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L’adempimento.

Le modalità di adempimento.
Il tempo e il luogo dell’adempimento.

Il nostro studio si è concentrato sulla comparazione tra le modalità di adempimento


nel diritto inglese e nel diritto italiano. Per il buon esito del nostro lavoro, dunque,
occorre preliminarmente analizzare le fondamenta di quegli istituti giuridici del
common law che appaiono, almeno in principio, radicalmente diversi da istituti del
civil law con funzioni analoghe, così da poter finalmente entrare, senza rischiare di
inciampare in equivoci, nel vivo della comparazione.
La dottrina italiana definisce l’adempimento “forma di estinzione tipica, perfetta,
dell’obbligazione”, con la quale il debitore viene liberato e il creditore sodisfatto.
Fonti dell’obbligazione, citiamo l’art. 1173 del Codice Civile, sono il contratto, il
fatto illecito e ogni altro fatto o atto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento
giuridico. Tra questi, il contratto è certamente lo strumento prediletto dalle parti per
incidere sulle rispettive situazioni giuridiche, in quanto l’ordinamento, con l’art.
1322, attribuisce a queste ampia autonomia contrattuale, che si concreta nella libertà,
innanzitutto, di vincolarsi unicamente se vogliono, e poi di dare ai propri accordi il
contenuto che preferiscono. Questa libertà si realizza massimamente nella possibilità
di concludere anche contratti che non trovano un’espressa disciplina nella legge
(cosiddetti contratti atipici o innominati), purché l’interesse perseguito dalle parti sia
meritevole di tutela secondo l’ordinamento. L’art. 1321 ci dà finalmente la
definizione di contratto, ossia “accordo di due o più parti per costituire, regolare o
estinguere un rapporto giuridico patrimoniale”: il contratto stesso si identifica con
l’accordo delle parti.
Ben altra, invece, è la concezione del contract. La formula proposta dal Pollock, ed
oggi accolta in Anson e Chitty, recita che “il contract sia la promessa di un impegno o
un insieme di promesse che la legge farà valere”. Il Prof. Treitel, poi, affermando che
il contract “risulti da un accordo”, pone la sua base nel consenso: possiamo dedurre
che il contract sia un rapporto di scambio fondato su un accordo, dove l’agreement
sia l’elemento causale e il contract l’elemento effettuale.
Occorre, poi, dedicare qualche battuta al tentativo, arduo per noi giuristi, o aspiranti
tali, di civil law, di illustrare cosa sia la consideration, premessa necessaria per
procedere, finalmente, all’illustrazione delle varie modalità di adempimento, in
quanto la consideration rientra tra gli elementi essenziali del contract, costituendo,
potremmo dire, l’anima di questo. Si riscontrano diverse definizioni di consideration,
tra le quali, purtroppo, nessuna esauriente. Il giudice Lush, nella causa Currie vs.
Misa (1875), afferma che la consideration consista in un diritto, interesse, vantaggio o
beneficio ricevuto da una parte ovvero in una tolleranza, in un sacrificio o in una
perdita concessa, subita o sopportata dall’altra.Wilson, poi, aggiunge che la
consideration può consistere anche nella semplice promessa dell’adempimento di una
prestazione. Il giudice Patterson, inoltre, nella causa Thomas vs Thomas (1842),
apporta un importante contributo, sostenendo che la consideration consista in

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qualcosa che sia economicamente valutabile agli occhi dell’ordinamento e tale da
importare o un “vantaggio” (profit) per l’onorato ovvero un “sacrificio” (detriment)
per l’onerato: questo principio non può che esserci familiare, dato che l’art. 1174
sancisce che la prestazione che forma oggetto dell’obbligazione debba essere
suscettibile di valutazione economica e debba corrispondere ad un interesse, anche
non patrimoniale, del creditore.
Per la sussistenza del rapporto contrattuale, dunque, occorre che la consideration,
oltre ad essere suscettibile di valutazione economica, sia fatta dall’un contraente
(onerato di essa) come contropartita dell’impegno dell’altro (onorato di essa) e
corrisponda ad un interesse anche non patrimoniale di quest’ultimo: ciascun
contraente sarà contrattualmente vincolato alla sua promessa solo se ed in quanto la
controparte avrà eseguita o si sarà impegnata ad eseguire la sua prestazione. Emerge,
dunque, il valore funzionale che ha la consideration nella costituzione del contract
come elemento necessario per garantirne la natura di scambio: ecco chiarito che la
giuridicità del contract è giustificata dal concreto interesse a che sia tutelato il
sacrificio cui ciascuna parte si sottopone in vista della consideration dell’altra, e,
quindi, nella fiduciosa prospettiva di compiere un atto di scambio.
Si ha propriamente bilateral contract quando sorgono in capo ai contraenti diritti e
doveri reciproci: solo con l’adempimento di ambedue questi impegni il rapporto
contrattuale si estinguerà.
Analoga caratteristica presentano quei contratti che il nostro Codice Civile, all’art.
1460, definisce “a prestazioni corrispettive”, nei quali sussiste un nesso di
interdipendenza, o legame sinallagmatico, tra le due prestazioni.
Gli articoli 1218 e 1176, caposaldi della disciplina dell’adempimento, stabiliscono
che il debitore debba eseguire esattamente la prestazione dovuta, usando la diligenza
del buon padre di famiglia, fatta salva, comunque, la possibilità che adempia un terzo.
Il pagamento deve essere fatto al creditore o al suo rappresentante (1188)
Ovviamente anche nel diritto inglese è, di regola, il debitore a dover eseguire la
prestazione, senza escludere che sia un terzo ad adempiere, a meno che la natura della
prestazione non richieda che sia il debitore, ed il debitore solo, ad adempiere.
Il pagamento di un debito di denaro può essere fatto a mezzo di un titolo di credito: in
tal caso si presume operi come “cessio pro solvendo”, così che il suo autore non si
riterrà liberato fino a che il titolo di credito non sarà onorato. Per rigettare questa
presunzione la “cessio pro soluto” deve essere appositamente convenuta (Re Romer
and Haslam 1983). Il nostro Codice Civile anche conosce tale presunzione, difatti
l’articolo 1198 precisa che quando in luogo dell’adempimento è ceduto un credito, il
cedente, salva diversa volontà delle parti, deve garantire sia il nomen verum, sia il
nomen bonum: l’obbligazione, anche in tal caso, si estingue solo con la riscossione
del credito.
Nell’obbligazione alternativa, in cui abbiamo un unico rapporto obbligatorio con due
o più oggetti, il debitore si libera con la prestazione di uno solo. L’esercizio del diritto
spetta al debitore o al creditore; eccezionalmente può spettare ad un terzo: se la legge
o la volontà delle parti non hanno stabilito diversamente, la scelta spetta al debitore
(Reed v. Kilburn Cooperative Society 1875). Anche l’art. 1286 attribuisce, di regola,
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la facoltà di scelta al debitore. Una volta che la scelta sia fatta, si dice che sia
avvenuta la concentrazione dell’obbligazione: da quel momento cessa il ius variandi e
l’obbligazione si intende come semplice. Ne deriva che se l’obbligazione non si
estingue se prima della scelta una di queste prestazioni diviene impossibile per causa
non imputabile al debitore: l’obbligazione si concentra sull’altra prestazione
possibile.
Nell’ipotesi in cui, stabilita una sola prestazione per l’adempimento, la sua
sostituzione con un’altra è possibile solo con il consenso del creditore in forza di un
apposito conctract, il quale deve pur esso costituire un “accordo compensato” e cioè
importare uno scambio nel rispetto della teorica della consideration.. La dazione in
pagamento non si identifica con l’adempimento dell’originario contract. Quest’ultimo
viene estinto con la stipula del contratto solutorio con cui il creditore accetta la datio
in solutum, mentre l’esecuzione di questa datio attua l’obbligo nascente dal contratto
solutorio. La dazione in pagamento è disciplinata nel nostro Codice dall’articolo
1197, nel quale è espressamente stabilito che il debitore non può liberarsi eseguendo
una prestazione diversa da quella dovuta, salvo che il creditore consenta. In questo
caso l’obbligazione si estingue quando la diversa prestazione è eseguita.
Sembra che emerga qui una lieve differenza tra la datio in solutum nei due sistemi
giuridici: data la diversa natura del contract, la dazione in pagamento nel common
law ha tratti più simili alla nostrana novazione oggettiva, nella quale l’obbligazione si
estingue, non con la sodisfazione del creditore, ma con l’assunzione di una diversa
obbligazione (1230), in cui manca la sodisfazione del creditore.
Circa il luogo dell’adempimento, se nulla è stabilito, esso risulterà dall’implicita
intenzione delle parti quale è possibile ricavare dal contenuto del contratto e dalle
circostanze che lo condizionano. Se non è possibile appurare tale intenzione e
l’adempimento comporti la consegna di merce comprata è compito dell’acquirente
interessarsi per la ricezione della merce (Sale Of Goods Act 1979). L’art. 1982 del
Codice Civile, invece, nel caso in cui il luogo della prestazione non sia determinato
dalla convenzione delle parti o dagli usi e non può desumersi dalla natura della
prestazione, impone che l’obbligazione di consegnare una cosa certa e determinata
debba essere adempiuta nel luogo in cui si trovava la cosa quando l’obbligazione è
sorta; l’obbligazione avente per oggetto una somma di denaro, invece, deve essre
adempiuta al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza, a meno che, se
diverso da quello al momento in cui è sorta l’obbligazione, sia troppo gravoso, ha
diritto di eseguire il pagamento al proprio domicilio, così come in tutti gli altri casi.
Quanto al tempo dell’adempimento, se questo non è fissato, vale il principio generale
secondo cui esso deve avvenire entro un ragionevole periodo di tempo, considerata la
natura del contratto e della prestazione. L’articolo 1183 del Codice Civile, invece, nel
caso in cui non sia determinato il tempo in cui la prestazione deve essere eseguita,
attribuisce al creditore il potere di esigerla immediatamente. Quando, però, sia
necessario un termine, continua l’articolo, questo, in mancanza di un accordo delle
parti, è stabilito dal giudice.
Se, invece, una data è stabilita bisogna distinguere tra common law ed equity.

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Per il common law ogni data di adempimento, in mancanza di una esplicita volontà
contraria dei contraenti, si presume essenziale per la vita del contratto (of the essence
of the contract): il suo mancato rispetto è causa di adempimento.
Per l’equity, invece, la stipulazione di una data di adempimento è suffragata da una
presunzione di non essenzialità: presunzione, però, relativa. Le corti che decidono in
equity, infatti, tengono conto della volontà contrattuale, della natura del rapporto e
della prestazione, nonché della buona o della mala fede del debitore.
La presunzione di non essenzialità della data di adempimento perde vigore nei
seguenti casi
1) se le parti abbiano manifestato una intenzione in tal senso (Hudson v. Tempo
1860)
2) se la data sia stata indicata come termine finale dal creditore al debitore che sia
già in mora per il suo adempimento (Behazadi v Shafesbury Hotels 1992)
3) se la natura del contratto o il suo contenuto o le circostanze da cui esso dipenda
rendano oggettivamente assoluta l’osservanza del tempo di esecuzione della
prestazione.
Il diritto statutario, invece, con la section 10 del Sale of Goods Act del 1979,
stabilisce che, salva diversa intenzione delle parti, la determinazione del tempo di
pagamento del solo prezzo per la compera di merci non è da ritenersi una condizione
essenziale del contesto
Nel nostro ordinamento, se per l’adempimento è fissato un termine, sancisce
l’articolo 1184, questo si presume in favore del debitore, il quale può eseguire la
prestazione anche prima della scadenza (termine di esigibilità), qualora non risulti
stabilito a favore del creditore, che può, allora, richiedere l’adempimento della
prestazione prima della scadenza (termine di eseguibilità).
L’essenzialità del termine, invece, non si presume, ma, stando all’articolo 1457, va
considerata in base all’interesse della controparte, che può comunque esigere la
prestazione nonostante la scadenza del termine, dandone comunicazione alla
controparte entro tre giorni dalla scadenza.

Adempimento del terzo


L’adempimento del terzo si ha quando un terzo,estraneo al rapporto
obbligatorio,esegue la prestazione al creditore liberando il debitore: questo istituto è
regolato nel nostro ordinamento all’ articolo 1180 del codice civile.
Anche l’ordinamento inglese riconosce questo istituto che il common law, inteso
come case-law, ha sviluppato.
Bisogna chiarire che l’ adempimento del terzo ha, ove questo sia possibile, efficacia
solutoria ponendo fine alla vita dell’obbligazione in modo, diremmo noi giuristi di
civil-law, satisfattorio,diversamente da quando si ha una modificazione soggetiva,
attiva o passiva, nel rapporto obbligatorio: difatti in questo caso il vinculm-juris si
estinguerà in modo non-satisfattorio e si noverà in un’ altra distinta obbligazione; è
importante questa distinzione in tema di responsabilità contrattuale.
Un esempio di ciò lo troviamo nel caso Stewart vs Reavell’s Garage: S porta la sua
macchina presso il garage di R per una riparazione ai freni;il garagista accetta l’
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incarico,ma precisa al proprietario della macchina,il quale in risposta non obietta
nulla,che il lavoro sarebbe stato eseguito per suo conto da un terzo
meccanico;quest’ultimo,però, fece tanto male la riparazione che il proprietario
dell’auto ebbe un incidente e subì dei danni; cionondimeno lo stesso meccanico non
fu ritenuto responsabile ex-contractu verso S, essendo rimasto estraneo al rapporto ed
avendo agito per conto del garagista il quale fu ritenuto l’unico responsabile. In
questo caso è importante sottolineare però che il garagista terzo ha agito secondo
direttiva del primo e S non ha espressamente accettato la prestazione del terzo
garagista.
Il case-law inglese ritiene necessario distinguere se l’ adempito del terzo avvenga con
o senza il consenso del creditore.
Se il creditore accetta in full satisfaction l’adempimento del terzo, l’obbligazione si
estingue anche non sia esattamente quella,o tutta quella, stabilita;le consideration per
questo agreement solutorio sono per il terzo la prestazione da lui eseguita e per il
creditore la liberazione del debitore.
Come espressamente previsto nel nostro ordinamento il pagamento del terzo con il
consenso del creditore libera il debitore senza che questi ne sia venuto a conoscenza o
contro la sua volontà.
E’ indispensabile però che il terzo adempia in nome e per conto del debitore anche
senza l’esistenza di un potere di rappresentanza, troviamo applicato questo principio
nel caso Re Lowe: Il segretario di una società approfittando della sua posizione aveva
raggirato un cliente appropriandosi della somma 16.500 sterline e la società ,non
coinvolta nella frode,aveva pagato ex gratia la somma 6.500 sterline,nonostante
questo recupero alla vittima fu riconosciuto il diritto all’ autore del raggiro l’ intera
somma di 16.500 sterline,poiché appunto quanto riconosciuto dalla società non era
stato eseguito in nome e per conte del segretario.
Un terzo può liberare il debitore di un rapporto anche senza il consenso del creditore
quando la prestazione sia soggettivamente fungibile, come nel caso della dazione di
una somma di danaro. Anson specifica: “is a matter of indifference whether the
perfomance is that of the contracting party or is nominee”
Una prestazione può risultare per ragioni oggettive soggettivamente infungibile come
ad esempio una prestazione artistica o un'altra strettamente legata alle qualità
personali del debitore oppure,quando la personalità della prestazione sia stata
convenuta nel contratto.
Un curioso reasoning riguardo questo tema lo troviamo nel caso Davies vs Collins.Un
ufficiale portò la sua divisa in lavanderia, la quale assicurava la massima cura nel
lavaggio dell’ indumento ma limitava la sua responsabilità a un massimo di dieci
volte il prezzo del lavaggio, la lavanderia in questione si affidò ad un'altra per la
pulizia della divisa ma questa smarrì l’ indumento. L’ufficiale chiese allora l’intero
ammontare alla lavanderia originale che oppose la clausola riguardante la limitazione
di responsabilità. La sentenza fu favorevole all’ ufficiale, stabilendo che la clausola
con cui si garantiva la massima cura, fosse una assicurazione alla personalità della
prestazione,giungendo alla conclusione che l’essersi rivolta ad un terzo costituiva
violazione del contratto e causa del pieno risarcimento del danno. Anche in questo
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caso possiamo osservare come i tribunali inglesi considerino in modo particolare le
clausole di garanzia.
Nel caso di adempimento del terzo osserviamo come le differenze tra il nostro
ordinamento e quello inglese siano sottili, è giunto infatti il case-law inglese a creare
questo istituto in maniera coincidente al nostro, quasi fossero espressione di una
comune ragione, un istituto in cui la giurisprudenza inglese ha superato il nostro
ordinamento, è quello dell’ adempimento al terzo.

L’ADEMPIMENTO AL TERZO
L’adempimento eseguito dal contraente debitore a favore di un terzo equivale
funzionalmente all’adempimento eseguito direttamente al creditore, ed ha pertanto
valore liberatorio per lo stesso debitore, solo se risponde ad una concessione del suo
creditore.
A tal proposito il nostro ordinamento giuridico all’art. 1188 c.c. stabilisce che il
pagamento deve essere fatto al creditore o al suo rappresentante. Questi è un semplice
esattore per conto altrui indicato dal creditore; talvolta però sono la legge o il giudice
che autorizzano l’esazione del terzo. Per la piena efficacia del pagamento è richiesta
la capacità del destinatario; nel senso che il pagamento fatto all’incapace libera il
debitore solo entro il limite in cui riesca a provare che il pagamento è stato rivolto a
vantaggio di chi l’ha ricevuto ( art. 1190 c.c. ). Secondo l’1189 c.c. estingue
efficacemente l’obbligazione anche il pagamento fatto al creditore apparente, cioè il
pagamento fatto in buona fede a colui che in base a criteri obiettivi e a circostanze
univoche appariva legittimato a ricevere. Chi ha ricevuto il pagamento poi, è tenuto
alla restituzione verso il vero creditore secondo le regole stabilite per la ripetizione
dell’indebito.
Nel diritto inglese l’attribuzione al terzo di tale potere ricettivo può essere fatto in
maniera esplicita o implicita. In particolare, è necessario che tale conferimento sia
esplicito quando, in relazione a determinate situazioni oggettive o soggettive non
esiste una relativa presunzione contraria. Ad esempio la regola generale vuole che:
“un agente autorizzato a vendere non è anche autorizzato a ricevere il pagamento”.
Contrariamente a questa presunzione negativa, esistono delle presunzioni positive,
giustificate dal conferimento di incarichi particolari, come quelli assegnati agli
“auctioneers” , ai “factors” e ai “solicitors”.
L’ auctioneer è colui che gestisce da banditore un’asta pubblica, e giacchè nel suo
svolgimento non si indica normalmente il proprietario della merce in vendita il suo
compito non è solo quello di assegnare al miglior offerente il bene affidatogli dal
proprietario, ma anche quello di incassare il relativo corrispettivo per conto dello
stesso proprietario.
Nell’ordinamento giuridico italiano, nonostante manchi una disciplina sistematica
dell’asta ( le uniche fonti sono infatti rappresentate da alcune norme del Testo Unico
delle Leggi di Pubblica Sicurezza, da alcune Circolari del Ministero dell'Interno e
delle Attività produttive e da alcuni articoli del codice di procedura civile sulle aste

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giudiziarie), il banditore d’asta ha le stesse funzioni dell’auctioneer nell’ordinamento
inglese, ovvero: stima il valore degli oggetti prima della vendita e decide il prezzo
minimo in accordo con il proprietario, organizza la vendita; recepisce i beni da porre
in vendita, sollecita i presenti a formulare offerte e gestisce la gara e provvede alla
conclusione dei contratti tra i presenti.
Il factor è colui che agisce da agente di commercio ed è legittimato a ricevere il
prezzo di una merce venduta per conto del suo proprietario salvo diversa pattuizione.
Nel nostro ordinamento giuridico, invece, ai sensi dell’art. 1742 c.c. l’agente di
commercio ha solo l’incarico di promuovere affari e non di agire per conto del
dominus nella conclusione dei contratti.
Il solicitor è colui che esercita la professione di procuratore legale, e in virtù del
potere di mandato a lui conferito, egli implicitamente può ricevere per conto del
cliente, il pagamento dei crediti stessi.
Nell’ ordinamento italiano, invece, la Legge 24 febbraio 1997 n. 27 ha soppresso la
figura del procuratore legale. Prima dell’entrata in vigore di tale legge le funzioni di
rappresentanza e assistenza processuale facevano capo a due figure professionali
autonome e distinte : il procuratore legale (che incarnava il potere di rappresentanza,
ovvero quel poteri che permetteva al difensore di agire in nome e per conto della
parte stessa nel processo e che veniva conferito dalla parte al difensore mediante
procura) e l’avvocato ( il giureconsulto vero e proprio, che era tenuto a fornire
assistenza giuridica e consigli alla parte; tale potere di assistenza veniva conferito con
un mandato ma che non avveniva con le rigide forme della procura). Concludendo, il
nostro sistema normativo prevede ora l’unica ed onnicomprensiva figura del
difensore.

Cooperazione del creditore ed offerta di adempimento

In molti casi la prestazione contrattuale non può essere eseguita senza la


cooperazione del creditore .
In tali casi , laddove la necessaria cooperazione difetti, assume rilievo l’offerta di
adempimento , la quale di per sé, non è altro che un avvio all’attuazione dello
stesso adempimento.
D’altra parte occorre che l’offerta sia fatta con il serio intento di adempiere
l’obbligazione: non basta dire a parole di essere disposti a pagare o fare la mossa
di mettere le mani in tasca per prendere il portafoglio.
L’offerta in ogni caso, per essere rilevante, deve avere per oggetto l’esatta
prestazione dovuta e non solo una parte di essa o di valore maggiore.
Anche nel nostro ordinamento sappiamo che il debitore non può liberarsi eseguendo
una prestazione diversa da quella dovuta, anche di valore uguale o maggiore, salvo
che il creditore non consenta tale sostituzione.
Il nostro Codice Civile tratta della mora del creditore (mora accipiendi o mora
credendi) all’art.1206. Infatti questa implica un ostacolo all’adempimento che
dipende dalla non cooperazione del creditore.
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Il creditore è in mora quando, senza legittimo motivo, non accetta di ricevere il
pagamento offertogli, oppure non compie quanto è necessario perché il debitore
possa adempiere l’obbligazione.
L'articolo 1206 del codice civile indica le condizioni alle quali può aversi mora del
creditore; si tratta di una situazione atipica in cui il creditore, invece di ottenere
quanto gli è dovuto, rifiuta o ostacola l'adempimento del debitore.
Questa situazione, per quanto paradossale possa sembrare, spesso si verifica nella
realtà, in quanto il creditore, per i motivi più vari, cerca di mantenere una posizione
di supremazia nei confronti della persona del debitore, supremazia che appunto gli
deriva dall'esistenza del vincolo obbligatorio.
Il codice civile parla di " mora del creditore " accostandola, almeno dal punto di vista
terminologico, alla ben più frequente mora del debitore.
In realtà si tratta di situazioni completamente differenti, perché il creditore non è
obbligato ma solo onerato a ricevere la prestazione, mentre il debitore è obbligato ad
adempiere; tuttavia il comportamento del creditore può causare difficoltà e danni al
debitore che per questo motivo deve avere il modo di liberarsi dall'obbligazione
anche quando il creditore non voglia.
Per aversi la mora accipiendi è necessario che il debitore faccia una offerta al
creditore e l’offerta della res debita dev’essere solenne.
(L’offerta solenne ha caratteristiche diverse secondo il tipo di prestazione:
• deve essere reale se l’obbligazione ha per oggetto denaro, titoli di credito, ovvero
cose mobili da consegnare al domicilio del creditore ( art.1208);
• se si tratta di cose mobili da consegnare in luogo diverso, l’offerta consiste in una
intimazione a riceverle (art.1209);
• se deve essere consegnato un immobile l'offerta consiste dell'intimazione al
creditore di prenderne possesso (art.1216 );
• se la prestazione consiste in un fare il creditore è costituito in mora mediante
intimazione di ricevere la prestazione o di compiere gli atti necessari affinché questa
possa svolgersi (art.1217);
• eseguita correttamente l’ offerta solenne e rifiutata dal creditore, quest'ultimo è
considerato a tutti gli effetti in mora con le conseguenze stabilite (il rischio per
impossibilità sopravvenuta della prestazione verificatasi successivamente rimane a
carico del creditore, non sono più dovuti interessi o frutti oltre a quelli eventualmente
percepiti dal debitore, il creditore è tenuto a risarcire gli eventuali danni derivanti al
debitore per la mora.)
Una volta effettuata l’offerta il debitore può liberarsi senza il necessario intervento
del creditore attraverso il deposito della res debita ( art. 1212) che produce l’effetto
liberatorio soltanto dopo che sia stato accettato dal creditore, o dopo la sentenza del
giudice. Se l’oggetto dell’obbligazione è la consegna di un immobile , l’effetto
liberatorio si ottiene nel momento in cui il debitore consegna la cosa dovuta a un
sequestratario che viene nominato da giudice.
Nel diritto inglese, vanno particolarmente considerate due diverse conseguenze
ricollegate, rispettivamente all’offerta della consegna di merci ed all’offerta di pagare
una somma di denaro sempre in rapporto all’ipotesi che sia necessaria la
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cooperazione del creditore.
Nel caso in cui il debitore, dovendo consegnare della merce, offre di eseguire la
prestazione, consentendo al creditore di eseguire le adeguate ispezioni, dopodiché
costui rifiuta di riceverla , esso debitore è liberato dal suo impegno con il
compimento dell’offerta. Il rifiuto del creditore attribuisce peraltro allo stesso
debitore il diritto al risarcimento del danno oltre a quello della risoluzione del
contratto, salvo apposita disposizione di legge. Infatti, nella compravendita mobiliare
(Sale of Goods) il momento traslativo dipende ,invece , dalla volontà delle parti,
valutata secondo criteri oggettivi . Mancando diversa indicazione delle parti, la regola
generale è tuttavia quella, secondo cui nel caso di un contratto di vendita di beni
mobili determinati e suscettibili di consegna, che non preveda requisiti specifici
perché la proprietà passi (unconditional), la proprietà si trasferisce all’acquirente
quando il contratto è stipulato.
Nel caso in cui, invece, l’adempimento importi il pagamento di una somma di denaro,
l’offerta da parte del debitore anche se rifiutata dal creditore, pur costituendo la
valida difesa contro le eventuali pretese di questi, non importa di per sé la sua
liberazione. Il debitore, sebbene non sia più tenuto ad offrire la sua prestazione, deve
mantenersi sempre pronto ad adempiere; e se il creditore lo cita in giudizio per
l’adempimento può opporre di aver fatto la sua offerta, conservando il diritto al
rimborso delle spese processuali nonché quello a non pagare eventuali interessi sulla
somma trattenuta o danni, ma dovrà sempre onorare il suo debito.
Posto che il rifiuto del creditore non costituisca un “ anticipatory breach”; infatti
l’inadempimento contrattuale imputabile a dolo o colpa del debitore costituisce <<
breach of contract>>. Bisogna però partire dalla distinzione tra << actual breach>> ed
<< anticipatory breach>>: il primo rappresenta l’attuato inadempimento e coincide
con il verificarsi , alla scadenza convenuta, dell’inesecuzione del contratto per una
causa imputabile al contraente debitore. L’anticipatory breach è l’inadempimento
anticipato, c.d.per la sua particolare qualificazione temporale , dovuta appunto alla
sua anticipazione rispetto al tempo della prefissata scadenza dell’esecuzione del
dovuto.
Si ha inadempimento anticipato in due casi:
a) quando vi sia un apposita ed esplicita dichiarazione del debitore che non adempirà
il proprio impegno contrattuale al tempo della scadenza. In tal caso si parla di <<
explicit repudiation>> Nel caso - Hochster v. De la Tour - il convenuto, nell’ aprile
del 1852, aveva assunto Hochster come accompagnatore turistico per un viaggio in
Europa da iniziarsi il primo di giugno di quell’anno; ma l’undici maggio lo stesso
convenuto comunicava per lettera alla controparte di non aver più bisogno dei suoi
servizi e che per tanto il contratto fra loro doveva ritenersi sciolto; Hochster il 22
maggio agiva in giudizio per i danni invocando l’inadempimento del contratto,
mentre la controparte eccepiva che l’azione non era fondata in quanto di
inadempimento si sarebbe potuto parlare solo il primo giugno 1852; ma la corte
sentenziava che l’inadempimento datava dal giorno della “ express repudiation”.
b) quando è implicito, cioè quando lo stesso debitore, senza esplicitare alcuna
volontà,tiene tuttavia- sempre prima della scadenza del tempo d’adempimento- un
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comportamento tale da risultare al di là di ogni ragionevole dubbio, sostanzialmente e
decisamente incompatibile con una sua volontà di rispettare l’impegno preso. Come
nel caso in cui C, dopo aver assunto in settembre l’obbligo di noleggiare a D una sua
nave dal primo novembre successivo, in ottobre lo stesso C vende la nave (senza far
cenno al compratore che essa era già oggetto di noleggio)ad E. In tale ipotesi è
avvenuta proprio una “implicit repudiation”.
Conclusione: posto che l’anticipato inadempimento sia ragionevolmente grave, esso
stesso legittima il creditore incolpevole a scegliere tra il richiedere subito al giudice
una sentenza immediatamente risolutiva del contratto o altrimenti il mantenere in vita
il contratto stesso.

L’inesatto adempimento e la regola del “quantum meruit”

Per aversi adempimento la prestazione deve essere perfettamente adempiuta secondo


quanto stabilito nel contratto. Per il common law quindi l’inesatto adempimento porta
alla risoluzione del contratto, al risarcimento del danno e al diniego di ogni compenso
per il debitore inadempiente, ovvero porta agli stessi effetti della fattispecie di
inadempimento integrale.
La rigida applicazione di questa regola può ovviamente portare a delle evidenti
ingiustizie, laddove spesso la risoluzione del contratto è stata sancita per delle piccole
inosservanze degli obblighi contrattuali.
Nel caso Cutter v. Powell del 1795, Powell aveva convenuto di pagare a Cutter 30
ghinee per il suo servizio come capitano in seconda su una nave. Il compenso sarebbe
stato pagato a completamento del viaggio, ma Cutter morì prima che il viaggio
terminasse. La vedova di Cutter citò Powell per ottenere il compenso del servizio
prestato dal marito fino alla morte, ma la corte diede ragione a Powell, poiché Cutter
non aveva adempiuto integralmente la prestazione pattuita.
In Re Moore and Co., Ltd. And Landauer Co. del 1921, era stata pattuita una vendita
di una certa quantità di frutta in casse da trenta scatole ciascuna. Nonostante la
quantità consegnata fosse esatta, alcune casse contenevano 24 scatole anziché 30,
così il compratore ottenne la risoluzione del contratto per inesatto adempimento.
Per cercare di trovare soluzioni più eque si è cercato di aggirare questo rigido
principio, trovando tra la fattispecie di adempimento perfetto e quella di
inadempimento integrale una zona in cui il debitore che non ha adempiuto
esattamente è protetto contro la risoluzione se si verificano alcuni requisiti. Al
creditore sarà riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni per l’inesatto
adempimento, ma avendo accettato quanto prestato dal debitore, egli sarà anche
tenuto a fornirgli un compenso.
Mentre per il risarcimento assoluto l’ammontare del risarcimento si determina con
riguardo al danno emergente e al lucro cessante, l’inesatto adempimento attribuisce di
regola all’interessato solo il diritto al risarcimento del danno emergente. Laddove
l’inesatto adempimento sia anche causa di lucro cessante, è stata riconosciuta la

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facoltà al creditore insoddisfatto di chiedere in via alternativa il risarcimento del
danno emergente o del lucro cessante.
Leading case è il caso Culliname v. British “Rema” Manufacturing Co. Ltd. (1954).
Culliname aveva comprato da Rema un impianto per la polverizzazione di argilla, e
Rema aveva assicurato che era in grado di polverizzare sei tonnellate all’ora, il che
non era vero. Culliname chiese il danno emergente per l’acquisto dell’impianto e il
lucro cessante per il mancato guadagno. La corte però decise che la richiesta non
poteva essere cumulativa, ma solo alternativa.
Al debitore spetterà un equo compenso per quanto inesattamente prestato. Questa
disciplina prende il nome di “quantum meruit rule”, e si attua quando al debitore
spettino determinate eccezioni.
1. Quando il debitore è tenuto a una prestazione divisibile o a più prestazioni
disgiunte. Se il debitore adempie parzialmente o difettosamente il suo obbligo ha
diritto a un compenso per quanto prestato, ed è tenuto al dovere di risarcire il danno
del creditore.
2. Quando si possa ritenere che il dovere del debitore sia stato sostanzialmente
adempiuto, il che è di difficile affermazione, e bisognerà valutare le circostanze del
caso, in particolare: - quando l’inesatto adempimento riguardi un patto secondario e
non essenziale del contratto
- quando l’interesse del creditore sia stato sostanzialmente soddisfatto
3. Quando il creditore accetti esplicitamente o implicitamente l’inesatto
adempimento. Una presunzione di tale accettazione si ha nel caso di merci non
consegnate nell’esatta quantità eppure non rifiutate (section 30 del Sale of Goods Act
del 1979). In questo caso deve ritenersi che il creditore abbia stipulato un nuovo
contratto col debitore: il creditore accetta la prestazione inesatta e in cambio il
debitore acquista il diritto a un ragionevole compenso. Il creditore conserva però il
diritto al risarcimento in base al contratto originario.
4. Quando dell’inesatto adempimento sia responsabile il creditore. Si ricorda il caso
Planchè v. Colburn del 1831, dove Planchè aveva accettato di scrivere un saggio da
pubblicare a puntate su una rivista. Colburn sospese la pubblicazione della rivista e
propose a Planchè di pubblicare il saggio in volume, ma questi non accettò e ottenne
dalla corte il riconoscimento del diritto al compenso per il suo lavoro.
L’azione quantum meruit non è utilizzabile solo nel caso del debitore che chieda un
giusto compenso per quanto prestato inesattamente al debitore. Essa è un azione
generale di arricchimento, utilizzabile per ottenere un compenso per la prestazione
che un soggetto abbia eseguito a favore di un altro arricchendolo.
In campo contrattuale può essere usata quando si sia concluso un contratto dove sia
stabilita la prestazione di un contraente mentre non sia stabilita la controprestazione.
Il primo contraente avrà allora il diritto a un ragionevole compenso secondo il valore
della prestazione adempiuta.
Prima del 1600 non c’era protezione nei casi in cui il prezzo della prestazione non era
stato prefissato. Superato con la sentenza dello Slade’s Case del 1602 il principio per
cui l’assumptio doveva essere fatta necessariamente in forma esplicita e ritenuta
invece immanente nell’accordo liberamente convenuto, nel 1609 con il caso
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Warbrooke v. Griffin si sancì che l’assumptio del debitore poteva riguardare anche
l’esecuzione di prestazioni non preventivamente determinate, ma ragionevolmente
determinabili in base alla prestazione ricevuta.
L’azione quantum meruit può anche essere usata in alternativa all’azione per il
risarcimento dei danni in caso di inadempimento , quando il creditore adempiendo la
propria prestazione abbia recato un vantaggio alla controparte. Mentre il risarcimento
del anno ha natura contrattuale, l’azione quantum meruit ha natura generale, ed è
qualificata come quasi-contrattuale. Per quanto attiene agli effetti l’azione di
risarcimento del danno ha carattere compensatorio: pone l’interessato nella stessa
situazione in cui sarebbe stato se il contratto fosse stato adempiuto. L’azione quantum
meruit è un rimedio restitutorio: assicura solo il recupero della prestazione eseguita a
vantaggio della controparte inadempiente.
Provando a richiamare il diritto italiano vediamo che nel nostro codice ci sono due
norme fondamentali che ci soccorrono in materia di adempimento. La norma generale
dell’articolo 1176, secondo la quale il debitore nell’adempimento delle obbligazioni
deve usare la diligenza del buon padre di famiglia, e l’art. 1218 ci dice che la
prestazione deve essere esattamente adempiuta. Per vedere se il debitore ha fatto
quello che era suo obbligo di fare, si prende come indice la figura dell’uomo medio,
del pater familias, e per evitare la responsabilità contrattuale da inadempimento si
pretende che il debitore non si tenga al di sotto di tale diligenza media.
Il modello di cittadino medio varia secondo le circostanze o la persona del debitore,
ad esempio la sua attività professionale. La diligenza richiesta è valutata con minor
rigore quando i relativi contratti siano a titolo gratuito. Infatti vi è responsabilità per
sola culpa lata nell’esecuzione delle donazioni.
Occorre distinguere tra obbligazioni di mezzi, dove oggetto dell’obbligo è il dovere
di compiere quanto è possibile, e obbligazioni di risultato, dove appunto si deve
raggiungere un certo effetto.
Nelle obbligazioni di risultato l’adempimento si ha con il raggiungimento del
risultato, in quelle di mezzi l’obbligazione è adempiuta quando l’attività è stata svolta
con la diligenza del buon padre di famiglia. Quindi quando il debitore può dimostrare
di aver fatto quanto poteva chiedersi alla diligenza del buon padre di famiglia rimane
esente da responsabilità per inadempimento.
Questo non vuol dire che siano raggiunti gli stessi effetti dell’adempimento. Anzi
quando non si sia raggiunto il risultato, magari per forza maggiore, comunque non si
raggiungeranno alcuni effetti connessi con l’adempimento. Se Tizio si è impegnato a
dare la sua casa in locazione a Caio, e questa è stata distrutta da un incendio, egli non
sarà tenuto a risarcire Caio, ma allo stesso tempo non avrà diritto al canone. Di fronte
alla responsabilità si guarda quindi ai mezzi impiegati dal debitore, ma rispetto
all’elemento causale del rapporto, che investe il nesso tra le attribuzioni patrimoniali,
si guarda al raggiungimento del risultato.
L’oggetto dell’adempimento deve corrispondere al contenuto della prestazione
obbligatoria, non ci si può liberare mediante una prestazione con diverso contenuto.
Conseguenza di questo principio è che il creditore può legittimamente rifiutare un
parziale adempimento dell’obbligazione, anche se la prestazione è divisibile (art.
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1181).
Anche il nostro ordinamento inoltre riconosce un’azione generale di arricchimento,
prevista dall’art. 2041, nel caso in cui al vantaggio ingiustificato di un soggetto si
accompagni il depauperamento dell’altra parte. Essa è un’ azione generale con
carattere sussidiario, non può quindi essere esperita laddove già vi sia una norma
particolare che regoli la fattispecie. Chi invoca questa azione può ottenere un
compenso limitato alla somma minore tra l’impoverimento da lui ricevuto e il
corrispondente arricchimento del convenuto.

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