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Prof. Zuin
Enrico Dal Bello
LO PNEUMOTORACE
PNEUMOTORACE SEMPLICE
Caratterizzato da una situazione post-rottura stabile (al contrario, in caso di pneumotorace iperteso,
si avrà una complicazione). Se, collassando, il polmone blocca la perdita aerea, si ha lo
pneumotorace stabile e il polmone si assesta intorno a un nuovo valore volumetrico, inferiore al
normale. Il paziente, specie se giovane e quindi con alta funzionalità polmonare, riesce a stare con
un polmone collassato anche un paio di giorni senza accusare sintomi e senza quindi dover essere
portato in ospedale. Nel caso lo pneumotorace fosse modesto, ad esempio con una riduzione del
volume polmonare del 20-30%, rimarrebbe muto dal punto di vista dei sintomi, specie nel giovane,
e quindi il suo reperto sarebbe postumo e casuale, in genere radiologico.
Diversamente, il paziente insufficiente dal punto di vista respiratorio (come l’enfisematoso) si
accorgerà subito di avere un problema e sarà necessario ricoverarlo immediatamente.
SEGNI E SINTOMI
Tra i sintomi con cui può presentarsi lo pneumotorace c’è il dolore toracico, in genere di media
entità ma certe volte anche come molto violento, come un colpo di pugnale; il dolore dipende dal
distacco delle due pleure, viscerale e parietale, con irritazione della parietale. È frequentemente un
dolore posteriore, in sede interscapolovertebrale e questo forse si può attribuire alla tendenza del
polmone a staccarsi sempre a partire da questa zona. In alternativa può essere percepito
anteriormente, in regione pettorale, ma in una più bassa percentuale di casi; se interessa l’emitorace
sx allora entra in diagnosi differenziale con l’infarto del miocardio, però i due tipi di dolore si
differenziano per la durata: quello da pneumotorace tende a scomparire perché si esaurisce lo
stimolo, quello da infarto a persistere.
Altro sintomo, raro, è la dispnea, anche questa adattabile in quanto, trascorso un certo tempo
dall’evento acuto, il polmone controlaterale tende ad adeguarsi in senso compensatorio, inoltre si
verifica una vasocostrizione nel polmone collassato. Potrebbe semmai persistere una dispnea solo
da sforzo.
E’ raro che si abbia un enfisema sottocutaneo, cosa che succede se le bolle sono situate vicino alle
strutture bronchiali, in tal caso l’aria si fa spazio nell’interstizio peribronchiale, nel mediastino e
quindi nel sottocute.
Di ancora più difficile riscontro è la cianosi, segno di situazioni molto compromesse.
Dal punto di vista semeiotico, manca l’obiettività polmonare dal lato in cui è avvenuto il collasso:
c’è suono plessico iperfonetico, che non si differenzia molto dell’enfisema, il murmure vescicolare
è ridotto o addirittura assente.
TERAPIA
Il primo trattamento da effettuare è il drenaggio toracico, grazie a un tubo che convoglia fuori l’aria
in modo da ripristinare la pressione negativa e consentire così al polmone di riespandersi. Non è
sempre necessario drenare, si può evitarlo in caso di pneumotorace clinicamente ben tollerato, cioè
dovuto ad una modesta quantità d’aria che il polmone può riassorbire autonomamente con
risoluzione spontanea.
Se c’è uno pneumotorace traumatico con rottura del parenchima polmonare e sanguinamento, allora
andrà eseguito un intervento chirurgico di riparazione anziché il drenaggio.
Si impone invece di effettuare il drenaggio nei casi in cui il paziente mostri dei sintomi, tipo respiri
male o presenti una compromissione degli scambi gassosi (emogasanalisi alterata); altra indicazione
è la ventilazione meccanica, la quale, forzando aria nel polmone con bolla forata, impedisce che ci
sia autorisoluzione; inoltre occorre drenare quando si è di fronte ad uno pneumotorace modesto ma
che si rivela ingravescente alla seconda radiografia effettuata il giorno dopo la prima in un paziente
tenuto sotto osservazione.
Non è sperabile che si risolva da solo uno pneumotorace insorto in un contesto di pregressa
patologia polmonare.
In caso di emotorace dipendente da un’emorragia pleurica, è necessario drenare per poter
riespandere il polmone e procurare quindi uno strumento funzionale al blocco dell’emorragia.
PNEUMOTORACE IPERTESO
Si instaura uno pneumotorace iperteso quando, pur collassandosi il polmone, la bolla non riesce a
chiudersi su se stessa ma anzi continua a entrarvi dell’aria. Si forma una specie di lembo polmonare
che si apre quando entra aria nel polmone in inspirazione e si chiude quando l’aria esce in
espirazione. Conseguentemente, si ha uno spostamento controlaterale del mediastino, sotto la spinta
dell’aria che si accumula. Tra le strutture che hanno subito la dislocazione, quella che comporta
conseguenze peggiori è il sistema delle vene cave, molto comprimibile e quindi responsabile di una
diminuzione del ritorno venoso: all’insufficienza respiratoria si somma quella cardiocircolatoria.
SEGNI E SINTOMI
Sono ingravescenti e comprendono dispnea, agitazione e si può avere perdita di coscienza; tra i
segni ci sono la riduzione o sospensione dei rumori respiratori e i segni riconducibili alla stasi
venosa (come il turgore giugulare) e all’insufficienza cardiorespiratoria.
CAUSE
Spesso l’evenienza dello pneumotorace iperteso si ha quando lo pneumotorace è da causa
traumatica. Trattandosi di una situazione d’emergenza, è opportuno che la diagnosi sia clinica.
Questo trova una spiegazione molto pratica: mancano fisicamente gli strumenti per diagnosticarlo
altrimenti! Un esempio classico è lo pneumotorace iperteso dopo un incidente stradale: la diagnosi
deve essere posta sul luogo dell’incidente, sarebbe troppo lungo aspettare di trovarsi in ospedale. Se
un paziente del genere che presenta insufficienza respiratoria venisse intubato tout court, si
metterebbe a serissimo rischio la sua vita. Il motivo è che la ventilazione meccanica energica che si
eroga al paziente intubato aggrava lo pneumotorace e inoltre fa chiudere il sistema delle vene cave,
precipitando l’insufficienza cardiorespiratoria perché si blocca il ritorno venoso in atrio dx.
Per questo motivo, le linee guida concordano sulla necessità, in caso di trauma toracico importante
(tipicamente quello da soccorrere su strada), di applicare due drenaggi toracici (uno per lato) prima
di intubare. Nel caso non si abbiano a disposizione gli strumenti del drenaggio, si deve pungere il
torace con un’agocannula in corrispondenza del secondo spazio intercostale: questo, sebbene non
sia risolvente, almeno fa regredire lo pneumotorace da iperteso a semplice, che risolve la criticità
maggiore.
Altro ambito in cui è plausibile la formazione di uno pneumotorace iperteso è in sala operatoria,
tipicamente sotto anestesia generale e ventilazione meccanica. Sono a rischio in particolare i
pazienti con enfisema. Non potendosi effettuare una radiografia seduta stante, bisogna desumere la
diagnosi da altri dati, indiretti, tipo l’alterazione dei parametri respiratori e la necessità di alzare le
pressioni della ventilazione meccanica (perché si alza la resistenza da vincere, dovuta all’aria che
sostiene lo pneumotorace e il collasso del polmone). Si deve quindi fare il drenaggio toracico.
Tra le condizioni patologiche sottostanti uno pneumotorace secondario c’è la broncopneumopatia
cronica ostruttiva, la più frequente. La rarefazione del parenchima polmonare funzionante giustifica
la sintomatologia pressoché inevitabile e immediata, data la scarsissima disponibilità di meccanismi
di compensazione cardiorespiratoria. Altre cause sono:
• malattie polmonari suppurative (bronchiectasie e fibrosi cistica, che forma cisti superficiali
del polmone le quali possono rompersi);
• tumori polmonari (è molto difficile che lo pneumotorace regredisca da solo);
• interstiziopatie (fibrosi polmonare, alveolite allergica estrinseca, sarcoidosi,
linfangioleiomiomatosi, istiocitosi X);
• infezioni (polmonite come da Staphylococcus Aureus o da Pneumocystis Carinii,
tubercolosi);
• miscellanea (artrite reumatoide, sindrome di Marfan, sindrome di Ehlors-Danlos).
TERAPIA
Quanto al trattamento, il primo episodio si affronta con un drenaggio toracico, anche perché non ci
sarebbero elementi per valutare la probabilità che si ripresenti il fenomeno successivamente. Entro
tre, quattro giorni, lo pneumotorace dovrebbe riassorbirsi e il polmone riespandersi. Se questo non
dovesse succedere, il paziente deve essere inviato in sala operatoria. Oltrechè inutile, mantenere un
drenaggio più di quattro giorni nella speranza che risolva la situazione è rischioso, perché possono
insorgere infezioni della cavità pleurica e inoltre il polmone potrebbe sì guarire ma nella posizione
da collassato. La chirurgia si consiglia anche per quei pazienti che mostrino una recidiva. In questi,
è alto il rischio che se ne verifichino ulteriori in futuro.
L’intervento si svolge in toracoscopia sotto anestesia generale, il paziente in decubito laterale. Si
usano tre accessi cutanei. L’intervento procede in due fasi: la prima per suturare le bolle poste sulla
superficie del polmone causanti lo pneumotorace, la seconda a scopo preventivo, riguardo alle altre
bolle o anche per evitare che si formino bolle in futuro. Questa seconda fase consiste nel creare
irritazioni pleuriche così da formare aderenze pleuriche (pleurodesi). Non si inviano all’operazione
quei pazienti che mostrino solo bolle e non uno pneumotorace con le caratteristiche già spiegate
(cioè che sia un primo episodio non risoltosi entro quattro giorni di drenaggio oppure sia una
recidiva): si esporrebbe il paziente a un inutile rischio chirurgico.
26/11/2010
Prof. Federico Rea
Antonio Madia
INTRODUZIONE
È indispensabile conoscere i concetti di anatomia e fisiologia per capire il ragionamento clinico-diagnostico
grazie al quale possiamo inquadrare determinati sintomi.
[La terapia delle malattie non è richiesta all’esame.]
Per quanto riguarda i sintomi relativi alle malattie del torace, la prima cosa che all’esame gli studenti dicono
è la tosse, perché fa parte di una sintomatologia che interessa l’apparato toracico. È possibile, ma il paziente
spesso non ha la tosse ma manifesta altri disturbi, quindi è importante collegare tutti quelli che possono
essere gli eventi sintomatici con i segni effettivamente presenti nei soggetti. Ascoltare e farsi guidare dal
paziente è la cosa più importante per arrivare alla diagnosi. La terapia è l’ultima delle cose. Oggi, molto più
di una volta, è fondamentale ottenere una diagnosi quanto più precisa possibile, anche in termini anatomo-
patologici. Vi faccio un esempio per tutti: una volta, in presenza di un tumore polmonare, ci accontentavamo
di sapere se era una malattia tipo microcitoma o non microcitoma, perché gli schemi terapeutici nell’ambito
dei non microcitoma erano gli stessi. Oggi abbiamo bisogno di sapere se è un epitelio squamoso,
carcinomatoso, adenosquamoso, a grandi cellule e all’interno di questi sottotipi dobbiamo conoscere i marker
particolari.
MEDIASTINO POSTERIORE
Il limite del mediastino posteriore quella zona della doccia costo-vertebrale che contiene la catena simpatica
(componente del SNA) e i nervi intercostali, che escono dalla colonna e corrono lungo il solco sottocostale.
Sostanzialmente, se c’è un tumore in questa zona, la maggior parte delle volte sarà di origine nervosa, come
nel caso dei neurinomi (formazioni benigne) e dei ganglioneuromi (formazioni benigne oppure maligne).
Qual è la principale differenza tra tumore benigno e tumore maligno? Il tumore benigno sostanzialmente
cresce, mantiene la sua capsula, si espande; nella zona toracica l’espansione non costituisce sempre un
problema: anche se avviene la compressione di un polmone, l’individuo può essere del tutto asintomatico. Al
contrario, se la malattia è infiltrante, in questa zona una delle prime cose che viene colpita è la struttura
ossea, dando come sintomo dolore posteriore, oppure potrà penetrare nel midollo dando paraplegia.
Un tumore (benigno) particolare è quello a clessidra vertebrale
(nell’immagine appare tratteggiato in giallo); il nome deriva dal fatto
che può formarsi nel punto in cui i nervi spinali emergono dai forami
intervertebrali, avendo quindi la possibilità di crescere sia verso
l’interno che verso l’esterno dei forami, assumendo una forma a
clessidra. La componente che eventualmente, crescendo verso
l’esterno, andrà a comprimere il polmone, potrebbe non essere
sintomatica; al contrario la porzione che si espande all’interno del
canale midollare darà sintomi compressivi (anche se è un tumore
benigno).
A livello cerebrale un tumore diventa sintomatico anche se benigno, perché non ha spazio, diversamente dal
mediastino che, essendo una regione ampia, può esser caratterizzato dalla presenza di una massa
completamente asintomatica. Questo può sembrare banale, ma è molto importante. Lesioni che si espandono
latero-lateralmente, anche se di grandi dimensioni, possono crescere senza dare disturbi. Al contrario
possiamo avere, ad esempio, una massa molto piccola infiltrante la vena cava che può dare subito sintomi
correlati all’ostruzione, a patto che infiltri la parete, passi attraverso l’avventizia e la media fino al
raggiungimento della tonaca intima, dove potrà determinare un’alterazione dell’endotelio e quindi
l’apposizione di piastrine: di conseguenza si avrà un fenomeno di trombosi vascolare legata all’infiltrazione.
La struttura nervosa da ricordare nel corso della considerazione dei tumori nervosi del mediastino posteriore
è la catena simpatica.
MEDIASTINO ANTERIORE
Nel mediastino anteriore, delimitato da una linea immaginaria tracciata tra vena anonima e vena cava, è
compreso il cuore. Posteriormente ci sono la vena anonima e la vena cava, quest'ultima costituita
dall’unione dell’anonima di destra e di sinistra. Questo è il limite posteriore del mediastino anteriore. Il
limite anteriore è lo sterno. Lateralmente troviamo il nervo frenico che, a destra, passa sulla cava mentre a
sinistra corre anteriormente all’ilo polmonare e non ha una struttura anatomica di riferimento precisa (come
avviene a destra), tuttavia possiamo dire che passa anteriormente alla succlavia.
Ci sono tre importanti strutture nervose che passano nel mediastino: la catena simpatica (mediastino
posteriore), il nervo frenico (mediastino anteriore; se colpito, darà paralisi del diaframma) e il vago
(mediastino medio).
Nella zona compresa tra collo e mediastino anteriore c’è un passaggio in cui è situata la tiroide che talvolta
può scivolare davanti alla trachea: potremo vedere dunque caratteristici “gozzi affondati”.
La diagnosi delle patologie mediastiniche è prima di tutto clinica, perché ascoltando il paziente potrete avere
degli elementi che vi guidano, inoltre potrete avvalervi della diagnostica per immagini e di quella invasiva.
Sta a voi collegare i sintomi con le patologie.
Se un paziente ha un timoma, probabilmente accuserà cardiopalmo, mentre le modificazioni della voce sono
più comuni in caso di patologia del mediastino medio. La sintomatologia è dunque estremamente variabile,
dipende dalla localizzazione.
DIAGNOSTICA INVASIVA
• Mediastinoscopia
• Mediastinotomia anteriore
• VATS
• Minitoracomia
A questo punto è utile riassumere in cosa consistono queste tecniche, cercando di capire quando è opportuno
utilizzarne una piuttosto che un’altra.
La mediastinoscopia è una procedura eseguita in anestesia generale che prevede l’inserimento di un tubo
cavo e rigido fatto scorrere davanti alla trachea, consentendoci una visione diretta. La zona analizzata in
modo ottimale con questo metodo è il mediastino medio.
L’esame che ci permette di guardare dentro la trachea è la tracheobroncoscopia, con tubo flessibile e visione
tramite fibre ottiche.
Attualmente si utilizza sempre di più il videomedastinoscopio.
Dato che, per analizzare un timoma, la mediastinoscopia non è un esame adeguato, si deve ricorrere alla
mediastinotomia anteriore, facendo un’incisione in primo o secondo spazio intercostale. Il timoma, con
questa tecnica, è a portata di mano e si potrà quindi far diagnosi differenziale tra timoma e linfoma.
La mediastinotomia non si esegue con un ago sottile, perché non garantirebbe una visione sufficiente quando
invece è fondamentale avere un campione adeguato (pensiamo al caso di una patologia linfomatosa).
La VATS (videotoracoscopia) comporta la perforazione della pleura con conseguente collasso polmonare
(l’ingresso di aria tra i foglietti pleurici provoca la perdita della pressione negativa che fisiologicamente
consente di mantenere espanso il polmone). Il tubo utilizzato nella VATS ha due canali, di cui uno permette
la ventilazione del polmone non collassato. Si entra con un’ottica collegata ad un monitor, potendo a questo
punto esplorare tutta l’area anteriore, media e posteriore; è possibile inoltre operare eseguendo delle piccole
incisioni (il chirurgo può sfruttare l’ampio campo d’azione garantito dal fatto che il polmone è collassato). Ci
sono dunque molti vantaggi, ma esistono anche grossi svantaggi:
• visione monolaterale
• il paziente è ventilato in monopolmone
• occorre un drenaggio toracico.
(La lezione termina con un veloce riassunto delle patologie che possiamo studiare nelle tre aree del
mediastino grazie alle varie tecniche di diagnostica per immagini).
Nel mediastino anteriore: timoma, linfoma, teratoma, neoplasie delle cellule germinali.
Nel mediastino medio: massa cistica del mediastino, cisti broncogena, linfangioma, sarcoidosi, TBC.
Nel mediastino posteriore: neurinomi a clessidra, diverticolo esofageo.