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TEATRO MUSICALE
ITALIANO
DALLA SUA ORIGINE FINO AL PRESENTE
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DI STEFANO ARTEAGA
Socxo DELL’ACCADEMIA DELLE Scnzuzz, ARTI,
t auu: LETTERE DI PADOVA.
SECONPJ EDIZIONE
Aggrescìuxa, ‘variata, e corretta dall’ Autore
TOMO TERZO
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VENEZIA
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DELLE RIVOLUZIONI
DEL TEATRO MUSICALE
ITALIANO
DALLA SUA omcmn FINO AL PRESENTE
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CAPITOLO DECIMOQUARTO.
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iùtte' andarono in miglior sesto,- co‘me avvenire!
Sul Principio del dramma musicale sotto‘ la d‘i
r'c2ionè del Corsi e del Rinuccini: L’ ignoran
z'a del poeta, e l’infingardaggine del composi
tore fecero in Seguito rovinar giù per la china
del cattivo gusro i cantanti .- Nel Secolo passat'o
il tanto delle arie oltrepassava di poco nell’ar
tifizio quello dei recitativi , i quali cosrituiva
no principalmente l’ essenza dell’OPera, e per“
ciò ne’recitativi ponevano ogni loro Studioi
compositori ; Sebbene il Cattivo gusto allor do
minante faceva, che vi s’ introducesse'to non po
che putidezze di c0ntrappunto lontane dalla sem
plicità, e dalla bella natura.- Dopo la metà del
secolo i poeti incominciarono a far un uso più
frchenfe delle arie; o strofètte liriche nei loro
drammi, della quale usanza invaghifi i maestri
dozzimli (cioè la maggior parte) tra:curatonu
a poco a poco i recit:îtivi in maniera che nep-‘
pur li cobàidefaVan0 come necessarj alla musi
ca drammatica; Per la che, trovandosi consìffat
t0 metodo liberi della fatica che doveva costar
loro ia Verità ci tuoni più vicini al discorso
naturale in quella‘ sorta di composizioni, s’ap
plicarono a C0lîiVar principalmente le arie, clo'
A 3 ve
5
ve potevano spaziare a loro talento mostrando
tutte le delicatezze dell’arte, fossero e‘_sse, 9
non fossero conformi al Sentimento delle paro
-le_. Ecco l’origine di quel regno, che di mano
in mano sono venuti formando sulle scenei
Cantanti; imperocchè accomodandosi questi ad
un sistema, che proccurava loro l’ occasione di
sfoggiare nel canto più raffinato, ch’ esigono
le arie coll’ agilità della voce senza trovarsi, a
così dir, rinscrrati fra le angustie del recitati
vo, costrinsero il compositore ed il poeta a
strozzar il melodramma riducendolo a cinque o
sei pezzi staccati, dove si fa pruova non d’il
lusione, nè di teatrale interesse, mad’ una sor
prendente Volubilità, ed artifizio di gola.
Se fosse mio divisamento alzar la voce con
tro agli abusi, che non sono puramente lette
rari, citerei innanzi al tribunale inappellabile del
la umanità, della filosofia, e della religione la
barbara ed esecrabile costumanza, che si conser
va tuttora in Italia, come reliquia dell’ Asiatica
voluttà per monumento dei nostri vizj, per ol
traggio della natura, e per consolar i Caraibi
ed i Giaghi , della superiorità, che gli Europei
si vantano d’ avere sopra di loro. Parlo del pri
var
7
var che si fa spietatamente delle sorgenti della vi
rilità tanti Esteri infelici non per sigillare col
loro sangue la verità della nostra angusta reli
gione, che ispira solo mansuetudine e dolcez
za, e che abborrirebbe sagrifizj si infami, non
per liberar la patria da eccidio imminente, oda
grave sciagura il sovrano, non per esercitar un
atto di virtù eroica, e sublime, che ci ricom
pensasse della durezza dei mezzi coll’importan
za del fine, ma per blapdire l’ orecchio col
vano ed inutil diletto del canto , ma per sol
lazzare nella sua svogliatezza un Pubblico ca
priccioso, scioperato, e corrotto, ma per riscuo
tere un passaggiero e frivolo applauso in quei
teatri, che istituiti un tempo col fine di stam
pare negli animi del popolo le massime piùim
portanti della morale, sono oggimai divenuti
l' asilo de’ pregiudizj nazionali, ealtrettante scuo
le di scostumatezza. Esorterei i Grandi della
Uffa, che accumulando insensatamente su tali
persone onori e ricchezze favweggiano un abu
so cotanto infame, a rivolgere loro tesori e
la protezione loro ad altri usi meno disonoranti
per la ragione, e meno perniciosi alla umana
spezie . Farei arrossire i filosofi, che impie
A 4 s“
8
gancio le loro ricerche in oggetti inutili, o fa.
rendo servire l’analisi alla destruzione di quel
le verità , delle quali esser dovrebbero i pn'm
cipali sostenitori, passano poi di volo sopra un
così orribile attentato, che sisostiene unicamem
te, perché autorizzato dal tempo, eperchè fian
cheggiato dal despotismo del piacere. Ridesterei
lo zelo dei ministri dell’Altare, acciocchè più
non trovasse ricette nel domicilio augusto della
divinità un pregiudizio, che non può far ame
no, che non la ofi'enda, e metterci loro sotto
gli occhi l’ esempio del Pontefice Clemente XIV,
il quale (se mal non m’appongo) riaccese di
nuovo i fulmini. del Vaticano contro ai crudeli
promotori della evirazione . Mi rivolgerci aquel
sesso, da cui non si dovrebbe aspettare, che
patrocinasse una simile cause, ma tra 'il quale
gl’inconcepibili progressi della corruzione fanno
pur nascere più di una spiritosa avvocata, pre
gandolo a concorrere per mezzo della influenza,
cui la natura non so se per nostra fortuna, o
per nostra disgrazia ha dato alle 60110: sopra
di noi, a sradicar un costume, il quale dive
nuto che fosse più generale renderebbe affatto
inutile sulla terra l’impero delle loro attratti
» ve ,
9
ve, e persin la loro tanto da noi pregiata esi
stenza . ( ”)
Ma poichè alla oscura e solitaria filosofia po
co forte in se stessa per resistere alla tirannia
delle opinioni altro partito non resta fuorché
quello di piangere su tali crudeltà, detestarle,
e passar di lungo, mi restringerò al mio solo
ufli
(*) Se bene la prima origine del mutilar in tal
guisa gli uomini sia incerta, e n0ndimeno antichissi
ma, come lo i: pur troppo quella di tanti altri abu
si che disonorano ed avviliscono l’ umana spezie . Nel
Deuteronomio (up. 1;. v. 1.) si legge questo divieto:
Non fngrediatfl? Eunucbu: adrn'rz'r, ‘uel amputan': te
:tr'ruli: ('9’ abrcir.re vanno in Ecclerimn Domini. Dalle
quali parole si scorge, che ci dovevano esser gli Eu
nuchi avanti al tempo in cui visse quel Legislatore
Manetone afferma, che il Padre del famoso Sesostri
Re di Egitto ucciso fosse dai propri Eunuchi . Am
miano Marcellino (116. 14. r. 6.) attribuisce cotal
invenzione a Semiramide, la quale lo fece forse cui
fine di potersi abbandonare più liberamente e senza
rischio alla dissolutezza, di cui Viene oltre modo ac
cagionata . Le parole dello Storico in taloccasione so
no rimarcabili. In Ultimo luogo (dice ein parlando d’
una comitiva) wm'va un gran numero di Eunutbi col
volto di fanciulli bencbè fanno veccbj, di colon gial
Ìitcio , di fiamnorhia disugua/e e deforme; atta/eh) ,
ovunque il popolo n' neutrawt in cadute rruppr d’ un
mini
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ufiizio, ch’è di additare gli abusi da costoro
introdotti nell’0pera. Non è il minore quello,
che apparisce a prima vista, e che risulta im
mediatamente dalla loro figura e costituzione il.
sica, la quale li rende idonei bensìa rappresen
tare caratteri femminili, o al più quelli diAt
tide nello speco di Galatea , e di Cipariso nel
83‘
mini muti/ari, mlediua la memoria dall’antica Re
gina Semimmide per u.re_n una la prima a recidrn
in tuta! gui.ra le membra dei teneri g4rzonrtli , come
avena voluta .rforzn In natura di:rramdoln dalle ‘uì0'
irtiruire da lei, che rin della prima origine della vi
ta 1m cm; tacita legge preparando [fonti della feto»
dirà, onde propagare I; J,WZÌI. I viaggiatori e gli
storici delle cose asiatiche asseriscono esser ivi stabi.
lito cotal costume da un’ antichità immemorabile , e
inventato dalla gelosia degli Orientali per assicurarsi
con questo mezzo della fedeltà delle loro donne, cui
l’influenza del clima, e il potere dei sensi rendono
assai difficile a conservare in quei paesi. Qualunque
ne sia stato il motivo, certo e che l‘usanza degli
Asiatici antichi e moderni non e tanto abbominevok
quanto la nostra, perchè almeno la sapevano palline
con un pretesto in apparenza scusabile, Il desiderio
di schiva una gravidanza, che apporterebbeforse una
serie di dolori fisici, il timore di non perdere la xi.
putazione, che per le donne è il primo elemento del
lavi.ta morale, e il potersi assicurare della fedeltà
d’un’
n
gabinetto di Cibele , ma in niun modo a pro.
posito per rappresentare personaggi virili. In
fatti qual proporzione trova l’occhio dello spet
tatore fra l’aria maestosa e guerriera di Temi
stocle coi visi forbiti di codesti, ch’ io chiamev .
rei volentieri i neutri delia umana spezie? Fra
la dolce e vigorosa fierezza d’ Achille col lam
' gui
d’ un’ amante, o di una sposa (sicurezza, cui la no
stra frale natura attacca un sentimento cosi intimo e
così delizioso, perchì al godimento dei sensi unisce
'il piacere riflesso della preferenza e della esclusiVa;
circostanze entrambe, che lusingano grandemente il
nostro amor proprio, perch’è ci fanno vedere la no
stra superiorità rispetto ain altri) sono tutti motivi
erronei bensì nella loro applicazione, ma plausibili
nel loro principio . Ma noi? Noi, che Vantiamo ra
gionevolezza, umanità, cultura , morale , dolcezza di
'costumi con altri sitfatti bei paroloni, che fofmano
il pomposa filosofico gergo del nostro secolo ..
noi perch facciamo la medesimacosa? Per sentir una
V0C=» che sia una ottava più acuta delle altre voci.
Oh qual oggetto importantissimo, per cui si debba
mutilare un nostro simile! Oh qual fine politico e
legislativo per cui i Governi lo debban permettere!
Si dice, che i selvaggi del fiume S. Lorenzo col solo
oggetto di spiccarne un frutto tagliano gli alberi dal
la radice. Coltissimi Italiani! Non sareste forse de
gni di esser trapiantati lungo il fiume S. Lorenzo?
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li
guido loro atteggiamento? Fra lo sguardo dec'l.
sivo e celeste di Marte o di Apolline col loro
Volger d' occhio efl'eminatb e cascante? Come
potranno c0ntrafiare gli Dei Coloro, clic sono al
di sotto degli uomini? Come è Possibile, che
quelle lor voci liquide e dimezzate ispirin0 al
tri affetti che mollezìa e languore.J Come non
ha dowto perder la musica la sua antica in
fluenza suin animi.j
Alla sconven:volezza nella figura s’aggiugnc
Come una conseguenza la poca espressione nei
movimenti, difetto, che hanno essi comune Cori
quasi tutti gli altri cantori. Occupati solo del
gorgheggiare pare a loro, che 1’ azione e il ge
Sto non ci abbiano a entrare per niente, e si
direbbe quasi che vogliano patteggiare colle oref
chie "4l’ello spettatore senza curarsi punto degli
occhi. Così si veggono sovcnte muover le lab
bia, s’ode la soave armonia delle loro voci co
me si sentiva risuonar nelli antica Menfi la sta
tua di Memnone al primo comparir dell’Auro
ra senza che corrispondesse all’ armonia verun
atteggiamento esteriore . E se qlifllCl‘lfl V01f8 Si
pongono in movimento è solo per contraddir
se medesimi, e per distrugger col gesto la com
mo
I3
mozione, che avrebbe potuto destarsi col can.
to, accomqnando consegni di dolcezza le
parole, ch’ espnmono il furore , e prestando a
Cleonice addolorata per la partenza di Alceste
lo stesso contegno, che le si darebbe al orchè
si consiglia coi grandi della nazione intorno al.
la scelta di uno sposo. Chi può frenare il ti
so in veggendo un Timante disperato o un fu,
riuso Farnace, che in mezzo alla disperazione
o alla collera quando l’anima, mettendo in ra
pida convulsione le braccia, gli occhi, il volto,
e pressocchè tutte le membra, fa quasi sembian
te di volere sloggiare dal corpo, pur si ferma
no fissi immobilmente colla bocca aperta, col
braccio incurvato, e colla mano attaccata al_pct
to per più minuti, come avessero a rappresen‘
.taresi figliuqli della Niobe, che si trovano nella
galleria di Firenze? Cosa vogliono significare
que’tanti storcimen_ti di collo, quel girare cogli
omcri, quel non aver mai il torace in rîP°S°
non altrimenti che facciano gli avvelenati, 0 i
punti dal morso della tarantola, nel tempo che
si espone la sua ragione ad un Principe, omeo
tre Regolo parla gravemente col Senato_di R0,
mg? E qual e l’ uomo di buon senso che non
dc.
i4
deva fremete nel vede? per eSempio liarlarr‘1i
Sto; che ferito in un braccio da 'ridate con;
finita ancora a gestire per tutta l’azione col
braccio ferito, come l’ avesse pur sano? Nell’
osservare Arbace, che apparecchiato a bere il
veleno, e cantando un’ aria colla tazza in ma
no, la Va Voltando, e riVoltando come fosse
già vuota? Nel contemplar Argene, che men‘
tre le vien narrata la disperata risoluzione di
Licida resta indifl'errntesulla primiera attitudi‘
n‘e finchè dura il racconto, terminato il quale,
comincia conte per convenzione adar nelle sma
hie? Nel riflettcr, che Beroe allorchè parlan
do con Samncte gli dice '
-Idoi mia per pietà rendimr' al tempio.
in Veoe d’intu0nare quell’îdal mio verso 1’ aman
te, si rivolge al vicino palchetto dove lo sci.
Munito Protettore accoglie l’inzuccherato com
plin1ent'o con un sorriso di eompiacenza e colla
stolidezza degna“di cotai Mecenati? Per non
dir nulla della energia che scemano alla situa
zione e al sentimento lasciando il gesto impe
reso e senza effetto in tante circostanze, che
traggono appunto da esso la lor verità.
Come avessero un fedecommesso ne’gesti,
che
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7 _.FÎ._-....__
16
volta e ribattendo le catenuccie dell'orologio
con simili gentilezze tutte a questo modo bel
lissime. E ciò mentrecchè la meschinella Eponi
na si sfiata per muoverlo a compassione. Qua.
le idea si formano essi adunque del luogo do
ve si trovano, e dei personaggi, che rappre
sentano? Non direste, che Vogliano ancor sul
Teatro comparir que’ tali ,‘ che sono, che si fac
ciano uno scrupolo di mentire al Pubblico, e
(come diceva a questo proposito graziosamento
il piùv volte lodato Benedetto ‘Marcello) che ab.
biano timore non l’udienza prenda in iscambio
il Signor Alipio Forcone e la Signora Cecilia
Pelatutti col Principe Zoroastro e colla Regina
Culicutidonia 2
La cagione degli accennati difetti viene in
parte dalla natura stessa del canto, poichè quan
to più di attenzione si mette nel far dei trilli
e dei passaggi tanto meno rimane per accompa
gnarli coi segni confaccentisi; ma in gran parte
consiste ancora nella inesperienza dei cantori,
nel poco studio, che ci mettono si: tali cose,
e nelle false idee, che si formano del loro me.
stiero, non sapendo, o non volendo sapere“,
che l’anima degli affetti consiste nella maniera ,
. f di
17
di esprimerli, e Che poco giova ad intenerîrci
la più bella poesia del mondo quando accom
pagnata non “venga dall’azion convenewle . Così
almeno la intendeva-il gran Metastasio, il qua
le in una lettera diretta al Signor Mattei Na
poletano si lagna vivamente di cotale abuso.
Q4alqnque sia , ei dice , corano mio povero dram
ma non crescerà certamente dimerito fra le ma
ni de’prerenti cantori ridotti per colpa loro a
.rervird’interme1_@ ai ballerini, cbe avendo
zr.rurpata l’ arte di rappresentare gli aflètti e
le azioni umane meriramente banno acquistata ‘
l’attenzione del popolo, che hanno gli altri me
rirmnente Perduta ,' Perché contenti di aver
grattato le orecchie con una sonarina di gola
nelle loro aria, il più delle volte nojose, l.
.rciano il peso a chi balla d‘impegmw la mente
e il cuore degli Spettatori.
E pazienza s’eglino almeno avesseroimparati
gli elementi dell’arte loro , ecantassero come va
fa"°a'ma per disgrazia n0stra sonootantoigno
ranti o tanto pregiudicati in questo quanto nel
restante . Per mettere in tutto il suo lume una
proposizione, che prolferita da uno straniero in
mezzo alla Italia può forse comparir temeraria,
T0M. III. E mi
\ -__‘-_ - «p, .
-»-f;_-__
_.,_. f _ __._;'_Îm-Ù__
18
mi si conceda entrare in qualche ricetca intorno
al canto imitative del melodramma, la quale
sarà, cred’ io, non inutile affatto ai signoriVir
tuosi, se pur la loro ignoranza, o la vanità,
o i pregiudizi , che partecipano dell‘ una e dell’
altra, lasciano loro tanto di modestia e dibuo
na fede quanto basta per degnar d’uno sguardo
le osservazioni di un amatore del Bello, ilqua
le però ha i due capitali difetti di non essere
cioè aggregato a veruna Accademia musicale,
e di dire intrepidamente ciò che si sente.
Nel nostro presente sistema drammatico tre
cose concorrono principalmente a produr l’ espres
sione, cioè l’accento patetico della lingua ,, l’
armonia, e la melodia ciascuna delle quali sud-.
dividendosi in vari altri rami formano quell’ag
gregato, dal quale ben congeguato e unito ai
prestigj della prospettiva risulta poi l’ illusione
e l’ interesse dello spettacolo. L’ accento pate
tico della lingua non essendo altro che il lin
guaggio naturale delle passioni nei varj loro ca
ratteri, è quello, che serve di fondamento alla
imitazion musicale principalmente nel cento. La
melodia è l’imitazione stessa di esse passioni
eseguita pel mezzo d’una serie successiva di
suo
7,4...
x”q
. i;
909hi agg't‘adevolh L‘arthonia e, per cosi di-»
te‘, il legame a vincolo fi‘à l’uno e l‘ altra sic-r
come 'q‘uella,‘ché ifiodiflca' l’acc‘ento secondo tali
dete‘rt'ttinatiiotervalli, e che di» si sonni delle
Pn‘elòdia la tiècès'Sarià precisione egiustezta. Le
tre tese accennato sono così legate fra loro e
cosi Essenziali bel melodramt'na, che ove matt
eà3‘se umi’seh, non sarebbe possibile l‘ottehet'e‘
l’effetto delle àlît'ta ‘Ei’àiftert'td della linguascio‘li
to; a mi dire, ‘e vagante non avrebbe altri
forza che Quella che si rime dal paiiitf ordini!"
-rîoi La titelòdia da per se sarebbe 'an disegno
capriccioso sciita oggetto -nè regole; L’armonih‘
resterebbe una‘ “combinaaione equit'e‘trlporanea di
suoni «che niuna«îmmagine; niuna idea presem
renhbeattospirùo’r Ma «la loro; azioni: e‘néia
c’essaria Înèt metodramma-, non è aemmio pe-‘
rò che quest’azìone-sia nello stesso. ldap»
pertith ne che siisiri‘tult'anba. In una; litigo!
aemdirios'a‘1ier natura eéme la greca; deve ia
poesia regolava la usl€a, dove- la pmso‘difi era
1'an'im‘a della raìmea;aave i’aee:aw musicale
Ila se Medesitno noti’ abbisogna-tia- me non che
‘dèll”ag’giiinta del per divenire un perfet
t0 t‘e‘éitàt‘ii’ofl‘a {mesta poteia‘atcdtbpagnaai,
‘ ‘ ‘ B a e s’
no
e s’ accompagnava in effetto con un canto egua
le e continuo appropriato mirabilmente all’in
dole di essa . Poetare e cantare pei greci erano
una sola e medesima cosa. Ma nelle nostre lin
gue moderne appoggiate per le ragioni che s’
_addusser0 altrove sia principj diversi siffatta unio
ne 0 combaciarpento fra la poesia e la musica.
,non può così speditamente ottenersi, poichè
avendo la musica acquistate tante ricchezze in
separabili da lei, non sa accompagnarsi colla
poesia senza portar seco tutto il corredo de’
suoi abbigliamenti,
primere e per
la compagna. conseguenza
A iguisa senza ella
dell’amore op
n
insiemi colla musica a render più pogrporoe più
illustre il tripnfo del sentimento,
Partendo da un principio inconcnsso, cioè che
nella musica drammatica tutto esser deve imiv
_tazione, echq niente può ella imitare dell’um&
no discorso fuorché l" accento delle passioni, 0
più che appresenti allo spirito una rapida suc-.
cessione d" immagini; si deduce con evidenza ,
che popp_0 nulla può imitare la musica nel
semplice recitativo, nel quale poco differente
- dal parlar ordinario pel tuono della VOCC frane
quilla con cui s’ espone, e per le materie, che
vi si trattano, raro è che spicchi l‘ energia de
gli affetti , Tosca dunque alla poesia 'il far va
lere ciò che non potrebbe render la musica, ed
ecco il luogo opportuno per l’Attore di me»
strar il suo talento nel recitare, notando il sen.
so delle parole con chiara e netta pronunzia,
osservando la prosodîa'delle lingua senza con»
fonde;la , facendo ae'ntir all’ orecchio il poetic8
ritmo senza troppe; affettatemente ricercarlo, in
sistendo sulla inflessioni che le sOtnministra il
discorso ,, facendo semine glîincisi , le trapsizic»
pi, le. sospensioni e i periodi-colle mutazioni
accidentali dei tuoni ,"in una parola attaccandosi
»- alle
"3
alle regole, che prescrive l’arte della declama
zione. La musica non vi deve entrare se non
quanto basti per far capire, che l’azione rap
presentata è un azion musicale per contraposi
zione alla recitata. Altro non vuolsi da essa se
non che accompagni di quando in quando l’at
tore col Basso affine di sostenere la di. lui vo.
ce, al: si chiede altro dall’ Attore se non che
misuri l’accento con qualche intervallo armoni
co, nel quale la regola sarebbeche non oltrepas
si colla voce l’estensione d’una ottava. Tutto
il restante debbe tacere e la sola poesia par<
lare.
Allorchè il sentimento va prendendo mossac
calore, allorché la voce interrotta per intervalli
palesa il disordine degli affetti , e l’irr850lutfi<
za d’uu‘animo agitato da mille movimenti con
trari, l’accento patetico della lingua piglia an-.
ch’csso un nuovo carattere nel recitativo obbli‘
gato, carattere, il quale essendo imitabile dalla
musica giustifica l’ intervento di essa, anzi lo.
rende necessario. Ma uno stato dove la passio
ne 5’ esprime per reticenze, e dove l’ alternativo
silenzio frappoeto alle parole èil miglior indù
zio possibile della dubbiezza dell’animo, non
3‘ 4. 2‘”
2'4
potrebbe rappresentarsi con una sempre costante
e non mai interrotta modulazione: quindi la re
gola dettata dal buon senso e dalla esperienza
d’usar cioè vicendevolmente della poesiaedegli
strumenti come di due interlocutori, che par
lano l’uno dopo l’altro. Ed è qui appunto do
Ve più che altrove spiccar dovrebbe la scienza
mimica dell'Attore, e le profonde osservazioni
fatte da lui su i caratteri, suin affetti, e sugli
uomini. Dovrebbe ein interpretare colla evi
denza del gesto ciò che la voce non esprimeab
bastanza , perché travasi, a cosi dir, sofl'ogata
dall’ affollamento delle idee. Dovrebbe dar mag
. g:or lume e risalto all’idioma imitativo degli
strumenti ora con lunghe pause e. marcate che
aprano largo campo all’azione di essi, ora con
quei segni inarticolati che sono la favella dell’
anima, e che mostrano la superiorità di un_At
tore che sente e conosce non solo qucllo che di
ce, ma quello ancora che deve tacersi. Dovreb'
be far sentire la successione degli intervalli ar
m‘ nici nei tuoni della voce, e. farla sentire in
maniera che , notandoli fortemente etroppo spes
so, non si dia nel contabile proprio dell’aria,
oppure, notandoli debolmente e troppo di rado,
aps
15
appena ->si distingua dal discorso ordinario. Do-‘
Vrebbe inoltre significarcoll’ azione, coi cani-t
biamenti del volto , e coll’ atteggiamento » della
persona que’ tratti di forza e di sublimitàxlie
vengono assai meglio spiegati con un silenzio
eloquente e con un accento interrotto che colla
più_pomposa orazione . Dalla imperizia de’can
tori in questo genere è venuta l’accusa che va
rj scrittori fanno al canto modernodi non con
venire cioè in alcune occasioni a ‘quello stile
sublime, a quelle situazioni inaspettate ed ener
giche, onde tanto s’ariuitiran da noi i poemi
deglianticbi, e le tragedie recitabili. Diammie
alcuni saggi per maggior chiarezza. . .
Nel sesto libro della Eneide Enemtrqvameî
boschetti dell’Eliso la troppo sventurata Dido
ne. Al suo apparire si risveglianomel petto del
principe Troiano la tenerezza e il rimorso. S’
avvicina, piange, le parla colla «eloquenza prof
pria d’ un’ anima che conosce tutta"la. sua umi
liazione , e che vorrebbe pur pattpeggiared'rav la
religione e l’amore‘. Didone l’iascolta senza gua
tarlo, non proferisce:nmsol‘ motto, e gli volta
le spalle. ‘. ’ . ' ' -”‘
Nella Medea di Cornelio quella principessa
sde
'.0
32
dallo scultore in più individui della umana spe
zie; come la descrizione della tempesta in Vir
gilio non è altro che l’ unione di molti fenq
meni naturali che si veggono succedere negli
oggetti, e che poi si radunano dal poeta in un
solo quadro, cosi un bel recitativo od una bell'
aria altro non sono che la collezioned'una mol
titudine d’inilessioni e d’accenti scappati alle
persone sensibili nei movimenti di qualche pas
sione, e disposti poi dal compositore secondo
le leggi della modulazione. Il risultato non per
tanto della imitazion musicale benchè tale qual
è non esista nella natura, ha nondimeno in es.
sa il suo fondamento, poiché sebbene non tro
visi alcun oggetto sonoro in particolare che
presenti all’orecchio la serie dei tuoni contenu
ti nell’ aria, per esempio, se mai senti spirar
zi sul volto di Gluck, egli è però indubitabi
le che separatamente presi si trovano tutti nel
la voce delle persone da passioni amorose agi
tate. Attalchè molto male, a mio avviso, opi
nò quel moderno Autore (*) che riposel’imi
Î3°
_.._ _.Af____,, -k _ :
33
tazion musicale nel rango delle chimere; opinio
ne , che non potè nascere in lui se non di po
ca filosofia , o dal desiderio di distinguersi con
qualche novità stravagante.
Al motivo d’ abbellare, e d’aggrandir la na
tura che ha comune la musica con tutte 1’ arti
rappresentative,- s’;ggiangono ancora dei pecu
liari a lei sola. La sua maniera d’imitare ecc
si indeterminata e generica , i sagrifizj che ci
TOM. III. C co
Le“
i ' '
wf»__,,_ ;» f. ,_ ,
35
ti in somma dov’ ella può afferrare gli oggetti
sono si oscuri e sì rari che la musica non ci
offrirebbe verun compenso , nè meriterebbe gli
omaggi delle persone di gusto se l’arte d’illeg
giadrire le Cose, e per conseguenza una discre
ta licenza negli ornamenti non supplisce in lei
alle altre mancanze . Eccedente non per tanto
fu la severità di quell’altro francese Autore d’
un bel Trattato sul Melodramma allorché vclle
sbandire dalla musica drammatica tutto ciò che
C 2 ser
più noiosa? Si vede che questo scrittore non ha idea
della vera imitazione , e che la confonde coll’ esatta
rassomiglianza, che non e , ne deve essere lo scopo
della musica. V. La mia musica degna di guerra na
mn ì quella di Ballo. Se l’Autore intende di parla
re del ballo chiamato alto , egli s’ inganna enorme
mente . I suoni che regolano una contraddanza, un
minuetto, un taice, un amabile non eccitano se non
un sentimento vago e indeterminato, onde non meri
tano il titolo (1’ imitatîvi . Se parla della musica del
ballo pantomimo , questa e bensì più perfetta di quel.
la del ballo Alto perehè e più imitativa , ma non
può venir in paragone colla musica applicata alle pa
role , perchè nella pantomima non accompagna se
non il gesto fuggitivo e pressochè momentaneo, nell’
aria percorre una moltiplicìtì di tuoni e di modula
Ù‘zioni differenti .
J._._- _- _ _ _---____ V v-.--g4-_____,_
36
Serve a dipignere e a far valere la possanza im
trinseca dell'arte. Disfingue egli con molto in
gegno due sorta di musica una semplice e un’ _
altra composta , una che canta e un’altra che
dipinge, una che chiama di Concerto e un’altra
di Teatro. Alla musica di concerto permette il
cercar le forme più leggiadre di canto , lo sce
gliere i motivi più belli, e il far uso di tutte
le squisitezze della melodia , ma non vorrebbe
che la musica di teatro pensasse a verun’ altra
cosa fuorchè all’unica espressione delle parole ,
che in grazia di queste trascurar dovesse ogni
idea di proporzione e di ritmo , che non s’im
barazzasse nel condurre artifiziosamepte i moti
vi, e nel seguitare le frasi musicali ; bastando
per essa il poter rendere colla maggior esattez
z_a ciascun pensiero compreso nella poesia ‘ In
una parola vorrebbe egli che le grazie e le bel
lezze, della musica fossero tutte quante sagrifiea
te ad una rigida verità . Nulla di più giusto
nè di più sensato che siffatta opinione ove non
fosse stata condotta all’ eccesso. Ein è vero che
le grazie puramente musicali sfoggiate al di là
d’un certo segno fanno svanire l’illusione ch’è
_l’ anima dell’ interesse teatrale , ma egli è. vero
al.
4 ‘ f'st’îaîîrm “ a».
7_,_ o - àéà
37
altresl che la troppo fedele e perfetta imitazio
ne dei tuoni naturali privi dell’abb'ellimento che
ricevono dalla musica non avrebbe sulle passio
ni la stessa forza muovent'e che ha l’ altra imi
tazione meno perfetta, ma più abbellita; di cui
è capace la melodia. O nasca un siffatto feno
meno
ni ‘dalla fanno
mUsicali impressione più ga‘gliarda
suii nostri che isuo
nervi, odalla com
38
e ci muovano più assai che nol farebbe la voce
naturale di Poro, s’ csprimesse quelle smanie me
desime, come un serpente od una tigre, che ci
farebbero inorridire in mezzo ad una campagna,
ci dilettano al sommo quando gli vediamo mae
strevolmente imitati dal pittore . Ora se l’og
getto primario d’ogni musica imitativa è quel
lo di piacere e di commuovere; se un tale og
getto s’ ottiene assai meglio permettendo ad es
sa una discreta licenza negli abbellimenti, se la
musica, cui lo scrittore francese chiama di con
certo , mi rapisce, mi commuove, m’incanta ,
mi strappa dain occhi le lagrime , e mi sve-.
glia appunto quelle stesse passioni che vorreb
be svegliarmi la poesia senza recar onta ai di
ritti di questa , e senza distruggere l’ illusione
propria del canto , perché dovrò sbandirla dal
la scena? Perchè dovrò con soverchia stitic
chezza rinunziare ai vezzi musicali e agli or
namenti , che mi ricompensano dei sagrifizj
che sono costretto a fare in grazia del canto?
Tutta l’arte consiste nei colpire con giustezza
nel segno dando alla rappresentazione propria
della musica quel grado d’ abbellimento che
la rende commovente e aggradevole senz’al
te‘
39
terar di troppo la sua rassomiglianza coll'og
getto imitato .
Ma dove, quando, e come deve usar il mu
sico degli ornati per conciliar fra loro i due
estremi difficili, di emendar cioè coll’ arte idi
fctti della natura, e di non sostituire alla na
tura gli abbigliamenti dell’ arte? Seguitiapto in
cotai ricerca 1’ analisi. Quando si dice, che 1'
arte debbe aiutar la natura, si viene a dire,
che l’artifizio è un supplemento di ciò che a
lei manca. Per conseguenza dove la natura non
ha bisogno di supplemento, dov’ ella ha in se
stessa i gradi di attività necessarj a produrre
compiutamente il suo effetto, ivi 1’ artifizio non
dee punto aver luogo. A conoscer poi quando
la natura abbia forza per se sola a produrlo,
basta osservare se i tratti, che si mostrano in
lei, fissano tutta l' attenzione del nostro spirito
in maniera che dopo averla veduta, e dopo ch’
ella ha parlato, la nostra curiosità e il nostro
desiderio richicggano ancora_ qualche cosa di più,
oppure rimangano appieno soddisfatti. S’è con
seguito questo fine ultim_oi Allora gli ornamenti
aggiunti alla semplice e schietta natura nuocono
in vece di giovare, perchè daquua banda chia
. C 4 ma.
4o
mano a se parte di quell’ attenzione che dovreb
be tutta e intiera fissarsi sul tale oggetto, e
dall’ altra cuoprono colla loro pompa alcune bel
lezze naturali di «so, onde restando inosserva
te, eppur non sentite non eccitan0 l’interesse .
Le potenze del nostro spirito non restano an
cora appagate? Ecco deve l'ark venire in soc
corso a riempiere quel voto lasciato tra la ca
gione e l’effetto, facendo che gli abbellimenti
suoi servano, a così dire, di mediatori fra l’
. imperfezione della natura e la sensibilità mal
contenta dell’uditore. Sua incombenza è.dì aggiu
gnere all’ oggetto imitato quei lineamenti che gli
mancavano nella prima sua impronta , acciò più
chiara e più sensibile apparisca l’imitazione.
Ma si ricordi bene ch’ essa appunto non dee far
altro che riempiere il vuoto, vale a dire correg
gere, o ajutare, o perfezionar la compagna,
non mai soppralfarla nè opprimerla. La somma
gloria di lei consiste anzi nel farla trionfare e
nascondersi. Guai se l’arte mostra i suoi vez
zi! Guai se in vece di ausiliare vuol compari:
prottetrice! Allora lo spettatore, che non s’in
teressa nell’ oggetto se non se a motivo della
illusione, ogni qual volta è costretto a ricono
‘ scer
I.” i
41
sc'er l’ inganno si pente della propria credulità,
e si vendica dispregiando l’arte e l’artefice.
Dai principi accennati si ricava, che il mu.
sico non dee ammetter in ogni luogo gli orna
menti, nè in ogni luogo schivarli. Dee am-_
metterli qualora e'ssi realmente correggano idiv
fetti della composizione o del sentimento, qua
lora promuovano il gener medesimo di espres
sione che regna nel canto, qualora si confaccia
no coll’ oggetto imitato e colla situazione, qua
lora servano a conciliar 1’ attenzione dello‘spet
tatore disponendolo a inoltrarsi nel senso delle,
parole o a gustar meglio,la forza e la varietà
del dettato musicale. Deve schivarliqualora di
vengon superflui, o palesan di troppo l’artifi'
zio, o scemano con insignificanti frascherie la
vivacità del sentimento, o distornano l’atten
zione dell’ uditore dal soggetto principale, 0 di
struggon l’ effetto delle parti compagne, o tin
gono il motivo di un colore diverso da quello
che esige il suo carattere, ovvero Cangiano l;’
indole della passione 0 la natura del personag
gio. Come la materia di che si tratta e tanto
importante, così sarà bene il discendere aqual
che Conseguenza di pratica .
Pri
e*s._ _' 42
Prima. Non si dee aggiugnere alcun abbelli
mento nè dalla parte del suonatore, nè dalla
parte del cantante ai semplici recitativi, come
non s’inorpellano nella retorica l’ esposizione d‘
una ragione o la narrativa d’un fatto; perocchè
nascendo l’interesse dalla chiara percezione di
ciò che il produce, lo spettatore non potrebbe
commuoversi in seguito se gli ornamenti gl'
impedissero di prestar al filo dell’azione la do,
vuta attenzione.
Seconda. Molto meno nei recitativi obbliga
ti, dove rappresentandosi la dubbiezza dello spi«
rito nata dal contrasto dei motivi che gli si
fanno innanzi, l’anima concentrata nella sua ir
resolutezza non ha tempo di badare alle fra
scberie .
Ter{d. Non deve infiorar il principio di unl
aria per la stessa cagione che non s’infiora l’
esordio di una orazione , cioè perché ivi è più
che altrove necessaria la semplicità ad intender
bene ciò che vuol dire il motivo, il quale mal
si capirebbe travvisato dall’arte , e perché sup
ponendosi gli uditori attenti abbastanza in prin
cipio, fa d’uopo riserbar i fiori per quel tempo
ove la loro attenzione comincia ad _illanguidire.
_ngr
14_,_____j
43
Quarta. Nemmeno allora quando ilcanto es
prime il calore delle grandi passioni . Queste
non veggono altro oggetto fuorchè se sole, e
gli ornati aggiunti in tal caso fanno il medesi
mo effetto, che le nuvole frapposte a ciel se
reno fra 1’ occhio dello spettatore e l’ astro lu.
minoso del giorno.
Quinta. Nè meno in quella spezie di affet
ti, che ricavano il pregio loro maggiore dalla
semplicità con cui si sentono, e dal candore
con cui si esprimono; tali sono gli amori bo
scherecci e le ingenue tenerezze di due giova
ni amanti ben educati, Una negligenza non af
fettata si conviene ai primi. Un ozio dolce d’
ogni altra facoltà dello spirito fuor di quelladi
amarsi e di godere s"appartiene ai secdndi.- '
Sena. Non dee il cantore frammettfiglion
namenti qualora l’andamento delle note nella
composizione o la mossa degli strumenti è inci
tata e veloce . Sarebbe lo stesso chese ad uno,
che anela nel corso ,s altri gettasse fitori di stra
da alcuni pomi bellissimi, accincchè trattedem
dosi egli a raccoglierli, non potesse mai tocca
re la meta . ' '
J‘enimn. Ne meno quando _canta accompa:
gna.
44
gnato in un duetto , in un trio, in un finale,
0 in un coro; attesochè se ad ogni cantore si
concedesse l’ uscir della riga per far pompa di
ghiribizzi mentre gli altri stanno fermi a rigo
re di nota , quella non sarebbe più musica, ma
piuttosto una confusione e un tumulto.
Ottava. Si può far uso di qualche fregio nel
le arie allegre e festevoli perché proprio èdell’
allegrezza il diffondersi, e perché lo spirito non
fissato immobilmente (come nelle altre passio
ni) sopra un solo oggetto, può far' riflessione
anche agli scherzi dell’arte t
7 Nona. Come nelle arie ancora che si chiama
no di mezzo carattere; perchè non esprimen
dosi in esse veruno slancio di passione forte , nè
alcunqrapido affollamento d’immagini, la melo
dia naturale deve allora supplire con graziosi
modie con gruppetti vivaci alla scarsezza di
_melodia imitativa.
Decima. Si può brillare coin ornamenti in
quei casi dove il personaggio s’introduce abel
la posta cantando come nell’ 0/1 care selve, ola
cgra felice libertà posto in bocca di Argene
nell’ Olimpiade , o nell’inno
5’ un’
f vaffv?‘y
45'
5’un’alma armadi
S’un care accendi
Che non pretendi
Timmw amar ?'
nell’ Achille in Sciro , e varie altre di questa
classe, nelle quali siccome il personaggio non
rappresenta, ma canta, cosi a lui non si vieta
usare di quelle licenze, che si permettonoachi
si diverte cantando in una camera, o in un’
accademia.
Undecìma. Ma nei casi indicati, come in
tutti gli altri, gli ornamenti debbono usarsi con
parsimonia e con Opportunità. La mancanza del
la prima fa simile il canto alla pianta infecon
da di Virgilio: foliorum exubera; umbra. La
mancanza della seconda mette il motivo musi
cale in contraddizione con se medesimo, poiché
ad un andamento patetico s' uniscono i fregi dell‘
411egro , gli arzigogoli del Presto s’ inseriscono nell’
adagio, e così via discorrendo.
Duodecima. Quando il pensier musicale (1’
un aria si è presentato adorno di certa classe
di ornamenti, non si dee replicarlo di nuovo
vest'fio in foggia diversa; perché s’ hai colpito
nel segno la prima volta , saranno necessaria
men
-_4' '
47
stesso che vestire il pensiero di un abito non
suo.
Decima sesta. Per conseguenzasono estrema
mente assurde, e ridicole le arie obbligare, do
ve la voce imita uno stromento sia da fiato
ossia da corda. Lo scopo del canto ' drammati«
cc è quello di rappresentar le passioni, le quali
non si manifestano nell’uomo col suono dell’
oboe, né del violino .
Decima settima. Hassi a sbandire dalle caden
ze come un ornamento puerile quella che si
chiama recapitulagr'one dell’aria, parola che b
si risolve in una idea inintelligibik , o ton
tiene un precetto insensato. La passione non
‘epiloga mai se medesima, nè dispone i suoi’
movimenti secondo le regole dell'arte moda
del Padre De Colonia.
Decima ottava. Gli lbbellim'chti, che s’ iti
troducono, debbono essere di va'ga e leggiad\m
invenzione, perchè il solo fine d‘introdurli è
quello di dilettare; debbono innestarsi con gra
zi0sa naturalezza nel motivo “ciocche non ap
paia troppo visibilmente il _ contrasto; debbono
finalmente eseguirsi con esattezza idemendabile,
poiché sarebbe strana cosa eridicola, che il can
tore
tore si dimostrasse inesperto nelle cose appunto
ch’ei fa col solo ed unico scopo di mostrare
la sua perizia(
Se i maestri dell’arte in vece di consultar la
moda sempre capricciosa e incostante, o di ab
bandonarsi allo spirito di partito , che non co
glie nel vero giammai, avessero, siccome ho io
cercato di fare , fissati i principi analizzando le
ideene’ suoi primitivi elementi, da una banda
non si Vedrebbero essi aggirarsi tastoni dentro
al buio di mille inconcludenti precetti, e dall’
altra la musica vocale si troverrebbe in Italia
in istato assai diverso da quello che si trova
presentemente. Però non diffido, che dal let
tore mi venga perdonata la lunghezza dello sva
gamento in attenzione alla sua utilità.
Dicendo quello, che dovrebber fare i canto
ri , ho detto appunto quello ch’ essi non fanno.
Come se avessero in qualche scrittura fatta per
vmano di notaio rinunziato solennemente al buon
senso, così gli vedrete sovvertire e capo volge
re ogni parte del melodramma. Il recitativo do.
ve la poesia conserva tutti i suoi diritti, e do.
ve l’imitazione e cosi prossima alla verità e
alla natura, è la parte ch’ essi strapazzato. più (1’
, ogni
49
ogni altra . Ora profl'eriscono le parole con un
certo andamento uniforme e concitato che non
a declamazione , o a discorso naturale rassem
bra, ma a quelle orazioni. piuttosto, che i fan
ciulli soglionoy cinguettare» presso al loro babbo.
Ora adoperano una cantilena perpetua, che an
noia insoffribilmente chi ascolta. Ora scambiano
la quantità delle sillabe pronunziando breve la
lunga, e lunga la breve. Ora si dimenticano
pelle fauci. o nel palato le, finali v delle parole
profferendole per metà. Ora sconnettono il no
minativo dal,verbo che gli si appartiene, ov
vero una parte dell’ orazione dall’ altra in ma
niera che tante volte non si capirebbe punto la
relazione frà le parole nè il significato loro , se
non venisse in aiuto. il libretto per far ciò che
faceva il pittore di un castello chiamato Orba
neja rapportato nella storia di Don Quisciotte,
al quale, dopo aver dipinta una figura, riusci
va tanto fedele l’imitazione che gli abbisogna-.
va per esser capito scriver di sotto; _Q_uesto è
un gallo. Nulla dirà della radicale monotonia
e dalla somiglianza perpetua, che s’avverte so
stituita a quella varietà d’intctvalli e di tuoni ‘
Che visi dovrebbe sentire in ciascun periodo,
Îom. III. I) an
50
anzi in ciascuna sillaba secondo la divetfit5del«
le parole, e dei sentiMenti . Se qualche diffe«
renza vi si osserva , questa consiste solo ne'vi«
zj dissimili di chi gli recita. V'è chi lo dice
in confidenza, chi con una confusione che ri«
butta. V’è chi affretta a guisa di chi vuol ga<
loppare, v’è chi mostra una milensaggine che
vi par quasi debba convertirsi in ghiaccio pri'
ma di finirei Chi scl mangia fra’denti, chi la
canta ridendo. L’uno strilla, l’ altro balbutiase,
e il terzo scivola.
.. . . . Ille sininnnum.
-b1'c dextra'rsum
abit , una: ubibi: Error. 3
Ho udito alcuni cantori scusarsi di cantar male
i recitativi accagionando i maestri, i quali coi
rivolgimenti inaspettati del Basso fanno aberrar
la voce in luogo di guidarla. Sarà vero tal vol
ta questo difetto ne’compositori ,, ma ciò non
basta a scolparne i cantanti , che quasi sempre
lo cantano male oltre l’inciampar che fanno in
mille altri vizi, i quali nulla hanno di comune
col movimento del Basso. Passiamo alle arie.
Non negherò già, che se il canto si prende
in quanto è la maniera di modificare in mille
8Ul°
gi
ghise la Voce col maggior possibile artifizio e
finezza, non abbia quest’ arte ricevuto degli av
.vanzamenti prodigiosi in italia . La leggerezza
del clima, il tatto squisito dei nazionali in ma
teria di musica, la lunga abitudine di giudicare
le di sentire , la moltiplicità dei confronti, la
lingua loro piena di dolcezza e di melodia , la
Sveltezza e agilità della voce procurata a spese
della umanità sono tutte cause , le quali hanno
dovuto render gli Italiani altrettanto capaci a
perfezionare questa spezie di talento quanto lo
erano gli antichi Sibariti nel raffinat i comodi
della Vita , o quanto le moderne ballerine del
Suratte desct'itte' con penna rapida e brillante
da uno storico-filosofo lo sono nel preparar era
ditamente le faccende tmrltiforttti della voluttà .
Cosicchè l’arte di eseguire le menOme gradua
zioni ,- di dividere il snono più delicatamente ,
di etprimete le differenze e gli ammorzamenti
insensibili , di colate , di filare, e di condurre
la voce; di distaccarla , di vibrarla , e di riti
rarla; la volubilità , il brio, la forza , le uscii
te inaspettate, la varietà nelle modulazioni, la
maestria nelle appoggiature , nei passaggi, nei
trilli, nelle cadenze, nelle realizzazioni, sicco‘
' D, a. me
52.
me in ogni altro genere di ornamenti; lo stile
dilicato , artifizioso, raflînàio, sottile , l’espres
sione talvolta degli affetti più molli condotta
fino alla evidenza; sono tutte meraviglie del
cielo Italico poste egregiamente in esecuzione
da parecchi cantori viventi. Abilità , ch’io ti
conosco in loro, e la quale tanto più volontie,
ti confesso quanto più sono lontano dal voler
comparire parziale od ingiusto.
.’Dirò di più , che in questa spezie di canto
si sono cglino distinti a segno che non solo le
nazioni moderne, tra le quali è incontrastabile
che nessuna può venire in paragone coll’Italia
ma, ma porto anche opinione che nemmeno quel
le duc antiche coltissime la Greca e la Latina
pervenissero mai sul teatro all’artifizio e deli
catezza di modulazione che si pratica a’ nostri
giorni, (*) i
‘ ‘ Ma
(*) Larga messe di dispute e stato fra gli Eni
dirì il canto drammatico degli Antichi , ecome spes
so accade fra codesti Messeri , fondate per lo più in
pure battologie e questioni di voce nate dal non aver
fissate l’idee, ne distinti bene diversi significati
della parola canta. Siccome la ricerca può sembrare
curiosa e non del tutto aliena giallo scopo di quest’
- ‘ , 09e
I -i.'
_w-n.. _ - e_v '
54 ’
pur esser l’ufliz'io del teatro e d'ogni canto
imitativo, in tal caso non se ne sdegnino gl'
Italiani se a nome della filosofia e del gusto
francamente pronun_zio, aver essi, in vece di
gio
Ser;
1 r ùv
-”Î>L\<_W '-\
_ "\ .,_‘__ 7*
_aw
64
Siam navi alle onde algentì
Lasciate in abbandono:
Impetuori venti
I nostri aflètti sono:
Ogni diletto è scoglio
Tutta la vita è mar.
eoll’enorme guazzabuglio di note onde si ve»
ston_o esse nel canto uscendo alla fine in un mi
nuetta , 0 in un allegro, posciacchè il minueh
to e l' allegro sono, come vede ognuno, il mi
glior mezzo possibile per enunciare una massi
ma filosofica? Di sifiatti solecismi musicali so-_
no piene in tal guisa tutte le Opere moderne ,
che l’accumulare gli esempi sarebbe , come dice
un proverbio greco, lo stesso, che portar vasi
a Sarno o nottole ad Atene.
Ma l’imitazion che risulta dalla somiglianza
del canto colla situazione del personaggio sup
pone forse troppodi studio e di gusto, perché
deva sperarsi dagli automati cahori che si chia
mano virtuosi di musica. Vediamo almeno se
si trovi un compenso nell’altro genere d’imi
fazione che nasce dalla Convenienza delle parti
elementari del banto coituoni della favella or
dinaria; Allorchè 1' uomo parla, il suo discorso
g si
65
si distingue precisamente per la maggior len
tezza o rapidità nel proiferir le paroleo le sii.
labe, pel grado di acutezza o di gravità che
vi si mette, e per la forza o remissione colla
quale si notanole inflessioni. A questi trè ele
menti della voce umana corrispondono altrettan
ti nella musica. Il tempo esprime la velocitào
la tardezza, il muovimento imita 1’ acutezza o
la gravità, il piano e il forte rappresenta ildi
verso ricalcar che si fa sulle v0cali. Ora sicco
me la natura e la combinazione degli accenna
ti elementi non è sempre la stessa nell’umano
discorso, ma variano entrambe secondo l’indo
le e il grado delle passioni , essendo certo, che
l’ andamento per esempio della malinconiaè tar
do e uniforme, quello dello sdegno rapido e
precipitato, quello delle passioni composte disu
guale e interrotto; così nel canto dovrebhesiin
Ciascuna cantilena variare il tempo, il movi
mento e il ritmo musicale secondo l’espressione
delle parole, e la natura dell’ affetto individua
le che si vuol rappresentare; nè passar si do
vrebbe dai tuoni più piccolie bassi ai più alti
ed acuti, nè discender poscia da questi agl’imi
senza la debita graduazione e verità di rapporto.
TOM. III. E Po.
66 ,
Tosti siifatti principj mi si dica di grazia
qual imitazione, qual convenienza col favellar
comune apparisce nel canto moderno , dove a
rappresentar affetti e sentimenti contrari si pone
gono in opera li stessi capriccj, che dalla ple
baglia armonica vengono chiamati ornamenti?
Dove in un'aria dolente si frammischian le stes
se volate , gruppi , e salti di voce che conver
rebbonsi ad un’aria concitata? Dove esprimen
dosi nelle parole un equabil languore mi si sal
ta all’ improvviso dal più basso al più acuto
scorrendo molte volte tutta l’estensione della vo
ce con mille impertinentissitni gruppi di note?
Dove nel caldo maggiore d’un sentimento ira
condo allorché il cantore dovrebbe mostrarsi, a
così dir, sofl'ocato dalla sua stessa prontezza, si
ferma lentamente in un passaggio lunghissimo
sfidando ad un combattimento di gola le lecco
re e i èanarj? Dove questa fermata si fa non
alla fine d'un periodo 0 d’ una parola, come
vorrebbe il buon senso, e il richiederebbe l'in
flessione patetica, ma in mezzo ad una parola,
o su una vocale staccata dalle altre? Dove il
modulatore corrompe i tuoni in maniera a for
za di repliche, di passaggi e di trilli che ove
0
si
‘.
A
67
si trattfia d’imitar la tristezza o l’ odio, mi
si sveglia l’amore 0 la gioia? Dove col trin
ciar in mille modi e agglomerato la voce si
sfigura talmente il carattere degli affetti natu
rali che più non si conosce a qual passione ap«
partengano, onde ne risulta una nuova lingua ,
che non intendiamo? Dove non si comprende
che vi sia alcun linguaggio articolato, ma un a
o un è che corrono precipitosatriente per tutte
le corde e per tutte le scale applicabili egual
mente a parole ebraiche o latine che alle italia‘
ne? DoVe all’aria stessa cioè alla stessa Passio.
ne che conServa'la tinta e il colore medesimo
si da tutte le volte che si tonia da capo un
tuono affatto diverso cambiando il tempo, il
movimento, e il ritmo quantunque il cambia.
mento non abbia punto che fare col Basso e
coi violini? DoVe troncando a mezzo il "senso
delle parole e lo sfogo degli affetti attende tal
volta che finisca l’orchestra che dia tempo ai
polmoni di raccoglier- il fiato per eseguire . una
cadenza? Dove per il contrario s’impone silen
zio alla orchestra, dando luogo al maesrro che
levi la mano dal cembalo, e che pigli tabacco,
mentre il cantore va follemente spasseggiando sen
E a za
68
sia disegno per un diluvio di note? Dotto que.
sti si prende ad ogni passo la libertà d’uscire
da ciò che gli prescrive la composizione costrim
gendo 1’ orchestra a seguitarlo negli scioccbissi
mi suoi ghiribizzi? Dove in luogo che gli stru7
menti imitino la Voce, è piuttosto la voce uma
na quella che prende tal volta a gareggiare co;
gli strumenti chiamando con eccesso di stolidez»
ma a singolar tenzone ora una tromba, ora un
violino, ora un corno da caccia? Oh! che siche
Giovenale nel vedere la strana violenza che fanno
i Canî0fl al “050 comune avrebbe avuto ragion
di esclamare _Q_ur's tamf;rreur in teneat se? Che
si che-l’aveva quel francese autore d’un poema
sulla musica allorchè disse parlando della Italia
Qrgueilleuse «,(us9m'e, il le fqut declarer
J la bonte d’un art que l’un dai: revere,r
Mille ime8u inaudita, dopt te: ville: qbondent
De leurs ton: venim;ux de tqute:paqts t’ inondenn
_Par. un nom_bre d’-Jutgurs de no; jou,rr redo_uólè
Je V mi: son; lam_‘t furgur; tqn.r pays qgcaàlè . (*)
EP'
(')_ La Murigue Epistola in versi divisa in quat-.
ero Canti Chap. ;. inserita nel libro, che ha per ti.
{pio La dea: de: E_nfm.r_ d_e Latqrrr, '
69
Eppùre (mi sento opporre da più d’uno) le
VOstre invettive sono altrettanti colpi dati al ven
to, Poiché o imiti il tanto, o non imiti la na
tura, sia esso, o non sia conforme al senso del
le parole certo è, che piace generalmente Sul
teatr0, e che le arie cantate con le Stranezze e
le inVerosimiglianze , contro alle quali vi sca
gliate si fieramente, 50h0 qttellc appunto, che
riscuotono i maggiori applausi, e che svegliano
costantemente l’ammirazione del popolo. Una
delle due cose adunque vi fa di mestieri accora
dare: o che le orecchie del Pubblico non sono
giudici in fatto di musita, Io che Sarebbe un
paradoss0, o chei vostri sognati rapPorti fra
la rappresentazione e il rappresentato non sono
punto necessari a produrre l’effetto .
Ecco l’universale ma puer'ile sofisma, il quas
le ridotto in massima dalla ignoranza , e avvafl
lorato da uno speaioso pregiudizio è quello, che
cagiona l’esterminio di tutte le belle arti. E
quando mai, replicherò io a codesti fautori del«
la irragionevolezza , e quando mai fu costituito
il popolo per giudice competente del gusto ove
si tratta di arti o di lettere? Da qual sovrana
decisione, da qual tribunale emanò un’ autorità
'. E 3 così
70
così destruttiva dei nostri più squisiti piaceri?
Ilppopolo può giudicare bensì del proprio di
letto e compiacersi d’una cosa piuttosto che d’
un’altra , nel che i filosofi non gli faranno
contrasto, ma non è, nè può esser mai giudiq
ce opportuno del Bello, il quale non viene co-.
si chiamato quando genera un diletta qualun-.
que, ma allora soltanto che genera un diletto
ragionato figlio della osservazione e del riflesso.
Il piacere, che gustan nel canto, moderno colo!
ro che nulla intendono, non è: altro che una se
rie di sensazioni materiali, a cosl dire, e mec
caniche prodotte unicamente dalla melodia na
turale inerente ad ogni e qualunque tuono ar
monito, e che si gode ne’gorgheggi d’ un ros-.
signuolo al paro che nella voce’ d’un cantore ._
E se di questo. solo piacere si parla, e di. que
sto si contentano, e per questo solo vanno al
teatro, appiglinsi eglino pure alle decisioni del
volgo, che io non m’ oppongo , Ma oh bellez
za sovrumana della musica! Oh imitazione ii
glia del cielo! Io non mi presento inanzi al tuo
altare con si umili sentimenti ._ Allorché vado
al teatro per tributarti un omaggio. d’ adorazio
ne, io porto meco la non ignobil superbia ,d’
CSSCR
71
esser uom ragionevole, e di voler conservare
fin nell’ esercizio della mia sensibilità i privile
gj della mia natura. Io chieggo prima da te,
che, trasportando nel Falso le sembianze del
Vero, tu mi seduca e m’inganni; che porti l’
inganno e la seduzione al maggior grado pos
sibile; che mi facci pigliar un inconsistente ag
gregato di suoni pei Veri gemiti d‘un mio si
mile, e che costringa a correre, come un
altro Enea, per abbracciar il fantasma di Creu
sa in vece del suo corpo. Tu devi poscia chie
der da me, che svanita che sia 1’ illusione, io
seguiti ancora a godere della compiacenza rifles
sa di essere stato ingannato; che ammirila pos
sente magia. dei suoni che pervennero a. farlo;
che paragoni que’ punti di rassomiglianza col
vero onde trasse origine il mio delizioso deli
rio; che sillogizzi comparando la voce che can
tò colla passione 0 l" idea che voleva rappresen
tacmi; e che simile all’Adamo introdotto dal
Milton , dopo aver vagheggiata in sogno la bel
lissima sconosciuta immagine della futura com
pagna, confronti poi svegliato a parte a. parte
nell’ originale il. vivace lume degli occhi, l’oro
dei capegli, le rose delle labbra, il latte della
E 4 mor
72.
morbida carnagione, e la tomita perfezion del'
le membra .
Giudice non per tanto del Bello solo è chi
ad un tatto dell’anima squisito e pronto accop
pia una robùsta facoltà pensatrice, chi compren«
de ad un tratto la finezza non meno chela mol
tiplicità delle relazioni fra gli oggetti del gu
sto, chi sa dedurre da un principio sicuro una
rapida serie di legittime conseguenze, in una
parola chi porta in teatro 0 su ilibri una men
te illuminata non disgiunta da un cuor sensibi‘
le. Senza l’una e l’ altra di queste doti tanto
è impossibile il parlar aggiustatamente in mate.
rie di gusto quanto lo sarebbe ad un cieco na
to il giudicar dei colori. Ma come attender
tante e si difficili qualità da un Pubblico per
lo più ignorante o distratto, il quale, siccome
vede spesso cogli altrui occhi, e sente’ colle al
trui orecchie, cosi gusta non poche volte coll’
altrui sensazione e non colla propria? Come
sperarle da un udienza, che va alle rappresen
trazioni;v drammatiche collo spirito medesimo che
anderebbe ad una bottega da caffè , ad una
conversazione , o ad un ridotto, cioè per ispen
desvi quattr’- ore in tutt’altro esercizio che in
. . quel
. .”v ,_-&’I
_‘Jn_ ,,___ ;.,..»M
73
quello di arricchirela sua testa d’idee e il suo
cuore di sentimenti? Come crederle in una union
di persone, le quali per lunghissima e non mai
smentita esperienza veggonsi applaudir sempre
al cattivo e trascurar il buono? Correre in fol‘
la ai mo‘stri chiamati tragedie del Ringhieri mena
tre lasciano solitarie sulle scene la sublime Ata
h°a e la patetica .Alzira.J Deliziarsi estremamen
te con Arlecchino o Tartaglia , e sbadigliare ala
la rappresentazione del Misantropo? Tacciar di
sforzato e seccagginoso Moliere, epoi commen
dare i... Nomi illustri ch’cravate per sortire dal‘
la mia penna, la mia pietà vi risparmia! Un
avanzo di compassione, che pur mi resta, mi
consiglia a non privarvi del dolce inganno in
cui vi tiene la vostra vanità, e a lasciarvi go
dere di quelli stolidi applausi, che sono 1’ uni.
ca ricompensa delle vostre comiche inezie .
Mi si dirà , che il quadro da me abbozzato
comprende il volga soltanto, non già il Pub
blico signorile e rispettabile, che forma per
lo più l’udienza dell'Opera. Nulladimenoa ri
schio di passare, per un Quakero della Pensil
vania, o per un non ancora civilizzaro Pampa
del Paraguay, io ripiglierò francamente, Che»
ove
74
ove si tratta di pronunziar un fondato giudizio
su ciò ch’è Bello nelle arti rappresentative, quel
Pubblico signorile e rispettabile non difi'erisce
poco né molto dal volgo. Si; volgo è in ma
teria di spirito la massima parte delle vezzose
dame e dei brillanti cavalieri, ai quali
La gola, il sonno, e Pagine piume,
l’occupazione importantissima di amoreggiare,
o la più importante ancora del giuoco o degli
abbigliamenti, o il trasporto pei cani 0 pei
cavalli maggiore tal volta di quella che hanno
pe’i loro simili, o il frequente epiat:cvole con.
versar coi buffoni non lasciano loro né il tem.
‘po necessario ad istruirsi , né l’abitudine di ri«
flettere, sebbene non tolgan loro per lo più la
‘prosunzione di decidere. Volga è la massima
" parte delle persone civili che frequentano il tea
tro o per le stesse cagioni che i precedenti, o
perché gli affari urbani o domestici, o lo stu
dio ad altre cose rivolto non concedono loro 1'
agio d’ attendere a cosi delizioso pascolo della
sensibilità. Volgo è nelle cose musicali quella
razza di sapienti accigliati e malinconici che
stampano su tutti gli oggetti l’impronta del lo
ro carattere, e che fatti per abitar piuttosto il
mon
75.
mondo di Saturno che finestra si stimerebbono
rei di lesa gravità letteraria permettendo , che
la mano incantatrice delle Grazie venisse tal
Volta a vezzeggiarli, E volgo è ancora 1’ ag
gregato degli uditori maggiore assai di quello,
che comunemente si crede, i quali indifferenti
per natia rigidezza d’ orecchio al piacere della
musica, e disposti a pesar sulla stessa bilancia
Gluck e Mazzoni, Pugnanie un dozzinale suo
nator di festino potrebbero interrogati sul me
rito degli attori rispondere come fece quel Bo
lognese, che trovandosi in Roma in una veglia
presso ad un tavclino dove ginocavauo certi
Abbati di condizione sconosciuti a lui, einsor
10 fra i giuocatori un litigio intorno ad una
giuocata, cui egli non aveva potuto badare per
aver dormito fino a quel punto, richiesto ali
.improviso da un Abbate Che ne dice ella, sx'- _
gnore? Chi crede abbia il torto fra noi?- rispo
se con. faceto imbarazzo Jb.’ s) , s). Dire be
ne V. I, Illustrisr, tutti b_4nno_ ragione egual
mente, .
Che se a_ questa classe voglionsi aggiugnere
gli ippocriti di sentimento, quelli cioè che af
fettano di pro_vat diletto, nella musica. per ciò.
so!
76
Solo che stimano esSer Proprio d’ uomo di fine
gusto il provarlo: se noveriarho anche i molti,
che invasati dallo spirito di partito commendaà
no non ciò che credono esser buono, ma quel
lo soltanto che ha ottenuta la lor protezionef
se vorremo separare i n0n pochi, che essendo
idolatri di un solo gusto e di un solo ‘stile cir
coscrivono l’idea del Genio nella esecuzione di
quello, e rassomigliano a quel capo dei selvag
gi, il quale stimand0 esser le sue campagne il
Confine del mondo, e se stesSo l’unico sovrano
dell’Univei-m, esce ogni mattina dalla sua cafl
panna per additar al Sole la carriera che dee
percorrere in quel giorno; si vedrà, che alla
fine dei conti quel gran Pubblico signorile'e ri
5Petiabile si risolve in un numero assai limita
to di uditofi, che capaci siano di giudicare di
‘rettamente. E questi assai lontani dall’incorag
'giare coi loro applausi i pregiudizi dominanti
'sond anzi della mia opinione , e se ne dolgono
apertamente della decadenza della musica, cin
veiscono contro i musici e i cantori che l’han«
no accelerata . ,
Coloro poi che dal piacere del volgo tragg°
no un argomento per conchiudere che ad eccitar
l’in
'-_-_ _fl-_.A__
" --_- .4w#__MA-b" »
77
l’interesse che può esservi nella musica nulla
Vaglia la connessione fra le parole e il fcanto,
cadono a un di presso nello stesso sofisma di
quei pseudofilosofi, i quali perche lo sfogo ma-.
teriale dei sensi nell’amore viene accompagnato
da voluttà, pretendono che niup’ altra cosa deb-_
ba pregiarsi in quella passione fuorché la voluta
tà momentanea. Questi insepsati discepoli di.
Aristippo mostrano d’ignorare che i diletti mec
canici dell’amore si riducono pressocchè al nul-_
la qualora manchino loro 1’ influenza della im
maginazione, o l’ energia del cuore, o 1’ entue
siasmo generato dalle qualità morali. Quelli non
capiscono, che il piacere sensitivo ed esterno
che producono i suoni sull’ uomo considerato sem
plicemente come una macchina fisica organizza
ta per riceverli, non è per alcun verso para
gonabile con quell’ altro diletto più intimo che
producono nell‘uomo morale, cioè nell’uomo
considerato come un essere capace di conoscere
la simpatia di certi suoni con certe affezioni
dell’ anima, e di prevalersi di siffatta cognizio
neper metter in esercizio le proprie passioni.
Cose tutte che non ponno provenire da una
serie indeterminata di suoni, ma dalla deten
mx
78
minuzione bensì che ricevbnò essi sunni dalle'
parole; le Quali; facendo vedere‘ la dipendenta
in cui sono gli ‘uni dalle altre, eccitanó le
stesse idee e i movimenti stessi ch’ecciterebbe
la presenza degli oggetti rappresentati; Perciò
Sant’Agostino definì la musica l’arte della mm
dulagiori conve’ne‘vvle, e Platone Comparò la
poesia separata dal canto ad un Volto che per
de la sua beltà passato che sia il fiore della
Sua giovinez;za ( a) . Lo stesso filosofo parlan-’
dodella eorruttela dell’antica armonia e dell’
antico teatro attribuisce l’una e l'altra alla de
bolezza de’ poeti e dei musici, che presero per
regola del Bello nelle due facoltà il piacere del
volga trascurando quello dei più saggi (1:). Un
altro Scrittore non minore di lui concorre nella
stessa opinione deducendo apertamente la perdita
delta musica, come ancora delle virtù politiche
in Atene, dall’ aver toltodi mano alle persone
di miglior qualità ie arti ginnastiche e le musi
cali cdnfet‘exìddhe ai Popolo l'e9ercizio e il pro
fitto Due autorità cosi rispettabili avva
' lora
82
d’ora, e poi partono senza che lo spettatore
possa capire a qual fine ciò si faccia, riducen«
dosi tutto, come l’universo nel sistema di Lei
bnitzio, a pure apparenze o prestigj. Quindi l’
incertezza e varietà con cui si giudica d’ una
stessa composizione o d’un’aria, poichè non
trovandosi un rapporto esatto fra l’imitazione e‘
l’ oggetto imitato, il pensier musicale dell’aria
non meno che la sua esecuzione restano appli
cabili a cento cose diverse; dal che avviene,
(ht: il gusto dello spettatore abbandonato il se
stesso ora fa l’applicazione in un modo, ma
in un altro, e diversamente in ognuno .
La riflessione ultimamente accennata potreb«
be, se mal non m’ap‘pongo, sparger’ qualche
lume sul quesito, che ho udito farsi da molti ,
onde tragga origin cioè la rapidità con cui si
succedono i gusti nella musica, i quali si cam.
biano non solo da secolo a secolo, ma da lu
stro a lustro , e perché siffatti cangiamenti sia
un più visibili in essa che in qualunque altra
delle arti rappresentative , Io non posso tratte-’
nermi a dir tutto ciò che mi somministrerebbe‘
un argomento cosi fecondo, il quale non p0-'
tubbe trattarsi a dovere senza lo scioglimen
io
. 83
io" di {molte questioni preliminari. ConVeirebbe'
Cioè prima di tutto Sapere se vi sia un genere
di musica assoluto e uniVersale; che debba pia
cere ugualmente in tutti i tempi, e presso" a
tutti i popoli della terra: Se il diletto, che ge-‘
nera la musica sia un diletto _ di educazione e
«fattizio; Oppure inerente all’ azione intrinseca
di quelliartei se il carattere Vago earbitfilo,
del quale‘ vien rimproverata la musica; sia Pe-'
culiare' della nostra oppure di'ògni altra iimsi
ca conosciuta finora: se il fondamento di tale'
accusa si debba iipet'ere dall’atm‘nnia o dalla
melodia Ovvero dall’ una e' dall’altra:‘ Se con-'
sista nell’uso che si fa delle conSoha_nze o nella
illimitata licenza che si prendono i musici nell’
adoperare le dissonanze: se" provenga dalla man;
cania in natura d’ un Suono generatore fisso e
determinato che possa riguardarsi come princi
pio inalter‘abile degli altri suonif se la perdita
della Prosodia poetita possa aver contribuito a
render 1’ azione della musica vaga ed inèe:
ta: se vi sia probabile sperania di dare una
maggiore stabilità e fermezza ai gusti musica.
li cc. . ‘ .
Dirò soltanto, clic la varietà delle Opini0nic
F 2 ' il
84
il rapido loro cangiamentó nasce dal principio
medesimo, che fece degenerar il teatro italiano
nel secolo scorso. Il maraviglioso introdottovi
non rappresentando alcun Essere conosciuto in
natura, né apportando seco alcun modello rea
le, al quale potesse rifferirsi dallo spettatore,
prese quella forma e travvisamento, che volle
roìrgli la svogliatezza, l’immaginazione, e
il capriccio . Così nel canto moderno mancando
la verità della espressione perché le modulazio
ni imitative sono troppo lontane dalla natura,
altro diletto non resta se non quello che viene
dal gradcwle accozzament-o dei suoni diretti
/' non già a significar un pensiero, o ad eccitlar
una determinata passione, ma a piacere all’orec
chic colla loro varietà e successione . Quindi
non e da maravigliarsi se l’uditorc, il quale
prende i suoni per se stessi , e non per quello
che rappresentano, cerca appunto nella diversa
combinazione di essi quel piacere, che non può
ricavare da una poco intesa e mal conosciuta
imitazione. E siccome dicesi a ragione che una
è la strada della verità e quella dell’errore mol
tiplice , così , posta la disconvenienza delle mo
dulazioni cogli oggetti naturali, ne vengono in
C0!!!
n
_L_-‘<L- '
A__îfi_;_îj
85
Consegue‘ma la necessità di càmbiar'le sovente
per non infastidir l’uditore, la tortura che si
danno i cantori per trovar cose che lusinghino
le orecchie colla lor novità, e la varietà de’
gusti che da ciò ne risulta. Non avviene tal
mente nelle altre arti rappresentative come so
no la scultura, la pittura, e la poesia, 0 al.
meno non avviene così frequentemente, perce
che in esse l' oggetto, cui si rapporta l’imita
zione. è più vicino, e le relazioni sono più
chiare, onde il gusto può aver un fondamento
meno arbitrario. Della bellezza della Venere de’
Medici non meno che della perfezione del Mi
santropo di Moliere io giudico per la compara
zione coin oggetti, che mi cadono sotto gli
occhi. La proporzione fra le membra, la dilica
tezza dei tratti, la bocca , le braccia, le mani,
ciascuna parte in somma ha degli originali nel
la società che servono, a così dire, di puntelli
al comun paragone, come l’hanno parimenti, e
assai spesso, i caratteri di Climene, di Alce
ste, di Filinto, di Trissotino , di Vadio, e
gli altri che“ si trovano in quella inimitabil com
media. Poco ci vuole a ravvisarli e ma molto
a farne il confronto. Ma nella musica , merce
_ F 3 al
‘.”Wwwlh%‘,%ùqlî”
’_ _____A_ fi=.__
86
al soverchio rafiinamento, cui si è voluto con:
durla, la verità della espressione cosi poco
adattata alla capacità della maggior parte, così
poco riconoscibile l’ imitazione, che necessario è ,
che ondeggi anche il gusto fra tanti esi discordi
giudizi, Però mentre l’Apolline di Belvedere,
il Laocoonte, e 1’ Ercole servono di modello.
tuttora ain Statuarj'dopo tanti secoli; mentre
la Venere di Tiziano, il Pietro Guido,
e la Madonna del Correggio riuniscono concor-_ -
demente sufl"ragi de' pittori; mentre un fram-_
mento di Saffo, un‘oda di Orazio , una elegia_
di Tibullo, un idilio di Teocrito, un'ottava_
d’Ariosto e di Tasso, un sonetto di Petrarca,
le lagritne di Priamo inginocchiato avanti Achil-_
le, l’episodio della morte d’Eurialo nella Enei-q
de, si gustano pure, e s'assaporiscono perche
spiranonancora lor primitiva freschezza; niu-‘
nanIT-0Lq DECIMQQUINTO,‘
Ter{a causa . yfizbaudoqo quasi totale delle
pbaia_ musicale. Esame de’piìr rinomati poca
Viti dranmgatica:lirici dopo il Metastasio, Sta
to dell’Opera bufl‘n, I
Le scienze,
del Vero, ellechefacoltà,
hanno che
per hanno
oggettoperla fine
ricerca
il
» -_ ÀV Vl>,_,_ , __ 7 _AA
97
Sogni d’infermi e fole di roman(i,
ora che lo spirito non rigusta più ne il diletto
che nasce dalla sorpresa, nè quello che viene
dal riflesso della loro convenienza . Da ciò de
riva lo spirito d’imitazione e il ricopiarsi l’un
l'altro necessario nella massima parte perché la
massima parte scarseggia di ricchezze proprie .
', Da ciò ancora la monotonia di pensare e di
scrivere, dalla monotonia la servilità , da que
sta il languore , e non molto dopo il tedio dei
lettori sensati, che compresi da giustissimo sde
gno cpndannano al ben meritato avvilimento
l’ arte "e gli artisti, gli accademici e le accade
mie , le lodi e chi le dispensa. (*)
TOM. III. G Tra
100
ca è oggimai divenuto un fanciullo 'di scuola,
che non può discostarsi dalla riga senza tema
di battiture. Un fenomeno di questa natura me
rita, che ci fermiamo alquanto per isvilupparne
le cagioni. A due (per quanto giunge a com
prendere) si riducono queste . Alla voga , che
ha preso in teatro il moderno canto , e al gu
sto eccessivo per le decorazioni. Esaminiamo
l’una e l’altra partitamente prima nell’0pcra
seria, indi facendo passaggio alla buffa.
Si è parlato a lungo nell’antecedente capito
lo del dominio che s’usurparono sulla scena i
cantori, si è mostrato per quai mezzi perven
nero ad ottenerlo, e si è trovata la radice dell'
abuso nel trascurar i recitativi, nel porre ogni
loro studio nel canto delle arie, e nello sfog
giare sù queste con mille artificiosi sminuzza
menti di voce. Posto questo principio chiara
mente si scorge, che il canto è il dominante
oggidl nel melodramma, che sù questo perno
si raggira tutta l’azione, che la poesia ubbi
diente allo stabilito sistema non è altro che una
causa occasionale, un accessorio, che dà moti.
vo alla musica, ma che dipende affatto da ca
sa, e che per conseguenza, rinunziand0 ai pro
1’"
ICI
prj diritti per modellarsi su quelli della padro
na , ha dovuto metter in non cale la condotta,
lo sceneggiar, l’ orditura, trasandar lo stile e la
lingua, perder mille situazioni vive e appassio
nate, accorciar i recitativi divenuti ormai fasti
diosi e languidi, in una parola strozzar i com
ponimenti per badar solo al pattuito cerimonia
le di mezza dozzina d’arie cantabili, d’un duet
to, d’ un trio , o d’un finale tratto, come suol
dirsi, pe’i capegli. E piacesse al cielo che que
ste arie, questi duetti, o questi finali isolati
fossero tali almeno che colla loro vaghezza,
novità od interesse ci ricompensassero dei sa
grifizj che si fanno del buon senso in grazia del
canto; terremmo allora con _essi il costume, che
suol tenersi coi frammenti della greca scultura,
de’quali in mancanza d’una intiera statua s’am
mira pure e si custodisce un braccio solo, una
gamba, od una testa. Ma il fattoè, che quel
li squarci staccati sono egualmente cattivie peg
giori forse che non è il restante. Dico peggio
giori poiché oltre 1’ esser privi di colorito poe
tico, oltre non aver armonia, nè stile, uè nu
mero, altro poi non racchiudono fuorché open
sieri triviali e insignificanti, ribattuti. un mi]
G 3 lio
10’:
f Am_.\
103
che sottraendo dalla musica vocale gliaccenna
ti uflizj, il suo impiego si restringe solo ‘a
imitar i tuoni della umana favella. Ma il peg
gio e. che non ogni favella, non ogni tuono di
essa è proporzionato al canto . Lo sono unica.
mente quelli, che hanno inflessione chiara e
sensibile cosicchè la loro espressione porti seco
un significato da per se che non ai eonfonda
con verun altro . Lo sono i tuoni variati e di.
stinti o per la loro gravità ed acutezza, o per
la loro lentezza e velocità, essendo certo, che
un uniforme e per qualunque circostanza non
mai alterato grado di voce non potrebbe dive
nir oggetto d’ imitazione per la musica. Lo so
no gli accenti, che formano il tuono fondamen
tale d’ una passione 0 d’ un sentimento , poiché
se l'anima ha per ogni sua affezione un movi
mento generale, che la caratterizza, anche la
musiCa, dovendo esprimere cotal movimento,
avrà un tuono fondamentale, che le serva“ di
regola. Lo sono finalmente tutti i muri analo
gi al fondamentale, o che-nella progrem;ione
armonica vengono generati da esso; poiché cia
scun di loro corrisponderà colla sua individuale
espressione ad eccitare i Gmuovimep,ti
4 i individui
com
1c4
compresi nell’ andamento generale della passione}
E questa è la cagione per cui la semplice de-f
clamazione poetica scompagnata dal canto è na'
turalmente meno espressiva che non ‘e la musi
ca; cioè perché non trovasi in lei una molti
tudine si grande di tuoni, i quali imitino fisi
camente i m'uovimenti dell’ anima. In contrac
cambio ha ella il vantaggio di sembrarci più
Verosimile, e più conforme alla natura, dal
che ne viene in conseguenza , che sebbene la
declamazion recitata abbia minor azione sopra
i sensi, è bensì più acconcia a produrre in noi
la persuasione, e pertanto ha molto maggior
influenza sullo spirito. Da ciò ne ricevono an
cora una ulteriore conferma i principi stabiliti
altrove (*) circa gli argomenti propri del me
lodramma e circa la natura dei personaggi dove
si fece più diffusamente vedere, che i lunghi
racconti, le deliberazioni, le trame, iconsigli,
le discussioni politiche, morali e filosofiche,
tutto quello, che v’ ha nell’umano discorso di
tranquillo e d' indifferente non si conviene al
canto, come_ non gli si convengon neppure le
_ pas
“ (‘) Tom. 1. cap.’ 1. '
ióîi
l’2r»
- ‘,. a;.a,1‘»gfi_ -
x“"7
gna pure, che pensi a trovar un paio «l’aman
ti, coi quali si vezzeggino a vicenda insipida-Ì
mente. Vedendosi egli a tali angustie ridotto,
e4:ostretto a riserbare pei due primi personag
gi le modulazioni più vere e più appassionate;
che altro può metter in bocca agli attori subal;
terni se non sentimenti freddi e comuni da at:e
compagnarsi parimenti con musica insignificante
e noiosa? Anche esprimendo i caratteri principali
non può far a meno di non coincidere spesso
e ripetere le cose medesime, perchè le situazioni
sono a un clipresso le stesse in tutti idrammi,
e perché gli uomini posti in eguali circostanze
sempre si spiegano nella guisa medesima. Tan
to più nella passione amorosa, la quale come
chè sia la più forte e la più intensa della natu
ra, è tuttavia la meno estesa , uno solo essendo
l’oggetto che la determina e semplicissimi i
mezzi. Però forniti che siano quei pochi tratti
caratteristici, che distinguono quella tal situa
zione, i protagonisti cadono anch’essi in idee
comuni applicabili a cento casi diversi, e inca
paci per conseguenza di svegliare un vivo in.
teresse. Non somministrando il cuore altri suli
timenti che quelli, che può infatti somministra-.
Per
168
te , fa di mestieri sostituire il lingUaggio della
immaginazione e dello spirito, che signoreggia«
no ampiamente nel teatro moderno, dal chede
riva la rovina della musica e della poesia; poi‘
che siccome questa altro non fà sentire per il
comune che l’ idolo, il nume, il rio destino, le
stelle infaune , gli astri tirarmi , le ritorte, le
catene, la prigionia d’amare con siffatti riem
pitivi dell’afl'etto e del metro, .così quella si
riduce quasi tutta ad arietteinzuccherateea ron
dò. Nella poesia musicale italiana si verifica
esattamente quel verso,.che Boileau applicava
ad un suo compatriota .
E jusq’a je vous hais, tout s’] di: tendrement.
tenerezza, che sebbene talvolta da vera passione
proceda, non è per lo più che un linguaggio
convenzionale posto in uso dalla galanteria, la
quale è per il vero amore ciò che l’ippocrisia
èper la virtù. (*)
Que‘
113
epopea , ma che distrugge affatto e perverte ,_'
secondo che pensa con molta ragione Aristoti
le, (*) i poemi drammatici. La cagione si è
perché le orecchie , che sono le giudici nella
epopea, ponno essere più facilmente sedotte dal-;
la narrativa e farci credere le cose mirabili ,
laddove gli occhi innanzi ai quali si suppone
che si rappresenti l’azione drammatica sono più
disposti a discernere il falso dal vero , e più
difficili a lasciarsi sorprendere dai prestigj della
fantasia, ‘ "
E giunga
Ciò cbe va per l’orecc/n'o ognor più tardi
Gli animi ad agitar di ciò, cb’espasto
E’ allo sguardo fede! . . _. . . (**)
e però si va a rischio di distruggere l'illusiog
ne dello spettatore. In secondo luogo la neces
sità di riempire le scene in uno spettacolo ,
dove altro non si cerchi che di abbagliare la
vista, vi ricondurrà rl’ uso frequente o perpetuo
TOM. III. H dei
_(*) Poetica cap. 24.
_(") Segnià: irritanr animo: deml'fln Per 437::
‘ Quam que mm Muli: .rubjefia fida/[basa . .f
’ Orazio Art. poerf
114
dei cori, e con esso tutti gli abusi, ai quali è
solito di andare soggetto. per esempio di urta
re 'in mille inverosimiglianze pal-pabili e di re.
stringer la sfera degli argomenti drammatici di
già troppo limitata per gli altri motivi indica
ti. Sarà in ultimo luogo lo sterminio dello sti
le e della musica. Di quello per la regola ge
nerale che la poesia non può fare una convene
vol figura nel melodramma , ove preponderi
qualcheduna delle sue compagne, cioè 1’ armonia
o la decorazione, Di questa perchè quanto più
d’attenzione porger‘a l’uditore allo sfoggio delle
macchine e ai colpi di scena tanto meno gli re
sterà per la melodia, e perchè non potendo gl'
impressari , a motivo del gran dispendio delle
comparse, dare ai musici le paghe considerabili
che davano loro per lo passato , questi scorag.
giti nell’ arringo rallenteranno l’ ardore per lo stu
dio a misura che verrà meno la speranza del
guadagno e degli applausi. Chi sa dirmi cosa
diverrà la tragedia musicale ridotta a si misero
stato?
Le ricerche analitiche fatte finora sull’ opera
seria potrebbero ricevere una illustrazione mag
giore dalle pruove di fatto s’ io volessi imbrat
l'ill‘
fi__->LL ._>J.'_
I. __.. J_ ‘\
rrg
tar la mia penna col racconto delle innnmera
bili scipite produzioni, che disonorano oggidi
la scena italiana . 'Ma contento di leggiertnente
accennarle , e persuadendorni che sarebbe una
pedanteria mista di malignità il considerare sol.
tanto il Cattivo d’una nazione senza voler fis
sare gli occhi sul buono , passerò con piacere
a far menzione di quelli scrittori melodramma.
tici, che o meritano un luogo distinto pe’i lo»
so talenti, o non meritano andar confusi collo
stolido gregge dei dozzinali oscurissimi poeta.
stri. Vengono essi divisi in due classi. La pri
ma coloro , che dopo il miglioramento del
melodramma hanno tentato di richiamar sul
teatro il sistema francese. La seconda di quel
li , che seguitarono le vestigia del gran poeta
cesareo . .
Paolo Rolli romano scrittor elegante e deli
«m:traduttore del poema inglese di
Milton , felice imitatore di Tibullo nelle ele
gie, emolo di Catullo negli endecasillabi , e se
guace di Anacreonte nelle sue_ canzonette scris
se due melodrammi intitolati 1’ Eroe Pastore e
Teti e Peleo di merito assai inferiore ain altri
suoi componimenti. Benché vi si scorge corre
H 9. zi0<
116
zione di lingua e qualche aria ben lavorata ,'
ciò non ostante non si ritrova in essi spezza
tura né concisione nel recitativo , né rapidità
nelle scene, né calore nell’azione, né contrasto
negli incidenti, nulla in somma di ciò che ren
de interessanti e vive cotali produzioni. Difet
ti cagionati in lui dall’aver preso ad imitare
Quinaut senza poter pareggiare le sue ragguar
dewli doti, e dall’aver trascurato Metastasio ’
di cui neppur fa menzione nella sua storica pre
fazione premessa alla Teti quantunque non gli
potesse essere ignoto in tanta luce di gloria ,
specialmente avendo vissuto entrambi sotto la
direzione di Vincenzo Gravina . Laonde il suo
silenzio suppone o un troppo sfavorevole pre
giudizio, 0 un certo livore poco degno d’un si
gentile cultor delle muse.
Carlo Inno_c_ggz_g_firuponi_ poeta fra i primi
del suo tempo in Italia per la robustezza dello
stile, per la forza dell’ epitettare , e per la fer
tilità e chiarezza delle imagini compose alcuni
drammi musicali da rappresentarsi con regia ma
gnificenza nel teatro della corte di Parma , i
quali pruovano quanto siano limitati i confini
dell’ umano ingegno , e come una spezie di ta.
len'
w
1,. e » ì.',. ..
I" 117
lento suppone per lo più 1’ esclusione d’un al
tra. Non insisterò per tanto nella irragionevo
lezza del piano , nei caratteri arbitrari , negli
esseri fantastici personificati , nello slegamento
delle scene , nella versificazione dura e poco a
proposito per la musica. Perdoniamogli codesti
abortivi parti di una musa invecchiata in atten
zione alle altre sue cose bellissime , e conten
tiamoci della ingenua confessione , che fa egli
medesimo della sua inesperienza in fatto di poe
sia drammatica. Mal venga ( diceva il Frugo.
ni in una lettera scritta a ragguardevcle perso
naggio bolognese ) ai drammi musicali edacbi
Primiero li pose sopra i nostri teatria farper
dere il cervello ai,poeti, a farguadagnare enor
mi somme ai castrati, a rovinar la poesia, ad
efemminare la musica, guattare i costumi . Io
non so più dove m’abbia il capo . Cammina una
strada, cbe non è in Parnaso la mia . In;espo
ad ogni passo , e se non bestemmio , si è per
ché sono un poeta dabàene. Voi vedrete questa
mia ladra fatica quando sarà finita e stampa
ta. ecc. Tuttavia per quella ladra fatica n’eb
be il poeta dugento e cinquanta zecchini di re
galo oltre 1’ annua sua pensione , premio a Ch°
H 3 (CT
_713. »- ‘
, 1nf.-J-se
118
certamente non ebbero nèl’Artaserse, nè il Ca
tone , nè l’Ezio dell‘ incomparabile Metastasio .
E' per altro piacevole in bocca di Frugoni la
doppia accusa intentata contra ai drammi musi
cali cioè di guastar i costumi e di rovinar la
poesia . Nella prima mi sembra udire uno dei
Ceteghi , che rimprovera a Catilina la sua ri
bellione . Farmi nella seconda di ravvisare una
di quelle donne sgraziate , alle quali l’avara
natura negò il fortunato dono di piacere , che
mossa da invidia anzichè da zelo pei costumi
declama contro alle galanti mode oltramontane,
che tanta grazia aggiungono al portamento , e
vieppiù fanno apparire le naturali bellezze e la
vivace leggiadria delle giovani donne più av
venturose di lei. (*)
Pa
..a
\‘_'I\n
n< ‘---< *>»*‘x’fz”'r -*
no
gna dappertutto -, alla poca varietà negli affetti
e nelle situazioni, all’interesse che va sceman-'
do di atto in atto in vece di crescere , al po
co felice scioglimento della catastrofe -, e alla
inverosimiglianza di alcuni incidenti. Tali sono
fra gli altri il far che i Numi infernali sconsi‘
glino Alceste dal morire , laddove sarebbe più
confaccente al loro carattere e al loro interesse
il confermarla nella sua risoluzione , come fa
la morte parlando con Apolline nella tragedia
di Euripide , e la fretta altresl con cui si pre'
para nell’atto secondo una festa di ballo tra i
cOrtegiani per festeggiare 1’ inaspettato ristabili
mento di Admeto senza che in tanta allegrezza
alcun si ricordi dell’ assente regina, che ne do
vea pur essere il principale personaggio. L’Au
tore il quale non manca certamente d’ingegno,
nè di cognizioni avrebbe dovuto riflettere , che
una composizione così uniforme e così tetrica ,
come l’Alceste , era forse buona per il teatro
di Atene, ma che dovendosi fra noi metter in
musica da un uomo conseguente a se stesso e
alla poesia qual’è il Cavalier Glulc , non po
teva far di meno che non istancasse la pazien
’za'dcgli uditori italiani dotati da una Sensibili
tà
mi
té m'eno profonda , e avezzi a un’armonia più
leggiera e più brillante . Avrebbe ancora dovu
to badare a non cadere in contraddizione con se
medesimo ; poiché dopo avere nella sua disser
tazione sopra Metastasio inalzato fino alle stel
le il merito del poeta cesareo, e poste nel più
chiaro lume le stranezze e le irregolarità del
sistema melodrammatico francese , s’ avvicina poi
altrettanto nella esecuzione a questo, quanto si
disparte dal retto sentiero indicato da quello ai
poeti italiani ’. Il piano adottato dal Calsabigi
sembra essere non di fare che la poesia sommi
nistri da se stessa i colpi di scena e le situa
zioni , ma di far che le situazioni e i colpi di
scena si tirino dietro la poesia . Dato un tale
argomento altro egli non cerca se non di colpir
gli occhi e la fantasia. A questo fine ci rivol
ge il dialogo , stiracchia l’orditura , prepara a
suo modo gl’incidenti-, e travvisa come più gli
torna in acconcio i caratteri . Rem quorumque
moda rem: ecco la sua divisa. Un siffatto siste
ma può per accidente generar‘l’efl’etto in teatro
qualora il compositore con una bella musica ,
il macchinista colle vaghe decorazioni, eil bal
lerino coll’opporttina esecuzione dei balli assal
8"
122
gano lo spettatore da tutte le bande cosicché
non gli rimanga l’ agio di badare più che tanto
alla poesia . Ma svaniti che siano cotali estrin
seci e passaggieri prestigj, 1’ uomo di gusto non
potrà far a meno di non dolersi nel vedere la
poesia, che dovrebbe primeggiare qual donna;
regina in ogni spettacolo drammatico , servire
come di mero strumento alla prospettiva e alla
composizione , e in Vecc d’ ostentare il pregio
delle proprie ricchezze rimanersi come la cor
nacchia spennacchiata d’ Orazio furtivi: nudata
colaribu: . Dovrebbe sopra tutto aver misurato
un poco meglio le proprie forze allorché volle
maneggiar l’ arco d-’ Ulisse ritoccando un argo
mento trattato in prima da Metastasio, lo ama.
trarsi col quale sul eammin della gloria non è,
e non può essere vantaggioso per chicchesia. Di;
fatti le D'anaidi del Calsabigi dramma ultimamen
te pubblicato in Napoli è paragonato coll’Ipet
mestra , ciò che sarebbe uno stravagante quadro
di Giordano posto accanto ad una pittura di
Correggio. Se v’ha qualche carattere o qualche
situazione che possa dirsi appasssionata , come
Per lo più lo sono gli avvenimenti d’ Iperme
Stra e di Linceo, quelle sono ricopiate dal re.
ma
,17 ,,,’««
‘ _fiig-DE€_
' i “"\_'\f' ‘>- ‘
"f
12;
mano originale; del suo non ha egli messo fuor-'
che una serie di quadri , dove si vede essersi
il poeta abbandonato alla falsa massima attri
baita a Voltaire frappez Plutòt fon que in”.
L’ illustre Metastasio non avrebbe certamente
cominciata una tragedia colle nozze per finirla
poi colla casa del Diavolo; non avrebbe in mez
zo a personaggi veri e reali fatto comparir fan
tastici amorini che ballassero senza necesssiti
cogli sposi; non avrebbe sagrificato alla vana
pompa della decorazione l’orditura , la verosi
miglianza e il buon senso. Ne si dee credere,
che finite appena le nozze avesse egli introdoh
to il padre ragunando le cinquanta figlie nel
tempio di Nemesi, e consigliando loro l’ucci
sione degli sposi senza che questi maravigliati
della improvvisa lontananza in un giorno di
Sposalizio ne facessero qUalche ricerca col fine
di penetrare l’arcano , e sen2a che le n0velle
spose mostrassero la menoma renitenza ai bar
bari comandi del padre . Tanto più che il ca
rattere di Danao e delle Danaidi non ci vien
dipinto dall’ antichità coin abborriti e tetri co
lori, con cui l’ombreggia il Signorde’Calsabi
gi, presso al quale le figlie sembrano altrettan
îC
xz4
te energumene sanguinario , e il genitore com'
parisce un perfido, uno spergiuro, un mostro;
laddove nelle Supplicanti di Eschilo si quelle,
che questo altro non respirano fuorché ricono
scenza, umiltà, tenerezza e divozione verso gli
Dei. Mancò egli non per tanto al gran precet
to di Orazio
0 la comune opim'rm seconda,
0 case in ogni parte a re conformi
Fingi o Scrittor. (*)
Né il poeta cesareo si sarebbe immaginato, che
per render interessante e teatrale la sua trage
dia fosse di bisogno , che le figlie dopo aver
commesso 1‘ atroce misfatto si vestissero tutte
da Baccanti , e venissero sulla scena a cantare
e a ballare senza che anteriormente venga indi»
tata la cagione di cosi improvvisa e furibonda
allegrezza, e senza che la loro venuta abbia ve
run altro oggetto fuorché quello di formar un
coro e una comparsa. E trovò egli benissimo
la maniera d’ eccitare gli affetti , di strappare
=le lagrime , di dipigner a meraviglia i caratto
ri,
. _m-;.mu
12.5
ri , di far brillare la musica , di condurre peri
tre atti un’azione, e di scioglierla con somma
felicità senza ricorrere al solito ripiego di Cal
sabigi , ch’è di far apparire l’inferno coi De.
monj , mettendo in bocca loro per giunta una
moralità tanto ad essi appropriata quanto lo è
a S. Giovanni Evangelissa il ridicolo discorso
che Ariosto gli fa tenere col paladino Astolfo
nel globo della luna . Però non ostanti i suoi
talenti poetici, non ostante la dovuta stima ch‘
esige il Signor de’ Calsabigi per lo studio po
sto nelle cose teatrali di cui ci porge egli ec
cellenti saggi non meno nella citata disserta,
zione che nella sua lettera al Conte Vittorio
Alfieri ; bisogna pur accordare esser egli uno
de’ principali corruttori del moderno musicale
teatro. . ‘
Ma non tutti i poeti del nostro tempo si
sono rivolti alla imitazion dei francesi : molti
ancora vi sono , _ che vollero piuttosto seguitar
Metastasio nella sua luminosa carriera somiglian
ti a que’satelliti, che s’accerchian0 intorno all’
orbita del pianeta maggiore . Il Migliavacca ,
l’Olivieri , il Cigna , il Damiani , e il Fatti
beni lavorarono qualche componimento passabi
' le.
V Imf;r_f . 'v__‘
126
le . Nei drammi di Lodovico %e_llini poeta
cesareo alla corte diîEìi‘àiîîgî si seri-r; chia.
rezza di stile, varietà nelle arie , bellezza nei
recitativi , qualche scena di forza insiem colf
arte pregevole di acconciamente innestare le
massime filosofiche nel corpo dell’azitme . Lo
spettacolo altresì ha gran luogo ne' suoi compo
nimenti , ma si trae per il comune dai fonti
della storia, e i costumi e i riti de’ popoli ven
gono osservati a dovere . Egli è un peccato ,
che nell’ordire i piani non sia stato abbastanza
felice , che non dipinga i caratteri colla costan
za che si richiederebbe, che gliscioglimenti sia
no freddi e per lo più inverosimili , e che il
desiderio di ridurre il melodramma ad un cer
to sistema adottato da lui, il quale consisteva
nell’intrecciar insiem nell’azione la poesia , il
ballo, la musica e la decorazione , l’abbia tal
volta fatto cadere in istravaganze. Per tali de
vono riputarsi hell’Antigono la scena muta dei
due fratelli Eteocle e Polinice, che comparisco
ho sul teatro nella prima scena unicamente col
fine di ammazzarsi senza profferir una parola e
combattimento introdotto dal poeta per cagione
della comparsa , ma che troppo funestafin dal
prin
À >‘ *”“L‘..
!27
principio 2’ immaginazione dello spettatore non
preparato ad un simile orrore. E tali sono an
cora le danze fuori di luogo frapposte almeno
nella maggior parte , essendo certo , che un
giorno di lagrime e di lutto quale dovea essere
per gli Argivi quello ove perduta aveano ad
un solo tratto pressoché tutta la stirpe dei loro
Re , non era il più a proposito per ordinare
quattro balli differenti. Tralascio l’inverosimi
le cambiamento di Creonte nell’ultima scena
contrario al maligno e scellerata carattere che
da tutta l’antichità gli viene attribuito, efattb
solo per cavar d’impaccio il poeta terminando
col solito formolario d’uno sposalizio. Gli stem
si pregi e i difetti stessi s’ osservano nella Ifi
genia tragedia musicale assai lodata del medesi
mo autore.
Larga sorgente di poetica vena , gran rapi
dezza ., e gran lettura di Metastasio apparisem
no nelle poehe produzioni drammatiche stampa»
te fra 1’ opere del celebre Signor Don Saverio
m.....-v.-ma.a 7). . _.,:.7
qîisi? autore eseguita
Mattqi_finapoletano . Lacon ispirito , de’salnii
traduzione con disin
____s- îa,._
129
cili lavori della ragione poetica qual è la tra
gedia, ha parimenti voluto esperimentare le sue
forze pubblicando un dramma musicale. Lo Sci
pione in Cartagine dell’Abate Colomes merita
un luogo distinto fra quelli del nostro tempo ,
ed io non avrei difficoltà di dir che fosse il
primo , se alla semplicità della condotta , alla
scelta e varietà nei metri , alla ricchezzrliriea
delle arie, e al merito di qualche scena degna
di Metastasio avesse l’autore voluto congiugne
re maggior rapidità nell’intreccio, più di calo
re nell’azione , e un più vivo contrasto negl’
incidenti. Altri forse avrebbe desiderato, che
ia virtù di Scipione fosse meno tranquiila , e
che i personaggi subalterni non s’ usurpassero
tanta parte di quell’ interesse , che dovea prin
cipalmente cadere sul protagonista; essendo cer
to, che sebbene il carattere di Scipione conti.
derato filosoficamente sia grande ed eroico, non
è tuttavia si teatrale nè si atto alla musica
quanto quello di Arminia e di Lucio. La ca
gione si è perché a produrre 1' azione (ch’è l’
anima del teatro musicale) assai più acconcia è
il combattimento e il contrasto delle passioni ,
qualmente si vede in que’ due sfortunati sposi,
_TOM. III. I ' che
-\ _\»-a
‘W5\_T,i-r I .‘ " __c . ‘-\__anfikW __
130
che non_la saggia fermezza d’, un esce, di cui
poco si pregia la vittoria perchè poco gli èco
stato il sagrifizio . Marco Aurelio , e Plutarco
vorrebbero , che gli uomini fossero simili ad.
una rocca, laquale immobile nella propria ba;
se spezza le onde , che furiosamente le tomo
reggian d‘interno , e talmente ha l’ Abate Co'
lomes dipinto il suo protagonista ; ma il tea
tro, che ha una statica tutta sua, gli vorrebbe
somiglianti piuttosto al naviglio , che sferzato
da venti contrari ondeggia incerto del proprio
destino in mezzo ai tempestosi flutti , eccitan
do in chi lo guarda dalla; riva una sensazione
mista di timore per il pericolo del navigante e
di compiacenza per la propria salvezza. (*)
Pur
(*) Il problema intorno alle cagioni della delizio
sa malinconia generata dalla tragedia che tanto ha
occupate le penne di alcuni celebri scrittori del no
stro secolo cioè dell’Abate Du Bos , di Fontenelle ,
di Hume, e di Cesarotti si trova molto prima sciolto
mirabilmente da Lucrezio ne’ seguenti magnifici versi
Sua‘ue mari magna , turóantióur mquora ventirî,
E terra magnum afteriur JPeHM‘0 l.z/mrem;
Non quin vexnri gnemquam e.rr jucunda volufitar,
S'ed quióur ip;e meli: una: , gaia temere sun'ue e:r_ ,
Sua-v: etiam 6r/Iz' crrmmina magna mari
Per rampa: innru€ln , tua rive parte prricli .
13x
Purgatez:a di lingua ,‘ venustà di stile, colo
rito poetico , varietà e delicatezza d’immagini
espresse con ottimo gusto sono; le doti, che ca
ratterizzano 1’ Alessandro e Timoteo del Conte
Gastone della Torre di Rezzonico rappresenta
to anni fa nel regio ducale teatro di Parma a
Pochi, o per dir meglio , nessuno fra i dram.
mi musicali moderni e seritto con uguale va.
ghezza . Ha inoltre il pregio incontrastabile del
la novità, essendo egli stato ( per quanto a me
pare ) il primo , che cambiando il sistema di
cotesto spettacolo, abbia renduta drammatica un’
ode puramente descrittiva qual è quella dell’in
glese Dryden intitolata Gli efletti della musica
a le cui sorgenti ha l’autore italiano largamen
te bevuto . Un’altra inglese chiamato Brovvn
gli ha somministrata l’idea nella sua disserta
zione sulla unione della musica e della poesia ‘.
In altro luogo ci converrà parlare più , a lungo
degl’inconvenienti e dei vantaggi annessi al mee
todo proposto dall’inglese. Per ora non si può
far a pieno di non lodare la buona intenzione
di chi cercando di rimediare agli abusi del mo
derno teatro , propone al pubblico un tentativo
di questa sorta. Nelle‘r‘egioni del gusto, come
I z nel
u_u _ . \_ M‘7&_QIMC ; m
132
nelle vaste pianure dell’ oceano molti paesi sa
rebbero sconosciuti ancora senza l’intrepido co
raggio di alcuni navigatori simili ai Cooki e
ai Draki. Eppure non sembra, che il pubblico
la intenda così se giudicar dobbiamo dalla fred
da accoglienza che ha fatta al dramma del Con
te Rezzonico. A che attribuire quest’apparente
ingratitudine? Ecco il motivo s’ io non m’ in
ganno . In primo luogo il suo stile benché as
sai poetico ed elegante manca di quella mollez.
za e di quella facilità senza le quali non é pos
sibile adattar acconciamente le parole alla mu
sica. Veggasi quanto sia tal proposito s’è detto
nel tomo primo di quest’opera , dove si par
lò delle qualità , che deggion_o avere lo stile e
la lingua per rendersi musicali , e dalle ragioni
ivi allegate si conoscerà essere manifestamente
false e insussistenti le teorie d’ alcuni moderni
italiani, che vorrebbero trasferire alla poesia
accompagnata dai suoni le leggi medesime di
stile che voglionsi per le poesie non inservienti
alla musica . In secondo luogo l’argomento scel
to da lui buono per un poema narrativo manca
intrinsecamente di quella illusione e ÎHÎCFCSSC
che richiede il teatro. L’autore, imitando trop
PO
f_.,__.f
__fwflw.îîrrwf.fl a "i +W«W
,- ..-. W fù,
.- «-__--w
,_-.
133
po esattamente il suo Dryden , ci fa intendere
fin dalla prima scena che Taide e Timoteo vo
gliono rappresentar innanzi ain occhi di Ales
sandro un finto spettacolo
’ Non solo
Colla voce e col suon l’orecr/n'e e l’alma
In questo di, ma le pupille ancora
Vuol di vane terror, di piacer vano
Jflirs'clnartr’ con ponenti.
Non è dunque da maravigliarsi se mancando in
chi ascolta la sorpresa derivata dal creder vero
ciò che gli si racconta , manca in lui l’illusio
ne eziandio, figurandosi d’esser presente ad una
mascherata in vece di assistere ad un’azione ve
ra e reale . La natura dell’argomento e la ca
gion parimenti dello slegamento delle scene ,
succedendosi queste in tal guisa fra loro , che
tolta via qualunque di esse , poco o nulla ne
soffre l’intiera composizione. ( *) Aggiungasi,
I 3 che
(‘) Bellissima e su questo proposito la distinzio.
ne fatta da Aristotile nel capo decimo della poetica:
Non è lo :terro il nascere l’ una da un’altra, o l’una
dopo l’altro con , precetto egualmente applicabile
alla succession delle scene che all’ordine degli avve
nimenti . '
W!t-w
134
che il protagonista il cui nome dovrebbe ecci
tare 1’ idea dell’ eroismo, non m’ofl're nel dram
ma del Conte Rezzonico veruna di quelle qua.
lità che risvegliano l'interesse. Ivi non "compa
risce magnanimo, nè eroe, nè uomo di genio,
ma piuttosto un farnetico divenuta giuoco della
sua eccessiva sensibilità , uno schiavo della mol
lezza , che ci vendica fra le sue catene dell’
ascendente che aveva sopra di noi acquistato la
sua fortuna. Pecca altresì nel fine morale . Vo
lendo far conoscere i prodigiosi effetti della mu-'
si:a, non doveVano questi manifestarsi spingen
do un giovin sovrano ad una risoluzione così
violente e disumana, c_ome è quella di abbruc-
ciare fin colle proprie mani una popolatissima
città , che , deposte le armi, era pacificamente
divenuta sùa siiddita. Se fosse‘stato vero , che
Alessandro (com’ein pazzamente s’imagina-va)
era figliuolo di un nume, questo fatto solo m'«
obbligherebbe a crederlo anzi prosapia delle Fu.
rie infernali che germe di Giove. Mi si risped
derà , cl'l' egli è mosso a farlo dal desiderio di
vendicar’ i Mani de’greci trucidati in altri Ie'1m
pi dai persiani , lo che ad un atto di giustizia
0 di patriotismo dovrebbe attribuirsi piuttosto
che
F__' »-qu-rfî --.v 4 f '\' . I:-=-«-»*‘’-K.d
135
che ad un capriccio irragionevole . Ma cotaldi.
fesa non giova. In primo luogo perchè non da
principio riflesso di virtù si suppone ivi che
fosse spinto Alessandro , ma da macchinale fu
rore eccitato in lui dai prestigj d’un musico_e
dalle istigazioni d’ una cortigiana . In secondo
luogo perché nel caso ancora che un falso amo
re della patria determinato l’avesse ad eseguire
quell’ atto di crudeltà, nè il teatro, nè la filo
sofia dovrebbero autorizzarlo giammai esponen
dolo sulle scene alla pubblica imitazione . Oli
mortali! Non è abbastanza feroce lo spirito del
la guerra senza che voi cerchiate d’inferocirlo
ancor più divinizzando l’alloro che gronda di
vostro sangue? E sì poco barbaro vi sembra il
despotismo , che non avete orrore d’ inghirlan
darlo colla corona immortale , che le belle arti
non dovrebbon servare fuorchè pei talenti supe
riori o per la benefattrice virtù?
Ma tempo è ormai di venire allliapjrgflbuf
fa; Se si riflette ai vantaggi che ha la comme
dia musicale sopra la tragedia, parrà strano che
giaccia quella nell’obbrobrios'o stato in cui si
ritrova oggi in Italia . La sfera d’imitazione
per la moltiplicità de’ caratteri, per la forza di
' I 4 essi,
136
essi, e per la verità della espressione è più di
latata nella prima che nella seconda . Gli argo
menti tragici , e conseguentemente quelli che
danno motivo ad una musica nobile e patetica,
devono essere meno frequenti, perchè nell’uni
verso morale, come nel fisico , le grandi cata
strofi sono più rare, e perchè , sebbene la vita
umana sia una serie di muovimenti or dolorosi
or piacevoli, la natura che attacca la conserva
zione dell’individuo allo stato di mezzo =, gli
risparmia , in quanto è possibile , gli estremi
del dolore , come gli è pur troppo scarsa degli
estremi piaceri. Attalchè la crisi d’una passio
ne violenta non è più durevole nell’uomo di
quello che lo sia in una stagione l’eccessivo ri
gore del freddo , o gli sconvolgimenti del tre
muoto in un paese . Ora le passioni tragiche
non divengono musicali se non quando sono vi
cine alla violenza , e dall’altra parte la classe
dei personaggi illustri, a’quali appartengono es.
se, è di numero troppo scarso rispetto alla mas
sa generale della nazione; quindi minore altresl
esser deve la somma degli argomenti, onde for
mare una tragedia musicale . L’ opposto avvie
ne nella commedia. I soggetti, che vi s’intre
du
x37
ducono , formano la classe più numerosa della'
società. Gli avvenimenti , che vi si rappresen
tano , sono frequentissimi nella vita comune .
Ecco non pertanto una dovizia maggiore per il
poeta nelle persone e nelle cose . Quidquid
agunt bomìne: é la divisa del comico . Ma bi
sogna andare più oltre. Le affezioni della gen
te popolare sono meno riconcentrate , e come.
guentemente sono più aperte . I loro caratteri
meno artefatti e perciò più facili ad essere rap
presentati . L’accento della loro voce più sfo
gato e vivace, e in conseguenza più musicale.
I ridicoli loro più evidenti e più caricati , che.
é lo stesso che dire più acconci a piegarsi sot
to la mano di chi vuol imitarli. Tutto ciò de
riva dalla eterna previdenza di colui , che reg
gendo con invariabil sistema le cose di quag
giù , mette un perfetto equilibrio fra gli esseri
morali, amareggiando col sospetto, col rimorso ,
colle spinose e tacitc cure la condizione de’ potenti
schiavi sempre della fortuna e del pregiudizio nell’
.atto stesso, che alleggerisce i disagi involontari
del povero colla maggior apertura di cuore, in
dizio d’ un’ anima più ingenua , e collanon men
tita allegrezza , indizio d’ uno spirito più contento,
Per
1 8«
'PÎr póco che il lettore voglia inoltrarsi nel
le- idee accennate troverà dunque , che il siste
ma dell’opera buffa considerato in se stesso è
'più ferace e più comodo di quello che sia il
sistema dell’opera seria per il poeta, per l’at
tore e per il compositore . Lo è per il primo
merce la gran copia che gli'somministra di ca
ratteri o sia di natura imitabile . Lo è per il
secondo a motivo della più facile esecuzione si
perché i tratti dell’oggetto rappresentato sono
più spiccati e decisivi , come perchè ritrova
ovunque originali da poter agiatamente studia
re-.« Lo è per il terzo a motivo della ricchez
za delle modulazioni che scaturisce dalle stesse
sorgenti , e dal non vedersi obbligato ad alte
rar la natura almeno fino al grado che s’ altera
e si sfigura nell’opera seria . Imperocchè il ti
more di non slontanarsi troppo dal parlar fa
miliare proprio de’ personaggi, che rappresenta
no, fa che i bulli non si perdano in gorgheggi
ocadenae smisurate, e che non facciano uso di
quel diluvio di note, col quale inondandosi nel
la tragedia le arie più patetiche e interessanti ,
hanno gli altri cantori non so se disonorato o
abbellito il canto moderno .’ E questa è la ca
gio
I39
gione per cui la musica delle opere buffe è ,
generalmente parlando, in migliore stato in ‘Ita-'
lia che la musica seria , e perché per un moti»
vo di quest’ultimo genere che si senta campo-
sto con qualche novità e caratterizzato a dove
re , se ne trovano dieci nella musica buffa«f
Massi da tali ragioni vi Sono" di quelli , che
preferiscono ed amano , e 'móstraho ‘di pregta-a
re assai più la commedia musicale, che la tra-a
gusti
gedia nella
. E acaricatura dei buffi
dirne il vero quel diletto
, quantunque io în-î
f.._-________f...
,,. ____7__ à ‘ a;
141
tento se il Messer Pandolfo , che mel fece ,
aVesse trovato il Damone di Boeleau per pro
selito , o le orecchie di Micia per ascoltatrici .
Io tocdterò i principali difetti dell’opera buffa
riducendoli ad una'spezie di teoria.
,, I bolognesi ( mi diceva egli ) sbigottiti
dal terremoto sono stati gran tempo privi di
teatrali divertimenti , il primo adunque , che
si rappresenterà , tornerà in profitto conside
rabile dell’impresaro . Io ho divisato non per
tanto d’ aprire a questo Settembre uno spet
- tacolo, e voglio che sia nuovo perché il Pub
blico è ormai ristucco delle anticaglie di Me
tastasio , di cui (sebbene sia il primo dram
matico del mondo) vuolsi fare quell’ uso che
si fa nelle case dei vasellami d’argentoedel
le gioie di gran valore , le quali si cavano
fuori in una occasione vstraordinaria , mentre
I44
33833‘ be buono per altro che per comporre secon'
do le leggi di Aristotile , le quali nulla han
che fare coll' opera: mi piacerebbe bensì che
ci entrassero dentro dei cangiamenti di scena
e delle macchine in quantità secondo il gu
sto de’ francesi. Oh quei francesi hanno sfio
ov
rato il bello in tutte le cose ! Oltre che le
decorazioni piacciono" moltissimo al popolo ,
,, io ho desiderio di far vedere una bellissima
,, dipintura d’ una prigione, e d’un bosco, che
” si trovano nello scenario preso ad affitto.
,, Voi altri poeti avete certe regole di stile
che vi fanno lambiccar il cervello per torni
re acconciamente un periodo . Si dice , che
v’ abbia con i suoi precetti comunicata cotai
malattia contagiosa un maestro dell’ arte ,
i)
chiamato Orazio, e che i greci, e i francesi
’)
v’ abbiano fornito l’esempio . Quanto a me
vi dispensa volontieri dalla eleganza , e se vi
9) piace , anco dalla grammatica , insegnandomi
l' esperienza che si può senza l’una e senza
i) l’ altra riscuoter sul teatro un durevole ap
9) plauso . Non ha guari che si replicò più di
3‘ quaranta volte sulle scene un’opera buffa d0'
ve un’aria cominciava
Lei
_ ‘45
‘ Lei si figuri adesso
e finiva con uguale proprietà di Sintassi
Lei lÎa.rino salì.
3 La vostra. malizia applicherà senza dubbio le
ultime parole al poeta.
,, Ho sentito dire altresl, che il ridicolo C0
3 23 3 213 mico dev’essere cavato dalla esperienza non
tratto dalla fantasia , che si devono‘ studiare
profondamente gli uomini prima d’esporli‘sul
teatro , che le debolezze di temperamento non
i vizi di riflessione , i difetti nati da una
stranezza di pensare innocente non i delitti
odiosi 'e nocivi sono la materia propria della
scena comica , che questa materia dee rap
presentarsi abbellita da un colore alquanto ca
ricato e forte ma non esagerato, con cert’al
tre filastrocche che voi altri autori dite es
” servi state prescritte dal buon senso . Ma vi
torno a dire, che il buon senso non è fatto
per noi. Il teatro non ha altra poetica che
” quella delle usanze , e poichè questevoglio
” no , che deva ognor comparir sulle scene. un
” martufl‘o con un visaccio da luna piena, con
,, una boccaccia non differente da quella de’ leo
ni che si mettono avanti alla porta d’ un gran
TOM. III. K 11 P3“
146
31 palazzo, con un parruccone convenzionale , e
” con un abbigliamento, che non ha presso al
i) la civile società nè originale nè modello ;
” poiché è deciso , che cotal personaggio ridi
colo abbia ad essere ognora uri padre ba-_
33 locco, od un marito sempre geloso e sem
,, pre beffato , od un vecchio avaro , che
,, si lascia abbindolare dal primo che gli sa.
destramente piantar le carote , poiché il co
stume comanda , che per tariffa scenica de
vano mostrarsi in teatro ora un Olandese
col cappello alla qualcera , che sembri muo
versi colle fila di ferro a guisa di burattino,
ora un francese incipriato e donnajuolo , che
abbia nelle vene una buona dose d’argento
vivo, ora un goffo tedesco, che non parli d’
a‘a altro che della sciabla e della fiasca , ora un
,‘, Don Qtiisciotte spagnuolo , che cammini a
” compasso come figura geometrica , pieno di
3't falsi puntiin , ed abbigliato alla foggia di due
” secoli addietro; poiché insomma tutto ha da
” essere stravagante, esagerato , eccessivoefuo
ri di natura , voi mi farete la grazia d’ ac
” comodarvi mandando al diavolo quanti pre
cettori v'ammonissaro in contrario.
i ’
» V
5“. ’ ‘=.:zxx‘wfl'_vr“
I47
,, V’avverto, che non dovete introdurre più
”
di sette personaggi, né meno di cinque. Sa
n pete qual carattere devono avere le due pri
n me parti. Al terz’ uomo , ovvero sia al te
n nore darete carattere sostenuto di padre , di
”
vecchio, di geloso , di mercante Olandese, 0
n di qual più vi aggradi . Se colui ‘che fa la
” parte del padre ha quindici o vent’ anni me‘
fa- no del figliuolo poco mi cale . Il viso accon
si ciamente forbito , il rossetto in buona dose ,
”
e la lontananza aggiustano ogni cosa. Ma che
”
il rimanente de’ personaggi parli assai poco ,
n imperocché quei, che mi sono toccati insor
n te quest’anno cantano male . E siccome l’
1'
148
na dino per maneggiare lo scioglimento. Ne fa
cosi poco conto della condotta che nulla mi
., cale se và piuttosto così che altrimenti.
,, Ho'la buona sorte di avere un primo uo
mo dotato di voce snodatissima e leggiera ,
onde converrà aprirgli campo accincchè brilli
al suo talento. Egli ama poco il recitativo ,
dal che ne siegue , che voi dovete essere
estremamente laconico a costo ancora di affol
lare gli avvenimenti , ma si compiace nelle
ariette principalmente, in quelle dove si può
gorgheggiare come sono le rumorose , o che
chiudono qualche comparazione . E siccome
incontrò una volta assai bene cantando il
V0 solcando un mar crudele,
” così vorrebbe un’ aria lavorata sullo stesso
’) metro e con delle parole consimili . Se non
,‘H vi vien fatto di lavorarla , come ci vuole ,
149
e risposte da una parte e dall’ altra , che sa
31
rà proprio una delizia.
,, Vi metterete un solo duetto, il quale, co
me sapete , appartiene esclusivamente al pri
S) mo uomo e alla prima donna . Guai se ve
” nisse cantato da altri che da loro! Nascereb
J) be un dissidio poco minore di quello che ac
”
cese in altri tempi iGeminiani contro ai
”
Petroniani per la Secchia rapita . A fine di
,, schivar le contese fa di mestieri parimenti ,
\4wuv
che tutti i personaggi cantino per ordine le
loro ariette incominciando dal primo uomoo
uu dalla prima donna infino all’ultimo, e sicco
0u
nu\| me vorrei , che vi si mescolasse il buffo ,
U\Iuv-o\I: cosi non farebbe male un finale dove tutti
cantassero ad un tratto. Meglio poi se ci ma
tra nelle parole un non so che di mulinello,
di tempesta, di zuifa o di cosa , che appor
tasse gran fracasso . Allora l’orchestra batte
rebbe fuoco, e gli uditori sguazzerebbero per
l’allegrezza . Egli è vero , che codesti finali
rassomigliano per lo più ad una sinagoga di
ebrei anzi che ad un canto ben eseguito, ma
i) nelle cose di gusto non bisogna essere cotan
” to sofistico.
K 3 ,, Avre°
1. . ...-. f,_-._< r -
150
,, Avrete cura di fare , che tutti gli attori
abbandonino il teatro dopo aver cantato le
”
loro ariette , e che verso la fine dell’atto
vadino sfilando a poco a poco . Cotal costu
H
me mi piace assai ed è caratteristico dell’
” opera. Lascio poi in vostra balia il tirar giù
”
a grado vostro l’ultimo atto ,' basta che sia
,, curto, che non vi si frammezzino arie d’im
,, pegno , nè decorazioni importanti , e che i
personaggi alla perline si rappattumino insie
” me cosi che ogni cosa fornisca amichevolmen
3) te . Mi direte , che ciò non si conviene , e
” che anzi l’ ultimo atto dovrebbe essere il più
vivo e incalzante. Ma coteste sono sottigliez
D ze dell’arte, nelle quali non me ne intrico _
” Quello , ch’io so è , che fornito il secondo
” ballo , 1’ uditorio va via , e che i suonatori
e virtuosi non vogliono più faticare. ”
Con tali principi, su quali s’ aggira in prati
ca tutto l’edilizia dell’opera buffa , non è da
maravigliarsi se i lettori non degnano di gitta
re uno sguardo sul libretto, se il poeta da so
‘vrano, quale dovrebbe essere, èclivenut0 ligio,
6 se va a soqquadro ogni cosa. Da questa pro
scrizion generale vanno esenti pochissimi scrit
‘0
151
tori. Se Girolamo Gigli, e Goldoni hanno fat
ta in questo genere qualche composizione pas
sabile, il loro merito è comparativo, e non as
soluto. Essi non devono confondersi tra i Bavj
o i Mevj, ma qual distanza fra loro egliAri
stofani o i Terenzj.J Ma se l' Abate Cesti ap
plicherà a siffatti lavori, la sua vivaceimagina
zione, il suo talento pieghevole, e il suo stile
agiato e corrente ( cercando però di rammar
bidirlo alquanto secondo i bisogni della melo
dia, e mettendo un poco più di contrasto e di
forza nelle situazioni e nei caratteri ) avrà egli
tra poco la gloria di regnare senza rivali sul
teatro buffo italiano . Mi fanno pensare in tal
guisa il Teodoro Re di Corsica , e molto più
la Grotta di Trifonio due commedie musicali
di questo poeta , che si sono rappresentate nel
la Imperial Corte di Vienna , e che ci fanno
desiderare di vederne sortire altre molte dalla
stessa penna.
_.-1,.. . ..-.
153
parte essenziale del melodramma italiano. Pero
seguitando il mio solito metodo ch’ è quello di.
risalire fino ai principj a fine di cavare più ov
vie e più legittime le conseguenze, cercherò di
restringere colla brevità e nettezza possibile
tutto ciò che nella presente materia ha uno
stretto legame col mio argomento ai capi se
guenti .
Primo . Dell’ origine naturale e della energia
del ballo .
Secondo . Della sua applicazione e uflizj al
teatro.
Ter{0. Della sua prima introduzione e pro
gressi in Italia.
Quarto . Dei principali abusi introdottisi nel
ballo pantomimico italiano .
Ogni passione interna dell‘ uomo si manifesta
in due maniere o coll’ azione 0 col suono . La
stessa sensazione, che ci strappa un urlo di spa
vento o un grido di gioja , ci spinge il fare
eziandio certi determinati gesti analoghi alla na
tura dell’afietto che ci predomina. Sel’appren
sione è d’ un male, i muovimenti del corpo so_
no diretti a slontanarlo lungi da noi , come si
cerca con ogni sforzo di avvicinarlo qualora si
ere
254
«fede di ritrovar in quell’oggetto la propria fe
licità. L’uno e l’altro è stato dalla natura con
mirabile provedimento ordinato . Negli affetti
di gioia i segni esterni servono a comunicare
coi nostri simili parte di quell’allegrezza che
tanto giova a rinserrare i vincoli dell’amicizia.
Negli affetti di spavento o di mestizia servono
essi ad eccitar in nostro aiuto l’altrui commi
serazione facendo vedere , che ci sovrasta un
qualche pericolo . Si vede adunque , che l’ori
gine naturale del ballo e del canto è la stessa,
che l’istinto ( quella facoltà indiflinibile , ma
vera, che negli esseri sensibili e il supplemen
to della ragione ) è la cagion produttricedell’
uno e dell’altro, e che siccome i suoni inarti
colati della voce umana sono la materia ele
mentare della melodia , cosi le attitudini della
fisionomia e_del corpo sono , .a cosi dire , la
materia primitiva della danza.
Ma non qualunque aggregato di suoni e un
canto , nè qualunque serie di attitudini è un
ballo . Gli accenti scomposti e fuori di regola
non formano modulazione nella stessa guisa che
i gesti fuori di misura non formano cadenza .
Gli uni e glialtri_per costituire un’arte hanno
bi )
_ ‘ ___)ALì I» _.4_
155
bisogno d’essere imprigionati fra certe leggi
inalterabili e severe , le quali sono le medesi
me per la danza che per la musica. Come que
sta ha bisogno d’una misura, che regoli la du
razione di ciascun tuono, d’un muovimento
che afl’rctti o r'allenti la misura , d’ un’armonia
che combini e temperi le parti simultanee , e
d’una melodia che disponga i tuoni in una suc
cessione aggradevole , così nel ballo fa-d’uopo
dar un determinato valore e una durazione ai
gesti , accelerarli o rallentarli secondo le leggi
del ritmo, regolar acconciamente le figure sub
alterne , e dar ai muovimenti del corpo una
continuazione concertata ed armonica. La com
parazione-fra il canto e il ballo può condursi
ancora più avanti. V’è un canto naturale eun
canto imitativo . Nel primo chi canta non ha
altro disegno , che di eccitar in se stesso o in
altrui quel diletto meccanico che risulta dalla
dolcezza inerente a qualunque tuono . Nel se
condo raccogliendo gli accenti precisi della voce
umana in qualunque situazione dell’ anima, pren
de a rappresentarli con esattezza tessendone, se
occorre, una lunga azione. Dell’uno e dell’al
tro molto si e parlato in quest’opera. Cosi due
‘ sor
156
sorta possiamo considerare di ballo . Una dove
l’uom non ha altro disegno che di ballar per
ballare , cioè di eseguire certi salti regolati o
per manifestare la sua allegrezza , o per mostrar
il brio e l’agilità della persona , o per porre
in movimento isuoi muscoli intorpiditi dall’
ozio soverchio. Questo ballo senz’altro fine ri
flesso si chiama propriamente dan(a ed è quel
lo che s’ usa nei festini, nelle accademie, e nei
domestici diporti . Allorché per renderlo più
aggradevole vi si mischiano parecchie sortite ,
evoluzioni ed intrecciamenti , prende comune
mente il nome di ballo , o danza figurata. L’
altra sorte si è quando chi balla , non conten
tandosi del piacer materiale della danza , pren
de ad eseguire un intiero soggetto favoloso ,
storico od allegorico esprimendo coi passi figu-'
rati de’ piedi , coi vari atteggiamenti del corpo
e delle braccia, e coi tratti animati della fisio
nomia tutta la serie di situazioni che sommini
stra l’argomento nello stesso modo che la es
prime colla voce il cantore . Questa seconda
maniera di ballare si chiama Pantamimica , la
quale costituisce un linguaggio muto di azione
inventato dalla umana sagacità affine di accre
’ SCCl'
_.- ‘QÎ_J
I57
scer la somma dei nostri piaceri, e di stabilire
fra uomo e uomo un novello strumento di co
municazione indipendente dalla parola.
Noi ignoriamo fino a qual grado di energia
potrebbe condursi un siffatto strumento , ma
bavvi ogni apparenza di credere, che se gli uo
mini non avessero sviluppato giammai l’organo
della voce, nè inventata 1’ arte della parola , l’
idioma de' gesti perfezionato dal bisogno, cav
vivato dalle passioni avrebbe potuto comoda
mente supplire all’uno e all’ altra . La sperien
za ci fa vedere , che i fanciulli , non sapendo
ancora articolare gli accenti, trovano pure il se
greto di farsi intendere a meraviglia dalle loro
autrici, e l’educazion ragionata , onde sono ca
paci i muti nati, pruova con evidenza che la
natura non ha stabilito su questo punto verun
impretcribil confine , e che un senso potrebbe
acconciamente far le veci d’un altro. La storia
inoltre ci insegna , che il linguaggio primitivo
de’ popoli fu dappertutto più d’azione che di
parole composto , e che dalla usanza appunto
di parlar agli occhi acquistaron le loro espres
sioni un carattere di forza y, cui tenterebbe in
darno agguagliare l’artifiziosa e per lo piùinef
fi.
158
ficace verbosità de’ nostri più rinomati “orat0ri .‘,
Tarquinio , il quale in vece di rispondere all’
ambasciatore de’Gabinj , lo mena nel proprio
giardino , e alla sua presenza recide senza prof
ferir parola la sommità de’ papaveri, che grand
deggiavano sopra gli altri: Dario Re dei Persi,
che essendosi inoltrato nella Scizia con intenzio
ne di muover la guerra a que’ popoli , si vede
comparir avanti da parte loro un araldo , che
gli appresenta una rana, un topo, un uccello e
cinque freccie , e poi si diparte senza pronun
ziar un sol motto: Il famoso Levitadi Efraimo‘,
il quale volendo vendicar la morte della sua
sposa barbaramente trucidata da certi Israeliti
della tribù di Beniamino, taglia l’amato cada
vero in dodici parti , ed una ne manda in re-'
gala a ciascuna delle dodici tribù per eccitarle
cm si feroce eloquenza alla comune vendetta:
L' Indiana descritta da un poeta orientale , che
interrogata dall’ amante chi sia il fortunato 0g- '
getto de’ suoi frequenti sospiri, e obbligandola
il pudore a tacere mentre 1’ ardenza de’suoi de
sidetj la sprona a manifestarlo, prende senza dir
parola. un lucidissimo specchio , e l’afiaccia irl
nanzi a chi le avea fatta la dimanda: L’alîrfib
tan
159
tanto bella quanto incontinente Frine , che ve-’
dendo i giudici dell’Areopago non essere in suo
favore dall’ aringa d’ Iperide abbastanza com
mossi, s’inginocchia avanti loro , si straccia i
veli che le ricoprivano il seno , offre ai loro
sguardi una candidezza abbagliante , e per la
muta facondia di due persuasive oratrici si ve
de assoluta dal delitto d’irreligione nel più ri
gido tribunale della Grecia: I Salam: ovvero
sia specie di muta comunicazione inventata nei
serraglj dell’ oriente, la quale consiste nel man
darsi a vicenda in regalo un nastro , un panni
zuolo, o qualche altra cosa triviale, ma che
avendo nella sua piegatura e configurazione di
versi pattuiti significati, serve a trasportare da
un luogo all' altro tutti gli arcani della galante
ria, senza temer la gelosa vigilanza dei mariti;
mille altri esempi di questa natura , de’quali
abbonda non meno la sacra (*) che la profana
storia, pruovano , che certa classe di sentimen
’ o
il ' '
A‘M.‘
16:
ballo si farà discorso nel presente capitolo) sa
rebbe quella d’ applicarla all’esercizio delle pas
sioni utili,alla società, o ai motivi che interes
sano generalmente il cuore umano; posciachè i
mezzi in apparenza più triviali possono fra le mani.
d’ un legislatore filosofo divenire molle possenti di
rinforzo nel governo degli stati, e nella politica.
I greci, che seppero tutto inventare e perfe
zionar tutto , i greci , che non lasciarono _ ino»
perosa veruna facoltà del corpo o dello spirito ,
i greci che fecero servire fino i proprj diverti
menti agli oggetti più rispettabili e più subli
mi, i greci in somma quel popolo estraordina
rio, il cui nome io non posso leggere nè no
minare senza entusiasmo , intesero cosi bene
questo gran principio , che non temettero di
dover essere accusati di leggerezza divinizzan
do siccome fecero, la danza e applicandola poi
insiem colla musica e la poesia alla politica ,
alla educazione pubblica, alla guerra e al culto
religioso . Come gli Dei, e gli Eroi furono
tenuti poeti e musici cosi furono ancora tenuti
ballerini. Ballava Venere , Ebe , e le Grazie :
ballavano Castore, Polluce, e Minerva: balla
rono Teseo , Pirro , Achille e tanti altri , c
TOM. III. L per
162
perfin colui , che al detto di Cicerone chiamò
la filosofia dal cielo , colui che dall’ oracolo fu
riputato il più saggio fra gli uomini , il mac
stro di Eschine , di Platone , e di Senofonte ,
in una parola il gravissimo Socrate ebbe fama
di bravo danzatore . Questa , che nelle nostre
idee tanto diverse da quelle sembra una prosti
tuzione della filosofia, veniva accompagnata da
un altra spezie di prostituzione in apparenza più
scandalosa . Non solo adoperavano i greci la
danza come un atto di religione ,. o come un
incentivo all’ amor della patria , non solo si dan«
zava nell’ entrare in una battaglia per accender
si al coraggio , nel sortire di essa per ringra
ziare gli Dei , d’interno al talamo coniugale
per augurare la fecondità, nella palestra per in
durarsi alla fatica , nelle campagne per implora
re dai numi l’abbondanza delle raccolte , fra
le mura domestiche per educare la gioventù e
in mille altre occasioni , ma eravi ancora una
danza chiamata della Innacerqa dove le donzel
le di Lacedemonia ballavano affatto ignude e
divise in più cori innanzi al simulacro di Dia
na sotto gli occhi della gioventù maschile , e
in presenza del rispettabile magistrato degli Efo
r1 ,
.._\-__4
_ ., ;_,r _. _.V I _ __,- -__«_.,_ s._.»\.__-__‘__._- -.- e ._
153
ti , il quale autorizzava colla sua compostezza
e tacitur‘nità uno spettacolo così strano . Gli oc
chi nostri lo ritroverebbono senza dubbio biasi
mevole, né io voglio in modo alcuno giustifi
carlo avendo la fortuna di professare una reli
gione non meno rispettabile per la purità dalla
sua morale , che veneranda per la santità inef
fabile de’ suoi dogmi; ma riguardandolo unica
mente con occhio politico, nè potendo argo
mentare dalla profonda sagacità del legislatore'
di Lacedemonia , che un sì bizzarro costume
fosse privo d’ogni ragion sufficiente che‘ren
desse non solo utile ma legittima la sua istitu
zione, bisognerà confessare, come dice un mo
derno filosofo , il quale aveva l’anima Sparta
na e le viste di Platone, cbe l’usanza, di cui
si tratta, conveniva solamente agli allievi di
Licurgo; che la vita frugale e laboriosa , il
Costume puro e severo , la loro naturale robu«
Ste’<(a d’ animo erano qualità e circostanze at
te Il render illilo€eflte una SP6ÎÌLÌ’COIU COI; Iflfa
m'- _“,\y'e__.
AMM‘\___- _“
165
i greci surriferiti alcuni gesti esprimenti un qual
che fatt0 , ciò non ostante l’idea d’una intiera
commedia o tragedia rappresentata da capo a
fine senza il soccorso delle parole e col solo
aiuto dell’azione non fu conosciuto per la pri
ma volta fuorchè in Roma sotto il comando di
Augusto . Il mio metodo non mi permette il
L 3 trat
/<b __ -‘L
/ "
i -‘u -‘
168
La pantomima può essere considerata sotto
due relazioni differenti . La prima in quanto è
un arte rappresentativa somigliante alla poesia
e alla musica. La seconda in quanto viene ap
plicata al melodramma o come parte costituti
va di esso e coll’ azione intimamente connessa,
o come facendo classe di per se qual semplice
intermezzo frapposto tra atto ed atto.
Considerata in genere come un’ arte rappre
sentativa la pantomima è precisamente soggetta
alle leggi stesse alle quali soggiacciono tutte le
arti cl’ imitazione, cioè di dare alla spezial ma
teria , che scelgono esse come strumento tutta
la possibile somiglianza coll’ oggetto , che vo
gliono imitare. Così perchè la danza rappresen
ta le azioni umane per mezzo de’ muovimenti
e de’ gesti , l’arte del bravo pantomimo consi
ste nel fare che i suoi gesti e i suoi muovi
menti esprimano con tutta la verità ed eviden
za compatibile coi principi dell’arte sua l’ori
ginale preso a rappresentare. Dissi a bella po
sta con la verità ed evidenza compatibile coi
principj dell’arte sua afline di prevenir il so
fisma di coloro , che indicate vorrebbero nella
imitazione delle belle arti tutte quante le par
Il.
169
ticolari circostanze del vero , senza riflettere
che l’oggetto di quelle non è la semplice natu
ra, ma la bella natura , e che 1’ arbitraria non
meno che stitica teoria di quei pretesi filosofan
ti sbandirebbe ogni piacere ed ogni decenza dal
teatro, facendo apparire in un ballo per esem
pio di villani o di marinari avvolti i danza
tori fra le squallide vesti, coi muovimenti scom
passati e colle maniere rozze ed improprie, che
realmente in simili personaggi s’ osservano . E
ciò sotto pretesto di esatta rasspmiglianza fra
l’imitazione, e l’imitato .
Dalla necessità che ha la danza di esser ve
ra e conforme nasce in lei altresì la necessità
di esser chiara e distinta . Non basta che il
danzatore faccia dei gesti e delle attitudini, bi
sogna che i gesti abbiano un senso e le attitu
dini un significato, il quale, essendo dain spet
tatori facilmente compreso , faccia loro nascer
tosto in mente l’immagine della cosa che vuol
si rappresentare . Senza questo requisito es
senziale l' idioma de’ gesti è simile appunto
ai simboli degli antichi egiziani, ovvero a
quelli inintelligibili caratteri trovati dal ce
lebre Maupertuis nei suoi viaggi alla Lappo
ma.
-::»V"
170
mia. (*) Ogni sentimento del cuore umano, ogni
slancio di passione ha, come dice Cicerone , i
suoi tratti corrispondenti nel volto , nella vo
ce, e nell’atteggiamento..(") Il saperli affer
rare e il combinarli fra loro , formando una
serie ragionata , è quello che costituisce il
vero linguaggio d’ azione. Se nella serie accen
nata si trovano dei muovimenti che m’imba
razzano o perché nulla significano , o perché
hanno una significazione ideale , arbitraria, non
fissata dall’uso e dalla convenzione , o perché
non sono abbastanza connessi cogli anteceden
ti e coi posteriori, o perché distornano la mia
attenzione dalla idea principale , o perchè si
distruggono a vicenda e si contraddicono; il
linguaggio della pantomima è non solo catti
vo , ma al fine delle arti imitative perfetta
mente contrario.
Quindi le qualità generiche richieste nel bal‘
lo rappresentativo sono le stesse che esigono le
azio‘
/
(*) Dem'que .rit guadvir simplex dumtaxat , (9'
se num . Oraz.
(") Illeee6pv‘: out, (9' guru»: nour'nte manndur.
(’"l Primo m medium , media ma di:creper imum.
("") Reddere persone xi: ronwm'mtia ruiquf -
17z
cioè , che così acconciamente dipinga i m_ovi
menti proprj dei vari affetti umani, che lo spet
tatore sia costretto a risentirli in se stesso. (")
L’ultima circostanza è più d’ogni altra legge
necessaria alla pantomima , perchè non avendo
verun altro compenso , qualora non esprima una
qualche situazione viva dell’anima , essa non
significa niente . La ragione si è perché nessu
na operazione dell’uomo porta seco un gesto
animato e imitabile fuorché la passione. Un re
che parla posatamente , un filosofo che silogiz
za ( e in questi esempj si racchiudono tutti gli
altri di simil genere ) non sono modelli oppor
tuni per un danzatore . Le smanie di Merope ,
le lagrime di Andromaca , l’iracondia d’ Achil
le, le tenerezze di Aristea , il fumre di Ore
ste , l’ansietà d’ Ipermestra , e l’abbandono di
Armida ’- ecco i gran fonti del gesto umano e
per conseguenza della pantomima .
Come la poesia ha i suoi diversi stili cosi
gli ha parimenti la danza , e i vizi e le virtù
di
I73
di entrambe Vengono regolati cogli stessi prin-f
cipj '. Attitudini scherzose e festevoli nei balli
bulli, nei tragici animate e terribili , maestose
e gravi nei serj , vaghe e semplici nei bosche-,
recci, vezzose e dilicate negli amorosi, regola
ri ed eleganti in tutti ; questi sono i requisiti
dello stile nella pantomima . S’aggiunge come
prerogativa essenziale , che debbano essere 3g.
giustate, perspicue e scelte. L’ aggiustatezza ri
chiede, che si dia alle cose il loro genuino co.
lore senz’ alterarle per eccesso o per difetto ,
accincchè il danzatore non incorra nella taccia
di colui , che cita Luciano , il quale facendo
Aiace furioso si trasportò in modo , e cagionò
un tale scompiglio in teatro che si sarebbe det
to , che non contrafaceva il furioso, ma che lo
era La perspicuità vuole, che ogni gesto
esprima con nettezza e precisione ciò che vuol
rappresentare affinché lo spettatore non sia in
dotto in abbaglio . La mancanza di questa vir
tù rende simile la espression pantomimica alle
fosche nebbie , che addensandosi si: una valle ,
ne
f - _-._-J _=__7
I77
dalla esperienza e dalla sana ragione . La film
sofia , ai dettami della quale fa d’uopo assog
'gettare non meno le facoltà appartenenti al gu
sto che le più elevate scienze ha insegnato ai
coltivatori di quelle , che un discorso fatto si
multaneamente allo spirito in due idiomi affat
to differenti non può far a meno di non con
fonderlo; che se la danza dice lo stesso che la
compagna il suo linguaggio diviene inutile , co
me diviene contraddittorio se dice l’opposto ;
ch' essendo la pantomima fondata sulla supposi
zione che debba parlarsi ad un uditorio di sor
di o di muti , cotal supposizione diventa ridi
cola qualora si senta nel medesimo tempo sul
la scena un altro linguaggio che distrugga l’ipo "‘a-.
tesi, e che se gli spettatori si prestano di
buon grado ad un genere d’illusione , soffrono
però nel volentieri di dover assoggettare la lo
ro imaginazione ad un altro , il quale sia in
contraddizione col primo .
Strana non per tanto è da dirsi che fosse 1’
opinione del Signor Grimm , il quale desidero
so di riunire a’ nostri tempi la danza colla poe
sia vorrebbe , appoggiandosi al testè citato esem
pio di Livio Andronico , che i ballerini can
w-Îì}.g;;iw,f’
To Me HL ‘\ ' M _:ÎÎ"“‘
178
tassero eglino stessi nell’atto di danzare , op‘.
pure che mentre danzano, una voce nascosta
dietro alle scene spiegasse cantando 1’ argomen.
to del loro ballo. Una siffatta idea è non me
no stravagante a proporsi che impossibile ad
eseguirsi . Lo spiritoso ed elegante autore del
discorso intorno al poema lirico non ha riflet
tuto essere incompatibile colla natura del nostro
canto sminuzzato acuto squisito e sottile 1’ azio
ne violenta che richiede la danza , mettersi i
polmoni e la glottide dei cantanti nell’ atto d’
eseguire l’ arie in una posizione che verrebbe
alterata necessariamente dal ballo , o all‘atto di
strutta , trovarsi nella poesia molte idee astrat
te, molte relazioni puramente riflessive e men
tali che non potrebbono in verun conto ese
guirsi dal ballerino , contener la musica stru
mentale mille artifizj , mille pitture degli og
getti esterni che non possono essere rappresen
tate coi piedi, dover non per tanto 1’ imitazio
ne della natura riuscir imperfetta oscura ed equi
voca , essere finalmente nel presente nostro si
stema la simultanea riunione del ballo e del
canto in una Sola persona una caricatura non
minore di quella che sarebbe il prevalersi d’
una
I79
una traduzione ebraica per facilitare l’intelli
genza d’una lettera scritta in latino.
Le ragioni ,. che vietano l’ accompagnamento
perpetuo della danza nel melodramma , sono le
stesse per doverla bandir eziandio come episo
dio. Un ballo improviso che venga sul più bel
lo a sospender l’azione , indebolisce l’interesse,
e fa dimenticare l’oggetto principale . E sicco<:
me 1’ effetto d’ogni spettacolo dipende dalla co
stante e non interrotta impressione che fa esso
sull’animo , cosi qualunque ornamento stranie
no, che vi si frapponga , diminuisce l’impres
sione , e per conseguenza l’ effetto ; tanto più
se l’ ornamento frapposto è di tal natura che in
vece d’ agevolare l’ intelligenza di ciò che dico.
no le parole , non serve che a renderla più dif
licile . Tale appunto è il ballo , il quale per
essere meno naturale all’uomo che non è l’ uso
de’ Vocaboli , ha un significato men chiaro e me
no intelligibile perchè men fissato dalla conven
zione, e meno atto a rappresentarel’idce com
plicate e riflesse dello spirito . Si può nondi
meno far uso talvolta di esso purché non si
prenda come una vana ripetizione delle parole,
0 come una voglia indeterminata di ballar per
M a. bal.
181
le di quell’attività momentanea frutto della gio
vinezza, del temperamento o della giovialità .
Conseguentemente non deve innestarsi nel me
lodramma fuorché nelle circostanze accennare, e
i poeti, che si sono dimenticati di farvi rifles
sione, hanno mancato alla filosofia dell’arte pro
pria, come fece il Signore de’Calsabigi intro
ducendo a ballare nell’ Orfeo le furie , e le fi
glie di Danao insiem coi Demonj nell’ inferno
quantunque nessuno al certo dovesse in tal luo
go e da tali persone aspettarsi volteggiamentie
carole.
Ci rimane a disaminare se deva , o no, le
gittimamente introdursi la pantomima in iscena
come intermezzo tra atto ed atto . Se il fatto
valesse quanto la ragione , il problema non fa
rebbe nemmeno una questione, poiché bastereb
be volger gli occhi a qualunque teatro per ve
dere quanto spazio di tempo ivi occupi il bal
lo, come interrompa smodatamente l’azion mu
sicale, e a qual grado d’importanza sia oggimai
pervenuto , cosicché direbbesi non la danza es
sere un intermezzo del dramma , ma piuttosto
il dramma un frammesso della danza . Nondi
meno siccome i pregiudizj per quanto siano essi
M "
3
fissi
182
fissi e radicati altamente non distruggono pun
to l’essenza inalterabile degli oggetti , così ri
guardando noi la bellezza delle arti sceniche
non già nella modificazion passaggiera che rice
vono dagli abusi; ma nell’idea archetipa del
Bello assoluto ed intrinseco , siamo costretti a
pronunziar francamente , che l’usanza di fram
mettere la pantomima negl’ intervalli del dram
ma è un’assurdità palpabile, un’ eresia in mate
ria di gusto che deve affatto proscriversi innan
zi al tribunal del buon senso . Di fatti se tut
to ciò , che distrugge il fine principale. d’uno
spettacolo è da condannarsi ; se il fine princi
pale del melodramma , come d’ogni altro com
ponimento è di produr l’interesse; se niuna
cosa contribuisce tanto a produr questo quanto
l’ illusione; se non è possibile ottenerl’illusio
ne ove manchi l’unità; se l’unità non può con
servarsi qualora l’azione primaria non continui
dal principio sino alla fine senza interrompi
mrnto , e se la pantomima è appunto quella ,
che interrompe il progresso dell’azione , ne se
guita dunque che la sua introduzione come in
termezzo è condannabile perchè viziosa e con
traria al fine dello spettacolo . Comunque voglia
m
”Îî_’‘s=:h
183
infromettersi sarà sempre una mutilazione che
si fa al melodramma , uno svagamento stranie
ro che fa perdere il filo al restante , un riem
pitivo fuori di luogo che tronca il tutto musi
cale e poetico in parti independenti , le quali
non producono l’ effetto perché vien loro impe
dito lo scambievole rapporto. Se sarebbe cosa
sconcia e ridicola in un oratore dopo aver di
viso in tre punti la sua orazione , il mettersi
a ballare ad ognuno dei punti frapponendo dei
lunghi intervalli alla continuazione delle sue pruo
ve , perché dovremo pensare altrimenti di co
testo stravagantissimo ballo, che viene appunto
a far lo stesso nel melodramma ? E se sarebbe
deriso uno storico ,-che sul più bello d’un rac
conto fatto in volgare mi saltasse in campo con
un paragrafo tedesco che da Firenze portasse il
lettore tino a Sarmacanda, e dall’epoca dei Me
dici perfino a quella di Tamberlano, perché il
sorriso del buon senso non dovrà parimenti con
fondere la strana fantasia di coloro , che men
tre io porgo attenzione al linguaggio della mu
sica , mi saltano all’improviso fuori col liu
guaggio dei muti , e togliendomi per forza dal
luogo dove sono , mi trasportano in un altro
M 4 mon
,184
mondo dove non ho per ora genio d’andare ,
e dove cereano di rapirmi il piacere del cuore
per darmi in cuntraccambio qu‘ll0 degli oc
chi? I Greci , dai quali gl’ ltaliutti si vantano
d’aver tratto il loro spettacolo , cositfatto abu-
so mai non conobbero À Le loro azioni dram
matiche formavano un tutto non mai interrotto
dal principio sino alla fine, e persino ignota fu
a loro la divisione delle tragedie in iscene oin
atti, nomi che noi abbiamo appresi soltanto dai
latini autori. Ballavano essi, egli è vero , nella
tragedia e nella commedia , ma il loro ballo
era innestato col componimento , come lo era
anche il coro , il quale non si dipartiva dalla
scena per tutto il tempo della rappresentazione.
Cosi fecero ancora i Romani in ciò che appar
tiene a non mischiare la pantomima colle azio
ni musicali . Erano queste presso a loro due
cose all'atto separate , e se ad imitazione dei
Greci intromettevano la danza insieme col coro,
non lo facevano essi se non rapportandola all’
azione principale , come apparisce chiaramente
da questi versi di Orazio nell’ arte poetica
D’vfttor le parti , e di un 101 un»; sostenga ,
Quando bisogna il coro: e ciò cl:e sue/e
Can
> v-n_._,_. 4
189
rin’ altra 6ellissima Moresco al PossiÙile . La
tergo fu un carro di Nettuno tirato da due
mezzi cavalli, con le pinne , e squame da pe
sce, ma benissimo fatti: in cima il Nettuno col
Tridente ec. dietro otto mostri, cioè quattro
innanzi, e quattro dappoi tanto oen fatti, cb’
io non l’ oso a dire , ballando un brando ; ed
il carro tutto pieno di fuoco. ,2g4esti mostri era
no la più bi({arra cosa del mondo: ma non si
può dir a cbi non gli ba visti, com’ erano. La
quarta fu un carro di Giunone pur tutto pieno
di fuoco, ed essa in rima con una corona in te
sta, ed uno scettro in mano sedendo sopra una
nuóe , e da essa tutto il carro circondato con
infinite bora-be di venti. Il carro era tirato da
due Pavoni tanto belli e tanto naturali, cb’io
stesso non sapeva, come fosse possibile , e pur
gli avevo visti e fatti fare . Innanti due ‘42
quile , e due Struggi: dietro due uccelli mari
ni, e due gran Papagalli di quelli tanto mac
cbiati di diverso colore .- e tutti questi erano
tanto ben fatti, Monsignor mio , che certo non
credo , cbe mai più si sia finto cosa simile al
vero: e tutti questi uccelli ballawno ancor lo
ro un broncio , con tanta graq_ia , quanto I!d«
POJ'e
190
possibile a dire nè immaginare . Finita poi
la Commedia , nacque sul Palco all’ impro
viso un vfmorino di quelli primi , e nel me
desimo abito , il quale dichiarò con alcune
poche stanze la signifiragione delle Intromes
le.
'93
to . Atlante comparve insieme con esse dicendo'
aver egli appreso in altri tempi da Archimede ,
che se trovar si potesse un punto d’appoggio
fuori del globo sarebbe assai facile il sollevare
tutta quanta è la massa della terra ; a _tal fine
esser egli venuto dalla Mauritania nella Gran
Bretagna creduta da lui questo punto cosi dif
ficile a trovarsi , voler non per tanto smuover
il globo e scaricarsi da un peso enorme , che
gli avea per tanti secoli gravate le spalle, con
segnandolo ad Alithia compagna inseparabile del
più saggio e del più illuminato fra i Re. Do.
po questo recitativo il vecchiardo accompagna
to da tre Muse Urania , Tersicore e Clic av
vicinossi al globo , il quale toccato con una
verga tosto s'apri . La prima ad uscire fu l’
Europa vestita da regina, e seguitata dalle sue
figliuole la Francia , la Spagna , l’Italia , la
Germania e la Grecia , le quali avevano al lo
ro seguito la Loira, il Guadalquivir, il Reno,
il Tevere, e 1‘ Acheloo. Ciascuna delle figliuo
le dell’ Europa aveva tre paggi caratterizzati co
gli abiti delle respettive loro provincie . La
Francia menava seco un basso Bretone , un
Normanno , ed un Guascone . La Spagna un
Tour. III. N Ca
-.'__-c_ _
194
Castigliano, un Aragonese ed un Catalano. L’
Alemagna un Ongarese, un Boemo, ed un Da
nese. L’Italia un Napoletano , un Veneziano,
ed un Bergamasco . La Grecia un Turco , un
Albanese , ed un Bulgaro. Questo seguito nu
meroso danzò una spezie di prologo in ballo ,
e i principi di tutte le nazioni , che sortirono
dal globo con un sontuoso carteggio , danzato
no successivamente facendo più sortite di di
verso carattere coi personaggi che si trovavano
sulla scena . Atlante fece sortire coll’ordin me
desimo 1’ altre parti del mondo, lo che formò
una divisione naturale e semplice del balletto ,
ciascun atto del quale fu terminato cogli omag
gi, che dalle mentovate nazioni furono resi al
la giovine principessa d’ Inghiltera , e coi ma
gnifici presenti che le furono fatti.
Ottavio Rinuccini inventore del dramma mu
sicale in Italia nel lungo tempo del suo sog
giorno in Francia dove, come in altro luogo (")
si disse , era andato con Maria de’ Medici , e
grandemente promosso in quella nazione il gu
delle cose musicali, si distinse ancora colle più
gen
M L: -_M V
.‘
I97
ta , e questi come compositore furono i primi
a dar qualche idea (1’ una danza teatrale più ra.
N 3 gio
affettatamente grave e posata dava un calce nel de
retano al suo primo Ministro , il quale lo trasmet
teVa ad un altro subalterno , e questi ad un terzo
finchè l’ ultimo di tutti colpiva a imitazion del mo
narca col piede e col bastone un personaggio tacitur.
no ed immobile che riceveva i colpi ma una pazien
za degna d‘ Epitteto senza scuotersi nè vendicarsi con
chi che fosse . Questo muto personaggio significava
il popolo. All’ opposto il governo republicano veni
va rappresentato con una contraddanza in tondo viva
ed allegra , dOVe ciascuno dei danzatori intrecciando
la sua mano con quella del compagno , e cambiando
di luogo ad ogni mossa , sottentrava al suo anteceS‘
sore senza che apparisse veruna distinzione tra le fi
gure . Così fu eseguito in Londra . Se lo stesso ar
gomento fosse stato ideato a Lisbona 0 aCostantino
poli , il governo d’un solo sarebbe stato rappresen
tato probabilmente sotto l’ emblema d’una madre che
careggiava i figli afi'ollantîsi all’ intorno con tenerez‘
2a, e la Republic:x sotto l’ imagine d’una dan2a do
ve i ballerini indocili alla battuta. e usc:ndo ad ogni
tratto di tempo , turbassero sconciamenre la simmetria,
e ne facessero perdere la pazienza ai suonatori. Tan
to è vero che gli uomini giudicano degli oggetti a
misura delle disposizioni del loro spirito , e che tutti
più o meno tassomigliamo a quei popoli della Gui
nea , che prestano agli Angioli del Paradiso il,pm
prio» colore, e la propria fisionomia .
198
gionevole. Sotto la direzione del primo il can
to s’intrecciò più felicemente col ballo in va
rie feste teatrali rappresentate alla Corte , in
qualcheduna delle'quali , cioè nel Trionfo d‘
.A'more ballò il medesimo Re Luigi decimo
quarto accompagnato dalla reale famiglia, e dal
fiore della nobiltà francese . Sotto la direzione
del secondo s’udirono per la prima volta l’ arie
dette di prestezza, perchè in esse il movimem
to divenne più vivo , e la cadenza più marca
ta , dalla qual novità commossi secondo il so
lito gli adoratori del rancidunie si diedero to
sto a gridare, che la musica si corrompeva , e
che il buon gusto andava in rovina . Per for
tuna dell’arte Lulli non badò punto alle loro
declamazioni, e seguitò l’intrapresa riforma con
tentandosi di segnar talvolta le figure e i passi
a’ maestri di ballo , che non ben sapevano te
ner dietro al suo violino . Dalle arie di pre
stezza passò a quelle di carattere , dando alle
nazioni e ai personaggi rappresentati l’atteggia»
mentale le mosse, che convenivano loro , e si
vide Plutone per la prima volta conservar dan
zando la maestà propria d’un Imperador degli
abissi , e la fuggiasca Galatea , e il selvaggio
Po
“M ‘ A-‘. _Ang_‘
-__- '-1 *11_ ci
199
Polifemo, e i nerboruti Ciclopi, e i Satiri, e
le Nereidi , e i Tritoni uniformi insino allora
e indistinti nell’arte di menar carole comincia
rono anch’essi a variar le loro danze, come va
riavano altres‘x le arie negli strumenti. Il ballo
divenne allora un ornamento essenziale del dram
ma, e vi fu impiegato ora come parte costitu
tiva, ora come intermezzo. Lambert, Campra,
e più altri compositori di sommo merito per
fezionarono a tal segno la mudca de’ balli che
al mio tempo ( dice l’Abbate Du Bos, da cui
tratte abbiamo in parte le predette notizie ) i
maestri assegnano fino a sedici diversi caratte
ri nella danqa teatrale. (*)
L’ Italia frattanto non potendo uguagliare
non che superare iFrancesi, in cotai genere di
gentilezza , contentavasi d’ imitarli frammetten
do balletti d’ogni maniera e graziosi intermez
zi all’ Opere in musica tratti per lo più da ar
gomenti bulli, o mitologici . Di già erasi ve
duto fin dalla prima Origine del melodramma
N 4. Emi
à'
a__,..w\ A\ _
'/\-frfwv\ v, î_ "_’ VA ..‘__..A"
’ ‘»‘
‘. _‘ Ma-‘-e< .-\ -., ’_.._fl-‘\
zoz
fonerie, le lepidezze, e le novelle galanti. Quca_
sti personaggi fecero per ordine le loro sorti;
te, dopo le quali comparve il tempo , che man
dò via l’Apparenza. Indi facendo aprir la nu
be su cui era venuto, si vide in lontananza un
gran orologio d’ arena , onde uscirono la Verità
e 1’ Ore , che fecero varie mutazioni e sortite ,
dalle quali si formò il gran ballo.
Ma la danza non era per anco pervenuta nell’
Europa moderna a quel grado di perfezione, a
cui secondo i suoi partigiani era giunta presso
ai Romani , a quel grado di perfezione cioè
che_nasce dall’eseguire col solo aiuto de’gesti
e senza intervento alcuno delle parole una in
tiera tragedia, o commedia condotta secondo le
più esatte regole della drammatica . La gloria
_di condurla a tal segno era riserbata ad una
nazione tenuta fin allora comunemente più abi
le nel promuovere l’ erudizione e le scienze che
nel coltivare l' arti di leggiadria e di gusto. I
Tedeschi svegliandosi ad un tratto nella carriera
delle belle lettere , e di tutte quante l’artì
d’ imaginazione, aveano fatto vedere all’ Euro
pa col mezzo di Klopstock , di Hallcr , di
Gessner, di Zaccaria, di Gleim,_e (1’ altri poe
il
203
ti stimabili non meno che coin Hendel , gli
Stamitz, i Bach, iNauman, iGluck, gliHay.
den , i Graun , e tanti altri rispettabili profes.
sori di musica quanto fosse stato indecente e
ridicolo il quesito proposto dal Bouhours gesui
ta francese se un Tedesco poteva aver dello
spirito. Essi fecero ancora di più. Mostrarono
d’ averlo in quelle cose, che sembrano appartc.
nere soltanto alla sveltezza ed agilità delle na
zioni meridionali. Verso l’ anno 1740. Hilver
ding offrì agli occhi di tutta la Corte per la
prima volta sul teatro di Dresda (altri dicono
su quello di Vienna) il Britannico del Racine
eseguito nell’ accennata maniera, cui poi tenne
ro dietro l’Idomeneo di Crebillon , e l’Alzîra
di Voltaire. I Francesi disposti ognora a perfe
zionare 1’ invenzioni altrui, e adatti per educa
zione e per istudio alla scienza del ballo si pre
valsero tosto della scoperta rendendola in tal
guisa propria di loro che parve affatto francese
all’ altre nazioni. Contribuì non poco a rinfor
zare la comun opinione il celebre Noverre pub
blicando\_le sue lettere intorno alla danza , do
ve partendo dall’ esempio degli antichi si cerca
con molto ingegno e con eguale spirito di ri
Sifi
204
stabilirla nelle forme e col metodo usato da Ila,
Pilade, e Batillo. Giammai scrittore ha tanto/
nobilitato il ballo quanto Noverre . I misteri ,
ch’ egli vi ritrova sono cosi mirabili, 1’ eloquen
za , con cui assalisce la fantasia per finir poscia
colle gambe e coi piedi è tale che per lui non
istà se tutti i letterati non abbandonano le al
tre scienze per far i ballerini. Nè si contentò
egli di letterarie specolazioni , ma volle ancora
mettere in pratica quanto colla voce e colla pen
na insegnava agli altri. Lodati furono e da tut
ti concordemente ammirati la morte d’ Ercole,
l’ uccisione de’ proprj figli fatta da Medea , ed
altri balli da lui ritrovati e felicemente‘ esegui
ti sul teatro di Stougard sotto la protezione
del Duca di Vitembergh Mecenate dichiarato
delle arti drammatiche e musicali . La sua Se
miramide inoltre cavata da Voltaire , posta in
musica dall’imn'xortale Gluck e rappresentata in
Vienna fece quasi fremere dallo spavento, e
dalla sorpresa gli spettatori lasciando in/dubbio
gli astanti se il prodigioso effetto che riseptiva
no provenisse dal terribile argomento , o dalla
forza e semplicità dell’azione, oppure dalla es
prefsione e verità dell’ armonia.
' Tro
__
205"
Trovata in‘tal guisa la pratica e stabilita la
teoria non è maraviglia che si propagasse subì.
to cotesto genere di pantomima eroica nei tea-‘
tri esteri, e per conseguenza in quelli d’Italia.
Pitraot, che s’ era distinto a Parigi col famoso
ballo di Telemaco allorchè fugge dall’isola di
Calipso 'fu il primo a introdurre 1’ usanza di
qua dai monti, dove prese gran voga e trovò
maestri bravi e compositori eccellenti, che per
fezionaron la musica , e rappresentarono i più
rinomati componimenti. (*) Angiolini campeg
gia in oggi fra gli altri non meno per la bra
vura nell’inventare, e nell’ eseguire che per le
sensate dottrine esposte da lui nelle lettere
scritte su questa materia . Dietro agl’insegna
menti di questo maestro , e d’ alcuni valenti
Francesi s’è coltivata altresì la pantomima co
mica , e quella di mezzo carattere cosicché il
ballo rappresentativo può dirsi in oggi salito
' (se J
\
s- .- « .p\»;u:flîfl_."w “‘»\.‘ '\‘S,Ak;ìî,f\\\r
210
gior numero d’immagini , e il di lui sensorio
ne riceve maggior copia di vibrazioni , onde i
nervi subalterni , che sono scossi più fortemen
\te mettono in maggior esercizio la sensibilità ,
dalla quale in ultima analisi nasce l‘interesse ,
che ci attacca alle cose rappresentate . Da ciò
ne conseguita , che la Mimica ha tutti i van
taggi della pittura, e della scultura nella varie
tà, nella scelta, e nella forza delle attitudini
avendo di più l’impareggiabile prerogativa di
poter mettere ne’ suoi quadri una successione ,
un muovimento, che mettervi non ponnoipit
tori o gli scultori condannati a non esprimere',
fuorché un solo atteggiamento nelle figure. Nè
tampoco negberò , che veduto non si sia un
qualche ballo pantomimo in Italia, il quale ben
composto , ben eseguito , accompagnato da una
musica espressiva, e afferrando nella sua imita
zione i tratti più caratteristici e più terribili
d’un argomento, abbia prodotto sugli spettato
ri un effetto eguale e forse maggiore di quel
lo ch’è solita a produrre la tragedia recitata.
Ma qtmllo, che dirò sempre e costantemente
affermerò si è , che tali effetti della Mimica ,
come si coltiva fra noi , sono accidentali, di"
el
art
ella ha dei vizi intrinseci, che non potranno estir
parsi giammai, e che se riesce bene una qual
che volta per mille altre volte è uno spettaco
lo assurdo. La cagione si é perché la materia
primitiva de’gesti , su cui s’ esercita l’imitazion
pantomima , essendo di già molto scarsa nella
natura, é divenuta scarsissima nella società, co
sicché si rende assai difficile, per non dire im
possibile , il tessere un’azione di qualche dura
ta che condotta sia colla necessaria chiarezza ,
e che interessi per la novità. Che l’idioma de’
gesti deva essere Scarso nella natura apparisce
da ciò, che accompagnandosi ogni concetto men
tale dell’uomo espresso al di fuori con due se
gni il gesto cioè , e la voce; ciascuno d’ essi
segni dee perder molto della sua influenza a
misura che prevale, e si perfeziona quell’altro;
dimodoché ove l’arte della parola é molto in
uso, ed ovunque sia stata ad un cetto grado di
raffinamento condotta , ivi l’espressione del ge
sto è più rara e meno efiicace, come all’oppo
sto dove il costume 0 le circostanze o la ne
cessità diminuiscono il vicendevol commercio
della voce , il linguaggio de’gesti diviene più
' comune e più energico, siccome accade ne’ fan
0 z cini
213
necessaria ‘ la copia e la veemenza dei gesti .
Conseguentemente a quanto si è detto la Mi
mica eroica dev’ essere più scarsa di modelli
che non la pantomima comica , perocchè nella
prima 1’ influenza di quella qualità, che si chia
ma polite(za, non può far a meno di non ren
dere i personaggi sublimi, che vi si rappresen
tano , misurati, contegnosi, e lontani da quello
sfogo spontaneo onde traggono i gesti la loro
espressione; dovechè nella seconda la più roz
za , o se vogliamo pur dirlo, la men travisata
educazione , rendendo le persone‘ imitare più
spensierate e più sdriette, fa si che s’abbando
nino al loro istinto con minore ritegno secon
dandù più liberamente gl’impulsi della loro sen
sibilità.
A siffatta scarsezza nella materia primitiva
della danza s’ aggiunge l’altra che-risulta dalla
costituzione intrinseca di qualunque lavoro rap
presentativo . E’ impossibile ordire un’ azione
che abbia il suo cominciamento , il suo mezzo
e il suo fine senza intrecciarla di mille circo
stanze , che suppongono un significato conven
zionale , una relazione, un rapporto. Nè 'può
trovarsi alcun argomento dove non si faccia al
0 3 lu
_ - --- _-_.--.- _- .Ùw-_-fi i a-'- v-_-
-.... e s
214 r._'
lusione frequentemente a cose passati ,‘o fatti
re , ad oggetti lontani o segreti , a riflessioni
puramente mentali che non cad0no sotto i sen
si , per non dir nulla delle infinite idee acces
sorie e subalterne che hanno bisogno d’ un vo
cabolo ad esser comprese , e senza le quali il
voler continuare pel lungo corso di tante scene
diverse una rappresentazione sarebbe lo stesso
che l’accingersi a compiere un quadro senza
prepararne opportunamente'e degradarne i co
lori. Ma tali preparazioni, degradazioni e cir
costanze sono affatto perdute per la Mimica a
la quale circoscrivendosi come la pittura e la
statuaria nella sua imitazione alle cose presen
ti, e incapace di significare le preteriteole fu
ture , 1’ idee di pura convenzione , l’interroga
zioni, l’ironie, la speranza, l’agnizioni, od al
tre cose somiglianti , è acconcia bensì a mo
strare una rapida successione di quadri , che
siano in movimento e in azione , ma non può
se non che troppo difficilmente farci vedere la
connessione fra essi .- Come ci farà ella , per
esempio , conoscere ciò che dipende dalla me
moria , come; sarebbe a dire , che Bruto nella.
Morte di Cesare è figliuolo di Giulio , che l’.
eb
215
ebbe egliila Servilia sorella di Catone , che l'
ha colniàto insin allora di benefizj , e che ha
fatto di già il suo testamento dove gli lascia 1m
immenso retaggio? Come mettere avanti gli oc
chi 1' idee riflesse di Bruto , i rg|oi rimorsi, le
alternative tra l’amore della patria e quello del
padre ? Come far sapere a questo giovine per
mezzo d'un gesto o d’ una capriola, che Cesa
re è suo genitore.J Come esporre alla vista ciò
che accadde dietro alle scene cioè il biglietto
trovato da Bruto sotto la statua di Pompeo, l’
intrapresa di Marcantonio di voler incoronar
Cesare Re dei Romani, il simulato rifiuto del
Dittatore, le trame ordite dai congiurati ? Co
me far sentire la gradazione diversa nei carat
teri de’ personaggi , per esempio in Cesare la
nobiltà dell’animo mista d’ ambizione e di te
nerezza , in Marcantonio il cortigiano che ser
ve senza perder di vista il proprio interesse ,
in Cassio il republicano inesorabile , in Bruto
lo stoico feroce , che porta fin nell’esercizio
della virtù i pregiudizj della sua filosofia? _Nes
sana di queste cose , nè molt’altre ancora può
rappresentare la pantomima ; eppure ognun ve
de quanto essenziali siano esse all’ orditura di
O 4 quel
. ‘
\_.‘*-L._Aw «. _ V - -\ --\,_
. \.-" - ,\ _V ..,
\_ ‘ -‘ , _
216
quella tragedia , cosicché chiunque levarle di
mezzo volesse , verrebbe a tessere un insipido
canevaccio anziché un ordinato drammatico com
ponimento . Talmente avverrà in qualsivoglia
azione continuate che si prenda ad imitare dal
la Mimica, la quale non potendo per mancan
za intrinseca di mezzi proporzionati esporre agli
occhi la legatura degli oggetti fra loro , né il
risalto che acquistano dalla riflessione , altro
non farà che mutilare sconciamente i teatrali
componimenti, e rendere la propria imitazione
confusa inintelligibile oscura, e per conseguenza
non atta ad eccitare quell’ interesse che mai non
si genera senza la chiara percezion dell’ogget
to . Come farebbe uno scultore , che si credes
se d’aver maravigliosamente espresso Racine
per aver messo in una serie di gruppi alcune
ligure , ch’egli volesse far passare Per Tito ,
Berenice, ed Antioco , ma che altri collo stesso
diritto prender potrebbe per Ezio , Fulvia , e
Valentiniano .
Adoperando l’inventore dei balli uno stru
mento cosi difettoso come lo é una tragedia od
una commedia fatta coi soli gesti non é da ma
ravigliarsi che non possa manteher le promesse
. fat
217
fatte allo spettatore . E’ bensì da stupire ch’ ei
non conosca la difficoltà d’eseguire ciò che pro
mette , oppur conoscendolo , abbia il coraggio
d’accingersi a cosi malagevole impresa . Peg
gio per noi se cotesto sconsigliato ardimento ci.
costringe a non vedere se non mostri ed anim
mi sul teatro pantomimico . Per tali devono
stimarsi la maggior parte degli odierni balli che
ad eterna infamia di Tersicore, a perpetuo scor
no del coturno e del secco sulle degradate sce
ne italiane superbamente passeggiano . Balli ,
che niuna connessione avendo col dramma nè
pei genere , nè pell’ argomento , interrompono
quell’unità, ch’è la regola fondamentale d’ ogni
spettacolo , ne distruggon l' effetto generato in
’prima dal canto; mi trasportano violentemente
dal buffo al serio e dal patetico al buffo , e
quasi a colpi di verga incantata mi fanno all’
improvviso passare dalle sponde del Tevere do
ve condotto m’ aveva il poeta tra Romolo ed
Ersilia , o tra Clelia ed Orazio al castello di
Langres tra Eponnina , e Sabino coi loro figli
uoli; compagnia non per tanto, di cui non po
trei dolermi riflettendo a quella , che toccò in
sorte ad altri, che dall’isola di Lemno tra Is
sipi
118 ,
sipile, Giasone, e gli Argonauti si videro trae.
feriti dal pantomimo ai campi di Montiel in
I;pagna tra Don Quisciotte e Sancio Panza, tra
Rozzinante il più leale fra i cavalli eRuzio il
più mansueto fra i giumenti . (*) Balli dove
niuna convenienza si serba al paese, al grado ,
al luogo, e alla età dei personaggi, dove s’ at
teggiano nella stessa foggia il freddo Svedese e
1’ Asiatico voluttuoso, il severo Bruto e il leg
giadro Alcibiade, l’ attempata e dignitosa regi
na e la fanciulla vivace, dove non si mette ve
runa differenza tra chi danza nel proprio gabi
netto e che si diverte in sollazzevole compa
gnia , tra chi si trova oppresso da un amaro
cordoglio e chi s’ abbandona ad una spensierata
allegrezza . Balli, dove si fanno gambettare gli
Esseri meno a proposito traendo dal loro ritiro
i solitari e penitenti bramini, e persin dall’in
ferno i non troppo galanti nè troppo gesticola
tori demoni, dove non solo si da senso e vita
agli spettri (; lo che pur si concede ai pittori
ed
u»...
-__,_w'\\b«\-\'l\ V w»)... -" --‘ _( V
-1-_Mfl ;v__..___ h ___k _ «e i- r._ V_Va_ _\_
\
zz6
la composizione non sono minori quelli, che
nella esecuzione s’osservano. Privi per mancan
za d’ educazione e di studio d’ogni idea filosofi
ca dell’arte propria i ballerini non sanno distin
guere ciò che vuole una danza artifiziosa da ciò
che vorrebbe una facoltà imitativa, ma mischia
no l’una coll’ altra, e la confondono in guisa
che tu sei costretto a non Vedere che il danza
tore colà dove noncercavi che il pantomimo .
Ciò si scorge ora nell’adoperar che fannosl
spesso e senza verun discernimento il Ballo chia
mate alto dai facoltativi, il quale per ogni buo
na ragione dovrebbe dal teatro pantomimico on
ninamente sbendirsi siccome quello, che nulla
immitando , ed ogni muovitnento del corpo ad
una insignificante agilità riducendo, é inutile a
produrre qualunque buon effetto drammatico ;
ora negli atteggiamenti uniformi e consimili con
cui si presentano in iscena, cosicché in ogni
circostanza , in ogni situazione , in ogni carattere
ti si fanno avanti colla testa sempre alzata ad
un modo, colle braccia incurvate a foggia di
chi vorrebbe volare, coi talloni in aria sospesi,
o premendo il terreno leggierissimamente come
se Ninia, Ulisse, Idomeneo, Telemaco venisse
’ ro
f »_(f -‘
_-'_IÀ_ -..
2.27
ro allora da una sala da ballo dove pigliata aves
sero insieme lezione da uno stesso Maestro; ora
in quella smania di far ad ogni menoma occa
sione brillare le gambe quasichè in esse riposto
fossero l’ imitazione della natura e l’espressio
ne degli alfetti, e non piuttosto nei muovimen
ti delle altremembra, negli occhi e nella fisio-.
nomia lasciati per lo più da essi pressocchè ino.
perosi, e negletti. Non così la intende il loro
Capiscuola Noverre, il quale nella decima delle
sue lettere assai chiaramente e distintamente in
tuona loro all’orecchio: 5‘e vogliamo approssi.
mare l’arte nostra alla verità farebbe d’uopo
curarsi meno delle gambe, e darpiù attenzione
alle braccia; lasciar le cavrìuole per l’interes
se dei gesti: abbandonar {passi drflicili, e far
più conto della fisionomia: non mettere tanta
forgz nell’esecuzione, ma apportarvi più senso .'
discostarsi sen(’afl'ettagìone dalle strette regole
della scuola per seguitare gl’impulsi della na
sura; dare in fine al Ballo l’anima eil muo
'vimento, cbe deve avere per generare l’interes
se. Quindi è che gli eroi della favola o della
storia imitati dai ballerini fanno presso a poco
la stessa figura iche i personaggi d’ una tragedia
P 2 rap
2.28
rappresentata dai burattini, non comparendo me
no sconcio, né meno ridicolo agli occhi di chi
stima dirittamente un Vespasiano, per esem
pio, che vestito all’ eroica, e in maestoso palu
damento decide della vita di Sabino con una
cavriola od un mulinetto che un Augusto, il
quale perdona a Cinna col gesto e la voce di
Pulicinella: nè contrario è meno all’idea della
vera imitazione drammatica l’introdurre, per
esempio, Achille librandosi con artifiziosa pro
porzion d’equilibrio in un a solo sulla punta
d’un piede, poi girandolentamente coll’altro.,
e dandosi leggieri gentilissimi calci all’intorno
nell’atto che si trattadi liberar Ifigenia dal sa.
grifizio di quello che lo sia il far vedere Pila
de ed Oreste, che con un palmo e mezzo. di
statura vanno qua e là saltellando pella scena
guidati da segreti invisibili ordigni..
Questi ratiinamenti dell’ arte mal applicati
che travisano e sformano qualunque idea d’imi
tazione , hanno avuta nel Ballo la stessa origine
che nella musica. Perciò quanto s’è detto dell’
una è perfettamente applicabile all’altro. E sic
come abbiam veduto, che i vizi introdottisi
nella scienza armonica non altronde hanno avuto
prin
II 1% -
229
principio se non se dall’aver voluto i musici
primeggiare colla sveltezza della l0ro voce, o
de’loro strumenti senza curarsi punto della su
bordinazione comune, cosi il volerne ora i bal
lerini far pompa dell’ agilità della loro persona,
e della destrezza delle loro gambe ( nel che non
può negarsi che molti e bravi professori non
annoveri in oggi l’Italia ) senza badare alla ve
ra espressione degli affetti, quello è che ha ro
vinato la pant0mima. Al che s’ aggiunge come
un’ altra Causa il cercar di spiegare ad ogni
modo col mezzo de'gesti cose, che per le ra
gioni addotte di sopra non sono in verun mo-‘
do spiegabili; onde avviene, che i ballerini si
veggano costretti parte per impossibilità, e par
te per ignoranza adar ai loro atteggiamenti un
significato così strano, cosi capriccioso, cosi in
voluto che rimpetto ad esso diverrebono chiaris
simi i cinesi gieroglifici e la scienza simbolica
degli egiziani. Potrei ad evidenza dimostrare
quest’asserzi0ne prendendo a disamiuare le pri
ma pagine, a così dire, del dizionario balleri
nesco; (*) ma basti il fin qui detto per far com
P 3 pren
(‘) Molti e assai bene scelti esempi di ciò si pos_
sono
x -«S .._ “_.._.
ago
prendere al lettore che l’arte pantomimica, o
si riguardi la facoltà in se stessa , o si ponga
mente all’invenzione e all' esecuzione, lunghi dall’
essere stata condotta a quel segno di perfezio
ne, cui giunta pur la vorrebbono a’nostri tem
pi i suoi fautori, appena può dirsi che sia nel
la sua fanciullezza , della quale havvi ogni ap
parenza di credere che non sia per sortire così
presto.
Ma facciasi pure la supposizione che arriVi
'un giorno a perfezionarsi, converrebbe forse'ai
progressi del gusto lasciar che la Mimica regni
sulle scene dispoticamente , come fa ora , in
compagnia del dramma? Permettasi ai miei
giusti timori la dura sentenza che m’ispirano
essi. Se vogliamo conservare gli altri piaceri
più delicati e più gentili farebbe d’uopo "asso.
lutamente bandirnela . Il primo , e più imme.
diato effetto della pantomima sarà sempre quel.
lo di disgustarci d’ ogni altro spettacolo dram.
ma
"-\
' 232
fantasia idoleggia , il pensiero si spazia per en-'
tro alle delizie create da lui
, Pescia al desio le narra, e le descrive,
E ne fa le sue fiamme in lui più vive.
Questo complesso di cause, che producono qua
si sempre il loro effetto, siccome rende ragione
del trasporto che mostra il Pubblico perla pan
tomima, così ne porge fondati motivi di cre
dere, che ovunque sarà coltivata quest’ arte tor
rà infallibilmentc la mano alla tragedia , alla
commedia, al canto, e ad ogni altro spettaco
lo, che abbisogni di più dilicatezza a comparsi,
e di maggiore finezza acomprendersi. Bisogne
rebbe conoscere assai poco il sistema dei teatri
italiani per lusingarsi che possa altrimenti acca
dere . Il volgo ( e in questo nome comprendo
non la sola plebe , ma tutti coloro che nella
mancanza di coltura e di gusto s’ avvicinano ad
essa ) il volge , dico , è quello che regola gli
spettacoli, e della sorte loro imperiosament‘e
decide. Serve per tutt’altrove, ma nel teatro la
moltitudine è la sovrana. Come dunque si può
con qualche ragionevolezza aspettare da lei ’,
che diventi sobria di propria scelta e regolata
nell’uso de’ suoi piaceri? Che voglia preferirei
di
2‘33y
divertimenti men vivi e più.diflicili ad un al.
tra più piccante e più facile ? Che si procaccî
con una riflessione faticosa quel godimento , ch’
è sicura di conseguire in maggior dose in mez
zo alla disattenzione e alla spensieratezza? Ah,
che tale non è il pendio dell’ umana natura ,
nè tale l’esperienza costante di tutti i secoli !
Si faccia riflessione ai progressi sorprendenti del
la Mimica presso ai romani, e si vedrà non
solo il guasto che diede ai costumi, ma il dan
no che indi si derivò alla drammatica più giù.
diziosa, cosicché a misura che venne crescendo
il regno de’pantomimi disparve affatto dalle
scene latine quello dei buoni poeti . S’attcnda
al piede che va ora pigliando in Italia , e se
v’ha qualcheduno che a5sistito si creda dapro.
fetico spirito, mi dica di grazia cosa debba as
pettarsi , o temersi dalla sua pericolosa influen
za.
Nulladimeno la sua totale proscrizione po.
trebbe sembrar troppo rigorosa a più d’uno de’
miei lettori. Ned io contrasterò, che atteso lo
stato attuale degli Spettacoli in Italia , dove
la mancanza di ragionevolezza nel tutto rende
pressocchè necessario un qualunque compensa, e
ai
254
attesa l’indole degli spettatori , cioè di que’si
bariti in materia di gusto, che vogliono il go
dimento senza la fatica di ricercarlo , e che a
mano la diversità nei, piaceri perchè.si confà
colla loro intolleranza, l’esiliare affatto la pan
tomima, dal melodramma sarebbe lo stesso che
togliere un diletto di più senza rimediare alle
altre sconVenenze che vi s’ osservano . Però se
si vuol lasciare si lasci , ma in guisa tale che
punto non nuoce all’effetto del dramma spez
zandolo e dividendolo negl’ interatti , donde
pei sovraccennati riflessi la vorrei esclusa irre
missibilmente. So, che mi s’opporrà in contra
rio l’usanza, ma io ho avvezzato, tanto i miei
lettori a non regolare i loro giudizi sull’esem
pio di essa , che un’ autorità di più non avreb
be oramai a generare in loro un effetto diver
so da quello che una scomunica del Multi pro.
durebbe su un controversista romano . Dovreb
be soltanto la pantomima aver luogo terminato
che fosse il dramma , e se questo sarà troppo
lugubre e tragico, il Ballo , che vi s’introdu
ce , potrebbe convenevolmente essere d’ un ge
nere,diverso; dal che ne risulterebbero non po
chi vantaggi . Il primo di temperate la troppo
for
_"-‘t__
. 2‘35
forte impressione di in'estizi‘a che lasciata aves
ser nell’animo dello spettatore i tuoni imitati
vi della musica. Il secondo di non iscemar nell’
atto della rappresentazione l’interesse prodotto
dalla continuità dell’azione. Il terzo di schivar
il difetto della trasposizione di Scena nel tem
po che si suppone esistere ancora quella del
dramma, difetto che rinuóva in certo modosni
teatro il miracolo della biloca<îon'e . Il quarto
vantaggio si èdi poter rappresentare colla pan
tomima qualunque argomento senza discapitare
nel buon senso; perocchè allora si suppone che
sia essa non un intermezzo ma uno spettacolo
nuovo , il quale non è obbligato ad averne ve
run riguardo , veruna relazione col primo.
Ma come riempiere allora ( m’ obbietterà ta
luno ) lo spazio di tempo' che resta tra un at
to e l’altro del dramma? Nel modo stesso che
suol riempirsi nella tragedia anzi più acconcia
mente . Il dramma musicale è una spezie di
libro scritto nel linguaggio de’ suoni, e però fa
d’uopo conservare dappertutto lo stesso idio
ma . La musica strumentale dee non per tanto
seguitar a parlare nel silenzio degl’ interatti
mantenendo nel cuore degli spettatori le dispo
si
136
sizioni che vi lasciò l' ultima Scena , preparam
doli a gustare i sentimenti che verranno dopo,
e mettendo in tal modo una connessione ,- un
vincolotra tutte le parti dello spettacolo. Co.
stume, che riesce quivi assai meglio adattato e
più naturale che nella tragedia o nella comma
dia recitata , perocchè nel dramma si mantiene
così facendo l’ipotesi ammessa fin dal pri‘nci‘
pio , ma negli altri componimenti , (essendovi
soltanto ammessa la convenzione di parlare e
non quella di suonare, il sentir poi gli strumen
ti che fanno in certo modo da interlocutori ,'<
non va disgiunto dal sospetto di piccola eresia
in materia di gusto. Così quando dopo le vive:
agitazioni di Seid e di Palmira , che tanto m’
aveano intenerito alla fine dell’Atto quarto del
Maometto, sento all’improviso la prima arcata
dei violini , parmi che questi vogliano rasciu
gar le mie lagrime dicendomi: Non istaze a
creder niente; Non è altro che una traduzione
dell’ vlbbate Cesaram' .
CA
137
CAPITOLO DECÎMOSETTIMO
ED ULTIMO
4 f._x‘_i_l
239
stimabili produzioni, e per lo studio, che at-’
tualmente vi pone nell’arricchirla di scelte ed
opportune notizie. Per ciò che riguarda il se‘
condo argomento vi sarà luogo a più ampia.
mente e più di proposito dilucidarlo in un’ al
tro Libro di cui nella nota qui apposta trove
rà per ora il Lettore una brevissima idea (a).
Altro
.M.a‘ \ KkafiW-_w .
z z
suddîtta lettera divenuta rarissima anche in Fran«
eia ho creduto di non poter meglio terminare
1’ opera mia intorno al teatro musicale, che
dandola tradotta a’ lettori italiani , e corredata
con alcune mie note a maggior illustrazione
dell’ argomento . Al vantaggio non mediocre ,
che gli amatori illuminati di siffatte materie
potranno cavare da tal lettura s’ aggiunge ancora
un conforto non debole per il mio amor proprio
quello cioè di trovare gran parte di quelle idee
sparse nella mia opera, che da alcuni imperiti
sono state riputate insussistenti, avvalorate dall’
autorità d’ uno Scrittore non meno rispettabile
per la sua filosofia che per la sua critica, e
la sua erudizione.
Let
’I A . ,V_ '..'__ \ >.
243
Lettera sopra la Musica indiri;q_ata al Sig. C0:
di Gay/u: e stampata l’ anno 1754..
SIGNORE
' t 1' f.
ti nella guisa stessa ch’ essi conobbero la bella
Natura. Io non riguardo adunque la Musica ,
se non come un’ arte imitativa ricercando e
mettendo dinanzi agli occhi i mezzi, ch’ella
pone in opera per riuscire acconciamente in ta
le imitazione. E a fine di procedere col mi
glior metodo, che per me si potrà nella lette
ra che mi dò l’onore d’indirizzarvi, io mi fa
rò imprima a scomporre la Musica , e ne esa
minerò in seguito separatamente le parti prin
cipali cioè il ritmo, la melodia, e l’ armonia.
Non già ch’ io adotti questa divisione nell'0pe
ra mia. Nò, mio Signore, ein è impossibile
il ridurre tutte le parti di essa a questi capi
generali. Dopo molti, e molti riflessi mi sono
anzi avvisato, che non potrei trattarla felice
mente se non se dividendola per capitoli, giu
sta l’esempio delle istituzioni oratorie di Quin
tiliano.
Gli antichi consideravano il ritmo come la
ptincipal parte della Musica. Qui non cade in
acconcio l’ esporvi , o Signore,pi differenti signi
ficati, che gli Autori più antichi, e que’de’se
coli posteriori attaccavano a siffatta parola. Al
lorché noi sappiamo indubitatamente che la Mu
sica
z47
sica loro era rigorommente soggetta alla quan
tità, d’altro non abbiam d’uopo che di por
mente al meccanismo della loro poesia per fis
sare insieme l’importante, e vera forza di tal
termine. E di ciò appunto io ne feci serio esa
me. A tutti è noto che il più bello, e più
squisito artificio della versificazione greca e la
tina consisteva nella combinazione delle sillabe
brevi, e lunghe. E‘ palese ancora che le paro
le atte a formare la misura propria di ciascuna
spezie di versi furono chiamate piedi o numeri
secondo il maggior o minor numero di sillabe,
di che eran composti. Ii grammatici , i retori,
44
:": 1’": "‘
249
riporta, che iLacedemoni correano animosi al-'
la zufi'a, allorché i loro bellici strumenti face
vano sentire 1’ anapeno ,- e di fatti mercè la
veemenza e 1’ impeto di questo piede Tirteo
riaccese nein animi loro il valor guerriero, che
da molte reiterate perdite era quasi spento del
tutto. I nostri artisti se ne prevalgono ogno.
te ne’ canti bellicosi, e il Signor Rameau, beh.
che non avesse posto giammai attenzione al
passo di Valerio Massimo, pure m’ha confessa
to egli stesso, che fa toccar di continuo l’ana
pesto in quelle sinfonie, dove cerca di espri
mere, imitandolo, il canto sublime, e vigoro
so di Tirtco. Il giamóo è vivo e pieno di fuo
co , ed ha quindi il primo luogo ne’ soggetti
ardenti, ed appassionati. Lo stesso m’è venuto
fatto d’osservare in tutti gli altri piedi da«ml
indicati, ed ho ravvisato con piacere ( e mero
l’hanno parimenti ravvisato i più dotti Artisti,
e gli amatori dell’arte, ai quali comunicai le
mie
\ \
‘_-fp:-_ ; __., 7‘
251
più,0 meno lento de’medesimi piedi io ho at
tribuita la principal cagioiie dell’estrema varie
tà, e dell’irregolarità frequente del ritmo della
Musica antica. Io non poteva far conoscere a
nostri musici tutti i mezzi che il ritmo ap
presta per l’imitazione, nè poteva tampoco in
dicare la corrispondenza delle misure impiegate
dagli antichi con quelle, onde noi ci’ servi‘a‘î‘
mo, senza metter in chiaro lume questa parte
della loro musica; onde mi sono inoltrato con
tanto più impegno quanto più sapeva null'a‘ es;
sersi scritto finora di concludente su tale pro
posito, e M. Burette medesimo essere malgra-y
do la sua perspicacità, el’estesa sua erudizione
incorso in grandissimi abbain .‘ Nè mi dimen
ticherò di riflettere che ogni sorta di misura ha
l’energia sua propria, e che sifl'atte energie non
ponno trasferirsi, scomporsi, o simplificarsi , ove
non se ne alteri 1’ espressione. Del che tenterò
accuratamente di spiegar le ragioni, e sopra tut
to d’ avvalorarle coin esempi onde sieno me
glio intese ;. giacchè- molte di tali sensazioni si
devono collocare nel novero di quelle percezio
ni indistinte, che noi proviamo spesso senza
poterle valutare, e quasi senza conoscerle. La
Mu
25:.
Musica dice, M. Leibnizio’, (a) non è a mol.
ti riguardi che un calcolo oscuro e secreto, che
l’anima fa senza esserne consapevole Da
,-'A 15 _ __ N l
__À\ 4
257
to conto che si lagna forte , perché la lingua
latina non ne sia abbastanza doviziosa. La no
stra ci fornisce pur troppo pochissimi esempj .
Porrò fine facendo di passaggio un qualche mot-
to della lunga controversia, che durò si lungo
tempo tra gli Eruditi, 6 Che non può ancora
dirsi spenta intorno alla natura degli accenti.
Isaacco Vossio, e il Padre Montfaucon furono
di parere, che non si potesse riflettere a questi
nella pronunzia senza distruggere l’armonia del
verso. Cosiffatti segni, l’ istituzione de’ quali
è posteriore d’ assai alla bella età della lingua
greca, non furono inventati se non per fissare
i suoni di questo linguaggio veramente musi
cale in occasione che gli stranieri erano avidi
d’ impararlo considerandolo come il primo pas
so inverso la scienza e la coltura, - e non già
per alterare la quantità delle sillabe, a cui era
no apposti. Puossi pronunziare, e si pronunzia
di fatti ognora una sillaba più alta e più bassa,
senza che v’ entri per niente la sua quantità ,
ed io non capisco il perché la maggior parte
degli Eruditi s’ ostinano a slungare una sillaba,
che sarà breve di sua natura , ove unicamente
sarà segnata con accento acuto; gli è questo
TOM. III. R un’
/,-’
Mimfxqu-fl-‘v
258
un’ opporsi tutto ad un tratto al sentimento,
ed alla ragione distruggendo la bellezza princi
pale, e l’artifizio il più felice della greca ver
sificazione. Per quanto siasi beffato il celebre
Erasmo dei sapienti del suo secolo (a), i qua
li confondendo in tal guisa i suoni coi tempi
s’erano dichiarati in favore di questa difettosa
pronuncia, ad ogni modo essi hanno avuto de’
successori, coi quali vengo alle prese , e op
ponga loro delle ragioni invincibili, e senza
replica cavate dalla cognizione della musica.
Oltracciò le riflessioni da me fatte sopra il rit
mo; m’hanno naturalmente portato a dedurne
delle altre intorno al meccanismo delle lingue,
al loro genio, e al loro carattere. Avvegnac
chè vi sieno dei filosofi , i quali sostengono ,
che parlando a rigore non avvi lingua alcuna ,
che possa dirsi superiore ad ogni altra, e che
le diverse qualità degli idiomi essendo puramen
te
,fiem»a...\,-»:.W
‘ -:f
260
Il sembra, che renderli dovesse non i distrug'
gitori, ma i sostenitori del decoro delle arti,
e delle scienze. S’ è già posto in obblio avere
la Tragedia un diletto proprio di essa , e non
comunicabile agli altri generi, come più non si
pensa che il ridicolo è l’ anima e il fondamen
to della Commedia (a) . Noi ci promettiamo de’
nuovi e più squisiti piaceri allor che ne infet
tiamo le sorgenti, e ne confondiamo la diver
sa natura. Quello che parla all’imaginazione,
che ne ricrea lo spirito, e lo sorprende, quello
che porta seco un certo carattere di novità, e
di singolarità è accolto egustato con trasporto ,
e quasi direi con delirio . Ma basta egli che piac
cia una cosa, perché debba essere accolta, ed ap
plaudita? E non fa egli d’uopo, che il piace
re, che se ne ritragge, conciliar si debba colla
ragione? Altrimenti cosa diremo a coloro, che
preferiranno 1’ archittetura de’ Goti, e de Bar
bari, a quella de’Greci, e de’ Romani, il poe
ma di Lucano a quello di Virgilio, e le Tra
86'
- -
2_64
rato, ove’ si voglia trasportarlo ad un’altra ge'4
nere quanto resterebbe un’ opera di gusto trasf'
ferita da una in un’altra lingua . Di ciò non
può dubitarsi in verun conto. Si: ogni modo,
o modulazione ha la sua energia, la sua pro
prietà ; ed è talmente vera questa proposizio
ne che non havvi suono il quale ne sia pri
vo . E se i musici si mostreranno ritrosi nell’
accordarmela , io dimanderò a loro, donde na’
sca , ch’ essi tutti spinti da un senso interiore
impieghino i re maggiore ne’ canti romorosi, e
l>ellicosi, l’ut minore ne’soggetti teneri e la
mcntcvoli , e il fa minore nelle cantilene tette ,
e lugubri? Or io esorto appunto i nostri com'
positori a non confondere le proprietà dc’ modi
da loro impiegati, a rintracciarne quelli ch’cssi
trascurano , e a porli in opera acconciamente.
Per riuscirvi non si avrebbe mestieri che di
prescrivere un tuono, e di fissarlo per tutti i
concerti dell’Europa. Tal mezzo non potrebbe
essere più semplice, e più vantaggioso insieme.
In cotal guisa ci verrebbe fatto di comprender
lo spirito, e la verità dei diversi componimen
ti, che dovrebbono eseguirsi; inostri organi
acquistarcbbero un’ aggiustatezza più decisiva e
co
’
-_-(<
À'“Èi“ciî'vfe_f_f -w?' r "’ '
265
costante, e la nostra perspicacia in distinguere,
e separare la natura d’ogni modo s’ adoperereb
be con maggiore avvedutezza, e con sicurezza
maggiore. Potremmo eziandio comparare allora
i nostri tuoni con quelli degli antichi, e venir
ne a capo, avv<rgnacchè io non possa convenire
con M. Vallis, il quale pensa che il nostro
vf- mi-la minore risponda al modo Dorico af
faccehdosi assai poco la gagliardia , e la mae
stà , che attribuivano a questo modo gli anti
chi, alla molle dolcezza del nostro vf- mi-la.
Del resto s’ io rivolgo il pensiero alla severità
della musica antica, non perciò pretendo di ri
stabilirla; voglio bensì che il musico conduca
un medesimo soggetto per diverse modulazioni,
purché queste rendano più interessante , e più
forte l’espressione, e che innanzi ad ogni altra
cosa abbia egli in vista (1’ afferrare quella giu
sta ed adeguata misura, fuor della quale fuggo
no, e a così dir, si dileguano tutte le bellezze
di quest’arte. Quanti pezzi sublimi non lan
guiscono e non restano impiccioliti o per isre‘
golatezza di fantasia, o per la smania di mo
strare spirito e profondità! L’imitazione è un
solo tratto, un punto, a così dire , ove l’ arte
e la
>K*fl
266
e la natura si uniscono, e si prestano vicende
volmente abbellimento, ed ajuto. Ben avventu
rato l’artista, che sa coglierlol E più felice
ancora colui, che dopo aver toccato il segno ,
non lo lascia smarrire di nuovo!
La melodia è un campo feracissimo di osser.
vazioni, ma io non farò che sbozzarne i prin
cipali caratteri. Definisco la melodia in gene.
rale, o quello che noi chiamiamo un bel canto
una tessitura di suoni omogenei e proporziona
ti, che hanno un intimo legame fra loro, e
eh’ esistono in qualche guisa da se . E
siccome giusta 1’ osservazione de’ veri filosofi
il canto in ogni lingua debbe essere si vario ,‘
come lo è l’accento naturale, (poichè altrimen
ti ciò, ch’esprimerebbe bene una passione inùna
lingua, la esprimerebbe male in un’altra) così
io soggiungo che codesti suoni debbono essere
conformi a quelli, di cui abbonda il linguaggio
della nazione. Distinguo la melodia libera da
quella che non lo è. La melodia libera, la
strumentale a modo d’esempio può scorrere a
suo grado per tutte le idee musicali che si vor
f2000, 6' Per quanto vaga e indeterminata sia
la sua espressione, purché riesca grata ed unifor
me
>v“W
k_<,,'
. ...M-‘ ‘
267
me al gusto generale ella ne ha sortito l'intem
te. Non avviene lo stesso della melodia obbli
gata , o vocale . Abbia questa tutte le bellezze
e lo ricchezze possibili, pure può essere difet
tosa oltre modo; e di fatii lo è sovente. Im
perocchè essendo una seconda espressione de'sem
timenti, e delle imagini, che si ricercano, essa
non debbe essere toccante, viva, allegra, ma. _
ninconica, dolce, e terribile, se non quanto lo
permettono le parole Onde può rilevarsi a
qual segno monti a nostri compositori il fare
uno studio serio, e profondo non solo delle dif
ferenti proprietà de movimenti, ede’ modi, ma
ancora di quelli de’ suoni; studio che gli Anti
chi aveano molto a cuore, e che caldamente
raccomandavano ai principianti, Come la parte
del
, ._,-”‘ _ H*-fi=rflffl
fa. e“. A.
269
stri più rinomati autori . Poscia mi rivolgo
al canto italiano, il quale giusta la definizione
per me data innanzi della melodia, e giusta
le osservazioni, ch’io farò su d’ esso trattando
dell’analogia del canto colle lingue , debbe così
ditferir dal nostro, come l’accento, le infles
sioni, il meccanismo della lingua, e i costumi
degli Italiani differiscono dalla prosodia, dai
costumi, e dal genio de’Francesi. Potrò acan
fronto ciò, ch’han detto della musica italiana
alcuni personaggi ragguardevoli per la varietà
e l’ampiezza delle loro cognizioni, con quello,
che ne han (pensato i più grand’uomini dell’
Italia, (a) e tenterò in fine di scoprire le ca
gioni della sua seduzione, e della sua magia,
mostrando, che la monotonia di cui noi 1‘ in
colpiamo deriva meno dall’uniformità dei trat
ti, delle combinazioni, e dei riposi del nostro
canto che dall’ uniformità del suo andamento.
Soggiugnerò che le forme del canto Italiano non
sono
_ ’ Î-:VA_.-_‘M
7 _ ._ -\,*_,_,S\«>_--v_
z z
ovurique lo'. ritrow. A me piace fuor di modo
la musica italiana ,.' ma non perciò voglio rassomi
gliare a quegli amanti appassionati che adorano
fino i difetti delle loro Belle (a). I dotti i più
giudiziosi, e; più illuminati dell' Italia traveg
gono de’ difetti, e de’vizj nella lor musica, e
perché dunque ci faremo noi coscienza di esser.
varli, entrando nel medesimo loro sentimento?
Del resto, perché la poesia italiana è dotata
d’ un’ arditezza maggiore, pérchè ha più di spi
rito e di brio che non la nostra, perché abbon
da di tuoni più felici fa d’uopo perciò avvili
re la poesia francese? Ma a miglior agio riser
biamo cotale riflessione, e vegniamo intanto
all’ armonia .
Il maggior numero dei dotti, che hanno pe
netrato più addentro in questa parte della mu-s
sica, vuol concordemente, che fosse sconosciuta
agli
(4) Lo stimato Aurore d’ un Giornal periodico,
Che si stampa a Parigi, parlando dell’ Opera Italia
na chiama la sua Mnsica seducente e magica . Que
sto mi ricorda il passaggio d’un Antico. Unumquod
qua gemu , cum castè, pudicèque ornatur, fir illu
Jtriu: , aum funtur, argue prelfnitur , fir presti
giamm .
273
agli antichi. Il Signor Burette fra‘ gli altri ha
esposta quest’opinione con un’ erudizione così
profonda , che parve non lasciar più adito alcu-_
no a chi volesse sostenere il sentimento oppo
sto; ma per quanto rispetto io porti alla me
moria di questo sapiente Accademico non pos
so aderire ciecamente al giudizio di lui. Ho
letto le opere sue colla possibile attenzione , e
in mezzo al grande apparato di dottrina, onde
avviluppa, e involge i suoi pensamenti v’ ho
tuttavia rilevato delle dubbiezze, delle oscuri
tà, delle contraddizioni, edein sbagli. Ardisco
adunque di ravvivare la disputa, che sembrava
conchiusa da lui, e reco a prò dell’opinion
mia una folla di passaggi, dai quali sfido chiun.
que a trarne un senso favorevole ove non
suppongasi la cognizione , e l’uso dell’ armonia
presso agli Antichi. Io convengo nientcdime
no, che le nostre idee su tale proposito sieno
di gran lunga superiori alle loro cognizioni.
L’arte delle fughe, delle imitazioni, dei dise
gni opposti e in contrasto fra loro, quel con
corso di dissonanze, quelle ardite combinazio.
ni , tutto era ad essa nascosto: ma queste ric
chezze, che stan così bene che nulla più alla
IOM, III. S mu
174
musica istrumentale, non convengono per nico.
te alla vocale. Io distinguerò i luoghi, di cui
l’uso savio, e moderato reca nuovo abbelli
mento, e nuovo vigore all’espressione, da quel
li, che non servono ad altro che a proccac
ciar fama di scienziato al compositore . Cercherò
di render note le particolari energie degli ac
cordi risguardati dalla parte delle proporzioni,
e non già relativamente ad alcun oggetto. Pas
serò in appresso all’armonia di situazione ov
vero sia di carattere, e la ravviserò come quel
la corrispondenza di mezzi, che adoprano tutte
le arti imitatrici cogli oggetti, che devono da
loro imitarsi. In tali circostanze i suoni meno
atti ad unirsi insieme, gli accordi i più dispa
faîii 6 più aspri si cangiano in altrettante bel
lezze squisite, esublimi. Di tal maniera i
piaceri dello spirito, e‘ della ragione devono
preferirsi a quelli de’ sensi . Io parlerò poscia
delle più intime squisitezze dell’ armonia, e di
tutti i mezzi, ch’essa ci offre per l’ imitazione.
OsserVerò sopra tutto , quanta diligenza visi
debbe prestare per non esporsi a quelle gra
tuite ripetizioni , che il senso delle parO
le non vorrebbe, e che s’ adottano soltanto pel
' - bi
-=.‘ fl__ .
275
bisogno di'aflerrar di nuovo le prime modula
zioni. f
Dopo che vi ho accennati, oSignore, e svi
luppati, per quanto ad un Estratto si conviene,
i mezzi, onde si prevale la Musica per giu
gnere al suo scopo, ch’è l’imitazione, vengo
al più importante oggetto dell’opera mia, ch’è
l’imitazione medesima. Questa si rappresenta
alla mia mente come il principio universale di
tutte le belle arti, la cui natura, e le cui pro
prietà non potrebbero alterarsi per quanto fos
sero differenti fra loro i mezzi, e lo strumen
to, e le vie prese da ciascuna delle arti per
riuscirvi. lo fa qualche motto in appresso del
mezzo principale, onde si valeva la‘poesia an
tica a compiere la sua imitazione. Essa giu
sta il parere dell’ Ab. Fraguier otteneva ciò mer
cè quella misura invariabile composta di diffe;
reati parole, la modulazion delle quali varia
vasi all’infinito. Ma come qgest’ illustre Acca
demico s’era egli dimenticato , che Platone , e
Aristotile non han giammai dichiarato. essenzia
le al poema il verso? Tali altri fondano l’es
senza della poesia nell’ entusiasmo, ma (parlia
mo di buona fede) 1’ entusiasmo e egli mai il
S 2. ca
-,_ -.--.. -« f
276
carattere esclusivo della poesia? Si rinviene egli
mai presso agli antichi la menoma prova, la
più picciola conghiettura di siffatta opinione?
Essi ci rendono consapevuli all’opposto, che
l’opete di Empedocle, di Parmenide, di Ni
candro , e di Teognide, comecchè fossero scrit«
te in versi, pure non furono giammai compre
se nel numero‘de’ poemi, non perchè loro man.
cava l’entusiasmo, ma perchè era da loto sban
dita la finzione. Ein è non pertanto indubita
bile, che col mezzo della finzione, e della f3n|
volala poesia antica formava la principal sua:
imitazione, ed è perciò che gli Antichi l’han
no mai sempre risguardata come l’ essenza del
la poesia (a). .
Coloro , che non abbracciano siffatta opinio
ne ricorrono all’ autorità de’Latini , ma non
s’ avveggono, che questi non aveano, e non
do- -
_4_
. 277
do'veano aver nemmeno della poesia la medesi
ma idea che i Greci , i pbeti de’ quali furono
i primi teologi, i primi legislatori , ned al
tro fecero che comunicare alla loro Nazione la
sapienza, ch’ essi ritraevano dagli Egiziani uni.
ta alla maniera di metterla in opera. I più de
gli autori moderni, che han trattato di tale
materia,’anzicchè svilupparla, e rischiararla l‘
hanno involta in maggiori tenebre, e confusio
ne; lo che nacque dal non avere studiata accu
ratamente l’origine, e il genio della poesia an
tica. La semplice filologia non giugnerebbe
mai a dilucidare queste materie. Siccome essa
non sipropone che di cucire , e tessere insie
me de’ testi separati capevoli di varie interpre
tazioni, sui quali può ognuno prolì’erire il pro
prio giudizio; cosi d’ordinario non fa, che mol
tiplicare inutilmente i trattati, e i sistemi. IO
bo voluto tanto più applicarmi all’esame di
questa parte quanto più vedeva l’affinità di es
sa col mio soggetto , sendochè il canto era in
separabile dalla poesia degli Antichi, -appo i
quali l’arte di comporre in versi era secondo
1’ Abate Vatry l’arte d’ unire delle parole ac
concie ad essere Cantate, com’io proverollo più
5 3 a lun
278
a. lungo parlando dellaloro declamazi0ne. Quinî
di'iò ritorno ai mezzi, che la musica adopera
per imitare , e dopo averli esaminati separata;
traente, osservo come tutti insieme concorrono
a formare una buona imitazione. Vengo in ap:
presso alle imitazioni particolari, e subordina-'
te,’ ch’io divido seguendo l’ esempio di Plato
ne in icastiche e fantastiche. Chiamo îcartirbe,
o similitudinarie quelle che hanno per oggetto
le cose non adatte alla fantasia, e tutti gli es-‘
seri fisici; chiamo fdntdsticlre quelle, che rap
presentano gli esseri morali e le idee della ima
ginazione, che non hanno una certa, e deter
minata corrispondenza cogli oggetti esterni . Met
to in vista tutta l’indecenza, ela scurrilità del
le imitazioni istrioniche. La migliore imitazio
ne, dice Aristotile, è la più semplice, e la
meno semplice è quella senza dubbio, che vuol
tutto imitare. Vò scorrendo tutti i tropi, tut
te le figure, onde si serve la musica del pari
che l’eloquenza a piacere, commovere, e per
suadere; parlo de’ suoi dialoghi, e delle sue ri
fleSSioni, e mi sforzo di svelare infinite sue
bellezze parando innanzi l’analogia che hanno
coi fenomeni, che ci stanno intorno: paragone
le
-
279
le nostre Opere in musica con le Tragedie an
tiche, e quinci, ne traggo molte cose nuove ac.
concie a riordinare la forma de’ nostri drammi
lirici, che di tutti i drammi sono certamente
i più imperfetti, non essendo per lo più che
una serie d’episodj staccati fra loro senza verun
bisogno, e senza veruna verosimiglianza. Esor
to i poeti a sbandir da loro quel pregiudizio ,
a cui ha dato origine la debolezza del maggior
numero de musici, imperocchè se la Musica
ha potuto accompagnare le Tragedie d’Eschilo,
e di Sofocle, può senza dubbio maneggiar an
cora gli argomenti tragici, grandi, e regolari.
Ep_appunto io lo accorti i nostri compositori,
come ciò verrebbe lor fatto, se essi s’ avezzas.
sera a cogliere per tal modo il carattere prin
cipale de’ poemi che ponessero mente alle par-_
ti senza trascurare il tutto, se afl'rettasscro la
declamazion delle scene fermandosi meno sull’
arie , e sopra tutto se rivolgessero la sinfonia
al suo vero fine, ch’è d’ accompagnare di so;
stenere, e non di dominare pervertendo il sen
so delle parole (*) . Conchiudo alfine osservan
S 4 do
.:
;àr;f}
231‘
lo d’ una provincia, nel solitario gabinetto e nel
silenzio che accompagna la riflessione . Amico
dell’ oscurità, il cui soave riposo m’è sembrato
mai sempre più caro che non il fasto pieno d’
m
_Vr,‘vk -._
;81
inquietezze, e, di nojosi fastidi, io non cantai,
al_dir d’un antico, che per me, e «per le Mu
se._Del resto se da un canto lo zelo dell’avan,
zamento delle arti m’ incoraggiava talvolta, il
sen
_’:_J »___' - ‘
OSSERVAZIONI
Intorno ad un Estratto del Tomo z.° del‘
la prefi’nte Opera inferito nel Giornale
Enciclopedico di Bologna N. XIII. del
Mqfi: d’Aprile del corrente firmo .
Il Sig- Vincenzo Manfredini Maestro di musi
ca unode’compilatori del Giornale Enciclo
pedico di Bologna ha fatto varie opposizio
.ni a due capitoli del secondo Tomo della
presente Opera. Mi è sembrato, che l’esa
minarle potrebbe contribuire a maggiormen
te rischiarare alcune mie idee intorno alla
Musica , il Teatro, e le Lettere. Ecco il
perché ho creduto bene di rispondergli . Avrei
nello stesso modo risposto ad altri miei
Critici, se facendolo avessi potuto sperare,
che la fatica restasse compensata dall’ utile.
287
GIORNALISTA.
RISPOSTA.
GIORNALISTA.
\\_
R ISPOSTA .
" Gli errori e le falsità, che il giornalista sa
prà scoprire nel mio libro , e le risposte, che
da me gli verranno date, faranno vedere la
giustezza o l’insussistenza di quest’ asserzione .
l
’ GIORNALISTA.
' l__
P4>w 'r’\>v“rraîì ‘ '°" _'_“
290
dello stato presente dell’arte musica , cb’ è trat
tata da molti, ma conosciuta da Pochi.
RISPOSTA.
/
, J'__Wal_-:*wyr 7y4 ‘
2.9t
deva avere in testa la dialettica d’ un Loke,
o lo spirito geometrico d’un d’Alembert. '
GIORNAIJSTA.
Pretende in primo luogo il J‘ig. theaga,
che l’opera Italiana sia ora in decadenga: di
addurre i motivi di ciò, e di fare ilparallelo
della nostra musica con quelladei Greci. Ma
Dio buono! come può mai paragonarsi una cosa
evidente, qual è la nostra musica, con una
che non si vede, qual è la musica Greca, cbe
ora esiste solameate nella testa orgogliosa degli
eruditi, e che realmente non sappiamo cosa el
la si fosse?
satsrosra.
La ragione, con cui l’Estrattista vorrebbe
provare l’ impossibilità del paragone fra le due
musiche, è affatto puerilc. La Roma d’ oggidl
è una cosa evidente, la Roma dei tempi di
Traiano non si vede, dunque non può parago.
narsi Roma antica con la moderna? La legisla
zione degli Spartani non si vede più, quella
de’ Viniziani è sotto gli occhi, dunque non po
trà paragonarsi la Politica di Licurgo con quel
T 2. la
292
la del Governo Veneto? Ciò sarebbe lo Stesso,"
che levare ogni sua influenza alla Storia, ogni
sua forza alle prove critiche, e morali. Ma
non sappiamo cosa fosse la musica greca. Ciò
è vero fino a certo punto, non è vero assolu
tamente. Siamo all’oscuro intorno alla natura
intrinseca dell’armonia , ma non lo siamo in
torno al fine, intorno a più d’uno de’ mezzi,
ond’ ella si prevaleva, e intorno agli effetti,
che venivano prodotti. Un’intero dialogo degno
dell’Autore, che ancor ci rimane fra le Opere
di Plutarco, molte notizie tratte da Eliano, da
Aristotile, da Pausania , da Ateneo , da Platone,
da Boezio , e da Suida, più d’ un raggio di
teorica, e d’ istorica luce, che tratto tratto ri
splende negli scrittori greci di musica tradotti
dal Meibomio, e dal Wallis ci ponno servire
di guida per inoltrarci quanto basta nella ricer
ca di questo ramo delle greche cognizioni.
Quindi è, che si può istituire fra le due mu
siche un parallelo ragionevolissimo. La nostra
ignoranza circa le loro teorie musicali farà, che
non si possano comparare a priori, cioè esami.
nando i principj, sui quali è appoggiato l’uno,
e l’altro dei sistemi; ma non toglierà mai,
che
e __._-_“t‘_*'vg-h 7 4’ A
293
che si possano mettere in confronto aposteriari
cioè argomentando dagli effetti, che produceva
l’una , e che non sono stati mai generati dall'
altra. Di fatti il paragone è stato più volte
istituito da uorr‘iini niente meno eruditi, esen- ’
sati, che Vincenzo Galilei ne’suoi Dialoghi tul
la musica antica, Giambattista Doni nei libri
de praxtantù musica veteris, Isaacco Vossio
nel ragionamento de poemotum canta 0‘ viri.
bus R;mm', Monsieur Burette in più disserta
zioni inserite nelle Memorie del-1’ Accademia di
Parigi, Fra Giambattista Martini nella Disser
tazione che chiude il terzo Torno della sua sto
ria della Musica, 1’ Abate Arnaud nella Dis
sertazione intorno agli accenti della lingua gre
ca, e cent’ altri.
GIORNALISTA.
Egli a:.reri.rce, che la musica, e la poesia
presso i Greci erano oggetti di somma impor
tanza, quando adesso si considerano al più,
come un’occupazione dilettevole bensì, ma sem
pre inutile al bene degliJ‘tatz'. Egli èew'den
te però che nella .rte:.ro modo dei Greci consì->
deriam0 ancor noj la Poesia, e la musica; men
‘-"' T 3 tre
2‘94
tre ce ne serviamo eom’essi nei templi, nei
teatri, nelle case. . . e la stessa stima cb’eb
bere iGrcci, dei drammi l’abbiamo anche noi.
RISPOSTA.
E‘ cosa evidente per l’incomparabile estratti
sta, che noi abbiamo della musica, della poe
sia, e delle rappresentazioni teatrali le stesse
idee, che avevano gli antichi. Una tale eviden
za si trova però essere falsirsima svolgendo an
che leggermente le loro storie . Bisogna vivere
in una profonda ignoranza dell’ antichità per non
sapere, che la poesia, la musica, e gli spetta<
coli furono per molti secoli considerati dai gre
ci, e dai latirii come oggetti di politica , e di
religione. Sarebbe opera troppo lunga il trat
tenersi a render la ragione filosofica di questa
generale, e 'incontrastabile usanza, intorno alla
. quale non poche cose abbiam dette nel penulti
mo Capitolo del secondo Tomo dell’ Opera pre
sente. E quantunque il giornalista non abbia
addotta non che confutata neppur una sola di
esse ,’ nulladimeno sarà bene il confermarlo qui
con nuovi fatti, e con nuove testimonianze d:
gli antichi scrittori. Che iGreci, massimamen
IC
._ _ -î-'_TI
295
te i primitivi considerassero i loro musici, e i
loro poeti come rivestiti d’ un carattere legis
lativo si vede da ciò, che le loro prime leg
gi, le prime politiche istituzioni, furono tutte
promulgate in versi accompagnati dalla musica.
In verso dettò Orfeo le sue leggi a’Tracj, in
verso parlò Anfione a’Tebani., in verso scrisse
Talete le sue massime. politiche ai Creten_si;
cosi fecero ancora Lino , Pamfo, Museo, Si.
monide, e cento altri. La poetessa Saffo veni
va riguardata da que’di Mitilene, come una
delle loro più celebri legislatrici non altrimen
ti, che que’dclla Beozia ammiravano Pindaro,
come uno de’ primi loro sapienti. Terpandro,
e Tirteo erano tenuti in Isparte per uomini di
stato rispettabilissimi‘, e per cose sacre le lor
composizioni poetiche. Stesicoro fu stimato da
gli Imeresi popoli della Magna Grecia, come
il Franklin e il Wasington della _loro Patria.
Il lettore non ha bisogno d’ essere avvertito ,
che parlandosi di que’secoli quanto si dice del
la poesia intendersi dee anche della musica,
Mperocchè l’una era inseparabile dall’altra .
Non è meno incontrastabile, che l’anzidette
facoltà fossero il primo veicolo, e lo strumen
;. T 4 io
i__.l_..‘eeg __.__%; . J“T" ‘g-u’mn
___TÉWW ea_‘.àaa- * -’ '
296
t'o principale della religione. Plutarco nel suo
dialogo sulla musica ci assicura, che la prima
applicazione, cbe nella Grecia si fece della mu
sica fa alle cerimonie religiose in onore degli
Dei. Gli oracoli si rendevano in musica , cioè
cantando in versi la profezia. I numi stessi era
un creduti musici, e ballerini, e niente v’era
di più comune quanto il vedere le loro imagi
ni osculte, o dipinte con in mano qualche stru
mento musicale, di cui veniva ad essi attribui
ta 1' invenzione. Mercurio avea una specie di li
ra consistente in un guscio di testuggine con
quattro corde. Apolline portava la cetra con
sette corde. Ad Iside veniva consecrato il sistro ,
e la sampogna a Pane. Anche Giove il Padre
degli Dei si vedeva in qualche tempio d’Atene
colla lira in mano . Quindi è, che gli antichi
poeti, e musici meritarono il nome di divini;
e talmente gli chiama Orazio .
.fic bonor, (9’ nomen divini: vatlbus , argue
Carminibus venir . . . . .
Ennio il quale era più vicino a que’secoli re
moti gli da il titolo di rami secondo la testi
monianza di Cicerone nell’ Aringa in difesa d’
Archia, ,Quare suo jure master ille Enniu: san
Flos
297
80: àppellar Poetar. E lo stesso Cicerone E
di parere, che siffatta appellazione data a’poe
ti fosse comune a tutte 1’ età, e a tutti i po
poli, ex eo bomjnum numero, qui semper apud
(mane: ranfii sunt babiti atque difii.
Quanto s’è detto della poesia, e della mu
sica si debbeinteramentc applicare agli spettaco
li del Circo, e dell’Amfiteatro; luoghi, quasi
direi, consecrati all’ idolatria, cioè alla religio
ne dominante del paese. Erano essi dedicati
quale a Nettuno, quale a Diana, quale aMar
te, e quale a Saturno, e dappertutto vi si ve
deano scolpiti isimboli propri delle mentovate
divinità, e prima d’incominciar lo spettacolo
si portavano attorno in processione iloro simo
lacri, o gli emblemi, che gli rappresentavano.
Per ciò che spetta alle rappresentazioni teatrali
il fatto è fuor d’ogni dubbio, o si riguardi la
loro Origine, o si ponga mente all’ autorità de’
più illustri scrittori. Evanzio Grammatico rife
risce il principio della tragedia alle cose divine,
alle quali applicavansi gli antichi ringraziando
gli Dei dopo la raccolta dei frutti. Diodoro
afferma, che fossero inventati da un Re di Ma
ccdonia in onore delle Muse e di Giove . La
co
2198
(omune opinione Vuole , che fossero i drammi
trovati in occasione di solennizzar le feste di
Bacco; quindi a Bacco erano particolarmente
dedicati, e artefici di Bacca si chiamavano nel
la Grecia i poeti.tragici, e gli attori. Dagli
antichi scoliasti si ricava , che dentro del tea.
tro, e sulle scene , e nell’ingresso s’innalzava
ho delle statue in onore dei numi. La medesi
ma usanza si raccoglie da un luogo di Plauto
nell’Amfitrione, e da un altro di Terenzio nell’
Andria. La prima introduzione degli spettacoli
scenici in Roma fa vedere, che anche in Italia
erano allora considerati come riti, e cerimonie
religiose. I Romani per liberarsi da una pesti
lenza non seppero trovare altro espediente, on
de placare lo sdegno degli Dei, che quello di
chiamare dalla Toscana gli istrioni, che intro
ducessero le rappresentazioni, come da noi in
simile circostanza si farebbe un pubblico voto di
digiunare per l’ avvenire un giorno dell’ anno;
laonde non è da meravigliarsi, che i più sen
sati autori ne facessero un così gran conto del
le arti drammatiche. Platone chiama le. favole
sceniche un dono, che gli Dei aveano fatto al
genere umano compassionando le sue miserie.
Plu
299
Plutarco, come da noi altrove ’si esseri, dice che
le rappresentazioni tragiche contendono co‘tro
fei, e che Eschilo, e Sofocle sono paragonabili
co’ più gran Capitani. ‘
Ma nulla fa capir meglio lo spirito delle an
fiche rappresentazioni quanto lo zelo de’ primi
Padri della Chiesa nel riprenderle, e'condannar
le. Erano essi cosi persuasi, che fossero una
specie di rito religioso che per loro 1’ assiste
re a’ teatri era lo stesso , che confeSsarsi tacita
menteidolatra. Di molti passi, che potrebbo.
no addursi in conferma, basterà riportarne due,
che sono decisivi. Il primo è di Tertulliano
nell’ Apologetico: in tanto rifiutiamo, dice par
lando co’ Gentili, i vostri spettacoli, in quan
to abbiamo in odio l’ origine loro, che sappia
mo venire Firmiano
Lattanzip dalla superstigione. Il secondo
nel libro isesto è di
delle istitu
GIORNALISTA.
Se allora essi servivano per dilettare, e
istruire, tenga parlare dei più anticbi, quelli
della Zeno, o del Metastasio non sono ornati
di ottime massime religio.re, morali, epolitîc/Je ?
RISPOSTA.
Ottime massime religiose, e morali si leg
gono nel Don Quisciotte, nel Telemaco, nell’
Ariosto, nella novella Eloisa, nella Clarice del
Richardson, e in molti altri Romanzi; ma si
dirà per questo, che i mentovati libri vengono
considerati da noi come cose sacre, o come og
getti di somma importanza civile? Lo stesso
dicasi delle rappresentazioni sceniche. I drammi
de
_.__‘ ’
’ v- _.
_ "L x-“m_ ..e“f:_;r_ A_ÀÀ____À-M
3°3
degli antichi avevano per oggetto il dilettare,
e l’istruire: ma l’ istruzione procurata dal go
verno e diretta dalle leggi aveva uno scopo re
ligioso, politico, e legislativo, del che si ve
devano in pratica gli effetti; presso a noi 1’
istruzione lasciata in balia del poeta è sempre
subordinata al semplice, e mero divertimento.
A provar ciò vuolsi poca serietà , e poca dot
trina . Il Signor Manfredini , che ha dimorato
lungo tempo in Moscovia, e che vi sarà forse
andato col disegno d’ incivilire que’ popoli al
suono degli strumenti come. faceva Orfeo, o d’
ispirare i principi della religione agli Idolatri
Samojecli con un rondò, come facevan Lino e
Museo, conservcrà tuttora lo spirito di missio
nario, e di legislatore, e quando va all’ Opera
v’ andrà probabilmente per assistere agli eserci
gj spirituali, per soddisfare alla penitenza im
postain dal confessore , o per accendersi di amor
di Dio coi salmi penitenziali posti in bocca d’
Aristea, o di Cleonice . Quanto a noi meno
costumati , e pur troppo meno divoti v’andia:
mo per conversare, per giuncare , per far delle
cenette, per passare il tempo, per ridere, per
divertirci coi venosi gorgheggi della Maccari:
m,
WA-‘-w
3°4
ni, 0 coi bei recitativi del Pacchierotti, e pensia
mo tanto all’ ottime massime religiose morali,
e politic/Je contenute nel libretto, quanto gli
indiani, allorché prendono il beta! , o 1’ opio
pensano ai dogmi del Dio Brama, o ai precet
ti del legislatore Xenchia.
GIORNALISTA.
' Se poi talvolta sono malamente eseguiti dai
guastamestieri (clze abbondano in ogniprofessio
ne) non potendo il poeta e il compositore di
musica eseguirli- da loro stessi, non segui il
medesimo dei drammi Greci quando migliorare
no, cioè quando furono scritti a più personag
gi? mentre ne Sofocle, nei Euripide furono cer
tamente multiformi da poterne rappresentar tut
te le parti .
RISPOSTA. ’
Sviluppiamo questo garbuglio d’idee, dal qua
le come dell’uovo di Leda verranno fuori del
le cose pellegrine. Secondo l’Estrattista se -i
nostri drammi sono talvolta malamente esegui
ti dai guastamestiesi gli è perché il poeta, C
il compositore di musica non possono eseguirli
da
305
da loro stessi. Dunque (prima conseguenza)
non essendo in Italia il costume, che il poeta
e il maestro eseguiscano da loro stessi i dram
mi, tutti saranno malamente eseguiti. Dunque
(seconda conseguenza) essendo tutti mal ese
guiti non avrebbe torto, chiunque vituperasSe
l’opera italiana . Dunque (terza conseguenza)
non essendo nè Marchesi, nè Pacchierotti , ne
la Deamicis, nè Davide poeti, o compositori
di musica, idrammi eseguiti da loro saranno
malamente eseguiti, ed eglino dovranno consi
derarsi come altrettanti guastamestieri. Dunque
(quarta conseguenza) se i drammi fossero rap
presentati dal poeta e dal maestro, che li met
te in musica, allora sarebbero ben eseguiti.
Ecco i meravigliosi corollarj,‘che derivano dal.
la proposipione del Giornalista. Di tutte l’illa
zioni surriferite quella, che più mi rincresce, è
l’ultima. Non posso far a meno di non isde
gnarmi contro il costume, che vieta ai maestri
di musica. di salir sulle scene a cantar i propri
drammi. Oh che bello spettacolo sarebbe allora
quello di vedere il Manfredini a farla da Eu
nuc0 sul Teatro di Venezia, e su quello di
Bologna! Ma andiamo innanzi. Non rrguì il
ÎOM. III. V Î776
506
medesimo de’ drammi greci, quando migliorare;
no, cioè quando furono scritti a più personag»
gi? mentre nè Sofocle, nè Empide furono cer
' tamente multiformi da poterne rappresentar tut
te le Parti? Un altra serie di conseguenze non
meno stupende. Dunque quando migliorarono i
drammi greci furono malamente eseguiti dai gua
s:mnenìeri. Dunque quando Peggioravano furo
no eseguiti bene, perché rappresentati dal mae
stro di musica, e dal poeta. E quando miglio
rarono? quando furono .rcritti a più personag
gi. E quando ciò accadde sul teatro greco?
Quando nè fofocle, nè Euripide erano multi
formi da poterne rappresentare tutte le parti;
Così i drammi greci erano migliori quando
erano peggio rappresentati, erano migliori quan
do furono scritti a più personaggi, e furono
scritti a più personaggi ai tempi di Sofocle, e
di Euripide. Il Calandrino del Boccaccio (o
_mecchè fornito di logica così prelibata potrebbe
infilar meglio un ragionamento? Ma pazienza
se l’Estrattista manca di logica, poichè si sa ,
che questa non si può avere che dalla madre
natura; il peggio si è che manca nella storia,
P“ 13 Quale basta aver degli occhi, e volontà
'a
di
3c7
di leggere. 15' falso, che i drammi greci fosse
ro malaniente eseguiti quando migliorarono ; an
zi tutta 1’ antichità ci assicura, chei grandi
Attori della Grecia fiorirono successivamente
dai tempi (1’ Eschilo fino aitempj di Filemo
ne, e di Menandro. E‘ poi falsissimo che i
drammi greci cominciassero a scriversi con più
Personaggi da Sofocle e da Euripide. Molto
tempo prima che scrivesseroi due mentovati
poeti s’intmduccvano più Interlocutori nella tra
gedia, e nella comedia. Epigene poeta tragico
anteriore a Tespi usò dei cori nelle sue trage
die, e i cori certamente non erano composti
da un sol personaggio. Tespi egli stesso intro
dusse parimenti i cori ne’ suoi dramrn'i._ Frini
co discepolo di Tespi fu il primo a introdurre
in teatro maschere da donna, muliebram Perso
nam ìnrroduxit inqscenar_n, dice Suida. I peani
al dire di Strabonei nel libro nono, erano rap
Î W- &_fi_m“4ùMm\î i
308
tennestra. Nel Prometeo senza nominar le Nin
fe Oceanitidi , che formano il coro declamano
Prometeo, Vulcano , Oceano , Io , Mercurio ,
la Forza, e 1a" Violenza; nelle Persiane agisco
no Atessa, Serse,l’ Ombra di Dario, ed un
corriere, lo stesso si dica delle Supplicanti, e
degli altri componimenti di quel poeta. Sofo
cle , il quale venne dopo di lui, le di‘e l’ulti
ma forma ordinando il primo la dipintura del
palco, aggiungendo un personaggio di più al di
verbio, e tre altre persone al coro domposm
fin allora di dodici sole: onde s’aVverò ne’suoi
componimenti il detto d’Aristotile nella poeti
ca else dopo assai mutazioni che sopportò la
tragedia si rr'posò in fine ottenuto cb’ ella ebbe
il suo intento. Che ne dice dopo tutto ciò il
baldanzoso ed erudito Minosse degli altrui libri?
GIORNALISTA.
Un_a cagion forte della decadenza della nol_
stra Opera dipende secondo il Sig. theagm'
dalla separazione della filosofia, della legisla
zione, della poesia, e della musica ,‘ le quali
facoltà ne’primx' tempi della Grecia possedeva
tutto unire un solo .4urore. Ma oltrecbè le n0
Sfì’8
..I.l<}’
W, "_'»\‘\-‘V_W. “ "‘ff’ ’î‘fw
309
stre Opere, come abbiam detto di sopra, non
sono prive di massime filosofie/se emorali ec.;
una tale separazione doveva risultar natural.
mente a misura, else le dette facoltà s’ingran
divano, e si miglioravano ; e lo stesso succes
se ancora al tempo , cbe la Grecia fu colta e
sapiente. Onde non si Può dire con buona ra
gione else la detta separazione abbia ad esse
pregiudicato; poicbè sono libere, ed esistono
da se stesse; e sebbene unite abbiano più for
(a, ne banno ancbe molta essendo separate,
come lo dimostrano le belle opere else esistono
di filosofia di legislazione, di poesia, e di
musica strumentale, cb’ è la vera essen<a del
la musica; mentre il diletto , cbe reca la mu
sica vocale, può derivare ancora dalle parole ,‘
se non in tutto almeno in parte ; ma quando
una musica strumentale giunge a toccare, biso
gna dire, cbe tutto il merito è della sola mu
sica ,' sebbene però questa non può commovere,
se non dipinge, o esprime qualche cosa ,‘ ondev
ancor da se sola è un linguaggio e una specie
di pittura , e di poesia.
RIS
3m
RISPOSTA.
Essendo fra noi da gran tempo separate la
filosofia , la legislazione, la poesia, e la musi
;a, la loro individuale influenza ha dovuto es
ser minore perché divisa. Ha dovuto altresi
esser minore , perchè spesse volte contraria di
struggendo 1’ una 1’ azione direttrice dell’ altra .
Niente diprescrian
governi più comune
delle frafignoi , che ila veder
leggi opposte quanto
-. _.4‘ _
311
talmente a misura che le dette facoltà s’aggran
divano, ciò è verissimo, ed io l’ ho detto pri
ma dell’Estrattista ; ma da questa separazione
appunto, e dal loro ingrandimento successivo
traggono i filosofi la cagione del perché nella
Grecia le arti poetiche, e le musicali acquistas
aero nuove ricchezze, e perdessero laloro an»
tica energia. Leggete o mio caro giornalista,
l’ aureo trattato del Brown sull’unione-della
musica e della poesia,‘ e imparerete 'molte co
se, che ignorate. , .f
GIORNALISTA]
Due altre cagiotti della decadenza della no.
stra musica il Sig. theaga le rileva da due.
de’.tuoi più bei pregi, cioè dalla ma riccbe(.
(a, e dal contrappunto. Ma cl:i può‘ con ben
tc*<{a asserire, c1:e ancle i. Greci non conosce:
aero una specie di contrappunto, e che nei tem
pi più floridi della Grecia non "vi fosse una
musica ricca al par della nostra? .S‘e v’era,
essa sarà nata proóaóilmente simile alla pro-f
sente ; ‘e se non v’era, sarà stata inferiore;
perché il diventar più ricca specialmente in mate
ria di scienza , non crediamo cl’e sia un demerito .
v 4 RIS
V311.
RISPOSTA.
Il giornalista movendo in aria di confutazio
ne un dubbio, se i Greci conoscessero o nò il
contrappunto, pare che Voglia dare a credere,
ch’ io sono per la negativa. Quest’è una man
canza d’ esattezza, e di buona fede. Io non mi
sono deciso, nè per 1’ una, ne per l’altra opi
nione. Alla pagina 184. del secondo tomo ho
detto ,, noi abbiamo un contrappunto del quale
,, si dice r/ze gli antichi non avessero alcuna
,, notigia”. Alla pagina 240. scrissi le seguen
ti parole parlando del comporre a’ più parti.
,, Sen<a decidere, se cotesta inven(ione sia
,, propria de’ secoli moderni, e del tutto stona
,, sciuta agli anticbi (questione o<iosa intorno
,, alla quale non Potremmo assicurarci giammai
,, non ostante i molti e celebri Jutori che l’
,, [ranno trattata)”. Ora un si dice in un luo
go, ed un dubbio cosi decisivo in un’ altro fan
no chiaramente vedere, ch’io sono ben lontano
dal voler pigliare partito in così fatta questione.
La ricchezza parlando delle arti d’imitazione
e di sentimento può renderle più dotte, più
variate, più estese, ma non èuna conseguenza
’ che
F___Jn_
313‘
che debba renderle più patetiche, e più com.‘
moventi. Nel luogo citato dal giornalista ho
provato a lungo siffatta proposizione , ho fatta
l’applicazione alla musica, ho esaminata la for
za vde’suoni considerata nel loro carattere fisico,
GIORNALISTA.
E il contrappunto non solo non ha pr:giudl«
caro alla lmusica, ma an{i, avendo fatto cono
scere qual sia la buona armonia, e buona mo
dulazione, è stato quello, cbe ha contribuito
più di tutto all’avanzamenro di essa. Ma qual
è quella cosa ottima, che non degenerx' , se se
ne abusa? Così segue del contrappunto, l’uso
moderato del quale non può esser che buono ;
m4.
314
ma abusandone, cioè volendo comporre atroppe
parti unite, e per conseguenza a troppe varie
muti/me eseguite tutte in un tempo, come se.
gue nel contrappunto, a tanti cori diversi, e
nello fugbe in quelle specialmente a più sog
getti,non può nascer altro sicuramente cbe un
gran vdanno alla buona melodia cb’è quella ac
compagnata con poca, e discreta armonia ossia
poco contrappunto.
RISPOSTA.
Un’altra prova demostrativa della inesattezza
o della mala fede del giornalista. A sentir lui
pare , ch’io. abbia condannato in genere, e as
solutamente il contrappunto come cattivo , non
già in ispezie, e riferendolo alla sola musica
drammatica. Eppure è tutto all’opposto. In
più luoghi delle mie Rivoluzioni ho fatto espres
samente questa distinzione. Lungo sarebbe il
rapportarli qui tutti di nuovo, basterà soltanto
ridire ciò , che ho detto nel capitolo stesso ci
tato.dal Manfredini, acciocchè si veda quanto
deve fidarsi il lettore di certa classe d'Estrat
ti, 0 d’ Estrattisti. Si rilegge la pagina 2.40.
del secondo tomo, e si troveranno parlando del
con
3‘5
. contrappunto ‘le seguenti parole” egli è chiaro,
,, che la ma utilità almeno per la musica tur
,, trnle è tanto problematica, CI’Jt? poco o nizm
,, motivo abbiamo d’ in:zg>erbireene . ” Alla
pag. 244. ragionando della nostra armonia, e
del contrasto delle parti io dissi‘,, Non si m'e-‘
,, ga cbe da‘:xfntto contrasto non porta per
”
opera d’ un valentia compositore cagionàrsi tal.
,, volta una combinazione di suoni, che diletti.
,, l’udito per la sua wagbegga’ ed artifigio, e
\
,, tale e appunto il merito intrinseco della mo
,, derna musica dove l’arte fl’ intrecciare le mo-}
,, rin/azioni, la bel/caga delle‘transigioni edei'
,, passaggi, l’artifigiose circolagiom' intorno al.
,, medesimo tuono, la maestria nello sviluppa»
,, re, e condurre i mativi, in una parola le
,, bellezze estetiche dell’armonia so:zoper'uenu
,. te ad un grado d’eccellenza sconosciuto fif-a
,, ’fnlto agli antichi ”. Ecco un elogio della
nostra armonia maggiore assai di quanti ne pos
sa fare l’Estrattista. E‘ dunque falsissimo ch’io
abbia mai asserito aver il'C0ntrappunto pregio»
dicato alla musica in generale; ho detto bensì
che pregiudicava alla musica drammatica, e an
che qui con distinzione, perocchè parlaml0'del
C011!
316
contrappunto ch’era in voga in Italia verso il
fine del cinquecento lo condannai come contra
rio alla musica scenica, nel che altro non feci,
che tener dietro alle pedate di Vincenzo Gali
lei, di Giulio Caccini, di Pietro Cerone, e di
Giacopo Peri, le parole dei quali addussi in va
rj luoghi della mia opera . Ma fui ben lontano
dal condannar l’ armonia moderata come si ve
de dagli elogi, che fo in cento luoghi, e del
giusto tributo di laude, che rendo, ove parlo
del secol d’oro della musica italiana, a coloro,
che la ripurgarono dal fiammingo squallore .
Soggiunsi , che l’artifizio del contrappunto non
è atto ad eccitar le passioni, e provai alla di
stesa la mia asserzione internandotni nell’es
senza dell’armonia, e facendo vedere che la
moltiplicità delle parti, la natura degli inter
valli , e l’intrinseca repugnanza, che regna nel
nostro sistema armonico, (ripugnanza nata dal
comprender insieme più spezie contrarie di movi
mento) non la rendono iacconcia a produrre una
GIORNALISTA.
Pretendere ancora come fa il N. A che al.
tre ragioni più forti dimostrino la disuguaglian
za delle due musicbe, cioè iprodigj, che fa
ceva l’antica de’ quali è scarsa la nostra: la
consideraq'one in cui l’aveano i Greci, che l’
impiegavano nei loro maggiori bisogni ec. quest’
\
e un discorrere in aria .
RISPOSTA.
\
Un discorrere in aria chiama il giornalista
ciò che si dice della possanza della musica gre
ca, e della somma stima, in cui era presso
agli antichi? Sarà dunque un discorrere in aria
l’appigliarsi all’ autorità de’ più distinti poeti,
degli storici più celebrati, de’ più sensati filo
sofi e de’ più illuminati critici, che tutti con
cor
\ .À
318
eordemente ne assicuran di ciò». E quando Pi
tagora non contento di render musicali la ter«
ra, l’anima, e gli elementi sollevò fino al cie
lo l’armonia volendo, ch’ella fosse il principio
regolatore del movimento dallesfere ; quando
Platone fa dipender da essa non solol’allegrez
za, il dolore, l’iracondia colle altre passioni,
ma le virtù eziandio e i vizi e la sapienza de
gli uomini; quando Ateneo ci assicura, che
gli Arcadi deponessero la loro ferocia costretti
dalla soavitàv dell’armonia, e che a questa fos-'
GIOR'N-ALÎSTA. '
RISPOSTA. ' 1
Tai prodigj sono certamente favolosi, se per
prodigi intendete il far camminare i boschi, e
le montagne come faceva Orfeo, il guarire il
popolo tebano dalla sciatica al suono del flauto,
come si narra di Meria, l’inalzar al suono del
la lira le muraglie di Tebe come dicesi d’An
fione, o il farsi ubbidire dai delfini, come si
racconta da Arione. Ma non sono nè favolosi,
r.è alterati, se per prodigj s’ intendano i mera
vigliosi effetti morali prodotti dalla musica su
gli animi dei greci, sulla loro educazione, sul
la loro politica , sui loro costumi, e il dubi
tare di questi se non partitamente, almeno in
grosso', e quanto basta per attribuire alla loro
musica una sorprendente energia, ‘è lo stesso
che
321
che spingere il pirronismo storico al grado cui
lo spinse lo stravagante e pazzo Arduino .
‘GIORNALISTA.
0 bisogna credere che non sarà stata la so
la musica, che gli avrà‘operati, ma ancora la
poesia, che dura accompagna-va, dalla quale
unione nasce certamente maggior diletto, e mag
gior foqa.
RISPOSTA.
Vè che uomo avveduto è egli mai codesto
Maestro di cembalo dell’Imperator delle Rus
sie. E la nostra musica non s’ accompagna al
tresl colla poesia? Che vuol dire adunque, che
un siffatto accoppiamento non opera presso di
noi il menomo di quei prodigiosi effetti, che
operava presso gli antichi greci? La diversità
dell’ effetto non indica in buona logica là di
versità delle cause? ' \
\
GIORNALISTA.
RISPOSTA.
Oh il meraviglioso, e singolar ritrovato! Non
più i principi d’una Morale dolce e sublime
qual è quella insegnataci dalla religione cristia
na, non l’abolimento dell’ anarchia feodale, non
lo stabilimento di governi più regolari, non la
saviezza , e la forza delle leggi, che imbriglia
rono l’impetuosità dell’interesse personale , non
la comunicazione fra tutte le parti del globo
procurata per mezzo della navigazione, non lo
scambievole commercio fra il vecchio, e il nuo
vo Continente, non le ricchezze, e il lusso che
indi ne derivarono, non lo spirito di società ,
il quale avvicinando 1' uno all’altro i due sessi
ne tempera la ferocia, e ne ringentilisce lo spi
rito, non più il progresso della filosofia e dei
lumi sono a’ nostri tempi le cagioni che hanno
umani{{ata gran parte del mondo , ma la mu
sica fu la meravigliosa operatrice di cosifi‘atti
prodigi. Montesquieu s’è afl'aticato in vano ri
cercando 'le cause dell’ attuale incivilimento d’
Europa. Se quel francese avesse posseduti i ta
lenti
323
lenti superiori del nostro enciclopedico baccalare
le avrebbe tosto ritrovate nel mirrologo di Gui
do Aretino, o nel dodecachordon d’Arrigo Gla
reano. Il Re di Spagna dovrà essergli somma
mente obbligato di questa scoperta. Se quel
sovrano verrà sottomettere alle leggi del vive
re onesto e civile iPampas, gli Apaches, iTe.
gas , i Siba-Papi, i Moxos, i Chiquitos, ed
altri popoli selvaggi dell’America non ha da
far altro che spedire nel nuovo Continente il
maestro Manfredini, che insegni loro quattro
leggi di contrappunto al giorno accompagnate
da qualche lezioncella di salterio, ed eccoti uma
nig_<ata quella parte del Globo .
GIORNALISTA.
E se anche adesso l’ uomo di cuore più du
ro, e indtfl’ermte purché ahhia l’orecchio dispo
sto alle impressioni della melodia, non può re
sistere al di lei incanto quand’èveramente del
la più perfetta , e perfettamente eseguita ?
R ISPOSTA .
E appunto perché di questa musica veramen
te la più perfetta, e perfettamente eseguita v’
X 2. ha
l - ava--g-.--..--_> H. 7,... _--<
324
ha pochissimo fra i moderni, noi restiamo in.
differenti all’ azione di essa .
GIORNALISTA.
La musica cangiò al tempo dei Greci , ed
ba cangiato al tempo nutro. Nella Grecia
fu bambina a poro a Poco crebbe , diven
ne adulta, e per conseguenza migliore, e lo
ster_so loa fatto in Italia. I Greci ebbero ancor
cui i loro guastamestieri corruttori del buon
gusto ec.... e lo ste.r.ro è seguito e.regue titth
ra fra_noi ,' ma da tutto questo si deve forse,
arguire, aloe non esiste più, una bytona musica,
o si deve piuttosto confessare per nostra con:
fusione, che finché durerà il mondo, vi sarà
JL’WIIITL’ il male accanto al bene, e vi .raranno
sempre autori mediocri, e, cattivi in» tutte le
arti e in tutte le .rcien:(e accanto a’ buoni? Sì
bisogna confusarlo ,‘ e ciò cb’è ancor più fata,
le ma Icloe non e men vera, Ji è,, cbe non sem
RIS PO STA .
Che la _ musica cangiasse al tempo dei _Greci .
co
-» i" =
325
come ha fatto nel nostro; che presso loro fos
se prima bambina; che indi a poco a poco cre
scesse , e poi divenisse adulta al paro dell’ita
liana; che i greci avessero i loro guastamestie
ti, come abbiamo noi; ciò ha tanto che fare
colla questione come i porri colla luna. Queste
somiglianze 'estrinseche, e geheralissime possono
stare, e ci stanno benissimo con una intrinseca
erealep diversità di fini, di sistema, e di mez
zi. L’ arguire da tutto ciò', che più non esiste
una‘ buona musica, è una conseguenza arbitra
ria, 'ehe cava l’Estrattis’ta, ma che a me non
è venuta in mente nemmeno per sogno. La no
stra musica è‘bpona‘buonissima se si riguarda
in essa la varietà, l’artifizio, la dottrina, il
brio , la squisitezza , e il raflinamento. Il suo
Estetico è più copioso, e più ampliato di quel
lo dell’antica. Ma tutto ciò è assai diverso dal
Paretico, nel quale come ancora nello scopo
morale, e politico la musica greca e per mio
avviso e per quello di molti uomini assai più
dotti di me superava altrettanto la moderna,
quanto questa supera l’ antica in altre doti pre
gievolii L’ ignorare queste cose note come suol
dirsi lipfii: (9‘ tumoribur sarebbe di poco deco
' X 3 ro
326
ro per qualunque erudito ma è un vitupero, e
un’ obbrobrio per un maestro di musica, scrit
tore di professione, il quale dà con ciò a. dive
dere esserin affatto sconosciuti i fondamenti
filosofici dell’arte propria .
GIORNALISTA.
EII medesimo Sig. .A'rteaga unendosi alle opi
nioni del Sig. Brown Inglese (dell’ origine e
progressi della poesia, e della musica) e del
fig. Rousseau ( Essai far l’ origine del lan
gues) conviene con essi che noi siamo realmen
te all’oscuro sulla vera natura dell’ armonia
de’Greci, su i loro generi,modi, strumenti cc.
quindi gli sembra strano, cbe si voglia pospor
la loro musica alla nostra; ma per le stesse
ragioni non è ancor più strano il volerla an‘
riporre ?
RISPOSTA.
In primo luogo è falsissimo, ch’io abbia
antiposta la musica greca alla moderna, senza
restrizione. Replicherò per la decima volta,
che l’ho antiposta nella semplicità, nell’espres
sione , e nell’oggetto morale, come l’ho pospo
sta
327
sta all’italiana nell’artilizio , nella ricchezza , e
nel raflinamento. In secondo luogo è anche fal
sissimo che non si possa instituire un paragon
ragionevole fra le due musiche, quantunque non
ci sia del tutto nota l’indole dell’armonia de’
Greci. Ho risposto su tal proposito nel princi
pio dell’ Estratto .
GIORNALISTA.
-.1
-.» . .-4
:\ \.«._ ‘- ‘ “NK,LW J----\_‘-- \\
328
le composizioni veramente melodiche, come sono
le suddette canzoni pindariche cc.
. .,BISPO.S.TA’
‘ Quest’aeeusa è una delle infinite inesattezze
del fogliettista. Nel luogo da lui citato (*) io
man ho mai detto che la nostra musica non pos
-sa accoppiarsi ad ogni genere di poesia; ho det
to soltanto che per una generali inavvedute<
(a noi abbiamo esclusi dal genere musicale quasi
tutte le moltiplici spezie della poesia. Ora
queste espressioni non indicano un’ intrinseca
impossibilità - nella nostra musica d’ accoppiarsi
coi suddetti generi, come vorrebbe farmi dire
il sempre degno Estrattista, ma un’ inveterato
costume ne’ compositori di non mai eseguirlo.
\ "l'urto il paragrafo non è altro, che un’illustra
.I zione, un comento dell’ accennato pensiero, an
ni»tant0 è lontano della verità ch’io voglia ne
gare alla nostra musica la capacità d’accompa
gnarsi coi detti generi-‘ poetici che in più luo
ghi delle mie Rivoluzioni ho parlato de’ Sonetti
« ' ' ‘ del
( __p Gio‘_RNAYL‘IS__TA. a
. Passa quindi il N. 42 ad a:_eerir'e, cle,uói
ignoriamo la quantità .rillaòica _nella« poesia;
che {non sappiamo p. e._quale sul; la u'llgòq più
lunga della-parola spoglie; de il maettro_ -46-,_
dandone: il valar della poesia per badare: al
palor delle m“_ag._,mai,runo, questo al fal.ra
._r_tante che jl__brapo ,cogupo,rit,_ore conosco benirri
'rno la quaniità, e_ la qualità delle sillabe ml
la poesia; sa elle la, parola spoglie è, di due,
e non di tre eillaóe, _come ei‘.-la ;crede, e. .m
anqora adottar le note al valor della pauia.
RIS
33°
RISPOSTA.
Tante proposizioni, altrettanti spropositi.’ In
primo luogo il compositore non può conoscere
nè benissimo, nè malissimo la quantità delle
sillabe nellanostra poesia ,Iperchè nessuno può
GIORNALISTA.
Come non è men falso che , se sopra alla
musica stessa si possono applicar varie parole,
ciò dipende, pero/sé il musico nella collocazione
delle note non ha altro regolatore, che il pro
'
prio arbitrio, poiobè una tale operazione non
_,-/
può esser ben fatta, se non quando iversi sie
no di una stessa misura, e il sentimento delle
parole sia lo stesso: onde egli è sempre vero,
cbe
331
cbe mm è la poesia, che deve Ierw'r la musi
ca, ma benxì quarta, cbe deve .rtar roggem:
in tutto alla Poesia, e all’argomento della me»
«intima: e in tal modo sono espresse-le più bel
le composizioniicbe ora abbiamo; delle quali
RISPOSTA.
4 Mi dica il mio avvedutissimo Critico. Se
la nostra poesia manca di quantità sillabica ,
ch’ era quella, che presso agli antichi diriggeva
il tempo , e la misura della musica, e regola
va il numero delle note , qual altro regolatore
hanno i nostri compositori nelle cose accenna
te fuorché il proprio genio ed arbitrio? Se
avessero eglino una norma fissa, e costante , a
cui accomodqrsi.nella collocazion delle note si
vedrebbero tanti capricci, tante irregolarità ,
tanti modi diversi di vestir l’aria istessa? Che
vuol dire che se Gluk, Paisello, e Mazzoni
metteranno sotto le note le stesse parole dalle
- ‘ mani
’\,
,'\
r:‘ì
333
mani del primo verrà fuori per lo più un la
voro-esatto , ragionato, e pieno di forza; da
quelle del secondo una composizione vaga, ric«
ca, e brillante, e da quelle del terzo probabil
mente una cosa ,mediocre, o cattiva? Ciò-vuol
dice, che ciascuno combina le note, e.in ac‘
tordi secondochè gli suggerisce il proprio tu
lento, il quale non essendo eguale in tuttitre;
nemmeno eguale può essere l’effetto che ne ti.
sulta. A questo inconveniente andava. molto
meno soggetta la musica greca principalmente
ne’ primi secoli, quando il carattere di poeta ,
e di musico si trovava riunito nella stessa per
sona, e quando i musici ubbidivano religiosa
mente alle .leggiaprescritte lorotdai poeti. Non
replicherò le pruove,’ che .tróvansi esposte alla
distesanella mia opera nel luogo appunto criti.
cat0 dal giornalista, il quale: fedele sempre al
lodevolissimo costume adottato da lui combat
te le proposizioni dell’ avversario sopprimendo
tutte le ragioni, su cui sonoappoggiateuîdue
canoni che prescrive il ‘.Signor»Manfredini per
applicar rettamente la stessa musica a varie pa
role, cioè che i versi sieno d’una stessa misu
ra, e cheil sentiment0‘delle parole sia lo‘stes
so,
334
so, sono piuttosto regole di ciò, che dovrebbe
esser che di ciò, ch’è in fatti, imperocchè
ad eccezione d’ alcuni pochi maestri la maggior
parte dei moderni lavora delle musiche applica
bili a cento sentimenti diversi, come io l’ ho
fatto demostrativamente vedere colle pruove al
la. mano in otto pagine dell’ultimo capitolo del
secondo Tomo, adducendo inoltre le carte mu
sicali, che lo confermano, (*) quantunque nè di
queste, nè di quelle 1’ incomprensibile benignità
dell’ Estrattista abbia creduto opportuno di far
ne menzione..
GIORNALISTA.
In qualche abàaglio è incorso il N. «4. par«
landa dei princin musicali, in cui confessa egli
stesso di essere poco iniziato. Egli asserisce
p. e. che gli intervalli che sono in uso nel
la nostra armonia si riducono all’ otta
ve, due settime, due seste, due terze, una
quinta, una quarta, la seconda, il tuono, c
il semituono, come se questi due ultimi non
‘ fos
R I S P C) S T A .
’, 7 A» " N ÎA__'\_;Ì
rrazf'e-HM "‘”1
337
elementi di musica? Le ton , sono le sue pa
role, s’appelle encore seconde majcure ce. le
demi-‘ton, seconde mineure . Lo dice lo stesso
Giornalista, come Ìe'quefli due (cioè il tuono
c il semituono) non fouera due altre seconde
la maggiore, e la minore? Ora qual È lo sba
glio da me commesso.J Il non aver' dato al
lettore l’ importante n0tizia‘ che i teorici da
vano due‘ nomi diversi allo 'ste’sso intervallo;
10’ che in altri termini-equivale accndannare uno
storico perthè nominando Cicerone non s’è'ptc
sala cura‘ d’awertire‘ chi legge, che 'altri’lo
chiamaiono ancora Marco Tullim Così potteh*
be con eguale giustezza rimprovérarmi, PetChe
non mi sono avvisato di dire che la ‘terga mì
nove si nomina qualche ivolta seconda :uperflua,
R 15 P O S T A .
In primo luogo l’ Estrattista attacca al suo
solito la mia proposizione isolata, e non addu
ce neppur una sola delle molte pruove, che la
fortificano. In secondo luogo è falsissimo, ch’
io abbia detto, che se la cantil'ena composta in
contrappunto non muove una qualche determi
nata e individuale passione, ciò nasca dal non
esser la cantilena chiara semplice e precim. L'
inef
_____ _m . _‘.. a. ._. ‘ .Î.i?..f _. ---.
339
inefficacia del contrappunto p:r muovcr gli af
fetti l’ho ricavata da ciò, ch’ essendo necessaria
ad eccitar un determinato affetto nell’animo una
serie di movimenti tutti dal principio sino alla
fine conformi all’indole di esso affetto, il con
trappunto non può produrre la detta serie di
movimenti conformi ,' perché composto di mol
tiplicità di parti, ciascuna delle quali agisce con
un movimento non conforme, ma diverso, e
perchè si prevale d’ intervalli, ciascuno de’qua
li agisce con un’ energia, ed una direzione dif
ferente L’Estrattista dunque non sol non
ha inteso per niente nè la mia proposizione ,
nèple‘ragioni su cui s’ appoggia, ma ha travvi
sato sconciamente e quella, e queste. In terzo
luogo non è men falso ciò, ch’avanza il Man
fredini, che quando il contrappunto è moderato
non solo non pregiudica , ma anzi fortifica , e
perfeziona la cantilena. La perfeziona bensì, se
per perfezionare s’intende darle quella unità,
che! risulta dal trasportare la stessa melodia in
più tuoni, e dal collocarla ne’iti analoghi del
. ‘Y
.
2. ‘ la
«14-; u.‘
34I
per cui camina questa: E‘ impossibile adunque
che non risulti nel tutto una mischia di forze,
una ripugnanza , un contrasto tra la privativa
energia degfi intervan e deUe pard , il quale
impedisca d’eccitare la determinata serie di mo
vùnenfi che vogfionfi a svegfiare un tflc aHEh
to. Sentasi il Tartini, che da gran maestro ha
prevenuta, edisciolta l’obbiezione del giornali.
sta. Né giova dire, càe la voce arma, per
esempio, come e:tremo più intenso, e:seudo la
dominante , si sentirà dinx'ntamentv a confron
to delle altre voci, e però porrà produrre il
suo efl'etto. Questa Pr0Posîgy‘one è falxa secon
do la pran'ca (notate bene Man-fredini dolcissi
mo, perchè mi preme che un giornalista sia do
cile alla verità, notate, dico, che uno de’ più
eccellenti pratici, che abbia mai avuti la vostra
Nazione' dice, che la vostra proposizione èfal
sa secondo la pratica) ,, in armoan Perché tre
,, voci contro una sola /zan più forza sebben
,, la sola sia più intensa , le altre più rbne:
,, se, purcbè siano proporzionate, senza/491m!
,, proporzione non s’otterrà gianynai l’armonia.
,, E nel caro che I’accardaU/Ia proposi(ione
” non si può ahneno Idi non nqgare, cbe na
Y 3 ,, :ce°
342
,, scerà necessariamente una tal distr.qionc tra
la 'voce principale, e le aggiunte, clre impe
,, dirà quella totale attene;ione, senza cui è
,, imponibile ottener l’intento di commuovere. ”
‘ GIORNALISTA.
In somma ci può dir quel che vuole perpro
varo, che la nostra musica è inferiore alla
Greca, che non proverà mai nulla, non poten
dosene faro il confronto; e le autorità dei tre
fi;pcttaóili professori, cl:e adduce in favor suo,
ancor esse sono inutili su tal questione; stan
tccbè il Tartini, il P. Martini, e il Marcello
sono stati certamente grandi uomini, ma ebbe
ro i loro pregiudiqj ancor essi, fra gli altri
quello, cbe hanno quasi tutti i veccbj profes
sori di qualunque arte, e ch’è prodotto da una
specie d’invidia pei loro contemporanei, cioè di
lodare assai le cose} antiche, e sprezzar le mo
derne, come se _tutte le arti, nello stesso mo
da che son soggette a declinare, non fossero
suscettibili di miglioramento, la qual cosa è
assai più probabile per a quella gran magione ,
ciao e facile l’aggiunger perfezione alle cose
già inventate. '
J RIS;
RIS
RISPOSTA.
Queste quattro righe altro non sono, che un
gruppo d’ inesattezze, e di false supposizioni .V
I. Finora s’era parlato della musica moderna
in generale paragonandola coll’ antica; ora il ge
nerale si converte all’ improvviso in parziale,
la parola moderna si confonde con quella de’no
stri tempi, dal sistema si salta al gusto, e da
tal confusione propria dell’Estrattista risulta un’
accusa contro di me , che mai non ho pensato
a confondere una cosa coll’ altra. a. Il giorna
lista mi riprende mettendomi nel numero de’
vecchj sprezzatori, perchè ho lodato Palestrina,
e Carissimi due compositori , che sono stati ri
colmati di lodi dai più accreditati Scrittori di
musica non meno stanieri che italiani: 3.M'im
puta d’ aver' commendate 1’\ opere del Carissimi
a preferenza delle più moderne, che sono cento
volte migliori, e più perfette, lo che è falso
assolutamente, giacchè non ho lodati .i recitati‘
vi del Carissimi se non paragonandoli coin al
tri del suo tempo, ch’ erano negletti , non già
con quelli dell’età posteriore, quando s’ imparò
ad applicare la musica alla drammatica con più
I
su
GIOR
349
GIORNALISTA.
Cosa diremo, se egli che attribuisce al con
trappunto la rovina della musica, loda le sud
dette Opere , delle quali il più gran merito
consiste appunto nell’ abbondare di contrappunto ?
RISPOSTA.
Ho già spiegato più volte in qual senso io
condanni il contrappunto. Del resto appunto
perciò ho commendati i recitativi del Carissi
mi, perchè fra quelli de’ suoi contemporanei so
no i meno ingombrati di contrappunto.
GIORNALISTA.
Per criticar poi la musica delle nostre «frie
adduce quei difetti, cbe sono già stati cono
sciuti da tanti altri, e dei quali son più di
venti anni, che sin la ciurma dei nostri com
positori se ne astiene, e in cui veramente i
bravi Maestri mai non sono incorsi . Essi in
fatti non hanno mai fatti ritornelli, e passag
gi dove non andavano, non hanno mai coperta
la voce colla troppa affluenza degli strumen
ti, non hanno cc.
RIS
35°
RISPOSTA.
Se i difetti da ma apposti alla musica de’
nostri tempi sono stati conosciuti da tanti al
tri, essi adunque sono verissimi, e il quadro
ch’ io ho proposto, non è per niente alterato,
come ha finora preteso il Giornalista. Farmi
per altro d’ aver toccate molte cose non osser°
Ivate imprima da nessuno Scrittore, particolar
mente intorno alle cagioni del difetto , e ai mez
zi di correggerlo. E‘ poi falsissimo , che da
venti anni in quà fin la ciurma de’ compositori
se ne astenga . Gli csempj, che ho recato in
mezzo ( e de’ quali secondo il costume non fa
parola 1’ Estrattista, quantunque gli aprisscro
un bel campo di farsi onore difendendoli) non
sono cavati dalla ciurma, ma dalle opere di
compositori stimabili. Se però tutti questi sem
brano pochi al Signor Manfredini , chi scrive
gli promette di slungare in altra occasione il ca
talogo, e di fargli toccare con mano, che la
maggior parte de’ moderni maestri mettono i
ritornelli; e passaggi, dove non ci andavano,
coprono la voce colla troppo affluenza degli stru
menti, hanno cc. ec. \ .
_G IO R
35I
GIORNALISTA.
Egli asserisce ancora, che Metastasio colle
molte bellissime comparazioni ba contribuito a
propagare il difetto della troppa musica stru
mentale nei Teatri; ma queste comparazioni
hanno ang_i giovato alla musica ,° come da noi
si asser) nella nota 13. del nostro Libro delle
Regole armoniche.
RISPOSTA.
Senza riccorrere alle Regole armoniche del
Manfredini (Libro frivolo, che altro non con
tiene fuorchè delle nozioni elementari e trivia
li) io aveva detto nel Tom. 2.. pag. 26;. della
mia opera, che le belle comparazioni, che si
trovano ne’ drammi di Metastasio hanno giova
to alla musica. Ma ciò, che ho detto io, e
che il Manfredini non vorrebbe che si dicesse,
si è che dall’ uso troppo frequente di esse com
parazioni è risultato il troppo affollamento de
gli strumenti, e per conseguenza il prossimo
pericolo d’ afl‘ogar la voce del cantore. Si può
aggiungere ancora, che siffatta usan2a troppo
intemperantemente imitata dai seguaci di Me
Î3
-*".rm -..‘
52.
r tasîasio ha recato ancora un gran danno alla
GIORNALISTA.
Dove si disse ancora il nostro } parere circa
all’ apertura dell’opera, di cui Parlando il N. v4.
, e parlando{ della nostra musica in generale,
impiega una. quantità d’ osservazioni inconclu
denti o false.{ r
\
-f\_._.
RISPOSTA.
Se l’Estrattista si fosse degnato d’ indicare
partitamente quelle osservazioni, io cercherei
ora di rispondergli, o di confessargli il mio
torto; ma essendosi contentato di dire in ge
nerale, che sono in:oncludentì, e false senza:
Pl‘0
GIORNALISTA.
Cbe esamim' bene le buone composi{ioni di
Piccini, di Sacchini, Guglielmi , Sarti, Paesel
lo, Anfossi, Gluk, e di tanti altri; e veda,
se il moderno quadro della musica teatrale è
tal quale ci lo dipinge._
R IS POSTA .
A_ AAA,.:_ .
-g‘- .
_'«‘ -. »..,
354
parandoli dalla feccia comune , e nominandoli con
particolar elogio. Qual nuovo genere d’ onestà
letteraria è mai quella di tacere ciò che ha det
to l’Avversario, e poi combatterla come se
realmente non l' avesse detto? E‘ malignità?
E' stolidezza? E‘ capriccio?
GIORNALISTA.
Sen(a tanto declamare, e sen(a ripetere ciò,
ch’è stato già detto da altri (cioè cbe 'vi so
no molti guastamestieri; che le regole non sono
ancora tutte perfette; e cbe se ancbe lo fosse
lo esse non basterebbero per formare un grand'
uomo, In Me e‘ più vero;) poteva dire, else
porbi riescono nell’arte musica, perebè non tut
ti son nati per la medesima; ma non percbè
i maestri insegnano il contrappunto ai loro sco
lari col fargli ritrovare gli accordi, e concer
tare le parti sul cembalo mentre questo'è fal
sicsimo.
RISPOSTA.
- Quest’ ultima riflessione mi giunge nuova.
Mi farebbe la grazia il Giornalista d'insegna
mi, come imparano gli scolari il contrapPunîo
b... 8- - ’
_
i% ' ”'-h '_e .._4 Tir "°"' ' ‘-g 7/ ‘:‘
355
senza avvezzarai a ritrovare gli accordi, e a
cancertdre le parti?
GIORNALISTA.
Come non è men fal.ro, el1e tutti i composi
tori siano tanti ignoranti non sappiano nemme
no la Propria lingua non cbe la latina ,- non
conoscano la poesia la letteratura, egli autori,
cbe ban trattato, e trattan (li musica ; paiobè
gli conoscon beninimo ; e ranno ancora distin
guere gli aurari buoni dal mediocri, e non li
Pongona tutti a sacco, come ba fatto il N. ./L
alla pag. 81. '
RISPOSTA.
Io non 110 parlato 'punto di tutti qhanti i rom
positori, ma del maggior numero; pure confis
so d’ avere il torto. In vece (l’avanzare ciò ch’
ho avanzato dovea sostenere con zelo apostoli
co, che la maggior parte dei moderni maestri
sono,dottissimi, che intendono a meraviglia la
lingua latina, e gustano le più intime squisi
tezze della toscana, che sono versatissimi nella
poesia, e nella letteratura, che hanno come suol
dirsi sulla punta delle dita tutti gli autori, che
2 z han
356
hanno trattato, e trattan di musica. In fatti
per tacer di tanti altri la scelta erudizione è
vastissima, la prodigiosa lettura, la critica finis'
sima, le viste sublimi e filosofiche, l’ aureo
stile , e la logica esatta , che risplendono nell’
estratto del Signor Manfredini mi doveano far
accorto del mio errore.
GIORNALISTA.
Percbè condannar tanto il desiderio di navi
tè, che hanno gli uomini in generale di musi.
ca, se lo banno ancora per tutte le altre co
se , ‘ e se a quelli che non sono automi viene
infuso dalla natura? Dunque, percbè vifu un
Orazio un Virgilio ec. non doveva scrivere un
Tasso, un Ariosto? ec. Percbè vi è stato un
Pergolesi, un Giumelli ec. non dovrebbe scrive- ‘
re un Piccini, un Paesiell0 ec.? E se ognuno
ebe coltiva una professione vuol distinguersi
dai compagni, desidera di esser grande piutto
sto colla lode propria, che coll' altrui, cerca
di avanzarsi nella sua carriera per sentieri non
battuti ec. perché farlo reo , quando al contra
rio, giusto per questo è degno di lode? In ve
rità noi non intendiamo un tal modo di ra
gionare .
RIS
’Ì
357
RISPOSTA.
Quando l’Estrattista avrà un pò più di filo
sofia in testa, intenderà facilmente il mio mo
do di ragionare. Allora vedrà , ch’ei non ha
inteso n‘è poco, nè molto lo stato della quistio
ne, e che lavora in falso, perché non sa dare
alla parola novità il significato , che nel caso
nostro le si conviene. Il desiderio di novità
considerato metafisicam‘ente è una inclinazione
ingenita in noi dalla natura, come un’effetto
immediato della curiosità. L’ anima nostra è
fatta per pensare, cioè per percepire. ecombi
mare 1’ idee. Tutti gli oggetti dell’universo so
no legati fra loro e quasi direi in dipendenza
scambicwle gli uni degli altri; quindi è im
possibile il conoscerne un solo senza che si sve
gli il desiderio di conoscere quello , che segui
ta, o quello che lo precede. Ma quest’ idea
metafisica di novità lodevole in se stessa anzi
necessaria ali’ uomo è in tutto differente dall'
altra che vien condannata, allorché si parla del
le arti di sensibilità, e d'imaginazione . Il de
siderio di essa altro non significa allora se non
Se il prurito, che hanno molti di coloro che le
F.
1. 3 col
, -__.ù.c @
358
coltiv’ano, di rendersi singolari scostandosi dal
buono stile, e dain ottimi esemplari, o l’in
quieta smania degli ascoltanti, che infastiditi
delle cose passate. e nojati delle presenti bra
mano ricevere delle scosse, e delle agitazioni
mai più sentite. L’una e l’altra di queste co
se sono la rovina delle arti, e delle belle let
tere, imperocchè consistendo il bello di esse
nell’imitazione della natura , ed essendo siffatta
imitazione ristretta ad una limitata sfera di sen
timenti, e d’imagini espresse con certi colori,
e con certe determinate forme, qualora la sud
detta sfera sia stata , a così dire, intieramente
trascorsa per opera dei trapassati Autori, e
qualora agli artisti comincino a sviare da quel
le forme, e da quella determinata maniera;
vanno a rischio di perder affatto le traccie del
la vera imitazione, smarrita la quale non resta
per loro altro principio regolatore fuorché il ca
priccio, onde si genera la stravaganza . Ecco il
perchè la novità degenera si spesso in licenza
nelle materie di gusto, e perchè il rispetto per
gli antichi e così commendabile, quando non si
converte in fanatismo, o in idolatria. Legga il
Signor Manfredini 1’ sugo dialogo de causi: cor
Ì’UIIÎC
__*.-nr-_* »N’.?ZWÀ
‘:" ._‘ ,._ - ..f
È‘;Î
359 I
GIORNALISTA.
o Quello -poì, cbe ci IorPrende maggionneme
si è, che dopo che il N. vf. ba resa giustizia
a una quantità di Professori viventi separan
doli dai mediocri torna da capo, e sost_iene
Z 4 che
360
che la maggior parte delle finezze armoniche}
onde vanno tanto superbi i moderni maestri,
in vece di provare il miglioramento del gusto
altro non provano, che la sua decadenza. _Q_ue
sta non è una patente contradx'q'one ? Quando
si vuol sostenere un’opinione bisogna ben Pro
varla, e non contraddirsi, come fa talvolta
il N. ‘41
RISPOSTA.
Il Giornalista somiglia a quel Margita si ce
lebrato dai maestri di rettorica del secolo scor
so, il quale, quando vedeva incurvarsi sotto
l’acqua una parte del suo bastone , in vece d’
attribuirlo ad un’inganno della propria vista,
credeva, che il bastone si fosse realmente sotto
l’ onda incurvato. Non avviene altrimenti delle
contraddizioni, che vede ne’ miei sentimenti il
Giornalista , ma ch’ esistono soltanto nel di lui
cervello . Due proposizioni hanno dei rapporti
alquanto lontani, ma conciliabili fra loro , non
si scorge da chi legge il filo, che le avvicina
o per pochezza d’ ingegno, o per precipitazione
di giudi2î0, e tosto grida contraddizione. Quin
di questa sorta d’ accuse deve essere, ed è mol
IO
361:
to frequente presso certa classe di Censori; i
quali veggono ne’ libri i pensamenti degli Au
tori eome gli itterici veggnno negli oggetti la
giallezza onde sono tinti gli umori de’ propri
occhi. Ma esaminiamo ora quelle che mi ven
gono imputate, e incominciamo dalla prima.
Trova un’opposizione il giornalista ne’ miei sen.
timenti, perché avendo resa imprima la dovuta
giustizia ad una quantità di professori viventi
separandoli dai mediocri, sostengo poco dopo:
che la maggior parte delle fine«e armoniche ,
onde vanno tanto superbi i moderni maestri in
vece di provare il miglioramento del gusto al
tre non provano, cbe la sua'decaden(a. Se
quest’ ultima proposizione cadesse su quegli stessi
maestri, ch’ io separai dai mediocri, il giornata
lista avrebbe ragione di dire , ch’io era in con
traddizione con me medesimo; ma cadendo, co
me cade in fatti, sui mediocri, in vece di pro
vare, ch’io mi sono contraddetto altro non pro
va, se non ch’egli precipita i suoi giudizj e le
sue censure . Si ricorra alla pag. 130. del mio
secondo Tomo; e si vedrà che dopo aver ter
minato il catalogo dei valenti profess0ri , che
meritano, a mio avviso, d’essere separati da
gli
362.
gli altri, soggiungo: sarebbe più facile ad una,
ad una noverar le stelle, c11e il fare partita
mento men<ione di tanti altri compositori, o ese
cutori più giovani, che sotto la scorta degli
accennati maestri coltivano quest’ arte deli(iosa
in Italia. Ma l’andare più oltre nè piace, né
giova, non essendo il mio scopo il tessere una
nomenclatura , od un catalogo, ma presentare
soltanto agli occhi de’ lettori una rapida prospet
tiva. Quello, che in generale può dirsi è che
nelle mani loro, (cioè non de’ maestri accen
nati prima ma di questi secondi) la musica
acquista a certi riguardi una maggiore belle('
(a mentre la va Perdendo a certi altri. Dopo
alcune righe dove continua sempre senza inter
ruzione il sentimento medesimo viene l’ altra
proposizione citata dal giornalista. Dov’è dun
guc, o Manfredini dolcissimo, la patente con
“addizione?
GIORNALISTA.
5’ egli vuol sostenere, per esempio, che la
musica sia decaduta; perc/Jè nel primo Tomo
parlando della melodia si è lasciato uscir di
penna il seguente paragrafo? Essa è l’unica
pat
36;
parte della musica, che cagioni degli effetti mo-'
rali nel cuor dell’uomo, i quali oltrepassano
la limitata sfera dei sensi, e che trasmette ai
suoni quell’energia dominatrice, che ne’ compo-,
nimenti s’ ammira‘de’ gran maestri. ( T. 3.
pag. 177.) Se non cui fosse come si potrebbe
ammirare ?
RISPOSTA.
GIORNALISTA.
E più oltre parlando della melodia in Con
trappumo si spiega come segue. Si badò sopra
tutto a conservar l’unità nella melodia , regola
fondamentale di musica, come lo è di tutte
quante le belle arti, la quale consiste nel ri
volgere verso un’ oggetto tutta l’attenzione , e
tutto l’interesse dell’uditore, nel rinforzar il
motivo dominante, ovvero sia il canto della
parte principale con quella di ciascuna in parti
co
365
colare, e nel far si, che l’armonia, il movimen
to , la misura , la modulazione , la melodia , e gli
accompagnamenti s’acconsentano scambievolmen
te, e non parlino, a così dire, che un solo lin
guaggio. Codesto Pregio che non sembra a pri-.
ma vista, ne straordinario, nè difficile ad Ot!
tenersi, è nulla meno uno degli sforzi più gran
di, ch’ abbiano fatto i moderni italiani. Basti
questo solo saggio di contraddiq'oni per far ve
dere, che il Sig. vfrteaga non doveva depri
mere quelle cose, che prima egli avea lodate
con tanta eloquenza. E s’ egli ci dirà, che s’
intese di Ioa'ar la musica de’primi inventori
del buon gusto, come di un Pergolesi, di un
Leo cc. e non la nostra; noi gli risponderemo
lo stesso, che già si rispose ad altri nella
summentovata nota 13. del nostro Libro Rego
le armoniche, cioè, che la musica d’ allora in
poi avendo sempre guadagnato, non èstata mai
tanto eccellente, come lo è presentemente.
RISPGSTA.
E dov’ è mai in queste parole neppur un’
ombra di contraddizione. Ho detto, che uno de
gli sforzi più grandi, che abbiano fatto i mo
derni
366
derni italiani, è' quello di conservar, l’unità del
la melodia; ho inteso nel luogo citato (T0m. z.
pag.)per moderni italiani, lo Scarlatti, il Leo,
il Vinci, il Pergolesi, e più altri di quell’età;
non ho mai smentito il giusto elogio dato a
que’valentuomini , dove dunque si trovano de
presse da me quelle cose cb’ia aveva lodato?
Ma io ho depresso alcuni compositori della no
stra età? Ebbene il lodare gli Scrittori d’un
tempo, e il biasimare alcuni d’un altro è for
se un contraddirsi? o pretenderebbe il giornali-V
sta che per non essere in opposizione con me
medesimo avessi io dovuto confondere i coma
positori d’ allora coi compositori di cinquanta
anni dopo.J La pretensione sarebbe tale che
non meriterebbe risposta. Circa i guadagni,
e le perdite che ha fatto la musica dai tem
pi del Pergolesi, e del Vinci insino a’no
stri giorni, io ho detto il mio sentimen
to nell’ ultimo paragrafo del secondo Tomo a
Se il Manfredini non lo trova giusto, re
chi in mezzo fedelmente le mie ragioni, le
combatta , e poi la discorreremo. Ma non si
contenti di dirci un si, e un nò, poiché il sì,
e il m) in buona logica lasciano le cose come
il
367
si stavano. E se il ragionare gli costa fatica}
tralasci di fare il censore, e il Radamanto dei
gli altrui Libri colla sicurezza, che la Repubblù
ca letteraria ne farà piccolissima perdita.
GIORNALISTA.
Non ci sembra neppur ben provato ciò, cbe
asserisce il Sig. theaga, cioè .‘ L’ amor del
piacere che ricompensa gl’ Italiani della perdita
della loro antica libertà, e che va del paro in
una nazione coll’annientamento di pressoché tut
te le virtù politiche, ha fatto nascere la frc.
quenza degli spettacoli.... In ogni piccola Cit«
tà, in ogni villaggìosi trova inalzato un Tea.
tro .. .. Il popolo italiano ora non chiede, che
Panem, ('9' Circenses , come facevano i Roma
ni a’ tempi di Giovenale. ec. Ella è cosa in.
certa, se ogni villaggio, ed ogni picciola Cit
tà abbia il Teatro _; ma egli è ben certo, cl):
1’ abbondanza dei Teatri, e la frequen<a degli
spettacoli quando però non sia eccessiva, prova
piuttosto l’avanzamento, cbe- l’annientamento
delle virtù politicbe d’un Paese; mentre se
per istruire, e- incivilire gli uomini giovano an
cbe molto le buone rappresentazioni teatrali ;
CI€
.
L)’ _.
568
È se gli spettacoli sono necessarj, evantaggiosi
ad una colta nazione per riunirla e per tratte
nerla con qualcbe onesto ed utile passatempo,
crediamo appunto, che ancbe perciò l’ Italia pos
sa dirsi fortunata; conciosiacbè se adesso più
cbe in passato abbonda di Teatri, e di spet.
tacoli , abbonda ancora degli ornamenti più es
senziali, cioè di Università, di Accademie,
di Scuole, di Stamperie, di Spedali , di altre
pie istituzioni, e di uomini sapienti in ogni fa
coltà, dei quali pregj tutti, se gli stranieri
stessi, quelli che sono giusti , ed imparàiali
non ne fossero‘perswsi non verrebbero si spes
so in Italia, cbi per vederla, e goderla, 6’
obi per istruirsi.
/ RISPOSTA.
Il Giornalista entra nelle regioni della filo-v
sofia, come iSoldati di Goffredo entravano
nella seiva incantata . Sarebbe una scipitezza il
trattenersi a combatterlo seriamente, giacché
non si saprebbe come né da qual banda afi’errav
lo non trovandosi nel suo scrivere la menoma
analisi, la menoma connessione. Per far cono
scere il guaznguglio d’idee, che regna nelle
sue
, qf_,.,.
f» - -«-.i., _\_._g ’_-,/”
- - -W’
’ 371
in Italia vi saranno degli Speciali, delle Scuole,
delle Stamperie, e delle Università , come vi.
son dappertutto, nè penso, che il desiderio di.
vedere tali cose gli spronerà a partire dal pro
prio paese; ma che ha da fare tutto ciò colla
prima proposizione, che doveva dimostrarsi fal
sa cioè: l’amor del piacere ba fatto nascere la
frequenza degli spettacoli? La dialettica del
Manfredini ha l’arte di raccozzar le cose come
si trovano raccozzate in quel verso del Bur
chiello
Zaflir'i, crinali, ed ava sode.
GIORNALISTA.
E lo sterso Sig. v4rteaga .re" non ci fame
venuto da giovine, non ci avesse fatti i suoi
nudj, e non dimorano ancora fra una nazione
ricca in ogni coltura, (quantunque si veda ne’
suoi scritti , che non l’ ho per ano/fio conorciuta , )
non avrebbe potuto diventare quo/1’ uomo eru
dito, e virtuoso, ch’egli è .
RISPOSTA.
Anche qui sembra, che il giornalista amico
di sollazzarsi abbia z<;iuocato al giuoco dei pe
A3 2 gni,
372
gni , e che per riscuoterne qualcheduno de’ suoi
gli sia stato imposto per penitenza, che dica
una lode , e un biasimo. Lo ringrazio quanto
debbo , e debbo ringraziarlo moltissimo per la
prima , la quale cortesemente mi dispensa sen
za meritarla; e in quanto al secondo compreso
nella parentesi mi protesto che attenderò per co
noscer meglio , la letteratura Italiana, chel’eru
ditissimo Sig. Manfredini, della cui estesa , e
profonda dottrina in ogni ramo dell’ italico sa
pere ha l’Europa tante luminose e replicate pro
Ve, mandi in luce una storia generale di essa,
che ci faccia dimenticare quella del Tiraboschi.
GICRNALISTA.
373
emppo ci 'uorrebóe , se tutte ‘uoleUima qui n'
portarle.
RIS P0STA .
Più d’un osservazione può farsi intorno alle
precedenti parola Ne’ tre seguenti Capitoli del
secondo Tomo dell’edizione bolognese non vi
sono secondo 1’ Estrattista tante opinioni, che
gli facciano dubitare della loro certezza: pure i
principj, ond’io parto, per esaminare lo stile
del moderno canto italiano sono gli stessi stes
sissimi, che mi serviron di scorta per disami'
nate lo stile delle moderne composizioni. Se
questi sono falsi, anche falsi devono essere
quelli del canto, e se non si può dubitare del
la certezza de’secondi, non può nemmen rivo
carsi in dubbio la certezza de’primi . Nulladi
meno il giornalista accusa di false, e d’ in;on
cluden:i le mie riflessioni intorno ai composi
tori , e trova poi tante belle verità nel capi
tolo dove si parla dei cantanti. Che vuol dire
questa incoerenza? Forse ch’ei non ha letto
con attenzione quel capitolo, 0 che non 1’ ha
inteso?
Si mostra inoltre molto soddisfatto di quan
to dissi intorno all’ infame usanza dell’ew'ra
A a 3 _ (i0
--._h-‘W'___ _
374
{ione ; ma non creda il lettore, che ciò sia
per farmi una grazia. Il giornalista ha le sue
cagioni segrete, onde bramare di vedere al
quanto umiliati cotesti evirati. Uno di essi cl):
be la temerità di rivedere ben bene i conti al
Signor Manfredini mostrandolo agli occhi del
Pubblico ignorante ne’principj della scienza del
canto, (*) quindi l’astio del Manfredini contro
gli Eunuchi. Lo compatisco. Se Martano fosse
giunto una volta a buttar giù dall’arcione Ri
naldo, Rinaldo avrebbe ragione d’ impallidire
ogni qual volta sentisse nominare Martano.
GIORNALISTA.
Solo non avremmo voluto udire, che uno il
quale ha pretesa di unirsi al Sig. Borsa per
facciare i moderni Scrittori italiani di neolo
gismo straniera: chiamasse ressorti della virili
tà le parti nobili dell’ uomo, essendo verofran
cesismo la parola ressorti, e non ahhisognando
ne la nostra ricca fave/la.
RIS
* . - . . . . v -
( ) Vedi Giambattista Mancini nelle nflessxom
pratiche sul canto figurato. '
F') l l
“ 375
RISPOSTA.
L’espressione ressorti della virilità è stata
cangiata in sorgenti della virilità nella veneta.
edizione . Se il Manfredini avesse, ( siccome il
pregai espressamente per lettera,) compilato
1’ Estratto della mia Opera sull’ edizion veneta
anzicbè sulla bolognese, il secondo tomo della
quale fui costretto per motivi, che non sono
di questo luogo a non riconoscere per mio;
avrebbe ora risparmiato questa frivola riprensio
ne. Ma in tal caso avrebbe preferita la gloria
d’ esser cortese e gentile alla meschina, e mise
rabile compiacenza di criticare un francesismo
nel libro d’un’ Oltramontano, compiacenza a
cui difficilmente resiste quella genia di perso
ne, che vive delle secrezioni dei talenti, come
i corvi, e gli avoltoj si pascono della carne in
fracidata dei cadaveri.
GIORNALISTA.
Nè si vorrebbe, cb’egli avesse asserito: che
la musica non sa accompagnarsi colla poesia sen
za portar seco tutto il corredo degli abbiglia
menti, e per conseguenza senza opprimere la
Aa 4. com
376
compagna, e a guisa dell’amore ella non sa rei
gnare che sola. No .' questo non sembraci vero.
La musica può regnar sola, ma non vuole , e
sanno benissimo i òravi Maestri, che dessa ha
sempre più eflicaoia, ed espressione, quand’ è
unita alla poesia .
RISPOSTA.
Non mi saprebbe dire il lettore , quale fos
se in questo paragrafo la confutazione, e quale
la cosa confutata? Io aveva detto, che la mu
sica, cioè non la musica in genere, mala trop
po sfarzosa e brillante, non sa accompagnarsi
colla poesia senza opprimerla. Il Giornalista
risponde che non è vero; e perchè? percbè la
musica può regnar sola, e perobè i maestri
sanno benissimo, cb’ ella è più eflicace, ed
espressiva quando va congiunta colla poesia.
La mia proposta era, che la musica al di d’
oggi afl'bga le parole. La risposta è, che la
musica può ‘star da per se, e cbe‘ ba più for
qa quando s’ unisce alle parole.
La raison di! Virgile , (9‘ la rime ,Q_uinautj.
GIOR
)p-
375
GIORNALISTA.
Egli è ancor d’opinione, ebe la divisione in.
recitativo semplice, obbligato, ed aria, di cui
è formata la nostra Opera non fosse la stessa
presso i Greci, ma noi ci uniamo piuttosto al
parere del .S’ig. vavocato Mattei, e crediamo
sbe fosse la stessa stessissima.
RISPOSTA.
379
e a prestar fede a que’dotti commentatori, l’os
servazioni de’ quali non ci fanno punto vedere
ne’ drammi greci quelle rassomiglianze coi nostri
ch’egli pretende che vi siano. Per esempio.
Nella prima Scena dell'Atto IV. dell’Ecuba d’
Euripide tradotta dal Signor Mattei con molto
brio, e molta disinvoltura trova egli ‘ un duet
to in due versi greci d’ Euripide tradotti da
lui in questa guisa:
«fhi chi udì, chi vide mai
Chi provò di quel ch’ io sento
Ecuha Un afl‘anno, ed un 'to'rnienro
ed uno a 2 Più terribile e erudel ? '
rlel coro Se dell’ospite infedele
Non punite il tradimento
Ah che fate, 0 Numi , in Ciel?
ma con quali argomenti si prova, che l’aria
qui esposta sia un duetto? I. Nel testo greco
le parole si mettono in bocca d’ Ecuba- 2.. in
nessuna edizione d’Euripide s’ applicano al coro
e alla confidente. 3.i versi sono giambici, co
me tutti gli altri di puro recitativo, non ana
pestici o lirici d‘ altra natura , quali essere do
vrebbono se formassero un duetto. 4. il senti
mento non indica per niente, che qui vi deva
es
380
essere un duetto. Ecco la traduzione letterale
dalla quale si è scostato un pò troppo il Signor
Mattei. Cose infami, inaudite, da farne stu
pire, inique, insopportabili .’ Dove sono 1' ca
stigbi contro gli ospiti? Lo stesso dico del fi
nale che il traduttore mette in bocca di tutti al
terminarsi la scena, quantunque non vi sia edi
zione , che non lo ponga in bocca della sola Ecuba ,
e dovendosi considerare manifestamente quelle pa
role come una continuazione del senso anteriore.
Nella seconda dissertazione dice molte belle
cose, parte delle quali mi sembra vere, e par
te nò intorno allo stile drammatico-lirico in
generale, e intorno a quello de’ Salmi in parti
colare, ma io non ho saputo rinvenire il luo
go, dov’ egli secondo il giornalista asserisca,
cbe la divisione della nostra opera in recitati
vo semplice, recitativo obbligato, ed aria fosse
la stessa stessissima presso ai Greci. Quanto
a me ho ritrovato bensì la distinzione tra il re
citativo, e l’aria come l’ho fatto distesamente
vedere nella lunga nota posta alla pagina cin
quantesima terza di questo Volume, ma non
m'è venuto fatto di ritrovare la differenza tra
il recitativo semplice, e l’obligato.
GIOR
f.)‘
381
GIORNALISTA.
Soggiunge ancora ( ibid. ), cie un Dramma
di Metastasio moverà le lagrime leggendolo, e
sentendolo cantare sarà indifi”erente: ma ancor
questo ci sembra un inganno, mentre se il dram.
ma sarà ben accompagnato dalla Musica e be.
ne eseguito dai professori , toccherà assai di più.
RISPOSTA.
3%
pochissima connessione fra loro come hanno faté
to il Calsabigi, e il Conte Rezzonico; e così
la tragedia musicale, che fra le mani dell’illu
stre poeta cesareo avea toccato la perfezione di
Sofocle , e d’ Euripide, è ritornata un’altra vol
ta ai tempi di Eschilo. Al vedere l’ignoranza
che mostra di tutte queste cose il giornalista
non si crederebbe, ch’egli fosse un Maestro di
musica de’ nostri tempi, ma che simile al gre
co Epimenide si fosse addormentato quaranta,
o cinquanta anni fa, e che avesse prodigi05a
mente continuato il suo sogno fino’alla matti
na, che compilò 1’ Estratto.
GIORNALISTA.
Quindi non è colpa della Musica, se tante
volte le 0Pere sono malamente composte, epeg
gin eseguite, c la questione non consiste nel de
cidere , se i Drammi, che ora si rappresentano
son male Composti, e male eseguiti, che questo
pur troppa succede spesso ; consiste nel definì.
re, se abbiamo adesso una buona poesia, e ma
sica teatrale, in favor di che le Opere del
gran Metastasio, e di qualcun altro , e l’eccel
lente musica di tanti bravi Maestri parlano ab
ba
384
?astan(a. La scarse((a dei bravi artisti non
può mai derogare alla perfezione d’ un’ arte;
anzi ci sembra, che questo appunto sia un se.
gnu del suo valore sublime ; mentre il diven
tare artista, quando l’arte è ancor fanciulla,
è facile a molti; ma diventarlo eccellente,
quando l’arte è quasi giunta alla perfezione ,
è fortuna di pochi. Pauci quos aequus amavit
]upiter.
RISPOSTA.
I___
385 - “ ” :
essi soli eguaglia: l’epoca di Tolomeo Filadel
fo a quella di Pericle, e di. Filippo;
E‘ inoltre da osserVarsi, che il giornalista,
il quale finora altro non ha fatto, che mèna‘r
rumore, perchè mi sono mostrato poco conten
to dello stato presente della musica, conVie‘nÎc
ora meco intieramente acc0rdandomi, che siamo
nella scarse(<a de’bravi artisti, e che 1’ Opere
ebe al presente si rappresentano sono mal tom
poste, e peggio eseguite.
Q_uo teneas vultus mutantem Protea nodo?
GIORNALISTA.
E’ ancor di parere uniforme il .S‘ig. thega
al P. Martini, e a qualcun’altro, cioè, cbe la
Musica non abbia un gusto fisso: cbe le com.
posizioni dei primi Maestri del nostro secolo sie.
no già divenute anticaglie.‘ e che lo stesso suc
cederà alle migliori, cbe si compongono presen
temente, e tutto ciò , percbè ‘vi è molta Musi
ca, tanto antica, cbe moderna assai mediocre,
e in werisimile , non essendo adattata niente af
fatto alle parole, e agli oggetti, else deve imi«
tare ec. Ma percbe‘ parlar di questa, e non del
la buona? Non segue forse lo stesso nelle al
N'B
_V
’vv‘: =._..2-a «4:4.
387
tre arti rappresentative? Per una Venere me
dicea, per un MIPo/line di Bel‘vedere ec. cc.
quante statue inferiori di gran lunga a queste
non abbiamo. Per una Madonna di Corregio,
un 5‘. Pietro di Guido et. non son quasi infi
nite le pitture mediocri, cb’ esistono? Per finir
dunque ripeteremo solamente ciò, cbe già sidis.
se nella più volte citata nota 13. delle Rego.
le arrnonic/Je, ed in un’altra Estratto incluso
in questo Giornale al N. VIII dell’ anno scorso,
cioè, che quello, cb’è veramente buono, e bel
la in qualunque arte resta sempre tale; che la
Musica, essendo un’ arte nuova, o rinnovata,
i suoi perfetti monumenti non vpossono essere sì
R I S P () S T A .
Io non mi sono contentato di dire, che la
nostra musica non ha un gusto fisso. Ho cer
cato di provarlo adducendo delle ragioni, e in
dicando delle viste filosofiche su tal proposito,
che mi lusinga non saranno riputate triviali da
chi è qualche cosa di più che cattivo compila
tore di Estratti. Siffatte ragioni si trovano dal
la pag. 82. fino alla 89. del presente volume,
ed ecco il perché mi dispensa dal riportarle qui
di nuovo. Ivi pure si trova prevenuta, e di
sciolta 1’ obbiezione del giornalista tratta dal
paragone della pittura, e della scoltura; obbie
zione, che forse non gli sarebbe mai venuta in
mente se non l’avesse letta nel mio libro. Ma
desideroso di comparire sulla fine dell’Estratto,
quali: ab incePto procenemt non adduce veru
na delle mie pruove, non si fa carico dei fon
damenti su cui s’appogiano le mie opinioni,
lascia a capriccio , e muta ciò, che non inten
de, 0 che non fa per lui, ricorre a luoghi co
muni
.. ! .-a_-,nn - __ fxs_€_:"'fl-\ Î.
389
muni nel confutare, e riempie le mezze pagine
di declamazioni fuor del luogo , o di critiche
frivolissime che spariscono da se tostochè si so
no rilette le mie parole . E‘ poi una incoeren
za delle molte, in cui è solito d’incorrere il
logicismo Estrattista, il dire che le composizio
ni del Pergolese, e del Leo fra gli altri potran
no sempre servire di classico esemplare ai gio
vani, che volessero diventar eccellenti nell’ arte
di comporre. E non m’ha egli ripreso in altro
luogo, perchè ho lodato la musica del Pergole
-"'a e del Leo a preferenza di quella de’ nostri
tempi? Ecco le sue parole. E se il Signorvlr
tenga ci dirà, che s’intese di lodar la .M'usica
de’primi inventori del buon gusto come d’un
Pergolese, e d’un Leo cc. e non la nostra;
-noi gli risponderemo lo stesso, che già si ri
spose ad altrui nella summentovata nota 13. del
nostro libro Regole armoniche, cioè cloe la mu
sica d’allora in poi non è stata mai tanto ec
cellente, quanto lo è presentemente. Ora se la
nostra musica ha sempre guadagnato dai tempi
di Pergolese, e di Leo infino al presente, e se
trovasi attualmente nella sua eccellenza, perché
non trarre i classici esemplari dalla nostra musî
Bb; ca,
- ' M ____«-.'
flf_\»l%àì.\awwfi
"" 39°
ca , da loro anzichè da quella degli inventori del
buon gusto? O se Pergolesi, e Leo devono servire
di esemplare, e di modello alla gioventù, co
me può darsi , che la musica abbia sempre gua
dagnato dopo loro, e che si ritrovi nella sua
eccellenza, ora che tanto s’è allontanata dal su.
ero di quei classici Scrittori? Contradizioni im
felici!
Mi pare d’ aver partitamente risposto alle op,
posizioni fattemi dall’Enciclopedico giornalista.
Tocca ora ai lettori giudizìosi, e imparziali,
( i soli al cui suifragio io aspiri ) il riflettere
con quanta ragione avesse il Signor Manfredini
promesso fin dal principio del suo Estratto di
.fegregare il vero dal falso, in cui pur troppo
.\'e rari sono gli autori, clae non w’incorrinv,
quanta più facilmente al caderà quello, che
trattii d’ una cosa non ma. Se l’amor proprio
non mi seduce mi sembra però che l’Autore,
che tratta di una casa non ma, ha evidente
mente mostrato al giornalista dotato di tanto
Va‘<lucinlo, e di tanta dose di cognlglom’ musi
cali che il ragz'acînio di lui è inconcludente,
frivolo, e contrario alla buona logica, e che la
sua dose di cagnigioni musicali, e molto scarsa
in
" -"_‘M
"_ "--<./Àofi-le Il
.Ùà_fi_ _
P;.ca _,aff_ a. ,._... "H - '_J- ' - . . -.
39I
in ciò che spetta la parte filosofica storica , e cri
tica della Musica, i soli aspetti cioè, sotto i
quali venga riguardata quell’ arte nell’ Opera del
le Rivoluzioni. Ciò mi fa sperare che il Signor
Giornalista diverrà un pò men baldanzoso per l’
avvenire, e che uscirà dalla persuasione in cui
è che il saper combinare bene o male dei die
sis, e dei bemolle gli dia un diritto d'infallibi
ma quando parla a coloro, che non sono della
professione. Se questi devono avere la pruden
za di non mischiarsi del tecnico e nel pratico
dell’armonia, per non precipitar negli sbagli
( dei quali per altro il Giornalista non ha sa
puto ritrovare neppur un solo nel mio secondo
volume ) i Maestri devono guardarsi non me
no dal farla da filosofi, da eruditi, e da meta
fisici nell’arte propria per non palesare la pro
pria ignoranza. Tocca, dice Giovambattista,
Rousseau a’poeti far la poesia, e a musici far
la musica , ma non s’ appartiene cbe al filosofo
il parlar bene dell’una e dell’altra.
TA
392
TAVOLA
Dei Capitoli contenuti nel terzo Volume.
CAPITOLO DECIMOQUARTO .
Seconda causa: Vanità ed ignoran(a dei Can
tori. Analisi del canto moderno. Riflessioni
sui giudi(j popolari, e sulla varietà dei gu
sti musicali. Pag. 3
CAPITOLO DEGIMOQUINTO .
Ter<a causa. dleandono quasi totale della
poesia musicale. Esame de’ più rinomati poe
, ti drammatico-lirici dopo il Metastasio. Sta
to dell’Open: óufla._ 91
CA PITOLO DECIMOSESTO .
Ragionamento sopra il Ballo pantomimico. Del
la sua applicazione al Teatro. Se convenga,
o no , bandirlo dal melodramma. 152
CA
393
CAPITOLO DECIMOSETTIMO
ED ULTIMO .
A“YERQ
294
AVVERTIMENTO.
Alla pagina LI. del Primo To'rho dove dice nel-’
la Nota vi sono nell’aria delle Particole o
delle corde aeree per ciascun colore si 'ooi'4
regga vi sono nell’ aria delle Particole odell
le corde acre per ciascun suono come vi sono
de’globetti o Panico/e eteree per ciascun rag
. giù ‘colorato.
Alla 1P38i08 se. nella stessa Nota dove dice per
ese‘mjz’lo, in, re, mi, 'fa, sol, la, ut si leg
ga per esempio, ut, re,- mi, fa, sol, la,
si, ut.
Alla pagina 18;. dello stesso nel fine della no
ta sopra l’Abbate Andres dove dice ad ogni
arrivo d’ un novello cometa si corregga ad ogni
arrivo d’una nuova cometa.
Nel Tomo secondo alla pagina 277. linea 16.
in vece di violone leggasi violino.
Nel Tomo Terzo alla pagina 7. seconda linea
si legga in vece di Esteri infelici, Esseri
men colpevoli clze infelici.