibili in un ambito di fenomeni che
si svolgono a velocità basse paragonate con quelle della luce, nella fisica delle
particelle veloci (particelle elementari) solo una descrizione in termini di campo
è fisicamente possibile. La forza di gravitazione universale troverà una sua sp-
iegazione solo in tale ambito.
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Quindi, un corpo poggiato al suolo avrà dal centro della Terra una distanza RT ,
che rappresenta il raggio della Terra (i valori del raggio e della massa della Terra
sono RT = 6, 34 × 103 km e mT = 5, 98 × 1024 kg).
a1 = g
ovvero, il secondo membro della (18) deve essere costante e indipendente dai
corpi:
m1 mT
g∼
=− kG 2 ur
M1 RT
Allora, possiamo affermare che, l’accelerazione g è diretta dal corpo al centro
della Terra e il sul modulo è
m1 mT
g= kG 2 (19)
M1 RT
Affinché, il secondo membro di tale equazione sia costante e indipendente
m1
dalla massa dei corpi, il rapporto M1
deve essere una costante adimensionale,
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cioè la massa inerziale e quella gravitazionale di un qualunque corpo, devono
essere proporzionali
M ∝m
e la costante di proporzionalità deve dipendere solo dal sistema di unità di
misura adottato.
Facciamo riferimento al Sistema Internazionale. Il valore del modulo dell’accelerazione
g , che si trova alla nostra latitudine è
m
g = 9, 81
s2
Questo vuol dire che possiamo scrivere
¡ ¢2
RT2 m 6, 34 × 106 m
g = kG → 9, 81 × = kG
mT M 5, 98 × 1024 M
ovvero
m m3
kG = 6, 59 × 10−11 2
M s kg
A questo punto occorre fare una scelta. Il valore numerico al secondo membro
m
può fornire il prodotto di M con kG e non il solo valore del rapporto. Si è
convenuto di porre il rapporto tra le masse uguale ad uno:
m
=1 (20)
M
e di associare il valore numerico alla sola costante kG , chiamata costante di
gravitazione universale. Essa sarà indicata con la lettera G:
N m2
G = 6, 59 × 10−11
kg 2
Il valore di G più preciso è 6, 67×10−11 N m2 /kg 2 . Possiamo scrivere la forza
di gravitazione universale
m1 mT
FG = −G ur (17a)
r2
D’ora in poi, parleremo solo di massa associata ad un corpo senza alcuna dis-
tinzione tra inerziale e gravitazionale. Con tale scelta, il valore delll’accelerazione
di gravità (vedi la (19)), può scriversi, per i corpi prossimi alla superficie ter-
restre,
mT
g=G (21)
RT2
Notiamo, tuttavia, che la proporzionalità tra massa inerziale e massa gravi-
tazionale non trova alcuna spiegazione teorica all’interno della teoria Newtoni-
ana ma è una pura conseguenza dell’esperimento di Galilei.
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Con la posizione (21) i corpi che si muovono vicino alla superficie della Terra
e la cui massa è trascurabile rispetto alla massa della Terra, sono soggette alla
forza peso:
FG ∼
= Fp ≡ M g (22)
La direzione di g è lungo la congiungente il centro della Terra e il corpo;
il verso va dal corpo alla Terra. Allora, la forza peso è un’approssimazione
della forza di gravitazione universale. In altre parole, possiamo affermare che
le forze che si esercitano tra i corpi celesti e quelle che si esercitano tra la
Terra e i corpi che gli stanno vicini sono le stesse. In definitiva, Newton ha
mostrato l’unicità della fisica del moto nel cielo e sulla Terra e ciò, nel linguaggio
della Fisica moderna, rappresenta il primo esempio di unificazione tra due forze
apparentemente distinte.
Alcune considerazioni tra massa e peso di un corpo: Un corpo di
un kg, alle nostre latitudini, esperimenta una forza Fp pari a 9, 8N . Ciò vuol
dire che un corpo di massa M = 1kg "pesa" 9, 8N . La massa, ricordiamo, è
una misura della quantità di materia posseduta dal corpo (oppure è una misura
della sua inerzia, oppure una misura del suo contenuto gravitazionale), mentre
il suo peso è la misura dell’azione (forza!) che la Terra esercita su di esso. Su
di un altro pianeta, per esempio, il valore del peso di un corpo (misura della
forza con cui il pianeta lo attira) cambierebbe, mentre il valore della sua massa
rimarrebbe invariato. Quando si usa una bilancia, si fa una misura di intensità
di forza (forza peso), tuttavia, poiché g è la stessa per tutti i corpi, si può dire
che la bilancia misura anche la massa di un corpo.
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6.5 La forza elastica
Alcuni corpi macroscopici, quando sono sottoposti all’azione di una forza es-
terna, subiscono una deformazione solo temporanea. In altri termini, un corpo
macroscopico sottoposto all’azione di una forza esterna si "deforma", ma è in
grado di annullare la deformazione avvenuta, non appena cessa l’azione della
forza esterna. Tale proprietà dei corpi è detta elasticità.
La determinazione della forza elastica con cui il corpo macroscopico reagisce
alle sollecitazioni esterne è, in generale, difficile. Tuttavia per alcuni corpi e
per sollecitazioni esterne di limitata intensità la forza di richiamo elastica ha
un’espressione semplice.
Per fissare le idee useremo il corpo elastico per eccellenza: la molla. Pensiamo
di ancorare una molla ad un soffitto. Se non vi è alcun corpo legato all’altra
estremità, la molla avrà una certa lunghezza, l. Se appendiamo un corpo essa si
allunga (si deforma!) e, per deformazioni non troppo grandi, si può mostrare che
la sua reazione elastica è direttamente proporzionale alla deformazione subita
(il verso è sempre opposto alla deformazione). Allora, particelle legate a molle
deformate sono, sotto certe condizioni, sottoposte ad una forza proporzionale
alla deformazione della molla. Possiamo allora procedere alla definizione di forza
elastica.
Fe ≡ −k (x − x0 ) (24)
dove k è una costante (positiva) detta costante elastica.
La forza elastica agisce sempre nella direzione opposta allo spostamento.
Se l’origine del sistema di riferimento si sceglie nel punto di riposo x0 :
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allora la (24) si può scrivere
Fe = −kx (25)
La (25) viene anche chiamata legge di Hooke. Una forza di questo tipo, come
abbiamo già detto, può essere prodotta da una molla (supposta senza massa)
fissata per un’estremità ad una parete, e collegata con l’altra estremità ad un
punto materiale, libero di scorrere senza attrito su di un piano orizzontale, per
spostamenti sufficientemente piccoli.
Un corpo appeso ad un filo (o fune) lo tende e questo reagisce con una forza
di natura elastica capace di contrastare il peso del corpo. Il corpo resta sospeso
nel vuoto, cioè rimane vincolato.
19
Osservazione: La reazione del vincolo non è dovuta al principio di azione
e reazione. Nel caso del tavolo, per esempio, è la Terra che attira il corpo
verso il suo centro (forza peso) e quindi, per il principio di azione e reazione,
sulla Terra il corpo esercita una forza uguale e di segno contrario. Questa forza
non è disegnata. La reazione vincolare è invece esercitata dal tavolo sul corpo
stesso. In conclusione, sul corpo agiscono due forze, una dovuta alla Terra ed
una dovuta al tavolo. Le forze che obbediscono al principio di azione e reazione,
agiscono su due corpi differenti, in interazione reciproca.
Diremo, allora, che tra i due corpi vi è un attrito statico. Poiché il corpo
non si muove dobbiamo concludere che il tavolo esercita su di esso una forza
uguale e di segno contrario a quella che abbiamo applicato. La situazione di
immobilità del corpo rimarrà tale fino a che, aumentando l’intensità della forza
applicata, non si raggiunge un determinato valore. A questo punto il corpo inizia
a muoversi. Se il valore della forza è tale che, una volta messo in moto, il corpo
si muove con velocità costante, allora, e gli esperimenti lo hanno dimostrato, il
valore della forza di attrito dipenderà dalla natura dei due corpi e dal peso del
corpo (si badi che il valore di tale forza non dipende dalla superficie di contatto
o, se si preferisce, non dipende da ciò che si chiama "pressione": forza agente
sull’unità di superficie).
Infine, sempre sulla base degli esperimenti, si è constatato che l’attrito, che
questa volta chiameremo dinamico, non dipende dalla velocità con cui il corpo
scivola sul piano.
20
Da un punto di vista sperimentale si verifica che la forza necessaria ad "in-
nescare" il moto è più grande di quella necessaria a mantenerlo. Possiamo allora
dire che, all’istante in cui il corpo incomincia a muoversi, l’intensità della forza
di attrito statico è proporzionale al peso del corpo, attraverso un coefficiente di
proporzionalità statico λs ; mentre nel caso dinamico avremo una proporzionalità
con la forza peso espressa da un coefficiente dinamico λ. Si verifica sperimental-
mente che, tra il coefficiente di attrito statico e quello dinamico, si ha la seguente
relazione:
λs ≥ λ
Diamo due esempi di coefficienti di attrito statico e dinamico: Giaccio su
giaccio: λs = 0, 78; λ = 0, 42; acciaio su acciaio: λs = 0, 05; λ = 0, 04.
La condizione di velocità costante serve a determinare il valore della forza
di attrito. Una volta determinata quantitativamente la forza di attrito, il corpo
in moto, essendo soggetto a forze subirà delle accelerazioni.
Passiamo alla definizione di forza di attrito.
Definizione: Se un corpo si muove, mantenendosi in contatto con un’altro
corpo, su di esso si manifesta una forza (detta di attrito) che si oppone al moto
relativo dei due corpi. Si verifica sperimentalmente che la forza di attrito, Fa ,
ha direzione e verso tali da opporsi sempre al moto e modulo proporzionale alla
componente normale della reazione vincolare Fr , tra i due corpi:
Fa = λFn (26)
Il coefficiente di attrito ha una semplice interpretazione geometrica. Ab-
biamo detto che nel caso di vincoli lisci la loro reazione elastica è assunta
ortogonale alla loro superficie. Questa assunzione nei casi di superfici reali è
un’approssimazione perché la reazione del vincolo Fr , in seguito all’azione di
una forza tangenziale non è mai perfettamente orizzontale:
21
7 Uso dell’equazione fondamentale
Lo scopo degli esercizi di questa sezione è quello di mostrare come si utilizza
l’equazione fondamentale in alcuni esempi piuttosto consueti. Per la risoluzione
della equazione fondamentale si consiglia di procedere nel seguente modo. Si
riporta l’equazione fondamentale
Ma = F
poi, individuando tutte le forze che agiscono sul punto materiale, la si riscrive
nello specifico:
M a = F1 + F2 + ... + Fn
Per semplificare la notazione e la discussione supponiamo che sul punto materiale
in esame agisca solo una forza:
M a = F1 (28)
22
Ma = Mg (E1)
ovvero
a=g (E2)
Per poter risolvere esplicitamente il problema del moto, occorre passare alle
equazioni scalari associate alla (2). La scelta del sistema di riferimento diventa,
a questo punto, un’operazione importante.
Prendiamo un sistema di assi cartesiani, con l’asse delle y rivolto verso l’alto
e passante per il punto materiale.
ax = 0 ay = −g az = 0 (E3)
Come si vede, lungo i tre assi cartesiani, il valore dell’accelerazione è costante.
Nel precedente capitolo, abbiamo derivato, nel caso di accelerazioni costanti, le
espresssioni della velocità e dello spazio, in funzione del tempo:
v (t) = v0 + a0 t (E4)
1
s (t) = s0 + v0 t + a0 t2 (E5)
2
Si tratta ora di applicare queste equazioni al caso in esame, per ciascuna
componente. Il moto avviene sicuramente nel piano xy. Lungo x, non vi è
velocità iniziale e la sua componente è zero. Allora, lungo x avremo:
23
In relazione all’asse y, la componente della velocità è nulla, mentre la po-
sizione iniziale è h:
1
vy (t) = −gt y (t) = h − gt2 (E7)
2
Possiamo avere diverse informazioni sul moto, esaminando le (E7). In parti-
colare, il tempo che il corpo impiega a raggiungere il suolo è ( si pone y (t) = 0):
s
2h
t= (E8)
g
e la velocità con cui vi arriva è (si sostituisce la (E8) nella prima delle (E7))
p
vs = − 2gh (E9)
La caduta di un corpo, soggetto alla sola forza peso, avviene lungo la verti-
cale. Se si pone, nella seconda delle (E7), y (t) = 0, segue anche
1 2
h= gt
2
ovvero
h 1
= g = costante (E10)
t2 2
Tale relazione è stata trovata, per la prima volta, da Galilei. Egli sosteneva di
avere le prove che il rapporto tra lo spazio percorso nella caduta ed il quadrato
del tempo impiegato a percorrerlo fosse costante per tutti i corpi. Poiché la
(E10) è una conseguenza della (E1), che a sua volta è conseguenza della forma
della forza peso, possiamo asserire, con Galilei, che la (E10) è una prova indi-
retta del fatto che tutti i corpi cadono con la stessa accelerazione, ovvero della
proporzionalità tra massa inerziale e gravitazionale.
In realtà, Galilei non misurò neppure direttamente la relazione (E10), ma la
dedusse per estrapolazione dalle misure fatte sulla discesa dei corpi lungo piani
inclinati. Se si vede l’esempio sul moto dei corpi che scivolano, senza attrito,
lungo piani inclinati di un angolo θ, si trova
24
s
1 2h
t= (E11)
sin θ g
Quando θ è di 90 gradi, tale equazione diventa proprio la (E10). Si potrebbe
allora pensare che Galilei abbia realmente fatto delle misure su dei piani inclinati
a diversi angoli (per esempio, da angoli prossimi a zero ad angoli prossimi a
90 gradi) estrapolando poi il risultato ad angoli molto vicini a 90 gradi. In
realtà, ogni tentativo di sperimentare la precedente equazione con piani di varia
inclinazione hanno mostrato che per angoli maggiori di circa 10 gradi essa non
può essere verificata. La conclusione cui si giunge è che Galilei, da pochi dati,
abbia estrapolato risultati sperimentali e descritto correttamente la caduta dei
gravi. La spiegazione del perché, cioè delle cause, è stata poi una deduzione di
Newton.
Risoluzione mediante l’uso dell’integrazione:
Si procede nel seguente modo (riferiamoci al solo asse delle y). Utilizzando
la definizione di accelerazione si ha
dvy
= −g
dt
che diventa
dvy = −gdt
Poi si integra tra l’istante iniziale e uno generico t (gli estremi di integrazione
della velocità sono la velocità iniziale e quella corrispondente al tempo t)
Z vy Z t
0
dvy = −g dt0
v0y t0
gt2
y (t) = h − (E13)
2
25
7.2 Moto di un proiettile
Si consideri il moto di un punto materiale che, avendo una velocità iniziale v0 ,
non nulla, si muova nelle vicinanze della superficie terrestre, nell’ipotesi che si
possa trascurare la resistenza dell’aria.
Il moto del punto materiale è piano ed è deducibile dalla seguente equazione
del moto:
Ma = Mg (E1)
ovvero
a=g (E2)
dove g è l’accelerazione di gravità. Le equazioni sono identiche a quelle rela-
tive alla caduta libera, ma vedremo che le differenti condizioni iniziali porteranno
ad una soluzione del moto differente. Questo significa che le equazioni stabilis-
cono l’ambito del "possibile", vale a dire tutti i possibili moti, ma poi sono le
condizioni iniziali (condizioni al contorno) che determinano il moto effettivo di
un corpo. L’altro aspetto interessante dello studio del moto del proiettile è la
composizione del moto lungo i due assi, che nella caduta libera non avevamo.
Fissiamo un sistema di riferimento cartesiano nel piano (x,y).
Le componenti iniziali della velocità saranno indicate con (v0x , v0y ). Lungo
l’asse x, non essendoci forze, l’accelerazione è nulla. Lungo l’asse y l’accelerazione
è prodotta dalla forza peso. Con la scelta degli assi da noi fatta, le due compo-
nenti dell’accelerazione sono
ax = 0 ay = −g (E3)
le equazioni sono identiche a quelle relative alla caduta libera, tuttavia le
condizioni iniziali, determineranno differenti soluzioni. Si trova, lungo l’asse x:
26
L’insieme di queste equazioni descrive completamente il moto di un proiet-
tile.
Mostriamo alcuni risultati che si possono ottenere dalle precedenti
equazioni
A) Determinazione delle coordinate della massima altezza cui può arrivare
un proiettile.
La massima altezza è caratterizzata dalla proprietà di avere nulla la compo-
nente verticale della velocità:
v0y − gtM = 0
dove tM indica il tempo impiegato dal punto materiale a raggiungere l’altezza
massima. Dalla precedente relazione troviamo
v0y
tM = (E6)
g
Sostituendo tale valore nella (E5), per lo spazio, otteniamo l’ordinata della
massima altezza, yM :
µ ¶ µ ¶2 2
v0y 1 v0y 1 v0y
yM = v0y − g = (E7)
g 2 g 2 g
Sostituendo il tempo dato dalla (E7) nellequazione (E4) troviamo anche l’ascissa
della massima altezza:
µ ¶
v0y v0x v0y
xM = v0x = (E8)
g g
B) Possiamo determinare la "gittata", ovvero la massima distanza raggiungibile
dal proiettile rispetto alla sua posizione di partenza.
27
Sarà sufficiente porre y (t) = 0 nella (E5):
1
0 = v0y tG − gt2G
2
dove tG indica il tempo impiegato dal punto materiale per raggiungere il luogo
di massima distanza dall’origine del sistema di riferimento. Risolvendo tale
equazione, avremo due soluzioni: tG = 0, che indica il tempo in cui è partito il
proiettile, e
2v0y
tG = (E9)
g
L’ascissa della gittata si otterrà sostituendo il valore (E9) nella (E4):
2v0y 2v0x v0y
xG = v0x = (E10)
g g
Notiamo che
xG = 2xM (E11)
C) Dimostriamo che la curva descritta dal proiettile è una parabola.
Facendo sistema tra le equazioni (E4) e (E5) ed eliminando il tempo da
entrambe (si prenda t = x/v0x dalla (E4) e lo si sostituisca nella (E5)) si ottiene
v0y 1 g 2
y= x− 2 x (C12)
v0x 2 v0x
che rappresenta una parabola passante per l’origine del sistema di riferimento.
28
La forza peso Fp ha direzione verticale, mentre la reazione vincolare Fr
è ortogonale al piano inclinato. Il moto che si osserva avviene lungo il piano
inclinato. Tale moto è dovuto alla risultante Ft , della forza peso e della reazione
vincolare e la sua direzione è tangente al piano inclinato.
L’intensità della reazione vincolare del piano può esprimersi in termini della
forza peso: per definizione di reazione di un vincolo liscio, tale intensità è uguale
e di segno contrario alla componente normale Fn della forza peso.
DF : CB = DE : CA
ovvero
M g : l = Ft : h
da cui
M gh
Ft = = M g sin α (E1)
l
dove α indica l’inclinazione del piano. Scegliendo l’asse x lungo il piano incli-
nato, possiamo utilizzare l’equazione del moto di un punto materiale e scrivere
29
gh
M ax = M (E2)
l
Il punto materiale, durante la sua discesa, si muove con un’accelerazione
costante
gh
ax = (E3)
l
L’accelerazione non dipende dalla massa del corpo, come i corpi in caduta
libera. Poiché l è maggiore di h, l’accelerazione di un punto materiale, lungo un
piano inclinato, è inferiore all’accelerazione di un corpo in caduta libera. Essa
è inferiore di un fattore h/l. Se il punto materiale, parte al tempo t=0, con
velocità nulla, troveremo che la velocità lungo l’asse x sarà
µ ¶
gh
vx (t) = t (E4)
l
mentre, lo spazio percorso sarà:
µ ¶
1 gh
x (t) = t2 (E5)
2 l
Quando il punto materiale sarà arrivato alla fine del piano inclinato, avrà
percorso il tratto l; il tempo, tl , impiegato dal punto materiale per percorrere
l’intero piano inclinato, si otterrà dalla (5) ponendo x = l:
µ ¶
1 gh 2
l= tl
2 l
Risolvendo rispetto a tl , otteniamo
s
l 2h l
tl = = th (E6)
h g h
dove abbiamo introdotto il tempo th , impiegato da un punto materiale, in caduta
libera, a raggiungere il suolo da un’altezza h.
Il tempo che impiega un punto materiale a percorrere tutto il piano inclinato
è l/h volte più grande del tempo che impiega un corpo a cadere, in caduta libera,
da un’altezza h. Il risultato (E6) non dipende dalla massa del punto materiale,
quindi non dipende dal corpo (come il tempo nella caduta libera). Possiamo dire
che, se si trascura la resistenza dell’aria, tutti i corpi, approssimabili a dei punti
materiali che, partendo dalla sommità di un piano inclinato, privo di attrito,
scivolano lungo lo stesso piano inclinato, impiegano lo stesso tempo ad arrivare
alla fine del piano inclinato
La velocità che possiede un qualunque punto materiale quando arriva alla
fine del piano inclinato, si ottiene sostituendo il valore di tl , dato dalla (6),
nell’equazione (4):
30
s
gh l 2h p
v (tl ) = = 2gh (E7)
l h g
La velocità di arrivo alla fine del piano inclinato è uguale alla velocità di arrivo
al suolo di un qualunque punto materiale che cade in caduta libera da un’altezza
h. La velocità di arrivo al suolo, in assenza di attriti, non dipende dalla strada
che si sceglie (caduta libera o piano inclinato).
M a = Fp + Fr + Fa (E1)
Scegliendo gli assi come in Figura, le equazioni scalari associate alla (E1)
sono
ovvero
ax = g sin α (1 − λ cot α) ay = 0
Non c’è moto lungo l’asse y. Risolviamo l’equazione lungo l’asse x, nell’ipotesi
di velocità iniziale nulla, per un corpo che parte dalla sommità del piano. Le
espressioni che si ottengono per la velocità e lo spostamento sono rispettiva-
mente
1
x (t) = g sin α (1 − λ cot α) t2 (E3)
2
31
Ci proponiamo di calcolare la velocità con cui il corpo giunge al suolo ed il
tempo impiegato. Dalla (E3) si può ottenere immediatamente il tempo, impo-
nendo il valore della lunghezza del piano, cioè risolvendo la seguente equazione:
h 1
= g sin α (1 − λ cot α) t2
sin α 2
La soluzione che si ottiene, è
r
1 2gh
t= (E4)
g sin α 1 − λ cot α
Sostituendo la (E4) nell’espressione della velocità, eq.(E2), si trova
p
vs = 2gh (1 − λ cot α) (E5)
Nell’ipotesi di assenza di attrito, le due ultime equazioni diventano
s
1 2h
t= (E6)
sin α g
p
vs = 2gh (E7)
Dai risultati di questo e di quelli del precedente esempio si deduce che la
velocità di arrivo al suolo, in un campo gravitazionale, non dipende, in assenza
di attrito, dal percorso fatto (vs è identica per la caduta di un grave lungo
la verticale e per il moto lungo il piano inclinato). D’altro canto, il tempo
impiegato dipende dal percorso.
Le precedenti equazioni consentono di calcolare anche il coefficiente di attrito
statico. Nel caso in cui il punto materiale è in quiete sul piano inclinato, la
risultante delle forze deve essere nulla:
Fp + Fr + Fa = 0
In particolare, lungo l’asse x, dovendo essere il valore della coordinata sempre
nullo qualunque sia il valore di t, dalla (E3) si ottiene,
1 − λs cot θ = 0
ovvero,
λs = tan α (E8)
32
Sia il versore che il modulo del vettore posizione dipendono dal tempo. Se
prendiamo la derivata temporale avremo
d d dr dur
r= [rur ] = ur + r (32)
dt dt dt dt
Abbiamo bisogno di sapere la derivata del versore radiale. Il versore radiale
forma un angolo φ con l’asse delle x:
33
Passiamo alle accelerazioni. Prendiamo la derivata temporale della (37):
· ¸
d d dφ
v= r ut
dt dt dt
da cui · ¸
d dφ dφ dut
a=r ut + (38)
dt dt dt dt
Dobbiamo conoscere la derivata temporale del versore tangenziale. Prendiamo
la derivata della (35)
d d dφ dφ
ut = [− sin φ (t) ux + cos φ (t) uy ] = − cos φ (t) ux − sin φ (t) uy
dt dt dt dt
cioè,
d dφ
ut = − [cos φ (t) ux + sin φ (t) uy ]
dt dt
In definitiva,
d dφ
ut = − ur (39)
dt dt
L’accelerazione (38) diventa
· ¸
d dφ dφ dφ
a=r ut − ur
dt dt dt dt
cioè
dω
a = −rω 2 ur + rut (40)
dt
Questa è la forma generale dell’accelerazione nel moto circolare. Esiste una
componente radiale ed una tangenziale dell’accelerazione in un moto circolare:
dω
ar = −rω 2 at = r (41)
dt
Nel caso del moto circolare uniforme, poiché
dω
=0
dt
avremo
v2
a = −rω 2 ur = − ur (42)
r
Nel moto circolare uniforme esiste solo la componente radiale e questa coin-
cide con l’accelerazione centripeta trovata nel precedente capitolo.
Esaminiamo il caso in cui l’accelerazione tangenziale sia diversa da zero, ma
costante. In tal caso,
dω
= α0
dt
34
Possiamo, prima scrivere,
dω = α0 dt
e poi integrare. Avremo, la velocità angolare, in funzione del tempo,
ω (t) = ω 0 + α0 t (43)
che riscriviamo come
d
φ (t) = ω 0 + α0 t
dt
e poi, dopo una seconda integrazione, otterremo la funzione angolare in funzione
del tempo:
1
φ (t) − φ0 = ω 0 t + α0 t2 (44)
2
Nel caso in cui l’accelerazione angolare tangenziale fosse nulla, riotterremmo, i
risultati del moto circolare uniforme:
ω (t) = ω 0 φ (t) = φ0 + ω 0 t (45)
v2
ac =
R
dove v è la velocità del corpo ed R il raggio. La direzione di tale acceler-
azione è lungo la congiungente il punto materiale e il centro della circonferenza,
mentre il verso è dal punto materiale verso il centro della circonferenza. Ora
esamineremo due casi che ci aiuteranno a determinare le forze che producono
tale accelerazione.
Esempio 1: Forza di attrito.
Nella vita quotidiana, quando un auto o una moto affronta una curva, la sua
inerzia tenderebbe a farlo uscire di strada. Il fatto che il veicolo rimane sulla
strada ci consente di affermare che esiste una forza che lo costringe a percorrere
la strada; tale forza è una forza di attrito.
35
Potremo, allora, scrivere l’equazione fondamentale come segue:
v2
M = Fa (E1)
R
Se, la reazione vincolare si riduce alla sola reazione al peso del corpo, potremo
scrivere
v2
M = λM g (E2)
R
da cui
v2
= λg (E3)
R
Poiché g è nota, conoscendo due dei rimanenti parametri, si può ricavare il
terzo.
Esempio 2: Creare una pendenza alle strade curve
Un modo per aiutare gli automobilisti a non uscire di strada in curva è
di progettare quest’ultima prevedendo una pendenza verso l’interno. In altre
parole, la strada , in curva, presenta una sezione trasversale assimilabile ad un
piano inclinato verso il centro della curvatura.
Fx = Fr sin α (E4)
Non rimane che determinare la reazione vincolare. Se l’unica forza agente
sul corpo in moto è la forza peso, avremo
36
Fr cos α = M g
da cui
Mg
Fr = (E5)
cos α
Sostituendo nella (E4), si ottiene
Fx = M g tan α (E6)
L’equazione del moto, nella direzione x è
v2
M = M g tan α
R
da cui
v2
= g tan α (E7)
R
Se si confronta la (E7) con la (E3) ritroviamo la relazione
λ = tan α (E8)
La pendenza (cioé il vincolo), svolge, anche in assenza di attrito, la funzione
di mantenere il corpo sulla strada. Ovviamente, la velocità di moto, in ogni
caso, è determinante per non finire fuori strada.
Esempio 3: Mostrare che, nell’ipotesi in cui i pianeti abbiano un moto uni-
forme su delle orbite circolari, l’assunzione della legge di gravitazione universale
tra i pianeti e il Sole, comporta che il rapporto tra il cubo del raggio dell’orbita
e il quadrato del periodo di rotazione sia costante
r3
= kG
T2
Ci proponiamo di determinare il valore della costante kG .
Un pianeta, in rotazione uniforme su una circonferenza è soggetto ad una
accelerazione centripeta
v2
ac =
r
dove v è la velocità tangenziale del pianeta ed r il raggio della sua orbita.
L’equazione del moto del pianeta, nella direzione radiale, è
v2 MS M
M =G 2
r r
da cui deduciamo
MS
v2 = G (E1)
r
37
D’altra parte, poichè il moto è circolare uniforme, avremo
2πr
v=
T
ovvero
4π2 r2
v2 = (E2)
T2
Dal confronto, delle (E1) e (E2), segue
MS 4π 2 r2
G =
r T2
da cui deduciamo che
MS r3
G =
4π 2 T2
Quindi,
MS
kG = G
4π2
Esempio 4: Determinare la massa del Sole nell’ipotesi che le orbite dei
pianeti siano circolari.
Se si approssimano le orbite dei pianeti con delle circonferenze, la terza legge
di Keplero si può scrivere
MS r3
G 2
= 2 (E1)
4π T
dove MS è la massa del Sole, r è il raggio orbitale di un pianeta e T il suo
periodo di rivoluzione. Dalla precedente relazione segue
4π2 r3
MS = (E2)
G T2
Per il calcolo della massa del Sole si può usare un pianeta qualsiasi del
sistema solare. Usando la Terra, con r = 14, 96 × 1010 m e T = 31, 56 × 106 s si
trova che
MS = 1, 92 × 1030 kg (E3)
Esempio 5: Determinare il raggio dell’orbita di un satellite artificiale in
orbita geostazionaria intorno alla Terra.
Le orbite geostazionarie sono circolari ed hanno lo stesso periodo di rotazione
della Terra intorno al suo asse.Per le orbite circolari, la terza legge di Keplero
si può scrivere
M0 r3
G = (E1)
4π 2 T2
38
dove M0 è la massa della Terra, r il raggio dell’orbita geostazionaria e T il
periodo di rotazione della Terra su se stessa. Risolvendo per r, si trova
µ ¶1/3
2/3 M0
r=T G 2 (E2)
4π
Sostituendo i valori (G = 6, 67 × 10−11 N m2 /kg 2 , M0 = 5, 98 × 1024 kg e
T = 24 × 3600s) si trova r = 4, 23 × 107 m.
Fe = −kxux (46)
Il moto risulta essere periodico. Un’oscillazione completa è il movimento di
M , che parte da xA , arriva in xB e poi ritorna in xA .
Il tempo impiegato dal punto materiale per eseguire una oscillazione com-
pleta è detto periodo dell’oscillazione, sarà indicato con T e, come mostreremo
tra breve, sarà uguale a:
39
r
M
T = 2π (47)
k
L’ampiezza dell’oscillazione è la lunghezza OA = xA (oppure OB). Essa
rappresenta la massima distanza, dalla posizione di riposo, alla quale arriva il
punto materiale durante le sue oscillazioni.
Un corpo, soggetto ad una forza elastica, obbedisce alla seguente equazione
del moto:
M ax = −kx (48)
Una soluzione per tale equazione si scrive
cioé,
ax (t) = −ω 2k x (t) (51)
Sostituendo l’espressione dell’accelerazione trovata nella (48) avremo:
¡ ¢
M −ω 2k x = −kx
che è una identità se è vera la (50). Allora, la (49), con la posizione (50), è una
possibile soluzione della (48).
Riguardo alla periodicità del moto essa è una conseguenza della periodicità
delle funzioni seno e coseno:
ω k T = 2π
da cui
2π
T = (52)
ωk
che per la (50) diventa r
M
T = 2π
k
40
Andiamo ad indagare il significato fisico delle costanti A e B. Abbiamo detto
che tali costanti dipendono dalle condizioni iniziali. Indichiamo con x0 e v0 la
posizione e la velocità iniziale della particella al tempo iniziale t = 0. Avremo
per la posizione
x (t = 0) = x 0 = A cos (ω k 0) + B sin (ω k 0) = A
41
da cui
s µ ¶ µ ¶
p v02 B v0
C = A2 + B 2 = x20 + φ = arctan − = arctan −
ω 2k A ω k x0
(56)
Nella figura sottostante sono mostrate le quantità presenti nella soluzione (54):
Anche la funzione,
x (t) = C sin (ω k t + φ) (57)
è una soluzione della (48).
42
In A, quando il punto materiale M ha il massimo spostamento, la sua velocità
è nulla, poi cresce fino ad un valore massimo, quando M passa per la posizione
di riposo O, poi decresce fino a ridiventare nulla quando M si trova nel punto
B; poi cambia verso, ricominciando a crescere, fino a riavere il valore massimo
quando M ripassa per O e infine decresce fino ad annullarsi di nuovo quando
M arriva in A.
Sebbene ω k sia uguale numericamente alla velocità angolare ω con cui ruota
il punto geometrico sulla circonferenza associata, le due quantità sono differenti ;
ω k si riferisce al moto unidimensionale del punto materiale soggetto alla forza
elastica, mentre ω si riferisce ad un moto circolare piano.
Mostriamo, più in dettaglio, il legame di un punto che si muove su una
circonferenza e il moto armonico sugli assi. Si abbia un punto materiale che si
muove di moto uniforme, su di una circonferenza di raggio A ed angolo polare
θ. La sua equazione del moto, visto che A è costante, sarà data da
θ (t) = ωt + δ
dove δ è l’angolo che il punto materiale forma con l’asse delle x, al tempo
t = 0. Se si prende un sistema di assi cartesiani con origine sul centro della
circonferenza, le proiezioni sugli assi saranno
11 Il pendolo semplice
Si abbia un filo con un’estremità fissata ad un sostegno. Alla estremità libera
del filo leghiamo un corpo di massa M. Il filo si tende ed una forza di natura
elastica, detta tensione del filo, Fτ , contrasta il peso del corpo. Il corpo rimane
sospeso, cioè vincolato. Per ogni filo esiste un valore massimo della tensione
oltre il quale esso si spezza. Tale valore massimo dipende dalla sostanza con
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cui è costruito il filo e dalla sua sezione. Possiamo sintetizzare, il precedente
discorso, dicendo che un corpo di massa M, di dimensioni trascurabili rispetto
alla lunghezza l del filo (quindi approssimabile ad un punto materiale), quando
è appeso ad un filo è soggetto, oltre alla forza peso Fp , anche ad una tensione
esercitata dal filo che indicheremo con Fτ .
Il sistema appena descritto, nell’ipotesi che la massa del filo sia trascurabile,
rispetto a quella del corpo M, è detto pendolo semplice.
Ci proponiamo di esaminare il moto del punto materiale di massa M, nell’ipotesi
che esso compia oscillazioni, intorno alla posizione di equilibrio, indicata dal
punto C. Per piccole oscillazioni, il moto del punto materiale M risulta essere
periodico. Un’oscillazione completa è il movimento completo di M che, parte
da A, arriva in B e poi ritorna in A. Il tempo impiegato da M per eseguire
un’oscillazione completa è detto periodo dell’oscillazione e sarà indicato con T .
L’ampiezza dell’oscillazione è la lunghezza CA (oppure CB). Essa rappresenta
la massima lunghezza, dalla posizione di equilibrio, che percorre M durante le
sue oscillazioni.
Ci proponiamo di determinare la forza risultante responsabile del moto di
M, di provare che essa è una forza elastica e quindi determinare il periodo di
oscillazione del pendolo.
Il moto del punto materiale M è sulla circonferenza di raggio l. La risultante
Ft , tra la forza peso Fp e la tensione del filo Fτ , ha la direzione della tangente
alla circonferenza:
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L’intensità della tensione può essere valutata in termini della forza peso. La
tensione, come si evince anche dal grafico precedente, è uguale alla componente
radiale Fn della forza peso, cioè Fτ = Fn . Per determinare il modulo della forza
risultante Ft , usiamo la similitudine tra i due triangoli OFA e ADE. Avremo
AE : OA = AD : F A
che diventa, posto FA=y (si immagimi un sistema di riferimento con centro
in O, l’asse delle x diretto verso il basso e l’asse delle y diretto da F ad A; vedi
più avanti),
M g : l = Ft : y
cioé
Mg
Ft = y (58)
l
L’intensità della forza risultante, Ft , responsabile del moto, è proporzionale
alla distanza y del punto materiale dalla verticale. Essa è del tipo
Ft = ky
con
Mg
k= (59)
l
Essa è di tipo elastico ed è diretta lungo la tangente alla circonferenza de-
scritta dal punto materiale.
F = −kyuy (60)
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Corpi soggetti a forze di questo tipo, dette elastiche, si muovono di moto
armonico semplice. Tali moti sono periodici e il loro periodo è, come abbiamo
già visto, uguale a
r
M
T = 2π (61)
k
Se si sostituisce il valore di k, dato dalla (59), in quest’ultima equazione, si
trova
s
l
T = 2π (62)
g
Possiamo concludere dicendo che il moto del pendolo, per piccole oscillazioni
è periodico, con un periodo dato dalla (62). Se si graficano, in funzione del
tempo, i valori dell’ampiezza (o in maniera equivalente i valori dell’ampiezza
lungo l’asse y), si ottiene una funzione sinusoidale (al tempo t = 0 il punto
materiale era in C):
a = at ut + ac ur
dove
dv dω d2 φ v2
at = =R =R 2 ac =
dt dt dt R
Nel caso in esame, il raggio della circonferenza è la lunghezza del filo:
d2 α v2
at = l 2
ac = (63)
dt l
Abbiamo visto che la risultante efficace è
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Ft = −M g sin α
Allora, l’equazione del moto significativa è
d2 α
Ml = −M g sin α
dt2
ovvero,
d2 α g
2
= − sin α (64)
dt l
Per piccoli angoli, il seno si confonde con l’angolo, sin α ' α,
d2 α g
2
=− α (65)
dt l
La soluzione di tale equazione si può porre nella seguente forma:
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sono la forza peso Fp e la tensione del filo Fτ . Possiamo decomporre la tensione
Fτ in una componente radiale ed una componente nella direzione della forza
peso. Esse sono
Fτ sin θ Fτ cos θ
La componente radiale produce l’accelerazione centripeta:
M v2
= Fτ sin θ (E1)
R
mentre l’altra componente è uguale alla forza peso:
Fτ cos θ = M g (E2)
Dalla (E2) ricaviamo Fτ :
Mg
Fτ = (E3)
cos θ
che sostituito nella (E1) ci darà
M v2
= M g tan θ
R
ovvero
v2
= g tan θ (E4)
R
Ora possiamo riscrivere la tangente dell’angolo. Oserviamo che,
R = l sin θ
Poiché, per piccoli angoli il seno e la tangente sono praticamente uguali,
possiamo scrivere
R
tan θ ' (E5)
l
Con questo risultato la (E4) diventa
v2 R
=g
R l
ovvero
gR2
= v2 (E6)
l
D’altra parte, poiché il corpo si muove di moto uniforme sulla circonferenza,
avremo 2πR = vT , da cui
4π2 R2
= v2 (E7)
T2
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Dal confronto delle due ultime equazioni, deduciamo che
s
l
T = 2π (E8)
g
che coincide con il periodo del pendolo semplice (anche se fisicamente sono
due moti distinti).
12 Complementi
In questa sezione vogliamo discutere di alcuni esercizi che hanno bisogno di una
conoscenza matematica più complessa.
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Scrivendo l’equazione per i moduli:
dv γ
= − dt
v M
d2 x dx
M 2 = −kx − γ dt (E7)
dt
Ponendo
k γ
ω 20 = τ= (E8)
M 2M
d2 x dx
+ 2τ + ω 20 = 0 (E9)
dt2 dt
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La soluzione cercata diventa allora:
³ √ ´ ³ √ ´
− τ + τ 2 −ω 20 t −τ + τ 2 −ω 20 t
x (t) = c1 e + c2 e (E11)
τ < ω0 (E12)
p p
Poiché τ 2 − ω 20 = i ω 20 − τ 2 , ponendo
q
ω = ω 20 − τ 2 (E13)
la (E11) diventa
¡ ¢
x (t) = e−τ t c1 eiωt + c2 e−iωt
q
k2
A= k12 + k22 tgφ = −
k1
51
spazio
0.75
0.5
0.25
0
1.25 2.5 3.75 5
-0.25 tempo
-0.5
52