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IL SISTEMA DI DIRITTO NON CODIFICATO

-Da codex (deriva da cadeux che sta per indicare la materia scrittoria dell’antichità) a codici
Nel nostro linguaggio corrente al termine codice si attribuiscono svariati significati riconducibili ad
un insieme di regole non formali ma unanimamente accettate per consuetudine come ispiratrici o di
comportamenti o di attività della convivenza umana.
Nel linguaggio giuridico antico il codice si restringe a raccolta di leggi scritte e convalidate (codice
di Hammurabi).
Codice: indica il corpo organico e sistematico comprensivo di tutte le norme pertinenti ad una
determinata branca del diritto promanato nella sua unità complessiva dal potere legislativo.
“Codice” è una parola che appartiene alla categoria delle parole che indicano il risultato di
un’azione (nomina rei acte), mentre codificazione appartiene alla categoria delle parole che
indicano un’azione (nomina actionis).
Il codice realizza un sistema di diritto espresso da una fonte unitaria, completa, esclusiva
contrapponendosi al sistema della tradizione costituito su una pluralità di fonti concorrenti. Rimane
in vigore in Italia e nella grande maggioranza degli stati dell’europa fino alla fine del XVIII sec.
(rivoluzione francese).
L’elaborazione della codificazione è da ricercare all’inizio dell’umanesimo giuridico francese del
XVI sec. Attraverso una trasformazione lenta nel mutato quadro dell’epoca “politicamente” nuova
dell’assolutismo monarchico, si arricchisce dei principi del giusnaturalismo e dalle istanze del ‘700
preilluminista e illuminista. Il processo di codificazione si conclude a cavallo tra il XVIII e XIX sec
e si procede alla ripartizione della materia giuridica dando vita a codici separati in un nuovo modo
di classificare il diritto.
Il fenomeno della codificazione in Europa (XIX-XX sec) si realizza in due fasi:
1. pubblicazione dei codici francesi (rappresentano i prototipi di quasi la totalità di quelli
successivi): codice civile (1804), procedura civile (1806), commerciale (1807), procedura
penale (1808), penale (1810)
2. codice civile Spagna (1889); dell’impero tedesco (1896)
Dal sistema di diritto codificato rimangono esclusi l’Inghilterra e gran parte dei paesi che hanno
subito l’influenza inglese; dove vige il sistema di common law (non c’è distinzione tra diritto
pubblico e diritto privato).
-Il diritto comune: sistema giuridico su cui poggiava l’Europa del diritto fino all’800: costituito dal
ius commune (categoria logica, astratta che designa un determinato complesso di norme del sistema
di più generale applicabilità; si distinguono le categorie del diritto penale, locale, eccezionale) che
fonda le sue radici nel basso medioevo.
1. il diritto comune è quel diritto che vige in tutto l’ambito dello stato concepito come unità
territoriale (≠ diritti locali, che sono validi solo in alcune parti dello stato)
2. Il diritto comune è norma generale ed astratta rivolta a tutti i soggetti dell’ordinamento
giuridico (≠ norma individuale destinata ad una persona singola o ad un particolare rapporto
concreto)
3. il diritto comune è costituito da norme basate sui principi generali del diritto e valide per
tutti i rapporti tranne che per alcuni che saranno oggetto di norme eccezionali e speciali
Nel diritto romano il termine ius commune rappresenta la norma di carattere generale che vale per
tutti a fronte della norma speciale che vale solo per alcuni (ius singolare).
La concreta struttura dell’impero è costituita da tanti ordinamenti politici particolari che utilizzano
diritti positivi particolari, ciascuno dei quali ha proprie origini motivazioni e peculiarità (ius
proprium) è calato all’interno del ius commune e rappresenta il diritto speciale in vigore in
quegli ordinamenti come diritto locale, diritto soggettivo, diritto personale territorializzato (diritto
longobardo) o come diritto feudale che non rientra nei diritti universali.
PROBLEMA: i giuristi si trovano a dover risolvere il contrasto logico che scaturisce dalla
coesistenza del diritto romano (ius commune ) e dei diritti particolari (iura propria)
SOLUZIONE: capolavoro della scienza giuridica dei glossatori della scuola di Bologna fino ai
commentari del XIV secolo: si giunge alla formulazione del concetto di un diritto comune dalla cui
unità deriva la molteplicità dei diritti particolari.
LE COMPONENTI ORIGINARIE DEL DIRITTO COMUNE
-La compilazione giustinianea
Il diritto comune affonda le sue radici nel VI sec congiunto ai motivi ispiratori di Giustiniano che
mira alla restaurazione dell’antico potere imperiale e all’unificazione della chiesa cristiana lacerata.
Nel 554 l’imperatore bizantino invia in Italia la sua compilazione attraverso la pragmatica sancito
pro petizione vigilii (genere di costituzione emanata in seguito al verificarsi di un episodio
particolare).
COMPOSIZIONE:
• codex (sono raccolte “sistematicamente” le costituzioni imperiali (leges) da lui stesso
promulgate e quelle antecedenti il suo regno (codex gregorianus, hermogenianus e
theodosianus)
• Digesta: riuniscono in una antologia il prodotto dell’esperienza giurisprudenziale romana
(iura, ossia le soluzioni dei giuristi relativamente a singoli casi concreti: queste, interpretate
e rielaborate danno origine a regole e principi di carattere generale) e costituiscono la parte
più rilevante dell’intera compilazione giustinianea. Si compongono di 50 libri divisi in titoli,
ordinati in frammenti, ciascuno corredato da una inscriptio che fornisce il nome dell’autore,
il titolo dell’opera e il libro da cui deriva il passo. Vista la sua derivazione il digesto
privilegia gli istituti di diritto privato.
• Institutiones: costituiscono i fondamenti dell’insegnamento del diritto. L’opera si basa sui
testi didattici di Gaio da cui riprende la tripartizione delle categorie generali personae, res,
actiones, scostandosene solo laddove modifica introducendo il diritto criminale, argomento
sconosciuto al manuale classico.
• Novellae constitutiones: sono la parte più “bizantina” dell’intera compilazione: si tratta delle
leggi emanate da giustiniano posteriormente alla pubblicazione del codex. Rappresentano la
legislazione corrente e le tematiche dimostrano una prevalenza di questioni
giuspubblicistiche e contingenti (data la struttura burocratica dell’impero) sottolineando una
netta inversione di tendenza rispetto al codex che privilegiava la disciplina privatistica.
Con la promulgazione dei codici l’imperatore riconosce forza legislativa a ciascuno di essi e ne
vieta ogni tipo di rielaborazione che verrebbe considerata sotto la specie di crimen falsi e come tale
gravemente punita.
-La sua recezione in Italia:
Quello che i glossatori bolognesi denomineranno corpus iuris civilis è formato da due parti diverse:
• la compilazione codex, digesta, institutiones in cui è compendiato il diritto romano della
tradizione (le costituzioni imperiali, da adriano a giustiniano e le opere della giurisprudenza)
• le novellae, che rappresentano il diritto bizantino.
Enormi ostacoli si contrappongono alla recezione del diritto giustinianeo in terra italiana:
• le condizioni ambientali del paese uscito devastato dalla lunga guerra gotica;
• ostacoli di tipo culturale non permettevano alla prassi di abbandonare i vecchi schemi,
fondati sul sistema normativo teodosiano
• invasione dei longobardi che conquistano interamente l’italia, provocando così la frattura
dell’unità politica del paese che rimane diviso tra territori bizantini e longobardi.
L’insediamento di un popolo germanico, che non riconosce la supremazia dell’impero,
spezza la tradizionale unità politica e spirituale della penisola provocando un frazionamento
territoriale, e di conseguenza anche giuridico, destinato a durare per molti secoli a venire.
Tuttavia ci sono testimonianze che le fonti giustinianee si radicano in Italia soppiantando la
tradizione teodosiana.
-Le prime raccolte normative della chiesa
Nel momento in cui la chiesa si costituisce in un ordinamento, in una istituzione, si distinguono
organi produttori di regole (Papa e concili dei vescovi che emanano decretali e canoni). Il diritto
canonico va considerato nella sua evoluzione storica che coincide con quella della chiesa,
istituzione divina che, per poter attuare la sua missione di evangelizzazione tesa verso il bene
supremo e il raggiungimento del regno di dio, deve costituirsi come qualsiasi altro ordinamento
politico con una organizzazione completa, anche attraverso un proprio sistema giuridico. Fonte
basilare del diritto canonico è il diritto divino (ius divinae constitutionis) che promana dalle sacre
scritture a completamento del quale sta la traditio cioè gli insegnamenti cristiani non compresi nelle
scritture. Accanto a queste fonti di origine divina c’è il ius humanae constitutionis costituito dalle
regole (canones) fissate per i credenti dagli organi istituzionali della chiesa, i concili e i pontefici.
Altri tipi di raccolte contengono norme relative al culto, agli usi liturgici o forniscono elencazioni di
peccati e delle relative penitenze stabilite dal papa e dai concili (aspetto che influenzerà il diritto
penale laico).
-Le esperienze germaniche: dai longobardi al Sacro Romano Impero
La conquista longobarda segna per l’Italia l’inizio del medioevo. Le precedenti invasioni di
popolazioni germaniche non avevano impedito alle istituzioni pubbliche di stampo imperiale di
sopravvivere. I longobardi realizzano una cesura netta con il passato, travolgendo le istituzioni
amministrative e giudiziarie tardo imperiali e sostituendo ai quadri della classe dirigente romana i
duchi, comandanti militari e civili installati nelle città e nei punti strategici del paese. Il Regnum
Longobardorum è un ordinamento territoriale basato sulla conquista senza alcun legame con
Bisanzio, soggetto unicamente alla potestà del sovrano germanico di cui tutti gli abitanti sono
sudditi. I territori non invasi dai longobardi rimangono legati e sottoposti alla legislazione bizantina;
nel resto delle terre la convivenza è basata su un equilibrio assai precario. La coesistenza di due
civiltà non sarebbe stata possibile se non si fosse trovato un compromesso tra i due sistemi di
diritto: questo fu raggiunto attraverso la “personalità della legge” criterio in base al quale, entro un
medesimo ordinamento giuridico, vengono riconosciuti validi più diritti, ciascuno relativamente ad
ogni stirpe: i longobardi si regolavano con le proprie consuetudini e la popolazione latina con il
diritto romano. La personalità della legge vale esclusivamente riguardo ai rapporti di diritto privato
e non si applica rispetto agli istituti del diritto pubblico che costituiscono la struttura portante del
nuovo regno e per i quali vige la legge del conquistatore. La forzata convivenza con la civiltà latina
crea i presupposti per una assimilazione degli istituti e delle figure giuridiche di un ordinamento
riconosciuto qualitativamente superiore. Per più di 70anni i longobardi avevano vissuto e governato
il regnum sulla base di un diritto consuetudinario esclusivamente orale: nel momento in cui
cominciano ad avvertire la necessità di una struttura pubblica più stabile e salda, percepiscono
anche quanto valga la continuità e l’uniformità delle loro tradizioni giuridiche. Il re Rotari nel nel
643 promulga un editto in cui raccoglie le consuetudini risalenti al popolo germanico. L’editto,
redatto in lingua latina, è destinato ai sudditi longobardi. Solo con Liutprando la conversione dei
longobardi al cattolicesimo iniziata più di un secolo prima era ormai un fatto compiuto e attraverso
la mediazione della chiesa si realizza un primo ritorno alla territorialità del diritto (gli editti sono
destinati a tutta la popolazione).
-I franchi e la costituzione del Sacro Romano Impero
La caduta del regno longobardo è opera della chiesa. È un evento di portata grandiosa perché finirà
con lo spezzare definitivamente i rapporti tra occidente e oriente gettando la base sulla quale si
costruirà un nuovo assetto politico dell’ Europa. Il sogno di estendere i propri domini su tutta la
penisola significava per i re longobardi impadronirsi delle regioni ancora in mano a bisanzio:
l’esarcato e il territorio romano. Nel 750, con la conquista dell’esarcato e la presa della capitale
Ravenna da parte dei Longobardi, il Papa Stefano II si rivolge ai franchi. Il pontefice chiede a
Pipino, re franco; il suo intervento armato a tutela della chiesa e dell’impero. Alcune zone
dell’esarcato (insieme di terre soggette all’esarca, il governatore bizantino rappresentante
dell’imperatore incaricato dell’amministrazione delle province italiane) e della pentacoli (unione
amministrativa, politica e religiosa di cinque città vicine) sottratte al sovrano longobardo vengono
consegnate alla sede apostolica che ne provvede all’amministrazione con ciò ponendo le basi del
suo potere temporale (stato della chiesa). Nel 774 il regno longobardo cade nelle mani di Carlo, il
sovrano che si intitola rex francorum et longobardorum. Il regno longobardo viene affidato al figlio
di Pipino che sarà consacrato re del regnum italiae. Il pontefice Leone III, profittando del fatto che
il trono orientale era considerato vacante, perché usurpato da un imperatore non legittimo, nella
basilica di san Pietro la notte di natale dell’800, consacra a deo coronatus magnus et pacificus
imperator, strappando a Costantinopoli il trono occidentale. Il trono imperiale lascia bisanzio,
depositaria dell’antico indiviso impero romano, e ritorna nella città eterna nuovamente caput mundi
(renovatio imperii = impero romano e cristiano). Con la restaurazione del sacro romano impero il
regno italico viene assorbito nel nuovo ordinamento politico-giuridico pur rimanendo autonomo con
un proprio sovrano e proprie leggi.
La produzione normativa carolingia ha una duplice derivazione: in parte è specifica per il regno e va
ad aggiungersi alla legislazione contenuta negli editti dei re longobardi, in parte è costituita da leggi
generali valide per tutto l’impero. Essa prende il nome di capitolari. La dominazione franca
costituisce il secondo tramite della penetrazione dei principi degli istituti del diritto germanico nella
vita giuridica italiana. Sul piano giuridico la struttura politica estremamente articolata dell’impero
risulta incompatibile con la realizzazione dell’unificazione del diritto (romano e germanici); una
pluralità di leggi vige contemporaneamente nel medesimo territorio e ognuna di queste si applica
alla propria stirpe; all’interno di questo sistema grande peso riveste la consuetudine
(comportamento (usus) costante, uniforme, consolidatosi nel tempo e riconosciuto dalla generalità
dei consociati divenendo fonte di diritto). Nel diritto romano la consuetudine si contrappone alla
legge. In età imperiale viene ribadita l’autorità della legge e stabilito il principio che questa non
possa essere soppressa per via consuetudinaria (il diritto giustinianeo dispone che la consuetudine
abbia efficacia solo nelle materie non trattate dalla legge).
IL FEUDALESIMO
-La fioritura della consuetudine come fonte creatrice di nuovo diritto derivante dall’assenza di un
ordinamento giuridico unitario ha originato il simbolo dell’europa dell’età di mezzo: il feudo
(pratica consuetudinaria del regno franco entrata in Italia a seguito della dominazione. Alla base del
sistema è il legame personale (vassallaggio) tra due uomini di diversa posizione sociale: garantire al
superiore aiuto e difesa armata, assistenza in caso di decisioni che il signore deve prendere;
assicurare all’inferiore sostentamento stabile attraverso una concessione patrimoniale (beneficio).
Con il vassallaggio si istaura una forma di dipendenza di cui la fedeltà al signore è il tratto
essenziale. Il vincolo vassallatico può essere sciolto solo dalla morte di uno dei due contraenti.
L’ingiustificato spezzarsi del vincolo è detto fellonia. Nell’età di Carlo Magno si congiunge un
diritto reale denominato beneficio (consisteva nella concessione di una terra di proprietà del signore
che era revocabile con la morte del concessionario). In origine il vassallo gode solo dell’usufrutto
del bene. Un primo passo verso l’ereditarietà dei feudi è rappresentato dal capitolare di quierzy (con
il quale si dispone la trasmissione). Ai due fattori del vincolo feudale (fedeltà al signore e beneficio)
si aggiunge l’immunità (privilegio di carattere personale o reale e consiste nell’esenzione da un
obbligo, generalmente di carattere tributario, a favore di categorie di persone o di terre). Durante il
regno franco i sovrani concedono in beneficio terre di proprietà della corona o della chiesa per
natura immuni: entro questi possedimenti agli ufficiali pubblici era vietato esercitare la
giurisdizione; inevitabile conseguenza fu il moltiplicarsi dei possessi immobiliari immuni in capo ai
concessionari.
Nel corso del IX sec il potere carolingio si va indebolendo e il contenuto dell’immunità si amplia e
“trapassa” dal bene reale al suo titolare: a questo viene concesso di esercitare quei poteri pubblici
che lo stato avrebbe dovuto espletare attraverso i suoi funzionanti. Nei territori feudali lo stato
veniva esautorato dagli immunisti e l’esercizio dei poteri originariamente pubblici passa in capo a
privati, originando una grave contaminazione tra la sfera privata e pubblica del diritto. Il diritto
vigente in queste nuove realtà sociali è la consuetudine. Le leggi in questo periodo sono pochissime
in materia di feudi: l’edictum de beneficiis ne sancisce l’ereditarietà. L’impero appare frantumato
sia territorialmente sia nei suoi poteri: dal particolarismo politico-economico deriva un
particolarismo giuridico che, partendo da consuetudini generali, si accresce di usanze locali creando
differenze tra feudo e feudo: il feudo franco: inalienabile, indivisibile, trasmissibile per eredità solo
ai primogeniti; il feudo longobardo è frazionabile fra gli eredi del titolare e vi si applica la regola
dell’alienabilità. Il diritto consuetudinario dei feudi viene riunito dal XII sec in raccolte per opera di
privati. Il feudalesimo nell’Italia settentrionale e centrale entra in crisi nel XII e XIII in seguito
all’emergere dei comuni.
-Le fonti normative fino all’anno mille
Durante la dominazione longobarda la conoscenza del diritto giustinianeo era stata nulla: la
situazione si modificò con il rinato impero romano carolingio. In età carolingia anche la chiesa
comincia ad occuparsi della sistemazione organica del suo materiale legislativo per perfezionare la
propria organizzazione centralistica: la raccolta principale del diritto canonico è la collezione
Dionysiana (VI sec) considerata il codice della chiesa di Roma. La raccolta delle leggi longobarde
per il regnum longobardorum porta il nome di liber legum longobardorum.
IL SISTEMA DEL DIRITTO COMUNE
-La rinascita giuridica
Nella seconda metà del XI sec si sgretola la civiltà feudale che viene assorbita dalle nuove
istituzioni comunali. La profonda modificazione politica, sociale ed economica porta ad un risveglio
spirituale e culturale: “rinascimento giuridico”. Con l’aprirsi del nuovo millennio la prassi
giudiziaria e notarile ci testimoniano il ricorso alle fonti giustinianee. La nuova era del diritto
coinvolge anche le vecchie scuole che impartivano l’insegnamento delle arti liberali sulle quali si
basava la formazione degli uomini di cultura. Le scuole erano gestite dalle istituzioni ecclesiastiche
che detenevano il monopolio del sapere. Il diritto, in quanto detta norme di vita, trova posto
nell’etica; ma poiché si basa sulle parole, trova collocazione nella logica (trivium) (oggetto di studio
erano le opere di Cicerone).
-La scuola di Bologna
Con l’erosione del potere centrale (feudalesimo, impero carolingio) ci si rivolge ancora al modello
dell’impero romano tentandone una restaurazione. Si ha la necessità di riferirsi alle istituzioni che
ne avevano fatto la grandezza e tra queste al suo diritto. Il diritto comincia a diventare oggetto
d’insegnamento autonomo. La rinascita del diritto romano avviene ad opera della scuola di Bologna
(studium, 1120) (è inconfutabile che l’iniziatore della scuola sia Irnerio).
Con la scuola di Bologna inizia un’operazione di ricerca che porterà alla ricomposizione dell’intera
codificazione giustinianea. Irnerio avvia una attività didattica che innova grandemente rispetto al
passato in quanto il diritto può aspirare ad una vita autonoma rispetto alla logica e all’etica.
Giustiniano è visto come realizzatore della funzione di fissare un ordinamento giuridico in grado di
disciplinare i rapporti intersoggettivi alla luce dei principi supremi dell’equità e della ragione . La
peculiarità scientifica e didattica di Irnerio sta nell’esclusività dell’oggetto di studio: il diritto
giustinianeo rinnovato. Il diritto romano è visto come diritto vigente e valido per tutti gli uomini
liberi, appartiene a tutte le genti riunite nel sacro impero romano. Il giurista medievale non ha
solamente il compito di comprendere il significato della norma ed elaborarlo teoricamente, ha anche
quello di applicare la norma nella pratica. Il metodo, da cui trarrà nome la scuola, è quello della
glossa e glossatori si chiameranno i suoi rappresentanti. Il ricorso alle glosse (apportare “note
letterarie e chiarificatrci del testo per una sua più piena comprensione” sostituendo una espressione
più chiara ad un termine oscuro, era via usuale per l’esegesi del testo.
IL CORPUS IURIS CIVILIS
Completatane la renovatio la scuola distribuisce la compilazione giustinianea in cinque volumi
dandole una ripartizione diversa da quella originale (corpus iuris civilis). Il diritto romano nella sua
nuova veste diventa oggetto di studio specialistico e nei centri urbani nascono scuole che danno vita
alle università (associazione): ultramontanorum (studenti originari dei paesi aldilà delle alpi);
citramontanorum (studenti italiani).
Bologna diviene famosa fino a rappresentare l’alma mater degli studi legali. Il diritto romano non è
un diritto straniero per nessun popolo, può essere accolto da ogni comunità politica: non ha la
pretesa di sostituire i diritti locali ma solamente di fornire loro l’integrazione necessaria laddove
questi siano lacunosi. Il diritto romano giustinianeo diventa comune a tutta l’europa che per secoli
parlerà una stessa lingua giuridica, realizzando il proposito di Giustiniano (“porre leggi non solo per
il nostro evo, ma anche per ogni evo presente e futuro”).
-La codificazione del diritto canonico
Negli anni in cui Irnerio inaugura lo studio della scienza civilistica prende l’avvio a Bologna la
codificazione del diritto canonico (complesso di norme universali formulate dalla chiesa per
disciplinare la vita dei fedeli e la salvezza della loro anima) spesso invadono gli spazi regolati
dal diritto civile. Mentre i civilisti hanno a disposizione testi giustinianei, chi si applica al riordino
delle fonti del diritto canonico deve ricercare in numerosissime e disomogenee collezioni. Graziano,
un monaco camaldolese, compone tra il 1140 e il 1142 quello che sarà chiamato Decretum.
Graziano vuole raccogliere le fonti di diritto su cui la chiesa basa il suo ordinamento cercando di
concordare le norme fra loro discordanti e offrirne un’interpretazione giuridica.
Il coordinamento delle norme è affidato ad un sistema di quattro rationes:
• ratione significationis (dimostrare che le contraddizioni sono solo apparenti e non
sostanziali)
• ratione temporis (la norma posteriore abroga la precedente)
• ratione loci (la legge particolare deroga a quella generale)
• ratione dispensationius (prevede la possibilità di eccezioni alle regole consolidate)
Costituisce il testo fondamentale di studio e di insegnamento del diritto della chiesa e assegna al
diritto canonico un ruolo autonomo rispetto alla teologia. Nel 1230 Gregorio IX avvia l’opera di
riordino del materiale raccolto nelle compilazioni postgrazianee (decretales Gregorii IX). Tutte le
collezioni di decretali vengono riunite nel 1500 in una raccolta: corpus iuris canonici (costituisce il
diritto positivo della chiesa fino alla pubblicazione del codex iuris canonici, il primo codice di
diritto canonico (1917)
LE FONTI DEL IUS PROPRIUM
Ius civile+ius canonicum=diritto comune
Altro elemento che con questi è correlazionato nel sistema giuridico medievale è il ius proprium
(consuetudini; statuti comunali, corporativi, marittimi; legislazione degli ordinamenti monarchici).
All’interno dell’Impero vivono numerosi ordinamenti particolari di diversa origine (monarchie,
feudi, comuni) che costituiscono enti autonomi che vivono indipendentemente dal potere supremo
ma da questo derivano la propria potestas. Questa epoca è caratterizzata dalla pluralità degli
ordinamenti giuridici che nel XIIIsec si scontreranno con l’istituzione imperiale.
L’affermarsi, nella metà del XII secolo, di una nuova forma di aggregazione sociale (il comune)
porta alla necessità della certezza del diritto e la tradizione orale delle consuetudini cede il posto
alla forma scritta. Il fenomeno è contestuale in tutta Italia e trova motivazione nella necessità di
consolidare e garantire il diritto consuetudinario di fronte all’organizzazione dell’impero.
-Lo statuto comunale (ha valore particolare, limitato ed esaurisce la propria validità all’inaterno
dell’ordinamento da cui è posto) è la tipica espressione del ius proprium e indica l’insieme delle
norme sancite dagli organi costituzionali del comune e presuppone sopra di sé la lex (statuizione del
sovrano universale). Lo statuto nasce dalla necessità di mettere per iscritto le regole di governo del
comune. Elementi che concorrono alla formazione dello statuto comunale:
• il complesso normativo che deriva dalle consuetudini (rappresenta la base originaria di
ambito di diritto privatistico);
• i brevia (giuramenti che che i consoli e gli altri ufficiali del comune prestano al momento di
assumere la carica (corpo pubblicistico della legislazione statutaria comunale );
• deliberazioni prese dall’assemblea, organo legislativo del comune
-Statuto corporativo
La fioritura del commercio e dell’artigianato caratterizza la civiltà comunale. L’organizzazione del
lavoro trova la sua espressione nelle corporazioni (gruppi di persone che esercitano lo stesso
mestiere) i cui capi esercitano un autentico potere di giurisdizione su tutte le controversie attinenti
all’arte. La disciplina interna e i rapporti esterni si fondano su norme poste per iscritto (statuti
corporativi, il loro limite è la legislazione del comune).
-Statuti marittimi
Sono a metà tra gli statuti comunali e quelli corporativi. Il consolato del mare rappresenta una sorta
di diritto comune del mediterraneo e resterà in uso fino all’età delle codificazioni.
Legislazione degli ordinamenti monarchici
Altra forma costituzionale dell’Italia è la monarchia (ordinamento territoriale che aggrega più
ordinamenti particolari minori soggetti al governo di un solo sovrano. Sul territorio italiano sono
presenti quattro ordinamenti:
1. Regnum Siciliae
2. Stato delle chiesa
3. Dominio sabaudo
4. Sardegna
• Regno di Sicilia: fondato dai normanni nel 1130. Presenta una varietà di diritti:
bizantino, longobardo, musulmano consuetudini locali. Ruggero II promulga una
serie di norme regie (assise) che impone ai sudditi come diritto primario, lasciando
validità alle consuetudini quando queste non contraddicano le leggi sovrane. Con la
dinastia degli Svevi l’attività legislativa si intensifica con una serie di assemblee dei
feudatari e notabili del regno. Federico II promulga “liber constitutionum regni
siciliae” (è mantenuto dai successivi angioini e aragonesi e sarà abrogato con i codici
unitari dell’800)
• Stato della Chiesa: ordinamento territoriale sul quale il pontefice esercita il suo
potere temporale. Con il trasferimento ad Avignone si era sviluppato un ampio
movimento comunale. L’incarico di restaurare l’autorità pontificia è dato da
Innocenzo VI al cardinale Egidio d’Albornoz che pubblica in un parlamento le
“costituzioni edigiane” (abolite nel 1816)
• Dominio sabaudo: l’unione di più contee governate dallo stesso casato formato in
Piemonte aveva una signoria territoriale con una legislazione e un corpo di leggi
unitario quando Amedeo VII ottiene dall’imperatore il titolo di duca riunisce il
Piemonte alla Savoia. La raccolta riconosce sopra di sé il diritto romano e canonico
come diritto comune.
• Sardegna: sottrattasi alla dominazione bizantina è divisa in quattro “giudicati”
governati da signorie locali. La sardegna stabilisce relazioni commerciali con i pisani
e saraceni e comincia a conoscere il diritto comunale e statutario. Nel solo giudicato
di Arborea entra un diritto generale che limita le normative locali. Nel 1421 gli
aragonesi, conquistando l’isola, estendono la carta a tutta la sardegna che rimarrà in
vigore fino al regno di savoia (1821).
L’ORGANIZZAZIONE A SISTEMA
Problema sul piano della prassi giudiziaria era il rapporto tra le norme “proprie” e le norme del “ius
commune”.
-Gli statuti stabiliscono la graduazione delle norme in modo da offrire ai pratici del diritto un
criterio di certezza. La soluzione basa sulla prevalenza dello statuto sulle altre fonti concorrenti a
cui è possibile ricorrere solo in caso di sue lacune: si rispetta la regola di logica giuridica derivata
dal digesto (nel diritto la specie deroga al genere, il ius proprium è species di fronte al genus del
diritto comune romano-canonico).
-Nelle monarchie ci troviamo di fronte ad un “doppio livello” di us proprium. Il diritto locale è
subordinato alla legislazione del potere centrale che ha funzione di diritto territoriale generale.
L’eccezione si presenta in Sicilia (la cost. puritatem stabilisce che il primo livello è costituito dal ius
regium in difetto del quale si ricorre alla consuetudine).
-Il diritto romano-canonico comune non va considerato come legge da applicare “residualmente”,
rappresenta, di fronte al diritto proprio, la logica giuridica, le figure, gli istituti, la terminologia, i
meccanismi del ragionare giuridico.
-Dalla glossa al commento
La crisi del sistema della glossa apre la strada al metodo del commento alla fine del XIII sec: il testo
delle leggi giustinianee non deve essere più etto con l’aderenza dell’esegesi che può ostacolare
l’applicazione delle norme, ma con una visione più aperta del mondo giuridico per soddisfare le
richieste sempre più ampie di una società civile in evoluzione e del suo diritto particolare. Scopo
della glossa è la comprensione del testo legislativo; scopo del commento è la penetrazione del
sensus cui i giuristi pervengono grazie all’uso ella dialettica. L’interpretazione del giurista
commentatore tende non tanto a recepire “passivamente” le fonti giustinianee quanto a “creare”
diritto nuovo. Nel momento di grave crisi dell’istituzione imperiale la nuova dottrina del commento
arriva a concludere le istanze emergenti della società con la tradizionale idea dell’impero
universale: riafferma il principio che imperator est dominus mundi e riconosce la potestà di
esercitare, nei confini, gli stessi poteri dell’imperatore, quindi anche quello di creare diritto: nasce
così il sistema di diritto comune.
IL TARDO REGIME DI DIRITTO COMUNE
-L’assolutismo e l’umanesimo giuridico
Nella seconda metà del XV e i primi del XVI si verificarono eventi significativi dal punto di vista
storico, politico e culturale da determinare la cesura definitiva con il passato e segnare il passaggio
dal medioevo all’epoca moderna. Le basi su cui era costituita l’unità medievale erano venute meno:
scompare l’impero romano d’oriente; Costantinopoli in mano ai turchi; il sacro impero romano
germanico va decadendo perché il regno di germania è suddiviso in molteplici unità istituzionali che
agiscono come stati indipendenti; l’unità strutturale europea e la sovranità universale della chiesa si
frantumano a causa della riforma di Martin Lutero (prendono origine le chiese nazionali sciolte da
Roma che, per arginare il protestantesimo, promuove il movimento della controriforma); la civiltà
dell’europa occidentale si estende ad un nuovo mondo (espansioni coloniali).
-In Italia l’esperienza comunale si trasforma nel governo di un solo signore e la signoria diventa
principato principato ereditario (il processo che trasforma le signorie in stati sovra-regionali si
conclude alla metà del XV sec e determina un assetto che rimarrà inalterato fino a tutto il XVIII sec.
L’italia appare frammentata in tanti ordinamenti politici che non sono capaci di produrre un diritto
uniforme svincolato dal diritto romano comune. La crisi del regime di diritto comune matura col
formarsi dello stato post-medievale che si caratterizza attraverso una potente struttura centralistica
dell’organizzazione e dell’esercizio del potere (concetto di diritto come legge dello stato sovrano e
l’immagine dello stato non più conservatore di un diritto di tradizione, ma produttore esclusivo e
autoritario della norma giuridica (statualizzazione del diritto).
-La statualizzazione del diritto: si esprime con l’assolutismo del principe (governo di un sovrano a
le gibus solutus, sciolto, nell’esercizio del potere, da ogni vincolo giuridico nei confronti degli altri
soggetti istituzionali)
fonti giuridiche: l’assolutismo punta ad un prevalere della legge del sovrano su ogni altra forma di
normazione
potere legislativo: la potestà legislativa del sovrano tende a sostituirsi a quella dei giuristi che nel
sistema universalistico del ius commune erano riconosciuti come i depositari del diritto e i
produttori della norma.
Tassello fondamentale nel disegno della statalizzazione del diritto e dell’amministrazione
giudiziaria i sovrani lo pongono istituendo i “grandi tribunali” (efficaci strumenti di controllo
sull’attività dei giuristi). I grandi tribunali: hanno una posizione di preminenza su tutti gli altri
organi giudicanti; possono essere considerati strumenti per l’unificazione; le sue decisioni
assumono una forza simile a quella della legge. Le corti sono titolari di un potere di collaborazione
di governo attraverso il potere di “interinazione” (controllo di legittimità sugli atti normativi del
sovrano , che permette ai magistrati di valutarli nel merito e nella conformità ai principi di diritto, di
apportarvi modificazioni. La giurisprudenza dei “grandi tribunali” riesce ad imporsi pure all’esterno
come modello autorevole in altri stati. Poiché i membri di tali collegi sono giudici-giuristi che
condividono una stessa formazione di ius commune sono portati a considerare quel diritto come uno
strumento interstatuale e universale , il consolidarsi di moduli interpretativi che diventano generali e
contribuiscono a salvaguardare il carattere europeo del diritto comune (unificazione transnazionale).
-La normativa principesca-statuale è spesso lacunosa, settoriale e lontana dal raggiungere
quell’unità del diritto positivo. Il particolarismo del diritto prevede il riferimento e l’applicazione
del variegato diritto particolare che la legge dello stato tollera quando non sia con essa in contrasto.
Se alla complessità del sistema normativo sostanziale si collega quella delle strutture giudiziarie,
operanti attraverso una molteplicità di giurisdizioni particolari si ha una visione della crisi generale
della giustizia. Lo strumento che può aiutare a sbloccare un ordinamento penalizzato dalla
complicanza delle fonti è l’arbitrio giudiziale. Viene concesso ai magistrati che ne devono fare uso
secondo “coscienza” per valutare il caso concreto e cercare la norma secondo criteri equitativi.
Questa facoltà verrà usata dai tribunali con sempre maggiore disinvoltura fino ad originare
“l’abuso” che toccherà l’apice nel XVIII e contro il quale si scaglieranno le durissime critiche
antigiurisprudenziali degli illuministi.
UMANESIMO GIURIDICO
Nuova corrente della scienza giuridica del XV sec che contesta il carattere di universalità, eternità e
certezza del diritto romano Giustiniano. Gli umanisti conducono la polemica nei confronti dei
glossatori negando la validità universale ed terna del diritto romano di cui sostengono il valore
esclusivamente come dato storico, ma che non riconoscono come diritto positivo da applicare al
presente. Si sostiene che il diritto proprio del regno o del principato deve essere considerato
generale e comune di fronte alla varietà di consuetudini e di normative locali: al ius commune viene
assegnato il ruolo di diritto positivo sussidiario. In italia sono pochi i personaggi di rilievo (Andrea
Alciato).
In Francia il movimento si sviluppa provocando una crisi profonda nel sistema di diritto comune.
La scuola umanistica francese si accosta al corpus iuris per riscoprire l’originaria forma attraverso
l’esegesi testuale ed inserirlo nel contesto storico di cui era frutto. La polemica antiromanista
dell’opera di Giustiniano era funzionale ad un intento di “nazionalismo giuridico” mirante a
sostituire al diritto comune romano il diritto comune consuetudinario in quanto proprio della
nazione.
-FASI DEL SISTEMA DI DIRITTO COMUNE (diritto comune universale+diritti particolari)
1. (XII-XIIIsec) diritto comune “assoluto”, caratterizzata dal suo predominio su ogni altra
fonte concorrente
2. (XVI-XV) diritto comune “sussidiario” in cui trova vigenza come fonte integrativa dei iura
propria
3. (XVI) diritto comune “particolare”, perché vige non più come ordinamento dell’impero ma
in quanto accettato dalla volontà dei sovrani e degli stati ai quali è riconosciuta l’autorità
legislativa.
GIUSNATURALISMO
Processo che mette in discussione il sistema giuridico tradizionale di diritto comune e connesso
alla cultura giustfilosofica del XVII sec. Queste dottrine si fondano tutte sul concetto che
l’esperienza umana segue regole generali (sono regole “naturali” scaturenti dalla natura umana:
complesso di regole autoevidenti di giustizia e di valori etico-sociali universali che hanno il loro
costante fondamento nella natura razionale dell’uomo”. I valori naturali rappresentano i diritti
innati soggettivi, fondamentali e irrinunciabili dell’individuo (vita, libertà, proprietà), extra
legali, che vanno individuate, studiate e organizzate in un complesso sistematico utilizzando il
metodo scientifico applicato alle scienze naturali. Il giusnaturalismo influenza la vita del XVII e
XVIII che sfocerà nell’illuminismo, nella rivoluzione francese, nella codificazione. Il punto di
partenza dei pensatori giusnaturalisti è la netta separazione fra lo “stato di natura” e lo “stato
civile”, cioè lo stato politico o sociale. Lo stato politico non è visto come l’evoluzione naturale
di quello di natura. Nello stato di natura gli individui sono liberi ed uguali. Il passaggio allo
stato civile si compie attraverso una associazione fondata su patti, convenzioni, contratti che
non sono posti dalla volontà: lo stato civile-politico è un utente artificiale. La legittimità di
questo vincolo contrattuale, da cui deriva quella dello stato, deve essere basata sul consenso dei
membri (sudditi). Il modello dei giusnaturalisti è quello di un diritto che regoli rapporti tra gli
individui in modo razionale che va quindi costruito con regole valide per sempre e per tutti gli
uomini. Negando il principio di autorità della tradizione giuridica medievale rifiuta il diritto
romano comune e teorizza l’unicità della fonte del diritto che deve essere costituito da norme
chiare, nuove, semplici e autosufficienti promananti dall’autorità dello stato (idea del codice).
Solo la ragione è in grado di approntare un diritto “nuovo” costituito con un metodo logico e su
un sistema di concetti generali, immutabili, accettati. La teoria giusnaturalistica non ha in Italia
grande risonanza: l’ambiente universitario è conservatore e refrattario alle nuove ideologie.
LA RAZIONALIZZAZIONE DELLE FONTI NORMATIVE
-Il particolarismo giuridico e la crisi di certezza del diritto
Gli stati presenti nel territorio italiano presentano un sistema giuridico omogeneo cha va sotto il
nome di “particolarismo giuridico” (carattere peculiare di questi ordinamenti: non uniformità
del diritto positivo relativamente al territorio e ai sudditi dello stato). La cultura giuridica, la
politica del diritto dei sovrani elaborano programmi per una riforma del diritto mirante ad una
razionalizzazione delle fonti che sono in una situazione di confusione. Il particolarismo
giuridico si riferisce ad un sistema pluralistico delle fonti considerato “infelice” poiché
contrapposto a quello “ideale” del diritto codificato.
• La legislazione sovrana, legge generale dello Stato, ha la precedenza assoluta su tutte le
altre fonti che sono tollerate purchè con essa non in contrasto (diritti speciali, locali,
consuetudinari);
• Il diritto comune si applica in via sussidiaria (fonte integrativa)
• Il diritto feudale è da considerarsi diritto comune
• Il diritto canonico non tollera deroghe da parte di alcuna legislazione particolare
La pluralità delle fonti ostacolava il funzionamento della legislazione del principe.
Limiti: mancanza di certezza (fonti lacunose, contraddittorie), mancanza di semplicità, mancanza di
unità (la molteplicità delle fonti non produce un diritto né unico né unitario; lascia convivere diritti
sostanzialmente differenti sia sul piano oggettivo che sul piano soggettivo che produce un diritto
“personale”, di status). A tanta differenziazione di diritti soggettivi si collegava una pluralità di
giurisdizioni competenti a giudicare un base allo status personale delle parti in causa generando
conflitti di competenza.
Bisogno di mettere ordine nelle fonti legislative generali dello stato. Avviene nella prima metà del
XVIII attraverso raccolte private e “riformulazioni” ufficiali e con codificazione.
-Le costituzioni piemontesi
Vittorio Amedeo II di savoia propone la riformulazione del diritto finalizzandola alla
amministrazione della giustizia vista come strumento del progetto di ammodernamento della
compagine statuale. Le leggi e costituzioni (raccolta delle sole leggi regie) sono del 1723 e 1729
(comunemente chiamate “consolidazione piemontese”. Si esprime la volontà di semplificazione del
diritto imponendo la concisione e il carattere precettivo delle norme che debbono essere generali e
astratte, estranee ad ogni contingenza sociale e politica , in funzione di una lunga vigenza nel
tempo. La ricompilazione si deve fondare su:
• Coerenza ed essenzialità delle norme
• Chiarezza ed omogeneità sistematica
• Deve limitare l’arbitrio giudiziale
• Stabilire la legalità e la proporzionalità delle pene
• Raggiungere una semplificazione delle norme ai fini della riduzione della litigiosità
-La costituzione del ’29 tende ad un maggiore accentramento e ad una più vasta statalizzazione del
sistema giuridico: il re concepisce le leggi come fonte primaria e generale dell’ordinamento del
regno. Si ha l’introduzione delle sentenza dei tribunali tra le fonti del diritto (le decisioni dei
magistrati supremi assumono valore come la legge in quanto funzionali all’applicazione del diritto
romano che rendevano effettiva come fonte di diritto. Sul piano tecnico, nell’opera di
consolidazione, le norme appaiono ordinate secondo un quadro sistematico e legate tra loro da
connessioni logiche: perdono il loro valore individuale e operano in funzione di un nuovo sistema
legislativo che abroga le disposizioni preesistenti, locali o di diritto comune. Le leggi e costituzioni
rappresentano la prima sistemazione legislativa ufficiale pubblicata in Italia.
Progetti di codificazione: regno di Napoli e granducato di Toscana
Nella prima metà del ‘700 (anni ’30-’40) si hanno i primi tentativi di “riscrittura” del diritto patrio
detto anche municipale.
Napoli: il primo progetto di codice generale è quello di Carlo di Borbone, succeduto agli asburgo
sul trono di Napoli e il ministro illuminato Bernardo Tanucci. È volto a riorganizzare le strutture
giudiziarie soprattutto per arginare l’arbitrio dei magistrati e superare il contrasto tra legislazione
sovrana e sua applicazione. Si provvede a riformulare il complesso delle fonti normative del regno.
La stesura del progetto viene affidata ad una commissione di giuristi e tradizionalisti della scuola
napoletana. Ma l’idea che se ne trae è di un lavoro provvisorio senza un programma.
Toscana: Francesco Stefano inizia un’operazione di organizzazione dello stato che, ereditato dalla
signoria dei medici risultava disomogeneo. Lo statista Emanuele di Richecourt ha il compito di
unificare il territorio sia sul piano amministrativo sia su quello giudiziario. Il sovrano affida a
Pompeo Neri l’incarico di progettare un piano di riforma generale di tutte le leggi dello Stato in un
codice simile a quello pubblicato per la savoia. Neri si riferisce attraverso tre discorsi il suo
programma e il metodo da seguire: il giurista relaziona i “quattro corpi di leggi scritte che vigevano
nel granducato di Toscana”
• Leggi proprie (statutarie o municipali)
• Ius civile dei romani
• Leggi ecclesiastiche e i canoni (solo le costituzioni delle chiese toscane si considerano leggi
proprie)
• Consolato del mare
• Ius non scriptum dell’osservanza interpretativa costituita dalla giurisprudenza dei
magistrati, rappresenta la consuetudine della prassi giudiziaria toscana.
Neri rivela la sua indole conservatrice: la riforma legislativa deve riguardare esclusivamente il
diritto patrio nei suoi elementi costitutivi che sono gli statuti e le leggi sovrane e l’osservanza
interpretativa che dalla forma orale deve essere posta per scritto. La cautela con cui il giurista
procede, ad iniziare dal riconoscimento indiscusso del diritto romano come espressione di ragione e
dalla sua intangibilità, è da collegarsi ad una riflessione ispirata al buon senso e dettata dalla
consapevolezza dell’enorme impegno che l’impresa di riformulazione legislativa comporta e dalla
naturale ritrosia che gli suggerisce di affrontare ogni piano di riforma.
IL PENSIERO DI LUDOVICO ANTONIO MURATORI
Il suo pensiero rappresenta la summa della polemica tradizionale contro il diritto giustinianeo e la
giurisprudenza romanistica. “Dei difetti della giurisprudenza” sono lo scritto che maggiormente
riflette il giudizio di Muratori. L’insofferenza per gli “abusi” e gli “arbitri” dei giuristi e
l’aspirazione alla certezza del diritto, basata sulla fedeltà al diritto romano, è tema presente in tanti
lavori Muratoriani. Muratori tratta dei difetti della scienza legale, dell’auspicio di trovarne i rimedi,
delle soluzioni utili per liberarla dagli abusi, suggerisce di ridurre in un corpo solo tutte le sentenze
più fondate approvate dal consenso dei leggisti più saggi, o dai tribunali più famosi. Il “De codice
carolino” non critica il diritto romano considerato nei suoi contenuti normativi, ma denuncia
l’enorme mole delle opinioni che lo avevano reso più oscuro e confuso. Quest’operetta può
considerarsi un progetto di codificazione, dal momento che muratori offre al sovrano Carlo VI le
linee secondo cui procedere.
Muratori sottolinea come l’ordine umano si fondi su due elementi: le armi (che non devono essere
usate) e le leggi (svolgono costantemente la loro funzione di garanzia e debbono essere sempre
osservate). Il rimedio alle tante opinioni ed incertezze prodotte dalla giurisprudenza dottorale
bisogna attenderlo dai soli principi. Il suggerimento proposto a Carlo VI è quello di promuovere un
codice esemplare, facendo salva la specialità del diritto degli stati, specie di quelli a lui
indirettamente soggetti. L’imperatore stabilirà ciò che i giudici nelle loro decisioni saranno vincolati
a seguire, ponendo fine all’abuso delle opinioni. La compilazione del codice sarà affidata ad organi
consultivi che raccolte le opinioni degli autori e le decisioni dei tribunali le invieranno ai senati e
alle università per i pareri. Fondamentale sarà la coscienza dei giuristi e la loro tempra intellettuale
e morale. L’opera di codificazione dovrà essere affidata ad una commissione di giuristi che
trasformerà l’opinione in legge.
Con la morte di Carlo VI le speranze riposte in una riforma legislativa imperiale sfumano. Le cose
cambiano quando sale al soglio pontificio Benedetto XIV (1740), uomo di grande cultura e spiccata
sensibilità riformatrice. Muratori gli dedica il trattato dei difetti della giurisprudenza. In quest’opera
la sua polemica è morale ed è rivolta globalmente a tutte le problematiche che riferiscono alla
giurisprudenza. Muratori definisce i difetti della giurisprudenza che distingue in intrinseci (non è
possibile porre rimedio poiché derivano dalla oscurità delle leggi, dal loro linguaggio, dalla lingua
latina; dall’impossibilità che la legge possa provvedere a tutti i casi che nella pratica si presentano;
dalla difficoltà di intendere la volontà e le intenzioni degli uomini; dagli intendimenti dei giudici ai
quali è affidato il giudizio) ed esterni (derivanti dallo stato delle fonti del diritto e dalla dottrina a
dall’autorità riconosciuta ai giuristi che si sono sostituiti al principe come nuovi legislatori)
Tuttavia qualcosa è possibile fare per rimediare ai difetti “accessori” (esterni) della giurisprudenza:
Muratori, pur riconoscendo il corpus di Giustiniano per l’autorità dei suoi principi, non lo ritiene il
più perfetto modello della giurisprudenza: il suo difetto è il non essere più adeguato alle richieste
dei tempi. Il principe saggio dovrebbe apprestare una razionalizzazione delle leggi romane
abrogando le norme non più in uso e fornendo un “compendio” che andrebbe compilato in lingua
volgare (esigenze di chiarezza). Il diritto giustinianeo rimane al centro del sistema di diritto comune
al quale Muratori non ha intenzione di rinunciare. Muratori si schiera a favore dell’interpretazione
cui assegna un ruolo fondamentale nell’indirizzare le decisioni dei tribunali laddove abbiano ad
operare giudici con mediocri capacità intellettuali e tecniche. Attuato dall’autorità del principe “un
piccolo codice nuovo di leggi” l’esempio stimolerebbe altri sovrani ad adoperarsi per riorganizzare
il proprio ordinamento. Muratoti suggerisce che l’impresa codificatoria potrebbe essere affidata ad
un “insigne e onoratissimo giureconsulto”. Al tema dell’imparzialità dei giudici, Muratori
suggerisce i magistrati di origine forestiera. Riguardo la materia del processo, dichiara la sua
preferenza per i giudizi sommari di stampo germanico rispetto a quelli troppo elaborati romano-
canonici. Quella di Muratori è una polemica morale più che politica e storica. Tra Riflessioni, de
Codice carolino e Dei difetti non c’è soluzione di continuità e l’opera del 1742 è la conclusione di
un ampio processo critico sulle condizioni del sistema del diritto comune. Muratori ebbe successo
anche all’estero, ma fu oggetto di critiche nell’ambiente dei pratici e di chi si illudeva che la
giurisprudenza fosse perfetta e che i suoi difetti derivassero da uomini incapaci. La grande
personalità del letterato pare essere già rischiarata dall’illuminismo settecentesco e fa di Muratori
un rappresentante dei cultori non professionisti del diritto ben addentro alle vicende del suo tempo.
Questi tratti del suo profilo testimoniano di un Muratori interessato alle regole giuridiche del vivere
quotidiano, con una attenzione per il diritto come regola di organizzazione della società finalizzata
alla “pubblica felicità”.
L’accusa che gli è stata mossa, di non avere penetrato a fondo il mondo giuridico ma di aver fatto
una denuncia delle “magagne” della giurisprudenza, corrisponde al suo proposito di portarle a
conoscenza dell’opinione pubblica.
L’ILLUMINISMO GIURIDICO
Le rielaborazioni legislative, pur migliorando la situazione delle fonti giuridiche, non si
sostituiscono al regime del diritto comune, ma si inseriscono nel pluralistico sistema delle fonti che
confermano lasciandolo inalterato. Nel ‘700 emerge la tendenza, fuori dall’Italia, ad intervenire
nella riformulazione del diritto attraverso strumenti legislativi che basano su una più concreta
riforma politica (fase che corrisponde con “quel rivoluzionario complesso di dottrine, di programmi
operativi, atteggiamenti menatali intorno alla problematica del potere, dello stato e del diritto e
costituisce la moderna idea di codice” = illuminismo giuridico: movimento di pensiero diffusosi
nell’europa della seconda metà del XVIII “l’illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità
di cui egli stesso è colpevole” il cuore del movimento illuminista è il progresso). Il massimo centro
di diffusione del nuovo modo di pensare è la Francia. La civiltà dei lumi non è un movimento che
coinvolge la massa, ma un patrimonio di minoranze ristrette. Il punto nodale della cultura dei lumi è
la centralità della politica in cui si realizzano i valori della società come la giustizia
(raggiungimento della “maggiore felicità pubblica possibile”). Lo strumento attraverso il quale la
politica concretizza il suo obbiettivo etico è il diritto (organizzazione razionale dell’esistenza
associata).
I rappresentanti dell’illuminismo giuridico muovono dal rifiuto di un ordinamento giuridico
accettato passivamente perché collaudato da secoli di esperienza (antiromanesimo) e tendono verso
un diritto nuovo, funzionale alla costruzione di una società basata sull’individuo e la sua libertà: di
opinione, iniziativa economica, esercizio della proprietà. La riforma della legislazione deve
rifondare il diritto e la prospettiva della “codificazione” concepita come la positivizzazione dei
diritti naturali. Il giuridico di civil law inglese Jeremy Bentham propone la redazione di un corpo
completo di leggi che raccolga il diritto branca per branca e chiama codification. Il punto comune è
rappresentato dalla preminenza della legge: come ragione stessa; razionale in quanto esiste un
diritto naturale razionale, formato da un complesso di principi universali di giustizia (diritti naturali
della persona: vita, libertà di pensiero e azione, proprietà) la legge deve attuare la razionalità del
diritto naturale (razionalismo). Il diritto positivo è concepito come atto della volontà razionale del
sovrano legislatore (volontarismo) e si identifica nella legge statuale (deve essere chiara e
intelligibile poiché traduce in diritto positivo i dettami del diritto naturale). Per gli illuministi il
diritto è il prodotto della volontà del sovrano nel quale viene concentrato, attraverso un patto
legittimante, il potere politico. La ragione prescrive la concentrazione “assoluta” del potere politico
e guida l’esercizio di tale potere. Le dottrine illuministiche insistono sull’assoggettamento della
volontà del sovrano ai principi della ragione naturale, da cui deriva la politica dell’assolutismo
illuminato. Il diritto consiste in un comando sovrano, che è atto di volontà di un potere che lo
impone. Questo comando, essendo frutto di una volontà razionale, darà vita ad un insieme di regole
razionali nel processo di codificazione (codici) e nella formazione delle regole dell’organizzazione
del potere politico (carte costituzionali) “costituzione” rimanda all’insieme delle regole
fondamentali che danno identità ad un ordinamento delineandone la specifica “forma di stato”.
Processi codificatori fallimentari nei loro prodotti finali:
• Prussia (project des corporis iuris fridericiani) con Federico II il grande
• Austria (codex theresianus) con Maria Teresa d’Asburgo
Riguardo all’illuminismo giuridico francese:
• Possiamo definire l’ideologia francese più utopica che pragmatica, ma la grande mole delle
proposte darà vita ad un processo concreto capace di cancellare ogni traccia di tradizione sia
culturale sia istituzionale.
DOTTRINE SU CUI SI BASA L’ILLUMINISMO
-La dottrina di Montesquieu
opera: l’esprit des lois pubblicato a Ginevra nel 1748. Scopo dell’opera è comprendere le leggi
ricercandone le cause che le determinano. L’autore reputa fondamentale esaminare il rapporto
esistente tra leggi, gli usi, le credenze religiose sostenendo la necessità di esaminare la società sui
fatti concreti che ne hanno determinato il costituirsi. Montesquieu è convinto che l’insieme dei
fenomeni sociali non sia determinato dal caso né dalla consapevolezza dell’uomo, ma da una
ragione originaria che regola l’universo. L’avere affermato che esistono le leggi del vivere umano
porta Montesquieu a sostenere la presenza di un “determinismo” delle società politiche: nega il
libero arbitrio e spiega ogni fatto attinente all’uomo come determinato da cause indipendenti dalla
volontà di qualcuno. Per conciliare la libertà dei singoli all’interno della società viene individuata la
concezione della legge come rapporto necessario e uguale per tutti. Esistono delle leggi che
precedono “logicamente” le leggi positive: derivano dal diritto di ragione; esistono altri rapporti di
giustizia che precedono “storicamente” le leggi positive: sono leggi naturali (derivano dalla
costituzione del nostro essere, esistono prima della società e cessano di esistere quando questa
costituendosi dà origine ad altre relazioni naturali (leggi positive)). Nelle leggi positive si traducono
le relazioni naturali e necessarie che si stabiliscono tra gli uomini organizzati in società (novità del
pensiero di Montesquieu di contro ai giusnaturalisti per i quali la legge positiva era “non naturale” e
secondo arbitrio. Dato cheesistono tipologie differenti di leggi emergono due concetti fondamentali
per la storia della cultura giuridica: il collegamento tra diritto e popolo e la concezione del diritto
come sistema unitario di leggi politiche e civili di ciascun popolo. Il collegamento tra diritto e
popolo vede Montsquieu in opposizione al giusnaturalismo secondo cui il diritto naturale è l’unico e
immutabile per tutti i tempi. Per lui la via razionalistica e naturalistica include l’idea della relatività
storico-geografica del diritto (schema razionale di ciascun tipo di società, di ciascun tipo di
“popolo”). La concezione del diritto come sistema unitario di leggi politiche e civili di ciascun
popolo è animato di uno esprit proprio che consiste nei diversi rapporti che le leggi possono avere
con diverse cose (forme di governo). L’illuminista individua l’esistenza storica di 3 forme in
ciascuna delle quali si genera un valore sociale che ispira il comportamento collettivo:
• Il sistema repubblicano: il potere sovrano risiede nel popolo (democrazia) o in una sua parte
(aristocrazia) e il suo valore è la virtù, l’amore per la patria e per le sue leggi
• Il sistema monarchico: uno solo governa per mezzo di leggi “fisse e stabilite”. Il valore è il
sentimento dell’onore e la fedeltà al sovrano
• Il sistema dispotico: quando il solo che governa lo fa senza leggi e senza regole produce
nella collettività paura
Tutte le forme di governo hanno come fine ultimo quello della propria conservazione. Montesquieu
distingue gli stati in moderati (garantiscono un certo grado di libertà) e non moderati. La libertà
politica deve intendersi come “il diritto di fare tutto quello che le leggi permettono”.
TEORIZZAZIONE DELLA SEPARAZIONE DEI POTERI: “Perché non sia possibile abusare del
potere occorre che le cose siano disposte in modo tale che il potere sia limitato dal potere”. Ogni
costituzione che voglia garantire la libertà del singolo deve stabilire quali e quanti siano questi
poteri e come procedere per frenarli a vicenda. In ogni forma di governo vi sono sempre tre generi
di poteri: potere legislativo (fare o modificare leggi); potere esecutivo dello stato (esecuzione della
volontà); potere di giudicare (potere sulla vita e la libertà dei cittadini). La libertà politica viene a
mancare in quello stato in cui i poteri sono confusi. Il potere di “giudicare” consiste in una pura
attività intellettuale e non produttiva di diritto nuovo. Montesquieu pensa che l’organo giudicante
non debba essere permanente e costituito da magistrati di professione, ma una sorta di colleggio
popolare occasionale e temporaneo, di formazione non giuridica. Un tale potere giudiziario, non
essendo legato ad un ceto o ad una professione, diventa, invisibile e nullo. Si teme perciò la
magistratura e non i magistrati, la carica e non la persona che la ricopre. Realizzando questo sistema
di limiti di poteri si raggiunge la completa apoliticità dell’organo giudicante a garanzia della libertà.
La dottrina della distribuzione dei poteri esprime che la libertà individuale si realizza solo attraverso
la certezza del diritto e questa si ha quando le leggi sono chiare e precostituite rispetto al giudizio
dei giudici.
-La critica ideologica di Voltaire
Il tema della battaglia critica di Voltaire è l’affermazione della libertà d’azione dell’uomo che deve
essere sgomberata da tutto quello che ne ostacola la piena realizzazione intellettuale, culturale,
religiosa ed economica. Duro è l’attacco agli istituti del diritto canonico che rendono potente la
chiesa, e a quegli istituti del diritto civile che sostengono il potere ecclesiastico a scapito
dell’equilibrio sociale. Per denunciare la necessità della separazione dell’ordine giuridico civile
dalla religione istituzionalizzata, usa le armi dell’ironia e del ridicolo in cui coinvolge le strutture
ecclesiali mondane. Si scorge nelle sue dichiarazioni l’atteggiamento di chi desidera svincolare il
diritto dello stato da quello canonico e l’intendimento che questo debba essere sottomesso
all’autorità di quello. La polemica anticonfessionale si riallaccia alla ideologia di concepire il
regime di assolutismo monarchico come il solo in cui si possa realizzare la piena libertà dell’uomo
(concezione costituzionale di Voltaire imperniata sulla figura del monarca illuminato). Il diritto
positivo vigente nei vari paesi, in ogni epoca, non è un completamento del diritto naturale ma una
creazione di uomini ignoranti e interessati che agiscono allontanandosi dalla giustizia naturale del
giusto e dell’ingiusto e perciò soggetto a continui mutamenti. In Francia occorre sostituire il
vecchio diritto con uno nuovo poiché non è “ragionevole” vivere sotto leggi cattive e ingiuste. Il
compito di crearlo spetta al monarca “ragionevole” che produrrà una legge di fronte alla quale tutti
gli ordini sociali saranno equiparati a garanzia della libertà naturale dell’uomo. Egli tutelerà
l’accesso alla piena proprietà dei beni; dovrà riconoscere la libertà personale contro ogni forma di
servitù; dovrà favorire le libertà naturali di idee, commercio, contratto; dovrà prevedere delle regole
“proibitive” per reprimere i comportamenti lesivi delle libertà di ciascuno. In relazione alla materia
criminale afferma la necessità di un code che indicherà pene miti e proporzionate ai delitti e sarà
così utile alla società. Creata la nuova legislazione positiva, va sottratta alla manipolazione dei
giuristi. L’interpretazione trasforma i giudici e i giuristi in legislatori, togliendo al sovrano la sua
prerogativa principale. Tutta l’opera di Voltaire è la propaganda per una legislazione innovativa
attuata da un monarca sulla base di principi ispirati ad un diritto naturale a soggetto unico.
-Il contrattualismo di Rousseau
Lo scritto che costituisce il compendio di tutta la teorizzazione rousseauiana è il contratto sociale
(1762): tradizionale concezione giusnaturalistica del meccanismo attraverso il quale gli uomini
avrebbero abbandonato lo stato di natura e sarebbero entrati nello stato di società accettando i
doveri e i vincoli di una ordinata convivenza sotto una autorità costituita. Pensiero di Rousseau: lo
stato di natura non è una fase che l’umanità ha effettivamente attraversato, bensì una ipotesi logica
per spiegare il giungere allo stato di società e la concezione antivolontaristica del contratto che lega
i contraenti. Il contratto sociale è l’unica regola in cui può tradursi il rapporto esistente fra i soggetti
e non deriva dalla volontà dei contraenti ma nasce dalla ragione. Ne consegue un fondamentale
aspetto del contratto: esso non può essere annullato neppure in seguito a violazione. Per Rousseau il
contratto sociale è “l’eterna e immutabile razionalità della convivenza sociale” che, se pure violata
non può essere annullata sul piano del diritto: allo stato di natura non si torna mai e lo stato di
società è eterno. Il filosofo dice che in qualsiasi luogo e momento della storia l’uomo è vittima di un
ordine sociale fondato sulla disuguaglianza. Poiché gli uomini possono unire solamente le forze di
cui sono in possesso, non hanno altro mezzo per conservarsi che formare una somma di forze per
superare le resistenze, metterle in atto in base ad un unico volere e farle agire armonicamente. Il
contratto, essendo la legge fondamentale in cui si incontrano le volontà di tutti i consociati,
consente a ciascuno di “restare libero come prima” in quanto ciascuno obbedisce alla legge che egli
stesso ha posto. Il conflitto è irrazionale e per il diritto non esiste: la sovranità non deve nemmeno
dare garanzie ai propri membri poiché, essendo formata da essi, non può avere interesse contrario al
loro stesso interesse. La legge è “volontà” del corpo politico ed è strumento della sua
conservazione. L’iniziativa legislativa non può essere attribuita al popolo: l’autore individua due
momenti diversi di legislazione: uno, quando il corpo politico nato dal contratto deve organizzarsi
costituzionalmente e darsi una struttura giuridico-istituzionale; l’altro quando lo stato sociale è
ormai costituito e necessita di leggi per le necessità correnti. Rousseau avanza l’ipotesi di una figura
di demiurgo che ha il compito di illuminare il giudizio della volontà generale verso il bene. Una
volta che il legislatore ha fatto la legge, la legge stessa deve essere “sottoposta ai liberi voti del
popolo” e rousseau prevede che la sua volontà popolare manifesti “direttamente” la sua sovranità
attraverso i plebisciti e i referendum legislativi. Nella seconda circostanza, poiché la sovranità non
può essere rappresentata, i deputati del popolo sono i suoi “commissari” i quali non possono
decidere niente in via definitiva. Si ricorre allo strumento referendario che assicura la
partecipazione diretta del popolo. La legge è che generale perché la volontà generale non ha oggetto
particolare; per essere generale “la legge considera i sudditi in corpo e le azioni come astratte”.
Quante è quali leggi regolano stato sociale?
• Leggi politiche o fondamentali (regolano i rapporti tra sovrano e stato)
• Leggi civili (dei membri tra loro)
• Leggi penali (relazione tra il cittadino e la legge, cioè quella che deriva dalla disobbedienza
alla pena)
• Costumi, usanze e opinione
Le leggi non sono che le condizioni dell’associazione civile. Il popolo sottomesso alle leggi ne deve
essere l’autore. A conclusione possiamo affermare che Rousseau è il fondatore della teoria della
sovranità popolare: attraverso la volontà popolare egli supera l’antitesi fra libertà e autorità, fra
individuo e stato. La volontà popolare è volta all’interesse comune e si esprime attraverso la legge
votata dal popolo. Rousseau si distacca dalle posizioni di Montesquieu, prevedendo la necessità di
attribuire al giudice un potere interpretativo e discrezionale, seppure limitato, così che questi possa
supplire ad eventuali carenze legislative (il giudice è un cittadino e la sua attività di interprete non è
che una manifestazione della propria volontà).
-L’Encyclopédie
Verso la metà del 1700 la Francia vive un’altra esperienza culturale promossa dai philosophes
riuniti nell’encyclopédie.
Proprio perché aperta alla partecipazione collettiva, l’impresa dell’encyclopédie può essere criticata
come disomogenea, poco coerente e portatrice di idee non originali e banalizzate, ma è da
considerare come essa rappresenti la lotta per la liberazione dai condizionamenti della cultura
tradizionale e per il coordinamento delle nuove idee scientifiche.
Derivazioni della concezione naturalistica:
• Il comunismo utopico (concepisce uno stato di natura senza proprietà privata)
• Corrente degli “economisti fisiocratici” (per cui l’ordine di natura presiede anche alle leggi
della ricchezza).
Il comunismo si basa sul presupposto dell’uguaglianza naturale degli uomini che è strettamente
connessa alla concezione del soggetto di diritto unico e ripudia ogni distinzione di classe o di ceto.
Conseguenza dell’ugualitarismo è la battaglia nei confronti della proprietà individuale. Esponente
del filone utopico comunistico è il filosofo francese Morelly (il suo pensiero politico e giuridico
esprime il rifiuto dell’ordinamento istituzionale e giuridico vigente traducendosi in un’opera rivolta
ai monarchi perché intraprendano riforme “ragionevoli”).
-Il codice della natura (1755) rappresenta il testamento teorico del filosofo che nella natura ritiene
sia possibile scoprire un insieme di leggi coerente e completo, adatto a disciplinare la vita sociale,
eternamente valido per tutti i popoli e in grado di suggerire un modello per le legislazioni positive.
Si rende perfettamente conto che un ritorno alla natura è impossibile, tuttavia vuole denunciare le
responsabilità del legislatore riguardo alla corruzione della società.
L’ILLUMINISMO GIURIDICO ITALIANO
Nella prima metà del ‘700 si sviluppa, anche in Italia, un movimento culturale avverso al diritto
comune che sostiene la necessità di una legge semplice, chiara, di facile e immediata applicazione, e
postula la razionalizzazione delle fonti e l’assoggettamento della magistratura alla legge
(preilluminismo). Non si può considerare come un movimento unitario, esso va inteso come “un
insieme di illuminismi” di volta in volta correlati agli ambienti geopolitica nei quali si svolgono. Il
nostro pensiero riformatore si è imposto nel campo penalistico grazie a “dei delitti e delle pene” di
Cesare Becaria (1764). Il tema di partenza di tutti i rappresentanti del nostro movimento illuminista
è un atteggiamento culturale ostile al diritto comune che sfocia in un sentimento di intolleranza nei
confronti del diritto romano (parte integrante del diritto comune) visto come simbolo di
conservatorismo sia formale sia sostanziale.
-I protagonisti lombardi
Le esperienze illuministiche più rilevanti sono in Lombardia, Piemonte, Toscana Granducale, nel
Regno di Napoli.
-A Milano all’inizio degli anni ’60 nasce un “sodalizio fra giovani in rivolta psicologica contro i
padri”: è l’Accademia dei pugni (1761) nella casa di Pietro e Alessandro Verri.
L’Accademia è un libero club di lettura e discussione dove i soci sono liberi di esprimere la voglia
di ribellarsi che covano contro l’educazione autoritaria delle loro famiglie. L’Accademia si
trasforma in un gruppo redazionale dando vita al Foglio periodico il caffè (1764-1766) che diventa
sinonimo dell’Illuminismo lombardo. La critica mossa da Pietro Verri non è rivolta tanto al diritto
Romano quanto al legislatore che pedissequamente, in nome di autorevolezza e tradizione, senza
porsi il problema della storicizzazione e dell’attualizzazione, pretende di applicare leggi obsolete e
non rispondenti alle effettive esigenze del suo Stato.
Nel saggio sulla interpretazione delle leggi (1765) il punto di partenza è l’affermazione del
principio di derivazione montesquieviana della distribuzione dei poteri. Alessandro Verri non vede
altra soluzione che “atterrare tutto il mal costrutto edificio” che è il corpus iuris, intorno al quale
costruisce il saggio di Giustiniano e delle sue leggi. Alessandro accusa Giustiniano di aver
privilegiato la casistica giurisprudenziale attribuendole valore di regola generale e di aver riunito
fonti giuridiche nate in sistemi di governo differenti e lontani, dando origine a contraddizioni
all’interno dei singoli testi. A conclusione si chiede quale sia il sistema per arrivare a leggi giuste:
“le giuste sono quelle che cercano la più estesa utilità della nazione e la giustizia cresce loro in
ragione del numero dei cittadini che ne sentono più benigni effetti” Nel ragionamento sulle leggi
civili Verri si mostra più propositivo e fiducioso sulla fattibilità della riforma giuridica (l’unica
soluzione è un codice generale e costante). L’impresa sembra possibile in questo momento della
storia che vede la presenza di alcuni governi illuminati a cui non mancano strumenti tecnici atti ad
affrontare riforme così vitali.
Dell’opera di Cesare Beccarla, “Dei delitti e delle pene” (1764) la novità non sta tanto nelle tesi
sostenute (uguaglianza, società fondata sul consenso dei membri, tolleranza e umanitarismo,
impianto laico del sistema penale basato sulla distinzione tra delitto e peccato, separazione
dell’attività di giudicare da quella legislativa, quanto nell’averle sapute fondere in una proposta che
riguarda l’intero sistema penale basato sulla distinzione tra delitto e peccato, separazione
dell’attività di giudicare da quella legislativa, quanto nell’averle sapute fondere in una proposta che
riguarda l’intero sistema penale. L’autore distingue le “tre sorgenti dalle quali derivano i principii
morali e politici regolatori degli uomini. La rivelazione, la legge naturale, le convenzioni fittizie
della società” (egli analizza la giustizia politica). Beccarla stigmatizza la scarsa attenzione che in
tutta Europa è rivolta al diritto penale. Il trattato comincia con l’individuare l’ “origine delle pene”:
“le leggi sono le condizioni, colle quali uomini indipendenti ed isolati si riunirono in società,
stanchi di vivere in un continuo stato di guerra e di godere una libertà resa inutile
dall’incertezza di conservarla. Ne sacrificarono una parte per goderne il restante con
sicurezza e tranquillità”. La somma di tutte queste porzioni di libertà sacrificate al bene di
ciascheduno forma la sovranità della nazione. Vi volevano dei motivi sensibili (le pene) che
bastassero a distogliere il dispotico animo di ciascuno uomo dal risommergere nell’antico caos
le leggi della società”.
Il depositario della sovranità (sovrano/legislatore) deve quindi difendere le leggi dalle usurpazioni
private. Questo dovere coincide con il diritto di punire. Il sovrano, in quanto rappresenta la società,
stabilisce leggi generali che obbligano tutti i membri; a lui non spetta però di giudicare chi abbia
violato il contratto, perché si creerebbe una scomposizione della società in due parti che
sosterrebbero le due diverse posizioni (seguendo la separazione dei poteri di Montesquieu).
Beccaria afferma che il titolare dell’ufficio di giudicare debba essere il magistrato, le cui sentenze
sono inappellabili e consistono nell’asserzione o nella negazione dei fatti particolari. Quanto alle
pene da infliggere è necessario che la loro atrocità non sia “inutile” perché contraddirebbe la mente
illuminata del legislatore, sia la giustizia, sia la stessa natura del contratto sociale. Nel paragrafo
dedicato all’interpretazione delle due leggi l’autore dichiara che l’unico soggetto legittimato ad
interpretare il diritto è il sovrano. I magistrati esaminano se un’azione è o non è contraria alla legge.
La necessità di interpretare le leggi è la conseguenza della loro oscurità: oscurità che nasce sia dai
contenuti sia dalla lingua che quando è “straniera al popolo” non gli permette di giudicare da sé
delle proprie libertà. Una semplificazione normativa prevede l’utilizzo della lingua nazionale:
ridimensionerebbe il ruolo della dottrina e renderebbe meno frequenti i delitti.
-La Napoli dei lumi
Altro polo del pensiero illuminato nostrano ebbe una buona diffusione europea, specialmente nel
campo penalistico. Massimo esponente è Antonio Genovesi; il suo pensiero si fonda sulla dottrina
del diritto di natura eterno ed immutabile e sulla naturale uguaglianza degli uomini nella “diocesana
o sia della filosofia del giusto e dell’onesto” (1766) afferma che l’interpretazione è una premessa
imprescindibile per l’applicazione della legge (il giudice deve servire ad attribuire un significato al
testo legislativo. La legge ha carattere generale ma necessita di essere applicata ad una serie infinita
di casi (da riferirsi al diritto civile per il diritto penale). Genovesi non ammette l’interpretazione e
sostiene la necessità di rispettare alla lettera il dettato legislativo.
Gaetano Filangieri: la sua “Scienza della legislazione” aveva lo scopo di “facilitare sovrani
l’intrapresa di una nuova legislazione”. L’autore condanna la giustizia arbitraria che minaccia la
libertà (dispaccio di Ferdinando IV) “nei governi dispotici gli uomini commandano, nei governi
moderati commandano le leggi”.
LE RIFORME LEGISLATIVE
-Le ultime consolidazioni: regno di Sardegna e Ducato di Modena
Nel Regno di Sardegna, nel 1770, è promulgata una nuova redazione delle leggi e costituzioni di
sua maestà ad opera di Carlo Emanuele III. Appare una forma consolidatoria poco significativa.
Non è altro che un rimaneggiamento delle due redazioni precedenti e si dimostra in ritardo rispetto
alle esperienze europee. Di qualche rilievo appare, nell’ottica di una maggiore uniformità
territoriale del diritto, l’estensione della raccolta a tutti quei luoghi dove non trovava fino ad allora
vigenza. Per quanto attiene all’interpretazione l’art.2 delle disposizioni preliminari ne mantiene
l’esclusività sovrana, ma presenta una innovazione inserendo l’obbligo a carico dei magistrati di
riferire il caso dubbio al re cui resta riservata la determinazione. Il quadro delle fonti normative nel
Regno di Sardegna rimane sostanzialmente inalterato e il diritto romano-comune mantiene la sua
funzione integrativa di legge.
Per il Ducato di Modena la compilazione della raccolta legislativa muove dalla volontà sovrana di
incidere innovativamente nell’ordinamento giuridico attraverso la promulgazione di una legge
generale del Ducato che mostra di tendere ad una maggiore uniformità, in ambito territoriale e in
relazione al soggetto di diritto. Il codice di leggi e costituzioni,per gli stati di sua altezza
serenissima, detto Codice estense, è pubblicato da Francesco III d’Este nel 1771. L’intenzione è di
predisporre un testo legislativo organico che raccolga il diritto generale del ducato innovandolo. Il
punto di maggior rilievo dell’esperienza estense si riscontra nello sforzo di prevenire alla statualità
del diritto, di cui si fissano alcuni presupposti: l’uguaglianza giuridica dei sudditi, l’uniformità
legislativa territoriale, l’unicità del dettato normativo sovrano in tutte le materie da questo fissate.
Si può affermare che il codice Estense rappresenti un momento di riforma giuridica di grande
rilievo pur dovendolo collocare nell’ambito delle consolidazioni perché di queste ha tutte le
caratteristiche tipiche (utilizzo, riorganizzazione e aggiornamento del diritto vigente, ricorso a fonti
esterne suppletive). Il diritto romano è ancora considerato “ultima base” e “estremo fondamento” di
ogni legislazione, elemento irrinunciabile dell’esperienza giuridica. La definizione delle questioni
dubbie rilevate da tutti i magistrati viene affidata agli atti di un organo speciale (supremo consiglio,
massimo organo di giustizia ducale)
-La Repubblica di Venezia
Altro esempio di processo codificatorio è rappresentato dall’esperienza della Repubblica di Venezia
dove si hanno riformulazioni ufficiali nel settore del diritto feudale e quello della navigazione:
codice feudale (1780); codice per la veneta marina mercantile (1786)
Interventi legislativi nel Regno di Napoli
Il radicale intervento legislativo si concretizza nel dispaccio reale (1774) di Bernardo Tanucci. Con
tale provvedimento si stabiliva l’obbligo di motivare le sentenze (per assicurare il rispetto della
norma), il divieto di fondere le decisioni sulla dottrina e si introduceva il riferimento al legislatore
nei casi di dispositivi di legge dubbi.
-Le riforme del Granducato di Toscana
Il Granducato di Toscana e la Lombardia imperiale, per essere le due regioni in cui si estende il
governo degli Asburgo in Italia, riflettono la politica riformatrice austriaca. La Toscana granducale
è il massimo esempio italiano di rinnovamento giuridico: il periodo dell’assolutismo illuminato è
rappresentato dal governo di Pietro Leopoldo. Il processo codificatorio del diritto privato toscano
era iniziato alla metà del secolo con le proposte di Pompeo Neri. I progetti di razionalizzazione e
semplificazione del diritto falliscono e la toscana non giungerà, nel campo civilistico, nemmeno a
quelle forme di consolidazione attuate in altri stati della penisola. Diverso destino ha il diritto
penale: la riforma della legislazione criminale toscana, conosciuta come codice Leopoldino (1786)
può essere considerata il “primo codice penale” per il contenuto normativo che rispecchia le idee
innovatrici del pensiero dell’illuminismo in materia criminale. Sul versante procedurale viene
abolita la tortura giudiziaria, segno di umanitarismo e della volontà di non considerare il processo in
funzione dell’acquisizione della confessione; si assegna al giudice la possibilità di concedere la
libertà provvisoria all’imputato carcerato; vieta la cattura dell’imputato di un delitto punibile con
pena pecuniaria. Tra i reati si abolisce quello di lesa maestà e si configurano come delitti contro la
pace dello Stato i delitti canonici di eresia, bestemmia, sacrilegio per i quali si alleggerisce la
durezza del trattamento. Per quanto riguarda le pene si abolisce la pena di morte sostituita dai lavori
pubblici perpetui; si vieta la mutilazione; non si prevede la confisca dei beni per i condannati per
gravi delitti.
-I tentativi di riforma nella Lombardia Austriaca
L’organizzazione giuridica in Lombardia era legata all’origine tradizionale basato su una struttura
sociale cetuale che privilegiava le oligarchie detentrici del potere. La raccolta legislativa più
autorevole è costituita dalle novae constitutiones (1747) redatta secondo i canoni del diritto comune
da Carlo V e Gabriele Verri. Di fronte ad una possibile riforma di Giuseppe II, la classe politica
conservatrice e il ceto dei giuristi fecero quadrato di fronte alle innovazioni che minacciavano da
vicino interessi da tempo consolidati così che sarà accolta solo la riforma del processo civile e
criminale. Il nuovo imperatore Leopoldo II dà incarico ad una giunta di cui fa parte Cesare
Beccaria, di approntare un progetto di codice più moderato rispetto a quello Giuseppino mai entrato
in vigore.
L’ETA’ DELLA CODIFICAZIONE
Le riforme settecentesche avevano cercato di modificare e superare il particolarismo territoriale e
cetuale, ma le istituzioni in Italia subiscono una vera accelerazione verso la modernizzazione solo
su riflesso della esperienza rivoluzionaria francese e con l’ingresso delle armate napoleoniche nella
penisola (1796). La “campagna d’Italia” porta con sèi principi, di natura giusnaturalistica, del
costituzionalismo rivoluzionario basato sulla concezione della sovranità nazionale e popolare.
La Francia, dalla rivoluzione a Napoleone, aveva conosciuto ben tre costituzioni:
• La costituzione del 1791 aveva formalizzato l’ideale rivoluzionario di cui dà fede la
dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (del 1789, composta di 17 articoli, ispirata
ai bills of rights americani del 1776 e compendia la carta del liberalismo moderno. La forma
giuridica è derivata dal giusnaturalismo, il suo contenuto si ispira a Montesquieu e a a
Rousseau, al liberalismo inglese e al modello della nuova repubblica Nord Americana. Si
definisce una dichiarazione per sottolineare che essa non crea ma dichiara diritti già
esistenti, diritti naturali dell’uomo, rigenerati e rifondati dalla gloriosa rivoluzione. A questi
si affiancano quelli del cittadino che è partecipe dell’attività sovrana della nazione).
Mantiene il regime monarchico sancendo i principi fondamentali della sovranità popolare e
della separazione dei poteri.
• La costituzione dell’anno I (1793) molto più radicale della precedente, che introduce il
suffragio universale maschile senza condizione di censo (concezione del diritto di
uguaglianza) e istituisce il regime repubblicano.
• La costituzione dell’anno III (1795) più moderata; definisce alcuni diritti (di religione e di
stampa) e cancella gli articoli sulla uguaglianza naturale degli uomini e quello relativo al
suffragio universale maschile, aggiunge ai diritti un elenco di doveri che spettano al
cittadino.
Queste costituzioni transalpine fungono da modello ispiratore per le repubbliche che si instaurano
tra il 1796 e il 1799 in Italia. L’abbandono dell’assetto istituzionale tradizionale avviene nella
nostra penisola attraverso la creazione di “municipalità provvisorie” dette “repubbliche giacobine”
ruotano tutte intorno all’emanazione di una costituzione che detti le regole della nuova municipalità
(l’ordinamento costituzionale delle repubbliche prevede un corpo legislativo diviso in due consigli
rinnovantisi parzialmente e annualmente. camera bassa: propone leggi; camera alta: le rigetta o le
approva. L’esecutivo è affidato ad un organo collegiale, di nomina del corpo legislativo, da cui
dipendono i ministri preposti all’amministrazione delle nuove ripartizioni territoriali. Il potere
giudiziario è basato sui principi dell’indipendenza della magistratura). Si può evidenziare, dalla
lettura dei testi costituzionali italiani, una linea di sviluppo che procede contestualmente
all’evoluzione politica francese. Netta è la necessità di una codificazione nel primo esempio di carta
costituzionale italiana (Costituzione bolognese 1796); (Costituzione ligure 1797) prevede la
redazione di due codici separati per la materia civile e criminale; (Costituzione cispadana 1797) e
quella della Repubblica romana (1798); Costituzione della Repubblica cisalpina (carta dell’unione
tra cispadana e Lombardia).
L’ITALIA NAPOLEONICA DA REPUBBLICA A REGNO
In Francia un colpo di Stato nel novembre del 1799 aveva rovesciato il regime del direttorio dando
origine alla Costituzione dell’anno VIII che prevedeva l’affidamento del potere esecutivo a 3
consoli dei quali il primo (Napoleone) aveva veri poteri decisionali. Napoleone dà un nuova assetto
territoriale all’Italia: proclama la seconda Repubblica cisalpina (1801), ricostituisce quella ligure e
si impossessa del Piemonte; rimangono esclusi i territori dello Stato della Chiesa e il regno
borbonico di Napoli. Nel 1802 un’assemblea di notabili e Lione delibera la trasformazione della
Repubblica cisalpina proclamando la nascita della Repubblica Italiana con capitale Milano:
Napoleone ne è il presidente, anche se alla guida dello Stato c’è Francesco Melzi d’Eril. I comizi di
Lione avevano approvato la costituzione della Repubblica Italiana (1802) che mostra un’impronta
elitaria e borghese, contrariamente a quella democratica delle repubbliche del triennio giacobino:
scompare dal testo della carta costituzionale la dichiarazione dei diritti e dei doveri e la sovranità
viene in realtà espressa dai 3 collegi elettorali (vitalizi) dei possidenti, dei dotti e dei commercianti.
Il progetto di un codice civile per la Repubblica italiana viene affidato ad Alberto de Simoni e
risulta frutto della fusione dei principi romanistica tradizionali con quelli della rivoluzione. Nel
1804, mentre il progetto è ancora fermo davanti al corpo legislativo, il Codice civile francese è
ultimato e la sua estensione all’italia sembra probabile. In Francia intanto un senatoconsulto ha
creato un regime monarchico autoritario e centralizzato e Napoleone è imperatore dei francesi. La
radicale trasformazione istituzionale transalpina si riflette sulla penisola dove la Repubblica italiana
subisce la modificazione costituzionale a Regno d’Italia (1805). Dal punto di vista territoriale il
nuovo ordinamento monarchico amplia i suoi confini e il nuovo regno è dichiarato indipendente
dall’impero francese mentre il titolo di re è attribuito a Napoleone in forma di unione personale.
Altri territori vengono legati all’impero napoleonico: la repubblica di Lucca diviene principato, il
granducato di Toscana diventa Regno d’Etruria (affidati ai membri della famiglia Bonaparte).
Ferdinando IV si rifugia in Sicilia e Napoleone conferisce la corona al fratello Giuseppe. Nei
territori incorporati dall’Impero e in quelli satelliti entrano in vigore i codici francesi che ne
modificano l’assetto giuridico superando definitivamente la tradizione del sistema di diritto
comune.
IL PROCESSO DI CODIFICAZIONE IN FRANCIA
Secondo l’ideologia dell’89, tutto il diritto ha una sola fonte, la volontà popolare incarnata nella
legge “la legge è l’espressione della volontà generale” art.6 della dichiarazione. La legge svolge la
duplice funzione di reintegrare l’uomo nei suoi diritti naturali ed educarlo ad esercitare quei diritti
trasformandolo in cittadino. L’aspirazione alla riforma dell’ordinamento poggia su due pilastri: la
costituzione, che fissa le garanzie del cittadino nei rapporti con lo Stato e il codice, che assicura le
libertà dell’individuo nella sua vita privata (in quegli anni si andava concretizzando la divisione del
diritto in previsione della pubblicazione di codici separati). Il commesso della legislazione
civilistica emanata tra la dichiarazione (1789) e il code civil (1804) prende il nome di droit
intermédiaire:
• Stabilisce la nazionalizzazione del diritto
• Fissa l’uguaglianza civile
• Garantisce la libertà dei beni e l’intangibilità del diritto di proprietà
L’elaborazione del codice civile incontra grandi difficoltà ricollegabili alla tradizionale suddivisione
della Francia in due aree giuridiche diverse: quella meridionale (diritto scritto con influenze di
diritto romano-comune); quella settentrionale (diritto consuetudinario). (ulteriore particolarismo,
fonte di incertezza giuridica e di gravi differenziazioni fra soggetti appartenenti allo stesso
ordinamento statuale). Le esperienze della commissione di Camacérè offrono materiale per
realizzare la difficile opera di razionalizzazione che si avvierà con l’insediamento di un’apposita
commissione voluta dal primo console Bonaparte nel 1800.
Il Code Civil di Napoleone rappresenta “il frutto finale di un’opera collettiva realizzata nell’arco di
un decennio” e risulta il prodotto di un saggio equilibrio dei sistemi ipotizzati nel decennio
precedente e canonizza uno stile e una tecnica di redazione delle norme, brevi, asciutte e precettive,
che rimarrà tipica di tutti i sistemi codificati. Fulcro del sistema giuridico è la “regola legale”: non
deve essere troppo casistica, perché sarebbe funzionale ad una sola fattispecie concreta e non
applicabile ad una serie di situazioni tipo; non deve essere troppo generale perché non officerebbe
una indicazione sicura per la risoluzione dei casi pratici. Il ruolo del codice non è quello di risolvere
tutte le questioni che possono scaturire dalla prassi, bensì quello di offrire una serie di regole
giuridiche, coordinate tra loro in un sistema, tale da fornire in modo semplice e chiaro una soluzione
alle questioni che si possono presentare.
L’epoca dei codici moderni si intende inaugurata con i cinque codici emanati da Napoleone: codice
civile (1804), codice di procedura civile (1806), codice commerciale (1807), codice di procedura
penale (1808), codice penale (1810); per i quali valgono i concetti di:
• Uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (l’unificazione del soggetto giuridico
determina uno status unico dando luogo ad una semplificazione del corpo del diritto.
L’ugualitarismo giuridico riconosce a tutti gli individui una identica capacità giuridica che
può essere limitata solo per ragioni particolari nel momento in cui si configura
dinamicamente come capacità d’agire);
• Unicità del diritto (il concetto di unicità del diritto deriva dall’idea di completezza del codice
in quanto contiene tutto l’universo giuridico e quindi atto a risolvere ogni conflitto. L’unica
fonte di cognizione del diritto è rappresentata da una raccolta di norme codificate, il codice,
generata da un’unica fonte di produzione del diritto, l’ordinamento statuale);
• Formazione di un corpo di leggi chiaro e semplice.
Per unificazione del diritto si intende:
1. il codice modifica l’assetto tecnico-sistematico del diritto superando il frazionamento
giuridico dovuto alla pluralità delle formule legislative;
2. ambito geografico: l’entrata in vigore del codice sopprime tutte le fonti giuridiche
locali e impone un ordinamento unico
3. come livellamento sociale, unificazione è la condizione necessaria per la
promulgazione e l’applicazione di un’unica legge a tutti i cittadini di uno Stato
unitario.
Il complesso schema della codificazione richiede la condizione che la legge sia priva di ambiguità,
di contraddizioni e di lacune: solo a queste condizioni si può assicurarle una interpretazione
oggettiva e univoca
• in tema di interpretazione della legge dispongono gli articoli 4 e 5 del titolo preliminare del
code: art.4 impone al magistrato il dovere di decidere in ogni caso e non ammette il pretesto
del silenzio; art.5 vieta ai magistrati “di pronunciarsi in via di disposizione generale e
regolamentare nelle cause loro sottoposte”. Il giudice deve risolvere ogni controversia
operando esclusivamente all’interno del codice che, seppure normativamente non completo,
costituisce un sistema coerente ed organico di principi generali tale da offrire al magistrato
la soluzione dei casi concreti.
IL CODE CIVIL
L’iter legislativo per l’approvazione del codice comincia con la presentazione del progetto di legge
al consiglio di Stato. Il progetto va al tribunato che lo discute e dà il suo parere. Va al corpo
legislativo, cui spetta di approvare o respingere. Il testo del progetto si compone di 37 leggi speciali
promulgate come unico codice, denominato Code civil des français. E’ formato da 2281 artt divisi
in tre libri preceduti da un titolo preliminare della pubblicazione, degli effetti e dell’applicazione
della legge in generale. Si riferisce a tutto l’ordinamento, ma è posto ad apertura della codificazione
privatistica per sottolineare il primato della codificazione civile in quanto “statuto dei privati” ed
espressione del garantismo nelle relazioni tra gli individui.
LIBRO I delle persone
LIBRO II dei beni e delle differenti modificazioni della proprietà
LIBRO III delle diverse maniere di acquistare la proprietà
-Punti qualificanti del codice:
• disciplina del ruolo dell’individuo e i suoi diritti
• difesa della famiglia vista come nucleo fondante della società e dello Stato
• I suoi contenuti rispecchiano i valori di derivazione illuministica temperati da alcuni
elementi tipici della tradizione conservatrice: il codice realizza un compromesso funzionale
al ruolo di “strumento di pacificazione sociale”.
• L’uguaglianza era stata più proclamata che effettivamente realizzata dalla disciplina
codicistica
• La parità dei sessi è sancita nel diritto successorio, secondo le istanze, secondo le istanze
rivoluzionarie
• Nel campo dei diritti reali evidente appare come il code segua la sistematica del diritto
romano la proprietà, “diritto naturale e imprescindibile”, secondo le prime costituzioni
rivoluzionarie era un diritto inviolabile e sacro. Nel Code l’art 544 detta “la proprietà è il
diritto di godere e disporre delle cose nella maniera più assoluta, purché non se ne faccia un
uso vietato dalle leggi o dai regolamenti”.
• Al contrario, i beni mobili sono considerati di poco rilievo dal legislatore che non ne tutela
la proprietà: art.2279 “riguardo ai mobili, il possesso produce l’effetto stesso del titolo”
• Manca nel codice la regolamentazione del contratto di lavoro e non si ritrova alcuna
disposizione a garanzia della classe lavoratrice.
-Principi generali su cui si basa il Code:
la libertà e l’autonomia individuali; il diritto per ogni cittadino di poter disporre dei beni necessari a
soddisfare le proprie necessità; l’aspettativa di poter esprimere e realizzare nella misura più ampia
possibile la propria volontà.
Cancellando il sistema tradizionale del diritto comune, il codice per la prima volta esprime un
diritto privato statuale, “pubblico”. Il codice soffre di incomunicabilità”: non comunica con la
generalità dei cittadini ma parla solo con la borghesia che realizza la sua aspirazione alla libera
proprietà e alla libera circolazione di questa. Il codice viene a rappresentare il prodotto di uno “stato
monoclasse”.
IL CODICE DI COMMERCIO NAPOLEONICO
Il Code de commerce viene pubblicato in Francia nel 1807 che rappresenta una sorta di appendice
specialistica del codice civile. È concepito in 4 libri: al commercio in generale con la
regolamentazione dei principali istituti mercantili; al diritto marittimo; alla disciplina del fallimento
e della bancarotta; alla giurisdizione commerciale. Il codice regola tutti gli atti di commercio da
chiunque, anche accidentalmente compiuti: ogni cittadino può trovarsi nelle condizioni di dover
sottostare alla disciplina del codice commerciale (supermanto del sistema soggettivo per il quale il
diritto commerciale regola i rapporti dei soli individui che svolgono attività mercantili e introduce
un sistema oggettivo). L’art 1 offre la definizione di commerciante, qualifica che è attribuita a chi
per professione abituale compia atti di commercio. Per quanto riguarda le azioni che possono
nascere dagli atti commerciali il codice non dispone, ma la giurisprudenza e la dottrina francese
elaborano la disciplina del contenzioso: il foro chiamato a giudicare è quello civile. Superando
parzialmente il regime delle ordonnances ma non ancora esprimendo un sistema oggettivamente
commerciale, il codice viene a rappresentare il diritto che regola i negozi commerciali. I tribunali di
commercio sono formati da giudici eletti da tutti i commercianti in base ad una lista di notabili
appartenenti alle più antiche e stimate casate mercantili.
LA RECEZIONE DEL CODICE CIVILE FRANCESE IN ITALIA
-Nel 1805 la Repubblica italiana era stata trasformata in Regno d’Italia. Nella prima seduta del
consiglio di Stato il re Napoleone espone il suo programma in tema di amministrazione e di
legislazione. Oltre all’intenzione di estendere il code civil, il sovrano predispone che il consiglio di
Stato provveda ad una serie di leggi “organiche” cui affidare l’amministrazione del nuovo regno.
L’Italia a partire dal 1806 avrà un ordinamento civilistico unitario rappresentato dal codice civile
francese. Il testo italiano costituirà l’unica legge valida e l’unica ad essere utilizzata nei tribunali.
L’art LVII vieta la possibilità di modificare il dettato legislativo per i primi cinque anni dalla data
della sua promulgazione. Gli artt I e II del decreto monacense approvano le traduzioni del codice,
stabiliscono la sua entrata in vigore dal 1 Aprile. L’art III toglie forza di legge alle fonti preesistenti
e cancella definitivamente anche nel regno italiano la vigenza del vecchio ordine giuridico basato
sul sistema comune. L’imperatore provvede alla pubblicazione di una amplissima serie di
regolamenti e metodi che fungono da tessuto connettivo e permettono l’applicazione del testo
legislativo.
IL CODICE CIVILE GENERALE AUSTRIACO
Svolge un ruolo di rilievo nell’evoluzione del diritto italiano. Con la restaurazione seguita alla
caduta dell’impero napoleonico esso entra in vigore (1816) nei territori del Regno lombardo-veneto,
annesso all’impero austriaco dal congresso di Vienna. Rappresenta l’alto modello per la
realizzazione dei codici italiani preunitari. Riflette un processo di elaborazione normativa molto
lento che risale alla metà del ‘700: l’inizio dedi progetti di razionalizzazione della materia
privatistica comincia con l’imperatrice Maria Teresa che nel 1753 affida ad una commissione il
compito di unificare il diritto privato in un codice che si basi sui diritti territoriali, il diritto comune,
completato dal “diritto di ragione” (codex theresianus iuris civilis del 1766; giudicato troppo esteso
e poco chiaro). La sovrana incarica di elaborare un altro testo che risponda ai principi
giusnaturalistici, non trascuri la concisione, la chiarezza della struttura, la semplicità del dettato, la
univocità. = abbandono della tradizione romanistica; individuazione di regole generali e “di
principio” basate sulla ragione e sull’equità naturale. Questa codificazione privatistica viene
accompagnata da un’opera di legislazione voluta da Giuseppe II salito al trono per modernizzare la
struttura giuridico-istituzionale dello Stato (codice Giuseppino).
L’ultimo tra i progetti, affidato al giurista vonZeiller, arriva all’approvazione sovrana. L’imperatore
Francesco I a Vienna sottoscrive la patente di promulgazione e l’1 Gennaio 1812 entra in vigore il
codice civile generale per i territori ereditari di lingua tedesca (ABGB). Contiene esclusivamente il
diritto privato raccolto in 1502 paragrafi. La tripartizione tradizionale della materia è rispettata pur
presentando notevoli differenze rispetto al modello romanistica: introduzione (delle leggi in
generale); parte prima (del diritto delle persone); parte seconda (del diritto sulle cose: diritti reali;
diritti personali sulle cose); parte terza (delle disposizioni comuni ai diritti delle persone e ai diritti
sulle cose).
Segno peculiare della codificazione austriaca è da rinvenirsi nella formulazione delle norme che
non danno la disciplina dettagliata di istituti, rapporti e negozi giuridici, ma mirano a fissare
principi di carattere generale attraverso definizioni astratte e indicazioni delle finalità perseguite
(profilo filosofico e dottrinale che lascia spazio al lavoro degli interpreti per applicare le norme). Al
code napoleon il codice austriaco si contrappone lasciando in vita l’attività interpretativa. Le
preeggi specificano che il codiceconsente l’applicazione delle norme consuetudinarie nei casi esso
stesso lo preveda richiamandovisi espressamente. Non raggiunge una completa unificazione del
soggetto giuridico e la legge presenta numerose scelte di compromesso fondate sulla confessione
religiosa e sulla stratificazione sociale.
Il progetto di codificazione e il codice furono criticati dagli esponenti della scuola storica tedesca
per motivi contenutistici. La condizione giuridica della donna è indubbiamente più evoluta rispetto
al modello francese grazie all’assenza dell’istituto dell’autorizzazione maritale. L’abgb stabilisce
l’indissolubilità del vincolo matrimoniale tra cattolici e nei matrimoni in cui al momento della
celebrazione almeno uno dei coniugi sia cattolico. Concede lo scioglimento tra cristiani non
cattolici. Nel campo dei diritti reali manca nel codice asburgico il profilo dell’unitarietà e
dell’assolutezza che caratterizzano la disciplina francese della proprietà la definizione appare
confusa: “dicesi proprietà di alcuno tutto ciò che gli appartiene, tutte le sue cose corporali e
incorporali” (paragrafo 353). Un elemento di modernità è offerto dalla disciplina di pubblicità
immobiliare, che dà all’iscrizione nei pubblici registri efficacia costitutiva di diritti. La disciplina
delle successioni mantiene l’istituto del fedecommesso. Anche l’impero degli Asburgo, erede del
sacro romano impero, dichiarava superato, grazie alla codificazione del diritto privato, il sistema di
diritto comune perché antistorico.
LA LEGISLAZIONE NEGLI STATI ITALIANI PREUNITARI
La diffusione del modello francese di codificazione si realizza in 3 diverse forme:
• Collegata al ruolo egemone della Francia in Europa, con l’imposizione dei codici in Italia,
Belgio, Olanda (termina con il crollo dell’Impero napoleonico)
• Sul prestigio culturale riconosciuto al modello francese che dà vita ai codici nazionali
• Codificazioni della Serbia, Romani, Bulgaria
Il motivo della sua straordinaria fortuna è da ricercarsi nella razionalizzazione e
nell’ammodernamento del diritto privato basato sulla capacità giuridica delle persone, sulla
chiarezza dei diritti reali, sulla libertà dei contratti e sul riconoscimento della volontà individuale;
sul piano della forma nell’aver tradotto con uno stile limpido e sintetico norme generali ed astratte.
La facilità con la quale il code venne accolto nel paese dipende dal carattere delle norme contenute
nel testo francese, concepite secondo quelle categorie romanistiche che costituivano la tradizionale
logica e l’usuale linguaggio normativo.
La definitiva sconfitta di Napoleone segna il crollo dell’impero francese: al congresso di Vienna le
potenze ridisegnano il generale assetto degli stati europei, ripristinando le antiche dinastie sui troni
(restaurazione) si identifica in Italia con il periodo dei codici preunitari.
Si assiste ad un frazionamento politico più accentuato e ad un predominio austriaco più rafforzato:
un rigido assolutismo crea un clima particolarmente reazionario che ha la sua prima espressione
nella cancellazione dei principi costituzionali francesi, ma era impossibile dopo l’esperienza che
aveva dato risposta alle esigenze di un ordinamento ugualitario, unitario e uniforme. Viene mutando
la concezione di codice, atto ad esprimere i principi della società civile e a fissarli secondo le
posizioni dello storicismo romantico della prima metà dell’800. In ogni Stato della penisola i
sovrani crearono i loro codici mantenendosi aderenti al modello napoleonico.
-Il codice per il regno delle due sicilie (regno di Napoli e Sicilia)
Il primo stato a dotarsi di codici propri. Il re Ferdinando I dichiarava aboliti i codici francesi,
sarebbe diventato legge il codice per il regno delle due Sicilie suddiviso in 5 parti.
-Il codice permense
Dove regna Maria Luigia d’Asburgo Lorena viene pubblicato nel 1820 il codice civil. Rappresenta
un contemperamento tra il modello francese e quello austriaco.
-La codificazione del ducato di Modena
Nel ducato di Modena, per opera di Francesco IV, si mette nuovamente in vigore il codice estense
del 1771 seppure avesse subito adattamenti con disposizioni di stampo francese. Modena giungerà
al codice civile per gli stati estensi soltanto nel 1851.
-La legislazione dello stato pontificio
Ritorno all’antico pluralismo delle fonti rappresentato dal sistema di diritto comune. Pio VII
nomina tre commissioni per affrontare i codici, l’opera viene proseguita da Gregorio XVI che
pubblica una serie di regolamenti relativi al diritto penale e alla procedura e promulga un
regolamento legislativo e giudiziario per gli affari civili.
-Le leggi nel granducato di Toscana
Nel granducato di Toscana, retto da Ferdinando III d’Asburgo Lorena, vengono ripresi il diritto
romano, quello canonico e la raccolta delle leggi proprie del granducato.
-I codici nel regno lombardo veneto
Entra a far parte dei domini d’Austria e gli Asburgo introducono i propri codici nazionali nel 1816
che sarà diritto vigente fino alla I guerra mondiale in Trentino e Venezia Giulia.
-Codificazione del regno di Sardegna
L’opera di codificazione del Regno di Sardegna rappresenta il tramite fra i codici francesi e quelli
del futuro Regno d’Italia. Nella prima fase della restaurazione il sovrano Vittorio Emanuele I
mostra una linea ultraconservatrice abrogando l’intera legislazione introdotta da Napoleone dopo
l’annessione del Piemonte all’impero e ripristinando la vigenza delle settecentesche leggi e
costituzioni (si tratta del più reazionario esempio di ritorno all’antico e riporta in vita le numerose
disparità cetuali, annullando l’unità giuridica dei sudditi, ulteriore elemento è la disuguaglianza
giuridica che si viene a creare tra il nucleo dei territori Piemontesi e Genova e la Liguria, annessa al
regno dopo Vienna). Durante i regni di Vittorio Emanuele I e di Carlo Felice non si registrano
mutamenti legislativi ad eccezione del nuovo assetto giuridico della Sardegna. (viene promulgata
nel 1827 una raccolta di “leggi civili e criminali pel regno di Sardegna”) si tratta di una forma
consolidatoria di leggi vigenti. Ad un vasto piano di riforme si dedica Carlo Alberto che si avvicina
alle vicende dei sudditi messe in rilievo dai moti rivoluzionari del 1820-21. Dal 1831 cura la
progettazione di nuovi codici. Il codice civile del 1837 risulta il frutto della necessità di un
innovamento normativo che deve fare i conti con quelle forze politiche e sociali che maggiormente
erano interessate a mantenere inalterati gli equilibri ricostruitisi con la restaurazione (ecclesiastici).
Il codice civile, detto Codice Albertino, è suddiviso in 3 parti: persone; beni e le diverse
modificazioni della proprietà; i modi di acquisto della proprietà.
• Ispirato alo codice napoleonico
• Evidente eredità della precedente legislazione sabauda
• Punto di grande rilevanza è il ricorso ai “principi generali del diritto” che il codice sardo
deriva dalla esperienza austriaca.
Il sistema normativo degli stati preunitari è connotato dall’essersi sviluppato seguendo il solco
comune tracciato dai codici francesi, ciò assicura un buon livello di omogeneità nelle istituzioni e
soprattutto nel campo del diritto privato (individualistico e liberale). L’unificazione legislativa,
seguita alle guerre d’indipendenza risorgimentali che avevano prodotto l’unificazione politica,
quella amministrativa e la proclamazione del Regno d’Italia (1861) si realizza con i codici che
saranno promulgato a partire dal 1865.

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