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Meccanica della Frattura Lineare Elastica–basi


teoriche.

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Giuseppe Pitarresi
Università degli Studi di Palermo
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Meccanica della Frattura Lineare Elastica – basi teoriche.

Giuseppe PITARRESI
Dipartimento di Meccanica, Università degli Studi di Palermo, Viale delle Scienze,
90128 Palermo, Italy
E-mail: pitarresi@dima.unipa.it
Url: http://www.dima.unipa.it/~pitarresi/index.htm

IND IC E :
1 . Int ro d u zio n e .. . .. … …… … … …… … …… … …… … …… … …… … …… … …… … …… . .. . .. .. . .. . .. . ..1

2 . I l p ro b le ma e la s t ico n el la M ec ca n ica d el la Fra t tu ra …. . …… . …… … …… … …. . .. . .. . . .. . .. . ..3


2 .1 So l u zio n e del pro ble ma ela s ti co pia no co n la f un zio n e di A iry …… . .. . .. . .. . .. . .. .. . .. . ..4
3 . Pro ce d i me n to d i W e s te r g a a r d p e r l a s o l u z i o n e d e l p r o b l e ma d e l l a M e c c a n i c a d e l l a
Fra t tu ra …. … …… … … …… … …… … …… … …… … …… … …… … . …… … …… … …. . .. . .. . .. . .. . .. .5
3 .1 M o d e l l o d i W e s te r g a a r d g e n e r a l i z z a to p e r mo d i s i m me t r i c i … . . .… … .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . ..5
3 .1 .1 Fu n zio n e co m ple s s a di Wes t erg a a rd : s o lu z io ne lo ca l e .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . ..8
3 .1 .2 Fu n z i o n e c o m p l e s s a d i W e s t e r g a a r d: solu z ione pe r pias t ra di d i me ns io ni
in fin i te .… … …… … … …… … …… … …… … …… … …… . .. . .. . .. . .. . .. .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . ..1 1
3 .2 M o d e l l o d i W e s te r g a a r d p e r mo d i a nt i s i m me t r i c i … … … … … … …… … … … . .. . .. .. . .. .1 4
3 .3 De riv a zio n e de lle te nsio n i pri nc ipa li , d efo r ma zio ni e s po s ta me n ti …… . .. . .. . .. . .. . .. ..1 6
4 . L eg a me t ra lo St res s I n te nsi t y Fa c to r G e l o S tra in E ne r g y R el ea s e Ra t e G .. . .. . .. . .. . .. . .1 6

5. Est ens ion e de l le e qua zion i di ca mpo d ello s tato te nsio nal e o lt re la zona do mina t e dal l a
sing o la ri tà .. … …… … …… …… … …… … …… … …… … …… … …. … … …… … …… . .. . .. .. . .. . .. . ..1 6

6 . Ce nni s ul M et o do deg li Sv i l upp i in Se rie di W ill ia ms .… … .… … …… …… … .. . .. . .. . .. . .. . ..1 6

7 . Co n clu sio ni .. … …… . …. … …… … …… … …… … …… … …… … …. … … …… … …… . .. . .. .. . .. . .. . ..1 6

Ap pe ndi ca A : Equa zio ni d el pro b le ma ela s ti co .… … …… … …. . .… … …… … … …. . .. . .. . .. . .. . .. .1 7

Ap pe ndi ca B : Il pro bl e ma e l asti co ne i cas i d i Sta t i Pan i di Te nsio ne (S PT ) e S ta ti P i ano di


De fo r ma zio n e (S P D) .. . .. … …… … … …… … …… … . …… … …… … …. . .. . .. . .. . .. . .. .2 0

Ap pe ndi ca C : Al cun e p ro p ri età d el le fu n zi o ni co mp l es s e .. … …… … …… …… … .. . .. . .. . .. . .. . ..2 3

B ibl io g ra fia … .. .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. . .. … …… …… … .. . .. . .. . .. . .. . ..2 6

1. Introduzione
Il problema classico della Meccanica Strutturale consiste nello studio dello stato tensionale, e più in
generale nella determinazione delle tensioni, deformazioni e spostamenti in un solido continuo. Tale
approccio nel contesto della Meccanica della Frattura si traduce nel tentativo di studiare lo stato
tensionale che si desta in prossimità dell’apice di un difetto del materiale, quando questo si presenta in
forme macroscopiche come una cricca. Tale analisi inoltre idealizza la struttura del materiale
mantenendo una scala geometrica sufficientemente grande da rendere valido l’approccio della
Meccanica del Continuo; per cui le tensioni e deformazioni puntuali sono definite su un concio
elementare di materia che comunque è considerata continua ed omogenea. L’obiettivo della Meccanica
della Frattura in questo contesto è quello di ricercare criteri di valutazione della pericolosità del difetto
basati sulla analisi dello stato tensionale e/o deformativo locale del materiale. In tal senso quindi
Meccanica della Frattura Lineare Elastica – basi teoriche Giuseppe Pitarresi

l’approccio della meccanica strutturale si configura gli stessi obiettivi dell’approccio energetico ma
adoperando un punto di vista iniziale ed una metodologia di indagine diversi.
Nella soluzione del problema strutturale in generale i parametri in gioco, incogniti o noti, sono le
tensioni, gli spostamenti e le relative deformazioni ed i parametri che descrivono il comportamento del
materiale. L’approccio della Meccanica del Continuo si fonda quindi sull’impiego delle equazioni
della statica, della dinamica, sulle condizioni di congruenza cinematica, ed i modelli costitutivi di
comportamento del materiale. Le equazioni della Meccanica del Continuo forniscono le condizioni cui
tensioni, deformazioni e spostamenti devono soddisfare. Il problema strutturale è infine definito
quando viene assegnata la geometria del componente e le condizioni al contorno intese soprattutto in
termini di vincoli cinematici e carichi applicati. Questi ultimi vanno intesi nel senso più ampio che
include non solo sistemi di forze esterne, ma anche carichi di natura inerziale, carichi termici dovuti
all’influenza di variazioni di temperatura, ecc… In generale quindi il problema strutturale si configura
come un problema al contorno (baundary value problem), in cui si ricerca la soluzione alle equazioni
della Meccanica del Continuo che soddisfano le condizioni al contorno.
La soluzione del problema strutturale per via analitica rappresenta il caso ideale per mezzo del
quale si possono ottenere leggi analitiche di notevole utilità progettuale. Tuttavia soluzioni cosiddette
in forma chiusa non sono semplici da ricavare, ed in genere si ottengono solo introducendo consistenti
semplificazioni relativamente alla geometria del componente, al tipo di carichi e condizioni al
contorno, ed al tipo di legge costitutiva utilizzata per descrivere il comportamento del materiale. In
particolare la maggior parte di soluzioni in forma chiusa disponibili considera ad esempio un
comportamento lineare-elastico del materiale che nella forma più generale è rappresentato dalla Legge
di Hook generalizzata per materiali anisotropi. In questo caso il problema strutturale è denominato
anche problema elastico e la sua trattazione costituisce la Teoria dell’Elasticità [1,2]. Inoltre si può
constatare che nel caso di materiale isotropo elastico lineare la legge di Hooke semplificata, insieme
alle equazioni di equilibrio statico e quelle di congruenza e compatibilità cinematica costituiscono nel
complesso un set di equazioni differenziali lineari del secondo ordine in numero sufficiente per
risolvere il problema elastico (vedi appendice A e B). La difficoltà in quest’ultimo caso è quella di
ottenere una soluzione che soddisfi le condizioni al contorno del particolare problema in esame. Le
condizioni al contorno possono essere di difficile trattazione matematica nel caso di complesse forme
geometriche, o sistemi di carico e vincolo.
Nel contesto della Meccanica della Frattura una soluzione in forma chiusa del problema è stata
brillantemente ottenuta adottando l’ipotesi di comportamento indefinitamente lineare elastico del
materiale su tutto il dominio, e in particolare nella zona prossima all’apice del difetto idealizzato come
una cricca perfettamente acuminata (fronte del difetto con raggio di curvatura nullo). L’impostazione
del problema ed il metodo di soluzione si devono principalmente ai due lavori pionieri di
Muskhelishvili [2] e Westergaard [3], ripresi in seguito da molti altri studiosi che riuscirono non solo a
generalizzare i risultati ma ad utilizzarli per definire un approccio organico di progettazione e verifica
strutturale, noto come Meccanica della Frattura Lineare Elastica (MFLE), che ad oggi rappresenta il
più avanzato per quanto riguarda l’impiego di materiali fragili, e la transizione da comportamenti
marcatamente fragili a comportamenti duttili.
Il presente lavoro intende proporre una revisione dei fondamenti teorici della MFLE con l’obiettivo
di fornire strumenti critici per comprendere meglio il significato, le implicazioni, e gli ambiti di
validità di questa teoria. Ovviamente il lavoro ha solo scopo didattico ed è stato pensato come
supporto allo studio nell’ambito di corsi di Meccanica dei Materiali tenuti dallo scrivente. Il principale
sforzo è stato quello di sintetizzare la trattazione classica dell’argomento, cercando di semplificare
alcuni passaggi, mutuando da diverse esposizioni disponibili in letteratura gli aspetti ritenuti più
congeniali per ottenere uno sviluppo della teoria più semplice possibile senza sacrificare i suoi
caratteri di generalità e completezza. In questo senso il lavoro non vuole avere pretese di originalità e
riconosce un forte debito di ispirazione verso alcuni testi e ricercatori che hanno in passato contribuito
a sviluppare e divulgare la MFLE. In particolare la presentazione del Metodo di Westergaard nel
capitolo 3 ha in larga parte mutuato la stessa impostazione data da Carpinteri in [4], ritenuta
particolarmente efficace nell’evidenziare la nascita della componente non singolare nota come T-
Stress nella formulazione dello stato di tensione locale, erroneamente trascurata nell’originale sviluppo
di Westergaard. Lo scrivente ha trovato particolarmente utile anche il testo di Gdoutos [5] per quanto
riguarda una trattazione di base dell’estensione ai Modi di Sollecitazione II e III. Per quanto riguarda

2
Meccanica della Frattura Lineare Elastica – basi teoriche Giuseppe Pitarresi

la generalizzazione della soluzione elastica oltre la zona dominata dalla singolarità, particolarmente
importante per quanto riguarda l’impiego di molti metodi sperimentali per lo studio di problemi di
Meccanica della Frattura, si sono trovate efficaci e ricche di spunti di approfondimento le trattazioni
presenti nel famoso testo [6] curato da Dally e Riley e in [7]. Infine una trattazione matematica più
approfondita e non limitata alla MFLE è stata proposta da Rice [8] (fonte attualmente disponibile in
versione elettronica sul web). Altri riferimenti classici a testi generali di Meccanica della Frattura, con
trattazioni sintetiche dei fondamenti teorici della MFLE, sono forniti in [9-11]. Infine altre fonti
riportate in bibliografia sono relative ad alcuni dei principali sviluppi originali della teoria, e di volta
in volta verranno richiamate durante l’esposizione della presente trattazione.

2. Il Problema elastico della Meccanica della Frattura


Westergaard ha rappresentato il problema della Meccanica della Frattura come un problema piano
in cui un difetto è presente in un elemento strutturale bidimensionale infinitamente esteso. Il difetto è
schematizzato come una cricca avente raggio idealmente nullo ai sui apici (due nel caso di cricca
centrata, uno nel caso di cricca di spigolo). Il problema piano impone che i fronti della cricca siano
rettilinei e perpendicolari alle due facce della struttura bidimensionale, mentre la cricca è passante,
cioè attraversa tutto lo spessore della struttura. Oltre a tale rappresentazione geometrica, una serie
aggiuntiva di ipotesi semplificative vale per il procedimento di Westergaard, ovvero:
◦ il materiale è isotropo ed ha un comportamento elastico lineare;
◦ stati piani (di tensione o di deformazione) esistono in prossimità dell’apice della cricca;
◦ si considerano soltanto deformazioni isoterme (ΔT=0) e quasistatiche (assenza di forze di
massa).
Le implicazioni delle precedenti affermazioni per quando riguarda le equazioni della meccanica del
continuo sono prese in esame in Appendice B. In figura 1 è invece rappresentato schematicamente il
caso strutturale esaminato da Westergaard, con i sistemi di riferimento usati nell’analisi del campo
tensionale.

y
y σyy
τxy
σxx
r
ϑ
x

2a

Figura 1: Rappresentazione schematica del Problema della meccanica della frattura con una
cricca ideale passante su una struttura bidimensionale di contorni indefiniti. Il sistema di riferimento
cartesiano si può scegliere centrato sulla cricca o avente origine su un apice, a seconda del tipo di
analisi. L’asse delle x è in genere orientato parallelamente ai fianchi della cricca mentre l’asse y è
ortogonale. Il riferimento polare (r,ϑ) ha origine sull’apice della cricca e ϑ=0 coincide con l’asse x.

L’approccio proposto e seguito da Muskhelishvili e Westergaard [1,2] consentì di risolvere


localmente, cioè in prossimità degli apici del difetto, il problema elastico determinando le componenti
dello stato tensionale. Queste, come si vedrà, non sono comunque in grado di descrivere
dettagliatamente lo stato di tensione in presenza di difetti per un qualsiasi caso strutturale. Tuttavia il
loro contributo è stato fondamentale nell’individuare un modello analitico generale, basato sul Fattore
di Intensificazione delle Tensioni (o Stress Intensity Factor, SIF), e valido per qualsiasi stato
tensionale presente in prossimità di una cricca.

3
Meccanica della Frattura Lineare Elastica – basi teoriche Giuseppe Pitarresi

Ovviamente, come spesso accade quando si dispone di soluzioni analitiche in forma chiusa di
problemi elastici, l’estensioni dei risultati a casi reali va sempre considerata con sguardo critico, al fine
di valutare quanto le ipotesi semplificative alla base del modello analitico si possano considerare
accettabili per il caso pratico in esame. In tal senso è opportuno soprattutto ricordare che le soluzioni
analitiche del problema della Meccanica della Frattura fornite dall’approccio di Muskhelishvili e
Westergaard sono ricavate ipotizzando un comportamento del materiale indefinitamente elastico
lineare. Inoltre il modello matematico considera una forma geometrica idealizzata, in cui l’influenza
dei contorni esterni sullo stato tensionale locale nella zona dell’apice della cricca è tale da riguardare il
solo termine K (cioè il SIF), e la stessa cricca ha una forma ideale di difetto passante, con fianchi
perfettamente rettilinei ed apice avente raggio dei curvatura nullo, quando spesso i difetti reali hanno
forme e caratteristiche molto più irregolari.

2.1 Soluzione del Problema Elastico Piano con la funzione di Airy


Il problema elastico piano e le relative equazioni di campo sono date in Appendice B. In particolare sia
per SPT che per SPD le equazioni di campo si possono ridurre a tre: le due equazioni di equilibrio e
una equazione di compatibilità riscritta in funzione delle tensioni. Per questo set di equazioni le uniche
incognite sono le componenti di tensione sul piano. Tali equazioni sono quì richiamate e scritte nel
caso in cui si possano trascurare le forze di massa:
∂σ xx ∂τ xy
+ =0
∂x ∂y
∂τ yx ∂σ yy
+ =0 (1)
∂x ∂y
( )
∇ 2 σ xx + σ yy = 0

Per la soluzione del Problema Elastico Piano è necessario determinare le espressioni delle
componenti di tensione sul piano che soddisfino le equazioni (1) e le condizioni al contorno dello
specifico problema.
Una tecnica di soluzione analitica del Problema Elastico Piano consiste nella ricerca di una
funzione, denominata funzione di Airy Φ(x,y), tale per cui lo stato di tensione si può da essa
determinare attraverso le seguenti relazioni:
∂ 2Φ ∂ 2Φ ∂ 2Φ
σ xx = ; σ yy = ; τ xy = − ; (2)
∂y 2 ∂x 2 ∂x∂y

Se quindi per il problema in esame si riesce a determinare una funzione che gode delle proprietà
date da (2), allora tale funzione è una Funzione di Airy del problema in esame. Si dimostra
immediatamente che una Funzione di Airy, in base alle sue proprietà espresse dalle (2), è tale per cui il
campo di tensioni da essa derivata soddisfa sempre le equazioni di equilibrio. Infatti si ha:

∂σ xx ∂τ xy ∂ 3Φ ∂ 3Φ
+ =0a − =0
∂x ∂y ∂x∂y 2 ∂x∂y 2 (3)
∂τ yx ∂σ yy ∂ 3Φ ∂ 3Φ
+ =0a− 2 + 2 2 =0
∂x ∂y ∂x ∂y ∂x ∂y
Il campo di tensioni derivato dalla Funzione di Airy deve inoltre soddisfare le equazioni di
compatibilità. Affinché ciò si verifichi dev’essere:
⎛ ∂ 2Φ ∂ 2Φ ⎞
( )
4 4 4
( )
∇ 2 σ xx + σ yy = 0 → ∇ 2 ⎜ 2 + 2
⎜ ∂y
⎟ = ∇ 2 ∇ 2Φ = ∂ Φ + 2 ∂ Φ + ∂ Φ = 0

(4)
⎝ ∂x ⎠ ∂x 4 ∂x 2∂y 2 ∂y 4

Per la (4) allora una funzione di Airy soddisfa la condizione di compatibilità solo se è una funzione
biarmonica. Quindi una funzione Φ(x,y) di tipo biarmonico che definisce il campo di tensione nel

4
Meccanica della Frattura Lineare Elastica – basi teoriche Giuseppe Pitarresi

modo indicato dalle eq. (2), si chiama Funzione di Airy, ed ha la dimensione di una forza. Essa deve
soddisfare inoltre le condizioni al contorno del problema per il quale è definita.

Si forniscono di seguito alcuni brevi accenni sull’impiego in letteratura del metodo della funzione di Airy
per risolvere problemi elastici piani (il lettore interessato ad approfondire tali argomenti potrà consultare i
testi classici di Teoria dell’Elasticità quali [1,2] o riferirsi a [6] da cui le informazioni di seguito riportate
sono principalmente tratte).
Il metodo della Funzione di Airy è tipicamente utilizzato per due applicazioni: il caso dei cilindri di
grosso spessore sottoposti a pressioni interne ed esterne generiche, ed il caso di distribuzione di tensione
su lastre genericamente sollecitate sul piano e con fori ellittici. Nel primo caso le equazioni di equilibrio e
di compatibilità (1) si riscrivono in coordinate polari sfruttando la simmetria polare del problema. Nel
secondo caso si utilizza una generica funzione di Airy avente la seguente espressione [3]:
Φ = Re(z ⋅ f (z ) + g (z )) (5)
La (5) è una funzione reale definita in funzione di due funzioni complesse, f e g, dette Potenziali
Complessi; z è la variabile indipendente complessa (x+iy) e il simbolo di soprassegnato indica il
complesso coniugato di z. La (5) fu proposta da Kolosov e Muskhelishvili [2,3], per cui tale metodo,
denominato metodo dei Potenziali Complessi, spesso prende anche il nome dei due studiosi che lo
proposero. La sua importanza è citazione in questo contesto è dovuta al fatto che il metodo di Kolosov-
Muskhelishvili può essere opportunamente impiegato per studiare lo stato di tensione su una lastra
quando il foro ellittico degenera in una cricca. Come si vedrà nel prossimo paragrafo il Metodo di
Westergaard si rifà al metodo dei Potenziali Complessi, proponendo una funzione di Airy semplificata
che comunque appartiene alla famiglia di funzioni del tipo (5). Il Metodo di Westergaard quindi può
essere considerato come una applicazione semplificata del metodo dei Potenziali Complessi [3], che
infatti è stato usato per dare maggiore generalità ai risultati ottenuti da Wstergaard (come si vedrà meglio
alla successiva sezione 5) .

3. Procedimento di Westergaard per la soluzione del problema della Meccanica della


Frattura.
Westergaard utilizzò per primo un metodo noto come metodo dei Potenziali Complessi,
precedentemente esposto in forma generale da Muskhelishvili [2]. Quest’ultimo propose la definizione
di una funzione di Airy per problemi piani attraverso l’uso di funzioni complesse analitiche (vedi
appendice C). Westergaard riprese il metodo dei Potenziali Complessi applicandolo ad alcuni
problemi piani in presenza di cricche (vedi sezione 2). In questo modo egli riuscì a ricavare una
soluzione in forma chiusa dello stato di tensione locale in prossimità dell’apice della cricca.
Westergaard in particolare basò la sua analisi sulla determinazione di una funzione di Airy che
descrive lo stato di tensione in prossimità dell’apice di una cricca ideale per il caso strutturale di una
lastra di dimensioni infinite [3].

3.1 Modello di Westergaard generalizzato per modi simmetrici


Per la soluzione del problema elastico rappresentato in fig. 1, Westergaard propose e dimostrò la
validità di una formulazione della funzione di Airy del tipo1:
1
(
Φ = Re f ( z ) + y ⋅ Im f ( z ) + B y 2 − x 2
2
) (6)

dove f(z) è una funzione complessa analitica2, il simbolo di soprasegnato con una barra indica
l’integrale del primo ordine di f (quindi la sua funzione primitiva, vedi tabella 1), mentre il
soprasegnato con due barre indica l’integrale del secondo ordine di f, ed infine B è una costante reale.

1
In [4] è fornita una dimostrazione di come la funzione di Airy proposta da Westergaard sia un caso particolare
riconducibile all’eq. 5 del Metodo dei Potenziali Complessi di Kolosov-Mushkelishvili.
2
Vedi appendice B per un richiamo di alcune proprietà delle funzioni complesse utilizzate nella presente
trattazione.

5
Meccanica della Frattura Lineare Elastica – basi teoriche Giuseppe Pitarresi

Tabella 1: relazioni tra le variabili complesse e le funzioni complesse utilizzate.


z = x + iy = reiϑ = r ( cos ϑ + i sinϑ )
z, z
z = x − iy = re −iϑ = r ( cos ϑ − i sinϑ )
f(z) f ( x + iy ) = Re f ( z ) + i ⋅ Im f ( z )
f ′( z ) df ( z ) dz ; f ( z ) = ∫ f ′( z )dz

f(z) df ( z ) dz = f ( z ); f ( z ) = ∫ f ( z )dz

f(z) df ( z ) dz = f ( z ); f ( z ) = ∫ f ( z )dz

Si noti che Φ data dalla (6) è una funzione reale anche se definite in funzione di funzioni
complesse. Affinché la (6) rappresenti davvero una funzione di Airy, essa deve risultare una qunzione
biarmonica (vedi eq. 4). Tale proprietà è di seguito dimostrata.

I primi due termini della (6) si possono in generale scrivere come: h+yq, dove h e q sono due funzioni
reali. Inizialmente quindi si dimostra che:

∇ 4 ( h + yq ) = 0 (7)
Innanzi tutto osserviamo che h e q sono la parte reale e la parte immaginaria di due funzioni complesse
analitiche. Infatti si dimostra che (vedi appendice C) se una funzione complessa è analitica, analitiche
risultano anche le sue funzioni primitive di ordine qualsiasi e le sue funzioni derivate. Quindi h e q, per
definizione di funzione complessa analitica, sono di per sè funzioni armoniche. Da ciò discende che:
∇2h = 0 → ∇4h = ∇2 ( ∇2h ) = 0 (8)
Per quanto riguarda il termine y·h, si può scrivere:
∂ 2 ( y ⋅ q) ∂ 2 ( y ⋅ q)
∇2 ( y ⋅ q) = +
∂x 2 ∂y 2
∂ 2
( y ⋅ q) =
∂ ⎛ ∂q ⎞
⋅ =
∂2q
⎜ y ⎟ y ⎛ ∂2q ∂2q ⎞
∂x 2 ∂x ⎝ ∂x ⎠ ∂x 2 ∂q ∂q
→ ∇2 ( y ⋅ q) = y ⎜ 2 + 2 ⎟+ 2 ⋅ = 2⋅
∂ ( y ⋅ q) ∂ ⎛
2
∂q ⎞ ∂q ∂q ∂2q ⎜ ∂x ∂y ⎟ ∂y ∂y (9)
= ⎜ q + y ⋅ ⎟⎟ = + +y 2 ⎝ ⎠
∂y 2 ∂y ⎜⎝ ∂y ⎠ ∂y ∂y ∂y ∇ 2 q =0

( ) ⎛ ∂q ⎞
∇ 2 ∇ 2 ( y ⋅ q ) = ∇ 2 ⎜⎜ 2 ⋅ ⎟⎟ = 2
∂y
∂ 2
∂y
∇ q =0 ( )
⎝ ⎠
per quanto riguarda infine il terzo termine dell’eq. 6, si può scrivere:

⎡1
(
∇2 ⎢ B y 2 − x 2 )⎤⎥⎦ = 12 B∇ (y
2 2
)
− x2 =
( ) (
1 ⎛⎜ ∂ 2 y 2 − x 2 ∂ 2 y 2 − x 2
B +
)⎞⎟ =
⎣2 2 ⎜⎝ ∂x 2 ∂y 2 ⎟
⎠ (10)
1 ⎛ ∂ x ∂ y 2 2 2 2 ⎞ 1
⎟ = B (− 2 + 2 ) = 0
= B⎜ − +

2 ⎝ ∂x 2
∂y 2 ⎟ 2

quindi i tre risultati parziali (8-10) dimostrano la (7).

Data la funzione di Airy (6), le componenti piane di tensione si ricavano in base alle eq. (2),
ottenendo:

6
Meccanica della Frattura Lineare Elastica – basi teoriche Giuseppe Pitarresi

∂ 2 Φ ∂ ⎛⎜ ∂ Re f ( z ) ∂ Im f ( z ) ⎞⎟
σ xx = = + Imφ ( z ) + y +B
∂y 2
∂y ⎜⎝ ∂y ∂y ⎟

∂ Φ ∂ ⎛ ∂ Re f ( z )
2
∂ Im f ( z ) ⎞⎟
σ yy = 2 = ⎜ +y −B (11)
∂x ∂x ⎜⎝ ∂x ∂x ⎟

∂ Φ ∂ ⎛⎜ ∂ Re f ( z )
2
∂ Im f ( z ) ⎞⎟
τ xy = − = +y
∂x∂y ∂y ⎜⎝ ∂x ∂x ⎟

Le (11) possono essere semplificate ulteriormente richiamando alcune proprietà delle funzioni
complesse analitiche (vedi appendice C). In particolare, come fatto per ricavare le equazioni c1 e c2,
cioè combinando le regole di derivazione delle funzioni composte con le condizioni di Cauchy-Riemann
per le funzioni analitiche, si ottengono le seguenti relazioni:
⎧ ∂ Re f ( z ) ∂ Im f ( z ) ⎧ ∂Ref(z) ∂Imf(z)
⎪ ∂x = = Re f ′( z ) ⎪ = = Ref(z)
⎪ ∂y ⎪ ∂x ∂y
⎨ ; ⎨ ;
⎪ ∂ Im f ( z ) = − ∂ Re f ( z ) = Im f ′( z ) ⎪ ∂Imf(z) = − ∂Ref(z) = Imf(z)
⎪⎩ ∂x ∂y ⎪⎩ ∂x ∂y
(12)
⎧ ∂ Re f ( z ) ∂ Im f ( z )
⎪ = = Re f ( z )
⎪ ∂x ∂y

⎪ ∂ Im f ( z ) ∂ Re f ( z )
⎪ ∂x =− = Im f ( z )
⎩ ∂y

sostituendo le (12) nelle (11) si ricava:

σ xx =

∂y
( )∂
− Im f ( z ) + Im f ( z ) + y Re f ( z ) + B = ( y Re f ( z ) ) + B =
∂y
∂ ∂
= Re f ( z ) + y Re f ( z ) + B = Re f ( z ) − y Im f ( z ) + B = Re f ( z ) − y ⋅ Im f ′( z ) + B
∂y ∂x
(13)
σ yy =

∂x
( )
Re f ( z ) + y Im f ( z ) − B = Re f ( z ) + y Im f ′( z ) − B

τ xy = −

∂y
( )
Re f ( z ) + y Im f ( z ) = Im f ( z ) − Im f ( z ) − y Re f ′( z ) = − y Re f ′( z )

Quindi riassumendo le componenti tensionali piane definite dalla Funzione di Airy (6) sono:
σ xx = Re f ( z ) − y ⋅ Im f ′( z ) + B
σ yy = Re f ( z ) + y Im f ′( z ) − B (14)
τ xy = − y Re f ′( z )
Una prima riflessione sulle equazioni (14) è a questo punto del percorso utile. Come si può notare
sinora non si è fatto alcun specifico riferimento alle condizioni al contorno del problema. Si è soltanto
data una forma matematica all’espressione delle componenti di tensione sulla base della scelta di una
funzione, la (6), avente i requisiti per poter essere una funzione di Airy. Per portare a conclusione
questa risoluzione del problema elastico si deve ancora specificare la funzione complessa f(z) che
compare nella (6) e (14). Nello stabilire l’espressione da dare a tale funzione complessa questa volta
saranno da guida le specifiche condizioni al contorno del problema, ovvero la definizione di f(z) sarà
tale per cui le (14) soddisfino le condizioni al contorno specifiche. Una ulteriore importante
considerazione è che la forma delle equazioni (14) non è di validità generale per qualsiasi tipo di
problema piano elastico in presenza di cricca. In particolare se consideriamo i punti del dominio su cui
y=0, le (14) prevedono che σxx=σyy e τxy=0. Un siffatto stato tensionale si verifica se l’asse x è asse di

7
Meccanica della Frattura Lineare Elastica – basi teoriche Giuseppe Pitarresi

simmetria del problema. Quindi l’equazione di Westergaard (6), e le conseguenti successive equazioni
(14), sono in grado di trattare solamente problemi simmetrici. Nel caso di cricche sollecitate in modo I
di apertura l’asse x, orientato secondo la giacitura della cricca, è effettivamente asse di simmetria, per
cui la funzione di Airy (6) è potenzialmente adatta a trattari problemi di Modo I ma non ad esempio
problemi di Modo II e III che sono invece antisimmetrici rispetto ad x. Infatti per problemi di Modo II
e III si definisce una funzione di Airy specifica diversa dalla (6) (vedi sezione 3.2).
La soluzione dello stato tensionale relativo al particolare problema elastico bidimensionale della
Meccanica della Frattura definito in precedenza si ottiene scegliendo opportunamente la funzione
complessa di Westergaard3 f(z) in modo tale che essa soddisfi le condizioni al contorno del problema,
e ricavando quindi le componenti tensionali tramite le eq. (14). In particolare si procederà
introducendo prima una formulazione della f(z) che soddisfa come condizioni al contorno soltanto
quelle locali relative al difetto, e successivamente si particolarizzerà la f(z) per una piastra infinita
caricata biassialmente, nelle direzioni perpendicolare e parallela alla cricca. Tali problemi e le relative
condizioni al contorno sono rappresentati graficamente in figura 2a ed 2b.

σyy=σ per y→∞

y y y
σyy
y σyy
τxy
τxy
σxx σxx

σxx= kσ per x→∞


z r
η
ϑ
x
x=0 x=a
x

2a

σ yy ( x, 0 ) = τ xy ( x, 0 ) = 0
per x - a < 0 ed y = 0

(a) (b)
Figura 2: a) Rappresentazione del problema locale con le relative condizioni al contorno. b)
rappresentazione del caso di piastra di dimensioni infinite soggetta ad un generico stato di tensione remoto
biassiale.

3.1.1 Funzione complessa di Westergaard: soluzione locale.


In questo primo caso il problema elastico è lasciato volutamente indeterminato per quanto riguarda
le condizioni al contorno esterne (cioè remote rispetto all’intorno del difetto). Si considera quindi
solamente una cricca passante di lunghezza 2a, disposta lungo l’asse x. Anche se il problema per
quanto riguarda le condizioni al contorno remote dalla cricca è indeterminato, esso deve essere
comunque tale da generare un Modo I di sollecitazione, simmetrico rispetto all’asse x, essendo come si
è detto in precedenza, la (6) adatta a trattare solamente questo tipo di problemi.
La funzione complessa è in questo caso definita come segue:
g ( z)
f ( z) = +B (15)
z2 − a2

3
Secondo la notazione del metodo di Kolosov-Mushkelishvili, tale funzione complessa è anche chiamata il
potenziale complesso del problema.

8
Meccanica della Frattura Lineare Elastica – basi teoriche Giuseppe Pitarresi

dove g(z) è una generica funzione reale nella variabile complessa z e B la stessa costante reale che
compare nella (6). Le condizioni al contorno in questo caso consistono nell’imporre che i fianchi della
cricca siano scarichi, e quindi che sia:
σ yy ( x, 0 ) = τ xy ( x, 0 ) = 0 per x - a < 0 ed y = 0 (16)

Imponendo y=0, si ha z=x+iy=x, e le (14) in questo caso diventano:


σ xx = Re f ( x) + B; σ yy = Re f ( x) − B; τ xy = 0 (17)

Si nota inoltre che per –a<x<a il primo termine della (15) è puramente immaginario a causa del
segno negativo del termine sotto radice a denominatore, infatti:

g ( x) ⎛ g ( x) ⎞
f ( x) = + B = −i⎜ ⎟ + B → Re f ( x) = B (18)
⎜ 2 ⎟
−1 a2 − x2 ⎝ a −x
2

σ xx = 2 B; σ yy = 0; τ xy = 0 (19)

quindi la (15) soddisfa in questo caso le condizioni al contorno assegnate.


Si osserva che il sistema di riferimento per la (15) è centrato sulla mezzeria della cricca. Si vuole
quindi effettuare una traslazione di tale riferimento in modo che questo sia centrato su un apice della
cricca. Tale cambiamento comporta una semplice traslazione lungo x di ampiezza a, per cui, indicando
con η la nuova variabile indipendente, le relazioni tra vecchio e nuovo sistema di riferimento si
scrivono come:
z = η + a → η = z − a = x − a + iy
(20)
La (15), considerando il cambiamento di riferimento, diventa:
g (a + η )
f (η ) = +B
(21)
(a + η )2 − a 2
La (21), per piccoli valori di η, ovvero in un intorno piccolo in prossimità dell’apice della cricca, si
può semplificare diventando:
g( a )
f (η ) ≈ +B per η << a
2 aη (22a)
La semplificazione precedente si può in maniera matematicamente più rigorosa descrivere scrivendo lo
sviluppo in serie di Taylor, e troncandolo al primo termine per valori di η piccoli [5]:

g (a + η ) g (a + η ) g (a + η ) ⎡ 1 η 1 ⋅ 3 ⎛ η ⎞ ⎤
2 3
1⋅ 3 ⋅ 5 ⎛ η ⎞
= = ⎢1 − + ⎜ ⎟ − ⎜ ⎟ + ...⎥ (22b)
(a + η )2 − a 2 η (2a + η ) 2aη ⎢⎣ 2 2a 2 ⋅ 4 ⎝ 2a ⎠ 2 ⋅ 4 ⋅ 6 ⎝ 2a ⎠ ⎥⎦

Sulla base della scelta della funzione complessa (15), soddisfacente le condizioni al contorno, si
possono adesso rielaborare le espressioni (14) ed ottenere le espressioni delle componenti di tensione.
Innanzi tutto si osserva che:
g( a ) −1 2 g( a ) − 3 2
f (η ) ≈ ⋅η + B; f ′( η ) = − ⋅η (23)
2a 2 2a
Per sostituire la parte reale ed immaginarie delle (23) nelle (14), è utile prima riscrivere le (23)
utilizzando la cosiddetta notazione complessa trigonometrica, utilizzando le relazioni di Eulero richiamate
in tabella 1. Sulla base di tali relazioni si ha:
η = re iϑ = r (cosϑ + i sin ϑ )
g (a) g (a) −1 2iϑ g (a) ⎛ ϑ ϑ⎞
f (η ) = ⋅ r −1 2 e −1 2iϑ + B = ⋅e +B= ⋅ ⎜ cos − i sin ⎟ + B; (24)
2a 2ar 2ar ⎝ 2 2⎠
g (a) −3 2 −3 2iϑ g (a) −3 2iϑ g (a) ⎛ 3ϑ 3ϑ ⎞
f ′(η ) = − ⋅r e =− e =− ⋅ ⎜ cos − i sin ⎟
2 2a 2r 2ar 2r 2ar ⎝ 2 2 ⎠

9
Meccanica della Frattura Lineare Elastica – basi teoriche Giuseppe Pitarresi

considerando che y=rsinϑ, si determina:


g( a ) ϑ
Re f ( η ) = cos +B
2ar 2
g( a ) 3 g( a ) ϑ ϑ 3
y ⋅ Re φ ′( η ) = − r sin ϑ cos ϑ = sin cos cos ϑ
2 r 2ar 2 2ar 2 2 2 (25)
g( a ) 3 g( a ) ϑ ϑ 3
y ⋅ Im φ ′( η ) = r sin ϑ sin ϑ = sin cos sin ϑ
2 r 2ar 2 2ar 2 2 2

Utilizzando le (25) e sostituendole nella (14) è adesso possibile scrivere:


g (a) ϑ⎛ ϑ 3 ⎞
σ xx = cos ⎜1 − sin sin ϑ ⎟ + 2 B
2ar 2⎝ 2 2 ⎠
g (a) ϑ⎛ ϑ 3 ⎞
σ yy = cos ⎜1 + sin sin ϑ ⎟ (26)
2ar 2⎝ 2 2 ⎠
g (a) ϑ ϑ 3
τ xy = sin cos cos ϑ
2ar 2 2 2
Westergaard propose di indicare:
g( a ) g( a ) K I
KI = → =
aπ a π (27)

Il termine KI nella (27) prende il nome di Fattore di Intensificazione delle Tensioni (in inglese
Stress Intensity Factor, SIF), e le (26) si possono quindi riscrivere come:
KI ϑ⎛ ϑ 3 ⎞
σ xx = cos ⎜1 − sin sin ϑ ⎟ + 2 B
2πr 2⎝ 2 2 ⎠
KI ϑ⎛ ϑ 3 ⎞
σ yy = cos ⎜1 + sin sin ϑ ⎟ (28)
2πr 2⎝ 2 2 ⎠
K ϑ ϑ 3
τ xy = I sin cos cos ϑ
2πr 2 2 2

Tornando all’espressione (27) e confrontandola con la (21) e la (22) si ha che:


g (a ) g (a + η )
KI = π = lim G (η ) dove G (η ) = π = [ f ( η ) − B ] ⋅ 2πη
a η →0 a (29)
quindi si può scrivere in generale che:
K I = lim [ f ( η ) − B ]⋅ 2πη
η →0 (30)
dove l’espressione precedente è utile per determinare il SIF da un problema una volta nota l’espressione
di f(z). Si può inoltre osservare che la generica funzione g(z) introdotta in (15) dev’essere tale per cui il
suo limite per η→0 sia finito (cioè la funzione dev’essere well behaved per z=a, ovvero η=0).
Dato che in coordinate polari il modulo di │η│=r, e considerando la seconda espressione nelle equazioni
(26), scritta nel caso in cui ϑ=0, la (30) si può anche scrivere [6]:
g( a + r ) π
K I = lim
r →0 a r →0
(
= lim σ yy ⋅ 2π r ) (30)
dove il limite va valutato lungo la linea x=0.
Va infine detto che la costante π nella definizione del SIF nell’espressione (27) discende dalla originale
notazione usata da Wetergaard. Il suo ruolo non riveste alcuna importanza teorica. Si suole mantenere tale
termine in queste espressioni per consuetudine, dato che essa compare in gran parte delle originali fonti
bibliografiche ispirate al lavoro di Westergaard.

Si possono a questo punto trarre delle conclusioni sulla base del risultato trovato ed espresso dalle
equazioni (28).

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Meccanica della Frattura Lineare Elastica – basi teoriche Giuseppe Pitarresi

i) Le (28) hanno validità generale per quanto riguarda la descrizione dello stato tensionale nella
zona prossima all’apice di una cricca sollecitata simmetricamente (cioè in modo I), centrata e
passante su una struttura bidimensionale;
ii) Le (28) determinano le componenti di tensione sul piano sia per stato piano di tensione che
di deformazione dato che sono basate sulla funzione di Airy che soddisfa il set di equazioni
(1) a sua volta valido sia per SPD che SPT;
iii) Tutte e tre le componenti di tensione sul piano determinate dalle (28) assumono valore
infinito per y=0, x=±a (r=0), cioè le soluzioni (28) hanno una singolarità in corrispondenza
degli apici della cricca;
iv) L’ordine della singolarità (che esprime anche il gradiente di crescita ad infinito delle
funzioni nell’intorno della singolarità) è lo stesso per tutti i problemi per cui valgono le (28)
e per tutte e tre le componenti di tensione, ed è pari a 0.5. Poiché le (28) impiegano le sole
condizioni al contorno locali, date dalla presenza della cricca, si può quindi dire che
indipendentemente dalle condizioni al contorno remote, tutte le strutture in cui è presente
una cricca passante caricato in Modo I hanno in prossimità dell’apice del difetto un campo
tensionale caratterizzato dallo stesso ordine di singolarità (ciò ovviamente ignorando al
momento l’influenza della zona plastica che necessariamente si instaurerà nella zona più
prossima all’apice della cricca);
v) Stesso discorso analogo al punto iv si può ripetere per quanto riguarda il profilo angolare del
campo di tensione attorno all’apice del difetto, dato che questo dipende dalle funzioni
angolari in ϑ;
vi) Il fattore di intensificazione delle tensioni, indeterminato nelle (28), è il solo parametro
(insieme alla costante B per quanto riguarda σxx) che descrive l’intensità del campo
tensionale ma non la sua distribuzione, che come detto dipende invece dal termine angolare e
dal termine singolare in r. L’indeterminazione del SIF nelle (28) dipende dal fatto che le
condizioni al contorno remote non sono state specificate. Il SIF quindi sarà univocamente
determinato dall’assegnare la geometria e le condizioni di carico e vincolo nel resto della
struttura. In ogni caso dalle (28) si possono già dare le dimensioni del SIF, pari a [F][L]-3/2;
vii) Il termine B che compare nelle (28) è anche esso indeterminato anche se esso deve essere
una costante reale. Si può comunque concludere che la sua influenza diventa tanto più
trascurabile quanto più si tende verso l’apice del difetto, dove la parte singolare della
soluzione varia diventando sempre più grande.

3.1.2 Funzione complessa di Westergaard: soluzione per piastra di dimensioni infinite.


La trattazione precedente, come verrà meglio spiegato più avanti, è in parte una generalizzazione
del procedimento originale di Westergaard che in realtà aveva trattato il problema specifico di una
piastra di dimensioni infinite caricata biassialmente (rappresentata in figura 1b).
Le condizioni al contorno remote sono adesso assegnate. Esse prevedono una tensione σyy=σ per
y→∞, e σxx=kσ per x→∞, ove k è un generico fattore moltiplicativo. La funzione complessa per
questo caso può essere espressa in maniera univoca assegnando alla funzione g(z) la seguente
espressione:
g( z ) = σ ⋅ z (31)
Si procede quindi ripetendo in gran parte le considerazioni fatte nel paragrafo precedente. In
particolare, per quanto riguarda le condizioni al contorno, scrivendo la funzione complessa come:
σ
f(z)= +B (32)
⎛ a2 ⎞
⎜1 − ⎟
⎜ z2 ⎟
⎝ ⎠

Per y=0 ed –a<x<a si ha:

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Meccanica della Frattura Lineare Elastica – basi teoriche Giuseppe Pitarresi

⎛ ⎞
σ ⎜ σ ⎟
f( x) = + B = −i ⎜ ⎟ + B → Re f ( x ) = B
− 1 a2 2
x −1 ⎜ a 2 2
x − 1 ⎟
⎝ ⎠
σ xx = 2 B ; σ yy = 0; τ xy = 0

Per x,y→±∞ ovvero │z│→∞ la (32) diventa una costante:


Re f ( z ) = σ + B
→ σ xx = σ + 2 B; σ yy = σ ; τ xy = 0
Im f ( z ) = 0
da cui discende che, per soddisfare il limite per x→±∞ si deve avere:
1
σ xx = σ + 2 B = σk → B = σ (k − 1 )) (33)
2
Traslando nuovamente l’origine del riferimento cartesiano sull’apice della cricca e utilizzando la
notazione trigonometrica si ottiene:
σ ⋅ (a + η ) σ ⋅a σ⋅ a
f (η ) = +B≈ +B= +B per η << a
(a + η )2 − a 2 2aη 2η

K I = lim [ f ( η ) − B ]⋅ 2πη = σ ⋅ πa
η →0

σ πa −1 2 σ πa − 3 2
f (η ) = ⋅η + B; f ′( η ) = − ⋅η
2π 2 2π

η = re iϑ = r(cos ϑ + i sin ϑ )

σ πa −1 2 −1 2iϑ σ πa −1 2iϑ σ πa ⎛ ϑ ϑ⎞
f (η ) = ⋅r e +B= ⋅e +B= ⋅ ⎜ cos − i sin ⎟ + B
2π 2πr 2πr ⎝ 2 2⎠

σ πa −3 2 −3 2iϑ σ πa −3 2iϑ σ πa ⎛ 3ϑ 3ϑ ⎞
f ′( η ) = − ⋅r e =− e =− ⋅ ⎜ cos − i sin ⎟
2 2π 2r 2πr 2r 2πr ⎝ 2 2 ⎠

⎧ σ πa ϑ
⎪ Re f ( η ) = ⋅ cos + B
⎪ 2πr 2

⎪ σ πa 3 σ πa ϑ ϑ 3
⎨ y ⋅ Re φ ′( η ) = − r sin ϑ ⋅ cos ϑ = sin cos cos ϑ
⎪ 2 r 2πr 2 2 πr 2 2 2

⎪ y ⋅ Im φ ′( η ) = r sin ϑ σ πa sin 3 ϑ = σ πa sin ϑ cos ϑ sin 3 ϑ
⎪ 2r 2πr 2 2πr 2 2 2

Tenendo conto delle (14) e della (33) si ricava infine:


⎧ KI ϑ⎛ ϑ 3 ⎞
⎪σ xx = cos ⎜1 − sin sin ϑ ⎟ + σ (k − 1)
⎪ 2πr 2⎝ 2 2 ⎠
⎪⎪ KI ϑ⎛ ϑ 3 ⎞
⎨σ yy = cos ⎜1 + sin sin ϑ ⎟ con K I = σ πa (34)
⎪ 2πr 2⎝ 2 2 ⎠
⎪ KI ϑ ϑ 3
⎪τ xy = sin cos cos ϑ
⎪⎩ 2πr 2 2 2

Si può notare che nel caso di una piastra di dimensioni infinite sollecitata monoassialmente,
dobbiamo porre k=0 nelle (34) per cui queste divengono:

12
Meccanica della Frattura Lineare Elastica – basi teoriche Giuseppe Pitarresi

⎧ KI ϑ⎛ ϑ 3 ⎞
⎪σ xx = cos ⎜1 − sin sin ϑ ⎟ − σ
⎪ 2πr 2⎝ 2 2 ⎠
⎪⎪ KI ϑ⎛ ϑ 3 ⎞
⎨σ yy = cos ⎜1 + sin sin ϑ ⎟ (35)
⎪ 2πr 2⎝ 2 2 ⎠
⎪ KI ϑ ϑ 3
⎪τ xy = sin cos cos ϑ
⎪⎩ 2πr 2 2 2

La (35) rappresenta quindi la soluzione nel caso monoassiale, ed il termine –σ è spesso chiamato in
letteratura T-Stress [12-15]. Anche se il SIF non è influenzato dal T-Stress, e quest’ultimo diventa
sempre più trascurabile quanto più ci si avvicina all’apice della cricca, è tuttavia riconosciuto che la
sua presenza è molto importante soprattutto quando si impiegano metodi sperimentali di valutazione
dello stato tensionale, ad esempio finalizzati al calcolo del SIF in casi complessi [6,7,13,16-18].

Si può notare anche come per y=0 ed –a<x<a la condizione al contorno per σxx prevede (vedi eq. (19)):
σ xx = 2 B = −σ (36)
quindi in una piastra di dimensioni infinite caricata monoassialmente lungo la direzione ortogonale alla
cricca, le facce superiori ed inferiori della cricca sono caricate a compressione lungo l’asse x. Se la piastra
fosse stata caricata in modo biassiale con tensione remota lungo x ed y uguale e pari a σ, si sarebbe
dovuto avere k=1 da cui B=0. In questo caso i fianchi della cricca avrebbero invece una tensione in
direzione x nulla.
A volte in molti testi le equazioni sono riportate ed utilizzate omettendo il termine –σ nell’espressione di
σxx. Ciò a rigore è errato (come visto sopra ciò è esatto solo nel caso di piastra caricata in modo biassiale
con uguali tensioni remote). L’errore commesso è tanto più consistente quanto più ci si allontana
dall’apice della cricca, mentre diventa trascurabile al tendere verso l’apice della cricca.
La trattazione seguita in questo lavoro per giungere alle equazioni (28) e (34), seppur mutuando da
Westergaard il tipo di trattamento analitico, non è esattamente quella svolta nel pionieristico lavoro di
Westergaard [3], la cui originale funzione di Airy proposta era data da:

Φ = Re f ( z ) + y ⋅ Im f ( z ) (37)
2 2
La differenza quindi è nell’assenza del terso termine B/2(y +x ) presente invece nella (6). E’ facile a
questo punto accorgersi che impiegando la (37), e ripetendo per il resto tutti gli sviluppi sopra
commentati, si giunge alla seguente soluzione:
⎧ KI ϑ⎛ ϑ 3 ⎞
⎪σ xx = cos ⎜1 − sin sin ϑ ⎟
⎪ 2πr 2⎝ 2 2 ⎠
⎪⎪ KI ϑ⎛ ϑ 3 ⎞
⎨σ yy = cos ⎜1 + sin sin ϑ ⎟ (38)
⎪ 2πr 2⎝ 2 2 ⎠
⎪ KI ϑ ϑ 3
⎪τ xy = sin cos cos ϑ
⎪⎩ 2πr 2 2 2

Questa come già detto è valida solamente nel caso particolare in cui si ha una lastra caricata biassialmente
con lo stesso valore di tensione remota lungo x e lungo y. Westergaard sembra che non si accorse di tale
restrizione reputando la (38) utile a rappresentare anche il caso monoassiale. In realtà la funzione di airy
(6), pur basata sul modello originale di Airy, riesce ad ottenere una soluzione più generale che tiene conto
di uno stato di tensione remoto genericamente biassiale come visto.
Il primo ad accorgersi della necessità di generalizzare i risultati ottenuti da Westergaard fu Irwin in
[12,13]. E’ significativo il fatto che Irwin ipotizzo la necessità di aggiungere un termine sottrattivo –σ alla
componente σxx mentre cercava di correlare dati sperimentali con dati analitici su un caso di piastra
monoassiale. Probabilmente la necessità di utilizzare dati sperimentali non proprio vicinissimi all’apice
della cricca indusse Irwin a riconoscere per primo la necessità di correggere i risultati ottenuti
precedentemente da Westergaard (a causa del peso maggiore del T-stress in zone non più vicinissime
all’apice della cricca). Altri contributi fondamentali nella corretta impostazione della funzione di Airy per
le piastre sollecitate biassialmente furono quindi dati da Sih [14] ed Eftis e Liebowitz [15], che hanno
risistemato la trattazione di Westergaard in modo simile a come è presentata in questo lavoro.

13
Meccanica della Frattura Lineare Elastica – basi teoriche Giuseppe Pitarresi

Riassumendo i risultati trovati nei paragrafi 3.1.1 e 3.1.2, si può in generale scrivere la soluzione
locale del campo tensionale sul piano, in prossimità dell’apice di una cricca passante, come:
KI 1
σ ijI = ⋅ ⋅ f ijI (ϑ )− T ( σ )δ xiδ xj con i, j = x, y (38)
2π r
3 4
1 2

La soluzione (38) è valida in una zona prossima all’apice della cricca, a seguito della
semplificazione fatta per ricavare l’eq. (22). Tale zona si può definite zona dominata dalla singolarità.
Essa non ha un contorno ben definito in quanto la soluzione (38) diventa progressivamente sempre
meno precisa allontanandosi dall’apice della cricca.
I termini raggruppati separatamente e indicati da 1 a 4 nella (38) svolgono ognuno un ruolo
specifico e indipendente. Il primo termine identifica l’intensità del campo di tensione, e questa dipende
dalle particolari condizioni al contorno del problema remote rispetto all’apice della cricca. Il termine 2
indica l’ordine della singolarità, ovvero in che modo le componenti di tensione tendono ad infinito
all’avvicinarsi all’apice della cricca. Il termine 3 indica la distribuzione angolare dello stato di
tensione, diversa per ogni componente di tensione. Si nota che sia il termine 2 che il termine 3 non
dipendono dalle condizioni al contorno remote. Tali termini quindi si presentano sempre uguali per
tutte le cricche sollecitate con Modo di Apertura I. Infine il termine 4 rappresenta il termine chiamato
T-Stress, ed è anch’esso funzione delle condizioni al contorno remote, anche se non influenza il SIF,
ovvero il termine di intensità della singolarità.

3.2 Modello di Westergaard per modi antissemtrici


Come noto, il modo più generale di sollecitare un difetto generico è la combinazione di tre modi
fondamentali detti modo di apertura (o Modo I), modo di taglio (o Modo II) e modo a strappo o di
scivolamento fuori dal piano (Modo III). Rispetto al sistema di riferimento cartesiano tipicamente
impiegato per descrivere un difetto ed il suo stato di tensione locale (vedi fig. 1), soltanto il modo I è
simmetrico, cioè la distribuzione del campo tensionale è simmetrica rispetto all’asse x. I modi II e III
sono entrambe modi asimmetrici (spesso in inglese indicati il primo come skew-symmetric ed il
secondo come antiplane problem per evidenziare la simmetria fuori dal piano). Il Modo II in
particolare è asimmetrico rispetto sempre all’asse x e rispetto alle componenti tensionali sul piano xy.
Il Modo III è invece asimmetrico rispetto al piano xz, cioè si ha antisimmetria rispetto alle componenti
tensionali fuori dal piano.
Come detto in precedenza la funzione di Airy (6) non ha una validità generale, in quanto può
descrivere il solo modo di apertura simmetrico. Tuttavia l’approccio seguito in precedenza rimane
valido per ricavare gli stati di tensione locali per i Modi II e III, modificando opportunamente
l’espressione (6). Ad esempio per problemi di Modo II, Westergaard propose la seguente funzione di
Airy [3-5]:
Φ = − y ⋅ Re f ( z ) (39)

Con procedimento analogo a quello del par. 3.1 si dimostra che la (39) è una funzione di Airy valida,
funzione della primitiva della funzione complessa di variabile complessa f(z). Le componenti di tensione
nel piano si ottengono essere date da:
σ xx = 2 Im f ( z ) + y ⋅ Re f ′( z )
σ yy = − y ⋅ Re f ′( z ) (40)
τ xy = Re f ( z ) − y ⋅ Im f ′( z )
Con procedimento analogo a quello del par. 3.1.2 si dimostra che le condizioni al contorno locali sono
soddisfatte da una funzione complessa del tipo:
g ( z)
f ( z) = (41)
z2 − a2
con g(z) funzione reale della variabile complessa z. Nuovamente procedendo in analogia al caso di Modo
I, si giunge alla soluzione del campo tensionale rispetto al riferimento centrato sull’apice della cricca.

14
Meccanica della Frattura Lineare Elastica – basi teoriche Giuseppe Pitarresi

Le equazioni delle componenti tensionali sul piano per Modo II sono espresso da:
1 ϑ⎛ ϑ 3 ⎞
σ xx = − K ΙΙ ⋅ ⋅ sin ⎜ 2 + cos cos ϑ ⎟
2πr 2⎝ 2 2 ⎠
1 ϑ ϑ 3
σ yy = − K ΙΙ ⋅ ⋅ sin cos cos ϑ (42)
2πr 2 2 2
1 ϑ⎛ ϑ 3 ⎞
τ xy = − K ΙΙ ⋅ ⋅ cos ⎜1 − sin sin ϑ ⎟
2πr 2⎝ 2 2 ⎠

L’espressione fornisce lo stato di tensione locale sul paino di validità generale, ovvero per generiche
condizioni al contorno remote (perché compatibili con il Modo II di sollecitazione). Considerando
nuovamente la cricca come centrata passante su una piastra di dimensioni infinite, le cui condizioni al
contorno remote sono adesso di puro taglio (cioè σx=σy=0 e τxy=τ per (x2+y2)0.5=∞, vedi fig. 2), in questo
caso si ottiene facilmente sia la funzione g(z) che l’espressione esatta del SIF [5]:
g (a + η )
g( z ) = τ ⋅ z ; K II = lim π = τ ⋅ πa (43)
η →0 a

Modo II (in-plane shear) Modo III (out of plane shear, tearing)

(a)

τyx=τ τyz=τ

y
y σyy y σyy=0
τxy y
σxx=0
σxx
r τzy
τxy=τ
τxy=τ

ϑ r
ϑ
x
x

2a
2a

τyz=τ
τyx=τ (b) (c)
Figura 3: a) rappresentazione dei Modi II e III di sollecitazione di un difetto; a) Modo II nel caso di
piastra infinita con stato di tensione remoto puramente tangenziale; c) Un caso particolare di condizioni al
contorno remote per piasta infinita sollecitata in Modo III.

Per quanto concerne il terzo modo fondamentale di sollecitazione, il Modo a strappo (“Tearing Mode”),

15
Meccanica della Frattura Lineare Elastica – basi teoriche Giuseppe Pitarresi

questo si differenzia dai precedenti in quanto genera una deformazione con asse di antisimmetria nella
direzione fuori dal piani, coincidente con l’asse z (il modo III è per questo detto anche antiplane mode).
Le uniche componenti di tensione generate da tale modo di sollecitazione nel riferimento xyz sono date da
τxz e τyz. Con procedimenti simili a quelli seguiti per i precedenti modi di sollecitazione (un esempio della
trattazione analitica specifica per Modo III è fornito in [5]), le componenti di tensione in prossimità
dell’apice della cricca assumono la seguente forma:
1 ϑ
τ xz = − K ΙΙΙ ⋅ ⋅ sin
2πr 2
(44)
1 ϑ
τ yz = − K ΙΙΙ ⋅ ⋅ cos
2πr 2
Le eq. (44) si caratterizzano nuovamente per la singolarità di ordine 0.5, la presenza di un Fattore di
Intensificazione delle Tensioni dipendente dalle condizioni al contorno remote, ed una distribuzione
angolare indipendente dalle condizioni al contorno remote e di tipo antisimmetrico, in cui per ϑ=0 si ha
soltanto la componente di tensione tangenziale fuori dal piano τyz≠0. In analogia a quanto fatto per gli
altri modi di sollecitazione è interessante notare l’espressione del SIF nel caso di piastra infinita con
condizioni al contorno remote date da τxz=0 e τyz=τ per (x2+y2)0.5=∞ (vedi fig. 3b). In questo caso si ha:
K III = τ ⋅ πa (45)

3.3 Derivazione delle tensioni principali, deformazioni e spostamenti

Editing still in progress

4. Legame tra lo Stress Intensity Factor G e lo Strain Energy Release Rate G.

Editing still in progress


5. Estensione delle equazioni di campo dello stato tensionale oltre la zona dominate
dalla singolarità.

Editing still in progress


this cannot be done for the general case as, unlike the stress intensity expressions, the higher-order terms present in an exact elasticity
solution vary from geometry to geometry, and from one case of remote loading to another.

6. Cenni sul Metodo degli Sviluppi in Serie di Williams

Editing still in progress


Metodo degli sviluppi in serie di Williams è più generale e dimostra la singolarità con potenza 0.5 indipendentemente dalle condizioni al
contorno remote e dalle modalità di carico.

7. Conclusioni

Editing still in progress


Menzione all’esistenza di altri metodi e al trattato di Rice …………… menzionare handbaooks con soluzioni per i SIF, e handbooks per
procedure sperimentali………….

16
Meccanica della Frattura Lineare Elastica – basi teoriche Giuseppe Pitarresi

Appendica A: Equazioni del problema elastico


Di seguito si descrivono le incognite e le equazioni che definiscono il problema strutturale elastico nel
caso di comportamento del materiale isotropo elastico lineare.

Incognite:
f tensioni σij(x,y,z)
deformazioni εij(x,y,z)
F spostamenti ux(x,y,z), uy (x,y,z), uz (x,y,z)

z Altri parametri:
Parametri del materiale: Sij=(Cij)-1, αij
y M Forze di Massa: M(x,y,z)=[Mx(x,y,z),My(x,y,z),Mz(x,y,z)]
x Forze superficiali concentrate: Fk
Foze superficiali distribuite: fk
Reazioni vincolari

i,j=x,y,z; k=1,..,n

Figura A1. Rappresentazione schematica di un continuo, delle condizioni al contorno in termini di


vincoli, forze superficiali distribuite e forze superficiali concentrate, e delle forze di massa definite per
ogni punto del volume.

Equazioni di equilibrio indefinite:


si ricavano imponendo l’equilibrio di un cubetto infinitesimo di materiale nell’intorno di un punto
P(x,y,z) del dominio che definisce il continuo in esame. Le equazioni che si ottengono sono anche
denominate equazioni di Cauchy:
∂σ xx ∂σ xy ∂σ xz
+ + + Mx = 0
∂x ∂y ∂z
∂σ yx ∂σ yy ∂σ yz
+ + +My =0 (a1)
∂x ∂y ∂z
∂σ zx ∂σ zy ∂σ zz
+ + + Mz = 0
∂x ∂y ∂z
spesso nelle equazioni precedenti si omette il contributo delle forze di massa M perché trascurabile. In
assenza di altre forze apparenti di tipo inerziale, il peso della struttura determina sempre delle forze di
massa, anche se queste sono quasi sempre di entità trascurabile.

Equazioni di compatibilità:
le deformazioni normali e tangenziali, definite come allungamento relativo di una linea di materiale
e variazione angolare relativa tra due linee di materiale inizialmente ortogonali, si possono esprimere
in funzione delle componenti di spostamento nel caso in cui il continuo sviluppa piccole deformazioni.
Tali relazioni sono:
∂u x ∂u y ∂u z
ε xx = ; ε yy = ; ε zz = ;
∂x ∂y ∂z
(a2)
∂u ∂u y ∂u y∂u ∂u ∂u
γ xy = 2ε xy = x + ; γ yz = 2ε yz = + z; γ xz = 2ε xz = x + z
∂y ∂x ∂z ∂y ∂z ∂x
Dalle (a4) discende che per dato campo di spostamenti (cioè data una configurazione deformata del
continuo), si ottiene un unico campo di deformazioni. Viceversa da un arbitrario campo di
deformazioni non è detto che si possa risalire ad un campo di spostamenti plausibile. Si possono in
particolare determinare situazioni in cui il campo di spostamenti è tale per cui si determinano
sconnessioni (campo di spostamenti non continuo) o compenetrazioni di zone del continuo (campo di

17
Meccanica della Frattura Lineare Elastica – basi teoriche Giuseppe Pitarresi

spostamenti non univoco o non-single valued displacement field), che non hanno ovviamente
giustificazione fisica. Evitare ciò significa dire che le deformazioni devono essere compatibili. Per
garantire quindi l’ottenimento di un campo di spostamenti compatibile, delle condizioni aggiuntive
devono essere imposte sul campo di deformazioni.

Un ulteriore considerazione sull’impossibilità delle (a4) a garantire campi di spostamento compatibili è la


seguente: se nelle (a4) si considerano le 6 deformazioni come variabili indipendenti e quindi si assegna a
loro un valore qualsiasi, si ottiene un sistema di sei equazioni e tre incognite, le 3 componenti di
spostamento. Tale situazione conduce quindi ad un sistema sovradeterminato. Si evince ancora che sono
necessarie altre tre equazioni linearmente indipendenti tra le deformazioni per risolvere univocamente il
problema. Le deformazioni e gli spostamenti in un corpo devono variare in modo continuo, e questo
quindi impone la condizione di continuità sulle derivate degli spostamenti e deformazioni. Di
conseguenza le componenti di spostamento ui (i=x,y,z) che compaiono nelle equazioni che definiscono le
deformazioni, può essere eliminato, ottenendo le equazioni di compatibilità. Di seguito si fornisce un
esempio dei passaggi che conducono alle formulazioni delle equazioni di compatibilità. Si consideri:
∂u x ∂u y
γ xy = +
∂y ∂x (i)
differenziando entrambe i membri di (i) rispetto ad x e y si ottiene:
∂ 2γ xy ∂ 3u x ∂ 3u y
= + (ii)
∂x∂y ∂x∂y 2 ∂x 2 ∂y
si noti che valgono anche le relazioni:
∂ 2ε xx ∂ 3u x ∂ 2ε yy ∂ 3u y
2
= 2
; 2
= (iii)
∂y ∂x∂y ∂x ∂x 2 ∂y
per cui sostituendo le (iii) nelle (ii) si ottiene:
∂ 2γ xy ∂ 2ε xx ∂ 2ε yy
= + (iv)
∂x∂y ∂y 2 ∂x 2
La (iv) rappresenta un primo tipo di relazione di compatibilità. Per rotazione impiegando nella (i) le altre
due deformazioni di scorrimento si possono ottenere altre due relazioni simili alla (iv).
Un secondo set di equazioni di compatibilità si può ottenere come di seguito:
⎧ ∂ 2ε xx ∂ 3u x
⎪( a ) → =
⎪ ∂y∂z ∂x∂y∂z
⎪ 2
⎪( b ) → ∂ γ xy ∂ 3u x ∂ 3u y
= + 2
⎪ ∂x∂z ∂x∂y∂z ∂x ∂z ∂ 2ε xx ∂ ⎛ ∂γ xy ∂γ zx ∂γ yz ⎞
⎪ ⎜ ⎟
⎨ → 2( a ) = ( b ) + ( c ) − ( d ) → 2 = + − (v)
2
⎪( c ) → ∂ γ zx
3
∂ uz 3
∂ ux ∂y∂z ∂x ⎜⎝ ∂z ∂y ∂x ⎟

= +
⎪ ∂x∂y ∂x 2 ∂y ∂x∂y∂z

⎪ ∂ 2γ yz ∂ 3u z ∂ 3u y
⎪( d ) → = +
⎪⎩ ∂x 2 ∂x 2 ∂y ∂x 2 ∂z

Si ricavano 6 equazioni di compatibilità:

18
Meccanica della Frattura Lineare Elastica – basi teoriche Giuseppe Pitarresi

∂ 2ε xx ∂ 2ε yy ∂ 2ε xy
+ = 2
∂y 2 ∂x 2 ∂x∂y
∂ 2ε yy ∂ 2ε zz
2
∂ ε yz
+ = 2
∂y 2 ∂y 2 ∂z∂y
∂ 2ε zz ∂ 2ε xx ∂ 2ε xz
+ = 2
∂x 2 ∂z 2 ∂x∂z
(a3)
∂ ε xx 1 ∂ ⎛ ∂ε yz ∂ε zx ∂ε xy
2 ⎞
= ⎜− + + ⎟⎟
∂y∂z 2 ∂x ⎜⎝ ∂x ∂y ∂z ⎠
∂ 2ε yy 1 ∂ ⎛ ∂ε yz ∂ε zx ∂ε xy

= ⎜ − +⎟⎟
∂x∂z 2 ∂y ⎜⎝ ∂x ∂y ∂z

∂ ε zz 1 ∂ ⎛ ∂ε yz ∂ε zx ∂ε xy ⎞
2
= ⎜ + − ⎟
∂x∂y 2 ∂z ⎜⎝ ∂x ∂y ∂z ⎟⎠

Di queste soltanto tre relazioni sono linearmente indipendenti e rappresentano le condizioni


aggiuntive cui devono soddisfare le deformazioni per dar luogo ad un campo di spostamenti
compatibile. Si dimostra inoltre che tali equazioni di compatibilità valgono soltanto per un dominio
semplicemente connesso, dove cioè al suo interno non vi sono altri contorni derivanti ad esempio da
fori o cavità.

Equazioni costitutive elastiche di Hooke:


I set di equazioni precedenti, (a1-3), hanno valore universale, nel senso che non sono dipendenti dal
tipo di materiale, essendo stati derivati da condizioni di equilibrio le (a1), e geometriche le (a2-3). Il
comportamento del materiale è descritto da equazioni che legano tra loro le tensioni e le deformazioni.
Tali relazioni nel caso di comportamento elastico lineare e di materiale isotropo hanno la seguente
nota formulazione:

ε xx =
1
E
[ ( )]
σ xx − ν σ yy − σ zz + α ⋅ ΔT
1
[ ]
ε yy = σ yy − ν (σ xx − σ zz ) + α ⋅ ΔT
E
1
[ ( )]
ε zz = σ zz − ν σ xx − σ yy + α ⋅ ΔT
E (a4)
1
γ xy = τ xy
G
1
γ yz = τ yz
G
1
γ xz = τ xy
G
Riassumendo, in generale il problema elastico tridimensionale ha quindici incognite, le sei componenti
cartesiane del tensore delle tensioni, le sei componenti cartesiane del tensore delle deformazioni e le
tre componenti cartesiane dello spostamento. Tali incognite sono inoltre funzione della posizione del
punto P(x,y,z) nel dominio che definisce il continuo. Si hanno a disposizione quindici equazioni
indipendenti nelle quindici incognite sopra definite. Tali equazioni sono le tre di equilibrio, sei
derivanti dalle espressioni che legano gli spostamenti alle deformazioni, e le sei equazioni costitutive
del materiale.
Un problema elastico è assegnato quando sono assegnati i seguenti dati:
• la geometria del componente;
• le condizioni al contorno (es. carichi superficiali e vincoli);
• le forze di massa ( o Body Forces definite per ogni punto del volume);
• le costanti elastiche del materiale.

19
Meccanica della Frattura Lineare Elastica – basi teoriche Giuseppe Pitarresi

Una soluzione del problema elastico, oltre a soddisfare il set di quindici equazioni differenziali,
deve anche soddisfare le condizioni al contorno, ovvero i valori che spostamenti, tensioni e
deformazioni assumono in corrispondenza dei contorni del componente devono coincidere con le
condizioni effettive presenti al contorno. Ciò in particolare rende spesso particolarmente difficile
determinare soluzioni in forma chiusa data la complessità intrinseca di modellare matematicamente
carichi e vincoli.

A volte, a seconda del tipo di problema, può essere conveniente riarrangiare i quattro set di equazioni (a
1-4), sostituendo ad esempio alcune incognite in funzione di altre ed impostando il problema con un
minore numero di incognite e di equazioni differenziali. Si possono ad esempio ottenere equazioni
tensioni-spostamenti sostituendo le eq. (a2) nelle (a4), e quindi mettere a sistema le equazioni risultanti
con le equazioni (a1), ottenendo un problema con nove incognite (tensioni e spostamenti) e nove
equazioni. Un altro interessante esempio consiste nel formulare le equazioni di compatibilità (a3) in
funzione delle tensioni (attraverso le (a4)) e combinandole ancora con le (a1). Il set di equazioni
risultanti è il seguente:
1 ∂2 ν ⎛ ∂M x ∂M y ∂M z ⎞ ∂M x
∇ 2σ xx + I1 = − ⎜
⎜ ∂x + ∂y + ∂z ⎟ − 2 ∂x

1 + ν ∂x 2 1 −ν ⎝ ⎠
1 ∂ 2
ν ⎛ ∂M x ∂ M y ∂M z ⎞ ∂M y
∇ 2σ yy + I =−
2 1

⎜ + + ⎟−2

1 +ν ∂y 1 − ν ⎝ ∂x ∂y ∂z ⎠ ∂y
1 ∂ 2 ⎛
ν ⎜ ∂M x ∂M y ∂M z ⎞ ∂M z
∇ 2σ zz + I1 = − + + ⎟−2
1 +ν ∂z 2 1 − ν ⎜⎝ ∂x ∂y ∂z ⎟⎠ ∂z
(vi)
1 ∂2 ⎛ ∂M x ∂M y ⎞
∇ 2τ xy + I 1 = −⎜⎜ + ⎟
1 + ν ∂x∂y ⎝ ∂y ∂x ⎟⎠
1 ∂2 ⎛ ∂M y ∂M z ⎞
∇ 2τ yz + I 1 = −⎜⎜ + ⎟
1 + ν ∂y∂z ⎝ ∂z ∂y ⎟⎠
1 ∂2 ⎛ ∂M x ∂M z ⎞
∇ 2τ xz + I1 = −⎜ + ⎟
1 + ν ∂x∂z ⎝ ∂z ∂x ⎠

dove I1=σxx+σyy+σzz è l’invariante lineare. Le (vi), equazioni di compatibilità in funzione delle tensioni,
hanno ridotto il problema elastico a sei equazioni differenziali in sei incognite. Dalle (vi) discende anche
un’osservazione molto interessante: in un dominio semplicemente connesso le componenti di tensione
non dipendono dal Modulo di Young del materiale (che infatti non compare nelle (vi)), ma soltanto dal
Coefficiente di Poisson. Tale proprietà è interessante quando si costruiscono dei modelli sperimentali di
componenti. Infatti tali modelli possono essere realizzati anche con materiali aventi moduli di Young
molto diversi dal componente reale. In questo caso se i due materiali, del modello e del componente,
hanno coefficienti di Poisson simili, allora anche i loro campi di tensione saranno simili. Infine si nota
anche che il contributo delle forze di massa è nullo se queste risultano costanti (tutte le derivate sarebbero
quindi nulle). Questo è ad esempio il caso delle forze di massa generate dal campo gravitazionale (cioè la
forza peso).

Appendica B: Il problema elastico nei casi di Stati Pani di Tenione (SPT) e Stati Piano
di Def0rmazione (SPD).
Un caso particolare del problema elastico riguarda i cosiddetti problemi piani. Questi hanno assunto
una notevole importanza sia perché riescono a semplificare ulteriormente le equazioni del problema
elastico, e sia perché sono applicabili a diversi casi strutturali. I problemi piani si distinguono in
problemi di Stato Piano di Tensione (SPT) e di Stato Piano di Deformazione (SPD). Di seguito si
riportano soltanto le equazioni semplificate del problema elastico per SPT ed SPD.

SPT:
Si ha uno SPT quando:

σ zz = τ yz = τ xz = 0; ε zz = −
ν
E
(σ xx + σ yy )
(b1)

20
Meccanica della Frattura Lineare Elastica – basi teoriche Giuseppe Pitarresi

Da (b1) ed (a1), trascurando il contributo delle forze di massa, le equazioni di equilibrio per SPT
diventano:

∂σ xx ∂τ xy
+ =0 ⎛ ∂ 2σ
∂x ∂y ⎜ ∂τ xyxx
∂ 2σ yy ⎞⎟
→ 2 =− + (b2)
∂τ yx ∂σ yy ∂x∂y ⎜ ∂x 2 ∂y 2 ⎟⎠
+ =0 ⎝
∂x ∂y SPT

Le equazioni costitutive si riducono a:


⎡ε xx ⎤ ⎡ 1 −ν 0 ⎤ ⎡σ xx ⎤
⎢ ⎥ 1⎢ ⎢ ⎥
⎢ε yy ⎥ = E ⎢ − ν 1 0 ⎥ ⋅ ⎢σ yy ⎥ (b3)

⎢ε xy ⎥
⎣ ⎦ ⎢⎣ 0 0 (1 + ν )⎥⎦ ⎢⎣τ xy ⎥⎦

Ricordando l’espressione della prima equazione di compatibilità dalle (a4):


∂ 2ε xx ∂ 2ε yy ∂ 2ε xy
+ =2 (vii)
∂y 2 ∂x 2 ∂x∂y
sostituendo alle componenti di deformazine le componenti di tensione mediante le (b3), si ha:
(
∂ 2 σ xx − νσ yy ) + ∂ 2 (σ yy − νσ xx ) = 2(1 + ν ) ∂ 2τ xy (viii)
∂y 2 ∂x 2 ∂x∂y
il termine a secondo membro può essere sostituito ricordando l’equazione di equilibrio per SPT ricavata
in precedenza (b2):
2
∂ 2σ xx ∂ σ yy ∂ 2σ yy ∂ 2σ xx ⎛ ∂ 2σ ∂ 2σ yy ⎞
+ − ν − ν = − (1 + ν )⎜
⎜ ∂x 2
xx
+ ⎟

∂y 2 ∂x 2 ∂y 2 ∂x 2 ⎝ ∂y 2 ⎠ (ix)
2 2
∂ σ xx ∂ σ xx ∂ 2σ yy ∂ 2σ yy
+ + + =0
∂x 2 ∂y 2 ∂x 2 ∂y 2

Ricordando l’operazione di differenziazione eseguita dall’operatore differenziale ∇2, detto anche


operatore di Laplace: ∇2=(∂2/∂x2+∂2/∂y2), la (ix) può quindi scriversi come:

(
SPT → ∇ 2 σ xx + σ yy = 0 ) (b4)

Si noti che la (b4) poteva anche ricavarsi dalle (vi) semplificando i termini per ottenere uno SPT, e
trascurando le forze di massa. La (b4) è l’equazione di compatibilità scritta in funzione delle tensioni
per SPT. In assenza di forze di massa e per un dominio semplicemente connesso essa risulta quindi
una Equazione di Laplace, ovvero un’equazione armonica.

SPD:
Si ha uno SPD quando:

ε zz = 0 → σ zz = ν (σ xx + σ yy ) ;

= 0; γ zx = γ zy = 0 → τ xz = τ yz
∂z (b5)
Da (b5) ed (a1), trascurando il contributo delle forze di massa, le equazioni di equilibrio per SPD,
risultano essere uguali a quelle per SPT (b2), ovvero:

21
Meccanica della Frattura Lineare Elastica – basi teoriche Giuseppe Pitarresi

∂σ xx ∂τ xy
+ =0 ⎛ ∂ 2σ
∂x ∂y ∂τ xy
⎜ xx
∂ 2σ yy ⎞⎟
→ 2 =− + (b6)
∂τ yx ∂σ yy ∂x∂y ⎜ ∂x 2 ∂y 2 ⎟⎠
+ =0 ⎝
∂x ∂y SPD

Per quanto riguarda le equazioni costitutive in SPD, si deve notare che queste non possono essere
uguali alle (b3). Infatti in SPD la componente di tensione σz non è nulla è da quindi un contributo, ad
esempio in termini di contrazione laterale per effetto Poisson, alle deformazioni normali lungo x ed y.
Le equazioni costitutive in questo caso si possono ricavare dalle relazioni complete (a4), trascurando
per semplicità gli effetti della variazione di temperatura (ΔT=0), e scrivendo σzz pari a ν(σxx+ σyy), ed
ottenendo:
⎡ε xx ⎤ ⎡1 − ν − ν 0⎤ ⎡σ xx ⎤
⎢ ⎥ 1 +ν ⎢ −ν 1 −ν ⎢ ⎥
⎢ε yy ⎥ = E 0⎥ ⋅ ⎢σ yy ⎥ (b7)
⎢ ⎥
⎢ε xy ⎥ ⎢⎣ 0 0 1⎥⎦ ⎢⎣τ xy ⎥⎦
⎣ ⎦
si può notare che la (b7) si può scrivere in modo formalmente simile alla (b3) ponendo:
E ν
E′ = ; ν′=
1 −ν 2 1 −ν
⎡ε xx ⎤ ⎡ 1 −ν ′ 0 ⎤ ⎡σ xx ⎤ (b8)
⎢ ⎥ 1 ⎢ ⎢ ⎥
⎢ε yy ⎥ = E ′ ⎢ − ν ′ 1 0 ⎥ ⋅ ⎢σ yy ⎥

⎢ε xy ⎥
⎣ ⎦ ⎢⎣ 0 0 (1 + ν ′)⎥⎦ ⎢⎣τ xy ⎥⎦
Si osserva quindi che nel caso di SPD la (ix) si può scrivere come:
(
∂ 2 σ xx − ν ′σ yy ) + ∂ 2 (σ yy − ν ′σ xx ) = 2(1 + ν ′) ∂ 2τ xy ⎛ ∂ 2σ
= −(1 + ν ′)⎜ xx
+
∂ 2σ yy ⎞
⎟ (x)
∂y 2
∂x 2
∂x∂y ⎜ ∂x 2 ∂y 2 ⎟
⎝ ⎠
e quindi anche per il caso di SPD l’equazione di compatibilità in funzione delle tensioni assume la
stessa identica espressione dell’Equazione di Laplace (b4) valida per SPT. Quindi:

(
SPD → ∇ 2 σ xx + σ yy = 0 ) (b9)

Quindi sia in SPD che in SPT il problema elastico si reduce alle due equazioni di equilibrio ed
all’equazione di compatibilità in funzione delle tensioni, ovvero la (b3) o (b9). In entrambe i casi le
equazioni non dipendono dalle costanti elastiche del materiale. Per cui un componente reale ed un
prototipo aventi soltanto i materiali diversi, ma uguale forma e condizioni al contorno, sottoposti ad
uno stato piano di tensione o di deformazione, svilupperanno sempre lo stesso stato di tensione (tale
proprietà è ad esempio usata nella tecnica di analisi sperimentale delle tensioni della Fotoelasticità
bidimensionale).
Per quanto riguarda le componenti sul piano, le equazioni costitutive per SPT ed SPD sono
formalmente simili come detto. Esse posso scriversi in modo univoco come indicato in tabella b2.
La soluzione di un problema elastico piano determinata in condizioni di SPT può essere trasformata
in una soluzione valida per SPD sostituendo semplicemente le costanti elastiche E e ν con le
espressioni E′ e ν′ come definite in tabella b1 e dall’equazione (b8).
Le relazioni precedenti sono state tutte ricavate non considerando effetti quali forze di massa o
variazioni di temperatura. Equazioni complete che mantengono tutti i termini si possono trovare nei
molti testi di riferimento in letteratura sul problema elastico in generale.

22
Meccanica della Frattura Lineare Elastica – basi teoriche Giuseppe Pitarresi

Tabella b2: Relazioni costitutive per SPT ed SPT.


SPT SPD
σ xx σ yy 2(1 + ν ′)
ε xx = − ν ′ ⋅ σ yy ; ε yy = − ν ′ ⋅ σ xx ; γ xy =
E′ E′ E′
E ν
E′ = E; ν ′ = ν E′ = ; ν′=
1 −ν 2 1 −ν

ε xx = −
ν
(σ xx + σ yy ); ε xx = 0;
E σ zz = ν (σ xx + σ yy );
σ zz = 0

Appendice C: Alcune proprietà delle funzioni complesse.


Una funzione complessa di variabile complessa è una funzione composta da una parte reale ed una
immaginaria, a loro volta funzioni della variabile indipendente complessa z=x+iy. Per assegnato
valore di z=z*, la funzione complessa avrà quindi come risultato un numero complesso. Possiamo
quindi in generale rappresentare una funzione complessa separando la parte reale e la parte
immaginaria scrivendo:

f ( z ) = Re f ( z ) + i ⋅ Im f ( z ) → dove z = x + iy = e iϑ (c1)

Una funzione complessa si dice analitica nel dominio R se è differenziabile per ogni z appartenente ad R e
la sua derivata prima si può scrivere nei seguenti modi:
∂f ( z ) ∂ Re f ( z ) ∂ Im f ( z ) df ∂z df
= +i = ⋅ = = f ′( z )
∂x ∂x ∂x dz ∂x dz (xi)

∂f ( z ) ∂ Re f ( z ) ∂ Im f ( z ) df ∂z df
= +i = ⋅ =i⋅ = i ⋅ f ′( z ) (xii)
∂y ∂y ∂y dz ∂y dz
dalla (xi) si ricava:
⎛ ∂ Re f ( z ) ∂ Im f ( z ) ⎞
i ⋅ f ′( z ) = i ⋅ ⎜ +i ⎟ (xiii)
⎝ ∂x ∂x ⎠
uguagliando la (xii) con la (xiii) si ottiene:

⎛ ∂ Re f ( z ) ∂ Im f ( z ) ⎞ ⎛ ∂ Re f ( z ) ∂ Im f ( z ) ⎞
i⋅⎜ +i ⎟ = ⎜⎜ +i ⎟⎟ (xiv)
⎝ ∂x ∂x ⎠ ⎝ ∂y ∂y ⎠
ovvero:
∂ Im f ( z ) ∂ Re f ( z ) ∂ Re f ( z ) ∂ Im f ( z )
− +i⋅ = +i (xv)
∂x ∂x ∂y ∂y

Dalla (xv) e dalla (xi) discendono le seguenti espressioni anche note come Equazioni di Cauchy
Riemann:
∂ Re f ( z ) ∂ Im f ( z )
Re f ′( z ) = =
∂x ∂y
(c2)
∂ Im f ( z ) ∂ Re f ( z )
Im f ′( z ) = =−
∂x ∂y
Un approfondimento sul significato di funzione complessa analitica è di seguito proposto. In generale
una funzione complessa si dice analitica su una regione R se per ogni punto z in R essa risulta
differenziabile. A sua volta una funzione complessa si dice differenziabile se la sua derivata in z esiste
ed è unica.

23
Meccanica della Frattura Lineare Elastica – basi teoriche Giuseppe Pitarresi

L’unicità in particolare implica che il valore della derivata è lo stesso per qualsiasi orientamento di dz
(infatti nel piano complesso dz rappresenta un segmento che può essere variamento orientato attorno a z).
La derivata della funzione complessa f(z) è definita come:
∂ Re f ∂ Re f ⎛ ∂ Im f ∂ Im f ⎞
dx + dy + i ⎜⎜ dx + dy ⎟⎟
df ( z ) Δf ∂x ∂y ⎝ ∂x ∂y ⎠
= f ′( z ) = lim =
dz Δz→0 Δz dx + idy (xvi)
se si moltiplica e divide la (xvi) per dx-idy, e si mette in evidenza a numeratore e denominatore dx2, si
ottiene:
∂ Re f ∂ Re f dy ∂ Im f dy ∂ Im f dy 2 ⎛⎜ ∂ Im f ∂ Im f dy ∂ Re f dy ∂ Re f dy 2 ⎞⎟
+ + + +i + − −
df ∂x ∂y dx ∂x dx ∂y dx 2 ⎜⎝ ∂x ∂y dx ∂x dx ∂y dx 2 ⎟⎠
= (xvii)
dz 1 + dy 2 dx 2
se si indica con m=dy/dx la (xvii) diventa:
∂ Re f ⎛ ∂ Re f ∂ Im f ⎞ ∂ Im f 2 ⎡ ∂ Im f ⎛ ∂ Im f ∂ Re f ⎞ ∂ Re f 2 ⎤
+ ⎜⎜ + ⎟⎟ ⋅ m + m + i⎢ + ⎜⎜ − ⎟⎟ ⋅ m − m ⎥
df ∂x ⎝ ∂y ∂x ⎠ ∂y ⎢⎣ ∂x ⎝ ∂y ∂x ⎠ ∂y ⎦⎥
=
dz 1 + m2 (xvii)
ovvero:
∂ Re f ∂ Im f ⎛ ∂ Re f ∂ Im f ⎞ ⎛ ∂ Im f ∂ Re f ⎞ ⎛ ∂ Im f ∂ Re f ⎞ 2
+i + ⎜⎜ + ⎟⎟ ⋅ m + i ⎜⎜ − ⎟⎟ ⋅ m + ⎜⎜ −i ⎟m
df ∂x ∂x ⎝ ∂y ∂x ⎠ ⎝ ∂y ∂x ⎠ ⎝ ∂y ∂y ⎟⎠
=
dz 1 + m2 (xviii)
Il termine m indica il coefficiente angolare del segmento infinitesimo dz. Se la derivata prima deve essere
unica, essa non deve quindi dipendere da m. Si osserva a questo punto che condizione necessaria e
sufficiente affinché il termine m scompaia dalla (xviii) è che si abbia:
∂ Re f ∂ Im f ∂ Im f ∂ Re f
=− ; = (xix)
∂y ∂x ∂y ∂x
Si osserva che le (xix) sono identiche alle (c2), quindi le condizioni di Cauchy Riemann sono anche
condizioni necessarie e sufficienti affinché la funzione complessa f(z) sia differenziabile. Sostituendo le
(xix) nella (xviii) si ottiene:
∂ Re f ∂ Im f ⎛ ∂ Re f ∂ Im f ⎞ 2
+i +⎜ +i ⎟m
df ∂x ∂x ⎝ ∂x ∂x ⎠ ∂ Re f ∂ Im f
= = +i (xx)
dz 1+ m 2 ∂x ∂x
che è esattamente equivalente alla (xi).
E’ interessante osservare che se f(z) è una funzione analitica, lo è anche la sua derivata. Infatti derivando
rispetto ad x le (xix) si ha:
∂ 2 Re f ∂ 2 Im f ∂ 2 Im f ∂ 2 Re f
=− ; = (xxi)
∂x∂y ∂x 2 ∂x∂y ∂x 2
ma dalla (xx) si ha che:
df ∂ Re f df ∂ Im f
Re = ; Im = (xxii)
dz ∂x dz ∂x
per cui le (xxi) diventano:
∂ Re f ′ ∂ Im f ′ ∂ Im f ′ ∂ Re f ′
=− ; = (xxiii)
∂y ∂x ∂y ∂x
ove le (xiii) risultano le condizioni di Cauchy Riemann per la funzione derivata f′(z).

Dalle (c2), derivando per x la prima relazione e per y la seconda, e sommando membro a membro i
risultati si ottiene:

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Meccanica della Frattura Lineare Elastica – basi teoriche Giuseppe Pitarresi

∂ 2 Re f ( z ) ∂ 2 Im f ( z ) ∂ 2 Im f ( z ) ∂ 2 Re f ( z )
= ; =−
∂x 2 ∂x∂y ∂x∂y ∂y 2
(xvi)
∂ 2 Re f ( z ) ∂ 2 Re f ( z )
+ =0
∂x 2 ∂y 2
ancora dalle (c2), derivando adesso per y la prima relazione e per x la seconda, e sommando membro a
membro i risultati si ottiene:

∂ 2 Re f ( z ) ∂ 2 Im f ( z ) ∂ 2 Im f ( z ) ∂ 2 Re f ( z )
= ; = −
∂x∂y ∂y 2 ∂x 2 ∂x∂y
(xvii)
∂ 2 Im f ( z ) ⎛⎜ ∂ 2 Im f ( z ) ⎞⎟
− − =0
∂y 2 ⎜ ∂x 2 ⎟
⎝ ⎠

Dalle (xvi) e (xvii) si evince quindi che:

∇ 2 Re f ( z ) = 0; ∇ 2 Im f ( z ) = 0 (c3)
ovvero in una generica funzione complessa analitica (cioè derivabile) la parte reale e la parte
immaginaria sono equazioni di Laplace, e sono dette funzioni armoniche coniugate

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Meccanica della Frattura Lineare Elastica – basi teoriche Giuseppe Pitarresi

Bibliografia
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