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A. Sashia Scalvini
Corso di Guida Turistica Siena 2010
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INDICE
Introduzione…………………………………………………………………….pagina 3
Conclusione……………………………………………………………………...pagina 12
Note……………………………………………………………………………….pagina 22
Bibliografia……………………………………………………………………….pagina 24
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Introduzione
La chiesa di San Domenico rappresenta un vero tesoro per il numero e la qualità dei dipinti che si
trovano all’interno della chiesa. Purtroppo è un luogo religioso che i visitatori attraversano in fretta,
quasi solo ed esclusivamente per vedere o contemplare la reliquia della sacra testa di Santa Caterina
da Siena. La collezione dei dipinti all’interno meriterebbe una visita più approfondita e spero con
questa ricerca di poter essere di aiuto a coloro che abbiano voglia di conoscere più a fondo il
patrimonio pittorico esistente nella chiesa.
Mi soffermerò più a fondo nella descrizione della pittura del Quattrocento dove ho intenzione di
discutere le posizioni di due importanti critici per quanto riguarda la pittura rinascimentale senese.
Questo punto mi interessa in particolare, perché la pittura rinascimentale a Siena non ha mai avuto
la stessa risonanza di quella fiorentina, anzi è da molti descritta come ritardata, chiusa, troppo legata
alla grande stagione del Trecento per potersi aprire a nuove esperienze. Le mie domande rispetto a
questo sono tante: I pittori del Quattrocento vivevano davvero con gli occhi chiusi o avevano già
registrato le novità per trasformarle nel gusto estetico senese? Il disinteresse per la pittura senese del
Quattrocento comincia forse con Vasari che prediligeva la ‘maniera moderna’ ? E’ legato alla
committenza? O riflette semplicemente il gusto senese che era - o che desiderava - essere diverso da
quello fiorentino?
Cercherò di rispondere a queste mie domande, nate dopo aver visto più da vicino la pittura senese
del ‘400. Pittori come il Sassetta, il Vecchietta e Francesco di Giorgio Martini che assolutamente
non sembrano chiusi e ritardati, anzi..e cercherò di capire perché non sono stati valutati a livello dei
contemporanei fiorentini. Mi baso principalmente sui scritti del Vasari, di Bernard Berenson, di
Cesare Brandi e di Carlo Del Bravo.
Anche se la mia indagine interesserà più approfonditamente la pittura del Quattrocento, trovo
importante discutere alcune opere del Duecento e Trecento, perché sono rappresentative della
grande stagione a cui i pittori senesi hanno continuato a fare riferimento.
“ME GUIDO DE SENIS – DIEBUS DEPINXIT AMENIS QUEM CHRISTUS LENIS NULLIS
VELIT ANGERE PENIS – A.D. MCCXXI”
(Mi dipinse, in giorni felici, Guido da Siena che Cristo non volle angustiare con alcuna pena. Anno
del Signore 1221)
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La data del 1221 fu in passato ritenuta eseguita dall’artista, ma tale data, anche se probabilmente
autentica, è ormai da tutti gli studiosi ritenuta non quella che indica l’anno in cui la tavola è stata
dipinta, ma invece una data che ricorda un’opera più antica. Potrebbe anche trattarsi di una
manipolazione posteriore. Il volto della Madonna sembra essere ridipinto intorno ai primi anni del
‘300, forse dovuta ad un maestro vicino a Duccio all’inizio del Trecento.
Il dipinto di Guido rivela una indubbia dipendenza dai modi di Coppo di Marcovaldo, che era
presente a Siena dal 1260. Ricordiamo che la “Madonna del Bordone” (2) fu dipinta da questo
artista fiorentino nel 1261, (3) prigioniero dei senesi a seguito della Battaglia di Montaperti, che –
secondo la tradizione – fu costretto a riscattarsi impegnandosi a dipingere la tavola per i senesi.
La pittura di Coppo lasciò forte impronta sui modi di Guido, che dipinse la sua Maestà di San
Domenico solo pochi anni dopo. L’influsso è riscontrabile in particolare nell’impostazione del
gruppo divino. La Madonna inclina la testa verso sinistra mentre fissa lo sguardo del fedele e Cristo
è seduto sul lato del suo cuore, sulla sinistra. Guido sviluppa il trono che è ‘incoronato’ da una
cornice trilobata e moltiplica la presenza degli angeli. (4)
La cuspide con Cristo benedicente circondato da due angeli, è anch’essa dipinta da Guido da Siena
La tavola è stata restaurata nel 2008.
Trovo importante iniziare il mio discorso proprio con una delle opere più significative della nascita
della pittura senese. E’ interessante notare che già dagli esordi troviamo un contatto con la pittura
fiorentina. Coppo di Marcovaldo aveva già dipinto un dossale che rappresenta San Michele
Arcangelo e storie della sua leggenda per la chiesa di Sant’Angelo a Vico l’Abate, territorio di San
Casciano e quindi punto di congiunzione culturale fra Siena e Firenze. Il dossale risale al periodo
tra 1255-1260 e quindi è probabile che Coppo fosse già conosciuto nell’ambito senese. In passato
venne perfino equivocato come appartenente alla scuola senese a causa della sua presenza a Siena.
Guido da Siena si è senza dubbio ispirato a Coppo, anche se oggi risulta difficile verificare
l’autentica somiglianza nel volto della Vergine, visto che tutte e due le tavole sono state ritoccate in
passato.
Nella “Madonna del Bordone” di Coppo, il viso della Madonna risulta forse troppo dolce in
confronto al suo stile che preferiva pennellate pastose poco sfumate, quasi tratteggiate. Il viso
attuale rappresenta invece un morbido sfumato ispirato a Duccio di Buoninsegna. La tavola fu
infatti ritoccata pochi decenni dopo da un artista senese.
Pietro Lorenzetti: Madonna in trono col Bambino che benedice un guerriero presentato
da San Giovanni Battista (ca. 1325)
Nel transetto, lato destro, seconda cappella, troviamo sulla parete sinistra della cappella un
frammento dell’affresco di Pietro Lorenzetti.
E’ un’opera databile ca. 1325 e assai importante per la storia dell’arte senese gotica. La critica la
attribuisce all’attività giovanile di Pietro Lorenzetti.
La gestualità e il dialogo tra i personaggi creati con il linguaggio delle mani ricorda il dipinto della
Madonna dei tramonti nella chiesa inferiore ad Assisi, dove Pietro Lorenzetti lavorò con aiuti tra il
1315 ed il 1320.
Nell’affresco di Assisi la Madonna indica con il pollice destro San Francesco, l’uomo degno della
benedizione di Cristo, mentre a Siena è San Giovanni Battista che con il pollice destro indica se
stesso come mediazione tra Cristo e il cavaliere.
Giorgio Vasari include sette pittori senesi nella prima parte delle Vite, cioè i pittori del Trecento.
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Questi sono Ugolino de Nerio, Pietro Laurati (Lorenzetti), Ambruogio Lorenzetti, Simone Sanese,
Il Berna, Duccio e Taddeo di Bartolo.
Sia Pietro che il suo fratello minore Ambrogio erano dunque considerati validi per Vasari.
Una cosa interessante da notare per quanto riguarda Pietro e Ambrogio è che tutti e due lavoravano
fuori Siena. Ambrogio realizzò perfino la sua prima opera conosciuta proprio per la chiesa di Vico
l’Abate a San Casciano dove aveva lavorato anche Coppo (5). La tavola che rappresenta La
Madonna col Bambino risale al 1319. Sembra probabile che Ambrogio rimanga nel territorio
fiorentino, perché è documentato che viene immatricolato nell’Arte dei Medici e Speziali nel 1327,
che da quella data include i pittori e della quale faceva parte anche Giotto.
Pietro era ad Assisi tra 1310-1320 dove partecipò alla decorazione della Basilica inferiore di San
Francesco. Ricordiamo in particolare la scena dell’Ultima Cena che ricorda il pulpito del Duomo di
Siena eseguito di Nicola Pisano.
Tutti e due dunque erano presenti ‘all’estero’ dove lavorarono per parecchi anni.
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LA PITTURA DEL IL QUATTROCENTO
Nel saggio I Pittori italiani del Rinascimento del 1930, Berenson sostiene che la scuola senese, con
la morte dei Lorenzetti, entrò in una decadenza da cui non riuscì più a sollevarsi. Sostiene che la
scuola senese ebbe ancora momenti che lasciavano sperare, ore di consunta bellezza, ma non più
quel rifluire d’energie senza di cui l’arte è condannata all’esaurimento. Secondo Berenson manca
nuova vita e parlando del Sassetta dice:
Sempre attraente, il Sassetta visse e operò come se Firenze fosse lontana non quaranta
miglia, ma quaranta milioni di miglia; e come se Masaccio e Donatello, Paolo Uccello e il
Castagno non fossero ancora usciti dal limbo dei non nati (8)
Il giudizio su Sassetta sembra troppo duro. Non so come Berenson abbia potuto sottovalutare
l’importanza del Sassetta nel primo Rinascimento senese e come poteva dire che “visse ed operò
come se Firenze fosse lontana non quaranta miglia, ma quaranta milioni di miglia”
Se prendiamo una tavola come la Madonna dell’Umiltà del 1435 (Museo dell’Opera del Duomo) in
considerazione è difficile credere che il Sassetta non abbia visto e si era ispirato al Masaccio. Il
bambino nudo ricorda il bambino nella pala Sant’Anna in Metterza (1424-25), conservato agli
Uffizi. Il robusto plasticismo del bambino e la nudità sono elementi nuovi nella tradizione pittorica
senese. Però, il Sassetta non abbandona la raffinatezza e l’eleganza che contraddistingue la
Madonna e si potrebbe concludere dicendo che l’artista ha saputo fondere aspetti propri dell’arte
senese (la grazia lineare e cromatica) con altri che richiamano l’arte fiorentina, come Masaccio
(evidente nel robusto plasticismo del Bambino)
Il fondere questi due stili non è necessariamente da condannare come chiusura e ritardo in confronto
alle innovazioni. Si potrebbe invece parlare di una ricerca di diversità? Tentare di distinguersi dalla
scuola fiorentina, senza però chiudere gli occhi alle innovazioni di Masaccio e Paolo Uccello?
Penso di si, e nella tesi di Cesare Brandi “Quattrocentisti senesi” trovo fondamento per questa mia
tesi: nell’Introduzione del suo trattato scrive:
“Ormai sono lontani i tempi in cui la critica trattava con degnazione gli isolati pittori senesi del
primo Quattrocento. Si evita la tentazione di chiamarli ritardati, e, per un Sassetta almeno, ci si fa
tanto di cappello” ( 9)
Brandi ha una valutazione molto diversa da quella di Berenson e cita in particolare il Sassetta come
uno dei più importanti artisti. Più tardi nel suo trattato, parla di “un abito formale inveterato” di cui
continuavano a vestirsi i pittori senesi e dice che:
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“Non è più pittura gotica e non è ancora Rinascimento. Di qui a ricadere giocoforza in un
generico giudizio di pittura ritardataria, il passo è breve”. (10)
Sembra probabile che potrebbe essere proprio quello che è successo per quanto riguarda la
valutazione dell’Arte senese nel Quattrocento, cioè che non è più gotica, ma nemmeno illuminata
dalla luce abbagliante che irradiava da Masaccio, Donatello, Paolo Uccello e Lippi e poi era facile
ricadere nel giudizio di uno stile ingenuo, di grazia campagnola, cristallizzato da un modello del
lirismo Martiniano o del poetica sublime di Ambrogio Lorenzetti.
Se torniamo un momento a Berenson, è interessante notare chi nomina quando parla dei pittori che
seguivano la nuova maniera.
Dopo aver parlato della scuola senese e la decadenza di cui entrò dopo la morte dei Lorenzetti, cita
Domenico di Bartolo che “tenta alla bell’e meglio di suscitare nuova vita, introducendo forme e
atteggiamenti che i grandi fiorentini avevano allora salvati dal caos, ma continuando dice che
“egli non sentiva il vero significato di coteste forme e atteggiamenti, connessi ai valori tattili e di
movimento”
Quello che manca, secondo Berenson, sono valori tattili e movimento.
Né Domenico di Bartolo né Sassetta dipingevano, secondo Berenson, alla nuova maniera che però
penetrò a Siena ed illuminò alcuni pittori:
“Ma sordamente, misteriosamente, le nuove immagini visive e il nuovo senso della bellezza, si
fecero strada e penetrarono anche in Siena, malgrado quelle mura accigliate. E il vecchio gusto
per la linea, per il lusso delle superfici e gli effetti rudimentalmente decorativi, si combinò ai nuovi
ideali. Alla nuova maniera, dipinsero il Vecchietta, Francesco di Giorgio e Benvenuto di Giovanni
; e a loro superiori: Matteo di Giovanni e Neroccio de’ Landi, i due principali maestri del
Rinascimento senese.” (11)
Tre di questi cinque pittori sono presenti nella chiesa di San Domenico, Francesco di Giorgio
Martini, Benvenuto di Giovanni e Matteo di Giovanni.
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Anche Carlo del Bravo, nella Scultura Senese del Quattrocento (1970) parla dei due angeli del
Duomo. Sono stati eseguiti nel 1490, con la collaborazione di Giacomo Cozzarelli, e sono posti sul
gradino inferiore dell’altare del Peruzzi. Sul gradino più in alto sono altre due angeli
reggicandelabri, pure in bronzo, plasmati da Giovanni da Stefano nel 1489 (l’ultima mirabile opera
del figlio del Sassetta)
Carlo del Bravo nota differenza tra i due angeli. Di quello di sinistra Del Bravo nota uno sfumato
più sottile e sfibrante di quello a destra.
Sostiene che Francesco di Giorgio avrebbe fatto quello a destra prima, cioè tra 1489-90.
Nel 1490 i documenti dicono che Francesco di Giorgio fu chiamato a Milano nel giugno e che là si
incontrò con Leonardo (nota: ricordiamo che Leonardo da Vinci possedeva un esemplare del
trattato dell’Architettura del Francesco di Giorgio che oggi è conservato nella Biblioteca
Laurenziana e riporta le note di Leonardo!)
Alcuni anni dopo, fra il 1495-1497 eseguì l’altro ‘Angelo’ che, secondo Del Bravo, ha caratteri più
moderni, più sfumato e perciò riferibile al contatto personale tra i due a Milano. (18)
Per tornare alla pala presente a San Domenico sarebbe proprio un’ispirazione dal contatto con
Leonardo – attraverso le due angeli del Duomo – fino agli angeli a sinistra sulla Pala Tancredi:
siamo proprio negli stessi anni: 1495-97
Anche Bernardino Fungai subentra – o si affianca – al pittore principale. A lui spetta la stesura
pittorica a olio dei due pastori a destra e di alcuni brani del paesaggio sullo sfondo.
Fungai completa anche la pala con una predella dopo la morte di Ludovico Scotti. Anche la predella
risente di artisti fiorentini come Ghirlandaio e Cosimo Rosselli. Ci sono cinque scene che
raffigurano:
Visione di Santa Caterina; Martirio di San Sebastiano; Strage degli Innocenti; Predica di San
Domenico; Santa Maria Maddalena in preghiera.
La Natività è un’opera notevole che sembra assumere tutte le esperienze acquisite nel campo
pittorico di Francesco di Giorgio.
In questo caso certamente Berenson non può dire che manca il movimento e nemmeno il valore
tattile. La tavola risente molte delle esperienze fiorentine e ricorda in particolare Filippo Lippi a
Prato, Botticelli nelle sue allegorie, Ghirlandaio nella Cappella Sassetti a Santa Trìnita per la
composizione e l’architettura in rovina e Leonardo nel paesaggio. La descrizione dettagliata risente
anche della pittura fiamminga. Concludendo: certamente non un pittore chiuso nella sua senesità. In
questo caso non avvertiamo nemmeno tanto che il linearismo ha preso il sopravvento sul volume. Il
volume c’è, reso anche con valore ‘tattile’
Trovo che sia un’espressione molto alta di cui si è parlato troppo poco. Meriterebbe molto più
attenzione.
Vasari ha inserito Francesco di Giorgio nelle ‘Vite’ e lo definisce Scultore e Architetto, qualche
volta solo scultor sanese.
Anche Cesare Brandi sottolinea più la capacità dell’architetto invece del pittore in Francesco di
Giorgio Martini. Dice che “anche nella Natività in San Domenico, che seppur Francesco di
Giorgio ha continuato ad aggiornarsi sul Botticelli e su Filippino Lippi, né evasione, ne rifusione è
avvenuta. Sembra piuttosto impegnato a naturalizzare a Siena il Botticelli o Filippino, e non a
lasciarsi vaccinare da loro.” (19)
Vasari lo descrive come nobile e di buoni costumi e come uomo che “faceva l’arte più per ispasso e
per piacere, sendo ben nato e di sufficienti facoltà dotato” (20)
Sostiene che merita che lodate e scritte siano le azione di Francesco di Giorgio (21)
Fu, secondo Vasari, eccellente e raro scultore e fa riferimento ai due angeli in bronzo sull’altare
maggiore del Duomo, più tardi ripreso anche da Carlo del Bravo come abbiamo visto.
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E’ difficile non essere d’accordo con Vasari quando si esamina il rilievo del Compianto, oggi a
Venezia. Un’opera di grandissima qualità che mostra la lezione imparata da Donatello, sia per
quanto riguarda la drammacità ed espressività che per quanto riguarda la tecnica dello ‘stiacciato’.
Donatello era già stato a Siena prima della nascita di Francesco di Giorgio.
Era nel 1423, mentre stava lavorando ai Profeti per il Campanile di Firenze che Donatello ricevette
una prima importante commissione fuori Firenze, venendo chiamato a partecipare alla decorazione
del fonte battesimale nel Battistero di Siena insieme ad altri sei artisti, tra i quali Lorenzo Ghiberti e
Jacopo della Quercia.
Fornì entro il 1427 il pannello in bronzo del Banchetto di Erode, che piacque particolarmente ai
committenti che richiedevano anche due statuette, la Fede e la Speranza per far parte della
decorazione del Fonte ( la Fede reca nella mano sinistra il calice liturgico, che simboleggia la
remissione dei peccati e la Speranza è priva di attributi e leva le mani e lo sguardo verso Dio.)
Donatello tornò trent’anni più tardi per la realizzazione della porta del Duomo. Risale a questo
periodo la statua in bronzo di San Giovanni Battista (1455-57), che però non è sicuro se la realizzò
direttamente a Siena o a Firenze. Lo lasciò senza il braccio destro, quando tornò a Firenze nel 1461.
Tre anni dopo, nel 1464 a Francesco di Giorgio venne commissionata dalla Compagnia di San
Giovanni Battista una statua in legno di San Giovanni Battista. Si è inevitabilmente ispirato a
Donatello e al suo San Giovanni Battista per il Duomo!
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Questo è anche il caso con la Pala Borghese che secondo gli studi di Seidel (1989, 1992), pone
l’accento sul ruolo dei committenti, nell’indurre Benvenuto ad adottare uno stile più aggiornato.
Ci sono elementi come i due serafini/cherubini ai lati della Madonna e le ali degli angeli che
reggono la tenda dietro il trono che fanno pensare ad un arcaicismo – se paragonati con la pittura
fiorentina degli stessi anni.
A Firenze lavoravano Botticelli, Ghirlandaio, Cosimo Rosselli e Leonardo ed il Trittico Portinari
giunse a Firenze nello stesso anno, precisamente il 28 maggio 1483 per essere collocato nella chiesa
di Sant’Egidio.
Ci sono però anche elementi che sono resi con consapevolezza delle innovazioni: il pavimento
marmoreo aiuta a creare l’illusione della profondità, e sembra davvero che l’artista avesse
padronanza della prospettiva, un fatto che vediamo anche nella lunetta dove Cristo si affaccia sulla
lastra marmorea del sepolcro.
Trovo deliziosi e carichi di espressione gli angeli, sia quelli che reggono la tenda dietro la Madonna
nella parte centrale e da quelli che sorreggono Cristo nella lunetta. Specialmente l’angelo alla
sinistra di Cristo che da dietro cerca di tirarlo su e forse anche di asciugargli la fronte o di
accarezzarlo.
L’unico punto debole con gli angeli – se vogliamo tener conto del concetto dell’imitazione della
natura – sarebbero le ali e la resa dei capelli.
Benvenuto potrebbe essere stato vincolato dalla committenza per il fondo oro, ché però non adopera
nella lunetta?
Nella stessa cappella dove si trova la pala Borghese, troviamo sulla parete di fronte la tavola
eseguita di Matteo di Giovanni che rappresenta ‘Santa Barbara in trono fra le Sante Maddalena e
Caterina d’Alessandria e nella lunetta sopra: Adorazione dei Magi (1478)
Secondo Torriti “è forse il capolavoro assoluto di Matteo di Giovanni” (nota: Torriti, p. 271)
Torriti parla di “una suprema luminosità, di una delicatezza del disegno ed una trasparenza
cromatica mai così intensa del grande artista senese” (26)
Sempre di Matteo di Giovanni troviamo nel transetto destro, terza cappella “Madonna in trono col
Bambino e ai lati San Girolamo e San Giovanni Battista”
Sono due opere deliziose e raffinate. Colpisce la ricerca dell’anatomia nell’opera con la Madonna
tra Santi Girolamo e Battista. Il petto nudo di Girolamo, il braccio destro e le mani sono rese con
approfondito studio dell’anatomia. Perfino il piccolo Cristo crocifisso sulla croce astile di Girolamo
segna un’anatomia fortemente delineate. Anche per quanto riguarda il Battista vale lo stesso
discorso.
Matteo era nato a Borgo Sansepolcro nei primi anni Trenta e attivo a Siena dal 1453 fino alla morte
avvenuta nel 1497.
Conosciamo poche notizie documentarie, ma sono rimaste molte delle sue opere pittoriche.
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Alla Pinacoteca ci sono ventotto opere, poi ha lavorato anche nell’oratorio dell’Istrice ed è stato
chiamato anche fuori, per esempio a Badia a Isola e a Pienza.
Le due ancone eseguite su commissione di Pio II (tra 1462 ed il 1463) per il Duomo di Pienza,
rivelano una certa inclinazione nei confronti della pittura fiorentina e, - in particolare - per le
ricerche anatomiche di Antonio del Pollaiolo.
La scuola senese, nonostante gli stimoli provenienti dal soggiorno in città dei miniatori Liberale da
Verona e Girolamo da Cremona, restò sempre il modello principale.
Numerose sono infatti le immagini della ‘Madonna col Bambino’ e in ognuna si manifesta una
grazia delicata e fragile, velata di dolce malinconia. Nella Pala di Santa Barbara tende a dimenticare
gli interessi prospettici in favore dei ritmi lineari del gusto locale. Le tre Sante sembrano più che
altro raffinate dame aristocratiche.
Detto questo, non mi sembra però giusto di non sottolineare l’originalità delle sue tre versioni della
Strage degli Innocenti presenti a Siena. Una è nel pavimento del Duomo, l’altra si trovo oggi a
Santa Maria della Scala e la terza è ai Servi.
E’ raro vedere una scena senese con tanto terrore, dramma, espressione e movimento.
A questo punto posso solo essere d’accordo con Berenson quando dice che ‘aveva un senso di
movimento che l’avrebbe portato alla vera arte’…ma quello che mancava per Berenson era la
dottrina formale.
Se Berenson con ‘la dottrina formale’ pensava a forme come vediamo nei bambini in fondo dietro il
cancello, posso solo essere d’accordo anche qua con lui.
Però, rimane un dipinto davvero unico, - anzi per Brandi è forse qua che Matteo di Giovanni
‘galleggia quasi solitaria sulle acque silenziose della pittura senese del Quattrocento.’
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CONCLUSIONE
Abbiamo visto che fin dall’esordio della pittura senese ci sono stati scambi culturali. Guido da
Siena fu influenzato da Coppo di Marcovaldo e Pietro Lorenzetti lavorò per dieci anni ad Assisi e
Ambrogio Lorenzetti lasciò la sua prima opera vicino a San Casciano nel territorio fiorentino dove
restò probabilmente per parecchi anni. Anche Andrea Vanni ebbe contatto con ‘l’estero’ e lasciò il
suo capolavoro a Napoli dove lavorò per la Regina. Per non parlare di Simone Martini che fu il
primo pittore italiano ammirato e chiamato a lavorare all’estero. Morì ad Avignone in Francia nel
1344.
Per quanto riguarda il ‘300 senese possiamo dunque concludere che nei casi analizzati non si
potrebbe sostenere la tesi di una chiusura o disinteresse fuori dell’ambito senese. Anzi; l’apertura è
evidente.
E’ interessante notare che i pittori del primo Quattrocento si orientano verso due poli.
Il Sassetta dipinge nel 1430 la tavoletta che raffigura “San Martino e il povero”. Qui vediamo una
chiara ispirazione dal Masaccio, in particolare nell’anatomia del corpo nudo del giovane povero..
Sembra che si sia anche ispirato ad un altro fiorentino, cioè Paolo Uccello come nel copricapo di
San Martino.
In un altro momento, il Sassetta, si orienta verso il gotico fiorito di Gentile da Fabriano, del quale è
esempio la tavola dell’Adorazione dei Magi. E’ proprio come rivedere Palla Strozzi con il falco ed
accanto il suo figlio Lorenzo. Tutti e due i dipinti si trovano alla collezione Chigi Saracini.
Il primo Quattrocento ha anche due importanti pittori che però sono interpreti del conservatorismo
senese: Sano di Pietro e Giovanni di Paolo.
Di Sano di Pietro abbiamo visto l’imponente Crocifisso nella cripta che rileva un interesse e una
ricerca dell’anatomia.
Di Giovanni di Paolo vorrei ricordare la Madonna dell’Umiltà (1435) conservata alla Pinacoteca
Nazionale. Un’atmosfera irreale, anatomia arcaica del bambino e nella Madonna riferimento a
Simone Martini.
Se facciamo un paragone con il Sassetta che nello stesso anno (1435) dipinge una tavola con lo
stesso soggetto, cioè ‘Madonna dell’Umiltà’ (Museo dell’Opera del Duomo), vediamo proprio la
grande disuguaglianza del primo Quattrocento. La Madonna dell’Umiltà del Sassetta cita –
specialmente nel bambino – il Bambino nel Sant’Anna Metterza (Uffizi) che Masaccio dipinse in
collaborazione con Masolino nel 1424. Solo i capelli del Bambino del Sassetta non si rifanno a
Masaccio!
Per quanto riguarda il secondo Quattrocento abbiamo visto la maestria disegnativa di Francesco di
Giorgio e la sua ispirazione che discende da Filippo Lippi e Botticelli.
Abbiamo visto come importanti critici d’arte come Berenson, Zeri e Carli evidenzieranno gli stretti
legami tra l’arte di Benevenuto di Giovanni e quella di artisti del nord Italia. Benvenuto è stato
sicuramente a Castiglione Olona dove aveva lavorato accanto a Masolino, ma potrebbe essersi
spinto anche fino a Padova e Venezia (27) e Cavalcaselle sottolinea i caratteri crivelleschi nella
Pala Borghese di Benvenuti di Giovanni (28)
Abbiamo anche visto che sia Benvenuto di Giovanni che Matteo di Giovanni sono probabilmente
stati indotti dai committenti ad adottare un determinato stile. (29)
Per quanto riguarda Matteo di Giovanni abbiamo visto le sue ricerche nel campo dell’anatomia, ma
vorrei in particolare ricordare la stupenda pala a Santa Maria della Scale ‘La Strage degli Innocenti’
che rivela il movimento, la tensione, il dramma ed il terrore. Un esempio unico!
Possiamo concludere che anche per quanto riguarda la pittura analizzata del Quattrocento, non si
possono sostenere ipotesi di una chiusura o disinteresse verso il mondo fuori dell’ambito senese.
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Penso che la risposta al disinteresse - o meglio - disattenzione verso il Quattrocento senese sia da
ricercarsi anche nel lento e difficile rapporto con la critica. Cercherò di sintetizzare la storia della
critica riguardo all’arte senese del Quattrocento:
La riscoperta della cultura artistica della Siena del Quattrocento inizia a partire della fine del
Settecento. Il primo a riconoscere all’arte senese un carattere originale nei confronti di quella
fiorentina fu Guglielmo della Valle (30)
E’ interessante la notazione che Firenze pare la regione dei pensatori e Siena dei poeti (p. 276) (31)
Nell’Ottocento si assiste ad un risveglio di interessi intorno alla vita artistica della città da parte di
eruditi locali che vi contribuiscono con approfondite ricerche. La Biografia, redatta da Ettore
Romagnoli intorno al 1835 fornisce la prima ampia trattazione relativa alle vite degli artisti senesi.
Anche I ‘Documenti sulla storia dell’arte senese’ (1856) di Gaetano Milanesi furono importanti per
il gran numero di documenti archivistici che lui riuscì a trovare, tra l’altro il documento che segnalò
la data del battesimo e la paternità di Benvenuto di Giovanni.
I primi a giovarsi delle ricerche archivistiche del Milanesi furono Giovan Battista Cavalcaselle e
Joseph Archer Crowe pur esprimendo riserve sull’arte senese del Quattrocento, vista sempre in
contrapposizione e in secondo piano rispetto alle coeve manifestazioni fiorentine (nota: Bandera, p.
8: mostrano per esempio interesse per l’arte di Benvenuto di Giovanni)
Insieme scrissero ‘A new History of Painting in Italy from the second to the Sixteenth Century’
(1864-1871), opera in 5 volumi.
Il Novecento vede importanti studi ed interessi da parte di Berenson, e più tardi, dello Zeri e del
Carli. Nel 1944 l’arte senese del Quattrocento trovò un momento importante rappresentato da due
studi fondamentali pubblicati dallo storico dell’arte brittanico John Pope-Hennessy (32)
Vorrei però soffermarmi un momento sulla posizione di un altro studioso del Novecento, Cesare
Brandi.
Nel 1949 Brandi riprende la nodale problematica dei rapporti tra Siena e Firenze dicendo:
Se allora, nel primo Quattrocento, si è assistito alla lenta e sospettosa assimilazione fiorentina: un
voluto restare ai margini, con qualche colpo di mano ben riuscito, e quasi con l’animus del
contrabbando; per la seconda generazione, si dà come una stabilizzazione di cultura, che consente
gli innesti più vari, e non solo fiorentini, ma così addomesticati nell’aura pittorica senese, che si
dura fatica a riconoscerli.
Tale è il caso di Benvenuto di Giovanni, questo ‘senese infedele’ che si rifà a Bennozzo Gozzoli,
anche se mimetizzato con Simone Martini, che fa pensare a “consanguinei ferraresi o lombardi”,
che mostra “infiltrazioni di Girolamo da Cremona” e che nelle opere tarde dichiara di conoscere
la pittura fiamminga. (33)
Brandi sostiene dunque che i pittori del primo Quattrocento avevano come modello i fiorentini, ma
che hanno voluto restare ai margini e non entrare del tutto e ‘quasi con l’animus del contrabbando’.
Per il secondo Quattrocento la pittura senese si stabilizza e consente influssi da diversi ambienti,
non solo da quello fiorentino. Vengono però sempre ‘addomesticati’ ad uso e gusto senese.
La vera grande differenza tra la scuola fiorentina e quella senese viene spiegata da Brandi come
segue:
Quest’aura pittorica si sviluppa poi per il fatto che il ritmo non s’impernia su una formulazione
plastica, come è ormai nella pittura fiorentina del secondo Quattrocento. Il plasticismo senese,
dalle confluenti vene di Domenico di Bartolo, del Vecchietta, di Sano di Pietro, si limita
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prevalentemente alla impalcatura statica dell’immagine, appartiene alla sostanza conoscitiva; il
pittore, dove può, ne fa a meno, per risolverlo in linea, o tutt’al più in stonatura marginale. Si
capisce allora come qualsiasi fermento, che provenisse o dal Lippi o dal Gozzoli o dal Pollaiolo, si
neutralizzasse, rendendosi a poco a poco inerte, perché privato sin dall’inizio della sua carica di
energia plastica. (34)
Brandi parla di un plasticismo senese, che dove può si risolve in linea. Il plasticismo che proviene
dal Lippi, dal Gozzoli e dal Pollaiolo si neutralizza e perde la sua forza per risolversi in linea.
L’apertura c’è stata nel Quattrocento senese, i viaggi, la curiosità di conoscere e imparare da altri
ambienti e gli innesti ci sono stati, ma è curioso che Brandi usi l’espressione ‘senese infedele’. Cosa
intende con questa espressione? Un pittore chiamato ‘senese infedele’ non può che essere infedele
verso il grande Trecento senese e la consapevolezza e l’orgoglio di essere stato il centro dell’arte
non è uguale ad essere chiusi.
Forse sarebbe più giusto parlare di una ricerca di personalità, di un tratto distintivo che non vuole
essere un’imitazione dei fiorentini.
Penso che potesse essere una delle cause, insieme al lento riconoscimento della critica (anche
locale!) e anche, in qualche caso, legato al conservatorismo della committenza locale, almeno fino
alla nomina a Papa di Pio II che tuttavia – pur prediligendo la cultura aggiornata espressa da Matteo
di Giovanni e del Vecchietta – non disdegnò affatto i pittori più ancorati alla tradizione come Sano
di Pietro e Giovanni di Paolo.
Vorrei concludere la mia ricerca come ho iniziato: con le parole di Bernard Berenson:
“Not what man knows but what man feels, concerns art. All else is science”
Se gli artisti e i concittadini senesi sentivano così forte l’identità intorno alle immagini di Duccio, di
Simone Martini e di Pietro e Ambrogio Lorenzetti che furono perfino citate nelle prediche di San
Bernardino (35) ciò dimostra soltanto la capacità dei pittori a muovere gli animi, di creare poesia e a
toccare i sentimenti dell’uomo. Questa è Arte non certo inferiore all’arte intellettuale dei fiorentini.
Come abbiamo constatato i pittori senesi non si chiudono agli impulsi innovativi di Firenze, non
sono ostili verso ogni novità, ma le novità devono essere compatibili con i modi della tradizione
senese.
Mi viene da fare un paragone: dal Rinascimento in poi, l’Arte occidentale ha continuato a fare
riferimento all’arte greca e romana, non sarebbe un ‘senese infedele’ nel Quattrocento se il pittore
non fa riferimento al grande Trecento senese?
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Il collocamento delle opere nella chiesa
Guido da Siena: La Maestà è collocata nel transetto sinistra, seconda cappella, sopra l’altare
Pietro Lorenzetti: Madonna col Bambino e guerriero presentato dal Battista è collocato nel
transetto destro, secondo (?) cappella, parete sinistra
Andrea Vanni: Ritratto di Santa Caterina da Siena è collocato nella cappella delle Volte, sopra
l’altare
Francesco di Giorgio Martini: La Natività è collocata sul lato destro della navata, sul muro esterno
della Sagrestia
Matteo di Giovanni: Santa Barbara in Trono tra Sante + lunetta con Adorazione dei Magi è
collocata nel transetto sinistro, seconda cappella, parete destra.
Benvenuto di Giovanni: Madonna in trono col Bambino tra angeli e Santi + lunetta con La Pietà è
collocata nel transetto sinistra, seconda cappella, parete sinistra.
Matteo di Giovanni: La Madonna in trono col Bambino e Santi Girolamo e il Battista è collocata
nel transetto destra, seconda cappella, parete destra
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APPENDICE
Biografia sui Pittori trattati
GUIDO DA SIENA (n. Siena, vissuto nel ‘200 – principale attività 1260-1270)
Guido è considerato il primo pittore di importanza nella pittura senese. Fu anche il primo a crearsi
una cerchia di seguaci, di importanza fondamentale per l’evoluzione pittorica a Siena.
Guido si basa sui modelli bizantini, ma riesce ad arrivare ad uno stile più elegante e meno stilizzato,
probabilmente anche per l’influenza di Coppo di Marcovaldo che era presente in città dopo la
battaglia di Montaperti.
Tra le altre opere che gli sono attribuite:
Maestà (San Gimignano, Pin.)
Madonna col Bambino (seguace di Guido da Siena, 1262, Siena, Pin.)
‘Madonna del Voto’ (ca. 1260), il centro di una tavola più grande andata perduta, che raffigura la
Madonna col Bambino, venerata dai senesi come appunto Madonna del Voto. Il dipinto si può far
risalire alla bottega di Guido da Siena ed è posto sull’altare della cappella detta ‘della Madonna del
Voto’ nel Duomo di Siena. Anche il nome di Dietisalvi di Speme è stato associato alla tavola.
Frammenti di affreschi (Cripta, scuola di Guido da Siena, secondo ‘200)
Trasfigurazione, Entrata in Gerusalemme, Resurrezione di Lazzaro – una delle prime pitture a noi
giunte eseguite su tela di lino (ca. 1270, Siena, Pin.)
Don Bartolomeo dell’Abbazia di San Galgano (copertina di una Biccherna del 1276, attribuita a
Guido da Siena
Madonna dei Mantellini (Chiesa del Carmine)
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Mostra influenze da Giotto nelle figure solide e ‘terrene’, ma pieno di preziosità nei detagli come il
tessuto scozzese che copre il letto, il cassone decorato, gli asciugamani ricamati e il bellissimo
ventaglio della visitatrice seduta accanto al letto.
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Non abbandona la linea ritmica di derivazione di Simone Martini, ma la rinnova con gusto sensibile
e personalissimo.
La sua produzione artistica fu molto vasta, ed è conservata non soltanto a Siena, ma anche in varie
collezioni italiane e straniere. La prima opera è considerata il polittico per l’Arte della Lana di
Siena (1423), un’opera purtroppo oggi smembrata, ma di cui si conservano alcuni pannelli nella
Pinacoteca Nazionale di Siena, tra cui L’ultima Cena e Sant’Antonio Abate bastonato dai diavoli.
La Pinacoteca conserva anche il Profeta Elia che ornava una delle due piramidone del coronamento
del Polittico. Il Profeta è qui presentato in abito carmelitano perché è patrono dell’Ordine dei
Carmelitani.
Nella collezione di Chigi-Saracini c’è l’Adorazione dei Magi (1428-29) che è un capolavoro per la
composizione armoniosa e per la bellezza dei colori. Nella stessa collezione sono anche la tavola
del San Martino che dona il mantello al povero e le tavole della Madonna piangente e del San
Giovanni piangente.
Nel 1430-32 gli viene commissionato dal Duomo di Siena una Madonna della Neve che attualmente
è conservata nella collezione Contini-Bonacossi a Firenze.
In un’altra collezione privata (Berenson) troviamo la deliziosa figura della Lussuria che si appoggia
ad un cinghiale in un mare verde, che simboleggia la sua instabilità e il peccato.
A Siena troviamo nella Chiesa di San Cristoforo un San Giorgio
L’opera forse più importante del Sassetta è il Polittico dei Francescani che, secondo Falorni, sta
alla pittura senese del ‘400 come la Maestà di Duccio sta a quella del ‘300. Il polittico fu eseguito
per la chiesa di San Francesco a Borgo Sansepolcro e la parte centrale è conservata nella collezione
Berenson a Settignano, mentre vari pannelli con storie di San Francesco si trovano nella National
Gallery a Londra e Musée Condé di Chantilly.
Vorrei qui ricordare il particolare delle Nozze Mistiche (Museo Condé) che mostra le tre virtù che si
levano in volo, mentre la Povertà, volge ancora un ultimo sguardo verso terra al suo sposo.
Il Sassetta morì nel 1450 e alla sua scuola si formano il figlio Giovanni di Stefano e molti validi
artisti come Giovanni di Paolo, il Vecchietta e Sano di Pietro.
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La miniatura proviene dal Monastero di Monteoliveto maggiore. E’ uno dei dipinti più antichi di
Francesco di Giorgio Martini. Il paesaggio ricorda il contesto fiorentino di quegli anni.
1470: Madonna col Bambino e Santi Pietro e Paolo, (Siena, Pinacoteca)
I Santi, più massicci, ricordano non tanto la scuola fiorentina, ma quella di Liberale da Verona. E’
però probabile che si tratti di una collaborazione tra Francesco e un certo ‘Fiduciario di Francesco’
1470-72: L’Annunciazione (Siena, Pinacoteca)
Stile molto vicino a Neroccio de’ Landi, con cui collaborò in quegli anni, ma presenta anche
richiami verrocchieschi. Il linearismo prende però il sopravvento sul volume
Anche il paesaggio risente del modello fiorentino.
Però malgrado i richiami all’arte fiorentina, prende il sopravvento il linearismo e non riesce a dare
pienezza del volume.
1474: Incoronazione, (Siena, Pin.)
Dipinto per Monte Oliveto Maggiore, costituisce uno dei testi di maggior interesse della pittura
senese dell’ultimo ‘400
Vi confluiscono i frutti dell’osservazione di opere nordiche e fiorentine (soprattutto Lippi, Andrea
del Castagno, Verrocchio e Ghirlandaio.
Una descrizione molto dettagliata illuminata da una luce chiara e trasparente.
Il linearismo non manca nemmeno qua, ma si condensa con una più morbida naturalezza soprattutto
sui volti.
La composizione in se tende al verticalismo, ma è interrotta al centro dall’emergere della
piattaforma sostenuta da angeli in veste che ricorda lo stile di Filippo Lippi a Prato (Duomo)
Sulla piattaforma si svolge l’azione principale. La composizione dimostra dinamismo e
movimento.
1475: Natività (Siena, Pin.)
Il dipinto fu eseguito per il distrutto monastero di Monteoliveto fuori Porta Tufi.
Era l’anno in cui Francesco di Giorgio, rotto il rapporto con Neroccio de’ Landi, si volge con nuova
determinazione a modelli extra-senesi: il paesaggio risente del Baldovinetti, la Madonna e gli angeli
risente di Filippo Lippi e i Santi di Liberale da Verona.
1476-77: Compianto su Cristo morto (Venezia, Santa Maria del Carmine)
Il rilievo proviene dall’Oratorio della Santa Croce di Urbino, passato poi a Milano con i francesi
alla fine ‘700 e donato a Venezia a metà del ‘800.
E’ un esempio di altissima importanza dell’attività di Francesco di Giorgio.
Lodato perfino da Giovanni Santi in alcuni versi di un poema nel 1490:
“[…] ma gradite/de lui le lode più che altre se spande;/ Possa de Istorie nel Bronzo scolpite”
La descrizione del compianto ha qui forte enfasi espressionistica che riprende con evidenza
Donatello, in particolare i pulpiti di San Lorenzo e la tecnica dello ‘stiacciato’
1490-95: Natività (Siena, San Domenico)
Opera matura del pittore che in questi anni aveva conosciuto Leonardo da Vinci a Milano.
La pala è composta dalla parte centrale con la Natività (Francesco di Giorgio); la lunetta con Cristo
in Pietà tra S. Michele e Santa Maria Maddalena (Matteo di Giovanni); la predella: cinque scene
attribuite a Bernardino Fungai raffiguranti: (da sinistra): Visione di Santa Caterina; Martirio di San
Sebastiano; Strage degli Innocenti; Predica di San Domenico; Santa Maria Maddalena in
preghiera
Sculture a Siena:
Due angeli reggicandelabro (1495-97, altare maggiore, Duomo)
Giovanni Battista (1464, Museo dell’Opera del Duomo)
Architettura civile:
Il Palazzo Ducale ad Urbino
Il Palazzo Ducale a Gubbio
Palazzo della Signoria a Jesi
Villa Le Volte a Siena
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Architettura religiosa:
Chiesa di San Sebastiano in Valle Piatta a Siena
Chiesa di Santa Maria delle Nevi (Via Montanini)
(con la facciata in travertino e con elementi decorativi: timpano, lesene e portale)
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Il suo allievo più famoso fu Girolamo del Pacchia.
Tra le opere migliori in Siena sono: le tavolette nel San Domenico (ca. 1497);
la pala con l’Incoronazione della Vergine per l’Altar maggiore della Basilica dei Servi (1501);
la pala d’altare con l’Incoronazione della Vergine nella Chiesa di Fontegiusta.
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NOTE
1) Lo stile bizantino
2) Il Bordone era il tradizionale bastone dei pellegrini
3) La tavola è firmata e datata
4) Gli angeli da Coppo sono 2 e da Guido da Siena sono 6
5) La tavola oggi si trova al Museo dell’Arte Sacra a San Casciano Val di Pesa
6) Nella ‘Pittura Senese’ è datato al 1390
7) ‘Pittura Senese’, p. 195
8) Berenson, p. 151
9) Brandi, Introduzione, p. 5
10) Brandi, p. 6
11) Berenson, p. 152
12) Torriti, p. 270
13) Peri, p. 23
14) Arte a Siena, p. 96
15) Brandi, p. 158
16) Angelici, Pittura Senese, p. 314
17) Angelici, Pittura Senese, nota 40, p. 319
18) Del Bravo, p. 100
19) Brandi, p. 158
20) Vasari, primo Volume, p. 415
21) Vasari, primo Volume, p. 415
22) Vittorio Peri, p. 28
23) Noto come San Girolamo o San Gerolamo o San Geronimo; fu il primo a tradurre la Bibbia
Dal greco ed ebraico in latino. Era il Papa Damaso I che, nel 382, si rivolse al suo segretario
personale, Sofronio Eusebio Girolamo (ca. 347-420) per una traduzione in latino. Girolamo
era dotato di una notevole preparazione letteraria latina (Cicerone in particolare) e greca.
Il lavoro iniziò con una revisione dei 4 vangeli sul testo greco originale (c’era bisogno di
una revisione visto che per il Vangelo di Luca, per esempio, si arrivò ad una stesura com-
plessiva di nen meno di 27 versioni, più o meno differenti tra esse!)
Nel 386 Girolamo si trasferì a Betlemme dove potè studiare la lingua ebraica ed aramaica.
A partire dal 390, si dedicò alla revisione dell’Antico Testamento, concludendo l’opera nel
405, dopo 15 anni di lavoro.
La versione è chiamata La Vulgata perché tradotto per il popolo.
Esistono diversi manoscritti della Vulgata originale di Girolamo. Tra questi è particolar-
mente degno di nota: Il Codex Amiatinus (datato inizio VIII secolo).
E’ la copia manoscritta più antica della Vulgata redatta da San Girolamo e si ritiene che sia
anche la copia più fedele al testo originale.
Per secoli è stato conservato nel monastero di Monte Amiata, ma dopo la soppressione
dell’Abbazia di San Salvatore per volontà del Granduca Leopoldo nel 1786, il Codex
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Amiatinus fu trasferito presso la Biblioteca Laurenziana in Firenze. Qui è conservato tutt’ora
e costituisce uno dei più importanti tesori della Biblioteca. E’ possibile vedero solo per
studio e se presentata una lettera da un professore universitario.
E’ composto da 1040 fogli di fine pergamena (sono stati usati 2000 capi di bestiame per
ricavare la quantità di pergamena richiesta!)
Misura 49 cm di altezza e 34 di larghezza e 18 di spessore. Il peso è 34 kg.
Un’antica copia del Codex Amiatinus è tutt’ora la Bibbia personale del Papa.
24) Berenson, p. 152
25) Cesare Brandi, p. 144
26) Torriti, p. 271
27) Bandera, p. 17
28) Bandera, p. 226
29) Bandera, p. 226
30) Fu il primo a proporre una distinzione tra scuola pittorica senese e fiorentina. Stimato
conoscitore d’arte e infaticabile ricercatore di documenti e testimonianze del passato
artistico senese. Fu autore delle ‘Lettere sanesi sopra le Belle Arti’ (1782-1786)
Fu autore anche di un commento alle Vite del Vasari.
31) ‘Lettera sanese sopra le belle Arti’, 1786 (ha scritto anche un commento alle Vite di Vasari
32) Nato a Londra nel 1913 e morto a Firenze nel 1994; uno storico dell’arte brittanico;
noto studioso del Rinascimento italiano; fu direttore di Vittoria e Albert Museum a Londra
e poi, sempre di Londra, a British Museum. A Firenze a Casa Buonarroti. E’ sepolto a
Firenze, cimiterio degli Allori, alle due strade (sepolta anche Oriana Fallaci).
33) Cesare Brandi, p. 143
34) Cesare Brandi, p. 143-144
35) Pierino, p. 80
36) Pittura Senese, p. 220
37) Pittura Senese, p. 221
38) Bandera, p. 63, nota 14; Pope-Hennesy, p. 162
39) Bandera, p. 19
40) La Caciorna nella guida ‘SIENA Duomo Battistero’ sostiene la data del 1460 a causa di
alcune finestre crociate, ivi rappresentate, introdotte a Pienza dall’architetto Bernardo
Rossellino solo a quella data.
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BIBLIOGRAFIA
Bandera Maria Cristina: Benvenuto di Giovanni, Federico Motta Editore Spa Milano 1999
Berenson Bernard , I pittori italiani del Rinascimento, BUR Rizzoli, RCS Libri, Milano 2009
Del Bravo Carlo: Scultura senese del Quattrocento, Editrice Edam, Firenze 1970
Seidel Max (a cura di), Da Jacopo della Quercia a Donatello – Le Arti a Siena nel primo
Rinascimento, Catalogo della mostra, Federico Motta Editore, Siena 2010
Tavolati Barbara (testi di), Siena, Museo dell’Opera, Dipinti, Silvana Editoriale, Milano 2007
Torriti Piero, La casa di santa Caterina e la Basilica di San Domenico a Siena, Sagep Editrice,
Genova 1982
Torriti Piero, Tutto Siena Contrada per Contrada, Bonechi, Firenze 2000
Vasari Giorgio, Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani (nell’edizione
Tormentino dal 1550), Einaudi Tascabili, Torino 1986
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