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per la Continuità Competitiva delle PMI

Progetto “Ri-lancio”
Rilevazione, analisi e studio del fenomeno passaggio generazionale nelle PMI
nel territorio regionale veneto, al fine di valutare la necessità di avviare
misure regionali di accompagno ed innovazione a sostegno del passaggio generazionale

Vicenza, ottobre 2002


Quando parlava Eschine, gli Ateniesi dicevano: "Come parla bene!"
Quando parlava Demostene, gli Ateniesi dicevano: "Uniamoci contro Filippo!".

Lo spirito di questa ricerca non vuol essere tanto quello di un eloquio rotondo,
quanto quello di fornire informazioni motivanti, che spingano ad agire.

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SINTESI DELLA RICERCA.

Premessa.
La trasmissione aziendale – o successione – è il processo attraverso il quale la proprietà
dell’azienda viene trasferita ad un’altra persona o ad un’azienda, in modo tale che
l’originaria impresa continui ad operare.
Una trasmissione aziendale può avvenire all’interno della famiglia proprietaria, attraverso
l’acquisto di manager interni o la vendita a terzi.
La trasmissione può infine avvenire tramite un progetto mirato, oppure come risultato di
eventi accidentali (morte, incidente o malattia dell’originario titolare).

Obiettivi.
L’obiettivo principale della presente indagine è quello di capire come si potrebbero
migliorare le condizioni di trasmissione aziendale in Veneto. Ciò al fine di poter
salvaguardare e migliorare le condizioni economiche e, soprattutto, mantenere la
competitività delle nostre imprese.

Parte generale.
L’analisi è avvenuta attraverso la rilevazione, sulla base dell’anzianità aziendale,
dell’estensione sul territorio del fenomeno della criticità del trasferimento delle imprese da
una generazione all'altra, e del conseguente rischio di loro cessazione.
Tale analisi ha riguardato la dimensione delle imprese in termini di dipendenti, fatturato e la
loro significatività in quanto “patrimonio” del territorio (assumendo quale indicatore la
capacità di export).
L’universo di riferimento è stato quello delle 444.376 ditte attive PMI (alla data
31/03/2002).
Tale rilevazione di primo livello ha riguardato un campione (5.000) ditte statisticamente
rappresentative delle sette province venete e dei diversi settori merceologici.
Il campione è stato fornito da Infocamere, in stretta collaborazione con Unioncamere
Veneto.
Le risultanze della parte generale possono essere così sintetizzate:
- media dipendenti: 3,78
- media addetti familiari: 1,44
- media collaboratori (dipendenti più addetti familiari): 5,22
- fatturato medio: 3.090.664 Euro (calcolo riferito alle sole società di capitali)
- livello medio di export: 35,71%
- aziende che hanno almeno 22 anni di vita (cioè sorte prima del 1980): nr. 63.812
- aziende che avranno almeno 22 anni di vita nei prossimi 5 anni: nr. 54.125

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- totale aziende che ad oggi ed entro i prossimi 5 anni saranno interessate alla tematica
della trasmissione: nr. 117.937
- rischio socio economico (in base ai parametri europei):
nr. 400-410.000 collaboratori a rischio di doversi riqualificare
45-50.000 mil. di Euro di fatturato* a rischio
17-18.000 mil. di Euro di export* a rischio
(*valore riferito alle sole società di capitali)

Parte specifica e mirata.


La rilevazione specifica è stata attuata mediante un campione mirato di 142 aziende fra
quelle precedentemente selezionate, e ha riguardato l'attuale anzianità dei titolari alla guida
dell'impresa, la presenza o meno di possibili successori e le rispettive caratteristiche
anagrafiche e di posizionamento professionale.
Si precisa inoltre che tali aziende - intervistate telefonicamente mediante un questionario -
erano particolarmente significative, sotto il profilo della pertinenza del problema e della
significatività statistica.
Le risultanze della parte mirata possono essere così sintetizzate:
- oltre il 36% dei titolari o fondatori delle aziende ha più di 60 anni;
- la classe di età dei titolari più numerosa è quella dai 56 ai 60 anni;
- l’80% delle aziende intervistate sono ancora guidate dal fondatore (nel 92% dei casi di
sesso maschile);
- l’80% dei Senior ricopre un ruolo in azienda definibile di generalista;
- nel 97% delle aziende c’è la presenza di continuatori (effettivi o potenziali);
- due terzi dei continuatori (effettivi o potenziali) sono di sesso maschile;
- la classe d’età degli Junior più numerosa è quella dai 26 ai 30 anni;
- il 48% degli Junior ha maturato un’esperienza in azienda di almeno 6 anni;
- oltre il 50% degli Junior è in possesso di un diploma superiore, e oltre il 30% di una
laurea;
- i fattori interni (leadership interna, aspetti relazionali e familiari) condizionano
maggiormente la continuità rispetto ai fattori esterni (leadership esterna, competitività
sul mercato);
- sul totale delle aziende intervistate, il 35% di queste prevede un passaggio di testimone
entro 5 anni, il 20% l’ha già effettuato negli ultimi 5 anni, mentre un altro 34% non lo
prevede nel medio termine;
- il tipo di trasferimento - attuato o previsto - è nell’82% dei casi definibile in famiglia
(cioè un vero e proprio passaggio generazionale);
- la forma di trasferimento – attuata o prevista – è nel 69% dei casi quella della cessione
(meglio se graduale) delle quote o azioni ai continuatori;

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- le ragioni del trasferimento - attuato o previsto – sono nel 65% dei casi legate al
pensionamento/età del Senior;
- l’8% delle aziende intervistate dichiara di aver attivato – o di farlo in futuro – un preciso
processo di pianificazione con scadenze ben definite;
- il 56% degli intervistati dichiara che il tempo medio di pianificazione del proprio
processo successorio è compreso tra 4 e 10 anni;
- rispetto alle possibili misure d’intervento gl’intervistati hanno espresso il seguente
gradimento: 30% per i supporti finanziari, 24% per gli incentivi fiscali, 22% e 21%
rispettivamente per azioni formative e interventi consulenziali.

Conclusioni.
I dati sopra esposti rilevano che la problematica della continuità nel Veneto è di stretta
attualità, e presenta dimensioni quali-quantitative significative, in termini di rischio socio-
economico in caso di una non corretta gestione.

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Indice.

Introduzione p. 7

Metodologia della ricerca p. 13

La rilevazione:
- Generale p. 16
- Specifica e mirata p. 27

Conclusioni p. 67

Alcuni elementi utili per le possibili fasi successive. p. 69

Appendice: traccia commentata del questionario p. 71

A cura di:
StudioCentroVeneto Sas
Via G.B. Imperiali, 77
36100 Vicenza
Tel. 0444-512733
Fax 0444-512420
www.studiocentroveneto.com
info@studiocentroveneto.com

L’indagine è stata diretta da Toni Brunello, condotta da Paolo Zaramella, e con la


collaborazione di: Luisa Barausse, Vladimiro Barocco, Mirco Casteller, Ferruccio Dal Lin,
Elena Padovan, professionisti che cooperano nell’ambito dell’Atelier StudioCentroVeneto
per la continuità delle imprese.

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INTRODUZIONE.

Sono oramai quasi dieci anni che l’Unione Europea ha posto l’accento sulla problematica
della continuità/passaggio generazionale, intervenendo - per la prima volta a livello
normativo – con la Raccomandazione del 7 dicembre 1994, che sollecitava gli Stati
Membri ad intervenire per favorire la trasmissione, in particolare delle micro e piccole
imprese.

Il motivo di tale particolare attenzione è strettamente legato all’evoluzione socio-economica


della popolazione: é stato infatti calcolato che, mediamente, una generazione
imprenditoriale in Europa dura 29 anni.
Questo significa che le numerosissime imprese nate nel secondo dopo guerra, in particolare
negli anni del boom economico e fino alla metà degli anni Settanta, stanno affrontando in
questo periodo, per questioni per così dire anagrafiche, la problematica successoria.
Questo sta determinando una vera e propria esplosione del fenomeno un po’ in tutta Europa;
la problematica sta quindi assumendo quasi un carattere di epidemia a livello di sistema,
costringendo i diversi attori economici, sia pubblici che privati, ad attivarsi.
In Italia – e nel Veneto in particolare - la durata media di una generazione è forse un po’ più
elevata rispetto alla media europea, in quanto sembra vi sia una tendenza da parte del
Senior, talora critica per la competitività aziendale, a procrastinare la sua uscita o comunque
la delega effettiva alla nuova generazione.

Sempre a livello d’iniziative di sensibilizzazione ed informazione, è importante ricordare il


forum di Lille del febbraio 1997, primo appuntamento a livello europeo sul tema.
Un dato importante emerso, e preoccupante allo stesso modo, è la scarsa consapevolezza
rilevata in quell’occasione su tale problematica (oltre il 60% degli imprenditori riteneva,
a quel tempo, che la trasmissione per loro non sarebbe stato un problema).

Successivamente, nella sua Comunicazione del 28.3.1998, l’Unione ha sollecitato i Paesi


Membri a favorire i meccanismi di trasmissione delle PMI, con supporti pubblici e privati,
perché la scarsa efficienza di quelli attuali é fonte di una preoccupante mortalità per le
imprese europee e di una conseguente, grave emorragia di posti di lavoro.

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Infatti, come già nel ’94, la UE denunciava:
- due imprese su tre scompaiono entro i 5 anni dalla formale trasmissione;
- ciò determina la perdita di circa 300.000 posti di lavoro l’anno in Europa;
- il 10% dei fallimenti in Europa risulta dovuto all’inadeguatezza dei diversi
operatori
nel governare i processi di trasmissione;
- in sintesi, si parla di 5 milioni di posti di lavoro a rischio nei prossimi anni.

Un dato molto interessante, emerso da una più recente ricerca francese condotta su un
campione esteso a livello europeo, ha calcolato che se mediamente uno start-up (nascita di
una nuova impresa) crea due posti di lavoro, una trasmissione di successo ne mantiene
ben cinque.
Questo dovrebbe spingere i diversi Governi – anche regionali - ad incentivare
meccanismi di trasmissione adeguati, essendo dimostrata la maggiore efficacia
nell’ordine del 150% – e quindi il minor rischio – insito nella continuità di un’impresa
rispetto alla sua nascita.
Il recentissimo Seminario di Vienna del 23-24 settembre scorsi raccomanda di dedicare la
stessa attenzione alla creazione di nuove imprese e al loro trasferimento nella
prospettiva della continuità.
Mutuando un fondamentale concetto di marketing, questo viene confermato considerando
che “è molto più difficoltoso trovare un nuovo cliente rispetto a mantenerlo”.

Se a questo aggiungiamo il fatto che, mediamente, una trasmissione in Europa dura 7-8
anni (fonte belga del 1997 su più di mille PMI, confermata da più recenti dati) è chiaro che
il governo della stessa riveste un ruolo strategico per la competitività del tessuto economico.

In sintesi, con le sue ricerche l’Unione Europea individua, quali principali cause dei
pesanti insuccessi nella gestione della trasmissione:
- la mancata preparazione della trasmissione con congruo anticipo, soprattutto
da parte degli imprenditori trasmittenti, cioè dei cosiddetti Senior;
- la mancata consapevolezza dell’interesse generale ad una continuità delle
imprese, da parte di tutti gli interessati diretti ed indiretti
(istituzioni, mondo del credito, consulenti, sindacati, ecc.);
- il mancato coordinamento fra i vari specialisti che intervengono, ciascuno
troppo settorialmente, nelle diverse fasi e ambiti della trasmissione;
- il mancato accompagnamento formativo/consulenziale nelle fasi, non brevi,
della transizione.

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Emerge, complessivamente, la mancanza di una precisa qualificazione di quell’insieme
di competenze che dovrebbero contraddistinguere la qualità dei servizi alle imprese in
quest’ambito nuovo.
Una vera e propria nuova cultura della trasmissione delle imprese dovrebbe essere
alimentata e diffusa, in modo da coinvolgere non solo i più diretti interessati, ma tutti coloro
che a vario titolo vengono ad avere ruolo nelle dinamiche della trasmissione.

A seguito di queste iniziative, un paio d’anni fa è stato costituito a Bruxelles, in seno alla
Direzione Generale Impresa, il cosiddetto Expert Group on Transfer of Businesses.1
Il Gruppo si è posto l’obiettivo di verificare la situazione nei diversi paesi europei, in
particolare rispetto all’applicazione o meno della Raccomandazione e della Comunicazione,
individuando inoltre le buone pratiche attuate.
Queste ultime sono state divise in support measures e tax measures cioè, rispettivamente, in
misure di supporto (azioni di informazione/sensibilizzazione, formazione ed
accompagnamento) e misure legali e fiscali (interventi normativi in senso stretto, atte a
favorire la trasmissione).

E’ stato infine elaborato il Report finale, presentato al recentissimo Seminario europeo di


Vienna del 23-24 settembre scorsi.
Si riportano qui di seguito alcuni punti specifici del Report:
- si calcola che circa un terzo delle imprese europee dovrà trasferire la proprietà
entro i prossimi 10 anni (da 25% a 40% a seconda degli Stati);
- il pensionamento, cioè l’anzianità del titolare, è ancora la causa principale di
trasmissione. Stanno però crescendo di numero le trasmissioni per ragioni
personali;
- un numero elevato di trasmissioni avverranno al di fuori della famiglia;
- tutti gli Stati Membri hanno attuato una parte della Raccomandazione sul
tema; ciò nonostante, nel 51% delle potenziali aree d’intervento non si sono
sviluppate misure adeguate;
- sono attive molte iniziative di supporto, ma non sempre in maniera strutturata
ed organica (questo porta a non raggiungere spesso i destinatari).

Si ribadisce, in sintesi, la tendenziale limitatezza di interventi ed azioni concrete che,


come visto, sono state spesso effettuate in maniera poco coordinata l’una con l’altra.

1
L’Italia ha due rappresentanti: il Dr Carlo Spagnoli di Unioncamere in qualità di membro istituzionale, e il Dr Toni
Brunello di StudioCentroVeneto di Vicenza, in qualità di membro tecnico.

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Anche analizzando i dati italiani e regionali sul tema, emerge che il problema del
passaggio generazionale é di grande attualità anche nel nostro paese.
Molti imprenditori stanno cominciando a vedere all’orizzonte la possibilità di godersi
finalmente i frutti del loro lavoro e, parallelamente, dovrebbero aver già impostato il
processo che si concluderà con il passaggio del timone ad un successore.
Secondo una ricerca del 1998 promossa dall’API (Associazione Piccole e Medie Industrie)
di Vicenza, una delle più grandi d’Italia, emerge come sulle 1050 aziende associate
all’epoca, circa il 22-23% di queste fosse da considerarsi a rischio nei successivi 5 anni, per
un totale di 7 mila posti di lavoro e un volume d’affari di più di mille milioni di Euro.
Un’altra indagine del 1997, svolta dall’Unione Artigiani di Belluno, portava alla
conclusione che la non preparazione e pianificazione del passaggio generazionale significa,
molto spesso, mettere fortemente a repentaglio la continuità dell’azienda e quindi il
benessere economico-sociale di un determinato territorio. Dal pur limitato campione
risultava che ben il 75% delle imprese intervistate apparteneva alla cosiddetta matrice
unitaria-dinastia unitaria, cioè al tipico caso di un solo titolare/fondatore e di un unico
erede/successore. Questo fatto, se da un lato facilita apparentemente la scelta da parte del
fondatore (essendoci un unico potenziale continuatore), determina una forte pressione da
parte del padre/madre per l’entrata in azienda del continuatore.
Inoltre, la particolare struttura organizzativa determinava una fortissima commistione tra
caratteristiche aziendali e aspetti familiari.

Un’indagine ancor più recente (Ervet anno 2001) - inserita all’interno di un progetto
complesso di sensibilizzazione sul tema - effettuata in Emilia Romagna, dimostra che una
impresa artigianale su tre rischia la chiusura nel medio termine.
Questo dato, di per sé allarmante, conferma precedenti ricerche effettuate su realtà aziendali
leggermente più grandi. In particolare, secondo Infocamere, circa un terzo dei titolari delle
70.000 imprese della provincia di Bologna ha più di 55 anni, trovandosi quindi nella
condizione di dover trasmettere l’impresa ai figli o a terzi.
Questo significa che la ricchezza sociale di quel territorio e le potenzialità imprenditoriali e
produttive che rischiano di scomparire sono enormi. Questo vale in particolare per le realtà
più piccole e a prevalente conduzione familiare.

In questi ultimi mesi sono uscite due anteprime d’altrettante ricerche sul tema del
passaggio generazionale. Tali indagini hanno un significato particolare: evidenziano che il
tema inizia ad essere considerato strategico dagli imprenditori e dai diversi attori del sistema
socio-economico (banche, consulenti, formatori, associazioni di categoria).
Più in dettaglio, si tratta di una ricerca dell’Ispo (Istituto per gli studi sulla pubblica
opinione) e di uno studio del progetto Tra.Sme’s svolto in Friuli Venezia Giulia.

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Un dato su tutti: la considerazione di “attualità” del tema è passata dal 37% del 1995 al
60% attuale (confronto de “Il Sole-24Ore”).
Alcuni altri spunti interessanti, emersi dalle ricerche sopra esposte, possono essere così
sintetizzati:
- la successione imprenditoriale, se supportata da un chiaro progetto di sviluppo e
accompagnata dall’intervento di specialisti esterni, può rappresentare un’ottima occasione
di evoluzione e crescita per l’azienda, un rilancio;
- governare, e non subire, la transizione significa pianificare una serie coordinata di
azioni che dovrebbero avere un unico obiettivo strategico: la continuità dell’impresa;
- la successione è spesso una “strettoia” per i manager in quanto, pur se ritenuti utili dalla
maggioranza degli imprenditori, i dirigenti trovano comunque difficoltà nel loro
inserimento (significativo il dato della ricerca friulana: si evidenzia che solo nel 26% dei
casi vi è un’apertura della famiglia proprietaria nei confronti di dirigenti esterni);
- quasi due terzi degli intervistati ritiene “molto utile” il sostegno di soggetti esterni
specializzati;
- le tre figure che sono intervenute con più frequenza per facilitare il processo di
transizione sono, nell’ordine: commercialista, consulente aziendale, amici di famiglia,
cioè figure di generalisti;
- non emerge ancora una figura di specialista per la continuità;
- né la Borsa né le merchant bank riscuotono grande successo tra le PMI secondo le due
ricerche;
- nel complesso, nonostante le oggettive difficoltà, la grande maggioranza delle PMI si
dicono ottimiste guardando al futuro.

E’ da qualche anno che ci si chiede se la dimensione effettiva del fenomeno “trasmissione


d’impresa” in Italia e in Europa abbia raggiunto, o stia raggiungendo, il suo apice.
Molto probabilmente la situazione italiana è diventata matura: da un’indagine del Centro
studi della Cgia di Mestre (VE) si sta iniziando ad assistere, per la prima volta, ad una
leggera flessione di titolari e soci con più di 50 anni.
In altri termini: molti degli attuali titolari sono diventati maturi (quasi il 40% del totale a
livello nazionale, secondo l’indagine) e stanno quindi iniziando a cedere il comando alle
nuove leve.
Ciò potrebbe contribuire ad innescare processi di trasmissione generazionale non sempre
facilmente gestibili e ad alto rischio d'insuccesso.

Nei mesi scorsi è stata presentata a Padova, in occasione dell’assemblea del Gruppo
Giovani Imprenditori di Unindustria, un’interessante indagine dall’emblematico titolo
“Imprese al bivio”.

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Pur rappresentando una ricerca su un campione limitato (effettuata cioè solamente su iscritti
all’Associazione) sono emersi alcuni elementi significativi che possono essere così
riassunti:
- quasi la metà delle imprese intervistate sta pensando seriamente alla propria
continuità;
- c’è una generalizzata e pericolosa tendenza al “far da sé”, cioè a non essere
aiutati nella difficile gestione di tale problematica;
- si tratta in genere di una gestione “fatta in casa”, nel senso che solo il 10% dei
casi tende ad aprirsi al capitale esterno;
- sta comunque iniziando ad emergere una certa consapevolezza che il passaggio
di testimone deve essere preparato con cura.

L’insieme di questi elementi testimonia una certa ritrosia, se non proprio un rifiuto, da parte
soprattutto dei Senior, ad affrontare il tema in termini gestionali.
Probabilmente ciò è dovuto al fatto che la problematica non è stata ancora inquadrata in
un proprio profilo definito, né si può dire che competenze professionali e strumenti
specialistici collaudati siano disponibili.
Testimonianza di ciò è per esempio il grande successo riscosso dalla recente iniziativa degli
Industriali di Vicenza dal titolo Continuità: parliamone tra noi, che ha condotto
gl’imprenditori Senior a confrontarsi a porte chiuse con i colleghi, sulla base di esperienze
vissute come storie aziendali e familiari.

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METODOLOGIA DELLA RICERCA.

L’indagine è stata progettata partendo da alcune indicazioni metodologiche provenienti


direttamente dall’operato della Commissione Europea e da quanto emerso dal Report finale
del Gruppo di Esperti.
Come accennato, da quasi una decina d’anni l’Unione Europea sta studiando, analizzando
ed intervenendo sul tema del business transfer, al fine di garantire il consolidamento e la
futura competitività delle moltissime PMI, spesso a prevalente conduzione familiare,
interessate alla problematica.
Tra i tanti interventi auspicati – legislativi, di sostegno, di sensibilizzazione – particolare
importanza riveste la sistematica rilevazione del fenomeno.
Onde evitare interventi per così dire a macchia di leopardo, cioè scollegati e non
confrontabili, l’indagine mette in pratica - per quanto possibile – alcuni dei diversi
indicatori quali-quantitativi suggeriti dalla Commissione.
L’Unione Europea auspica infine che tali rilevazioni siano impostate in modo da poter
avere cadenza annuale o, comunque, siano ripetute nel tempo, al fine di monitorare a largo
raggio – in una logica di Osservatorio permanente – il fenomeno indagato.

Obiettivi della ricerca.


L’indagine è stata progettata in funzione di una precisa finalizzazione di potenziale
successivo intervento, a diversi livelli d’approfondimento.
Il criterio guida fondamentale è quello dell’anzianità aziendale, che si collega direttamente
al rischio socio-economico - in termini di fatturato, dipendenti e capacità di export, cioè di
competitività - derivante dalla chiusura delle imprese in odore di business transfer (sia esso
avvenuto, in atto o in previsione) nonché alle possibili linee d’intervento.
Il tutto è stato attuato, in stretto concerto con Unioncamere regionale e Infocamere,
rispettando la rappresentatività statistica del campione analizzato sia in termini
territoriali (cioè di ripartizione delle sette province venete) sia dei diversi settori
merceologici.

Strutture della ricerca.


L’analisi è stata effettuata a due livelli:
- Rilevazione generale, su un campione casuale di 5.000 ditte attive iscritte alla
Camera di Commercio (ripartite nelle sette province in base alla numerosità delle
imprese, e dei diversi settori merceologici) rappresentative dell’intero universo delle
oltre 440.000 ditte nel Veneto. Si precisa inoltre che tali aziende sono tutte PMI
(secondo la definizione europea, cioè con un numero di dipendenti inferiori alle 250
unità) e che il campione rappresenta anche le imprese artigiane in senso stretto (che

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sono sempre PMI). Queste ultime costituiscono, mediamente, circa un terzo del totale
delle ditte.
- Rilevazione specifica e mirata, tramite questionari semi-strutturati somministrati
telefonicamente a 142 aziende particolarmente significative, sotto il profilo della
pertinenza del problema (assumendo l’età come discriminante) e appartenenti al
campione delle 5.000 imprese. In queste aziende esiste il problema del passaggio
generazionale in quanto in atto, previsto nel medio termine o appena concluso.

La fonte delle informazioni elaborate nel campione di 5.000 imprese deriva dalle
registrazioni delle Camere di Commercio.
Con la rilevazione generale - si sono indagati i seguenti aspetti:
- dimensione azienda, attraverso le variabili fatturato e numero di dipendenti
- settore merceologico d’appartenenza
- età dell’azienda e, ove possibile, del titolare/i
- quota di export sul volume del fatturato (su basi-dati dirette ed indotte)

Sul totale delle ditte attive sono stati successivamente analizzati il numero di start-up e il
numero di cessazioni (ultimo valore annuale aggregato disponibile, e confronto della
dinamica degli ultimi cinque anni).

L’obiettivo della rilevazione generale, lo si ribadisce, era quello di ottenere una corretta
stima del numero di imprese coinvolte nel fenomeno, nonché il grado di rischio insito in
una non corretta gestione delle delicate fasi della trasmissione.

Con la rilevazione specifica e mirata si è voluto studiare in modo approfondito il problema


della trasmissione d’azienda.
Lo si è fatto analizzando i seguenti aspetti:
- anzianità manageriale dei titolari
- loro grado di istruzione e posizione aziendale
- presenza o meno di possibili continuatori
- loro età anagrafica e aziendale
- loro grado di istruzione e posizione aziendale
- presenza o meno di una trasmissione avvenuta (negli ultimi cinque anni)
- previsione di una trasmissione entro i prossimi cinque anni (prendendo come
variabile
discriminante il trasferimento della maggioranza proprietaria e dei poteri di controllo
alla nuova generazione imprenditoriale)
- tipo di trasferimento (all’interno della famiglia, ai dipendenti, a terzi)
- forma del trasferimento (successione, donazione, vendita, accorpamento, ecc.)

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- ragione del trasferimento (pensionamento, incidente, altri motivi)
- presenza o meno di un processo di pianificazione (non tanto formale ma sostanziale:
piano, scadenze, modalità, ecc.)
- tempo medio di pianificazione.

Come detto precedentemente, i fattori sopra esposti sono quelli auspicati dal Report del
Gruppo di Esperti della Commissione Europea.

Si precisa inoltre che le aziende, direttamente intervistate per telefono, sono tutte PMI e
presentavano un minimo di struttura organizzativa e familiare, al fine di poter verificare in
concreto l’attuazione delle future misure regionali d’accompagnamento, anche nell’ottica
d’innovazione e ammodernamento delle modalità gestionali.

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LA RILEVAZIONE.

La rilevazione generale.
Per effettuare l’analisi di primo livello, avente come obiettivo la quantificazione del
fenomeno nelle sue direttrici essenziali (numerosità delle aziende interessate alla
problematica, fatturato, dipendenti e livello di export a rischio) é stato estratto un campione
casuale rappresentativo dell’intero universo d’imprese venete.
Questo campione è composto da 5.000 imprese estratte dalle 444.376 ditte attive iscritte al
Registro imprese (alla data 31 marzo 2002) secondo i seguenti criteri:
- PMI (dipendenti inferiori a 250);
- Ripartizione nelle sette province in base alla numerosità delle ditte iscritte;
- Rispetto della proporzione esiste tra i diversi settori merceologici.

Rispetto a quest’ultimo punto, il dettaglio della ripartizione settoriale è il seguente:

Tab. 1 Popolazione aziende venete

Settore Totale attive %


Agricoltura, caccia e silvicoltura 103.383 23,265
Pesca, piscicoltura e servizi connessi 2.244 0,505
Estrazione di minerali 297 0,067
Attività manifatturiere 68.753 15,472
Produzione e distribuzione energia elettrica, gas e acqua 129 0,029
Costruzioni 57.525 12,945
Commercio ingrosso e dettaglio; riparazione beni personali e per la casa 103.493 23,290
Alberghi e ristoranti 21.000 4,726
Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni 16.967 3,818
Intermediazione monetaria e finanziaria 8.328 1,874
Attività immobiliare, noleggio, informatica, ricerca 41.561 9,353
Istruzione 1.050 0,236
Sanità e altri servizi sociali 966 0,217
Imprese non classificate 2.488 0,560
Altri servizi pubblici, sociali e personali 16.174 3,640
Servizi domestici presso famiglie 18 0,004
totale 444.376 100

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Si è voluto lavorare su un campione molto consistente, 5.000 imprese contro le usuali 1.000
imprese, per una stima più consistente delle proiezioni all’intera popolazione di imprese
(PMI) del Veneto, ma anche per poter selezionare, per la seconda parte della ricerca, un
congruo numero d’imprese a rischio passaggio generazionale.

Più nel dettaglio, si perviene ad una ripartizione provinciale così definita:

Tab. 2 Campione

Provincia Nr. di aziende %


Belluno 164 3,28
Padova 1046 20,92
Rovigo 294 5,88
Treviso 926 18,52
Venezia 785 15,7
Verona 950 19,00
Vicenza 835 16,70
Veneto 5000 100,00

Caratteristiche delle aziende del campione.

Dipendenti.
Media regionale: 3,78
Il dettaglio delle singole province è il seguente:

Tab. 3 N.ro medio

Provincia Dipendenti
Belluno 5,48
Padova 3,38
Rovigo 2,56
Treviso 3,52
Venezia 3,32
Verona 3,78
Vicenza 4,92
Veneto 3,78

Il numero medio di dipendenti per azienda del campione è pari a 3,78, con valori estremi per
Rovigo (2,56 dipendenti/azienda) e Belluno (5,48 dipendenti/azienda) come mostra la
tabella.
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A questi valori vanno però aggiunti gli addetti familiari che sono mediamente 1,44
(sempre calcolati in base ai dati del campione, forniti da Infocamere).
Si può quindi affermare che, mediamente, le PMI venete hanno circa 5 collaboratori
ciascuna (dipendenti in senso stretto più i familiari), ai quali va aggiunto il titolare o i
titolari.
Sarà quindi questo valore che verrà successivamente considerato per calcolare il numero
totale di dipendenti/collaboratori a rischio in caso di chiusura dell’azienda.

Le aziende del campione sono così suddivise per classi di dipendenti:

Tab. 4 Classi

Classi da 0 a 1 da 2 a 5 da 6 a 10 da 11 a 50 da 51 a 250
Percentuale 74,14 11,58 5,54 7,08 1,66

Si nota che tre quarti delle aziende analizzate o non ha dipendenti o ne ha solo uno. Dal
punto di vista della risoluzione delle problematiche legate alla continuità questa struttura
(della proprietà) presenta forti rischi. Da un lato tutta la conoscenza è concentrata nel
proprietario/fondatore, dell’altro non vi è un minimo di struttura extra familiare che possa
affiancare la nuova generazione o comunque interpretare le nuove esigenze aziendali, anche
nell’ottica di un’accresciuta spinta all’innovazione.

Fatturato.
Media regionale: Euro 3.090.664
Va immediatamente precisato che tale dato, riferito generalmente al 31-12-2000, è stato
calcolato solo per le società di capitali (Spa, Srl e Sapa) che sono obbligate per legge a
depositare annualmente il proprio bilancio.
Il dato si riferisce a poco meno del 20% del campione totale che tuttavia riteniamo, sulla
base di altri studi, indicativo delle aziende del Veneto.

18
Più nel dettaglio, il dato medio ripartito per singole province, sempre riferito alle sole
società di capitali, è il seguente:

Tab. 5 Fatturato medio

Provincia Fatturato medio


Belluno 3.942.555
Padova 3.113.567
Rovigo 1.991.029
Treviso 2.392.687
Venezia 4.243.149
Verona 2.251.972
Vicenza 3.699.687

Per un maggior dettaglio, che comprende anche i valori di fatturato delle società di persone
e delle ditte individuali, si rimanda alle successive rilevazioni effettuate sul campione
mirato di 142 aziende.
***

Età dell’azienda.
(calcolata rispetto alla data di iscrizione al registro imprese, cioè anno d’avvio dell’attività)
L’anzianità delle aziende del campione – che rappresenta un dato rilevante nell’ottica della
continuità d’impresa e dei possibili interventi regionali d’aiuto – risulta così ripartita:

Tab. 6 Classi di età delle aziende

Anno < 1950 1951-1960 1961-1965 1966-1970 1971-1975 1976-1980 1981-1985 > 1986
d’avvio
Percentuale 0,44% 0,94% 0,76% 1,68% 4,28% 6,26% 12,18% 73,46%
Età aziende > 52 42-51 37-41 32-36 27-31 22-26 17-21 < 16
Nr. aziende 22 47 38 84 214 313 609 3673

Applicando questi parametri all’intero universo di ditte/PMI attive a livello regionale si


perviene alla seguente ripartizione, per un totale di 444.376 imprese:

Tab. 7 Ripartizione popolazione aziende per età

< 1950 1951-1960 1961-1965 1966-1970 1971-1975 1976-1980 1981-1985 > 1986
1.955 4.177 3.377 7.466 19.019 27.818 54.125 326.439

19
Se prendiamo in considerazione, in termini assoluti, le ditte attive sorte prima del 1980
(quelle che, ad oggi, hanno almeno 22 anni) si ottengono 63.812 aziende.
Nella prospettiva di una politica d’interventi – con azioni di medio termine - sembra più
corretto considerare anche le aziende che entro cinque anni supereranno la soglia dei 22
anni (aziende iscritte prima del 1985).

Si perviene quindi al ragguardevole numero di 117.937 PMI.

Questo numero può effettivamente rappresentare le PMI venete a rischio successione nei
prossimi cinque anni, cioè quel numero complessivo di aziende, per lo più piccole e micro
imprese con una forte presenza di familiari, che necessitano o necessiteranno in prima
ipotesi, di eventuali interventi regionali di incentivazione e accompagnamento nell’ottica
della continuità e dello sviluppo innovativo.
Va detto che tale cifra è rappresentata da imprese piuttosto eterogenee tra loro, per
dimensione (fatturato e dipendenti), propensione all’export e all’innovazione, realtà
provinciale o locale, ma soprattutto per struttura proprietaria e settore (agricoltura,
artigianato, commercio, industria, servizi).

Anzianità dei titolari


Passiamo ora ad analizzare, in sintesi, le caratteristiche anagrafiche dei soggetti che
ricoprono un ruolo (consigliere d’amministrazione, amministratore delegato, presidente del
CdA, socio, titolare, ecc.) nelle 5.000 aziende del campione generale.

Innanzitutto, il sesso dei soggetti considerati è così ripartito:

Tab. 8 Sesso dei titolari

Maschi Femmine
77,28% 22,72%

Questa ripartizione mette in evidenza una forte presenza maschile nelle posizioni di
comando (sia in termini di proprietà dell’azienda che di gestione e controllo), ma non rileva
l’andamento degli ultimi anni.
In effetti, come si descriverà più nel dettaglio nella parte mirata, negli ultimi anni è
decisamente cresciuta la presenza femminile in azienda, sia per quanto riguarda la creazione
di nuove aziende, che la continuazione di quelle esistenti.

20
Nella successiva tabella, sono stati invece ripartiti questi soggetti per classi di anni di
nascita:

Tab. 9 Classi di età dei titolari

Anno < 1935 1936-40 1941-45 1946-50 1951-55 1956-60 1961-65 1966-70 1971-75 >1976
Età > 67 62-66 57-61 52-56 47-51 42-46 37-41 32-36 27-31 > 26
% 9,38 7,37 9,79 13,76 12,54 13,46 14,53 11,22 5,70 2,25

Si possono fare alcune considerazioni osservando i dati:


- la classe di età più numerosa è quella dal 1961 al 1965 (da 37 a 41 anni);
- prendendo in esame solamente i soggetti nati prima del 1950 (e che quindi ad oggi hanno
almeno 52 anni) si perviene ad una percentuale molto rilevante: 40,3%. Possiamo quindi
affermare, con buona approssimazione, che nella nostra regione quattro imprenditori (o
comunque soggetti che hanno un ruolo di proprietà o gestione) su dieci hanno un’età
considerabile in fascia successione;
- una percentuale significativa di soggetti (9,38% per l’esattezza) hanno più di 67 anni, e
quindi sono caratterizzati da un’età avanzata rispetto ai processi di trasmissione in atto. Va
però precisato che in questa classe ci sono diversi soggetti che hanno spesso un ruolo più
rappresentativo (es. presidente onorario) che effettivo;
- nell’ottica di medio termine dei possibili interventi regionali sul tema, sono individuabili
le due classi centrali (anno di nascita dal 1946 al 1955, cioè età compresa tra i 47 e 56
anni) che da sole rappresentano oltre il 26% del totale dei soggetti presi in
considerazione. In altri termini, i destinatari d’eventuali azioni coordinate a livello
regionale, nell’immediato o entro cinque anni, risultano essere un numero significativo.

21
Livello di export per provincia
Il terzo elemento utile per stimare il successivo rischio socio economico – che si aggiunge al
fatturato e al numero di collaboratori/dipendenti – è il livello di export, cioè della
percentuale di vendite sui mercati esteri rispetto al totale.
Questo indicatore è significativo perché evidenzia la capacità di essere competitivi sul
mercato globale, quindi sia su quello interno che su quello estero.
Va inoltre precisato che, a differenza di altri dati puntuali (es. anno di nascita dell’azienda,
età dell’imprenditore, ecc.) con riferimento all’export non è stato possibile quantificare il
valore preciso.
Ci si è quindi avvalsi di informazioni indotte ricavate da altre fonti; in particolare dalla
pubblicazione periodica di Unioncamere Veneto, relativa all’andamento congiunturale delle
industrie manifatturiere.

Tab. 10 Quota export

Provincia % export
Belluno 34,77
Padova 32,22
Rovigo 25,77
Treviso 33,87
Venezia 50,22
Verona 40,87
Vicenza 32,25
(fonte: Unioncamere Veneto, Giuria della congiuntura, media anno 2001)

La media regionale è quindi del 35,71%

***

22
Start-up e cessioni
Un’ulteriore informazione rilevante riguarda le cessioni e nuove iscrizioni effettuate presso
le diverse Camere di Commercio.
Si nota che le cessazioni, riportate nella tabella qui di seguito, avvenute negli ultimi cinque
anni – e ripartite tra le sette province venete – hanno avuto un andamento modestamente
crescente. Il dato annuale si attesta infatti sempre tra poco più di 30.000 a quasi 32.000
aziende.

Analizzando la situazione delle singole province si rileva:


- Belluno: andamento tendenzialmente invariato;
- Padova: andamento decisamente crescente;
- Rovigo: andamento notevolmente decrescente;
- Treviso: andamento leggermente crescente con un picco nel 2000;
- Venezia: andamento crescente a partire dal 1999;
- Verona: andamento lievemente crescente;
- Vicenza: andamento leggermente decrescente.

Tab. 11 Cessazioni

Provincie cessate 1997 cessate 1998 cessate 1999 cessate 2000 cessate 2001
BELLUNO 1.067 1.095 1.159 1.076 1.119
PADOVA 5.703 6.691 6.688 6.456 6.824
ROVIGO 3.175 2.096 1.741 1.672 1.909
TREVISO 5.304 5.392 5.383 6.838 5.919
VENEZIA 4.840 4.820 5.692 5.247 5.716
VERONA 5.002 5.087 5.205 5.272 5.324
VICENZA 5.212 4.714 4.935 4.861 4.916
Totale 30.303 29.895 30.803 31.422 31.727

Analizzando invece la situazione per quanto riguarda le nuove iscrizioni si rileva che:
- Belluno: andamento leggermente crescente;
- Padova: andamento tendenzialmente costante sino al 1999 e poi decisamente
crescente;
- Rovigo: andamento fluttuante;
- Treviso: notevole riduzione nel 1998 e poi leggera crescita;
- Venezia: andamento tendenzialmente costante;
- Verona: andamento leggermente crescente con esclusione del 1998;
- Vicenza: andamento leggermente crescente con esclusione del 1998.

23
Tab. 12 Iscrizioni

Provincie iscritte 1997 iscritte 1998 iscritte 1999 iscritte 2000 iscritte 2001
BELLUNO 726 728 735 867 906
PADOVA 4.888 4.857 4.642 5.408 6.163
ROVIGO 1.672 1.967 1.234 1.480 1.790
TREVISO 8.389 4.787 4.304 5.051 5.502
VENEZIA 4.477 4.339 3.821 4.286 4.903
VERONA 5.126 4.581 5.009 5.310 5.865
VICENZA 4.303 3.598 4.055 4.547 5.013
Totale 29.581 24.857 23.800 26.949 30.142

Rispetto agli obiettivi specifici della presente indagine, appare però più rilevante analizzare
i saldi relativi alle cessazioni ed iscrizioni. Questo dato di sintesi permette di illustrare
l’andamento complessivo, o meglio di dare un riscontro sull’effettiva inclinazione
all’imprenditorialità nel Veneto.
Quest’ultima è ovviamente condizionata anche da fattori non solo strettamente individuali,
ma anche dal contesto specifico, dall’andamento dei mercati, dalla situazione socio-
economica, ecc..

Tab. 13 Saldi tra cessazioni e iscrizioni

Provincie Saldo 1997 Saldo 1998 Saldo 1999 Saldo 2000 Saldo 2001
BELLUNO -341 -367 -424 -209 -213
PADOVA -815 -1.834 -2.046 -1.048 -661
ROVIGO -1.503 -129 -507 -192 -119
TREVISO 3.085 -605 -1.079 -1.787 -417
VENEZIA -363 -481 -1.871 -961 -813
VERONA 124 -506 -196 38 541
VICENZA -909 -1.116 -880 -314 97
Totale -722 -5.038 -7.003 -4.473 -1.585

E’ evidente dai dati emersi dalla tabella che i saldi tra ditte iscritte e cessate risultano essere
quasi tutti negativi. In effetti, solo Treviso nel 1997 e Verona e Vicenza saltuariamente,
presentano saldi positivi.
Purtroppo, non è possibile individuare con precisione i fattori che hanno causato e favorito
la cessazione delle ditte. Queste cause possono essere di varia natura: andamento economico
generale, situazione socio-economica, evoluzione dei mercati, vicende personali dei titolari,
ecc.

24
Si nota che nel biennio 1998-1999 il saldo complessivo a livello regionale risulta essere
fortemente negativo. Questo può essere avvenuto anche per effetto di una congiuntura
economica (addirittura a livello mondiale) sfavorevole.
In Europa, e in Italia in particolare, questo fenomeno potrebbe anche aver risentito delle
dinamiche intervenute in concomitanza con l’ingresso nell’area Euro.
L’ultimo dato disponibile (anno 2001), pur sempre negativo, mette però in evidenza una
certa riduzione del saldo considerato, e cioè un recupero di vitalità imprenditoriale.
Come già citato nella parte introduttiva, la ricerca della CGIA di Mestre ha rilevato che,
negli ultimi due anni, i titolari/fondatori over 50 sono diminuiti, e che quindi
tendenzialmente dovrebbe essere in atto un incremento dei trasferimenti d’impresa o
passaggi generazionali.
In sintesi, la vivace dinamica start up/cessazioni sembra testimoniare di un significativo
incremento delle dinamiche nelle fasi di trasmissione, proprio quelle fasi che
richiederebbero risorse mirate in termini di consapevolezza, competenza specifica e
strumentazioni gestionali, e alla fine finanziarie.

Rischio socio-economico
Se i dati emersi in precedenza vengono incrociati tra di loro, si sarà in grado di calcolare il
cosiddetto rischio socio-economico legato ad una non adeguata pianificazione della
trasmissione.
Molteplici indagini hanno confermato che, mediamente, due imprese su tre scompaiono
entro cinque anni dal primo passaggio di consegne (oggettivamente il più impegnativo)
mentre una su due scompare nel corso del secondo.

Possiamo quindi calcolare, con buona approssimazione, il rischio anzidetto come segue:
- Imprese che ad oggi o entro i prossimi cinque anni saranno interessate al tema:
n. 117.937 di cui
- n. 6.132 nate prima del 1960 (cioè che hanno almeno 42 anni e quindi sono
ipotizzabili di seconda generazione e oltre)
- e n. 111.805 nate tra il 1961 e il 1985 (cioè che hanno dai 17 ai 41 anni e quindi
sono ipotizzabili di prima generazione)

Applicando i parametri di rischio sopra esposti si perviene al seguente risultato:


Imprese di seconda generazione e oltre a rischio* 3.066
Imprese di prima generazione a rischio** 74.537
Previsione totale imprese a rischio: 77.603

(* mediamente un’impresa su due a rischio, fonte UE)


(** mediamente due imprese su tre a rischio, fonte UE)
25
Per dare una dimensione di rischio dell’eventuale cessazione di queste aziende, si può
stimare che:
400-410.000 dipendenti/collaboratori* sono a rischio di doversi riqualificare
45-50.000 mil. di Euro di fatturato** a rischio
17-18.000 mil. di Euro di export** a rischio

(* media dipendenti/collaboratori familiari: 5,22)


(** valore riferito alle società di capitali che depositano obbligatoriamente il bilancio in
Camera di Commercio).

I dati sopra esposti sono indubbiamente preoccupanti nella loro dimensione


quantitativa, ma anche in linea con quanto emerso da altre ricerche che, sia pur effettuate
in ambiti territoriali più ristretti, avevano segnalato l’attualità del fenomeno.

Allo stesso modo, quanto emerso rispecchia anche la situazione negli altri paesi europei,
dove le PMI ricoprono un ruolo chiave nell’economia e dove il tema continuità sta
crescendo d’importanza nelle politiche e negli interventi governativi, sia centrali che
regionali (per maggiori dettagli si può fare riferimento al citato Report dell’Expert Group on
Transfer of Businesses di Bruxelles).

26
La rilevazione specifica e mirata.
L’analisi mirata ed approfondita ha riguardato n. 142 imprese venete, ripartite nelle sette
province, rispettando la proporzione della numerosità delle ditte attive iscritte alle Camere
di Commercio del Veneto.

Grafico 1

Ripartizione aziende intervistate per


provincia
BL
VR 4%
20% PD
21%

RO
VI 6%
16%

TV
VE 18%
15%

Tali imprese sono state selezionate, in maniera ragionata, dal campione di partenza di 5.000
ditte, scegliendo casi particolarmente interessanti ai fini della ricerca, sia in termini di
pertinenza del problema che di rilevanza delle linee-guida considerate.
Questo tipo di scelta ha permesso di effettuare, successivamente, alcune considerazioni
legate a possibili interventi regionali (in ambito finanziario, fiscale e
formativo/consulenziale) nonché allo sviluppo di pratiche innovative (in particolare da parte
degli Junior) per sviluppare l’attività originaria.

27
Grafico 2

Intervistati per tipologia

ALTRO
13%

SENIOR
47%

JUNIOR
40%

Per quanto riguarda gli intervistati, sono stati sentiti tutti soggetti che conoscono a fondo
l’azienda e le sue dinamiche, nonché le relazioni familiari in essere.
La scelta di non aver voluto parlare solo con una categoria di persone (per esempio gli
Junior, cioè i continuatori presenti o potenziali) è stata dettata dal fatto di voler avere una
visione d’insieme del problema della trasmissione, elaborando le risposte provenienti da tre
categorie di soggetti che, inevitabilmente, vivono il tema in modo diverso.
Per quanto riguarda la categoria “altri” si è trattato di persone che, per il ruolo svolto in
azienda, sono/erano in possesso di informazioni utili per la ricerca.
Per quanto riguarda infine gli Junior sono stati privilegiati quelli già presenti in azienda, e
quindi probabili continuatori dell’attività, senza comunque dimenticare anche i potenziali
continuatori, sempre in grado di percepire le dinamiche familiari ed aziendali.

28
Grafico 3

Forma societaria delle aziende intervistate

Ditta
Altro individuale
1% 13%
Spa
29%

Snc
19%

Sas
5%
Srl
33%

Per quanto riguarda la forma societaria delle ditte intervistate, si nota che un terzo del totale
è rappresentato da società a responsabilità limitata, mentre un altro 29% da società per
azioni.
La scelta è voluta, nel senso che – come anticipato precedentemente – le interviste
telefoniche d’approfondimento hanno riguardato imprese particolarmente significative dal
punto di vista della pertinenza del problema, e quindi anche nell’ottica di un possibile avvio
di concrete misure regionali d’accompagnamento e d’innovazione.
Sono state quindi individuate aziende che, pur rispettando sempre la definizione formale di
PMI e pur essendo generalmente gestite ancora in modo familiare (o caratterizzate
comunque dalla presenza di soggetti legati da un vincolo di parentela) avessero un minimo
di struttura e dimensione.
Questo è valso anche, e a maggior ragione, per le circa quaranta imprese artigiane che erano
per la maggior parte società di persone (Snc o Sas) oppure società di capitali (Srl).

29
Grafico 4

Imprese suddivise per classi di dipendenti

45%
40%
35%
30%
25%
20%
15%
10%
5%
0%
0-1 2-5 6-10 11-50 51-250
Numero di dipendenti

Per quanto riguarda la dimensione delle aziende intervistate, cioè il numero di


dipendenti/collaboratori (escluso quindi il titolare o i titolari) si può notare che la classe più
numerosa – quasi il 40% del totale – è rappresentata da quella da 11 a 50 soggetti, mentre
quasi il 60% da 2 a 50.
L’ultima classe dimensionale, quella dai 51 ai 250 dipendenti, rappresenta circa il 30% delle
aziende intervistate, anche se quelle che superano i 100 sono poche unità.
Anche in questo caso, si è quindi privilegiata una dimensione medio-piccola, in grado di
delineare con buona approssimazione la struttura tipica delle PMI venete.

30
Grafico 5

Imprese suddivise per classi di fatturato (in mil. di Euro)

60%

50%

40%

30%

20%

10%

0%
fino a 0,5 0,6-2,5 2,6-5 5,1-25 25,1 in su
Fatturato delle imprese

Per quanto riguarda il fatturato (ultimo dato disponibile: anno 2001) anche in questo caso le
classi più numerose sono quelle centrali (da 5,1 a 25 milioni di Euro), mentre solo il 7%
delle aziende intervistate fattura più di 25 milioni di Euro, così come meno del 20% non
supera i 500.000 Euro.

31
Grafico 6

Imprese suddivise per classi peso export

40%
35%
30%
25%
20%
15%
10%
5%
0%
0 <10 11-30 31-50 >51
Percentuali peso export su fatturato

L’altro elemento importante da indagare, sempre a livello di dimensioni e struttura generale,


è il livello di export che, in un mercato sempre più concorrenziale e globalizzato, può essere
considerato un buon indicatore del grado di competitività sul contesto internazionale, o
almeno europeo.
Si nota subito che quasi un terzo delle aziende dichiara di vendere i loro prodotti solo sul
mercato nazionale. Questo risultato non deve stupire, se si pensa che una buona percentuale
(circa il 30%) degli intervistati sono artigiani o comunque micro-imprese, e che quindi si
tratta di aziende che operano, per esigenze organizzative, su contesti locali.
Ciò nonostante, si nota che quasi un terzo delle aziende esporta più del 30% della propria
produzione, dimostrando una propensione elevata ad essere presenti anche su mercati esteri.
Tale dato è coerente con le indicazioni di carattere generale emerse nel primo livello
d’analisi, e spinge ad affermare che la corretta gestione del processo di transizione, se
accompagnata da una nuova spinta innovativa – spesso da parte delle giovani generazioni –
può aiutare l’impresa a mantenere, ed anzi incrementare, la propria presenza sui mercati
internazionali.
Quest’ultima condizione sembra essere diventata quasi necessaria per rimanere competitivi,
ed innesca una serie di considerazioni ed approfondimenti su altri temi cruciali per il futuro
delle PMI venete quali: delocalizzazione, sviluppo dei distretti, creazione di consorzi,
apporto della politica industriale regionale allo sviluppo, ruolo delle istituzioni economiche
(in primis sistema camerale e associazioni imprenditoriali) per la promozione delle attività
all’estero, ecc.

32
Analisi dei fattori maggiormente coinvolti nel fenomeno della continuità.

Grafico 7

Età dell'azienda

35%

30%

25%

20%

15%

10%

5%

0%
<1950 1951-1960 1961-1965 1966-1970 1971-1975 1976-1980 1981-1985

Classi di età dell'azienda

Passiamo ora ad analizzare gli elementi più specifici emersi dalle interviste telefoniche, e
più in linea con la tematica della transizione in senso stretto.
Innanzi tutto, una delle variabili che condizionano di più le dinamiche successorie è
indubbiamente l’età aziendale, o meglio l’anno di prima fondazione della stessa. In effetti,
indipendentemente dalle successive trasformazioni (per esempio: passaggio da ditta
individuale a società, o da società di persone a capitali) il dato originario da recuperare è
proprio l’anno in cui è iniziata l’attività, in quanto questo permette poi di incrociare le
informazioni provenienti dall’età anagrafica del titolare o dei titolari.
In altri termini, mentre l’età dell’azienda dà un’idea abbastanza precisa dell’evoluzione
strutturale della stessa e del suo posizionamento sul mercato, l’età dell’imprenditore
dovrebbe esprimere maggiormente la fase successoria che si sta vivendo.
Per esempio, nell’ottica degli interventi d’accompagnamento per lo sviluppo innovativo, ci
potranno quindi essere aziende che – pur non essendo condotte da un titolare in odore di
successione – necessitano comunque di un rafforzamento della propria struttura, e di
un’iniezione di metodologie innovative per continuare ad essere competitive sul mercato.

33
Più nel dettaglio, si nota che circa la metà delle aziende intervistate sono state fondate nel
decennio 1971-1980, e quindi hanno dai 20 ai 30 anni.
Ripartendo ulteriormente questa categoria, si evidenzia che quasi il 30% delle aziende sono
nate nella seconda metà degli anni ‘70 ed iniziano quindi ad essere interessate alla
problematica della successione.
Queste aziende sono forse le più interessanti da analizzare, in quanto è molto probabile che
ci troviamo di fronte a situazioni in cui si è avviato il lungo e difficile processo di
transizione da una generazione all’altra. In questo senso, le indicazioni emerse sono molto
preziose nell’ottica di una futura gestione del problema, in particolare per quanto riguarda la
disponibilità a progettare la propria successione e l’apertura all’aiuto esterno.

34
Grafico 8

Età titolari/fondatori

60%

50%

40%

30%

20%

10%

0%
45-50 51-55 56-60 61-65 >66
Classi d'età

Il secondo elemento fondamentale da analizzare è l’età del titolare o dei titolari.


Va subito precisato che, al di là degli aspetti formali, in questo caso s’intendeva titolare
colui, o coloro, che è al comando dell’azienda, cioè che effettivamente prende decisioni
strategiche.
In alcuni casi si tratta quindi di un soggetto che non deteneva la maggioranza della proprietà
o il ruolo formale (es. amministratore delegato) ma di chi, in pratica, dà gli orientamenti
strategici all’azienda. Questa situazione può manifestarsi nei casi in cui lo Junior –
generalmente il figlio o la figlia del titolare/fondatore, ha acquisito un ruolo formale di
comando o è entrato in possesso di una quota considerevole dell’azienda, senza però di fatto
esercitare il proprio potere in piena autonomia.
Dall’analisi dei dati si nota che una percentuale elevata di soggetti (oltre il 36%) ha più di
60 anni. Questo indica, in maniera chiara, che c’è un tendenziale procastinarsi dell’uscita
del Senior, nel senso che permangono, per diversi anni, due generazioni in azienda, creando
spesso una difficile convivenza. Al contrario, in certi casi l’affiancamento dello Junior al
Senior può favorire l’integrazione dei due saperi imprenditoriali.
E’ altrettanto chiaro che l’età del titolare rimane il vero elemento discriminante nella
gestione della transizione, in quanto può essere contemporaneamente un campanello
d’allarme di una riduzione di vitalità e spinta imprenditoriale, ma anche un indicatore della
presenza – spesso da diversi anni – della nuova generazione, che può iniziare ad esprimere
una nuova forma di leadership, a volte in contrasto con quella esistente.

35
La classe più numerosa è quella da 56 a 60 anni (quasi il 28%) ed indica situazioni in cui la
corretta gestione delle delicate fasi successorie è necessaria per la stessa sopravvivenza
dell’azienda.

36
Grafico 9

Aziende guidate dal fondatore

No
20%


80%

Per le ragioni già indicate, sono state considerate soprattutto imprese di prima generazione,
in quanto queste ultime sono più interessanti nell’ottica dell’analisi del fenomeno continuità
d’impresa e di possibili interventi d’aiuto, perché presentano fattori di rischio più elevati.
In questo senso, la grande maggioranza delle aziende intervistate telefonicamente (80% per
l’esattezza) è di prima generazione, nel senso che l’attuale proprietario è anche il fondatore.
Si tratta, in sostanza, d’imprese nate dal 1960 in poi, cioè negli anni del cosiddetto boom
economico, e che ora si affacciano ad un difficile passaggio di testimone.

37
Grafico 10

Sesso

Femmina
8%

Maschio
92%

Più del 90% dei titolari è maschio; questa tendenza non è invece presente nelle nuove
generazioni di continuatori (ma neppure nelle nuove aziende; basti pensare che, in base ad
alcune recenti indagini, quasi una nuova attività imprenditoriale su tre è attualmente avviata
da una donna).
Dal punto di vista del tema trattato questo è un aspetto molto importante, nel senso che
spesso l’imprenditore maschio, secondo il Tavistock Institute di Londra, “è più portato a far
sì che l’azienda muoia con lui”.
Sempre secondo gli studi di tale istituto l’imprenditore donna – e di conseguenza anche le
potenziali continuatrici – avrebbe una probabilità maggiore di successo nella trasmissione
rispetto al maschio, essendo per la donna la continuità un elemento naturale (quasi
genetico).
In altri termini, alcuni fattori psico-sociologici fanno sì che se l’impresa è fondata e poi
continuata da una donna, le caratteristiche distintive di quest’ultima (maggiore attenzione ai
rapporti interpersonali, propensione al lavoro in squadra, ecc.) facilitino la transizione da
una generazione all’altra.

38
Grafico 11

Formazione scolastica Senior

60%

50%

40%

30%

20%

10%

0%
Media inf. Media sup. Laurea Master o corso
Tipologia

Passiamo ora ad analizzare la formazione scolastica del fondatore/titolare. Come si può


notare quasi la metà dei soggetti è in possesso della licenza di media inferiore (o titolo
equivalente, cioè scuola dell’obbligo), mentre circa il 44% è in possesso di un diploma
superiore. Quest’ultimo è prevalentemente un diploma tecnico (perito meccanico,
elettronico, ecc.) o commerciale.
Una parte molto esigua dei titolari è in possesso di una laurea o di un master o corso di
specializzazione.
Questi dati di sintesi potrebbero indicare una bassa scolarità degl’imprenditori di prima
generazione, che sono più portati ad avviare un’attività dopo le scuole dell’obbligo o dopo
un diploma tecnico, rispetto ad un’approfondimento teorico, attraverso il conseguimento di
una laurea.
In realtà, non va dimenticato il contesto socio-economico del Veneto di 30-40 anni fa.
Gli imprenditori del campione sembrano avere una scolarizzazione superiore ai loro
coetanei non imprenditori.
I dati emersi sono però interessanti, perché permettono un confronto diretto con la
successiva rilevazione della scolarità degli Junior/continuatori che, essendo di tutt’altra
natura, consentono di effettuare alcune importanti considerazioni di fondo sulla diversa
influenza nella risoluzione delle problematiche trattate.

39
Grafico 12

Specializzazione aziendale del Senior

Produzione
9% Amministr.
Acquisti 6%
1%
Vendite
commerciale
4%

Generalista
80%

Passando ad analizzare il ruolo, in impresa, ricoperto dal Senior, si nota che nella grande
maggioranza dei casi (80%) si può definire generalista, cioè una figura eclettica in grado di
seguire quasi tutte le funzioni aziendali e con un ruolo di supervisione.
Questo è possibile principalmente grazie alle piccole dimensioni delle imprese analizzate,
ma anche per effetto del tipico stile di direzione del titolare/fondatore nel territorio
considerato: piuttosto accentratore, poco aperto alla delega ed allo spirito di squadra.
L’esperienza diretta del contatto con le imprese induce ad aggiungere che questo stile può
condizionare fortemente, anche in negativo, la risoluzione delle problematiche successorie,
in quanto non permette alle nuove generazioni di emergere adeguatamente, o comunque di
esprimere le proprie potenzialità negli ambiti in cui regna il titolare/fondatore (tipico: la
produzione).
A questo si aggiunge il fatto che, essendo il sapere aziendale molto spesso concentrato nella
figura del titolare/fondatore, si riscontra un’oggettiva difficoltà nel trasmettere queste
conoscenze.
In altri termini, i potenziali continuatori – ma anche più in generale i diversi collaboratori
del Senior – a volte non riescono a codificare le modalità pratiche, gli stili e gli
atteggiamenti imprenditoriali del leader.
Per quanto riguarda i compiti specialistici – e quindi esclusivi - ricoperti, questi si attestano
su percentuali basse. Nell’ordine produzione 9%; amministrazione 6% e commerciale 4%.

40
Grafico 13

Presenza (potenziali) continuatori

No
3%


97%

Una delle domande più importanti, nell’ottica di una corretta gestione della trasmissione, è
quella utile per capire se ci sono o meno continuatori, presenti o potenziali.
Come si può notare, la quasi totalità degli intervistati ha risposto positivamente, smentendo
– almeno a livello teorico – le presunte difficoltà nel motivare gli Junior a rimanere in
azienda.
In realtà, è necessario chiarire che una parte considerevole dei continuatori dichiarati sono
potenziali, cioè rappresentati da giovani – generalmente figli o figlie d’imprenditori –
ancora in fase di studio o non ancora entrati (per vari motivi) nell’azienda familiare.
Allo stesso modo, come sottolineato da varie ricerche, le vere difficoltà di gestione si hanno
entro i primi cinque anni dalla trasmissione effettiva dell’attività, cioè nelle fasi di
passaggio formale della maggioranza della proprietà da una generazione all’altra.
In altri termini, la presenza effettiva o potenziale di Junior non rappresenta una garanzia di
continuità, ma una condizione favorevole per la stessa.
Ciò che invece è confermato sembra essere la modalità di possibile continuazione
dell’attività, cioè il cosiddetto passaggio generazionale dal titolare ai figli. Infatti, la quasi
totalità dei continuatori appartengono alla famiglia proprietaria.

41
Grafico 14

Numero continuatori

70%

60%

50%

40%

30%

20%

10%

0%
1 2 3 >4
Numerosità

Un altro elemento interessante, e collegato a quanto detto sopra, è rappresentato da una


buona numerosità di continuatori (effettivi o potenziali).
In effetti, meno di un terzo è unico continuatore (effettivo o potenziale) mentre quasi il 55%
sono due o tre soggetti. Nel 14,6% dei casi si arriva addirittura ad avere quattro o più
continuatori, per effetto principalmente della presenza di due o più soci – generalmente
fratelli – fondatori o titolari.
In questa situazione, la difficoltà oggettiva è rappresentata da ciò che è stato efficacemente
definito deriva generazionale, cioè da quel fenomeno che porta a moltiplicarsi gli
eredi/continuatori durante il susseguirsi delle generazioni imprenditoriali, fino a costituire
una piccola folla.
In questi casi, secondo una letteratura oramai consolidata, appare più opportuno cercare di
razionalizzare gli assetti proprietari, per garantire una funzione di comando forte e
sufficientemente unitaria.
In sintesi, almeno sulla carta le aziende intervistate sembrano essere nelle condizioni di
garantire una certa continuità, ma è chiaro che per tradurre queste potenzialità in atto sono
molti i fattori che determineranno poi il successo nella trasmissione: dalle capacità
dimostrate sul campo dagli Junior, all’evoluzione di mercato e relative nuove esigenze, alle
modalità pratiche di passaggio generazionale, all’apertura o meno del Senior, ad altro
ancora.

42
Grafico 15

Continuatori suddivisi per sesso

Femmine
33%

Maschi
67%

Per quanto concerne il sesso dei continuatori, si nota che c’è una presenza femminile
piuttosto massiccia: il 33%.
Come visto in precedenza diverse ricerche sul tema hanno dimostrato che la donna
imprenditrice Senior potrebbe essere, in generale, più portata alla continuazione
dell’attività.
Questa rilevazione apre una nuova sfida, in un territorio in cui è radicata la convinzione che
i continuatori naturali sono maschi.
Si tratterà probabilmente di indicare nuovi spazi anche alle continuatrici. E ciò nonostante il
fatto che alcune imprese (es. artigiane) siano ancora basate su attività considerate
tipicamente maschili.
Concludendo, il serbatoio di imprenditorialità femminile appare un potenziale ricco e da
valorizzare.

43
Grafico 16

Soci


No
49%
51%

Analizzando lo status aziendale dei continuatori, si evidenzia che un po’ più della metà di
questi (51% per l’esattezza) non è ancora socio, anche di minoranza.
Il dato è ovviamente di difficile interpretazione in quanto le tipologie di Junior analizzate
sono molto differenti: effettivi, potenziali, in qualche limitato caso non familiari, ecc..
Elemento discriminante – oltre ovviamente alla presenza effettiva in azienda – è l’età del
soggetto: più questa è avanzata più è probabile che il continuatore sia anche socio. Vedremo
però in un grafico successivo questo aspetto.
Ciò nonostante, il dato sopra esposto sembra essere abbastanza negativo, nel senso che una
buona percentuale d’aziende intervistate (quasi il 50%) é caratterizzata dalla presenza di
Junior che hanno almeno 6 anni d’esperienza.
Proprio questa concentrazione sulle mani del Senior della proprietà – oltre che del controllo
gestionale – conferma la tendenza a posticipare il passaggio di consegne effettivo tra le due
generazioni.
Ci si potrebbe chiedere se agli Junior, come contropartita del loro ruolo consolidato, non
debba essere riconosciuta in tempi più brevi una quota (grande o piccola) di proprietà
dell’impresa stessa.

44
Grafico 17

Età Junior/continuatori

60%

50%

40%

30%

20%

10%

0%
<20 21-25 26-30 31-35 >36
Classi

Per quanto riguarda l’età degli Junior (effettivi o potenziali continuatori) il grafico evidenzia
come vi sia una ripartizione omogenea.
Questo può essere spiegato, ancora una volta, dalle differenti situazioni presenti e, in
particolare, dal fatto che i figli o le figlie sono piuttosto numerosi, e quindi di età differenti.
Più nel dettaglio, circa il 13% ha meno di 20 anni (generalmente continuatori potenziali) un
altro 16% ha un’età compresa tra i 21 e 25 anni (ancora continuatori potenziali, se studenti
universitari, oppure lavoratori se diplomati) mentre la classe più numerosa (oltre il 28%) è
quella centrale, con Junior dai 26 ai 30 anni.
In altri termini, siamo in presenza di una buona percentuale di Junior che si trovano
proprio nella fascia d’età critica, nel senso che sono molto probabilmente in azienda
almeno da un paio d’anni (se non di più) e, soprattutto, allorché il titolare (generalmente il
padre) inizia ad avere un’età a rischio rispetto al passaggio generazionale.
Anche le ultime due fasce d’età presentano percentuali significative: ha dai 31 ai 35 anni
quasi il 20% e, addirittura, quasi il 23% degli Junior ha un’età superiore ai 36 anni.
Queste due ultime classi – che assieme rappresentano più del 42% del totale – evidenziano
che esiste un tendenziale allungamento dell’età media dello status di Junior, con relativa
proroga del passaggio di testimone.
In effetti, come detto in premessa, è molto probabile che nel Veneto l’età media di una
generazione imprenditoriale sia un po’ superiore rispetto a quella calcolata a livello europeo
(circa 29 anni).

45
Ha quindi senso parlare anche di convivenza generazionale, e non tanto di passaggio di
testimone, perché il tempo medio in cui il Senior e lo Junior lavorano fianco a fianco è
elevato.
In termini organizzativi ma anche relazionali questo può portare ad un incremento degli
scontri e delle dinamiche familiari, essendo spesso le visioni dell’azienda differenti, a
seconda delle diverse ottiche generazionali.

46
Grafico 18

Esperienza in azienda

50%
45%
40%
35%
30%
25%
20%
15%
10%
5%
0%
0 <1 2-3 4-5 6-10 >11
Anni

Un altro elemento importante, accanto all’età anagrafica, è l’esperienza degli Junior in


azienda.
Analizzando i dati, si nota che un’elevata percentuale (quasi il 75%) ha maturato
un’esperienza di almeno due anni.
Una percentuale significativa di Junior (più del 21%) è in azienda da un periodo compreso
tra i 6 e i 10 anni, più del 27% da almeno 11 anni.
In questi ultimi casi si potrebbe presumere che si tratti di Junior quasi titolari, nel senso che
la loro esperienza in azienda è così elevata da poterli considerare, almeno sulla carta,
continuatori effettivi e dotati di tutte le competenze necessarie per gestire adeguatamente
l’impresa.
Semmai, come detto in precedenza, il problema è legato alla scarsa propensione del Senior a
delegare e, più in generale, a cedere quote considerevoli di comando.
Vedremo successivamente che questo aspetto è strettamente legato al ruolo ricoperto dallo
Junior che, tendenzialmente, ha una competenza più specialistica rispetto a quella del
titolare/fondatore.
L’esperienza diretta con le imprese sembra indicare che gli Junior siano portati a
focalizzarsi su determinati aspetti, quali ad esempio: certificazione e qualità, sicurezza,
informatizzazione dell’azienda, export, ecc.

47
Grafico 19

Formazione scolastica Junior

60,00%

50,00%

40,00%

30,00%

20,00%

10,00%

0,00%
Media inf. Media sup. Laurea Master o
corso
Tipologia

Passando alla formazione scolastica degli Junior si nota una tendenza che li porta ad avere
un livello di studi decisamente superiore rispetto al Senior.
In effetti, più della metà degli Junior è diplomato e quasi un terzo è in possesso di una
laurea (o la sta conseguendo in tempi brevi).
Ciò che sorprende, in negativo, è invece la scarsa partecipazione a master o a corsi di
specializzazione post laurea (poco più del 2%) quasi a significare che, dopo il diploma o
la laurea, non c’è il tempo o la volontà di approfondire il proprio ambito di studi.
Questa tendenza ci fa anche presumere che raramente gli Junior veneti facciano
un’esperienza di lavoro post laurea o post diploma, sia questa effettuata presso un’altra
azienda (del settore o meno) oppure all’estero, per esempio per migliorare una lingua
straniera.
In altri termini, l’ovvio consiglio che viene sempre dato di passare almeno 1-2 anni
all’esterno dell’azienda di famiglia prima di entrarci viene quasi sempre disatteso, rendendo
il più delle volte difficile la convivenza tra chi non ha esperienza - e responsabilità – cioè lo
Junior, e chi invece da anni è abituato a confrontarsi in piena autonomia decisionale con le
diverse problematiche aziendali, cioè il Senior.

48
Grafico 20

Ruolo aziendale Junior

Generalista
Amministr. 15%
27%

Vendite
commerciale
26%
Produzione Acquisti
27% 5%

E’ molto utile analizzare invece il ruolo ricoperto dagli Junior che lavorano in azienda
perché, attraverso il confronto con la situazione del Senior, si notano differenze
significative.
C’è infatti una tendenziale specializzazione per funzioni da parte dello Junior che, complice
l’età e quindi la non elevata esperienza aziendale, è più portato ad approfondire un singolo
ambito dell’azienda.
Più nel dettaglio, solo il 15% può essere considerato generalista, e quindi in grado di
svolgere una funzione imprenditoriale a tutto tondo, tipica di chi sta per prendere in mano le
redini aziendali e ha la necessità di conoscere a fondo l’azienda.
Questo può significare che da un lato il Senior accentra ancora in sé buona parte delle
funzioni, costringendo i continuatori a specializzarsi su una singola mansione, e dall’altro
lato che l’accresciuta complessità di mercato (e le dimensioni aziendali) portano ad
organizzare l’impresa in maniera diversa e più complessa rispetto al passato.
Le tre funzioni aziendali tipiche – amministrazione, produzione e commerciale – sono
equamente distribuite (26-27% ciascuna).
Il fatto che lo Junior svolga spesso una funzione specialistica può anche essere visto
positivamente, nell’ottica di una maggiore concentrazione e competenza in quel determinato
ambito aziendale.

49
Grafico 21

Fattori condizionanti la continuità

Entrambi
22%
Fattori esterni
33%

Fattori interni
45%

Dopo aver analizzato i tratti salienti degli Junior/continuatori, passiamo ad un aspetto molto
importante per capire la percezione del passaggio generazionale: l’individuazione dei fattori
condizionanti.
Questi ultimi sono stati ripartiti in due grandi categorie: fattori interni (capacità di esprimere
una leadership interna, aspetti relazioni e dinamiche familiari) e fattori esterni (capacità di
esprimere una leadership esterna, competitività sul mercato e sua evoluzione).
Questa scelta deriva da un’attenta analisi dei fattori che, in generale, garantiscono una
maggiore probabilità di successo nella trasmissione, fattori rappresentati dalla presenza
all’interno dell’azienda di un futuro leader imprenditoriale e, rispetto al mercato, la capacità
di continuare ad essere competitivi innovando.
Si nota subito che la cosiddetta Leadership interna viene considerata prevalente (45%
rispetto a 33%) nei confronti del rapporto con il mercato, mentre il 22% degli intervistati dà
lo stesso peso ai due fattori (leadership interna e leadership esterna).
Questo risultato, per certi versi sorprendente, sembra confermare una visione abbastanza
inerziale del problema della trasmissione generazionale, nel senso che i fattori interni
(famiglia, rapporti e dinamiche interpersonali) tendono a prevalere sugli aspetti più
strettamente aziendali e di mercato.
Nell’ottica dell’intero progetto questo segnale sembra fornire una forte indicazione per
eventuali interventi regionali di supporto alla trasmissione nell’ottica innovativa.
Questi ultimi non potranno non tenere in adeguata evidenza le dinamiche interne e una loro
strutturata e articolata gestione.

50
Passiamo ora ad analizzare alcuni elementi più qualitativi, legati in particolare al problema o
ai vincoli per il Senior e per lo Junior (sempre rispetto alla tematica successoria) nonché ai
punti di forza degli stessi soggetti.
Ricordiamo che la panoramica che emerge è la risultante di tutte le risposte (Senior, Junior e
“Altri”).

51
Grafico 22

Analisi dei problemi


dal punto di vista del Senior

Altro Mercato
Produttivo 7 %
concorrenza
8%
27%
Relazionale
formativo
20%

Organizzativo
gestionale
38%

Per quanto riguarda i problemi più rilevanti vissuti dal Senior, quello
organizzativo/gestionale appare il più importante (38%) seguito dal mercato/concorrenza
(27%) e dagli aspetti relazionali/formativi (20%).
Gli aspetti produttivi non sembrano destare particolare preoccupazione, rappresentando
solamente l’8% del totale.

52
Grafico 23

Analisi dei problemi


dal punto di vista dello Junior

Mercato
Altro
concorrenza
12%
Produttivo 19%
6%

Relazionale
formativo Organizzativo
27% gestionale
36%

Analizzando parallelamente i problemi dello Junior, si nota che nel complesso non
differiscono molto da quelli del Senior, con un paio di importanti eccezioni, rappresentate
dal maggior peso dato dai giovani (27% anziché 20%) agli aspetti relazionali e formativi, e
al minor peso dato a quelli di mercato (19% anziché 27%).
A livello più generale, si può quindi dire che i vincoli maggiori vissuti da entrambe le
generazioni sono proprio quelli interni (organizzativo/gestionali ma anche relazionali)
mentre una quota minoritaria (seppur importante) dà rilievo ai fattori esterni, cioè al mercato
e alla concorrenza.
Quest’ultimo aspetto è ritenuto meno grave proprio per gli Junior.
Questo conferma, ancora una volta, il tendenziale ottimismo sull’andamento del mercato
(sia interno che esterno) e quindi sulla competitività dell’azienda stessa.
Sembra utile rilevare che vi è consapevolezza sul fatto che gli aspetti relazionali e formativi,
sia sul fronte Senior che Junior, sono di peso superiore agli aspetti tecnico/produttivi e
addirittura comparabili a quelli del mercato e della concorrenza.
Dall’altro canto, si può presumere che l’aspetto organizzativo/gestionale interno
(considerato prevalente) inglobi in sé quote importanti di gestione del potere, e quindi di
relazioni Senior/Junior.

53
Passando ora ad analizzare congiuntamente i punti di forza dei protagonisti, si nota che
differiscono abbastanza, nel senso che quelli ritenuti propri del Senior sono più tradizionali
(organizzazione/flessibilità, prodotto e qualità del prodotto, l’esperienza maturata sul campo
e la tenacia dimostrata) e interni all’azienda, mentre quelli propri dello Junior sono più
focalizzati all’esterno e agli aspetti organizzativi e relazionali (flessibilità gestionale,
innovatività e apertura, spirito di squadra e capacità di delega, attenzione alla clientela e al
mercato).
Per rendere più agevole la risposta è stato chiesto all’intervistato di individuare solo un
punto di forza aziendale del Senior e dello Junior.
Va puntualizzato che le risposte sono state date sia dal Senior che dallo Junior, nonché da
una piccola percentuale di non familiari. Il soggetto intervistato ha quindi dato una sua
risposta diretta, ma si è poi immedesimato nell’altro o, nel caso del dipendente non
familiare, addirittura ha ipotizzato i punti di forza di entrambi.
In realtà, a livello di ricerca e successiva elaborazione di possibili linee d’azione, si è
ritenuto interessante cercare di capire, nel complesso e non singolarmente, i vincoli
(problemi) e le opportunità (punti di forza) percepiti dai due protagonisti del processo
successorio.

Grafico 24

Punto di forza Senior

Prodotto
Altro
qualità
4% Esperienza
14%
29%
Clientela
mercato
11% Spirito di
squadra
4%
Intuito, Organizzazione
tenacia flessibilità
20% 18%

54
Grafico 25

Punto di forza Junior

Altro
Innovatività
13%
apertura
Tenacia 23%
volontà
13%
Spirito di
Prodotto
squadra
qualità
11%
8%
Clientela
mercato Organizzazione
9% flessibilità
23%

In particolare, appare interessante la rilevanza dimostrata per la propensione all’innovazione


e all’apertura da parte dello Junior, in quanto questo aspetto potrebbe rappresentare un
ottimo spunto per sviluppare ulteriormente l’azienda attraverso una corretta gestione del
processo di trasmissione facendo, come auspicabile, di un momento critico un trampolino
per apportare competitività nuova.

Per facilitare l’analisi, si riporta qui di seguito il confronto tra i diversi fattori individuati:

Punto di forza Senior Junior Differenza


Organizzazione/flessibilità 18% 23% +5%
Spirito di squadra 4% 11% +7%
Esperienza 29% --
Innovatività -- 23%
Clientela/mercato 11% 9% -2%
Intuito, tenacia, volontà 20% 13% -7%

55
Le successive due domande hanno cercato di capire se l’effettiva trasmissione è avvenuta o
avverrà entro i prossimi cinque anni. Va subito precisato che per trasmissione avvenuta si è
inteso il trasferimento della maggioranza di proprietà (quote o azioni) da una generazione
all’altra2, e non una manifestazione d’intenzione (per esempio: “che il passaggio
generazionale era stato attuato perché il Senior aveva iniziato a dare spazio ai
continuatori”).

Grafico 26

Trasmissione avvenuta negli ultimi 5 anni


20%

No
80%

Questo può giustificare in parte l’alta percentuale – 80% - degli intervistati che hanno
risposto negativamente.
Ancora una volta si sottolinea che la selezione effettuata partendo dal campione iniziale ha
cercato di privilegiare le situazioni in cui stava profilandosi la problematica successoria, al
fine di indagare in prospettiva il fenomeno e le sue dimensioni quali-quantitative più
rilevanti.

2
In ciò adeguandosi alla definizione formale della Commissione Europea, presente nel già citato Report.

56
Grafico 27

Previsione trasmissione entro 5 anni

Non so
13%


44%

No
43%

Al contrario, se andiamo ad analizzare le previsioni di trasmissione entro i prossimi 5 anni,


si nota che un’elevata percentuale (44% per l’esattezza) ha dato risposta affermativa.
Questo dimostra, come d’altra parte era già emerso dall’analisi dei dati a livello generale
(cioè sul campione casuale di 5.000 ditte attive) e da altre recenti indagini, che la
problematica è di stretta attualità, e che anzi nel prossimo quinquennio il numero di aziende
interessate è destinato a crescere ulteriormente.

57
Grafico 28

Tipo di trasferimento (attivato o previsto)

altro
8%
a terzi
7%
a dipendenti
3%

in famiglia
82%

Passiamo ora ad analizzare, con maggior dettaglio, le tipologie, le forme e le ragioni che
sono alla base di un trasferimento avvenuto o che si possono prevedere in futuro.
L’indagine recepisce, probabilmente primo caso in Italia e Europa, anche alcuni importanti
indicatori consigliati dalla stessa Commissione Europea, ed elaborati dal lavoro congiunto
del già citato Gruppo di Esperti di Bruxelles.
Per quanto concerne il tipo di trasferimento, vengono qui individuati i soggetti destinati a
continuare (ciò sia in concreto, perché il passaggio è già avvenuto o sta avvenendo, o come
ipotesi futura).
Si nota che il trasferimento in famiglia – e quindi il tipico passaggio generazionale da
padre in figlio – è ancora la modalità più diffusa: ben l’82% del campione intervistato.
Questo dato smentisce, almeno in termini di orientamento per quanto riguarda il nostro
territorio, alcune recenti considerazioni emerse a margine di indagini sul tema, che
indicavano invece una nuova tendenza, cioè una maggiore apertura a cedere l’attività ai
dipendenti, a venderla oppure a trovare una soluzione alternativa (partenariati, consorzi,
accordi, ecc.).
Non c’è dubbio che queste soluzioni siano più diffuse per imprese più grandi, così come in
certi stati europei (es. di matrice anglosassone o scandinava); il Report della Commissione
Europea ne dà recente testimonianza.
In una media europea vi è probabilmente una maggiore propensione all’apertura verso
l’esterno, e quindi è più ridotta la classica trasmissione familiare.

58
Ciò nonostante, anche nel Veneto la quota di trasferimenti non interni (18%) è abbastanza
significativa, anche se legata spesso ad esigenze di mercato, e non tanto ad una precisa
strategia per risolvere la problematica successoria.

59
Grafico 29

Forme attuate o previste


di trasferimento dell'impresa

succesione
donazione vendita
non so 9% 7%
14% accorpamento
1%

trasferimento
quote/azioni
69%

Anche le forme tecniche di trasferimento – sia attuate che previste – non presentano modelli
particolarmente evolutivi.
Il trasferimento di quote o azioni (per lo più graduale) da una generazione proprietaria
all’altra rappresenta ancora il 69% dei casi, mentre le restanti tipologie
(successione/donazione, vendita e accorpamento) sono solo il 17%.
Il restante 14% non ha ancora deciso la forma di trasmissione, o perché non è stato
pianificato il processo oppure, molto più semplicemente, perché l’azienda non si trova
ancora nella fase critica.
Si evidenzia la bassa percentuale di soggetti che hanno risposto scegliendo la modalità della
successione e donazione, se si pensa che recentemente è stata introdotta l’abolizione della
relativa imposta.
In altri termini, non sono molti gl’imprenditori orientati a valorizzare questa nuova
possibilità legislativa.
Tali agevolazioni, pur implicando il beneficio di un impatto fiscale nullo o quasi, sembra
portare con sé il rischio di indurre gli attori interessati a posticipare il momento di affrontare
il nodo successorio.

60
Grafico 30

Ragione del trasferimento dell'impresa

altri motivi
29%

pensionamento
età
incidente 65%
salute
6%

Passiamo infine ad analizzare i motivi che hanno spinto, o che spingeranno nel medio
termine, a trasmettere l’attività.
Anche qui la percentuale più elevata (65%) è rappresentata da un fattore classico: l’età del
titolare e quindi l’approssimarsi del suo pensionamento/ritiro o comunque di una riduzione
dell’impegno in azienda, a causa della diminuzione di energia e di motivazione.
Sembrano però emergere – e questo è in linea con alcune conclusioni del citato Gruppo di
esperti – anche altre motivazioni, non strettamente legate all’età anagrafica del Senior.
Una buona percentuale, il 29% per l’esattezza, imputa la trasmissione ad altri motivi, legati
per esempio alla situazione di mercato, all’accresciuta competitività, alla presenza di figli
non più giovanissimi in azienda e che quindi hanno bisogno di nuovi spazi per muoversi e
per decidere.
Anche il relazione ad altre fonti, quest’ultimo aspetto potrebbe rappresentare una
motivazione di particolare interesse.
In quest’ottica, sarà quindi importante cogliere le nuove esigenze dei Senior, non più legate
solo alla loro età ma anche all’evoluzione del contesto, sia interno (es. la presenza di
continuatori) che esterno (es. l’evoluzione del mercato e di nuovi orientamenti
imprenditoriali).

61
Grafico 31

Presenza di un processo di pianificazione

In parte Sì
21% 24%

No
55%

Un’altra domanda importante riguarda la presenza o meno di un processo di pianificazione


della propria successione.
Molteplici ricerche hanno confermato che un piano, anche se di massima, per gestire e non
subire la trasmissione, favorisce una continuità di successo.
Su questo punto solo il 24% degli intervistati hanno dato una risposta affermativa, al
quale va aggiunto un altro 21% che ritiene di aver attuato – o di prevedere – almeno in parte
un piano.
(Una recentissima testimonianza presentata al Seminario di Vienna, rileverebbe che se
l’indice di fallimento delle trasmissioni non pianificate è pari al 25%, tale indice
scenderebbe drasticamente al 5% se c’è stato un piano).

62
Grafico 32

Dettaglio processo di pianificazione

Piano
strategico
Modalità 27%
39%

Scadenze
34%

Andando più nel dettaglio, per i soggetti che hanno risposto affermativamente alla
precedente domanda, è stato chiesto se erano state attivate (o progettate in futuro) modalità
pratiche per governare il processo successorio, se esiste un piano strategico scritto di
massima e, infine, se sono state fissate scadenze precise per attuare quanto programmato.
Con riferimento a questo, le tre opzioni hanno avuto un peso abbastanza simile, con una
leggera predominanza delle modalità pratiche (39% del totale) rispetto alla fissazione di
scadenze precise (34%).
Prendendo come elemento discriminante proprio quest’ultimo aspetto, e incrociando il dato
con quanto emerso nella precedente domanda, se ne desume che poco più dell’8% degli
intervistati dichiara di avere attivato – o di volerlo fare in futuro - un preciso processo
di pianificazione con scadenze definite.
Si tratta, evidentemente, di una percentuale molto bassa, e che non sembra garantire una
sistematica governabilità dei processi in atto sul territorio.

63
Grafico 33

Tempo medio di pianificazione (in anni)

<1
>10
4%
16%
2-3
24%

6-10
33% 4-5
23%

L’indagine conferma quanto verificato da molteplici ricerche, e cioè che si tratta di un


problema di medio-lungo periodo, e non certo di un fatto che si risolve nel breve.
La grande maggioranza degli intervistati (56% per l’esattezza) dichiara che il tempo
medio di pianificazione è compreso tra 4 e 10 anni, mentre per il 16% dei soggetti è
superiore a 10.
L’arco temporale prospettico investito dai processi di transizione sembra suggerire
orientamenti progettuali d’intervento a loro volta pluriennali.

64
Grafico 34

Gradimento su misure regionali ipotizzabili

Altro Incentivi
Formazione 3% fiscali
22% 24%

Consulenza
21% Supporti
finanziari
30%

L’ultima domanda era relativa all’individuazione e al gradimento delle possibili misure


regionali d’accompagnamento.
Agli intervistati è stato chiesto di esprimere una preferenza rispetto a quattro possibili linee
d’intervento: incentivi fiscali (es. riduzione d’imposta per le imprese in fase di transizione);
supporti finanziari (es. concessione di finanziamenti a medio termine e a tasso agevolato, al
fine di attivare un piano di trasmissione personalizzato); azioni formative (es. corsi
d’approfondimento sul tema per Senior o Junior); azioni di consulenza (es. assistenza mirata
da parte di specialisti).
Le risposte sono poi state ponderate in base alla presenza di una singola preferenza o di una
preferenza multipla. Nel primo caso è stato dato un peso maggiore, mentre nel secondo un
peso simile per tutte le risposte.
E’ stata inoltre proposta la possibilità di esprimere un’opinione diversa dalle quattro
presenti.
Dall’analisi emerge una certa preferenza per eventuali supporti finanziari o incentivi
fiscali.
Nel primo caso – 30% del totale – è stata espressa opinione favorevole a misure di supporto
finanziario per l’assistenza nella progettazione e nell’avvio di piani di governo della
transizione.
Nel secondo caso – incentivi fiscali – un’eventuale riduzione del carico fiscale (sotto varie
forme tecniche: riduzione delle aliquote fiscali, credito d’imposta, ecc.) chiaramente viene
visto positivamente dalle aziende, come strumento immediato e automatico di agevolazione
per la transizione.
65
Un discorso a parte lo meritano la formazione e la consulenza, nel senso che la relativa
bassa preferenza può essere spiegata dal fatto che, nella gestione quotidiana dell’azienda,
interventi si questo tipo non costituiscono elemento particolarmente nuovo.
Si è quindi trattato di spiegare che, in questo caso, si parlava d’interventi formativi e
consulenziali mirati, cioè legati al tema specifico della trasmissione.
E’ stato inoltre interessante capire da parte di chi, secondo gl’intervistati, poteva essere
svolta quest’attività specialistica. E’ stata espressa una certa preferenza per interventi privati
(es. consulenti e formatori singoli o società specializzate) rispetto ad azioni pubbliche (es.
iniziative di associazioni di categoria, Camere di Commercio, ecc.).
Concludendo, sembra quindi permanere una certa preferenza da parte degli intervistati per
interventi di tipo tradizionale anche nel campo della trasmissione (fisco e finanza in primis)
però a condizione che alla base vi sia un supporto e un’assistenza – vuoi pubblica vuoi
privata - utile per la progettazione del proprio processo di trasmissione.

66
CONCLUSIONI.

Si precisa innanzi tutto che non sono emerse grosse differenze, in termini di caratteristiche
generali rilevate e conseguenti azioni successive, tra le diverse province venete, fermo
restando il diverso peso di alcune – indubbiamente più industrializzate - rispetto ad altre.
In altri termini, le differenze interprovinciali sono quasi prettamente quantitative, mentre
qualitativamente il fenomeno trasmissione d’impresa si presenta abbastanza trasversale.
Ciò nonostante, l'indagine espone alcuni dati interessanti di sintesi, sia sotto il profilo
quantitativo che quello qualitativo.
E possiamo dire subito, già sulla base dei primi elementi, che il quadro regionale, attinente
le PMI, risulta oggettivamente caratterizzato da tinte pesanti e tale da suggerire azioni
organiche di risposta.

In sintesi:

a. Aspetti quantitativi.
117. 937 è il numero di PMI che già oggi, o entro cinque anni, dovranno apprestarsi ad
affrontare il nodo della transizione generazionale. Considerando che nella media sono 5,22
gli addetti per impresa considerata (inclusi i famigliari) ne risulta un potenziale di
occupazione interessato di oltre 600.000 posti di lavoro, almeno la metà dei quali, secondo
statistiche purtroppo ormai consolidate, potrebbero essere considerati a rischio di doversi
riciclare.
Ricordato
- che secondo dati europei l'età media di una generazione d'impresa è di 29 anni,
- che secondo dati elaborati da studiosi a livello internazionale, ripresi dall'Unione
Europea e presentati nel recentissimo Seminario di Vienna del 23-24 settembre
scorsi, e confermati appieno da questa stessa ricerca,
una transizione richiede in media circa 7-8 anni,
si è ritenuto opportuno individuare, sul totale di 444.376 PMI venete attive al 31.03.2002,
almeno tre grandi categorie di destinatari:
I. Imprese in età fra 17 e 21 anni, che entro 5 anni entreranno nella fase più
calda della loro transizione, da sensibilizzare preventivamente: esse sono
54.125;
II. Imprese che già oggi hanno almeno 22 anni, da sollecitare vigorosamente
affinché si attivino per pianificare e governare la transizione o il proprio
riassetto in ottica innovativa: esse sono 63.812;
III. Imprese, comprese nel punto precedente, che ad oggi hanno almeno 27 anni,
quindi a rischio particolarmente forte: esse sono 35.994.

67
b. Aspetti qualitativi.
Ai fini della continuità il fronte della gestione interna viene indicato dagl'intervistati come
più condizionante rispetto a quello esterno, di mercato.
Ciononostante, soltanto il 24% degl'intervistati dichiara di pianificare concretamente la
continuità imprenditoriale, e di quest'esigua quota solo un'impresa su tre si è data
precise scadenze.
Conclusione: solo l'8% del totale risulta realmente impegnato nel governo della
successione.
Inoltre, l'approccio degl'imprenditori intervistati è fortemente orientato a seguire modelli
tradizionali sostanzialmente passivi, legati alla trasmissione interna alla famiglia, per così
dire automatica e non gestita in modo finalizzato.

Di fronte a quest'emergenza appare logico immaginare misure atte:


I. a sensibilizzare gli attori sociali e gl'imprenditori sul governo della
transizione;
II. ad assisterli nelle fasi cruciali della loro evoluzione, così da trasformare
questa potenziale minaccia in elemento d'innovazione.

68
ALCUNI ELEMENTI UTILI PER LE POSSIBILI FASI SUCCESSIVE.

Come accennato in precedenza, le linee guida dell’indagine partivano dalla considerazione


che l’anzianità aziendale è effettivamente il fattore cruciale quando si analizza la tematica
successoria.
Più nel dettaglio, considerando come campanello d’allarme un’età di almeno 20 anni da
parte dell’azienda, si può ipotizzare questa serie d’interventi differenziati, con conseguente
attivazione di diverse linee istituzionali:
I. predisposizione di azioni di sensibilizzazione/informazione (aziende che hanno da
20 a 25 anni);
II. individuazione di situazioni di allerta, con conseguente necessità di vaccinazione
preventiva e prima assistenza (aziende che hanno da 25 a 30 anni);
III. predisposizione di azioni di coinvolgimento, assistenza mirata e innovazione
(aziende che hanno da 30 a 40 anni);
IV. infine, azioni di accompagnamento, interventi finanziari e supporto
all’innovazione costante (aziende cosiddette longeve, cioè che hanno più di 40-50
anni).

In concreto, e in base a quanto effettivamente emerso in fase d’analisi, le linee d'intervento


potrebbero seguire queste direttrici:
i. Stimolare la consapevolezza e l'autoanalisi degli attori sociali e delle imprese
nella forma più estesa possibile, ai fini di mettere a fuoco i rischi ed i passaggi
cruciali della transizione.
ii. Favorire l'affinamento e la diffusione di nuovi strumenti, focalizzati sui
processi di trasmissione, anche cogliendo esperienze esterne, in particolare segnalate
dall'Unione Europea.
iii. Innescare processi di progettazione sistematica delle fasi di transizione, con
modalità tali da farne occasioni d'innovazione applicata.
iv. Delineare modalità innovative di formazione e consulenza di
accompagnamento alla progettazione, accette ai fondatori e leader d'impresa,
basate anche sul confronto di esperienze.
v. Impostare processi di monitoraggio dei progetti, aperti a individuare modelli
esemplari positivi (osservatorio, banca casi).
vi. Fornire incentivi a progetti, purché connotati dai requisiti minimi della
sistematicità e dell'innovazione.

69
Dal punto di vista pratico, i progetti di governo della trasmissione potrebbero delinearsi su
due livelli:
a. il primo attraverso un adeguamento gestionale, con un impegno non ancora definito, e su
base almeno biennale, accompagnato da un contributo regionale da assegnarsi previa
rigorosa autoanalisi delle esigenze;
b. il secondo dovrebbe rispondere ad una esigenza di accorpamento di quote, tesa a garantire
la continuità di una volontà decisionale (leadership) unitaria, il cui standard d'impegno
finanziario può essere valutato soltanto caso per caso.

Questa eventuale fase d’attuazione concreta del progetto, attraverso l’assistenza mirata alle
imprese, potrà essere sostenuta anche dall’applicazione di alcune leggi regionali esistenti.
Basti pensare a quanto previsto già da ora sui temi dell’imprenditoria giovanile e femminile,
sui fondi ed interventi per l’innovazione, agevolazioni al settore industria in generale, ecc.

70
APPENDICE.
Traccia commentata del questionario.

Si riporta qui di seguito la traccia del questionario utilizzato per effettuare le interviste
telefoniche.
Ad alcune domande è stato aggiunto un breve commento sulle modalità pratiche e, più in
generale, sul fattore che si voleva indagare.

QUESTIONARIO PROGETTO RI-LANCIO


N. ___________________

Data ___________________

Provincia ___________________

Operatore ___________________

1) NOME DELL’AZIENDA _____________________________________

2) NOME DELL’INTERVISTATO _____________________________________

3) SUO RUOLO IN AZIENDA? _____________________________________

4) SETTORE _____________________________________

5) RAGIONE SOCIALE ditta individuale s.n.c. s.a.s.


s.r.l. Sp.a. altro

6) N. DIPENDENTI 0-1 2-5 5-10 11-50 51-250

7) FATTURATO fino a 0,5 0,6-2,5 2,6-5 6-25 26 in su


(in mil. di euro)

8) EXPORT (in %) 0 <10 10-30 30-50 oltre 50

9) ANNO DI NASCITA DELL’AZIENDA <1950 1951-1960 1961-1965


1966-1970 1971-1975 1976-1980 1981-1985

10) ETÀ DEL TITOLARE 45-50 51-55 56-60 61-65 >66

11) FONDATORE DELL’AZIENDA Sì No M F

71
12) FORMAZIONE SCOLASTICA Media inf. Media sup. (________________)
Laurea (_________________) Master o corso (______________________)

13) POSIZIONE AZIENDALE ___________________________________________

14) PRESENZA (POTENZIALI) CONTINUATORI Sì No

15) QUANTI 1 2 3 >4 M F SOCIO SI NO

16) ETÀ DELLO JUNIOR <20 20-25 26-30 31-35 >35

17) ESPERIENZA IN AZIENDA 0 <1 2-3 4-5 6-10 >11

18) FORMAZIONE SCOLASTICA Media inf. Media sup. (________________)


Laurea (___________________) Master o corso (___________________)

19) POSIZIONE AZIENDALE _____________________________________________

20) PER LEI LA SUA CONTINUITA’ E’ (O SARA’) PIU’ CONDIZIONATA DA:


fattori di mercato, concorrenza (leadership esterna)
fattori personali/relazionali/organizzativi (leadership interna)

La domanda voleva valutare la diversa percezione data ai fattori interni (aziendali o anche
familiari) rispetto alla competitività sul mercato, nel momento in cui l’azienda si trova, o si
troverà, a dover gestire la propria transizione.
Era inoltre prevista la doppia preferenza nella risposta.

21) QUALI PROBLEMI SONO VISTI COME IMPORTANTI


(nell’ottica dello sviluppo/innovazione)
- Da Senior es.(suggerimenti)
-----------------
-----------------
altro
- Da Junior es.(suggerimenti)
-----------------
-----------------
altro

Tale domanda ha richiesto generalmente uno spunto da parte dell’intervistatore che, per
facilitare la risposta, ha chiesto di individuare un solo fattore indagato. Andava inoltre
chiarito che i problemi o fattori d’ostacolo individuati riguardavano sempre la tematica della
continuità, nell’ottica dello sviluppo aziendale.

72
22) QUAL E’ IL MAGGIOR PUNTO DI FORZA:
del Senior ____________________________________________________
dello Junior ___________________________________________________

In questo caso, essendo l’intervistato un titolare/fondatore, un continuatore o un


componente dell’azienda (non familiare) è stato chiesto di immedesimarsi nell’altra persona
(Senior o Junior appunto) e di individuare il vero punto di forza – cioè il maggior pregio –
sempre però in un’ottica aziendale.

23) TRASMISSIONE AVVENUTA (negli ultimi 5 anni) Sì No

La domanda andava chiarita nel senso di un effettivo trasferimento dell’azienda, individuato


nella cessione di almeno la maggioranza della proprietà (quote o azioni) dell’azienda.

24) PREVISIONE DI UNA TRASMISSIONE entro 5 anni Sì No Non so

25) TIPO DI TRASFERIMENTO (effettuato o previsto) in famiglia


a dipendenti a terzi (________________) altro (________________)

26) FORMA DEL TRASFERIMENTO successione donazione


vendita accorpamento altro (trasferimento quote/azioni) Non so

27) RAGIONE DEL TRASFERIMENTO pensionamento/età incidente/salute


altri motivi (______________________)

28) PRESENZA DI UN PROCESSO DI PIANIFICAZIONE Sì No In parte


I. dettaglio:
piano strategico Sì No
scadenze Sì No Quando?______
modalità Sì No

La domanda prevedeva un preciso approfondimento per verificare l’effettiva presenza o


meno di un processo di pianificazione, che doveva essere non generico (del tipo: “sì, stiamo
pensando al nostro passaggio generazionale”) ma caratterizzato da un piano strategico
(anche di massima, ma esplicitato per iscritto e conosciuto dai diversi interessati), da
modalità pratiche di attuazione e, soprattutto, caratterizzato da scadenze temporali di
massima, tali da impegnare i protagonisti.

29) TEMPO MEDIO DI PIANIFICAZIONE <1 2-3 4-5 6-10 >10

La domanda è stata fatta spiegando che il tempo medio andava calcolato dal momento in cui
il processo aveva inizio (generalmente con l’entrata dei figli e il loro coinvolgimento

73
operativo, in ruoli con compiti misurabili e responsabilizzanti) fino alla trasmissione vera e
propria, intesa nel modo spiegato nelle domande n. 23 e 24.
Ha riguardato sia le aziende in cui il processo è già avvenuto, sia quelle dove è in atto o
dove sta per cominciare (in quest’ultimo caso è stata chiesta una stima della durata della
trasmissione).

30) QUALI ELEMENTI DOVREBBERO CONTENERE, SECONDO LEI, LE MISURE


REGIONALI DI ACCOMPAGNAMENTO E INNOVAZIONE ALLA TRASMISSIONE?
incentivi fiscali (es. riduzione imposte)
supporti finanziari (es. prestiti agevolati)
assistenza consulenziale (da parte di chi? __________________________)
per fare il punto della situazione, ai fini della continuità
onde innovare, traendo spunto dalle riflessioni sulla continuità
per aiutare a risolvere problemi già imminenti prevedibili a breve
azioni formative (da parte di chi? __________________________)
altro ______________________________________

Tale domanda mirava a capire quali potrebbero essere gl’interventi regionali di aiuto,
ripartendoli in quattro classi, ma lasciando libero l’intervistato di aggiungere altre tipologie.
In fase poi di analisi dei risultati, le risposte sono state ponderate, nel senso che si è dato
maggior peso a singole scelte (che dimostravano una preferenza per quel particolare
elemento) oppure è stata rispettata la classificazione dell’intervistato (era infatti possibile
ordinare le tipologie d’iniziative per importanza percepita).

31) ULTERIORI COMMENTI:

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