Você está na página 1de 6

Evangelizzazione, libertà di coscienza e libertà religiosa.

La recente Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione della Congregazione per


la Dottrina della fede intende chiarire il rapporto tra il dovere dei credenti di aiutare gli uomini, con
la parola e la testimonianza, ad incontrare Cristo nella fede e il rispetto della coscienza e della
libertà religiosa di tutti.1 A causa di «una crescente confusione», molti ritengono «che ogni tentativo
di convincere altri in questioni religiose sia un limite posto alla libertà», e che «sarebbe lecito
solamente esporre le proprie idee ed invitare le persone ad agire secondo coscienza, senza favorire
una loro conversione a Cristo e alla fede cattolica» (n. 3). Ne consegue un indebolimento dello
slancio missionario sia «verso coloro che non conosco Cristo» sia «verso coloro che non seguono
più la prassi cristiana». Più in profondità, l’oscuramento è di ordine cristologico. Riguarda l’identità
e la mediazione salvifica del Figlio incarnato, l’offuscamento della verità cristiana irrinunciabile
che «la redenzione del mondo […] è, nella sua più profonda radice, la pienezza della giustizia in un
Cuore umano: nel Cuore del Figlio primogenito, perché essa possa diventare giustizia dei cuori di
molti uomini, i quali proprio nel figlio primogenito, sono stati, fin dall’eternità, predestinati a
divenire figli di Dio».2 «Tutto il cuore dell’uomo, infatti, attende di incontrare Gesù Cristo» (n. 10).
La confusione investe anche l’impegno ecumenico: le dimensioni dell’ascolto, del dialogo
rispettoso della verità e della carità e della discussione teologica sono separate dalla «testimonianza
e annuncio degli elementi che non sono tradizioni particolari o sfumature teologiche bensì
appartengono alla Tradizione della fede stessa» (n. 12).
Accogliendo e sviluppando alcuni contenuti e alcune argomentazioni della Nota nella
prospettiva dischiusa da tali verità, desideriamo mostrare perché l’autentico rispetto della coscienza
da parte dei credenti in Cristo non impedisce l’annuncio esplicito del Vangelo, ma lo esige.
Anzitutto è necessario indicare qual è la natura della coscienza, per intendere il significato autentico
e le esigenze concrete del rispetto che le è dovuto. Con il termine «coscienza morale» il Vaticano II
ha designato una realtà complessa. Non più in prima istanza la ‘voce’ di un ordine morale che
esprime le relazioni necessarie tra gli uomini e il loro rapporto con Dio a somiglianza dei rapporti di
necessità delle creature impersonali fra di loro e con il Creatore, ma la messaggera di Dio per

1
Nelle riflessioni che seguono considereremo direttamente la libertà e il rispetto della coscienza, dal momento che la
libertà religiosa ne è un caso specifico. Il supremo esercizio della libertà con cui l’uomo cerca «spontaneamente il suo
Creatore» e «tende al suo fine con scelta libera del bene» (GS 17: EV 1/1370) si radica nella profondità della coscienza,
là dove la persona è sola con Dio, fa esperienza della sua carità e perciò scopre la legge dell’amore di Dio e del
prossimo. La dignità e l’autenticità della libertà della persona sono poste in gioco nella coscienza, perché in essa
avviene l’incontro originario con Dio e con Cristo, e dalla sua rettitudine dipende l’allontanamento da ogni arbitrio (cf
GS 16: EV 1/1369).
2
GIOVANNI PAOLO II, Redemptor Hominis, n. 9: EV 6/1192. Abbiamo scelto questo testo cristologico perché la sfida
più radicale e bruciante che si presenta all’uomo tramite la coscienza e l’esperienza religiosa riguarda proprio la verità
salvifica, un avvenimento che investe tutta la persona, e non solo la verità come oggetto del pensiero (cf n. 4)
illuminazione interiore. Alla luce dell’intero contenuto del primo capitolo De humanae personae
dignitate della prima parte della Costituzione pastorale Gaudium et Spes, si deve affermare che per
il Vaticano II la coscienza indica la persona stessa nella sua attività propria e nel suo dinamismo.
Indica l’interiorità dell’uomo, la profondità nella quale incontra personalmente Dio, dialoga con lui
e diviene consapevole del suo orientamento essenziale all’amore del bene e della sua trascendenza.
La coscienza può essere compresa nella sua pienezza solo dentro le coordinate antropologico-
cristologiche fondamentali insegnate dal Concilio: il Figlio di Dio incarnato, morto e glorificato è la
chiave, il centro e il fine dell’intera storia umana; l’uomo riceve da Dio per creazione una chiamata
che in Cristo si compie definitivamente, così che in lui soltanto si riscontra il profilo definitivo della
vocazione originale; questa chiamata si compie negli uomini per opera dello Spirito Santo, nella
Chiesa sacramento di Cristo e mistero di comunione, e in dialogo con tutti gli uomini. 3 La coscienza
pertanto si presenta con tratti di natura personalistica, cristologica, ecclesiale e di apertura agli altri.
Si tratta di caratteristiche unite tra loro inseparabilmente a causa di Cristo. Alfa ed Omega, Capo e
Corpo, egli è sorgente e vertice di tutte le creature tanto sul piano della creazione quanto su quello
della redenzione e santificazione (cf Col 1,15-20; Ef 1,3-23). Ne segue che la coscienza morale,
nucleo più segreto e sacrario dell’uomo, va pensata e compresa nel legame di provenienza e
destinazione con il mistero di Cristo. Newman aveva colto ed espresso questa necessità con
chiarezza. «La coscienza non è un egoismo lungimirante, né il desiderio di essere coerenti con se
stessi, bensì la messaggera di Colui, il quale, sia nel mondo della natura sia in quello della grazia, ci
parla dietro un velo e ci ammaestra e ci governa per mezzo dei suoi rappresentanti. La coscienza è
l’originario vicario di Cristo, profetica nelle sue parole, sovrana nelle sue perentorietà, sacerdotale
nelle sue benedizioni e nei suoi anatemi».4
Il pieno rispetto della coscienza comporta il riconoscimento e l’alta considerazione della sua
vera natura: luogo interiore in cui si danno la presenza incoativa e la rappresentanza originaria di
Cristo profeta, re e sacerdote. Queste si spiegano per il fatto che l’uomo porta dentro di sé
l’impronta della Legge eterna e vivente di verità e perfezione, dell’Immagine degli attributi
inaccessibili di Dio, dello splendore del Figlio,5 e per l’amore eterno e gratuito di Dio che lo ha
predestinato ad essere suo figlio adottivo.6 Il Vangelo pertanto corrisponde propriamente alla natura

3
Cf GS 22: EV 1/1385-1390.
4
J. H. NEWMAN, A Letter addressed to His Grace the Duke of Norfolk on occasion of Mr. Gladstone’s Recent
Expostulation of 1874, London, B. M. Pickering, 1875 (Lettera al Duca di Norfolk. Coscienza e libertà, a cura di V.
Gambi, Milano 1999, 219). Per Newman, chi ci parla tramite la coscienza è il Legislatore e il Redentore, colui che ci
istruisce e ci guida attraverso i suoi rappresentanti visibili. Essere solus cum Solo nella interiorità e profondità della
propria coscienza non isola la persona, ma la dispone all’apertura e accoglienza in Dio di tutte le cose.
5
Cf J H. NEWMAN, Parochial and Plain Sermons, Ignatius Press, San Francisco 1997, 365.
6
Il legame dinamico di origine e di orientamento della coscienza dell’uomo con il mistero pasquale è l’oggetto del
nostro contributo «La coscienza morale filiale» al trattato Figli nel Figlio. Una teologia morale fondamentale, di
imminente pubblicazione.
della coscienza. Esso possiede un’energia che gli permette di entrare in rapporto con la coscienza,
di stabilire con essa una consonanza profonda.7 La legge che l’uomo scopre nell’intimo della sua
coscienza e che non è lui a darsi, ma alla quale deve obbedire e che lo chiama sempre ad amare e a
fare il bene e a fuggire il male,8 trova in Cristo sia «il ‘compimento’ vivo» che «ne realizza il
significato autentico con il dono totale di sé», sia colui che «dà mediante lo Spirito la grazia di
condividere la sua stessa vita e il suo stesso amore».9 L’evangelizzazione non costituisce alcuna
forma di prevaricazione sulla libertà della coscienza. Chi annuncia il Vangelo non impone nulla, ma
offre la luce che rileva e rivela Colui che nella coscienza da sempre è presente ma non conosciuto, è
udito ma non identificato, è cercato ma non mostrato manifestamente. Proprio in questa consonanza
si realizza compiutamente il rispetto autentico, il quale esige sia il riconoscimento e l’accoglienza
della vocazione propria di ogni persona sia l’aiuto a progredire nella sua maturazione e attuazione.
Fin qui abbiamo cercato di mostrare la legittimità e la convenienza dell’annuncio del Vangelo nella
prospettiva delle caratteristiche personale e cristologica della coscienza morale che il Vaticano II ci
ha aiutato a scoprire. Ora vogliamo mostrare la correlazione tra l’evangelizzazione e la coscienza
morale dal punto di vista dell’indole di apertura agli altri della coscienza.
Con questa riflessione non ci discostiamo dalle considerazioni svolte dalla Nota ma, restando dentro
la prospettiva propria della coscienza, riprendiamo alcune verità antropologiche espresse. Ci
riferiamo in particolare alla dichiarazione che «chi pensa di fare affidamento soltanto sulle proprie
forze, senza riconoscere il bisogno che ciascuno ha dell’aiuto altrui, si inganna. […] La necessità di
affidarsi alle conoscenze trasmesse dalla propria cultura, o acquisite da altri, arricchisce l’uomo sia
con verità che egli non poteva attingere da solo, sia con quei rapporti interpersonali e sociali che
egli sviluppa». (n. 5) Ricordando quanto il Concilio ha insegnato, si deve affermare che la ricerca
della verità in modo rispondente alla natura sociale dell’uomo si compie, oltre che per mezzo
dell’intelligenza e della volontà, soprattutto attraverso la coscienza. «Gli imperativi della legge
divina l’uomo li coglie e li riconosce attraverso la sua coscienza, che è tenuto a seguire fedelmente
in ogni sua attività per raggiungere il suo fine che è Dio».10 «Nella fedeltà alla coscienza» gli
uomini, indipendentemente dalla loro fede, lingua e cultura, sono spinti al dialogo tra loro e
all’unità, e si sforzano «per cercare la verità e per risolvere secondo verità tanti problemi morali,
che sorgono tanto nella vita dei singoli quanto in quella sociale». 11 Ne consegue che «l’attività con

7
PAOLO VI, Evangelii nuntiandi, n. 4: EV 5/1591.
8
Cf GS 16: EV 1/1369.
9
GIOVANNI PAOLO II, Veritatis Splendor, n. 15: EV 13/2570.
10
DH 3: EV 1/1049.
11
GS 16: EV 1/1369. Nella riflessione sulla ricerca della verità e nella lotta al relativismo e al fondamentalismo la
fedeltà alla coscienza meriterebbe più attenzione; cf F. MACERI, «Il ruolo della coscienza nel dialogo tra fede e ragione
secondo Newman: un aiuto per il superamento della tensione tra integralismo e nichilismo», in Euntes Docete, LIII/3
(2000) 139-151.
cui l’uomo comunica ad altri verità ed eventi significativi dal punto di vista religioso, favorendone
l’accoglienza» (cf n 7) non può considerarsi una mancanza di rispetto della coscienza, bensì è il
segno della piena stima della sua attitudine a cercare le risposte alle domande più profonde che
sgorgano dai singoli cuori, dalla varietà delle culture, dalle diversità degli uomini e dai loro
problemi. L’evangelizzazione è in consonanza con l’esigenza umana di formarsi una coscienza
retta. Si può obiettare che quello che si dovrebbe evitare non è tanto la proposta di ciò che si ritiene
vero per sé, quanto lo scopo prefissato che gli altri possano aderirvi a loro volta. Questa critica
implica un fraintendimento della realtà profonda dell’evangelizzazione. Essa è la comunicazione
viva del proprio incontro con Cristo nella fede. E’ nella natura di questo incontro di salvezza
accendere il cuore di chi lo sperimenta con un amore verso il prossimo che muove a ridonare
disinteressatamente ciò che gratuitamente si è avuto! Chi propone ad altri la Buona Novella che ha
ricevuto e accolto nella fede sente dentro di sé l’urgenza, il peso e la gioia del mandato missionario,
e ha sperimentato di non poter separare la propria salvezza dalla ricerca di quella altrui (cf 1Cor
15,1-3; 1Gv 1,1-4). «La Chiesa non fa della misericordia a lei concessa dalla bontà divina un
esclusivo privilegio, non fa della propria fortuna una ragione per disinteressarsi di chi non l’ha
conseguita; sì bene della sua salvezza fa argomento d’interesse e di amore per chiunque le sia vicino
e per chiunque, nel suo sforzo comunicativo universale, le sia possibile avvicinare». 12 Nell’opera di
evangelizzazione non c’è niente di presuntuoso e aggressivo, anzi la comunicazione del bene è
rispondente alla realtà antropologica (cf n.7).
La Nota suggerisce anche una riflessione sui vantaggi che l’evangelizzazione reca alla
coscienza dei suoi protagonisti. «L’evangelizzazione è una possibilità di arricchimento non soltanto
per i suoi destinatari ma anche per chi ne è attore e per la Chiesa tutta» (n. 6). Mettendo il Vangelo
in dialogo con gli elementi positivi e negativi delle culture, «essa può svelare delle potenzialità del
Vangelo poco esplicitate in precedenza, che arricchiranno la vita dei cristiani e della Chiesa» (ivi).
La coscienza del credente non è estranea a tutto ciò. Il dialogo della verità e della carità la apre
verso il centro del suo valore e significato cristiani, contribuisce alla sua formazione e la rende
luogo ancor più trasparente dell’incontro con la Trinità. Con il Padre, sorgente del pensiero, dei
primi elementi di ogni essere e della loro bontà; con il Figlio, nel quale e per il quale tutto è stato
creato ed è con gli uomini e in mezzo a loro con una presenza più gloriosa e potente di quando era
visibilmente sulla terra; con lo Spirito Santo, il quale perfeziona nelle varietà delle situazioni umane
il disegno del Padre compiuto una volta per sempre nel Figlio. Inoltre, partecipando all’opera di
evangelizzazione la coscienza del credente partecipa al compito della Chiesa di «scrutare i segni dei
tempi e interpretarli alla luce del vangelo» per «discernere nelle richieste e nelle aspirazioni, cui

12
PAOLO VI, Ecclesiam suam, n. 65: EE/775.
prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o
del disegno di Dio».13 Così consolida e arricchisce la sua dimensione ecclesiale.
Infine, trattando delle implicazioni ecumeniche, la Nota rileva che, esclusa ogni debita pressione e
sollecitazione disonesta, «se un cristiano non cattolico, per ragioni di coscienza e convinto della
verità cattolica, chiede di entrare nella piena comunione della Chiesa cattolica, ciò va rispettato
come opera dello Spirito Santo e come espressione della libertà di coscienza e di religione» (n. 12).
Accettando una tale richiesta la Chiesa cattolica riconosce ed accoglie la comunicazione della
testimonianza interiore della coscienza di una chiamata individuale da parte di Dio. Chi chiede di
essere ricevuto nella Chiesa cattolica non ha diritto a giudicare gli altri fratelli, né la Chiesa o la
comunità ecclesiale che intende lasciare. E’ una questione personale: Dio lo sta chiamando, ed egli
deve seguire la sua chiamata. Per questo motivo la Chiesa cattolica non deve respingerlo, però ha il
dovere di aiutarlo a verificare la chiamata e di accertarsi – per quanto le sia possibile - che la sua
richiesta non sia fondata su semplici preferenze, su entusiasmi del momento, su risentimenti e
biasimi verso le persone e le cose tra le quali si trovava, e neppure principalmente sulla mera
chiarezza razionale, ma su un senso del dovere, su un ordine della coscienza.14 Se escludesse o
scoraggiasse per principio la richiesta di ammissione da parte di un cristiano non cattolico,
rinunciando così ad un accompagnamento e discernimento schietti, la Chiesa non sarebbe rispettosa
della sua coscienza, ma assumerebbe nei suoi riguardi un atteggiamento di malcelata superiorità.

*****
Nell’attività di evangelizzazione l’inganno, gli interessi egoistici e l’arroganza si possono
affiancare, sino a sostituirlo, al movente originario della volontà divina di salvezza per tutti gli
uomini. Si viene così a mancare gravemente di rispetto alla dignità e alla coscienza degli altri (cf n.
8). Nella storia questo è avvenuto. Le molteplici trasgressioni e colpe del passato non devono dar
vita nei credenti di oggi al senso di colpa problematico, ma al senso del peccato. Il primo conduce
alla svalutazione dell’evangelizzazione, il secondo porta al pentimento e all’esperienza dell’amore
misericordioso di Dio che rinnova il cuore e trasforma il peccatore in ardente missionario: «Contro
te ho peccato… Purificami e sarò mondato… Insegnerò agli erranti le tue vie e i peccatori a te
ritorneranno» (Sal 51,6.9.15). L’evangelizzatore è un peccatore riconciliato da Dio (cf 2Cor 4,1).
L’intima consapevolezza di questa verità è la migliore garanzia della fedeltà al comando
missionario di Cristo unita al rispetto dovuto alla coscienza.
13
GS 4.11: EV 1/1324.1352.
14
Al riguardo l’esperienza di Newman è illuminante sia per chi chiede di entrare sia per la Chiesa che
accoglie, cf J. H. NEWMAN, Apologia pro vita sua. History of my religious Opinions, Longmans, London 1864
(«Apologia pro vita sua. Storia delle idee religiose dell’autore», in Opere, a cura di A. Bosi, UTET, Torino
1988).
Francesco Maceri S.I.
Prof. di Teologia morale
presso la Pontificia Facoltà
Teologica della Sardegna

Você também pode gostar