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DA GESU’ ALLA DOTTRINA


SOCIALE DELLA CHIESA.

Materiale per orientare una prima


conversazione sulla Dottrina sociale della
Chiesa.

Il nostro intento
.
Il proposito è quello di farmi una idea
meno inadeguata di Dottrina sociale della
Chiesa (DSC).
Posso intendere DSC in senso generico
(o, anche, debole) oppure in senso proprio (o,
anche, forte, stretto, ufficiale o tecnico).
Una prima precisazione terminologica:
assumo come praticamente equivalenti i
termini Dottrina Sociale della Chiesa ed
Insegnamento sociale della Chiesa.
Evito – per il loro carattere equivoco – i
termini Pensiero sociale (enormemente più
vasto ed indistinto nei soggetti, modi e forme),
Filosofia sociale cristiana (in quanto non si
tratta di filosofia), ed anche di Sociologia
cristiana.

DSC in senso generico ed in senso ‘tecnico’

Potremmo associare DSC a ciò che


Gesù ha fatto per gli altri e ha raccomandato ai
suoi discepoli di continuare a fare: avremmo già
una prima idea di ciò che è la DSC in senso
generico.
Gesù stava con le persone, veniva loro
incontro liberandole dai loro mali e stimolava
tutti ad essere giusti e ad amare il prossimo.
La Chiesa ha imparato direttamente dal
suo fondatore per connaturalità: man mano che
le situazioni si prestavano, il Signore Gesù
chiariva principi e fondamenti e rifletteva
criticamente sulla propria vita, per poterla
adeguare alla volontà del Padre, sia per la
dimensione personale sia per quella sociale.
Negli eventi storici, vedeva una particolare
richiesta del Padre per dare corpo al suo
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incondizionato amore di padre di tutti gli uomini,


con una spiccata preferenza per i piccoli, i
poveri e i peccatori.
Non c’è stata prima, quindi, una
fondazione teoretica della dottrina cristiana, una
deduzione morale ed, infine, la fortunosa
attuazione del progetto. All’inizio di tutto c’è una
opzione di vita comunitaria, in revisione critica
continua con le istruzioni che il Padre non
cessava di comunicare sempre tempesti-
vamente e che i figli (Gesù e i discepoli)
intendevano al meglio soddisfare.
La Chiesa ha fedelmente continuato
questo metodo e stile di impegno sociale per
molti secoli, riportando significativi successi:
basti pensare alla ricostruzione sociale, civile,
politica ed economica dopo la rovinosa caduta
dell’Impero romano, la rinascita del Mille, il
primo mercantilismo (Cf rifiuto dell’usura), i
Comuni e la percezione dell’autonomia
economica e politica…
Un vero passaggio critico per la dottrina
sociale della Chiesa in senso debole si è avuto
nel periodo dell’industrializzazione: a motivo
della trasformazione radicale di tutti i settori
dell’esistenza che essa portava con sé, a
motivo dell’accrescersi esponenziale della fame
di giustizia che il nuovo orizzonte, allo sbando,
comportava e al fatto che la ‘carità’ (nel senso
di aiuto spicciolo ai poveri) finora significativa-
mente gestita non bastava ai nuovi bisogni
esponenzialmente cresciuti.
La Chiesa – non senza un certo
smarrimento - si è interrogata allora come
rispondere a questa nuova gigantesca
provocazione – pur sempre offerta dalla
Provvidenza - e si è fatta una solida
convinzione critica che la prassi insegnata dal
Signore era ancora valida, ma richiedeva però
lo sforzo di conoscere più profondamente le
situazioni, affinare la coscienza teologica del
messaggio cristiano con una teologia fedele ed
aggiornata, rilanciare non tanto azioni isolate,
ma l’impegno coordinato ed eticamente
vincolante di tutto il soggetto comunitario
ecclesiale. Comincia così la stagione della
Dottrina sociale della Chiesa in senso stretto,
forte, ufficiale ed anche ‘tecnico’; più
semplicemente, la Dottrina sociale della
Chiesa.
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Per conoscere più profondamente gli


eventi, la Chiesa poteva ricorrere alla scienza,
in tutte le espressioni utili ed opportune; una
scienza, al più purificata dai servilismi
ideologici, che già nel suo momento aurorale
non aveva mancato di mostrare. Ma ciò
comportava – sempre senza rinunciare alla
piena fedeltà al messaggio di Cristo - una
riconciliazione della Chiesa con la cultura del
tempo, dopo le reciproche incomprensioni e i
poco cordiali reciproci anatemi. In più, la Chiesa
doveva crearsi una audience nel mondo
moderno, ricostruendo la propria immagine e il
tessuto delle relazioni più significative:
culturale, sociale, politica, diplomatica,
popolare, comunicativa, empatica…
Per affinare l’analisi teologica, bisognava
rilanciare la passione dello studio, la critica
delle fonti, il metodo critico-sistematico (ossia
‘scientifico’), la creazione o il recupero , qualora
già esistessero, di modelli opportuni capaci di
rifluire nella azione catechistica di contenuto
perspicuo e di linguaggio immediato, la
riorganizzazione dell’insegnamento ufficiale…
L’efficace azione sociale cristiana
passava anche per il consolidamento del
soggetto ecclesiale. Bisognava allora ricostruire
– o costruire – una ‘coscienza di Chiesa’, per
poter avere una significativa incidenza in un
mondo nel suo genere (ri)compattato dalla
industrializzazione. Si trattava di discernere tra
le molteplici iniziative, dare un ordine di
precedenze, impartire orientamenti unitari per
tutta la Chiesa, fare maturare nelle singole
coscienze il senso dell’obbligo morale e
evangelico dell’impegno del cristiano nella vita
sociale, offrire tutti i sostegni materiali e
spirituali necessari alla evangelizzazione della
società industriale e ormai tentata di
materialismo praticamente ateo.
Questa somma di lavoro si poteva
considerare ormai ben avviata all’apparire della
enciclica Rerum novarum di Leone XIII [RN],
nel 1891.

Unità ed evoluzione della Dottrina Sociale


della Chiesa

In quanto prassi sociale in costante


revisione critica ed aggiornamento di fronte a
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problemi sempre più numerosi e sempre nuovi,


la DSC si presenta con un nucleo solido
permanente di metodologia e di principi
fondamentali, ma con l’attenzione ad elaborare
soluzioni efficaci a problemi dai risvolti sempre
nuovi.
La memoria di situazioni, giudizi,
soluzioni che si sedimenta nella DSC col
passare del tempo diventa un patrimonio
formidabile di cultura sociale, strumento di
eccezionale sapienza euristica (= di ricerca) e
di creatività operativa.
Attualmente la documentazione scritta di
tal centenaria memoria oltrepassa le 40.000
pagine in folio nel solo magistero ufficiale.
I passaggi storici più significativi della
evoluzione nell’unità della DSC sono quelli
relativi alla fonte e ai soggetti concreti del
discernimento cristiano sulla vita sociale.
• I primi documenti di DSC presentavano
la fonte della morale sociale nella legge
naturale come emanazione dalla legge divina. Il
problema non sta sulla fonte ultima, che è
indiscussa ed indiscutibile; ma sull’accesso a
questa fonte: la retta ragione, nel senso di
ragione affidabile nell’acquisire verità fonda-
mentali per la vita della persona.
• In un secondo momento – con Giovanni
XXIII – per la DSC diventa fonte prioritaria la
rivelazione cristiana, come punto più alto
dell’intero messaggio biblico, ecclesialmente
approfondita con la riflessione teologica e
guidata dall’aiuto dello Spirito divino.
• Attualmente si tende a recuperare il
riferimento diretto alla natura umana nel termini
dignità dell’uomo e verità dell’uomo.
Ma non è ozioso lo sforzo iniziale e l’attuale
recupero di non fare forza soltanto su
prospettive puramente religiose, appunto per
proporre ed ottenere la più grande intesa tra le
persone: la coscienza della vastità dei problemi
aveva subito suggerito la necessità di risposte
universalmente condivise (Cf internazionalismi,
cattolicità…).

Il contesto: la rivoluzione industriale

La ‘rivoluzione industriale’ è un periodo


di grandi trasformazioni, che si annodano in
sinergia nella opzione della produzione
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industriale e provocano cambiamenti radicali a


catena in tutti i settori della vita e dell’attività.
Vediamo come e perché.
Industria è un nuovo modo di trasformazione di
beni materiali mediante l’impiego della
macchina e della divisione del lavoro.
Industrializzazione: è l’affermarsi generale di
questa filosofia produttiva.
Industrialismo: è dare il primato assoluto alla
opzione industriale su tutti gli altri aspetti della
vita.
Per rivoluzione si intende un cambiamento
intenzionale, radicale, rapido; non è necessa-
riamente violento e truculento (= sanguinario).
La nuova proposta di produzione
industriale riesce a catalizzare tutte le altre
trasformazioni e a produrre un cambiamento a
catena profondo e rapido in tutte le dimensioni
dell’esistenza personale e sociale.
Il processo di industrializzazione sfugge
per lo più anche dalle mani dei protagonisti, non
offre presa agli strumenti di conoscenza di
allora e finisce così per non essere
agevolmente governabile.
Vediamo la dinamica in qualche esempli-
ficazione.
L’industria permette di produrre di più e meglio,
con standard qualitativi superiori e costanti,
proprio grazie alla macchina.
Produrre di più pone due ordini di problemi: il
reperimento dei capitali per l’organizzazione
industriale e un mercato sufficiente a smaltire i
prodotti.
L’organizzazione industriale pone proble-
mi di ubicazione opportuna, di reperimento
adeguato di energia, di manodopera, di facilità
di trasporti, di supporto scientifico-tecnico
asservito alla produzione della macchina e
all’organizzazione del lavoro.
Dal punto di vista sociale si verifica una
corsa a guadagni più sicuri che in agricoltura, a
tentare la fortuna, ad allontanarsi da casa, a
scomporre il nucleo famigliare, a perdere
l’appartenenza al gruppo di origine, allo
urbanesimo, nascita della nuova città
industriale, disancoramento sociale, crescita di
comportamenti socialmente devianti, facile
usura della salute e mancanza di sicurezza
sociale, nascita delle malattie professionali e
infortuni di ogni sorta, sfruttamento dell’operaio,
occupazione precaria, condizioni di lavoro
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spesso disumanizzanti e contrazione dei salari,


incapacità della società di ricollocare chi
perdeva il posto di lavoro, le conseguenti nuove
forme di povertà (pauperismo industriale),
l’incapacità dell’organizzazione sociale di venire
in aiuto ai nuovi poveri, anche perché gli Stati
avevano troppo in fretta smantellato le orga-
nizzazioni benefiche, falsamente e precipitosa-
mente ritenute come non più necessarie e
socialmente inopportune, perché improduttive.
L’industrializzazione aveva una forte
velocità di espansione e sempre maggiori
contraccolpi in tutti i settori. Risolvere i profondi
problemi che essa provocava era difficile, per
l’incapacità a rilevare con precisione i dati, a
conoscere i meccanismi innescati, a ipotizzare
e testare eventuali antidoti; per la ‘storiciz-
zazione’ che ‘le novità’ (cf ‘res novae’)
implicavano; per mancanza di esperienza,
consuetudini, leggi, autorità capace di
intervenire; per la connessione che il potere sul
mercato e la sua supervalutazione stringevano
con il potere politico, fino a congiungersi nelle
stesse persone ed originare una equivoca
commistione e il blocco stesso di potere.
Eventuali posizioni ribellistiche aveva-no
anche il facile rischio di criminalizzare, di fatto e
di diritto, proprio il gruppo sfruttato ed
ingiustamente trattato.
Ecco allora che anche la struttura
tradizionale dello Stato, come quella della
famiglia, della società civile davano l’impres-
sione di vacillare.
Tutto ciò comportava anche una crisi
nell’azione della Chiesa, la cui funzione
calmieratrice – proverbiale e qualche volta
pesantemente prudente davanti al conflitto e
più propensa ai vantaggi materiali e spirituali
della rassegnazione – non otteneva effetti: la
carità non bastava più, forme nuove non
uscivano di incanto dal magico cilindro
dell’iniziativa pastorale.
E, quindi, sotto le bordate della trasformazione
anche la stessa istituzione ecclesiastica
sembrava vacillare e scontentare insieme
lavoratori e imprenditori.
Ancor di più, la stessa religiosità (= apertura
della persona ad un essere trascendente)
veniva meno per la totale immersione della
esistenza concreta in problemi puramente
materiali: un ateismo pratico, perché non si
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trovava più tempo, motivo ed occasione di porsi


la questione di Dio, davanti ai nuovi problemi
resi artificialmente più urgenti dall’equivoco
spirito di concorrenza,
A ciò si aggiunga l’orientamento scien-
tifico autonomo delle discipline. Ad esempio:
nel frattempo, la filosofia etica economica si era
trasformata con Adam Smith (professore di
filosofia morale; nel 1776 Indagine sulla natura
e le cause della ricchezza delle nazioni) in
economia politica; la produzione industriale, da
iniziativa privata, diventava sempre più
problema pubblico, che, mancando di regole,
richiedeva più cogenti e tempestivi interventi
dello Stato, per lo più privo di competenze
specifiche al caso. Tutto ciò obbliga economia,
Stato e anche istituzioni religiose a chiarire
riflessamente la specificità dei loro compiti nei
riguardi dell’economia sociale e la necessità di
armonizzare le rispettive competenze.
Anche la Chiesa era spinta a darsi una
coscienza riflessa della sua dottrina/impegno
nella società e, ancor più, a consolidarsi come
soggetto comunitario con una sua specificità di
intervento in campo sociale, rispetto a tutte le
altre agenzie sociali coinvolte nella trasforma-
zione. Innanzitutto perché il Signore Gesù così
ha fatto ed ha disposto che la sua Chiesa (=
suo prolungamento storico fino all’esaurimento
dei tempi) continuasse a fare. Ma anche perché
la sollecitudine della Chiesa per l’uomo e la sua
vita è sostanza visibile della carità, che è lo
stesso Dio cristiano (Deus caritas est) e, quindi,
sostanza stessa dell’annuncio cristiano, cioè
dell’evangelizzazione. Infine, potremmo aggiun-
gere anche che è garanzia autenticità della
fede cristiana e, storicamente, punto di onore e
vanto dell’istituzione ecclesiale in tutte le
epoche.
Certamente la Chiesa, comunità di
salvezza, non ha come scopo diretto ed ultimo
il miglioramento della società o la soluzione dei
suoi problemi, ma la piena riuscita dell’uomo
come figlio di Dio. Dunque, la specificità
dell’intervento della Chiesa in ogni questione
sociale è assicurare che le scelte sociali di fatto
promuovano l’uomo come persona, ossia come
soggetto (= non mai strumento o oggetto per
altro) che intende, liberamente vuole e riesce
anche ad amare e, perciò, l’unico essere fatto
per un destino eterno e superiore anche alla
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società e a tutte le sue manifestazioni. La


Chiesa in materia sociale si pronuncerà
coerentemente solo su questo aspetto: la
congruità (= capacità di essere in accordo e di
rispondere…) delle opzioni con le esigenze
profonde ed inalienabili dell’ uomo. Nelle
restanti questioni si autolimita per rispetto alle
altrui competenze, non si dichiara ‘tuttologa’,
ma pur non si defila dalla collaborazione in casi
di necessità dell’uomo (Cf diritti umani): il suo
apporto specifico è tutt’uno con il compito di
evangelizzare ricevuto da Gesù Cristo, e ,
quindi, irrinunciabile, perché un tutt’uno anche
con la Chiesa stessa.
Che per fare questo fosse necessaria
una disciplina a sé - appunto la Dottrina sociale
della Chiesa in senso forte - che accorpasse
vistosi riferimenti e sezioni di altre discipline
teologiche, dal punto di vista metodologico
astratto si può ancora discutere; dal punto di
vita dell’opportunità storica, proprio no, viste le
interlocutrici con cui la Chiesa doveva
misurarsi, la loro organizzazione compatta e
falsamente autonoma; la necessità di chiarezza
sistematica (= nell’ordine richiesto dalla verità),
l’educazione alla creatività delle forme di
impegno sociale, la pedagogia alla formazione
nella stessa dottrina sociale.
Che se poi l’impegno a riuscire come
figlio di Dio possa portare con sé un copioso ed
adeguato frutto sociale, non è certo il caso di
rammaricarsi: ma non è l’intento primario
dell’annuncio evangelico.
Gesù e discepoli, che sono incoativa-
mente la Chiesa (= l’inizio della Chiesa), sono
proprio il soggetto comunitario della DSC in
senso originario. Ancora oggi , soggetto
comunitario della DSC in senso pieno è la
Chiesa, soprattutto la componente laicale
(christifideles laici), ma con l’irrinunciabile
apporto specifico e corresponsabile delle altre
componenti (christifideles ministri ordinati e
christifideles consacrati) dell’unica espressione
di comunione ecclesiale. Sulla necessità ed
inevitabilità di tale rapporto

La preparazione remota della DSC in


senso proprio (forte)

La Centesimus annus (CA 4; in corsivo il


testo diretto), lettera enciclica (ossia ‘circolare’
9

a tutte le Chiese della ‘Catholica’) di Giovanni


Paolo II del 1991, schizza il quadro di attività
che precedono e contornano il sorgere della
Rerum Novarum [RN].

“Il Pontefice si ispirava,...”

In un certo senso all’intera Chiesa: papi,


vescovi, laici esperti o almeno sensibili,
individualmente presi o anche associati in
gruppi, e le realizzazioni che, in maniera
profetica, l’amore del prossimo per amore di
Dio, ossia la ‘carità cristiana’, aveva già
anticipato, prima ancora di sistematizzarle in un
quadro teorico coerente.
Non è da dimenticare che l’abbondante
materiale disponibile nella Chiesa, una volta
assunto e presentato dal Papa come magistero
ufficiale, si connota un nuovo valore: orienta,
dirige la ricerca di tutti nella Chiesa stessa e
vincola i fedeli alla pratica.

“... inoltre, all’insegnamento dei predecessori,...”

Esprime la coscienza comune dell’esi-


stenza di un continuo impegno pratico
inscindibile dall’insegnamento sociale della
Chiesa.

“... nonché ai molti Documenti episcopali,...”

Chi viene citato? Nel testo pontifi-


cio, in genere, non si presentano citazioni,
proprio per non distogliere dall’orizzonte più
universale in cui tendono a collocarsi i
documenti ufficiali o solenni. Sono stati
significativi i seguenti interventi: in Francia:
1842, mons. Maurice de Bonald, arcivescovo di
Lione sulla perdita di dignità umana sul lavoro;
1843, mons. Denis-Auguste Affre, arcivescovo
di Parigi e martire delle barricate del 1848 sui
‘costi umani dell’economia liberale’ (Cf Vecchio
29); 1845, mons. Giraud, arcivescovo di
Cambrai interviene sui problemi del lavoro; in
Germania: mons. Emmanuel Von Ketteler
(+1877), vescovo di Magonza, studioso e
animatore di proposte e di iniziative concrete,
come i Congressi Cattolici e l’Unione Popolare:
Leone XIII dice: “...da lui abbiamo imparato
molto”; in Inghilterra: il card. Enrico Edoardo
Manning (+1892) che appoggia apertamente lo
sciopero dei portuali londinesi: negli USA , il
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cardinale di Baltimore, James Gibbons, esperto


ed impegnato, diretto ispiratore e suggeritore di
Leone XIII. L’aggettivo ‘molti’ connota la
consistente iniziativa episcopale che già
esisteva.
“... agli studi scientifici promossi da laici,...”

A quali studiosi si fa riferimento? Ad


esempio: Giuseppe Toniolo, Vito D’Ondes
Reggio, in Italia; E’ tutta una galassia di studi e
studiosi da esplorare ancora e da valorizzare
maggiormente. Giova notare che era già nella
coscienza della Chiesa e del laicato ecclesiale
che la situazione creatasi con l’industrializzazio-
ne non potesse trovare risposta solo nelle
mobilitazioni del ‘buon cuore’ e che richiedesse
uno studio rigoroso dei nuovi e non ancora ben
rilevati fenomeni: non bastava la carità, ma si
esigeva ormai anche una ‘scienza della carità’.
“... all’azione di movimenti e associazioni
cattoliche...”

Nel frattempo, pur in mezzo ad un imma-


ginabile smarrimento e allo sforzo di riflessione
sui nuovi fatti, la Chiesa nelle sue espressioni
locali, ossia la Chiesa che vive nei vari luoghi
insieme ai suoi figli, non ha dimenticato che il
bisogno non può aspettare che ci si facciano le
idee chiare e distinte e, così, si è mobilitata a
venire incontro alla meno peggio alle difficoltà
dei lavoratori. Tutto questo con particolare
iniziativa dei laici, cui spetta in primis il ruolo
ecclesiale di rendere cristiano il mondo del
lavoro e l’intera società.
A quali movimenti ed associazioni cattoli-
che si intende alludere? Nell’impossibilità di
compiere un lavoro meno inadeguato, mi
accontento di qualche esempio: in Francia:
Philipe Buchez e il ‘socialismo cristiano’ con il
superamento della condizione salariale; Albert
de Mun e René de la Tour du Pin con l’ ‘Opera
dei circoli per operai’ e l’azione per un regime
corporativo e per l’introduzione di una
legislazione del lavoro; Léon Harmel e le
associazioni di solidarietà nella sua industria
tessile; in Austria, Adolf Kolping
“per la formazione professionale degli artigiani e
per il sostegno dato alla soluzione del problema
abitativo per gli operai, favorendo la ricostruzione
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di un ambiente familiare moralmente sano” [Cf


Vecchio 30];

nei Paesi Bassi: i ‘Congressi’ di Malines e di


Liegi; in Italia la ‘Opera dei congressi’ con la
sua multiforme presenza. In Svizzera, l’
‘Unione di Friburgo’, con il vescovo mons.
Gaspar Mermillod . Non si dimentichi il gruppo
della ‘Civiltà Cattolica’, con i padri gesuiti Turci,
Taparelli, Bresciani e Liberatore (pensatore di
grande valore).

“... ed alle concrete realizzazioni in campo


sociale, che contraddistinsero la vita della Chiesa
nella seconda metà del XIX secolo...”

In che senso “contraddistinsero”? Anche


a non volere estendere il termine a tutto
l’elenco e a volersi fermare alle sole
realizzazioni, bisogna notare:
a) la Chiesa ha sempre fatto così:
contraddistinsero esprime che in quel periodo
ciò è avvenuto in modo particolare, a motivo
evidentemente delle accresciute necessità (la
nuova povertà operaia indotta dalla industrializ-
zazione). Il discorso che qui si apre sarebbe
lungo e delicato. Senza pregiudicare gli aspetti
positivi della nuova situazione storica e
dell’opzione industriale e senza tentare
prematuramente un giudizio complessivo, si
deve riconoscere che sono accresciute le
potenzialità personali e sociali, ma anche le
ambiguità dei problemi nuovi e di nuove forme
di emarginazione e di povertà, impreviste se
non proprio in sé imprevedibili, e perciò a fronte
di una realistica incapacità di trovare meno
inadeguata soluzione. Il risultato complessivo
di queste nuove povertà e difficoltà va sotto il
nome di ‘pauperismo industriale’. ‘Pauperismo’
di povertà nuove, generalizzate e pesanti;
‘industriale’, perché se non proprio causate
dalla industrializzazione, certamente conse-
guenze di essa.
b) la ‘questione operaia’, pur tipica della Chiesa
delle nazioni industrializzate, investe l’intera vita
della Chiesa: è un problema già diventato
prioritario. Perché incentrare l’intreccio dei
problemi dell’industrializzazione nella ‘questio-
ne operaia’? L’operaio è parimenti soggetto
decisivo nella produzione industriale ed anche
l’anello più debole e meno protetto della catena.
Su di esso si accumulano le difficoltà e le
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contraddizioni del sistema produttivo ‘primo-


industriale’. La Chiesa non può non sentirsi
chiamata in causa davanti a queste reali e
scioccanti difficoltà di un sempre maggior
numero di suoi figli.
c) l’affermazione dell’impegno straordinario
della Chiesa è suffragata storicamente
dall’elenco impressionante (per numero, qualità
di contenuto, forte antiveggenza, vastità di
intuizioni, propositività) di pronunciamenti di
vescovi, di studiosi cattolici, di movimenti
cristiani e di opere di ‘carità sociale’ (carità: qui
vuol dire modo concreto di tradurre un amore
che ha Dio per origine, per misura e per stile:
‘sociale’ esprime il campo di esercizio di tale
carità).
Un esempio:
“L’ultimo ventennio del secolo vide… specie in
regioni come la Lombardia e il Veneto,
un’imponente diffusione di associazioni operaie e
contadine… Basti ricordare che al Congresso di
Milano (ndr della sola Opera dei congressi dei
cattolici intransigenti ed antiliberali) del 1897
risulteranno censiti 190 comitati diocesani e 4036
comitati parrocchiali, ma anche 691 casse rurali e
884 società operaie, oltre a 26 quotidiani e 168
periodici. A ciò andavano aggiunte numerose
istituzioni sociali di varia natura, quali unioni
rurali, cooperative di consumo e di assicurazione
ecc… (Cfr GAMBASIN, Il movimento sociale
nell’Opera dei Congressi (1874-1904), Università
Gregoriana, Roma 1958, pp 454-456)” [G.
VECCHIO, La dottrina sociale della Chiesa, Ed.
In dialogo, Milano 1992, p.32).

A quali iniziative si allude? Per la


Francia, non si può dimenticare le ‘Conferenze
di S. Vincenzo’, fondate da Federico Ozanam
(+ 1853): (bisogna completare!)…. Italia esiste
una fioritura di iniziative di scuole per i
lavoratori… cfr le zone dove per prima si
instaura l’industrializzazione

La preparazione prossima della DSC:


la personalità del pontefice Leone XIII

Leone XIII fu una personalità vigorosa


ed intraprendente, sensibile e capace di
esprimere in modo nuovo il messaggio cristiano
al mondo della rivoluzione industriale, convinto
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e determinato a rinnovare gli studi teologici, a


rilanciare i contatti della Curia romana con gli
Stati moderni, a non rompere la continuità con
l’insegnamento dei predecessori, ma anche a
sottoporre a revisione posizioni ormai divenute
indifendibili, a rilanciare il papato come autorità
morale internazionale,
“a riassegnare alla Chiesa un posizione sociale
nella moderna, società industriale’, ad offrire
orientamenti e norme per ‘condurre una
esistenza cristiana anche nella condizione
dell’epoca industriale’ ” (Cf Hans Maier, La
Società, 92/1, 108),

a trovare il linguaggio adatto all’evangeliz-


zazione (sobrio, essenziale, incisivo, aderente
alla vita, obiettivo, non emozionale) e le forme
di comunicazione opportune per trovare il più
grande ascolto possibile. ……………………..

L’elaborazione

Solo dopo un lungo chiarimento dei


concetti etico-sociali di base, il Pontefice si
accinge alla elaborazione del documento
fondamentale della DSC. Il testo ha una gesta-
zione lunga e un po’ tormentata, che ha
richiesto anche attenzione esegetica dopo la
promulgazione ufficiale.

L’accoglienza

L’accoglienza del documento è stata


varia. Se si tiene presente che la trasforma-
zione industriale della economia non era
uniforme; che alla identica fede cristiana
partecipavano operai e datori di lavoro, che, in
pratica ragioni e torti erano presenti in ciascun
schieramento; che non esisteva un comune
sentire…, cosa ci si potrebbe aspettare nelle
riduttive e semplicistiche interpretazioni di
parte, da liberali che si vedevano attaccati, da
socialisti che si sentivano criticati, da cattolici
conservatori che consideravano ‘socialista’ lo
stesso Papa e da progressisti astratti, a volte
senza senso della realtà e dell’opportunità? Si
può immaginare: e così fu.
Ma la viva attesa da parte di tanti fedeli,
la grande recettività di allora in Europa in
materia sociale, la coincidenza con un
momento di eccezionale sviluppo industriale,
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l’articolata risposta (giustizia retributiva,


associazionismo, intervento della Stato),
l’apertura con il mondo e la cultura, le relazioni
diplomatiche rinnovate, l’attenta interpretazione
e chiarificazione dei testi pontifici, il contatto
diretto con gli operai di diverse nazioni (pur
dichiarandosi il papa ‘prigioniero’ nella sua
casa) e la cura dell’immagine papale hanno
operato un consolidamento positivo delle nuove
aperture papali e contribuito a creare un nuova
coscienza sociale cristiana.
Ma è proprio con il tempo che la Rerum
novarum assume straordinaria notorietà dentro
e fuori la Chiesa: è considerata come la
fondazione della DSC in senso proprio (in
quanto ne precisa il contenuto, i metodi e le
finalità dinamiche), come coscienza riflessa, per
sempre acquisita, dell’imprescindibile dovere
del cristiano di operare la giustizia nella società,
come dovere imprescindibile del Magistero
pontificio, come accreditamento sociale
dell’intervento della Chiesa nella società.
--------- Lo sviluppo successivo della DSC è
ritmato dalle date commemorative della Rerum
Novarum e ne mette in luce la non ancora
esaurita fecondità.
E’ pur vero che nei cent’anni che ci
separano dalla Rerum Novarum tanti scenari
sono cambiati (internazionalizzazione dell’oriz-
zonte della DSC, l’autorganizzazione dei
lavoratori, legislazione sempre meno inadegua-
te, e quindi intervento dello Stato, sproletariz-
zazione, regimi di proprietà diffusa e
partecipazione all’impresa, autotemperamento
e cambiamento di strategie del capitalismo,
crollo di ideologie, globalizzazione dei rapporti,
divisione internazionale del lavoro, libero
mercato ed accesso al mercato, sviluppo
compatibile e generalizzato… la struttura della
DSC rimane solida ed efficace.

Elementi costitutivi della Dottrina


sociale della Chiesa
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Introduzione
Orientamenti per lo studio della Dottrina
Sociale della Chiesa…. è un documento del
198… prodotto dalla Congregazione per …. Ha
lo scopo di definire i punti caratteristici della
natura e dei temi della DSC e di fare chiarezza
attorno ad alcune obiezioni allora sollevate
anche da parte di uomini della Chiesa. Si
compone di una introduzione, di cinque parti ed
una conclusione:
• Introduzione:

Cito direttamente da Orientamenti per


lo studio della DSC: il testo è scritto in corsivo.

Origine della Dottrina Sociale della


Chiesa
“L’insegnamento sociale della Chiesa trae la sua
origine dallo incontro del messaggio evangelico e
delle sue esigenze etiche con i problemi che
sorgono nella vita della società”(OS 3).

Innanzitutto il termine
‘insegnamento sociale’: la terminologia è
ancora fluida. Successivamente si farà
una scelta più tecnica. Con Giovanni
Paolo II l’opzione preferenziale del
termine sarà ‘Dottrina sociale della
Chiesa’.
Dove si origina la DSC? Si tratta di
origine ideale. la DSC si origina
nell’incontro tra Vangelo ed esigenze
storiche della vita sociale: è la cerniera
tra Vangelo e problemi sociali. Il punto di
sutura è l’etica, ossia l’esigenza di bene
operare che l’annuncio del Vangelo porta
inscindibilmente con sé. Si assume come
presupposto non più discutibile che
Vangelo e storia si possano incontrare e si
incontrino di fatto: questa prospettiva è
cara al Vaticano II e trova nella Gaudium
et Spes il suo manifesto.
Vangelo e problemi della vita
sociale nei quali incarnarlo provengono
da Dio, apparten-gono ad un unico
progetto e tendono ad un unico fine: la
‘gloria’ di Dio nella salvezza storica ed
eterna dell’uomo in Gesù Cristo.
16

Gloria: biblicamente è il peso


decisivo che Dio gioca in ogni realtà, ma
soprattutto nell’uomo creato proprio a
sua immagine.
Non si può tralasciare il termine
‘storica’: la vita concreta dell’uomo
(l’homo vivens) come ‘persona’, (ossia
immagine meno inadeguata di Dio), è
autentica gloria di Dio, forma di vita in
Cristo così elevata e ‘beata’ (Cf le
Beatitudini) da essere degna di non finire
mai.
Parimenti non è neppure possibile
tralasciare il termine ‘eterna’, in quanto è
orizzonte dell’infinito amore divino che ci
chiama alla vita in Cristo.
Si potrebbe in modo compendioso
dire anche che DSC è lo sforzo di tradurre
il Vangelo in scelte e strutture storiche e
di portare le realizzazioni storiche alla
dignità di opzioni eterne.
Vangelo e situazioni della vita sono
fatti per intercettarsi e diventare un atto
di amore che realizza via via la chiamata
(Cf vocazione) della singola persona, dei
gruppi e dell’intera umanità ad essere
collaboratrice di Dio nella cura di ogni
realtà creata personale ed impersonale.
Va così da sé che DSC è possibile
solo a condizione:
a) di conoscenza profonda e
progressi-va delle esigenze etiche del
Vangelo – soprattutto di quel Vangelo
pieno ed autentico che è Cristo in persona

b) di altrettanto profonda
conoscenza delle potenzialità di bene che
le situazioni storiche possono offrire. Le
potenzialità di bene non si riducono alle
opportunità puramente materiali e
tecniche che oggetti e situazioni
presentano: non sono giudizi di esclusiva
scienza positiva, ma di formazione etica
globale.
17

Fondamenti della Dottrina Sociale della


Chiesa

La Dottrina sociale della Chiesa


“si forma con il ricorso alla teologia e alla
filosofia, che le danno un fondamento, e alle
scienze umane e sociali che la completano”(OS
3).
“Essa si proietta su aspetti etici della vita, senza
trascurare gli aspetti tecnici dei problemi, per
giudicarli con criterio morale”(OS 3).
“Basandosi su ‘principi sempre validi’, essa
comporta ‘giudizi contingenti’, poiché si sviluppa
in funzione delle circostanze mutevoli della storia
e si orienta essenzialmente all’‘azione o prassi
cristiana’”(OS 3).

Potremmo anche
approssimativamente esprimerci così:
quali sono gli ingredienti fondamentali ed
insostituibili della DCS? Sono la teologia,
una filosofia che non svilisca la teologia,
le scienze umane e le scienze sociali
quando rendono possibile la conoscenza
degli avvenimenti in modo da evidenziare
pienamente le loro potenzialità etiche,
ossia di operare concretamente il bene.
‘Quando rendono possibile’: si dà anche il
caso di ‘scienze ideologizzate’ (ossia
piegate a finalità diverse dalla
conoscenza) che non rendono possibile
una onesta comprensione.

“Essa si proietta su aspetti etici della vita,


senza trascurare gli aspetti tecnici dei problemi,
per giudicarli con criterio morale”(OS 3).

La DSC si interessa degli aspetti


etici della vita, ossia delle opportunità di
operare il bene morale. Ricorda, qui, che
il bene morale non è sempre una
prospettiva di per sé evidente: può
presentare delle difficoltà di lettura;
esige, quindi, una definizione accurata e
precisa, fondata su riferimenti non
strutturalmente labili … Tutto ciò
comporta la scelta di una filosofia etica
meno inadeguata, la sua fondazione e la
sua giustificazione. Non ti tragga in
inganno l’espressione ‘meno inadeguata’.
Siccome l’elemento decisivo in DSC è
quello teologico, per quanto astuto possa
18

essere l’apporto filosofico, sempre


esisterà uno scarto o meglio classi
contigue di scarti. E’, quindi, un giudizio
quasi banale: non è irriverente per la
filosofia, a meno che essa non si ponga
idealisticamente come autofon-dazione
dell’assoluto.
Ma gli aspetti etici non esistono
disancorati dalla concretezza dell’essere
e delle situazioni in cui è immerso. Quindi
sono insostituibili quelle forme di
conoscenza organizzata che permettono
di meglio conoscere realtà e situazioni:
sono le scienze, di vario tipo, purchè –
ripeto - non ideologicamente tarate ossia
forzosamente predisposte a dare una
visione distorta ed interessata della
realtà.

“Basandosi su ‘principi sempre validi’, essa com-


porta ‘giudizi contingenti’, poiché si sviluppa in
funzione delle circostanze mutevoli della storia e
si orienta essenzialmente all’‘azione o prassi
cristiana’”(OS 3).

Si afferma sostanzialmente che la


DSC si realizza nella vita vissuta. E’ arte
del ben vivere, indissociabile dalla sua
concretiz-zazione. Serve, allora, sapere in
che consista il ben vivere cristiano, come
si possano ad esso orientare le varie
situazioni e come attuarlo meno
inadeguatamente.
I ‘principi sempre validi’ sono quelli
di derivazione evangelica, anche se a
volte mediati e corroborati (per così dire!)
da prospettive sicure di natura filosofica.
Essi permettono di leggere in profondità
(= intelligere!) eventi e situazioni
mutevoli, per carpirne le potenzialità di
bene ‘eternamente’ testate:
‘eternamente’ nel senso di valide in
prospettiva evangelica e, quindi, degne di
esserci sempre secondo Dio e secondo
l’uomo. L’azione cristiana, infatti, è quella
di Cristo, ossia di quella singolare
persona, che pur nell’autentica situazione
umana, compie azioni di valenza divina.

Autonomia della DSC


19

Nonostante nasca dal tronco della


teologia morale, la dottrina sociale della Chiesa
ha
una identità propria e un profilo teologico ben
definito(OS 4).
“Per avere un’idea completa della dottrina
sociale bisogna riferirsi alle sue fonti, al suo
fondamento e oggetto, al soggetto e al
contenuto, alle finalità e al metodo: tutti elementi
che la costituiscono come disciplina particolare
ed autonoma, teorica e pratica ad un tempo,
nell’ampio e complesso campo della scienza
della teologia morale, in stretta relazione con la
morale stessa”(ib.)
“Le fonti della dottrina sociale sono la sacra
Scrittura, l’insegnamento dei Padri e dei grandi
teologi della Chiesa e lo stesso Magistero. Il suo
fondamento ed oggetto primario è la dignità della
persona umana con i suoi diritti inalienabili, che
formano il nucleo della “verità sull’uomo”. Il
soggetto è tutta la comunità cristiana, in armonia
e sotto la guida dei suoi legittimi pastori, di cui
anche i laici, con la loro esperienza cristiana
sono attivi collaboratori. Il contenuto,
compendiando la visione dell’uomo, dell’umanità
e della società, rispecchia l’uomo completo,
l’uomo sociale, come soggetto determinato e
realtà fondamentale della antropologia
cristiana”(ib.)

Avere una identità propria è essere


inconfondibile con altro. Un profilo
teologico ben definito: anche dal punto di
vista teologico ha una sua
caratterizzazione non confondibile con
altre.
Per avere un’idea completa della dottrina
sociale, ossia per testare l’identità,
bisogna, ossia non si può fare a meno di
riferirsi alle sue fonti: le fonti sono ciò da
cui nasce o deriva una realtà.
Non si può fare a meno di riferirsi al suo
fondamento e al suo oggetto, al soggetto
e al contenuto, alle finalità e al metodo.
Questi sono gli elementi costitutivi della
DSC. La loro analisi illustra che la DSC è
costituita come disciplina (forma di
sapere criticamente elaborato)
particolare (con un suo oggetto, metodo e
fine) ed autonoma (non riconducibile ad
altro), teorica (che si esprime un
costruzioni mentali) e pratica ( ossia
orientata ed integrata con l’agire) ad un
tempo, nell’ampio e complesso campo
della scienza (non è ridondante il
20

riferimento a scienza, visto che visioni


scientifiche riduzionistiche tendono ad
escludere la morale da valenze
scientifiche) della teologia morale (come
visione normativa dell’agire) , in stretta
relazione con la morale stessa (qui intesa
come agire pratico)
Le fonti della dottrina sociale sono la
sacra Scrittura, l’insegnamento dei Padri
e dei grandi teologi della Chiesa e lo
stesso Magistero.
Il suo fondamento ed oggetto primario è
la dignità della persona umana con i suoi
diritti inalienabili, che formano il nucleo
della “verità sull’uomo.
Il soggetto è tutta la comunità cristiana,
in armonia e sotto la guida dei suoi
legittimi pastori, di cui anche i laici, con la
loro esperienza cristiana sono attivi
collaboratori.
Il contenuto, compendiando la visione
dell’uomo, dell’umanità e della società,
rispecchia l’uomo completo, l’uomo
sociale, come soggetto determinato e
realtà fondamentale della antropologia
cristiana.

Natura teologica della DSC

“In quanto ‘parte integrante della concezione


cristiana della vita’ (MM 53), la dottrina sociale
della Chiesa riveste un carattere eminentemente
teologico. Tra il Vangelo e la vita reale infatti si
ha una interpellanza reciproca che , sul piano
pratico della evangelizzazione e della
promozione umana, si concretizza in forti vincoli
di ordine antropologico, teologico e spirituale,
cosicché la carità, la giustizia e la pace sono
inseparabili nella promozione cristiana della
persona umana” (OS 5)

In quanto ‘parte integrante della concezione


cristiana della vita’ (M[ater et] M[agistra] 53): la
DSC presenta un contenuto che è parte
essenziale dell’annuncio evangelico.
la dottrina sociale della Chiesa riveste un
carattere eminentemente teologico: prima di
tutto e sopra tutto la DSC è teologia.
Tra il Vangelo e la vita reale infatti si ha una
interpellanza reciproca: Vangelo e vita
21

storica concreta si richiamano a vicenda:


il Vangelo chiede di essere incarnato nelle
scelte della vita umana (nel nostro caso,
proprio nelle scelte sociali): l’esistenza
umana trova nel Vangelo la migliore
risposta ai suoi problemi anche
spaziotemporali (= storici!)
che, sul piano pratico della evangelizzazione:
evangelizzazione è l’annuncio efficace e
l’animazione cristiana della vita: è
l’impegno primo – se non esclusivo – della
Chiesa.
e della promozione umana: in sintesi è il
senso complessivo della attività umana,
ossia rendere l’uomo pienamente se
stesso. Il legame tra le due fondamentali
esigenze è questo: l’impegno cristiano a
vivere da ‘figli di Dio nel Figlio Gesù’ è il
vertice più alto dell’umana promozione.
si concretizza in forti vincoli: stretti legami
reciproci.
di ordine antropologico, teologico e spirituale:
stretti legami tra la visione dell’uomo (=
antropologico), la visione cristiana di Dio
(= teologico) e la loro concentrazione
nelle scelte di vita secondo la mozione
dello Spirito Santo (= spirituale, in senso
forte!).
cosicché la carità: l’essenza della vita
cristiana.
la giustizia: l’essenza della vita sociale e
politica.
e la pace: il precipitato esistenziale della
carità e della giustizia (ossia ciò in cui
carità e giustizia si condensano nella
concreta esistenza).
sono inseparabili nella promozione cristiana
della persona umana: sono un tutt’uno e,
quindi, non possono esistere l’uno senza
gli altri.

Non si può separare nella vita concreta


la dimensione personale da quella sociale,
tanto esse sono intrecciate e compenetranti.
Anche per vivere evangelicamente ……
“Questa indole teologica della dottrina sociale si
esprime pure nella sua finalità pastorale di
servizio del mondo, tesa a stimolare la
promozione integrale dell’uomo mediante la
22

prassi della liberazione cristiana, nella sua


prospettiva terrena e trascendente” (OS 5).
“Non si tratta di comunicare solo un “sapere
puro”, ma un sapere teorico pratico di portata e
proiezione pastorale, coerente con la missione
evangelizzatrice della Chiesa, al servizio di tutto
l’uomo, di ogni uomo e di tutti gli uomini” (OS 5).
“E’ la retta intelligenza dell’uomo reale e del suo
destino che la Chiesa può offrire come suo
contributo alla soluzione dei problemi umani” (OS
5).
“Si può dire che in ogni epoca e in ogni
situazione la Chiesa ripercorre questo cammino
svolgendo nella società un triplice compito:
annuncio delle verità circa la dignità dell’uomo ed
i suoi diritti, denuncia delle situazioni ingiuste e
contributo ai cambiamenti positivi nella società e
al vero progresso dell’uomo” (OS 5).

Questa indole: caratteristica essenziale.


teologica della dottrina sociale: di essere
decisa dalla Parola di Dio
si esprime pure nella sua finalità pastorale: è la
forma in cui si esprime…
Allora: pastore è la guida del gregge,
immagine familiare alla cultura contadina
per esprimere il popolo. L’unico vero
pastore del gregge è il Signore Gesù
(ossia il “buon pastore”); gli altri non
danno la vita e, quindi, sono mercenari, a
meno che si mettano a collaborare con
l’unico vero pastore, come aiutanti in
seconda (pastori in seconda) impegnati a
discernere e collaborare al progetto
dell’unico buon pastore.
di servizio del mondo: nel progetto operativo
del buon pastore c’è proprio anche il
servizio del mondo (più propriamente
delle persone che in esso vivono), come
lo stesso Gesù ha fatto.
tesa a stimolare la promozione integrale
dell’uomo: a renderli figli di Dio nel Figlio
Gesù e nel contempo a realizzare al
massimo le potenzialità umane di
ciascuno.
mediante la prassi della liberazione cristiana:
attuando (Cf prassi) la liberazione
cristiana, che si presenta come
liberazione totale, quindi non solo da
alcuni limiti umani, ma su tutto
l’orizzonte, fino alle radici stesse del male
e della morte ad esso collegata.
nella sua prospettiva terrena e trascendente”:
la liberazione di cui si tratta non riguarda
23

solo aspetti di questo mondo, ma anche


la realtà metastorica (che va oltre la
dimensione spazio-temporale.
Non si tratta di comunicare solo un sapere
puro: per “sapere puro” si intende una
conoscenza paga solo di sapere come
stanno le cose.
ma un sapere teorico pratico: impegnato a
cambiare l’esistenza concreta delle
persone e della società.
di portata e proiezione pastorale: in cui possa
esprimersi il disegno di Dio sulle persone
e sulla società.
coerente con la missione evangelizzatrice della
Chiesa: disegno che è anche il contenuto
della evangelizzazione ecclesiale.
al servizio: ‘servizio di amore’ radicalmente
divino, ma anche incarnato meno
inadeguatamen-te in forme umane.
di tutto l’uomo, di ogni uomo e di tutti gli uomini:
parimenti per ogni persona umana
singolarmente considerata (Cf ‘ogni
uomo’), presa nella sua interezza (Cf
‘tutto l’uomo’) ed in tutte le
manifestazioni della vita associata (Cf di
tutti gli uomini).
“E’ la retta intelligenza: ‘retta’, nel senso che
garantisce il rispetto completo dei dati,
senza ridurli arbitrariamente:
‘intelligenza’, nel senso di orientata alla
lettura profonda della realtà (intus +
legere, leggere dentro!), ai suoi perché
ultimi e decisivi.
dell’uomo reale: quello che si esprime nella
concretezza della vita.
e del suo destino: la ‘chiamata’ a diventare
figlio di Dio nel Figlio Gesù.
che la Chiesa può offrire come suo contributo
alla soluzione dei problemi umani: in pratica
la Chiesa contribuisce alla soluzione dei
problemi umani proprio ricordando che
cosa l’uomo vivente è chiamato a
diventare secondo il progetto di Dio.
“Si può dire che in ogni epoca e in ogni
situazione la Chiesa ripercorre questo
cammino: la Chiesa ha sempre fatto così,
evidentemente dando le risposte
evangelica-mente più opportune alle
situazioni che cambiano.
svolgendo nella società un triplice compito:
secondo tre direttrici di intervento:
24

annuncio delle verità circa la dignità dell’uomo


ed i suoi diritti: 1) dicendo che cosa è e
deve essere l’uomo secondo il progetto di
Dio. ‘Diritti’: ciò che a ciascuno deve
essere riconosciuto da parte di tutti, in
particolare per il solo fatto di essere una
persona umana (Cf diritti umani).
denuncia delle situazioni ingiuste: 2) denun-
ciando i comportamenti via via ingiusti.
e contributo ai cambiamenti positivi nella
società: 3) impegnandosi nelle persone dei
suoi fedeli a migliorare le situazioni
concrete della vita associata.
e al vero progresso dell’uomo: il vero
progresso dell’uomo è quello che lo
spinge a migliorare tutti i suoi aspetti.

Triplice dimensione della dottrina


sociale

“La dottrina sociale comporta una triplice


dimensione, cioè: teoretica, storica, e pratica.
Queste dimensioni configurano la sua struttura
essenziale e sono tra loro connesse e
inseparabili”.
Vi è innanzitutto “una dimensione teoretica”,
perché il Magistero della Chiesa ha formulato
esplicitamente nei suoi documenti sociali una
riflessione organica e sistematica. Il Magistero
indica il cammino sicuro per costruire le relazioni
di convivenza in un nuovo ordine sociale
secondo criteri universali che possono essere
accettati da tutti. Si tratta , beninteso, dei principi
etici permanenti, non dei mutevoli giudizi storici
né di “cose tecniche per le quali (il Magistero)
non possiede i mezzi proporzionati né missione
alcuna”.
Vi è poi nella dottrina sociale della Chiesa una
“dimensione storica”, dato che in essa l’impiego
dei principi è inquadrato in una visione reale
della società, e ispirato dalla presa di coscienza
dei suoi problemi.
Vi è infine una “dimensione pratica”, perché la
dottrina sociale non si ferma al solo enunciato
dei principi permanenti di riflessione, né alla sola
interpretazione delle condizioni storiche della
società, ma propone anche l’applicazione
effettiva di questi principi nella prassi,
traducendoli concretamente nelle forme e nella
misura che le circostanze permettono o
reclamano (OS 6).

La dottrina sociale comporta una triplice


dimensione, cioè: teoretica, storica, e pratica.
Queste dimensioni configurano la sua struttura
25

essenziale e sono tra loro connesse e


inseparabili”.
Vi è innanzitutto “una dimensione teoretica”,
perché il Magistero della Chiesa (più
precisamente lo stesso Magistero
pontificio!) ha formulato esplicitamente nei
suoi documenti sociali una riflessione
(ripensamento intellettuale) organica
(completa) e sistematica (razionalmente
ordinata). Il Magistero indica il cammino
sicuro per costruire le relazioni di convivenza in
un nuovo ordine sociale secondo criteri
universali che possono essere accettati da tutti
(evidentemente senza rinunciare ad
essere squisitamente evangelici). Si tratta ,
beninteso, dei principi etici permanenti, non dei
mutevoli giudizi storici né di “cose tecniche per
le quali (aspetti tecnici) (il Magistero) non
possiede i mezzi proporzionati (non ha gli
strumenti adatti per giudicare) né missione
alcuna (né ha ricevuto l’incarico da parte
del Signore Gesù).
Vi è poi nella dottrina sociale della Chiesa una
“dimensione storica”, dato che in essa l’impiego
dei principi è inquadrato in una visione reale
della società, e ispirato dalla presa di coscienza
dei suoi problemi.
Vi è infine una “dimensione pratica”, perché la
dottrina sociale non si ferma al solo enunciato
dei principi permanenti di riflessione (Cf
dimensione teoretica), né alla sola
interpretazione delle condizioni storiche della
società (Cf dimensione storica), ma propone
anche l’applicazione effettiva di questi principi
nella prassi (ossia la realizzazione pratica
concretamente possibile di questi
principi), traducendoli concretamente nelle
forme (= nei vari modi) e nella misura
(=intensità) che le circostanze permettono (=
rendono già possibile) o reclamano (=
decisamente esigono).

Metodologia della dottrina sociale

“Questo metodo si sviluppa in tre momenti:


vedere, giudicare e agire.
26

Il vedere è percezione e studio dei problemi reali


e delle loro cause, la cui analisi però spetta alle
scienze umane e sociali.
Il giudicare è l’interpretazione della stessa realtà
alla luce delle fonti della dottrina sociale, che
determinano il giudizio che si pronuncia sui
fenomeni sociali e le loro implicanze etiche.
In questa fase intermedia si situa la funzione
propria del Magistero della Chiesa che consiste
appunto nell’interpretare dal punto di vista della
fede la realtà e nell’offrire ‘quello che esso ha di
proprio: una visione globale dell’uomo e della
realtà’ (PP 13)…
L’agire è volto all’attuazione delle scelte. Esso
richiede una vera conversione, cioè, quella
trasformazione interiore che è disponibilità,
apertura, trasparenza alla luce purificatrice di
Dio” (OS 7).

Questo metodo (= retto modo di procedere


nell’operare) si sviluppa in tre momenti (sono
le tre operazioni che il metodo comporta):
vedere, giudicare e agire (ritrovi qui un
procedere analogo alle dimensioni
teoretica, storica, pratica della DSC).
Il vedere è percezione (intellettuale!) e studio
(elaborazione critica e sistematica) dei
problemi reali e delle loro cause (una visione
intellettuale – ossia capace di leggere
dentro, nel profondo, implica appunto di
arrivare alla conoscenza delle cause), la
cui analisi però spetta alle scienze umane e
sociali (lo strumento per questa
conoscenza sono le scienze umane e
sociali non ideologizzate).
Il giudicare è l’interpretazione: tra le varie
possibilità di spiegazione ricercare la più
attinente.
della stessa realtà: di quanto avviene
alla luce delle fonti della dottrina sociale:
fondamentalmente alla luce del Vangelo,
che determinano il giudizio: rendono
possibile una valutazione evangelica
dell’evento storico. che si pronuncia sui
fenomeni sociali e le loro implicanze etiche: le
potenzialità di operare il bene che i
fenomeni sociali presentano.
In questa fase intermedia si situa la funzione
propria del Magistero della Chiesa: Magistero
della Chiesa è il compito di insegnamento
evange-lico e le persone deputate a farlo.
che consiste appunto nell’interpretare dal punto
di vista della fede la realtà: nel formulare le
27

varie possibilità concrete di operare il


bene che le situazioni offrono, in modo
tale d poter realizzare la migliore
possibile: evidentemente devo fare i conti
con la realtà e quanto mi permette già
ora di applicare.
e nell’offrire ‘quello che esso ha di proprio: una
visione globale dell’uomo e della realtà’ (PP
13): l’apporto specifico della DSC è una
visione dell’uomo e della realtà costruita
sul Vangelo.
L’agire è volto all’attuazione delle scelte:
essendo teorico-pratica la DSC non ha
esaurito il suo compito fino a quando non
ha in pratica operato quanto eticamente
giudicato.
Esso richiede una vera conversione: un
cambiamento di mentalità con rinuncia a
quella puramente umana fino ad
assumere quella evangelica.
cioè, quella trasformazione interiore che è
disponibilità, apertura, trasparenza alla luce
purificatrice di Dio” (OS 7): la conversione
comporta da subito un cambiamento
interiore, che consiste nell’ apertura e
disponibilità all’azione di Dio.

Metodo del discernimento

Per ‘discernimento cristiano’ si intende la


lettura della situazione storica alla luce del
Vangelo per mettersi in sintonia con il progetto
di Dio. Esso comporta una massima
promozione dell’uomo come figlio di Dio e,
quindi, concorre massimamente alla
comprensione profonda delle situazioni e alla
massima mobilitazione delle forze positive.

Teologia e filosofia

In quanto

applicazione della Parola di Dio alla vita degli


uomini e della società( SRS 8),

la Dottrina sociale della Chiesa è discipli-


na eminentemente teologica.
Essa ha bisogno di un solido inquadramento
filosofico-teologico (OS 9),
28

altrimenti non potrebbe prendere coscienza e


rendere ragione di se stessa.
Insieme ai dati rivelati fondamentali,
la dottrina sociale assume, richiama e spiega
anche vari principi etici fondamentali di carattere
razionale, mostrando la coerenza tra i dati rivelati
e i principi della stessa ragione regolativi degli
atti umani nel campo della vita sociale e politica”
(OS 9).
“Ne consegue pertanto la necessità di ricorrere
alla riflessione filosofica, per approfondire tali
concetti ( quali per esempio, l’obiettività della
verità, della realtà, del valore della persona
umana, delle norme di agire e dei criteri di
verità), e per illuminarli alla luce delle ultime
cause” (OS 9).

Scienze positive

Le scienze positive sono quell’ insieme di


conoscenze organizzate sistematicamente che
derivano dall’osservazione empirica dei dati
regolari ed dal legame che tra loro si instaura. Il
tutto si esprime in giudizi, meglio ancora se
espressi in relazioni quantitative matematiche.
Le scienze positive, quando non sono
asservite all’ideologia, permettono di cono-
scere più seriamente i fatti e, quindi, risultano
necessarie ed utili anche per il servizio del
progetto divino.
Il fatto di essere asservite massiccia-
mente all’ideologia, il fatto che tale servizio sia
per lo più surrettizio e criptato, deve farci
assumere con notevole senso critico processi
scientifici e deduzioni conseguenti, in modo da
assicurarsi della loro verità.

Evoluzione della Dottrina sociale

Come risposta evangelica alle situazioni


sempre nuove, la Dottrina sociale della Chiesa
è un sistema sempre aperto.

Continuità e sviluppo

L’identità sostanziale e l’unità della


Dottrina sociale che derivano dai permanenti
principi evangelici, assicura la continuità e
coerenza della DSC. Le differenze di
impostazione, di procedimento metodologico, e
differenze di stile e di sensibilità esprimono
29

l’elemento dinamico e per lo più di sviluppo e


continuo aggiornamento della Dottrina stessa.

Il compito e il diritto di insegnare

La DSC è, in fondo, la proposta per


vivere in situazione i rapporti sociali secondo il
Vangelo. Come tale, è inscindibile e parte
integrante dell’annuncio evangelico. Quindi
essendo parte integrante dello annuncio
evangelico, la Chiesa ha il dovere di insegnare
la sua Dottrina sociale ed anche il compito di
rivendicare questo suo diritto davanti alle
frequenti prevaricazioni politiche.
I destinatari dell’annuncio evangelico
sociale sono tutti gli uomini e non solo i già
cristiani.
Tante persone, anche non fedeli e
praticanti, possono riconoscersi nello insegna-
mento sociale proposto dalla Chiesa e seguirlo
come proposta esigente ed socialmente
elevata.

Come è accolta la DSC ai giorni


nostri?

Sotto certi aspetti gode, in genere,di


notevole considerazione e suscita grandi attese
riscuote diversa considerazione, ma non è
adeguatamente conosciuta tra i cattolici; tarda
ad essere oggetto/proposta di formazione
personale e comunitaria e, quindi, a produrre
quella incidenza sociale che potenzialmente le
si riconosce anche in ambiente estranei alla
Chiesa.
Dovrebbe essere il codice di azione privilegiato
dei laici nella Chiesa; ma si perde nei meandri
di mediazioni complesse e spesso anche
artificiose, per inadeguata formazione del laico
stesso. Paradossalmente, riceve il maggior
contributo propositivo teorico finora dal
magistero pontificio. L’attuazione pratica è
dovere di tutti, secondo le proprie condizioni.

Alcuni presupposti antropologici per


la DSC

La DSC presuppone una visione


antropologica congruente con le affermazioni
fondamentali del Vangelo, ossia una
concezione dell’uomo che non escluda le
30

prospettive fondamentali della visione dell’uomo


proposta nel Vangelo. Certo, la filosofia è una
rigorosa visione fondata sulle potenzialità
razionali e non deve essere costruita a parte
post come velina del Vangelo; ma neppure così
angusta da impedire espressioni umane
autorizzate dall’autocoscienza umana e
dall’intera storia dell’uomo. Così ad esempio:
• non potrebbe mai una seria visione
filosofica dell’uomo prescindere dalla tensione
religiosa, visto che è interrogativo, se non
proprio qualificante esperienza, di tutti gli
uomini; nessuna onesta indagine razionale non
potrebbe vanificare questo dato inoppugnabile
o ridurlo ad una larva di se stesso.
• In ogni caso, una filosofia dell’uomo
riduttiva delle qualità caratteristiche o incapace
di adeguatamente riconoscerle non sarebbe
una visione compatibile con i dati teologici
irrinunciabili della DSC: nella riduzione operata
dalla concezione filosofica in questione viene
tagliata fuori la stessa possibilità della DSC.
Certo, la DSC presenta una tipica
esperienza umana ricchissima di dati
indiscutibili, di aperture profonde e sempre in
evoluzione, di sapienza umana che sarebbe
insensato e disonesto per l’antropologia
filosofica non ne tenerne debito conto. Non
sarebbe neppure scorretto aggiornare
un’antropologia sulla conoscenza sempre
nuova che la DSC in se stessa promuove. Ma
tant’è: ognuno fa quel che può anche nelle
sintesi antropologiche – e proprio in queste si
misura ancor di più l’inadeguatezza del
pensiero umano (la ‘miseria’ del pensare!), pur
non misconoscendo l’eminente grandezza e
originalità del pensiero nella vita umana. Va
aggiunto anche che ognuno è responsabile
dell’assenso che dà a prospettive riduttive e
parzialmente vere: la DSC si propone anche
come sponda di falsificazione di tante visioni
dell’uomo che nascono a tavolino e sono
sottoprodotti dell’ideologia sempre rinascente.
Per un orientamento appena appena
smagato in campo di antropologia filosofica,
bisogna rilevare l’estrema difficoltà di trovare
sintesi adeguate alla complessità della realtà
umana personale e sociale; di trovare sintesi
sempre aperte alla novità che l’essere umano
può presentare e che la relativa autoposizione
delle persone e delle società riesce a
31

promuovere in bene o in male; di trovare


prospettive non agilmente contaminate da una
delle tante interferenze della realtà intera
sull’esistenza della persona umana.
D’altronde, il mercato antropologico è
ricchissimo di teorie; la scelta deve essere
circospetta ed assai prudente, i proclami
pluralistici sono capziosi, spesso devianti e,
qualche volta anche deliranti; il confronto critico
sempre aperto e sempre revisibile; tenere tutto
quello che è buono; diffidare delle rigidità;
mettersi in onesta discussione; aspirare a
sintesi più complesse con il contributo di tutti …
Ma si è poi sicuri che una filosofia
antropologica congruente al vangelo sia poi
così vera e vantaggiosa? La domanda richiama
tutta la problematica del rapporto antropologia
filosofica – antropologia teologica e aprirebbe
un fronte di confronto vastissimo e digressivo.
Antropologia teologica non è altro che la
visione di uomo che deriva dall’insegnamento di
Gesù Cristo e dalle opzioni esemplari della sua
vita. Innanzi tutto, considero il metodo: parto da
una esperienza eccelsa di vita e ne
concettualizzo le strutture portanti genera-
lizzabili: non ci dovrebbe essere niente di
illecito e di scandaloso anche dal punto di vista
prettamente razionale in tale operazione
intellettuale. Sul piano, poi, della convenienza
concreta: se parto dalle forme di piena
valorizzazione della vita che sfiorano l’evidenza
a giudizio comune sincronico e diacronico come
capita per la vita del Signore Gesù, la
convenienza si impone da se stessa: piuttosto
che costruire su una prospettiva astratta ed
inverificabile, mi ancoro all’efapax (= caso
unico e perciò normativo) di una vita umana
vissuta divinamente bene.
In particolare, richiamo alcuni punti fermi
di una visione antropologica congruente a
quella evangelica. Per la trattazione è
giocoforza rimandare ai trattati di antropologia
teologica.
1. Il ‘valore’ trascendente dell’uomo,
2. la sua natura personale (teologicamente:
immagine di Dio; antropologicamente: dotato di
intelligenza, volontà/libertà ed amore)
3. la sua natura sociale (l’uomo diventa
l’originale se stesso tramite la relazione
interpersonale);
32

4. come intelligenza, è capace di verità,


che orienti una scelta morale ed un progetto di
vita;
5. di volontà e libertà di realizzarla; di
mobilitarsi fino al libero dono di sé; Dio conduce
il destino delle singole persone e della storia e
chiama ciascuno a collaborare al suo progetto.
6. come amore, si realizza solo nel dono di
sé e nella capacità di ricevere il dono altrui.

Effetti

“I documenti ufficiali del Magistero hanno


dato impulso ad una storia gloriosa di
promozione e di liberazione, in vari contesti
socio-culturali di ogni continente” (Osservatore
Romano, 4.11.2000, 7).
I documenti ufficiali magisteriali sono
stati una spinta a comprendere la situazione
dove per diversi motivi si era in ritardo.
Hanno rilanciato l’azione sociale, dove,
abbandonata a sé, era inadeguata e troppo
timida.
Hanno creato una coscienza sempre in
via di adeguamento della proposte evangeliche
di vivere la vita associata e della responsabilità
imprescindibile del contributo cristiano.
Hanno orientato tutti – cristiani e non
cristiani – verso diritti inalienabili della persona
umana, cioè verso ‘diritti umani’ ed oltre!

Indicazione di lettura:

TOSO M., Verso quale società? La dottrina


sociale della Chiesa per una nuova progettua-
lità, LAS, Roma 2000.

VECCHIO G., La dottrina sociale della Chiesa –


Profilo storico dalla Rerum novarum alla
Centesimus annus, In Dialogo, Milano 1992.

DE LAUBIER P., Il pensiero sociale della


Chiesa cattolica – Una storia delle idee da
33

Leone XIII a Giovanni Paolo II, Massimo,


Milano 1986.

SPIAZZI R., Enciclopedia del pensiero sociale


cristiano, Edizioni Studio Domenicano, Bologna
1992

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