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17/12/2010

Prof. Zuin
Enrico Dal Bello

LO PNEUMOTORACE

Lo pneumotorace è a cavallo tra patologia polmonare e pleurica.


E’ una patologia pleurica quando è primitivo, polmonare
quando è secondario. Rappresenta una condizione di presenza
d’aria in cavo pleurico, che normalmente è una cavità virtuale.
L’aria può entrarci per più motivi, e di seguito verranno
privilegiate le cause connesse con malattia, più che con traumi o
atti iatrogeni.
Ne esistono più classificazioni, specie dai punti di vista clinico
ed eziopatologico.
Come già accennato, lo pneumotorace può essere primitivo (o primario, o spontaneo) e insorgere in
persone sane, o almeno reputate sane fino a questo momento: l’esempio tipico è lo pneumotorace
nel giovane sano. L’evento scatenante è rappresentato dalla rottura di una bolla d’aria subpleurica:
se colpisce un polmone la cui funzionalità è molto superiore a quella strettamente necessaria per la
respirazione, il collasso polmonare che ne deriva non mette il paziente a rischio di vita.
Se lo pneumotorace è secondario, invece, insorge in un polmone già gravato da una patologia
preesistente, la quale rende il collasso polmonare un evento rischioso per la vita del paziente.
Lo pneumotorace primitivo origina in una situazione di bolle subpleuriche, cioè interessanti la
pleura viscerale. Le localizzazioni più frequenti sono all’apice del lobo polmonare (superiore o
inferiore), per il fatto che sono zone di minor resistenza. Sono piccole regioni di distrofia
parenchimale, la causa della cui formazione è ancora ignota. Queste bolle si ritrovano spesso in
ragazzi con un certo fenotipo comune, cioè alti e longilinei, includendo quelli con habitus
marfanoide. Si ritiene che sia sottostimata la prevalenza delle distrofie bollose polmonari.
La rottura delle bolle non è riconducibile a un motivo, non sono infatti necessari traumi o sforzi
particolari. Quando la bolla si rompe, fuoriesce aria e il polmone collassa. Le bolle, quando si
formano, rimangono permanentemente, senza necessariamente scoppiare, per cui se in un soggetto
diventano visibili alla TC, alla RMN o alla radiografia non significa che per forza avrà uno
pneumotorace in futuro.
Sono più a rischio di sviluppare lo pneumotorace: i soggetti con enfisema polmonare (presentano i
polmoni rialzati e dal punto di vista radiografico “evanescenti”), coloro che hanno subito un trauma
(da frattura costale o da ferita penetrante, entrambi responsabili di un brusco aumento di pressione
che fa rompere le bolle), i soggetti che subiscono alcune manovre iatrogene (tipo l’incannulazione
della succlavia per l’inserimento di un catetere venoso centrale, procedura che rischia di forare la
cupola pleurica, visto lo stretto rapporto tra le due strutture).
Lo pneumotorace può essere semplice o iperteso.

PNEUMOTORACE SEMPLICE
Caratterizzato da una situazione post-rottura stabile (al contrario, in caso di pneumotorace iperteso,
si avrà una complicazione). Se, collassando, il polmone blocca la perdita aerea, si ha lo
pneumotorace stabile e il polmone si assesta intorno a un nuovo valore volumetrico, inferiore al
normale. Il paziente, specie se giovane e quindi con alta funzionalità polmonare, riesce a stare con
un polmone collassato anche un paio di giorni senza accusare sintomi e senza quindi dover essere
portato in ospedale. Nel caso lo pneumotorace fosse modesto, ad esempio con una riduzione del
volume polmonare del 20-30%, rimarrebbe muto dal punto di vista dei sintomi, specie nel giovane,
e quindi il suo reperto sarebbe postumo e casuale, in genere radiologico.
Diversamente, il paziente insufficiente dal punto di vista respiratorio (come l’enfisematoso) si
accorgerà subito di avere un problema e sarà necessario ricoverarlo immediatamente.

SEGNI E SINTOMI
Tra i sintomi con cui può presentarsi lo pneumotorace c’è il dolore toracico, in genere di media
entità ma certe volte anche come molto violento, come un colpo di pugnale; il dolore dipende dal
distacco delle due pleure, viscerale e parietale, con irritazione della parietale. È frequentemente un
dolore posteriore, in sede interscapolovertebrale e questo forse si può attribuire alla tendenza del
polmone a staccarsi sempre a partire da questa zona. In alternativa può essere percepito
anteriormente, in regione pettorale, ma in una più bassa percentuale di casi; se interessa l’emitorace
sx allora entra in diagnosi differenziale con l’infarto del miocardio, però i due tipi di dolore si
differenziano per la durata: quello da pneumotorace tende a scomparire perché si esaurisce lo
stimolo, quello da infarto a persistere.
Altro sintomo, raro, è la dispnea, anche questa adattabile in quanto, trascorso un certo tempo
dall’evento acuto, il polmone controlaterale tende ad adeguarsi in senso compensatorio, inoltre si
verifica una vasocostrizione nel polmone collassato. Potrebbe semmai persistere una dispnea solo
da sforzo.
E’ raro che si abbia un enfisema sottocutaneo, cosa che succede se le bolle sono situate vicino alle
strutture bronchiali, in tal caso l’aria si fa spazio nell’interstizio peribronchiale, nel mediastino e
quindi nel sottocute.
Di ancora più difficile riscontro è la cianosi, segno di situazioni molto compromesse.
Dal punto di vista semeiotico, manca l’obiettività polmonare dal lato in cui è avvenuto il collasso:
c’è suono plessico iperfonetico, che non si differenzia molto dell’enfisema, il murmure vescicolare
è ridotto o addirittura assente.

TERAPIA
Il primo trattamento da effettuare è il drenaggio toracico, grazie a un tubo che convoglia fuori l’aria
in modo da ripristinare la pressione negativa e consentire così al polmone di riespandersi. Non è
sempre necessario drenare, si può evitarlo in caso di pneumotorace clinicamente ben tollerato, cioè
dovuto ad una modesta quantità d’aria che il polmone può riassorbire autonomamente con
risoluzione spontanea.
Se c’è uno pneumotorace traumatico con rottura del parenchima polmonare e sanguinamento, allora
andrà eseguito un intervento chirurgico di riparazione anziché il drenaggio.
Si impone invece di effettuare il drenaggio nei casi in cui il paziente mostri dei sintomi, tipo respiri
male o presenti una compromissione degli scambi gassosi (emogasanalisi alterata); altra indicazione
è la ventilazione meccanica, la quale, forzando aria nel polmone con bolla forata, impedisce che ci
sia autorisoluzione; inoltre occorre drenare quando si è di fronte ad uno pneumotorace modesto ma
che si rivela ingravescente alla seconda radiografia effettuata il giorno dopo la prima in un paziente
tenuto sotto osservazione.
Non è sperabile che si risolva da solo uno pneumotorace insorto in un contesto di pregressa
patologia polmonare.
In caso di emotorace dipendente da un’emorragia pleurica, è necessario drenare per poter
riespandere il polmone e procurare quindi uno strumento funzionale al blocco dell’emorragia.

PNEUMOTORACE IPERTESO
Si instaura uno pneumotorace iperteso quando, pur collassandosi il polmone, la bolla non riesce a
chiudersi su se stessa ma anzi continua a entrarvi dell’aria. Si forma una specie di lembo polmonare
che si apre quando entra aria nel polmone in inspirazione e si chiude quando l’aria esce in
espirazione. Conseguentemente, si ha uno spostamento controlaterale del mediastino, sotto la spinta
dell’aria che si accumula. Tra le strutture che hanno subito la dislocazione, quella che comporta
conseguenze peggiori è il sistema delle vene cave, molto comprimibile e quindi responsabile di una
diminuzione del ritorno venoso: all’insufficienza respiratoria si somma quella cardiocircolatoria.

SEGNI E SINTOMI
Sono ingravescenti e comprendono dispnea, agitazione e si può avere perdita di coscienza; tra i
segni ci sono la riduzione o sospensione dei rumori respiratori e i segni riconducibili alla stasi
venosa (come il turgore giugulare) e all’insufficienza cardiorespiratoria.

CAUSE
Spesso l’evenienza dello pneumotorace iperteso si ha quando lo pneumotorace è da causa
traumatica. Trattandosi di una situazione d’emergenza, è opportuno che la diagnosi sia clinica.
Questo trova una spiegazione molto pratica: mancano fisicamente gli strumenti per diagnosticarlo
altrimenti! Un esempio classico è lo pneumotorace iperteso dopo un incidente stradale: la diagnosi
deve essere posta sul luogo dell’incidente, sarebbe troppo lungo aspettare di trovarsi in ospedale. Se
un paziente del genere che presenta insufficienza respiratoria venisse intubato tout court, si
metterebbe a serissimo rischio la sua vita. Il motivo è che la ventilazione meccanica energica che si
eroga al paziente intubato aggrava lo pneumotorace e inoltre fa chiudere il sistema delle vene cave,
precipitando l’insufficienza cardiorespiratoria perché si blocca il ritorno venoso in atrio dx.
Per questo motivo, le linee guida concordano sulla necessità, in caso di trauma toracico importante
(tipicamente quello da soccorrere su strada), di applicare due drenaggi toracici (uno per lato) prima
di intubare. Nel caso non si abbiano a disposizione gli strumenti del drenaggio, si deve pungere il
torace con un’agocannula in corrispondenza del secondo spazio intercostale: questo, sebbene non
sia risolvente, almeno fa regredire lo pneumotorace da iperteso a semplice, che risolve la criticità
maggiore.
Altro ambito in cui è plausibile la formazione di uno pneumotorace iperteso è in sala operatoria,
tipicamente sotto anestesia generale e ventilazione meccanica. Sono a rischio in particolare i
pazienti con enfisema. Non potendosi effettuare una radiografia seduta stante, bisogna desumere la
diagnosi da altri dati, indiretti, tipo l’alterazione dei parametri respiratori e la necessità di alzare le
pressioni della ventilazione meccanica (perché si alza la resistenza da vincere, dovuta all’aria che
sostiene lo pneumotorace e il collasso del polmone). Si deve quindi fare il drenaggio toracico.
Tra le condizioni patologiche sottostanti uno pneumotorace secondario c’è la broncopneumopatia
cronica ostruttiva, la più frequente. La rarefazione del parenchima polmonare funzionante giustifica
la sintomatologia pressoché inevitabile e immediata, data la scarsissima disponibilità di meccanismi
di compensazione cardiorespiratoria. Altre cause sono:
• malattie polmonari suppurative (bronchiectasie e fibrosi cistica, che forma cisti superficiali
del polmone le quali possono rompersi);
• tumori polmonari (è molto difficile che lo pneumotorace regredisca da solo);
• interstiziopatie (fibrosi polmonare, alveolite allergica estrinseca, sarcoidosi,
linfangioleiomiomatosi, istiocitosi X);
• infezioni (polmonite come da Staphylococcus Aureus o da Pneumocystis Carinii,
tubercolosi);
• miscellanea (artrite reumatoide, sindrome di Marfan, sindrome di Ehlors-Danlos).

TERAPIA
Quanto al trattamento, il primo episodio si affronta con un drenaggio toracico, anche perché non ci
sarebbero elementi per valutare la probabilità che si ripresenti il fenomeno successivamente. Entro
tre, quattro giorni, lo pneumotorace dovrebbe riassorbirsi e il polmone riespandersi. Se questo non
dovesse succedere, il paziente deve essere inviato in sala operatoria. Oltrechè inutile, mantenere un
drenaggio più di quattro giorni nella speranza che risolva la situazione è rischioso, perché possono
insorgere infezioni della cavità pleurica e inoltre il polmone potrebbe sì guarire ma nella posizione
da collassato. La chirurgia si consiglia anche per quei pazienti che mostrino una recidiva. In questi,
è alto il rischio che se ne verifichino ulteriori in futuro.
L’intervento si svolge in toracoscopia sotto anestesia generale, il paziente in decubito laterale. Si
usano tre accessi cutanei. L’intervento procede in due fasi: la prima per suturare le bolle poste sulla
superficie del polmone causanti lo pneumotorace, la seconda a scopo preventivo, riguardo alle altre
bolle o anche per evitare che si formino bolle in futuro. Questa seconda fase consiste nel creare
irritazioni pleuriche così da formare aderenze pleuriche (pleurodesi). Non si inviano all’operazione
quei pazienti che mostrino solo bolle e non uno pneumotorace con le caratteristiche già spiegate
(cioè che sia un primo episodio non risoltosi entro quattro giorni di drenaggio oppure sia una
recidiva): si esporrebbe il paziente a un inutile rischio chirurgico.

26/11/2010
Prof. Federico Rea
Antonio Madia

PATOLOGIE DEL MEDIASTINO DI INTERESSE CHIRURGICO

INTRODUZIONE
È indispensabile conoscere i concetti di anatomia e fisiologia per capire il ragionamento clinico-diagnostico
grazie al quale possiamo inquadrare determinati sintomi.
[La terapia delle malattie non è richiesta all’esame.]
Per quanto riguarda i sintomi relativi alle malattie del torace, la prima cosa che all’esame gli studenti dicono
è la tosse, perché fa parte di una sintomatologia che interessa l’apparato toracico. È possibile, ma il paziente
spesso non ha la tosse ma manifesta altri disturbi, quindi è importante collegare tutti quelli che possono
essere gli eventi sintomatici con i segni effettivamente presenti nei soggetti. Ascoltare e farsi guidare dal
paziente è la cosa più importante per arrivare alla diagnosi. La terapia è l’ultima delle cose. Oggi, molto più
di una volta, è fondamentale ottenere una diagnosi quanto più precisa possibile, anche in termini anatomo-
patologici. Vi faccio un esempio per tutti: una volta, in presenza di un tumore polmonare, ci accontentavamo
di sapere se era una malattia tipo microcitoma o non microcitoma, perché gli schemi terapeutici nell’ambito
dei non microcitoma erano gli stessi. Oggi abbiamo bisogno di sapere se è un epitelio squamoso,
carcinomatoso, adenosquamoso, a grandi cellule e all’interno di questi sottotipi dobbiamo conoscere i marker
particolari.

ANATOMIA DEL MEDIASTINO


Il mediastino è quell’area tra i due polmoni che offre passaggio
ad alcune strutture, le quali possono poi dare origine a fenomeni
infiammatori, tumorali e quindi patologici.
[Viene mostrata un’immagine in cui è stato tolto il cuore mentre
i polmoni sono stati tirati in parte:] vediamo grosse strutture
vascolari venose poste più anteriormente, in posizione retro-
sternale, poi strutture vascolari arteriose, quindi la trachea e,
dietro ad essa, l’esofago. Lungo tutto questo tratto ci possono
essere delle manifestazioni patologiche caratterizzate da una
sintomatologia legata alla compressione ed all’infiltrazione di
queste strutture anatomiche.
Come si suddivide il mediastino? Il modo più semplice di
dividere il mediastino (si tratta di una divisione convenzionale:
non ci sono dei veri e propri limiti anatomici) è distinguere una
parte anteriore, una parte media, una parte posteriore. Per fare
questo dobbiamo è meglio analizzare una proiezione laterale,
dalla quale vediamo molto meglio le vene, le arterie, la trachea,
l’esofago.

MEDIASTINO POSTERIORE
Il limite del mediastino posteriore quella zona della doccia costo-vertebrale che contiene la catena simpatica
(componente del SNA) e i nervi intercostali, che escono dalla colonna e corrono lungo il solco sottocostale.
Sostanzialmente, se c’è un tumore in questa zona, la maggior parte delle volte sarà di origine nervosa, come
nel caso dei neurinomi (formazioni benigne) e dei ganglioneuromi (formazioni benigne oppure maligne).
Qual è la principale differenza tra tumore benigno e tumore maligno? Il tumore benigno sostanzialmente
cresce, mantiene la sua capsula, si espande; nella zona toracica l’espansione non costituisce sempre un
problema: anche se avviene la compressione di un polmone, l’individuo può essere del tutto asintomatico. Al
contrario, se la malattia è infiltrante, in questa zona una delle prime cose che viene colpita è la struttura
ossea, dando come sintomo dolore posteriore, oppure potrà penetrare nel midollo dando paraplegia.
Un tumore (benigno) particolare è quello a clessidra vertebrale
(nell’immagine appare tratteggiato in giallo); il nome deriva dal fatto
che può formarsi nel punto in cui i nervi spinali emergono dai forami
intervertebrali, avendo quindi la possibilità di crescere sia verso
l’interno che verso l’esterno dei forami, assumendo una forma a
clessidra. La componente che eventualmente, crescendo verso
l’esterno, andrà a comprimere il polmone, potrebbe non essere
sintomatica; al contrario la porzione che si espande all’interno del
canale midollare darà sintomi compressivi (anche se è un tumore
benigno).
A livello cerebrale un tumore diventa sintomatico anche se benigno, perché non ha spazio, diversamente dal
mediastino che, essendo una regione ampia, può esser caratterizzato dalla presenza di una massa
completamente asintomatica. Questo può sembrare banale, ma è molto importante. Lesioni che si espandono
latero-lateralmente, anche se di grandi dimensioni, possono crescere senza dare disturbi. Al contrario
possiamo avere, ad esempio, una massa molto piccola infiltrante la vena cava che può dare subito sintomi
correlati all’ostruzione, a patto che infiltri la parete, passi attraverso l’avventizia e la media fino al
raggiungimento della tonaca intima, dove potrà determinare un’alterazione dell’endotelio e quindi
l’apposizione di piastrine: di conseguenza si avrà un fenomeno di trombosi vascolare legata all’infiltrazione.
La struttura nervosa da ricordare nel corso della considerazione dei tumori nervosi del mediastino posteriore
è la catena simpatica.

MEDIASTINO ANTERIORE
Nel mediastino anteriore, delimitato da una linea immaginaria tracciata tra vena anonima e vena cava, è
compreso il cuore. Posteriormente ci sono la vena anonima e la vena cava, quest'ultima costituita
dall’unione dell’anonima di destra e di sinistra. Questo è il limite posteriore del mediastino anteriore. Il
limite anteriore è lo sterno. Lateralmente troviamo il nervo frenico che, a destra, passa sulla cava mentre a
sinistra corre anteriormente all’ilo polmonare e non ha una struttura anatomica di riferimento precisa (come
avviene a destra), tuttavia possiamo dire che passa anteriormente alla succlavia.
Ci sono tre importanti strutture nervose che passano nel mediastino: la catena simpatica (mediastino
posteriore), il nervo frenico (mediastino anteriore; se colpito, darà paralisi del diaframma) e il vago
(mediastino medio).
Nella zona compresa tra collo e mediastino anteriore c’è un passaggio in cui è situata la tiroide che talvolta
può scivolare davanti alla trachea: potremo vedere dunque caratteristici “gozzi affondati”.

Un altro esempio di patologia del mediastino anteriore è il timoma, di cui il


primo sintomo NON è la tosse, perché prima di arrivare alla trachea vengono
infiltrate l’anonima e l’arteria brachicefalica (per inciso, le patologie timiche son
quelle che più frequentemente colpiscono il mediastino anteriore).
Il timo è un organo a forma di H, appoggiato davanti alla vena anonima sinistra
in cui, tra l’altro, sboccano le vene timiche.
Un grosso timoma che non infiltra probabilmente non dà alcun disturbo, al
contrario un timoma piccolo che s’insinua attraverso le vene, infiltra la parete e
va a formare un piccolo gettone neoplastico, porta alla chiusura dell’anonima
sinistra; a questo punto, quale sarà il primo sintomo? Il turgore della giugulare sinistra! Il passo successivo,
se il paziente non se ne accorge, è l’edema a mantellina.
Il timoma, se si appoggia al pericardio, può provocare disturbi cardiaci. Un altro possibile problema è la
pericardite neoplastica: tale infiammazione porta alla produzione di liquido pericardico in eccesso.
Se i nervi vengono solamente dislocati non succede niente, se invece sono infiltrati si ha paralisi; essa è un
segno, il cui sintomo corrispondente è la dispnea, che tipicamente colpisce il soggetto anziano (infatti un
giovane che ha paralisi del diaframma possiede un polmone controlaterale talmente valido che potrebbe non
avere alcun disturbo).
In questa zona (cioè nel mediastino anteriore) quali patologie dobbiamo ricordare? Tutte le patologie del
timo, tra cui timoma, iperplasia timica, cisti timiche, ecc. (il prof. invita a studiarsele sul libro, per avere
un’idea). Il timo, struttura linfo-epiteliale, può dare, oltre ai sintomi loco-regionali, anche sintomi sistemici.
La manifestazione sistemica più frequente della patologia timica, a cui si associa nel 20% dei casi, è la
miastenia gravis, malattia che colpisce prevalentemente il sesso femminile. Quindi nel 20% dei casi la
miastenia può essere il sintomo che ci fa scoprire un timoma; molto spesso però ci può essere miastenia
senza alcuna patologia tumorale del timo (ma i chirurghi possono comunque esser chiamati in causa per fare
una timectomia).
Il timo consente la maturazione delle cellule T. Nel momento in cui si nasce, questo organo comincia a
riassorbirsi, ma nei giovani soggetti con miastenia gravis diventa iperplastico (c'è iperplasia, non neoplasia!),
tanto che può esser richiesta una timectomia (in questo caso eseguita non per l’asportazione di un tumore, ma
del tessuto iperplastico). Se non intervenissimo, la ghiandola non riassorbita continuerebbe a produrre
linfociti con secrezione di auto-anticorpi anti-acetilcolina.
Il meccanismo per cui un impulso nervoso permette la contrazione muscolare si basa sulla funzione
dell’aceticolina a livello della placca motrice. Nella miastenia gravis gli auto-anticorpi sono diretti contro i
recettori colinergici, ossia contro i recettori per l’acetilcolina a livello della giunzione neuro-muscolare,
quindi il sintomo caratteristico di questi soggetti è l'affaticabilità muscolare. Quali sono i muscoli che
muoviamo di più? I muscoli oculari (spesso i primi sintomi sono diplopia e ptosi palpebrale) e quelli
facciali. A seguire avremo modificazioni del tono della voce, della masticazione, della deglutizione. Viene
richiesta l'asportazione del timo perché pare, anche se non ci sono dati definitivi, che dopo la timectomia il
processo patologico migliori; sembra cioè che l’asportazione precoce interrompa questo fenomeno di
maturazione. La terapia prevede l’utilizzo di farmaci che consentano di riattivare l'acetilcolina (es.
anticolinesterasici) oppure di cortisone per cercare di bloccare la produzione di auto-anticorpi (il che è un
sintomo sistemico, non legato a fattori loco-regionali).
Del timoma è giusto conoscere anche le varie manifestazioni loco-regionali (il professore invita ad
approfondire sul libro).
Il timoma oggi è molto più conosciuto di una volta, ha una sua classificazione isto-patologica: lo
classifichiamo in tipo A, AB, B1, B2, B3, fino ad arrivare al C, che sta per carcinoma timico. Il timoma A è
prevalentemente midollare, è il più benigno tra i maligni, cioè ha malignità attenuata. A e AB danno meno
frequentemente infiltrazione della vena anonima, contrariamente a B1-B3 e C. Tale classificazione correla
con la prognosi. Come tutte le malattie metastatiche ha una stadiazione, ma nel caso del timoma non
utilizziamo la TNM, ma la classificazione di Masaoka. Il Masaoka I è un timoma che ha una capsula intatta
dal punto di vista istopatologico, non infiltrata dalla lesione. Lo stadio II è invece il timoma che o ha
un'infiltrazione della capsula (quindi è importante che l'anatomo-patologo analizzi la capsula), oppure è
addirittura uscito da essa infiltrando il tessuto circostante, senza però arrivare a grosse strutture anatomiche.
Si tratta di timomi relativamente facili da operare. Stadio III: il timoma ha infiltrato una delle grosse
strutture anatomiche circostanti (polmone, nervo frenico, anonima, cava, pericardio). Anche nello stadio
terzo abbiamo la possibilità di fare un intervento chirurgico. Poi c'è lo stadio IV: il 4A non dà metastasi, ma
indica comunque malattia diffusa caratterizzata da una contaminazione con “gocce” di malattia su pleura o
pericardio. Il 4B è lo stadio della classica diffusione metastatica. Se abbiamo un tumore che infiltra la pleura
mediastinica, dovremo approfondire per escludere o confermare un 4A.
Nel libro c'è scritto che ci possono essere anche delle cisti pleuro-pericardiche perchè il foglietto pericardico
e la pleura, nel momento dello sviluppo, possono rimanere attaccati con conseguente formazione di una cisti.
Ad ogni modo, le due cose più importanti da ricordare riguardo il mediastino anteriore sono il gozzo
affondato e il timoma.
Uno dei più grossi problemi è la diagnosi differenziale tra timoma e linfoma, infatti è molto frequente la
presenza di un linfoma Hodgkin o non Hodgkin. Mentre il timoma nasce nel mediastino anteriore e,
sviluppandosi, può occupare la zona posteriore, in caso di linfoma i linfonodi possono crescere dalla regione
pre-tracheale, ad esempio, e raggiungere la zona anteriore simulando un tumore del mediastino anteriore!
Comunque un chirurgo esperto riesce a discriminare le due neoplasie anche perché il timoma cresce come
struttura unica, mentre il linfoma può avere multiple sedi. Se in un paziente astenico troviamo una massa
retro sternale in cui magari si rivelano delle calcificazioni, possiamo supporre che ci sia un timoma, ma per
esserne certi dobbiamo eseguire una biopsia. Il linfoma si tratta esclusivamente con terapia chemioradiante,
il timoma con la chirurgia.
MEDIASTINO MEDIO
Il mediastino medio è una zona di passaggio contenente l'esofago, la trachea, la vena azygos (che è il
corrispettivo venoso dell'arco dell'aorta).
In un’immagine radiografica un aneurisma aortico appare come una massa, quindi va distinto da un tumore;
l’imaging ci permette di visualizzare anche un’eventuale neoformazione cistica benigna, una patologia
dell'esofago o della trachea oppure una cisti broncogena; la patologia più frequente è però la patologia
linfonodale. Le malattie linfonodali primitive sono i linfomi, le secondarie sono le adenopatie da piccoli
tumori polmonari.
Quali sono le strutture che possono essere coinvolte in caso di patologia del mediastino medio? Tutte quelle
comprese tra trachea e esofago, anche i vasi.
La vena cava, oltre a rappresentare il limite posteriore del mediastino anteriore, viene ad essere il limite
anteriore del mediastino medio. Perciò un'adenopatia da tumore del polmone tra azygos, cava e trachea può
dare infiltrazione della vena cava posteriormente.
I tumori del polmone non danno disfagia, ma, in seguito all’infiltrazione dei linfonodi, si ha tosse.
Il nervo vago porta con sé il laringeo inferiore, ossia il nervo ricorrente, chiamato così perché a sinistra gira
sotto l'arco dell'aorta, a destra sotto l'arteria succlavia. È importante saperlo perché, se una patologia del
mediastino medio va ad infiltrare il nervo vago, si può avere disfonia, più frequentemente a sinistra, poichè il
laringeo di sinistra ha un lungo decorso nel torace, quello di destra invece è più breve. Quindi tutto quello
che nasce a sinistra tra collo ed ilo polmonare può provocare disfonia, ma esistono anche cause di disfonia a
destra, come il tumore dell'apice polmonare (tumore di Pancoust) che può coinvolgere anche la succlavia.
Inoltre gran parte dei pazienti che hanno una metastasi linfonodale a livello del linfonodo della finestra
aorto-polmonare (attenzione ad un eventuale coinvolgimento dell’arco aortico!) ha disfonia.
Uno dei miracoli attribuiti a Padre Pio è stata la sparizione di un linfangioma cistico (dilatazione di un
linfatico): toccandolo partendo dall’alto fece scomparire la massa (in realtà si ruppe semplicemente e scivolò
nel torace).

La diagnosi delle patologie mediastiniche è prima di tutto clinica, perché ascoltando il paziente potrete avere
degli elementi che vi guidano, inoltre potrete avvalervi della diagnostica per immagini e di quella invasiva.
Sta a voi collegare i sintomi con le patologie.
Se un paziente ha un timoma, probabilmente accuserà cardiopalmo, mentre le modificazioni della voce sono
più comuni in caso di patologia del mediastino medio. La sintomatologia è dunque estremamente variabile,
dipende dalla localizzazione.

SINDROME DA OCCUPAZIONE DEL MEDIASTINO


Facciamo un altro ragionamento riguardo la sindrome da occupazione del mediastino: è molto più grave un
piccolo ematoma intracranico rispetto ad una rottura di milza con grave emorragia interna in quanto nel
mediastino c'è la possibilità di dislocare strutture, mentre all’interno della scatola cranica lo spazio è esiguo,
essendo occupato quasi interamente dall’encefalo. Infatti se avessimo una formazione tra trachea e esofago,
questa potrebbe semplicemente spostare le strutture circostanti. L'organo che si lascia dislocare di più è il
polmone, perché contiene aria (in più il polmone controlaterale può compensare, offrendo quindi un
vantaggio funzionale al paziente).
Viceversa una lesione infiltrante, anche piccola, può dare un disturbo molto precocemente, ad esempio se
invade la vena anonima o la vena cava. Difatti si può avere, a livello del mediastino, compressione e
infiltrazione di vene, arterie, nervi, trachea, bronchi, esofago, pericardio e cuore.
Ricapitolando: una lesione infiltrante, seppure piccola, può dare segni e sintomi precoci, mentre una grande
massa non invasiva può semplicemente dislocare gli organi intorno, senza dare eccessivi disturbi.
DIAGNOSTICA PER IMMAGINI
Il primo esame da fare è l’RX del torace. È difficile studiare il torace antero-posteriormente, perché abbiamo
una sfilza di strutture poste una dietro all’altra, quindi risulta più agevole analizzare una proiezione laterale.
E’ possibile infatti che una piccola lesione, invisibile antero-posteriormente (perché tutte le strutture
vascolari si riflettono sulla colonna), sia evidenziabile con la visione laterale.
A seguire: TAC del torace, RMN, scintigrafia tiroidea (perché ci può essere un gozzo affondato), octreoscan
(rileva i 5 recettori per la somatostatina, di cui il timo è ricco).

DIAGNOSTICA INVASIVA
• Mediastinoscopia
• Mediastinotomia anteriore
• VATS
• Minitoracomia
A questo punto è utile riassumere in cosa consistono queste tecniche, cercando di capire quando è opportuno
utilizzarne una piuttosto che un’altra.
La mediastinoscopia è una procedura eseguita in anestesia generale che prevede l’inserimento di un tubo
cavo e rigido fatto scorrere davanti alla trachea, consentendoci una visione diretta. La zona analizzata in
modo ottimale con questo metodo è il mediastino medio.
L’esame che ci permette di guardare dentro la trachea è la tracheobroncoscopia, con tubo flessibile e visione
tramite fibre ottiche.
Attualmente si utilizza sempre di più il videomedastinoscopio.
Dato che, per analizzare un timoma, la mediastinoscopia non è un esame adeguato, si deve ricorrere alla
mediastinotomia anteriore, facendo un’incisione in primo o secondo spazio intercostale. Il timoma, con
questa tecnica, è a portata di mano e si potrà quindi far diagnosi differenziale tra timoma e linfoma.
La mediastinotomia non si esegue con un ago sottile, perché non garantirebbe una visione sufficiente quando
invece è fondamentale avere un campione adeguato (pensiamo al caso di una patologia linfomatosa).
La VATS (videotoracoscopia) comporta la perforazione della pleura con conseguente collasso polmonare
(l’ingresso di aria tra i foglietti pleurici provoca la perdita della pressione negativa che fisiologicamente
consente di mantenere espanso il polmone). Il tubo utilizzato nella VATS ha due canali, di cui uno permette
la ventilazione del polmone non collassato. Si entra con un’ottica collegata ad un monitor, potendo a questo
punto esplorare tutta l’area anteriore, media e posteriore; è possibile inoltre operare eseguendo delle piccole
incisioni (il chirurgo può sfruttare l’ampio campo d’azione garantito dal fatto che il polmone è collassato). Ci
sono dunque molti vantaggi, ma esistono anche grossi svantaggi:
• visione monolaterale
• il paziente è ventilato in monopolmone
• occorre un drenaggio toracico.

(La lezione termina con un veloce riassunto delle patologie che possiamo studiare nelle tre aree del
mediastino grazie alle varie tecniche di diagnostica per immagini).
Nel mediastino anteriore: timoma, linfoma, teratoma, neoplasie delle cellule germinali.
Nel mediastino medio: massa cistica del mediastino, cisti broncogena, linfangioma, sarcoidosi, TBC.
Nel mediastino posteriore: neurinomi a clessidra, diverticolo esofageo.

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