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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

La coscienza del crollo all'origine della coscienza

da Il crollo della mente bicamerale e l'origine della coscienza


di Julian Jaynes (Adelphi).

La coscienza è una parte della nostra vita mentale molto più


piccola di quanto abbiamo coscienza, perché non possiamo
essere coscienti di ciò di cui non siamo coscienti. (...) È come
chiedere a una torcia elettrica in una stanza buia di cercarvi
qualcosa che non sia illuminato. La torcia, vedendo luce in
qualsiasi direzione si rivolga, concluderebbe che c'è luce
ovunque. Allo stesso modo si può avere l'impressione che la
coscienza pervada tutta l'attività mentale, mentre in realtà non è
affatto così.

È molto più probabile che l'apparente continuità della


coscienza sia in realtà un'illusione, esattamente come la
maggior parte delle altre metafore sulla coscienza. Nella nostra
analogia della torcia elettrica, questa sarebbe cosciente di
essere accesa solo quando è accesa.

Spesso la coscienza non solo non è necessaria, ma può essere


del tutto indesiderabile.

Siamo stati indotti alla conclusione che la coscienza non è ciò


che noi generalmente pensiamo che sia. Essa non va confusa
con la reattività. Non interviene in una vasta moltitudine di
fenomeni percettuali. Non ha alcuna parte nell'esercizio di
abilità, di cui al contrario spesso ostacola l'esecuzione. Non
interviene necessariamente nel parlare, nello scrivere,
nell'ascolto o nella lettura. Non trascrive l'esperienza, come
molti credono. La coscienza non ha nulla a che fare con
l'apprendimento di segnali, né c'è alcun bisogno del suo

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intervento per apprendere abilità o ricavare soluzioni, cose che


si possono fare senza avere coscienza. Non è necessaria per la
formulazione di giudizi o di pensieri semplici. Non è la sede
della ragione, e anzi alcuni fra gli esempi più difficili di
ragionamento creativo fanno a meno della sua assistenza. Essa
inoltre non ha una localizzazione reale, ma solo ubicazioni
immaginarie. (...) Se i ragionamenti che abbiamo svolto finora
sono stati corretti, è possibilissimo che sia esistita una razza di
uomini che parlavano, giudicavano, ragionavano, risolvevano
problemi, che facevano in definitiva quasi tutto quello che
facciamo noi, ma che non erano affatto coscienti.

L'evoluzione umana non è un processo continuo semplice.


Nella storia umana, attorno al 3000 a. C., emerge una pratica
curiosa e molto notevole. È una trasmutazione del linguaggio
parlato in piccoli segni su pietra o argilla o papiro, così che la
parola possa essere non solo udita, ma anche vista, e vista da
tutti, non solo da quelli che potevano ascoltarla in quel
momento. (...) La domanda che ci poniamo ora è la seguente:
qual è la forma mentale rivelata dagli scritti più antichi
dell'umanità? (...) Nessuno di tali antichi documenti scritti è
compreso per intero. (...) Il primo testo della storia umana che,
essendo scritto in una lingua che sappiamo tradurre con
sufficiente sicurezza, possiamo considerare in connessione con
la mia ipotesi è l'Iliade. I moderni studiosi ritengono che questa
storia di vendetta intrisa di sangue, sudore e lacrime sia stata
sviluppata da una tradizioni di aoidoi (aedi) fra il 1230 a. C.
circa, quando, secondo inferenze tratte da alcune tavolette ittite
rinvenute di recente, ebbero luogo gli eventi descritti nel
poema epico, e il 900 o 850 a. C. circa, quando il poema fu
messo per iscritto. Io propongo di considerare il poema come
un documento psicologico di portata immensa. E la domanda

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che stiamo per porgli è la seguente: Che cos'è la mente


nell'Iliade?

Intermezzo che l'autore, invece, successivamente inserisce nel


testo, come confutazione a ipotetiche obiezioni:
Nelle tavolette ittite risalenti al 1300 a. C. si fa riferimento
chiaro al paese degli achei e al loro re Agamennone. Il catalogo
delle località greche che inviarono navi a Troia contenuto nel II
canto dell'Iliade corrisponde con precisione notevole al
modello di insediamento rivelato dall'archeologia. I tesori di
Micene sono stati riportati in luce da scavi condotti tra le
rovine sepolte dal fango della città. Altri particolari come gli
usi funerari, i tipi di armatura sono stati confermati da scavi ai
siti legati al poema. Non c'è nessun problema circa il
fondamento storico; l’Iliade non è un'opera letteraria, essa è
storia, radicata nell'Egeo miceneo. (...) L'accertamento di una
base storica, per tutti i manufatti menzionati nel poema, indica
però che gli eventi del XIII secolo a. C. devono essere stati
tramandati verbalmente da molti intermediari delle età
seguenti. (...) La storia è stata senza dubbio alterata. (...) Ci
sono due periodi generali durante i quali potrebbero avere
avuto luogo tali alterazioni della storia originaria: il periodo
della tradizione orale, dalla guerra di Troia al IX secolo a. C.
allorché fu creato l'alfabeto greco e il racconto epico fu messo
per iscritto, e il periodo successivo, caratterizzato dal possesso
della scrittura, fino al tempo dei filologi alessandrini del III e II
secolo a. C. che stabilirono il testo oggi esistente.

La risposta è interessante e insieme sconcertante. Nell'Iliade in


generale non esiste coscienza. Dico, in generale, perché in
seguito menzionerò alcune eccezioni. Perciò non vi compaiono
neppure parole per designare la coscienza o atti mentali. (...) La

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parola psyche, che in seguito passò a significare anima o mente


cosciente, designa, nella maggior parte dei casi, sostanze vitali
come il sangue o il respiro: un guerriero morente stilla la sua
psyche al suolo o la esala nell'ultimo ansito. Il thumos designa
semplicemente il movimento o l'agitazione. Quando un uomo
cessa di muoversi, il thumos abbandona le membra. Ma in
qualche modo è addirittura simile anche a un organo. (...) Il
thumos può dire a un uomo di mangiare, bere o combattere. (...)
Ma il thumos non è in realtà un organo e non è sempre
localizzato: un oceano infuriato ha thumos. Una parola di uso
in parte simile è phren, che è localizzata anatomicamente come
il diaframma, ed è usata solitamente al plurale. Sono le phrenes
di Ettore a riconoscere che suo fratello non è vicino a lui; il
significato delle phrenes è quello che esprimiamo con il restare
con il fiato sospeso per la sorpresa, con lo stupore...

Forse più importante è la parola noos, che, scritta nous nel


greco più tardo, venne a significare mente cosciente. La parola
deriva dal verbo noeo, io vedo. La sua traduzione più
appropriata nell'Iliade sarebbe più o meno, percezione o
riconoscimento o campo visivo. Zeus tiene Odisseo nel suo
noos. Vigila su di lui. (...) Il verbo mermerizo significa sono
diviso in due parti riguardo a qualcosa. (...) Sostanzialmente
indica un conflitto su due azioni, non su due pensieri. È un
verbo che si riferisce sempre al comportamento. Esso è usato
varie volte per Zeus, oltre che per altri.

Gli uomini dell'Iliade non hanno una propria volontà e


certamente non hanno alcuna nozione di libero arbitrio.

Una parola di cui si avverte similmente l'assenza nel linguaggio


dell'Iliade è quella per corpo. La parola soma, che nel V secolo

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a.C. Venne a designare il corpo, in Omero è sempre plurale e


vuol dire membra morte o cadavere. Essa è l'opposto di psyche.
Ci sono varie parole che designano diverse parti del corpo, e in
Omero il riferimento è sempre a tali parti, mai al corpo nella
sua totalità.

I personaggi dell'Iliade non hanno momenti in cui si fermano a


riflettere su ciò che stanno per fare.

Le azioni non trovano il loro inizio in piani, in ragioni e in


motivi coscienti, ma nelle azioni e nei discorsi degli dei.

Qual è la psicologia degli eroi dell'Iliade? Io sostengo che essi


non avevano alcun io. Il poema stesso non è opera di uomini
nel nostro senso. Le prime tre parole di esso sono Menin aeide
thea, Canta l'ira o dea! E l'intero racconto epico che segue è il
canto della dea che udì l'aedo posseduto e cantò ai suoi
ascoltatori dell'età del ferro tra le rovine del mondo di
Agamennone.
Chi erano dunque gli dei che muovevano gli uomini come se
fossero automi e che cantavano poesia epica attraverso le loro
labbra? Erano voci, le cui parole e le cui istruzioni potevano
essere udite dagli eroi dell'Iliade distintamente come le voci
udite da certi epilettici e schizofrenici o come le voci udite da
Giovanna d'Arco. Gli dei erano organizzazioni del sistema
nervoso centrale e li si può considerare come personae, nel
senso di forti presenze costanti nel tempo, amalgami di
immagini parentali o ammonitorie. Il dio è parte dell'uomo...

Il dio greco non appare tra scoppi di tuono, non suscita


soggezione o timore nell'eroe ed è lontanissimo da dio di
Giobbe. Egli semplicemente guida, consiglia e ordina. (...) Io

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sostengo che il rapporto fra il dio e l'eroe era simile - essendone


di fatto l'antecedente - al referente del rapporto tra Io e Super-io
in Freud o del rapporto del sé con l'altro generalizzato di Mead.
L'emozione più forte che l'eroe sente nei confronti del dio è lo
sbigottimento o la meraviglia...

Gli dei sono quelle che noi oggi chiamiamo allucinazioni. Di


solito essi sono visti e uditi solamente dagli eroi cui si
rivolgono. A volte si presentano avvolti da una nebbia o
emergono dalla spuma del mare o da un fiume, o scendono dal
cielo, cose che suggeriscono la presenza di un'aura visuale.

La guerra di Troia fu diretta da allucinazioni. E i guerrieri che


venivano comandati in tal senso non erano affatto simili a noi.
Erano nobili automi che non sapevano quel che facevano.

Il quadro che l'Iliade ci presenta è caratterizzato da un senso di


estraneità, di spietatezza e di vuoto. Non possiamo accostarci a
questi eroi inventando dietro i loro occhi fieri spazi mentali
come facciamo per ciascuno di noi. L'uomo dell'Iliade non ha
una soggettività come noi; non ha consapevolezza della sua
consapevolezza del mondo, non ha uno spazio mentale interno
su cui esercitare l'introspezione. Per distinguerla dalla nostra
mente cosciente soggettiva, abbiamo deciso di chiamare la
forma mentale dei micenei mente bicamerale.

La volizione, i progetti, l'iniziativa sono organizzati senza


alcuna coscienza e vengono detti all'individuo nel linguaggio
che gli è familiare, a volte con l'aura visuale di un amico a lui
caro o di una figura autorevole o di un dio, altre volte da una
semplice voce. L'individuo obbediva a queste voci allucinatorie
perché non riusciva a vedere da sé cosa fare.

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Le tavolette della scrittura Lineare B rinvenute a Cnosso,


Micene e Pilo furono scritte in periodo bicamerale. Note da
parecchio tempo, hanno resistito tenacemente agli sforzi dei
crittografi. Da poco decifrate, esse contengono una scrittura
sillabica, la forma più antica di greco scritto, usata solo per
scopi amministrativi, per la registrazione di documenti. Questi
testi ci forniscono un quadro, sommario, della società micenea
che si accorda con l'ipotesi della mente bicamerale: gerarchie
di funzionari, soldati o lavoratori, inventari di derrate, elenchi
di merci dovute al sovrano e agli dei. Il mondo della guerra di
Troia era una realtà storica molto più vicina alla rigida
teocrazia predetta dalla teoria che al libero individualismo
descritto dal poema. La struttura dello Stato miceneo è assai
vicina all'organizzazione dei contemporanei regni teocratici
della Mesopotamia. Nelle tavolette in Lineare B il capo dello
Stato è chiamato uanax, parola che nel greco classico è usata
solo per gli dei.

In questo periodo caotico in cui viene meno la mente


bicamerale e ha inizio la coscienza il poema riflette il crollo di
gerarchie civili sia lo sviluppo della soggettività accanto alla
forma mentale più antica. (...) Possiamo considerare l'Iliade
un'opera situata a una grande svolta dei tempi, una finestra su
quei tempi privi di soggettività in cui ogni regno era
essenzialmente una teocrazia e ogni uomo era lo schiavo di
voci udite ogni volta che insorgeva una situazione nuova.

Se è esatta la nostra ipotesi che le allucinazioni degli


schizofrenici sono simili alle direttive date dagli dei
nell'antichità, in entrambi i casi dovrebbe esserci qualche
stimolazione fisiologica comune. Io sostengo che questa

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stimolazione consiste semplicemente in una situazione di forte


tensione, di stress. (...) Nelle ere della mente bicamerale,
possiamo supporre che la soglia di stress per le allucinazioni
fosse molto più bassa di quanto non sia per gli schizofrenici di
oggi.

Udire è in realtà una forma di obbedienza. Entrambe le parole


derivano dalla stessa radice e in origine erano probabilmente
una stessa parola. Ciò vale in greco, latino, ebraico, italiano,
inglese, francese, tedesco, russo: il verbo obbedire è un
composto di ob e audire, udire stando di fronte a qualcuno.

La mente bicamerale è una forma di controllo sociale ed è per


la precisione quella forma di controllo sociale che consentì
all'umanità di passare dai piccoli gruppi di cacciatori-
raccoglitori alle grandi comunità agricole. La mente
bicamerale, con i suoi dei che esercitavano il controllo, si
evolse come fase finale dell'evoluzione del linguaggio. E in
questo sviluppo si pone l'origine della civiltà.

In origine parte di Akkad e poi, verso il 1950 a. C., della


Babilonia, a 300 chilometri più a sud, questa pacifica città
bicamerale appartenente al dio Assur, bagnata dalle acque del
Tigri, era rimasta piuttosto isolata. Sotto la guida del principale
servitore umano di Assur, la sua benigna influenza e la sua
ricchezza cominciarono ad espandersi. Più che in qualsiasi altra
nazione precedente, il principale carattere di questa espansione
fu lo scambio di merci con altre teocrazie. Quasi duecento anni
dopo, la città di proprietà del dio Assur divenne l'Assiria, con
centri di scambio lontani fino a 1100 chilometri a nord-est,
nell'Anatolia. (...) Tali scambi non costituivano però un vero
mercato. Non c'erano prezzi fissati dalla domanda e dall'offerta,

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né un'attività di compravendita, né denaro. Erano scambi sulla


base di equivalenze stabilite per decreto divino. (...) Cosa
accadeva alle voci bicamerali di questi mercanti a più di mille
chilometri dalla sorgente della voce del dio della loro città, e in
contatto quotidiano con uomini bicamerali governati da un
diverso pantheon di voci? (...) È possibile che qualcosa di
simile a una coscienza protosoggettiva si sia affacciata in questi
commercianti attivi ai confini di civiltà diverse? (...) Se è vero
che il potere degli dei, e in particolare di Assur, andò
indebolendosi in quest'epoca, questo fatto potrebbe spiegare il
crollo completo della città nel 1700 a. C., che diede inizio
all'età buia dell'anarchia assira, durata duecento anni.

Il crollo della mente bicamerale fu senza dubbio accelerato


dall'inabissarsi nelle acque del mare di buona parte delle terre
dei popoli dell'Egeo. Questo cataclisma di grandi proporzioni
seguì a un'eruzione, o a una serie di eruzioni, del vulcano
dell'isola di Tera. (...) La maggior parte di Tera e forse anche
una parte di Creta vennero a trovarsi bruscamente a 300 metri
sott'acqua. (...) Tutto ciò che si trovava a meno di tre chilometri
dal mare fu distrutto.

L'anarchia e il caos si propagarono di regione in regione sulla


scia delle invasioni. Che cosa possono dire gli dei in tanta
rovina? Che cosa possono dire gli dei, ora che la fame e la
morte sono più severe di loro, ora che genti tra loro sconosciute
si trovano faccia a faccia, e lingue strane vengono urlate a
orecchie incapaci di comprenderle?

I vari fattori che sono stati all'opera nella grande transizione


dalla mente bicamerale alla coscienza sono stati:

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1. l'indebolimento delle allucinazioni uditive in


conseguenza dell'avvento della scrittura;
2. l'intrinseca fragilità del controllo allucinatorio;
3. l'inefficienza degli dei nel caos degli sconvolgimenti
storici;
4. il postulare una causa interna nell'osservazione di
differenze negli altri;
5. l'acquisizione della narratizzazione dall'epica;
6. il valore di sopravvivenza dell'inganno;
7. una certa incidenza della selezione naturale.

Esaminiamo più da vicino cosa deve essere accaduto all'inizio


del crollo della mente bicamerale. Lo stimolo fisiologico delle
voci allucinatorie, tanto in un uomo bicamerale quanto in uno
schizofrenico del nostro tempo, è lo stress legato a una qualche
decisione o conflitto. Ora, man mano che le voci degli dei
diventano sempre meno sufficienti e udibili durante questo
caos sociale, possiamo supporre un aumento delle quantità di
stress necessarie per dare origine a voci allucinatorie. Quindi è
assai probabile che, quando l'organizzazione bicamerale della
mente cominciò ad allentarsi, lo stress decisionale in situazioni
nuove fosse molto maggiore che in precedenza, e che tanto la
sua intensità che la sua durata crescessero progressivamente
prima che si producesse la comparsa allucinatoria di un dio.
Tale aumento dello stress doveva accompagnarsi a una varietà
di concomitanti fisiologiche, mutamenti vascolari aventi effetto
di sensazioni di bruciore, brusche variazioni nella frequenza
della respirazione, tachicardia, reazioni che nell'Iliade sono
chiamate thumos, phrenes, noos, psyche, kradie, ker, etor. (...)
A queste parole che in seguito vennero a significare qualcosa di
simile alle operazioni della coscienza possiamo dare il nome di
ipostasi preconsce. Il termine ipostasi significa, in greco, ciò

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che è posto sotto a qualcosa. Le ipostasi preconsce sono i


fenomeni che vengono assunti come causa dell'azione allorché
non sono più manifeste altre cause. Queste sono sedi di
reazioni e di responsabilità che si presentano nella transizione
tra la mente bicamerale e la coscienza soggettiva.

Conclusione, per cui si salta l'esposizione:


L'Antico Testamento, pur essendo oscurato ancora da grandi
problemi storici che ne limitano l'attendibilità, rimane la nostra
fonte più ricca per la conoscenza del periodo di transizione.
Esso è essenzialmente la storia della perdita della mente
bicamerale, del lento ritrarsi nel silenzio degli ultimi elohim,
della confusione e della tragica violenza che ne seguono, e
della vana ricerca delle voci bicamerali tra i profeti finché non
se ne trova un sostituto nell'azione giusta.

Nota. Giacché la ricostruzione psicostorica, psicostoria è il


termine impiegato da Jaynes, vuole essere, almeno sembrare,
esaustiva, l'eccedenza di volontà di spiegazione finisce per
giustificarla in eccesso; ma, tra le pieghe di una gnoseologia
incerta, la prova che la filogenesi sia vera o no, assume una
scarsa, o comunque minore, importanza, se messa a confronto
invece con l'acuto valore predittivo della teoria - per le stesse
ragioni con cui l'autore la ritiene verificata - il cui esito,
involontario ma sicuramente degno di notevole attenzione, le
assegna una posizione di rilievo nella costruzione di una teoria
delle metamorfosi del capitale dopo la nihilazione.

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Addizioni e sottrazioni di fati

da Fato antico e fato moderno di Giorgio de Santillana


(Adelphi).

Il Fato antico.
Al di là dell'Egitto e di Babilonia, al di là dei Sumeri e delle
civiltà dell'Indo si comincia oggi a discernere i lineamenti
colossali di una vera astronomia arcaica, quella che fissò il
corso dei pianeti, che dette il nome alle costellazioni dello
zodiaco, che creò l'universo astronomico - e con esso il cosmo -
quale lo troviamo già pronto quando comincia la scrittura,
verso il 4000 a. C.

Per questo complesso di idee era stato proposto il nome di


astrobiologia, ma un nome più esatto potrebbe essere
aritmosofia astrale.

Fu proprio questo primo pensiero filosofico a fornirci


l'alfabeto, inizio per noi del tempo storico, ma che fu la
conclusione di una visione unitaria del cosmo il cui centro
appartiene al IV millennio a. C.

Non mancano i riferimenti a questa tradizione nella letteratura


classica, ma veniva presa dai filologi per mitografia
barocchesca, come in Apollodoro, Nonno Panoplita, Licofrone,
fin nei commentatori dotti come Ovidio nei Fasti, come
Macrobio e Marciano Capella.

Tutto il reale si impernia sulle potenze stellari: chi comanda il


mutamento sono i pianeti. Che gli dei antichi fossero in origine
i pianeti, questo ce lo dice Aristotele in un passo non

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abbastanza rilevato della Metafisica. Nei tempi arcaici o


protostorici, la funzione del sole sembra essere stata di
provvedere alla misura assoluta di tempo, quella che in Omero
riappare come la corda aurea. La potenza assoluta è negli dei
planetari, che si combinano in vari modi con le costellazioni
per presentare le varie configurazioni del potere. Così le stelle
dell'Orsa, che mai non tramontano, sono per così dire altre sedi
del potere degli astri mobili.

Le storie della creazione sono costruzioni intellettuali, ma non


intendono raccontarci davvero la creazione perché non c'è
creazione. Tutto è da sempre.

Che cosa si può scorgere di quel pensiero? Una visione


dell'universo come un ordine rigoroso, dominata da una
Necessità assoluta di natura matematica.

Nulla esiste, nel senso ontologico, se non quell'ordine che non


è tanto volontà degli dei quanto la loro natura stessa,
impassibile e inesorabile, portatrice di ogni bene e di ogni
male, inaccessibile alle preghiere e, come direbbe Varrone, di
parchissima misericordia.

La realtà, nel senso ontologico, è una, è quella regolarità della


macchina cosmica.

Excursus: Quando Marcel Griaule fece per primo parlare i


Dogon dell'Africa occidentale, stupì di esistenze così
completamente irretite in un pensiero cosmologico dalla
complicazione senza fondo. In una banda di 47 gradi nel cielo,
disposta ai due lati dell'equatore essi indicavano la terra abitata,
la zona entro cui si muovono il sole, la luna e i pianeti lungo lo

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zodiaco. Sono quelli i veri abitanti. L'uomo non è perché non


ha decisioni da prendere, Passivo, è un riflesso. Partecipa
dell'essere, in quanto celebra i miti ed esegue i riti. È forse
questa l'idea che precede la metafisica indiana. Ma senza un
essere proprio dov'è il Fato dell'uomo?

Nell'enorme epopea della Mahabharata, il Fato si riassume in


questo, che ogni grande impresa sembra destinata in ultimo a
fallire. (...) I cosiddetti miti storici si rivelano all'analisi
costruzioni astronomiche.

La Ragione è affidata al Numero. È, in fondo, l'universo


pitagorico, dove il Fato ultimo dell'uomo si esprime con il
ritorno alle stelle (ciascuno alla sua come è detto nel Timeo).

L'insistente ricerca arcaica si era sempre volta verso un anno


più grande, che chiudesse non solo i cicli lunisolari ma tutti i
cicli del cielo e riconducesse ogni astro al suo posto. (...) Tutti
gli indizi ci dicono che all'inizio della Storia si conosceva già la
Precessione degli Equinozi, per cui tutto lo zodiaco percorre un
ciclo lentissimo, di un grado ogni 72 anni, finché in 26900 anni
tutto si ritrova come prima.

Sul teatro del mondo ammascherate, come direbbe


Campanella, le figure si muovono secondo schemi preordinati
dal Fato.

In questo intrico di corsi e ricorsi, cicli e palingenesi senza


principio né fine sul quadrante del tempo, dove sempre secol si
rinnova in tutto o in parte, quel che sembra dominare è il
continuo ridimensionamento del mondo e degli eventi.

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Le piramidi a gradini di Caldea, l'arca del mito di Gilgames


come quella di Noè, la stessa Arca dell'Alleanza erano
documenti metrici intesi a conservare, oltre ogni catastrofe, i
dati fondamentali che mettevano l'uomo in rapporto con il
divino. E che non ci sfugga di vista la Torre di Babele. Non si è
stati giusti con i costruttori di Etemenanki (perché questo era il
suo vero nome) in quanto il racconto biblico è stato scritto dal
nemico. Ma adesso che abbiamo le tavolette cuneiformi
possiamo capire. Era una grande piramide a gradini, come le
altre ziggurat, e si direbbe che fu deciso di farne una somma
teologica. Si voleva eternare la scienza, fermare il tempo,
dominando il fato. (...) Non è l'ultima volta che l'umanità ha
cercato il Paradiso Terrestre e lo ha cercato nei modi più strani
e impensati. (...) Il dato storico di Nimrud, che Dante mette fra
i Giganti, si direbbe dunque che sia stato un primo tentativo di
unificazione scientifica.

Il fattore essenziale del pensiero arcaico sono proprio le misure


di tempo, da cui le unità spaziali sono ricavate. L'universo
celeste è un immenso scadenzario in cui ad ogni momento si
iscrivono scadenze critiche.

L'esperienza del fato come misura rigorosa, accompagna


l'uomo anche nella morte, dove il momento della dipartita è
parcamente misurato.

La precisione dava legge sia fisica che etica al cosmo. Chi


mancava all'appuntamento con il fato non poteva che accusare
se stesso.

Se l'universo è uno, non si possono scegliere unità arbitrarie


come facciamo noi: tutte le unità di misura sono strettamente

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interconnesse fra loro e con il tutto. Non c'è libertà, non c'è
gioco ad alcun livello, tutto è come deve essere, se è.

Dal tempo degli arcaici si erige una incastellatura di


corrispondenze, in cui i matematici ravviserebbero qualche
cosa come una matrice. In alto vi saranno i numeri puri, poi le
orbite del cielo, più giù le misure terrestri, i dati geodetici, poi
l'astromedicina, le scale e gli intervalli musicali, poi le unità di
misura, capacità e peso, poi la geometria, i quadrati magici e
psefismi, poi i giochi divinatori come gli scacchi e l'alfabeto, e
in fondo ci sarà l'alchimia.

In queste condizioni che cosa può significare la libertà


dell'individuo? I veri abitanti del mondo non siamo noi, sono le
potenze stellari. (...) Che ordine perfetto è quello che costringe
ogni cosa che vive a essere dolente, transeunte, mortale? Il
Timeo platonico porta l'impronta di questo dubbio
cosmogonico.

Un tempo, si disse, il sole e i pianeti si muovevano lungo


l'equatore celeste, non può essere che tutto non fosse
simmetrico e semplice; poi lo zodiaco si sghembò da una parte,
al sole toccò scendere e salire in cielo, si crearono le stagioni.
La serena immutabilità dei primi tempi era finita. (...) Dunque
ci deve essere stata una tragedia originale. Qui nasce l'idea di
un grande conflitto dei primi tempi, in cui venne dissestata la
fabbrica dell'universo. La sappiamo tutti, l'insurrezione di
Lucifero, la sfida lanciata dai Titani agli olimpi, lo sconquasso
che ne venne. La storia si ritrova in varie forme dovunque.

Quella caduta originale venne considerata la causa della fatale


polarità in tutte le cose, dell'eternità e della deperibilità, del

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potere e della decadenza, del buio contro la luce, dell'elemento


maschile e di quello femminile.

Se ci fu uno sregolaggio iniziale (la sghembatura del mondo, la


precessione degli equinozi), la cosa irrimediabile fu il
fallimento di Zeus o chi per lui nel tentare di rimettere le cose a
posto. (...) È la tristezza di Amleto: The time is out of joint. Il
Fato è segnato.

Sono gli dei che portano la colpa. Non per malizia ma per
limitata potenza.

Il Fato moderno.
Nel nuovo mondo autonomo, governato dalla ragione, è come
se il lume della ragione non ci fosse più per eccesso di
bagliore, quello che ci fa distinguere e scegliere. C'è quest'altra
riverberazione, in cui tutto si perde. Siamo giunti così a un
nuovo meccanismo del tempo, così lontano da quello antico, e
pur investito di un comando assoluto. (...) Esso non rappresenta
se non la Necessità delle cose, la logica della Storia e la logica
della tecnologia combinate in un solo potere. Con l'imporre
mutazione ininterrotta a un ritmo sempre più veloce, questa
Necessità ha fatto del tempo una continua catastrofe che non
consente riti. È adorata unanimemente, ecumenicamente, a
Oriente come a Occidente, e i suoi sacerdoti insegnano che è
immune da ogni ombra di colpa, dismisura o deviazione, da
ogni iniquità originale, poiché è la Ragione stessa in atto.

La metafora dell'arte, cioè la Méta-armonia: Le macchine


inutili di Jean Tinguely attirate dal fato moderno, cioè oscuro,
di de Santillana. Macchine non banali, dalla forma complicata

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e solida. Ma se si mette il congegno in moto, lo si può fare una


sola volta. Perché via via avvengono scoppi, scatti e
sgranamenti che smantellano la macchina, la quale in un quarto
d'ora è risolta nelle sue componenti sparse per terra. La
macchina sfasciata non si può ricostruire: è distrutta. Per la
trasparenza metaforica si addice il detto di Valery che Giorgio
de Santillana riporta: Niente di più misterioso di un fatto.
D'altronde alla nascita di Afrodite corrisponde l'emisfero
bianco abbagliante delle esplosioni nucleari, l'equivoco non fa
poco perché noi si possa fare a meno di amarlo.

Da: Il mulino di Amleto di Giorgio de Santillana e Hertha von


Dechend (Adelphi).

Amleto nasconde un passato di essere leggendario con


lineamenti predeterminati, preformati da miti annosi. Amleto è
circondato da un'aura numinosa. Fu tuttavia una sorpresa
trovare dietro la maschera una potenza cosmica antica che tutto
abbracciava: l'originario signore della vagheggiata prima età
del mondo. (...) L'Amlóði originale - tale è il suo nome nella
leggendaria saga islandese - manifesta le stesse caratteristiche
di malinconia e di elevato intelletto; anch'egli è un figlio votato
alla vendetta del padre, un proferitore di enigmatiche ma
inevitabili verità, uno sfuggente portatore di Fato che, una volta
compiuta la sua missione, deve cedere le armi e ridiscendere
nell'occultamento degli abissi del tempo ai quali appartiene:
Signore dell'Età dell'oro, Re nel Passato e nel Futuro.

Nelle rozze e vivide immagini delle popolazioni scandinave


Amlóði si distingueva per il possesso di un mulino favoloso
dalla cui macina ai suoi tempi uscivano pace e abbondanza. Più
tardi, in tempi di decadenza, il mulino macinò sale; ora, infine,

18
Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

essendo caduto in fondo al mare, macina le rocce e la sabbia


creando un vasto gorgo, il Maelstrom, ritenuto una delle vie
che conducono alla terra dei morti. Questo nucleo di immagini
rappresenta un processo astronomico, lo spostamento secolare
del sole attraverso i segni dello zodiaco che determina le età
del mondo, assommanti ciascuna a migliaia di anni. Ogni età
porta con sé un'Era del mondo, un Crepuscolo degli Dei: le
grandi strutture crollano, vacillano i pilastri che sostenevano la
grande fabbrica, diluvi e cataclismi annunziano il plasmarsi di
un mondo nuovo.

Altrove l'immagine del mulino e del suo proprietario ha ceduto


il posto a immagini più sofisticate, più aderenti agli eventi
celesti.

La tradizione dimostrerà che le misure di un nuovo mondo


dovevano essere tratte dalle profondità dell'oceano celeste e
intonate alle misure provenienti dall'alto, dettate dai Sette
Sapienti, come sono spesso enigmaticamente chiamati in India
e altrove, e che sono poi le Sette Stelle dell'Orsa...

A mano a mano che seguiamo gli indizi - stelle, numeri, colori,


piante, poesia, musica, strutture - scopriamo l'esistenza di una
vastissima intelaiatura di rapporti che interessa molti livelli. Ci
si trova all'interno di una molteplicità riecheggiante, ove ogni
cosa reagisce e ha un suo luogo e un suo tempo stabilito. È un
vero e proprio edificio, una specie di matrice matematica,
un'Immagine del Mondo che si accorda a ognuno dei molti
livelli, regolata in ogni sua parte da una rigorosa misura. È la
misura a fornire la controprova.

19
Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

Che le cose non siano più come una volta, che il mondo stia
chiaramente andando di male in peggio, sembra essere sempre
stata un'idea indiscussa di ogni epoca. Lo scardinamento del
Mulino è causato dallo spostamento dell'asse del mondo; il
moto è il tramite attraverso il quale si attua la distruzione.

Anche Esiodo e tutt'altro che chiaro per quanto riguarda le lotte


e i cataclismi antichi: Le Opere e i Giorni si limita a indicare
un susseguirsi di cinque età. Solo facendo convergere diverse
tradizioni si può costruire un quadro più coerente. Intanto
abbiamo un'età del mondo designata come prima di tutte,
quella in cui il Mulino produceva pace e abbondanza: l'Età
dell'Oro, detta nella tradizione latina Saturnia Regna, il regno
di Saturno, il Kronos dei Greci. Su questa figura indistinta e
sconcertante concordano in modo straordinario i miti di tutto il
mondo: Yama in India, Yima Xsaeta nell'Avesta antico-iranico,
Saeturnus e poi Saturnus in latino. Era il Signore della
Giustizia e delle Misure, come Enki fin dai tempi dei Sumeri,
come l'Imperatore (e legislatore) Giallo in Cina.

La macchina perfetta e onnipotente dei cieli avrebbe dovuto


produrre solo armonia e perfezione, il regno della giustizia e
dell'innocenza, fiumi ove scorrono latte e miele. Così fu infatti;
ma quel tempo non durò. Perché ebbe inizio la storia? La storia
è sempre terribile. I filosofi da Platone a Hegel ci hanno offerto
la loro elevata risposta: al puro Essere si opponeva di necessità
il Non-essere e il risultato fu il Divenire.

Vi sono state forze che hanno operato iniquità in segreto, forze


che appaiono ovunque e che vengono regolarmente denunciate
come prepotenti o inique. Ma queste forze non sono inique fin
dal principio: diventano prepotenti nel corso del tempo. È il

20
Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

Tempo, solo il Tempo, che trasforma i Titani, già sovrani


dell'Età dell'Oro, in operatori di iniquità. Sarà l'idea di misura,
dichiarata o implicita, a mostrare il delitto fondamentale di
questi peccatori: l'aver oltrepassato o transgredito il grado
preordinato, e ciò viene inteso alla lettera. (...) E questo fatto
era destinato a ripetersi quando le generazioni future avrebbero
costruito vie proibite verso il cielo, oppure una torre che fosse
risultata troppo alta. L'unica salda misura, la corda aurea
dell'anno solare, viene tesa fino a deformarsi
irrimediabilmente. Gradatamente il sole equinoziale era stato
estromesso dal segno occupato nell'Età dell'Oro e si era diretto
verso condizioni e configurazioni nuove. Ecco l'evento
spaventoso, il delitto inespiabile attribuito ai figli del Cielo:
avevano spinto il sole fuori posto, ed ora esso era in
movimento, l'universo si era guastato e nulla, nulla sarebbe mai
ritornato al proprio giusto posto.

Quale arco di tempo abbracciava il mondo arcaico all'interno


della nostra struttura? Ne abbiamo posto l'inizio in epoca
neolitica, senza determinare un terminus post quem: che siano
gli studiosi di preistoria a decidere. Il sistema astronomico
sembra considerare l'Età dell'Oro, l'Era di Saturno, già mitica
nel senso proprio del termine. Possiamo dunque affermare che
esso si formò intorno al 4000 a. C., e che esso durò fino alla
protostoria e oltre. La spaventosa perdita di sostanza subita
dalla tradizione nel corso del Medioevo ellenico (lo stesso
accadde in Egitto prima del Regno Medio) ha aperto una
lacuna quasi totale tra quelle epoche e la cosiddetta antichità
classica; ne rimase però abbastanza per garantire una certa
continuità con quegli antenati che Platone e Aristotele
chiamavano gli uomini vicini agli Dei e che tali furono
considerati fino al nostro Rinascimento.

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

Quando finì il mondo arcaico? Vi sono molte testimonianze di


questo sconvolgente mutamento. Verso il 60 d. C. Plutarco,
autentico spirito pagano, si domandava perché gli oracoli
avessero cessato di dare responsi, e appunto in questa
occasione raccontò la storia della voce sorta dal mare che
annuncia al pilota egiziano: Il grande dio Pan è morto.

La grande tela del tempo ciclico venne danneggiata


irreparabilmente dalla dottrina dell'Incarnazione, ma non si
squarciò tutta d'un tratto. La credenza nel Secondo Avvento,
diffusa in ambiente cristiano, mantenne a lungo integro il
tempo.

Con l'Editto di Teodosio del 390 d. C., l'avvento della


rivoluzione cristiana, contrassegnata in così tanti modi dal
segno del Pesce, era destinato a essere un mutamento così
profondo che Plutarco ne sarebbe rimasto sbigottito. Era la fine
della Parche, le dee che vivevano il Fato. Il canto di Lachesi
era stato messo a tacere.

22
Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

Bilogica

Da: Pensiero, mondo e problemi di fondazione (Introduzione a


L'inconscio come insiemi infiniti di Ignacio Matte Blanco) di
Pietro Bria (Einaudi).

Punto di partenza e centro della ricerca di Ignacio Matte


Blanco è il concetto freudiano di inconscio, asse portante di
tutta la riflessione di Freud sulla mente e alla base delle sue
rivoluzionarie scoperte epistemologiche e cliniche.

Matte Blanco utilizza il termine cornice di riferimento al posto


di quello di teoria perché lo trova in contatto più diretto con la
realtà che cerca di inquadrare.

Freud non si dimostra esplicitamente interessato a formulare le


leggi logiche che sottendono le lacune nella sequenza di
avvenimenti psichici come si trovano nel materiale onirico, dal
momento che il modello cui egli si ispira prevalentemente nello
studio e nella descrizione degli avvenimenti mentali resta
quello energetico, che è legato alla dimensione sazio-
temporale. (...) Eppure non si può negare l'esistenza di una
cornice logica di riferimento costantemente presente nella sua
opera accanto alla cornice di riferimento di tipo energetico.

Matte Blanco ha individuato nella descrizione freudiana alcune


fondamentali caratteristiche logiche che dal momento che il
sogno risulta essere la via regia verso la conoscenza delle
attività inconsce della mente si vanno ad aggiungere alle ben
note cinque caratteristiche del sistema inconscio.
1. Copresenza di contraddittori.

23
Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

2. Scompiglio della struttura del pensiero. Assenza di


relazioni.
3. Copresenza di pensiero e non-pensiero.
4. Alternanza tra assenza e presenza di successione
temporale.
5. Nesso logico rappresentato come simultaneità spazio-
temporale e causalità come successione. Entrambi
alternati con dissoluzione-confusione.
6. Equivalenza e congiunzione di alternative.
7. Equivalenza e congiunzione di contrari e contraddittori.
8. Somiglianza: la relazione privilegiata.

Il tentativo di Matte Blanco è quello di riformulare in termini


logici precisi e alla luce dei fatti clinici le cosiddette
caratteristiche del sistema inconscio, che nella descrizione
freudiana risentono di una certa ambiguità insita nel concetto
stesso di inconscio, e di trarre da esse tutte le conseguenze
logiche, soprattutto per ciò che riguarda le relazioni con la
coscienza e con il pensiero cosciente.

In Freud è presente l'inconscio come struttura accanto


all'inconscio contenutistico costituito dal rimosso. (...)
Naturalmente tutto ciò non è esplicito.

Se l'inconscio è, nei suoi aspetti essenziali, una struttura in che


cosa questa struttura si differenzia dalle ben note strutture
logiche del pensiero cosciente che si uniformano alle leggi
della logica ordinaria o semplicemente bivalente.

Matte Blanco risolve le cinque caratteristiche dell'inconscio di


Freud in due principi logici fondamentali:

24
Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

• Il principio di generalizzazione per cui l'inconscio tratta


una cosa individuale come se fosse un membro o
elemento di un insieme o classe che contiene altri
elementi; tratta questo insieme come sottoinsieme di un
insieme più generale e via dicendo.
• Il principio di simmetria per cui l'inconscio tratta la
relazione inversa di qualsiasi relazione come se fosse
identica alla relazione. Ciò implica che tratta le
relazioni asimmetriche come se fossero simmetriche.

Il principio di generalizzazione è il rappresentante della logica


bivalente e si traduce nella costituzione di classi logiche
sempre più ampie, infinitamente più ampie.

Corollari del principio di simmetria sono: la scomparsa del


concetto di successione e quindi di quello di spazio e di tempo,
l'identità tra la parte propria e il tutto e il non rispetto del
principio di non-contraddizione, all'aspetto differenziato e
diviso del pensiero/mondo si sostituisce una tendenza
all'omogeneo e all'indiviso.

L'intreccio tra logica simmetrica e logica bivalente per cui un


processo di pensiero in alcuni suoi anelli rispetta le leggi della
logica bivalente e in altri quelle della logica simmetrica dà
luogo a un particolare processo detto per l'appunto bi-logico, la
cui struttura prende il nome di struttura bi-logica.

La descrizione in termini di logica bivalente del modo di essere


simmetrico (soprattutto il fondamentale corollario dell'identità
tra la parte e il tutto) conduce Matte Blanco al concetto
matematico di insieme infinito, quell'insieme nel quale il tutto e

25
Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

la sua parte propria hanno lo stesso numero cardinale o potenza


(definizione di Dedekind).

Le strutture bi-logiche sono inaccettabili per qualsiasi pensiero


che adopera solo la logica bivalente poiché violano le sue leggi
e pertanto esse possono prosperare solo in uno stato (inconscio)
dissimulato, anche se questo stato non toglie nulla al loro
potere.

Questa visione dell'inconscio è sottesa da una visione più


generale dell'essere psichico dell'uomo come intreccio costante
e inevitabile tra due fondamentali modi d'essere: uno strutturato
in accordo con le leggi della logica ordinaria, il modo d'essere
del pensiero cosciente, modo d'essere asimmetrico, eterogenico
e dividente e l'altro, modo d'essere simmetrico, omogeneo e
indivisibile. (...) Sono due aspetti inestricabili dell'essere
psichico e, forse, del mondo, di cui l'essere psichico è parte.

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

Dialettica

Da: Il desiderio e la lotta (saggio introduttivo a La dialettica e


l'idea della morte in Hegel di Alexandre Kojève) di Remo
Bodei -Einaudi).

L'essere che è in procinto di divenire uomo avverte un bisogno


ulteriore, oltre al desiderio puramente animale, moltiplicato per
quanti sono gli uomini che incontra: che il suo desideri si
trasformi in desiderio di desiderio. Occorre che l'altro lo
riconosca come titolare di un desiderio mediato, restituito,
riflesso in sé. A tale scopo ciascuno deve affermare se stesso,
negando ogni immediatezza naturale, mettendo in gioco la
propria vita e quella degli altri, sollevandosi al di sopra
dell'autoconservazione animale per costringere l'Altro a
riconoscerlo, per impadronirsi del suo desiderio e piegarlo al
proprio.

Il desiderio di riconoscimento, indirizzandosi verso un altro


desiderio, accetta il rischio estremo, la morte. Secondo uno
schema imperniato sulla relazione di coppia, succede però che
uno dei due contendenti rinunci, per paura, a portare la lotta
alle estreme conclusioni e si sottometta all'altro in cambio della
conservazione della vita. Il primo diventa in tal modo il servo
(in tutta l'ambiguità della doppia etimologia tradizionalmente
attribuita al termine, da servire e da servare); il secondo si
trasforma in padrone.

In questo rapporto diseguale, ciascuno vive in funzione


dell'altro. (...) Il riconoscimento della superiorità e
dell'inferiorità reciproca è inoltre condiviso. (...) Ma proprio
per questo la verità della coscienza del signore è il servo.

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

È probabile che nell'elaborare questa posizione Kojève abbia


tenuto presente il Saggio sul dono di Marcel Mauss, apparso
nel 1923-24. (...) Il senso del discorso di Kojève si chiarisce
nelle sue implicazione profonde considerandone gli sviluppi in
tre autori: René Girard, Jacques Lacan e Georges Bataille.

Per Kojève, il servo si riscatta, infine, perché attraverso


l'angoscia è costretto a provare quel sapore della morte che in
precedenza aveva voluto evitare. Di fronte alla solidità
dell'esistenza del signore, il suo mondo si disgrega e si
vanifica. Il lavoro, liberando il servo dalla Natura, lo libera
anche da lui stesso, dalla sua natura di servo; lo libera dal
signore.

Nota. R. Bodei cita una frase di Kojève, per denigrarne il


contenuto ingenuo: La Storia ha termine quando l'uomo non
agisce più nel pieno senso della parola: ossia non nega più, non
trasforma più il dato naturale e sociale con una lotta cruenta e
un lavoro creatore. E l'uomo cessa di farlo quando il reale gli
ha dato piena soddisfazione, realizzando completamente il suo
desiderio. Bodei sopravvaluta il carattere di apparente
grossolanità della frase che cela un aspetto non compreso,
sanzione di un contenuto più sfuggente di quanto ha creduto,
che accomuna le teorizzazioni della fine dalla Storia, che il
divenire presente della cosiddetta soddisfazione del desiderio
non fallisce di realizzare. Sono le teorie che premono per
qualche realizzazione che concluda un processo millenaristico
a non essere comprese.

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

All’ingresso della legge

Da: Icone della legge di Massimo Cacciari (Adelphi).

La porta sta sempre aperta; anche il guardiano si è tirato da


parte, così che il contadino può affacciarsi e guardare
all'interno. Potrebbe entrare, se vuole, malgrado il divieto del
guardiano. Il contadino potrebbe sempre sorpassare di corsa il
primo guardiano, ma già la vista del terzo non la potrebbe più
reggere, dovrebbe subito fallire, tornare sui suoi passi, tacere.

• Nota. Potrebbe non reggere la vista del terzo guardiano,


ammesso che lo voglia guardare, ma che debba per ciò
tornare indietro e tacere, questo non è affatto stabilito.

Il contadino, che non si attendeva questa difficoltà, preferisce


attendere, anzi decide (egli può dunque decidere!) di attendere
che gli sia concesso il permesso di entrare.

• Nota. Può darsi che questa difficoltà fosse stata


prevista, e tanto da non essere più considerata una
difficoltà, essere dimenticata, per voler restare lì. Può
darsi che non fosse affatto una difficoltà, ma che di
entrare gli fosse, del tutto, cessata la tentazione. Il
permesso di entrare non l'ha mai atteso, questo lo si può
dire con certezza, perché altrimenti fingere di chiederlo
per giustificare il suo stare lì, del tutto volontario?

Sullo sgabello che il guardiano gli ha offerto passa la vita,


domandando, pregando, osservando insaziabilmente, fino
all'ultimo respiro, quando il guardiano gli rivela che
quell'entrata era destinata a lui solo.

29
Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

• Nota. Lo sgabello era il suo posto di vice-guardiano di


quell'entrata, il corridoio, angosciante, era il suo
orizzonte, come per l'altro, d'altronde. Che non abbia
maturato nessun diritto a un trattamento assistenziale,
piuttosto, sarebbe da addebitare alla naturale crudezza
dei tempi, che il dottor Kafka conosceva per esperienza
professionale.

Lo strano divieto del guardiano suona chiaro: per ora non può
lasciarlo passare, ma se ne ha voglia, provi pure. Il contadino
resta immobile sul suo sgabello di fronte alla apparente
contraddittorietà delle parole del guardiano; interroga il
guardiano per spiegarle, risolverle. Le interpreta come un
enigma. (...) Non vede quel segno, puro, senza oltre, terribile
nella necessità del suo gioco: la porta aperta.

• Nota. Perché ostinarsi a presumere che il contadino non


abbia capito? L'ha capito, ciò che era da capire; che la
porta era per lui, che non c'era ostacolo, e che nulla
c'era oltre la porta, che non valeva la pena entrare, e che
tutto si riduceva a chiacchierare con il guardiano; due
guardiani per una stessa porta, del tutto inutile, e
inutilizzabile.

Immediatamente, non appena il sacerdote ha finito di narrare,


Josef K. Parla di inganno - ma in un senso diametralmente
opposto a come se ne parla nella parabola. Egli abbraccia
irriflessivamente la posizione del contadino e denuncia
l'inganno che avrebbe perpetrato il guardiano.

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

• Nota. Non c'è inganno, è ovvio, ma la parola-chiave è


l'irriflessione, non abbastanza riflessa, di Josef K. È la
fretta di morire che prova Josef K. a farlo parlare così,
quale altro inganno, cosa d'altro se non inganno?

Il sacerdote parla dell'altra teoria secondo la quale proprio il


guardiano sarebbe stato ingannato.

• Nota. Due opinioni specularmente false, più le altre che


derivano da esse, irradiano la verità che non vedono,
per il fatto di celare proprio quella.

All'opinione che afferma che il contadino è stato ingannato può


opporsi chi sostiene che l'ingannato è il guardiano; e ci può
essere, ancora, un'altra diversa opinione: ingannati sono
entrambi. (...) Si dovrebbe sostenere, allora, che è la Legge
stessa a ingannare? (...) K. Non sa abbandonare il punto di vista
della contraddizione; per lui il testo espone un'idea che può
essere vera o falsa soltanto. Anche dopo che il sacerdote indica
il nocciolo del problema: non bisogna ritenere tutto vero, ma
tutto necessario, egli vi insiste: la bugia diviene allora l'ordine
del mondo.

• Nota. Che cosa è necessario se non la bugia come


ordine del mondo? pensa Josef K. Il suo punto di vista
non è determinato dalla stanchezza, cioè da un non
volere pensarci più, ma la stanchezza coglie il
possessore della verità, quando egli vi giunge come
sempre, instancabilmente; dopo, la spossatezza ha un
significato, quello che ci è comune in quanto essere
umani, come per K. nel Castello, dopo le parole di
Bürgel. Dunque Josef possedeva la risposta alla

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

questione della parabola, la sua risposta a come


troncare la ridda delle interpretazioni.

L'interpretazione edificante e consolante dell'interpretare come


perpetuazione-conservazione del senso del testo, della
originarietà del testo, l'interpretazione come ripresentazione
dell'Origine - quest'epoca si chiude in Kafka. L'interpretare, in
sé necessario, autonomo, perciò, rispetto alla dimensione
dell'Origine, nulla sa in sé, nel suo limite, di tale dimensione.

• Nota. Il non sapere di Josef è al di qua e oltre il limite


dell'interpretazione, della disperazione inalterabile
dell'interpretazione. La corruttibile disperazione
dell'ingannato, di colui che si crede ingannato, e di
colui che non lo è più.

Eppure, mai era stata la risposta del Castello - anzi, di uno dei
portieri del Castello - alla richiesta di K. Di potervi accedere
l'indomani, più precisamente: né oggi, né un'altra volta.

• Nota. Non si può trascurare che il mai nel Castello,


permette ancora meglio di capire, come il divieto si
faccia improrogabile, per difendere ciò che non c'è.
D'altronde la richiesta giustifica i posti di lavoro. Perciò
si parla, e si ripete, continuamente di estrema
improbabilità che la norma sia disattesa.

Tocchiamo forse il punto più doloroso dello stile di Kafka, se


comprendiamo come in esso il possibile sia pensato secondo
una prospettiva metafisicamente opposta. Il possibile viene qui
inteso nella sua tragica, nuda, necessità. Ineliminabile, per le
ragioni più volte indicate, esso non è tuttavia soggetto ad

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

alcuna metafora, ad alcuna trasposizione ad altro da sé. Il


possibile è inteso in sé, come necessità. E cioè: mai il possibile
potrà farsi reale. Se divenisse reale, non sarebbe più possibile.
E se il possibile è solo reale, allora è questo reale, questo
esserci-qui, di fronte al guardiano, dinanzi all'apparente
chiacchiera di Bürgel, condannati al mezzo-sonno, al medio-
conscio, della nostra stanchezza e della nostra delusione.

• Nota. Finalmente il testo in questione si avvicina alla


riflessione sul reale del possibile; è l'inganno il
possibile, il possibile l'inganno, giacché il reale non è
altro che la soddisfazione del possibile.

Tutta l'essenza delle vedute di K. È racchiusa nella tesi che ci


sia un'unica logica fondata sull'immediata certezza del
principio di non contraddizione. Ciò è tanto più straordinario,
poiché egli vive una vicenda nella quale esso viene
continuamente contraddetto.

• Nota. Potrebbe darsi che le continue contraddizioni


dichiarino che il principio di non contraddizione come
il più importante, in quanto il più eluso.

K. continua a ritenere che dietro i messaggi che riceve vi sia


qualcosa - un congegno che non riesce ad afferrare - in grado di
porne in ordine le apparenti contraddizioni, un principio capace
di eliminarle.

• Nota. K. sa che non c'è, un principio capace di


eliminarle, proprio per questo le contraddizioni sono
segni decisivi, che lui ha ragioni a cercare di smontarle,
ciò mantiene tutto in ordine.

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

Le contraddizioni devono essere tolte; la loro inaudita alterità


essere riportata alla identità di quella logica. Esse devono
essere sapute.

• Nota. Le contraddizioni non devono essere tolte, la loro


alterità essere protetta dalla identità di una logica che
non deve essere saputa, perché non c'è, questo è il
compito dell'agrimensore, è ciò che deve essere
misurato. L'apparenza deve, apparentemente, fargli
torto, perché il suo lavoro riesca.

Il principio di non contraddizione è a fondamento di qualsiasi


azione obbediente; la sua necessità coincide con il metodo
dell'azione unicamente volto alla Erfüllung del comando
ricevuto.

• Nota. Il lavoro di K. misura l'oscillazione di fronte alla


contraddizione e nella contraddizione. Il lavoro
produce, il suo effetto è dimenticare, produrre la parola
vuota. Esserne sicuri.

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

Una debole voce

In Una opportuna premessa a Ventiquattro voci per un


dizionario di lettere Franco Fortini scrive dell'intenzione
ironica - non ho detto sarcastica né cinica - del libretto. Si
capirà in breve l'opportunità della premessa. Ma intanto
negandole, queste intenzioni che nomina, cioè denegandole, le
afferma. Aggiunge che lo specialista non avrà nemmeno
bisogno di sorriderne. Ciò vorrà dire che lui sorriderà per lo
specialista, farà da sé ciò che teme, temendo ciò che si farà, che
non potrà non essere fatto. Conclude la premessa con questa
frase: Ho meglio capito quanta passività di classe reggesse la
boria di falsa libertà che per tanti anni mi aveva fatto credere
possibile di separare le ore migliori dalle peggiori e di
distinguere da quello costretto il mio lavoro gratuito. Accredita
a sé stesso una boria - che sicuramente poteva non avere
provato se non per un senso di colpa a cui attribuire lo sguardo
colpevolizzante di un altro immaginario, che poteva non
addossarsi senza giustificato motivo. La giustificazione citata
prima serve a motivare la decisione - per bisogno di soldi,
anche pochi - di aver compilato delle voci per un repertorio di
lettere e arti a dispense settimanali. La furia lo spinge a dire
dell'altro su di sé, con una onestà, che per essere troppa è
sfacciata, e insieme con intransigenza, quella per cui ogni
vacillare richiede una teoria esplicita.
Dunque, ritornando a quegli anni prima - per tanti anni - che
ricordava Fortini, lui ricordava che finiva di trovare giusto
aver compenso e salario per lavoro finto o mal fatto o
bestemmiato, e nulla o quasi per quello che gli reclamava pena
e impegno intero. Eppure si sente che la nota è falsa: né lavoro
finto, né mal fatto o tanto meno bestemmiato. Cioè, non che
non possa corrispondere a nulla di reale, ma neppure può
trattarsi di verità, in questo modo esibita, dissimulata da

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

un'autocritica di stampo maoista (la Premessa è del 1968).


Tuttavia ciò che è gratuito, in realtà, non lo è, afferma Fortini,
perché in esso si trova la giustificazione del sistema, e la sua
conferma, per cui si produce altro da quello che la voce
contabile scrive come motivazione invisibile, nelle lettere di
accompagnamento degli assegni, e facendolo liberamente, nel
tempo libero. Ma chi giustifica chi in queste righe e da chi, o
cosa, è giustificato?
L'abilità di stendere frasi o pagine a comando e quasi su
qualsiasi argomento mi ha consentito di nutrirmi, di fornire
abiti e acqua calda alle persone della mia famiglia, di usare
un'auto. Potrebbe non bastare l'evidenza, sentendo la necessità
di aggiungere: in una condizione di relativo privilegio. Perché
si presenta come un pennivendolo chi non è, credo, mai stato
accusato di esserlo? Brecht, dice, ci ha insegnato a difendere il
proprio valore di mercato, a imparare l'attitudine a contendere
per il soldo con competenza sindacale e avarizia, a pretendere
anticipi, liquidazioni, rendiconti. Qui è felice, addirittura, di
stupire. La generosità e il pudore di molti (qui, di nuovo,
implicitamente si include, e non per denigrarsi) sono serviti a
pagare numerose canaglie culturali. Ma, il corrispettivo è che
non si tratta solo di nobili sentimenti, ci sono anche senso di
colpa e complicità.
Della trentina di voci che Fortini compila, ricorda un impegno
volenteroso: Cercavo di fare del mio meglio. Ciò andrebbe
inteso, come riferito ancora ad un intellettuale venduto ( scrive:
sono cresciuto in mezzo all'istituto ridicolo della recensione
letteraria, ossia nella improvvisazione presuntuosa), a ciò che
non gli è rimproverato, o forse sì? Si sta sottoponendo a un
processo popolare, per cui l'imputato redige la propria accusa?
Nel procedere egli si rimprovera lo stile oscuro - il gergo
sublime e convulso - e, prima, l'ignoranza grammaticale -
nessuno mi ha mai insegnato la grammatica -. Invece può darsi

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

che sia condivisibile il giudizio per cui la chiarezza pare


opporre qualcosa di indistruttibile al flusso della
contraddizione, esattamente, pare, giacché la forma verbale
dice tutto. Eppure la successiva frase ci consegna la nozione
del trascorrere dei tempi, là dove stabilisce un posto per
l'ordine o il falso ordine che sia: l'ordine sembra il segno di
una società che si vuole o si vive come omogenea, e una
proposta di ordine per l'intellettuale impegnato.
Ripete che era tutto contento di scrivere quelle voci, per un
rinnovato impegno intellettuale a vantaggio delle masse, del
volgo delle edicole. L'edicola e il video sono gli strumenti, i
soli di cui dispongano i nostri concittadini, necessariamente
corrotti d'una funzione insostituibile, così la definisce.
Molto più interessante dove afferma che la cultura e la ricerca
no-profit, quando siano convenientemente sovvenzionate, da
governi, fondazioni, industrie e simili, imitano l'autenticità e la
necessità così perfettamente che la produzione di ideologia
necessaria a giustificarne l'esistenza costa meno del
rassicurante foglietto a stampa accompagnatore di costose
specialità medicinali.
L'autocritica, evidentemente così necessariamente impostata, si
rafforza nel seguente motto: mi difendo ora come posso dalla
illusione tipica dell'intellettuale, che cioè per incarnarsi la
storia abbia scelto proprio il suo cervellino. L'autore neppure
pretende che queste pagine siano necessarie, così deve avergli
suggerito di concludere il giudice del tribunale del popolo. In
fondo queste voci egli le ha scritte in età che per tanti
insegnanti è, come si dice, pensionabile. Si rinvia il compito ai
più giovani.
Il commiato incita che è tempo di scrivere per il popolo ossia
per un lettore più esigente, la condanna erogata consiste in un
servizio, nel servire il popolo. Una conclusione maoista, la

37
Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

conclusione del processo, anche se poi, come detto all'inizio,


Fortini sfugge alla condanna che si somministra da sé (forse).
Una citazione altrettanto doverosa quanto inopportuna: La
compilazione, la redazione del libro scolastico, l'esposizione, il
riassunto non sono soltanto un esercizio di purgazione, di
umiltà e di modestia che darebbe spazio e tempo al
ripensamento delle strutture espositive, Sono, potrebbero
essere, se affrontati liberamente e con integrale chiarezza
critica, una grande lezione prerivoluzionaria; lezione,
naturalmente, nelle due direzioni di ogni atto di docenza.

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

Le città di sale

Le città bianche di Joseph Roth (Adelphi)

A trent'anni potei finalmente vedere le città bianche che avevo


sognato da ragazzo. La mia infanzia trascorse grigia in città
grigie.

Ho ritrovato le città bianche così come le avevo viste in sogno.


Soltanto chi ritrova i sogni dell'infanzia può tornare bambino.
Io non avevo osato sperarlo.

Una domenica pomeriggio arrivai a Lione. Questa città si


trova al confine tra il Nord e il Sud dell'Europa. È una città di
mezzo.

Il bucato dell'intera città è mondato nel Rodano. (...) E io mi


convinco che una città che giace tra due fiumi sia abitata da
gente per bene. L'acqua è un elemento sacro.

Appena dietro la cattedrale comincia Roma, una Roma viva.


(...) Le pietre gareggiano in luminosità con la luna, e il Rodano
e la Saona scorrono in incantevole armonia, uno veloce, l'altra
circospetta, ma diretti alla stessa meta.

Vienne è morta nel fiore della sua bellezza, e in ciò è davvero


simile a una dea spodestata. Non si è logorata, non è
decaduta.

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

Avignone è la più bianca di tutte le città. Non ha bisogno di


boschi. È un giardino di pietra cosparso di fiori di pietra. (...)
La sua pietra è bianca e sconfinatamente tragica.

Oggi non giacciono forse queste epoche in pace l'una accanto


all'altra, essendosi esaurita la forza di entrambe?

Nel primissimo vagito della civiltà di una razza ormai da


lungo tempo divenuta invisibile, appartenente a una parte del
globo inghiottita dal mare, in quel primissimo vagito era già
racchiusa la nostra ultima e definitiva civiltà. Non esiste
l'illimitato e puro avvenire così come non esiste niente che
vada completamente perduto. Nell'avvenire c'è il passato.

Dalla pietra, dal sole, dal fogliame e dall'umidità nasce quella


meravigliosa luce del giorno che ci capita talvolta di sognare.
Il soffitto consiste di ampie e lunghe volte. I santi si
appoggiano alle molte colonne binate che separano il cortile
dal porticato. Ogni santo ha donato un cantuccio a una coppia
di rondini. Ognuno di loro deve prendersi cura di due uccelli.

I mostri mitologici farebbero bene a restare nel Nord, dove la


nebbia li isola e ne accresce la mostruosità. Quando scendono
a Sud, la gente perde distanza e rispetto nei loro confronti.

(Marsiglia) Qui si frantuma tutto ciò che sembrava


immutabile. Ma poi si ricompone. Costruzione e distruzione si
susseguono incessantemente. Nessuna epoca, nessun potere,

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

nessuna fede, nessun concetto qui è eterno. Chi posso


chiamare straniero? Lo straniero è vicino.

Qui non si è disposti facilmente a versare il proprio sangue.


Qui si trova un'infanzia, la propria infanzia e quella
dell'Europa.

Ciò che dico non viene preso alla lettera. Ciò che taccio è
stato sentito. La mia parola è ancora lontana dall'essere
mancanza di carattere. Il mio silenzio non è enigmatico.
Ciascuno lo capisce. È come se non si dubitasse della mia
puntualità, benché il mio orologio sia sbagliato. Non si
deducono le mie qualità dalla qualità di uno dei miei attributi.
Nessuno regola la mia giornata. Se la perdo è stata comunque
la mia giornata.
(Un perdigiorno! - Tagedieb - Com'è tedesca questa parola! A
chi appartengono i giorni che abbiamo rubato a noi stessi?)

Nota di Omar Wisyam:


Le città di sale, e di gesso, di calce e di vetro. Qui dunque
giacciono le rovine di Les Baux. (...) Ora la roccia è di nuovo
roccia. L'illusione della trasparenza e della quiete del tempo si
sedimenta comunque in nostalgia (l'ultima parola del testo di
Joseph Roth). Ma anche ciò che riluce candido al cielo turchino
è amaro. A Marsiglia, annota Roth, la povertà è peggio che
miseria. È un inferno dal quale non si sfugge. D'altronde,
anche se tutte le persone della mia generazione sono scettiche,

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

egli dice, si finisce per ritrovare ciò che non si credeva d'avere
mai posseduto. Così si spiega la domanda posta alla fine di
questa escursione sul testo di Roth, con cui egli aveva
inaugurato la sua.

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

Hic salta!
(il salto qualitativo)

... il grigiore del mondo,


la fine del decennio in cui ci appare
tra le macerie finito il profondo
e ingenuo sforzo di rifare la vita;
il silenzio, fradicio e infecondo ...
Pasolini, Le ceneri di Gramsci.

Giorgio Cesarano e Gianni Collu pubblicarono Apocalisse e


rivoluzione all'inizio del 1973. Il libro si presentava come una
provvisoria e frammentaria elaborazione di un più ampio
discorso, ancora non compiuto (la Critica dell'utopia capitale
di cui Cesarano stava accumulando materiale), dunque come
una urgente prima risposta, scriveva Collu nella sua
Avvertenza, al progetto scientifico elaborato al MIT e a tutte le
miserevoli prassi rivoluzionarie. L'ottimismo insurrezionale,
esibito dagli slogan in quarta di copertina riguardo a una
rivoluzione biologica e a una signoria senza servitù, dovrà
cedere il passo alla constatazione che tutte le prassi
rivoluzionarie agiscono su un'altra scena da quella che
annunciata e rivendicata. In questo testo, come nel successivo
Manuale di sopravvivenza di Cesarano, si rifletteva su una
schisi irreparabile. Il famigerato salto qualitativo non avveniva.
Nella novantaduesima tesi di Apocalisse e rivoluzione, scelta a
caso tra molte altre, si trova scritto:

"Mentre il capitale giunto al punto massimo del colonialismo


sulla materia, capisce di dovere, per sopravvivere
all'avvelenamento, smaterializzarsi, e lo fa assumendo al suo
servizio il pensiero critico, lo fa abbandonando di colpo

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

l'apologia pubblicitaria del pattume opulento, le 'avanguardie'


della politica e della pop-politica militante agiscono come il
forzuto idiota delle comiche, che per sfondare porte aperte,
finisce con tutta la forza nel bidone delle immondizie. Per
troppo tempo il pensiero rivoluzionario, assediato dalla contro
rivoluzione trionfante, aveva espresso la sua potenza
esclusivamente nella forza della negazione; per troppo tempo la
dialettica radicale, asfissiata dalle maree di positivismo
putrescente, non aveva potuto affermarsi che come dialettica
negativa: nel momento in cui il movimento reale ha fatto
saltare i primi anelli della catena seriale, nel momento in cui ha
immediatamente mostrato, con l'apparire della rivoluzione
biologica, l'insensatezza demenziale della 'normalità'
quotidiana, la sostanza mortale dello 'stile di vita' capitalista,
esso ha bruciato in un istante tutto lo sforzo passato di quel
pensiero prigioniero della negatività, sprigionandolo
nell'affermazione violenta e luminosa della qualità
disseppellita. Non era per caso che a muoversi, tra i gas e le
randellate della polizia, erano i cadetti di quel pensiero
negativo, i suoi eredi predestinati. Non s'erano ancora
rinselciate le strade che il capitale capiva di dover imboccare
una nuova via. Esaurita la forza della prima spinta, gli insorti si
trovavano immediatamente tanto più deboli quanto più grande
e totalizzante gli si era rivelata la potenza dell'affermazione.
Nessuna scuola politica aveva preparato gli animi
all'insurrezione travolgente della qualità riaffermata (...) Tutto è
mutato, dal '68 in avanti, ma alla potenza illuminante del
movimento insurrezionale - e l'insurrezione era quella della vita
riscoperta e affermata come possibile, non quella soltanto delle
barricate e delle occupazioni - è seguito, nei protagonisti della
sommossa, con la spossatezza fisica e con la fatica di durare
nuovi, il suo ribaltamento in debolezza. (...) Ma, appunto, i
protagonisti di quelle prime apparizioni, erano glie eredi

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

predestinati del pensiero politico e culturale, e il riflesso


indotto dalla spossatezza, e dallo stupore di essere stati
imprevedibili, non poteva che ricondurne la maggior parte alle
nicchie da cui erano scaturiti: terrorizzati dalla stessa potenza
della novità che avevano incarnato, gli affamati di tutto
ricominciarono a masticare il niente ...".

Appendice:
Filippo Buonarroti scriveva davvero qualcosa del genere nella
Conspiration pour l'égalité dite de Babeuf, quando si
proponeva tre obiettivi per i garçons?
Essi erano:
• La force et l'agilité du corps;
• La bonté et l'énergie du coeur;
• Le développement de l'esprit.
La gioventù, speranza della patria, a sentire leui, doveva
essere esercitata aux travaux les plus pénibles de l'agricolture
et des arts mécaniques, e insieme contrarre l'abitudine alle
manovre militari, alla corsa , all'equitazione, alla lotta, al
pugilato, alla danza, alla caccia e al nuoto. Questi i giochi che
il comitato rivoluzionario doveva preparare alla generazione
nascente, e che le sono stati forniti in abbondanza da
Napoleone!

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

Citazioni sull'invidia
Da: Shakespeare. Il teatro dell'invidia (Adelphi) di René
Girard.

Tra concordia e discordia vi è una perfetta continuità, tanto


cruciale per Shakespeare quanto lo era per i tragici greci, e non
meno inesauribile quale fonte di paradosso poetico. Se
vogliono che la loro opera sopravviva alla transitorietà delle
mode, i drammaturghi come i romanzieri devono scoprire
questa sorgente essenziale del conflitto umano - cioè a dire la
rivalità mimetica - e devono scoprirla da soli, senza ricorrere
all'aiuto di filosofi, moralisti, storici o psicologi, che
sull'argomento osservano un silenzio unanime. Shakespeare
può essere esplicito riguardo al desiderio mimetico come lo
sono alcuni di noi, e il suo vocabolario è abbastanza vicino al
nostro da consentirci di comprenderlo immediatamente. Parla
di desiderio suggerito, di suggestione, di desiderio geloso, di
desiderio d'emulazione e via dicendo. Ma la parola essenziale è
invidia, usata da sola o in espressioni quali desiderio invidioso
o emulazione invidiosa.
• Qui sono gettate le basi di un discorso, che vuole essere
inteso come solitario e solido, solidamente solitario,
solido nella misura in cui è solitario, ma anche solitario
perché l'unico solidamente fondato. Il pretesto.
• A metà del volume shakespeariano Girard ripropone un
esempio di terminologia, con la parola emulation,
emulazione, che aveva un connotato peggiorativo, e
significava semplicemente rivalità mimetica. È uno dei
termini più usati da Shakespeare: insieme a emulous, in
Troilo e Cressida appare sette volte. Se lo consideriamo
sinonimo di rivalità mimetica, comprendiamo perché
egli qualifica tale emulazione pallida e spossante: essa

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

divora in modo insidioso la sostanza di tutto quello che


tocca, lasciandosi dietro solo una conchiglia vuota.

L'invidia brama l'essere superiore che né l'oggetto desiderato


né colui che lo desidera, ma soltanto una congiunzione dei due
sembra possedere. Involontariamente, l'invidia testimonia di
una mancanza di essere che disonora l'invidioso, soprattutto
dopo la celebrazione nel Rinascimento dell'orgoglio metafisico.
Per questo motivo, l'invidia è il peccato più difficile da
confessare.
Scopo del presente lavoro è quello di mostrare che quanto più
un critico si attiene rigorosamente a un approccio mimetico,
tanto più resta fedele a Shakespeare. A molti, non c'è dubbio,
tale riconciliazione tra critica pratica e teorica sembrerà
impossibile. Questo libro vuole dimostrare che hanno torto.
Non tutte le teorie si equivalgono in rapporto a Shakespeare: la
sua opera obbedisce agli stessi principi mimetici che io applico
nell'analisi di essa, e vi obbedisce in modo esplicito.
Due giovani che crescono insieme imparano le stesse lezioni,
leggono gli stessi libri, fanno gli stessi giochi, e concordano
quasi su tutto. Tendono anche a desiderare gli stessi oggetti.
Lungi dall'essere un fattore marginale, questa continua
convergenza è un elemento costitutivo della loro amicizia: si
manifesta in modo talmente regolare e inesorabile, che sembra
preordinata da un destino soprannaturale. In realtà si basa su
una imitazione reciproca, così spontanea e continua da restare
inconscia.
Questo tipo di imitazione non ci stupisce. Ci è facile
immaginare ciascuno dei due gentiluomini che copia il modo
d'essere dell'altro,le sue abitudini, il suo accento, i suoi
sentimenti di simpatia come quelli di antipatia, e tutto ciò alla
maniera ancora infantile e innocente di due giovani amici. Non

47
Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

pensiamo mai, invece, a quello che rivela il desiderio di Proteo


per Silvia, all'imitazione di tipo conflittuale.
Ogni volta che non vedono il mondo con gli stessi occhi, i
nostri amici sentono che qualcosa non va. Ognuno dei due
cerca di persuadere l'altro a riorientare il suo desiderio in
maniera tale da farlo coincidere di nuovo con il proprio.
L'amicizia è questa coincidenza costante di due desideri. Ma
invidia e gelosia non sono due cose diverse. La mimesi del
desiderio è a un tempo il meglio dell'amicizia e il peggio
dell'odio. Questo evidente paradosso svolge nel teatro di
Shakespeare un ruolo di primo piano.
La retorica, di questi tempi, è tornata di moda, ma
curiosamente per la stessa ragione che aveva portato i nostri
predecessori a metterla da parte: il suo disinteresse per la
verità, che lusinga il nostro compiacimento per noi stessi. Noi
aspiriamo a un divorzio totale tra linguaggio e realtà, e siamo
così certi di trovarlo nella retorica che il nostro nichilismo si
sente rassicurato.
• Nulla da dichiarare, apparentemente, ma qui si trova,
non certo negletta, l'obiezione che l'autore trascura di
fare al soggetto dichiarante. Una teoria del desiderio
mimetico, dell'invidia gelosa, pone il suo autore su un
doppio piano, di soggetto mediatore e soggetto mediato.

Valentino è un mezzano involontario, che prefigura quello


consapevole delle commedie della maturità. Si dà da fare così
assiduamente contro i propri interessi, che viene da chiedersi
dove si trovi il suo vero desiderio.
I nostri desideri non sono veramente convincenti finché non
sono rispecchiati da quelli altrui. Appena un gradino al di sotto
della piena coscienza, anticipiamo le reazioni dei nostri amici e
cerchiamo di incanalarle nella direzione della nostra scelta

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

incerta, direzione da cui il nostro desiderio non deve mai


deviare se non vuole apparire mimetico. Una determinazione
del genere non è preordinata come di solito si crede. Con l'aiuto
del suo modello condizionato mimeticamente, Valentino
consolida il proprio desiderio ancora esitante, trasformando in
tal modo in una verità completa la mezza verità del suo amore
per Silvia.
L'ansia di Valentino di veder nascere il desiderio mimetico in
Proteo è essa stessa mimetica, e l'asimmetria della posizione in
cui si trovano rispettivamente i due amici, invece di
distruggere, crea la simmetria fondamentale della loro
collaborazione mimetica.
Lo stesso individuo che fa quanto è in suo potere per
comunicare il proprio desiderio all'amico, diventa folle di
gelosia al minimo accenno di successo.
Accanto all'imperativo tradizionale dell'amicizia - imitami - ne
è apparso misteriosamente un altro - non imitarmi. Tu tutti i
sintomi patologici sono reazioni all'incapacità dei due amici di
affrancarsi da questo duplice legame, o anche solo di percepirlo
chiaramente.
Se è vero che di tutti i nemici il peggiore è un amico, dovrebbe
seguirne che il migliore di tutti gli amici è un nemico. Se
questo paradosso sembra un'esagerazione, basta rileggere il
Coriolano, l'ultima delle grandi tragedie shakespeariane. Invece
di due amici stretti che diventano nemici e poi di nuovo amici,
Coriolano e Aufidio sono due feroci guerrieri e rivali all'ultimo
sangue che per qualche tempo diventano amici intimi.
Lo spirito tragico opera secondo il principio: più intenso è il
conflitto, meno spazio vi è per la differenza. Shakespeare
formula questa cruciale verità mimetica in vari modi: non
appena i conflitti li leggiamo in una luce mimetica, la loro
razionalità diventa evidente.

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

Gli uomini più orgogliosi vogliono possedere gli oggetti più


desiderabili. Non saranno mai sicuri di goderne appieno,
fintanto che la loro scelta sarà esaltata soltanto da vuote
adulazioni: chiedono una prova più tangibile, che li desiderino
altri uomini, in gran numero e tra i più prestigiosi. A questo
desiderio essi devono sconsideratamente esporre il loro tesoro
più prezioso.
Il Sogno di una notte di mezza estate è un'opera mimetica, ma
di un genere più complesso di quelle che la precedono. Invece
di un unico rapporto, qui abbiamo un aggrovigliarsi di
interazioni mimetiche, una lunga escalation di rivalità che al
loro culmine giungono a un tale grado di ferocia da sfociare nel
caos più violento. Appena toccato il fondo, tuttavia, l'intera
struttura subito inizia a risalire verso la luce, lasciando
intravedere una conclusione felice.
I quattro innamorati, il loro desiderio è ossessionato dalla
carne, ma totalmente disgiunto da essa. Non è mai istintivo e
spontaneo, non può mai basarsi sul piacere degli occhi e degli
altri sensi. Il desiderio è sempre attirato dal desiderio allo
stesso modo in cui, in un'economia speculativa, il denaro lo è
dal denaro. Naturalmente, potremmo dire che i quattro
personaggi amano l'amore. Ciò non è del tutto sbagliato, ma
l'amore in generale non esiste, e una tale formulazione oscura il
punto cruciale: la presenza di un modello che è trasformato in
rivale, la natura di necessità gelosa e conflittuale della
convergenza sullo stesso oggetto.
Shakespeare fa della satira su una società di cosiddetti
individualisti, in realtà totalmente asserviti gli uni agli altri.
Prende in giro un desiderio che cerca sempre di differenziarsi e
distinguersi tramite l'imitazione di qualcun altro, ottenendo
sempre il risultato opposto: Sogno di una notte di mezza estate
è un primo trionfo della moda unisex. Al centro della
commedia vi è un processo di simmetria crescente fra tutti i

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

personaggi, e tuttavia non così perfetto da far apparire goffa la


sua dimostrazione.
La circolarità cacofonica nel testo inglese - Some true love
turned and not a false turned true - suggerisce ironicamente il
contributo paradossale delle ideologie differenzialiste e
individualiste alla crescente uniformità mimetica. Il
differenzialismo è l'ideologia dell'impulso mimetico portato al
più alto (e più comico) grado di autodistruzione inconsapevole.
Tutto ciò assomiglia in maniera stupefacente al nostro mondo
contemporaneo.
• La circolarità del verso non è cacofonica ma
didascalica.

La tradizione degli ostacoli esterni e dei tiranni non mimetici è


l'essenza stessa della tradizione comica. Oggi più che mai: su
di essa si fonda l'ideologia della psicoanalisi, quella della
nostra controcultura, di ogni sorta di liberazioni, di tutto ciò
che ruota intorno al culto della giovinezza. Oggi più che mai
essa si prende sul serio: noi tutti dobbiamo far finta di credere
che la giovinezza sia perseguitata. Ogni generazione ripropone
questo messaggio quasi sia un qualcosa di completamente
nuovo, cui nessuno aveva mai pensato prima. Fin dal tempo dei
Greci, il teatro è stato un veicolo importante di questa
ideologia, ma Shakespeare costituisce una insigne eccezione. Il
suo atteggiamento è così insolito che, pur di non accettarlo, lo
si ignora.
• René Girard, in questo passo, nega una
generalizzazione, sebbene per essa un qualche
significato, e qualche malizia, questi tempi sottendano,
per subordinare la negazione al ricevimento di un'altra
generalizzazione: l'incomprensione del maestro, della
sua opera, che a lui tocca ristabilire correttamente. A

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

tutti gli altri studiosi dell'opera shakespeariana, quattro


secoli di interpretazioni, esistono solo come generica
entità collettiva, plurale mistificazione versus Girard.
• Nell'introduzione l'autore scrive: Il termine
interpretazione, inteso nel suo significato corrente, non
è quello più appropriato per descrivere il mio lavoro. Io
mi sono prefissato un compito più elementare: leggere
per la prima volta alla lettera un testo che non è mai
stato analizzato con l'occhio attento a temi essenziali
alla letteratura drammatica quali sono il desiderio, il
conflitto, la violenza, il sacrificio.
• Ma ciò che è detto elementare è ciò che ribalta la
questione, ciò che rende inconsapevoli tutti gli altri.

Anche amore e odio sono la stessa cosa, e il desiderio mimetico


è l'essenza di entrambi. Le due antagoniste fraintendono quel
che accade esattamente nella stessa maniera. Nessuna delle due
può credere che l'altra abbia tradito in alcun modo l'amicizia o
l'amica, e nessuna lo ha veramente fatto: ciascuna si sente
tradita dall'altra.
Doppi è il termine della teoria mimetica per indicare questo
rapporto, che non è immaginario come sostiene Lacan, ma
assolutamente reale, e costituisce la base di ogni
fraintendimento nella commedia e di ogni conflitto nella
tragedia. Quanto si è detto nel primo capitolo su Valentino e
Proteo, può essere qui ripetuto di Ermia ed Elena. Ma questa
volta l'accento cade su qualcosa che nell'opera precedente era
appena suggerito: l'identità e la reciprocità costanti dei due
protagonisti al centro del conflitto che li oppone.
Il desiderio rende la sua verità mimetica sempre più visibile
man mano che la sua storia interna si rivela. Questa evoluzione
è sempre già iniziata: destino del desiderio mimetico è quello

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

di appagare se stesso ogni qualvolta gli si presenta la possibilità


di seguire il proprio corso fino alla fine.
Sono molti gli adolescenti che provano un'intensa attrazione
per quei compagni di scuola che sembrano riuscire in tutto, e
tale esperienza può o meno segnarli per la vita. Shakespeare è
uno splendido esempio di quello che nella nostra epoca barbara
sembra impossibile: il poter affrontare con equilibrio e ironia
questioni così appesantite dal bagaglio delle ideologie, che al
più timido accenno ci sembra di essere investiti da una valanga.
• Il timore della valanga, all'accenno di problemi
adolescenziali, sembrerebbe più di incongruità che di
delicatezza, segnale, tuttavia, a discarico del teorico,
poche righe prima non c'era esitazione di timorosa
prudenza ad affermare che l'approccio di Freud appare
rigido ed essenzialista, cioè volgare.

Più soccombiamo al mimetismo del desiderio, e meno


percepiamo la legge mimetica che governa il nostro
comportamento, come il nostro linguaggio. I quattro
innamorati passano il tempo a insegnarsi l'un l'altro una lezione
che nessuno di loro capirà mai. Tutti i pezzi del puzzle si
trovano al posto giusto, perfettamente incastrati, e man mano
che le due ragazze si scambiano le loro opinioni, anche il
quadro d'insieme si precisa sempre meglio. Tuttavia a coloro
che l'hanno composto continua a sfuggire il suo significato.
Tutti e quattro gli innamorati rincorrono lo stesso sogno
ontologico attraverso lo stesso metodo, assurdamente
controproducente. Più insistono, più si perdono nel labirinto
della notte di mezza estate, e non passerà molto tempo prima
che le loro ridicole incomprensioni si traducano in una violenza
da incubo. Ognuno di loro è responsabile di quello che accade,
ma nessuno lo scoprirà mai.

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

Io ucciderò lui, ma lei sta uccidendo me.


La preferenza data agli ossimori non è una questione di scelta
stilistica: riflette l'ambivalenza del desiderio per un mediatore a
un tempo idolatrato come modello e aborrito quale ostacolo
insormontabile. Shakespeare si prende gioco dei suoi
personaggi, ma non di coloro che lo ascoltano con un po' di
attenzione.
• Il grande gioco di Girard su Shakespeare. Tutte le
affermazioni retoriche diventano prima o poi
letteralmente vere. Noi misconosciamo questa verità
perché non è oggettiva né soggettiva, ma
intersoggettiva.

Ogni affermazione è vera in rapporto alla posizione di chi parla


nell'ambito della sua configurazione del desiderio. Dal
momento che il numero di queste posizioni è limitato e ciascun
membro del gruppo le occupa tutte a turno, la retorica dà
sempre una immagine accurata di quel che accade.
Il mito è inseparabile dalla simmetria violenta dei doppi
mimetici, e non è una coincidenza casuale che in tutto il mondo
i protagonisti del mito sono spesso proprio i doppi.
Il desiderio mimetico trasforma gli esseri umani in mostri
morali oltre che fisici.
I quattro innamorati appartengono alla media del genere
umano: come la maggior parte di noi, hanno la tendenza a
eludere qualsiasi cosa possa minare le loro rassicuranti
certezze, e a pensare come individui autonomi. Gran parte
degli spettatoti somigliano a Lisandro e a Ermia per il fatto che
capiscono non quello che i versi dicono veramente, ma quello
che i personaggi in realtà intendono dire, che è poi quello che
vogliono sentire

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

• Il pubblico non capisce niente, di questo si tratta, per


fortuna che coloro non capiscono perché altrimenti
potrebbero prendersela, Ma Shakespeare, in questa
interpretazione, non ha nulla da temere.
• Neppure il lettore capisce qualcosa, naturalmente,
essendo la dichiarazione già implicita nella questione
della mimesi. L'implicazione mimetica annulla ogni
critica in sintomo.
• Più avanti Girard specifica nettamente un aspetto
decisivo della mimesi: La mimesi è per sua natura
percettiva, e coglie immediatamente la più piccola
discrepanza tra le parole e le azioni dei suoi mediatori:
se tra le une e le altre vi è uno scarto, si ispirerà sempre
a ciò che il modello fa, non a quello che dice.
• Il non capire nulla non è privo di sensibilità percettiva.

Quando percepiamo vagamente la distanza che separa la sua, di


Shakespeare, concezione del desiderio dalla nostra, con aria
costernata ci ammoniamo gli uni con gli altri osservando che
egli potrebbe essere un conservatore. Nel campo del desiderio,
consideriamo sempre sovversive e nuove le idee che amiamo, e
che in realtà sono sempre le più conservatrici, i cliché già
logori all'epoca del Rinascimento, che Shakespeare derideva
nelle sue commedie.
Il carattere satirico dell'opera è suggerito dal titolo stesso,
Come vi piace. Rivolgendosi agli spettatori, l'autore annuncia
che, per una volta, non ha scritto il proprio genere di
commedia, ma il loro. Come tutti i grandi satiristi, Shakespeare
deve essere stato assediato dalle richieste di una visione meno
scoraggiante del genere umano. Ai grandi scrittori mimetici si
chiede sempre di rinunciare all'essenza stessa della loro arte, il
conflitto mimetico, a favore di una visione banalmente

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

ottimistica dei rapporti tra gli uomini, sempre descritti come


gentili e umani, mentre tutto ciò riflette in realtà l'ipocrisia più
crudele.
• L'economia politica della teoria mimetica. La teoria
mimetica si presta, in maniera inconfutabile, a divenire
la teoria di tutto ciò che mette in relazione individui tra
di loro, cioè la teoria complessiva e generale.

... Cogliete l'occasione, vendete, non è roba / che va in tutti i


mercati.
La metafora di quest'ultimo verso è perfettamente in sintonia
con le teorizzazioni recenti di alcuni economisti riguardo al
carattere mimetico della speculazione finanziaria. Jean-Pierre
Dupuy e altri hanno interpretato alcune osservazioni di Keynes
alla luce della teoria mimetica. Secondo loro, in un regime di
mercato libero i valori fluttuano in funzione non della legge
della domanda e dell'offerta, ma della valutazione di ogni
singolo speculatore della stima che nel loro insieme gli
speculatori faranno del rapporto tra domanda e offerta. Siamo
molto lontani da una legge obiettiva in sé: intesa in questo
modo, la legge della domanda e dell'offerta non può mai
determinare una data situazione direttamente, dal momento che
è sempre soggetta ad essere interpretata, e ogni interpretazione
e mimetica e autoreferenziale.
Gli economisti si occupano di un gioco mimetico che gran
parte di loro sottovaluta per via di una credenza feticistica nei
cosiddetti dati oggettivi. I calcoli matematici possono elaborare
dei dati oggettivi, ma non possono tener conto delle
interpretazioni: per questo motivo, non esiste quantità di dati
economici abbastanza grande da rendere una previsione
infallibile.

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

Il termine narcisismo al giorno d'oggi è usato comunemente


come sinonimo dell'amore di sé degli elisabettiani. Parlare di
narcisismo invece che di amore di sé sembra più scientifico,
ma il significato è lo stesso. Il termine non designa un attributo
naturale, come la parola carattere, ma è altrettanto fuorviante
poiché analogamente a quest'ultimo implica che nella nostra
struttura psichica esista un elemento più o meno permanente.
Un concetto del genere non può che essere d'ostacolo alla
comprensione di Shakespeare.
Freud non ha mai dipanato il mistero fondamentale di due (o
più) desideri che una discordia insanabile divide violentemente
perché troppo concordi, cioè perché si imitano reciprocamente.
In un passo della Recherche, Proust osserva che, in materia di
desiderio, ogni malgré è un parce que mascherato. Ciò è vero
del malgrado di Olivia: lei dice esplicitamente che il rifiuto di
Cesario l'affascina, e che le piace vederlo nel disdegno e
nell'ira del suo labbro. Olivia si innamora non malgrado
l'atteggiamento sprezzante di Viola, ma in conseguenza di esso.
Cesario le sembra un sole così abbagliante da spegnere il
proprio.
Il duca Orsino sa che nessun oggetto desiderato, finendo nelle
sue mani, può mantenere il proprio fascino a lungo. Solo un
rivale vittorioso può dare vigore al desiderio, dato che
quest'ultimo è irrevocabilmente autodistruttivo. L'unica
soluzione radicale per affrancarsi dalla sua tirannia è la
rinuncia totale.
L'esperienza insegna che vi è un qualcosa di insoddisfacente in
tutti gli oggetti che possono essere posseduti: ma non dice
nulla, strettamente parlando, sugli oggetti che non possono
essere posseduti.
Orsino è fiducioso di poter fare in modo che Olivia resti per
sempre crudele. Dato che il suo desiderio è il modello

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

dell'amore di sé di Olivia, egli pensa che basta congelare per un


tempo indefinito la situazione a proprio favore perché continui
a desiderarla, e perché lei respinga non solo lui, ma ogni altro
innamorato possibile: Olivia sarà l'eterna prigioniera del
proprio monumentale amore di sé stessa - ecco il regalo che le
fa Orsino.
Lungi dall'essere una nuova trovata escogitata dalla televisione,
l'arte di sedurre per interposta persona è vecchia quanto
l'umanità: risale alle religioni primitive e non è mai passata di
moda. Nel mondo contemporaneo, ovviamente, è più
importante che mai. La tecnologia moderna accelera gli effetti
mimetici. Li ripete ad nauseam, ed estende il loro raggio
d'azione al mondo intero, li trasforma in una industria di tutto
rispetto che noi chiamiamo pubblicità, ma senza modificarne la
natura intrinseca.
Cressida manca sì d'esperienza, ma è intelligente e d'istinto
comprende quali restrizioni una donna deve imporre a sé
stessa, se vuole sopravvivere nella giungla della strategia
erotica. Tale strategia richiede che una donna accorta non si
conceda al proprio innamorato: il buon senso le suggerisce di
tener conto della natura mimetica del desiderio di lui.
La costanza di un innamorato è inversamente proporzionale
alla premura con la quale la sua amante ne soddisfa i desideri.
Cressida fa a Troilo solo ciò che prima o poi Troilo avrebbe
fatto a lei, se solo gliene avesse lasciato il tempo. Dopo aver
passato la notte con Cressida, Troilo pensava che sarebbe stata
per sempre alla sua mercé, ma lei lo ha trascinato in una
trappola dalla quale, questa volta, egli non può uscire.
Troilo e Cressida è un test divertente per verificare la nostra
perspicacia mimetica.
• Perché limitarsi al Troilo e Cressida?

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

Se i desideri cominciano ad allontanarsi da un oggetto, se ne


allontaneranno sempre di più, e sempre più in fretta, in virtù
dello stesso circolo vizioso che in precedenza li aveva attirati, e
che adesso opera in senso opposto. Di lì a poco, i soldati non
adoreranno più il loro idolo, e Achille si sentirà del tutto
spodestato.
Il punto essenziale è il predominio degli altri nella vita delle
persone famose, il cui successo non diventa reale se non
possono vederlo riflesso negli occhi di coloro che li guardano.
L'essere del piacere è fornito dagli altri.
Il tempo è come / un padrone di casa alla moda: all'ospite che
parte stringe / appena la mano, e a braccia aperte / vola
incontro a quello che è in arrivo.
Questi ultimi versi fanno pensare a certi presentatori della
televisione americana che, disponendo solo di pochi istanti tra
due stacchi pubblicitari, accolgono il loro ospite come fosse un
messia, per poi congedarlo poco dopo come l'ultimo dei
miserabili. I nostri tempi non sono che una versione riduttiva di
fenomeni che risalgono tutti alla prima modernità, all'epoca di
Shakespeare, e che sono già stati messi in risalto da lui. Solo
grazie alla nostra incrollabile presunzione possiamo
considerarci gli inventori della nostra stessa nullità: la quale è
ingigantita, ma non modificata radicalmente dalla tecnologia.
I grandi autori drammatici, ivi compresi Molière e Racine,
hanno delle affinità maggiori con i nemici che con i difensori
del teatro. Il loro genio implacabile rigetta le ovvietà
dell'idolatria culturale. Il grande teatro non è mai fiorito se non
in quei periodi nei quali era osteggiato e bandito. Troilo e
Cressida è antiaristotelica a oltranza; credo che non sia
eccessivo definirla come il vero teatro della crudeltà che
Artaud ha sempre sognato, senza mai poterlo realizzare.

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

Alla disintegrazione del degree (gerarchia) corrisponde un


dilagare della rivalità mimetica così imponente che somiglia
alle epidemie la cui evocazione è ricorrente in quadri
apocalittici come quello delineato nel discorso di ulisse. Le
epidemie sociali e patologiche sono esse stesse prive di
differenziazioni. Il principio differenziale sembra avere la
funzione di sopprimere la rivalità mimetica: di tanto in tanto,
però, soccombe di fronte all'attacco virulento del male che
avrebbe dovuto prevenire.
• La rivalità mimetica dovrebbe essere accentuata dal
principio differenziale della gerarchia.

Al contrario di quel che crediamo, ai suoi tempi il gergo


convenzionale era già quello di oggi: il desiderio non può
essere nel torto, esso è sempre puro, innocente, amante della
quiete. La satira shakespeariana è tanto discreta quanto
implacabile.
Se fosse vissuta negli anni Sessanta, Ermia avrebbe certamente
rivendicato il diritto di ciascuno a fare quello che gli va. In
realtà, fa sempre quello che vogliono gli altri: che obbedisca o
no al padre, lascia decidere d'amore gli occhi degli altri.
Excursus:
• I due gentiluomini di Verona è una commedia di rivalità
mimetica, ma si tratta ancora, innanzitutto e soprattutto,
di una commedia su una figlia alla quale il padre
davvero impedisce di sposare l'uomo che ama.
• Il davvero usato da Girard, sembra una parentesi che
esprima un pensiero contrastante a quello del discorso
aperto, una specie di a parte in un dialogo comico.
• Tuttavia alcune pagine dopo si trova un'affermazione
che pareggia lo sbilancio, a conferma del pentimento

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

del pentimento: drammatico ha esattamente lo stesso


significato di mimetico.
• Più avanti ancora, un altro passo indietro: Il Sogno di
una notte di mezza estate è l'opera più effervescente che
Shakespeare abbia mai scritto, la più anticipatrice
riguardo a molti aspetti del processo mimetico.
Tuttavia, vuoi perché si tratta di una commedia, vuoi,
forse, perché appartiene al primo periodo di
Shakespeare, essa non offre una presentazione esplicita
del ciclo mimetico e del meccanismo della messa a
morte collettiva quale abbiamo incontrato nel Giulio
Cesare. Il ciclo mimetico sarebbe riconsiderato come
implicito e parziale, dunque.

Laddove la maggior parte degli scrittori moderni dà per


scontato che, per perpetuarsi, il potere abbia a sua disposizione
delle risorse illimitate e una volontà non solo intelligente ma
infallibile e demoniaca, Shakespeare pensa esattamente il
contrario. Il potere, laddove esiste, è di continuo minacciato, e
si trova sempre sull'orlo del collasso poiché è affascinato dalla
propria distruzione.
La più profonda aspirazione del potere è l'abdicazione.
Una volta che la rivalità mimetica oltrepassa una certa soglia, i
rivali ingaggiano tra loro lotte interminabili, il cui effetto è di
renderli sempre più indifferenziati: diventano tutti dei doppi gli
uni degli altri.
L'invidia ama nascondersi, ma non può rinunciare alla
compagnia, dal momento che vuole fare adepti, e per
contagiarli deve mettersi in mostra.
Il risentimento politico e l'ammirazione personale sono i due
volti della rivalità mimetica.

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

Bruto vuole salvare la Repubblica, ma la Repubblica non vuole


essere salvata.
La libertà è morta, e in ultima analisi non importa se la gente
segua Bruto o Marco Antonio. Potendo scegliere, preferisce il
più volgare ma, in assenza di un vero demagogo, è pronta a
seguire chiunque. Ormai non è altro che una massa mimetica
alla ricerca di modelli.
Il vero modello è l'assassinio di Cesare, e il desiderio di
vendicare il capo assassinato si inscrive nella mimesi della
cospirazione. Cinna è la prima vittima del tutto estranea e
innocente.
Una folla non è mai a corto di ragioni per massacrare le sue
vittime. Più esse appaiono numerose, più in realtà sono
insignificanti.
La tendenza generale è chiara: è necessario sempre meno
tempo e bastano ragioni sempre più futili perché un numero
crescente di persone si polarizzi contro un numero
corrispondente di vittime.
In Shakespeare, come in tutti i grandi scrittori mimetici,
l'indecidibilità politica è la regola.
Shakespeare non cerca di essere imparziale.
Per Shakespeare, la reciprocità mimetica è ciò che struttura i
rapporti umani.
• Infine la conclusione: La violenza dell'assassinio di
Cesare è diventata la violenza fondatrice dell'Impero
romano. La spiegazione: Secondo la teoria mimetica, le
comunità umane si uniscono intorno alle loro vittime
trasfigurate perché in precedenza si erano unite contro
di esse. Il processo della violenza collettiva, che sia o
meno unanime, è sempre una versione di quel che
chiamiamo capro espiatorio.

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

Nessuno ha percepito più chiaramente di Shakespeare la


tendenza propria dell'uomo alla violenza arbitraria e la maniera
in cui la dissoluzione di ogni significato nella violenza
mimetica distrugge ogni cosa sulla sua strada.
Il Giulio Cesare non è incentrato né su Cesare né sui suoi
assassini, non si tratta di un episodio della storia romana, ma
della violenza collettiva in quanto tale. Suo protagonista ultimo
è la folla inferocita, ed è questa a dare all'opera la sua unità.
Se l'escalation violenta della crisi dura abbastanza a lungo, la
minaccia di un annientamento totale diventa concreta, e tra gli
stessi pensatori mimetici la paura è tale che presto o tardi essi
si trincerano dietro a qualche contratto sociale. Ciò è vero non
solo per Hobbes, ma anche per il Freud di Totem e tabù.
L'idea del contratto sociale è la grande copertura umanistica
della rivalità mimetica, la scappatoia classica per coloro che
arretrano davanti alla logica della violenza.
• L'assurdità mirabolante del contratto sociale, ciò che è
inverosimile è reale.

Non c'è che una vittima, ma di essa non si può fare a meno.
Nell'Iliade, Ettore è ucciso in singolar tenzone da Achille. In
Troilo e Cressida, questo modo leale di combattere lascia il
posto a un assassinio collettivo ben poco ammirevole,
commesso dagli scagnozzi di Achille, i Mirmidoni.
I cristiani usano la parola misericordia in modo così perverso
da riuscire a giustificare la loro sete di vendetta e la loro
cupidigia senza privarsi mai della loro buona coscienza. Essi
credono di adempiere al dovere di essere misericordiosi
semplicemente ripetendo la parola misericordia in
continuazione.

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

Il doppio gioco shakespeariano a me pare indubitabile, ma non


può essere dimostrato in modo oggettivo: se l'ironia potesse
essere dimostrata, cesserebbe di essere tale.
• Con questa motivazione Girard dà dell'antisemita a
Marlowe per L'ebreo di Malta, ma riscatta Shakespeare
per il Mercante di Venezia.
• Una piccola resa più che una concessione: Il
significante letterario è destinato a divenire una vittima.
Il significante sacrificato scompare dietro al significato.

Proprio come Rosencrantz e Guildenstern, Ofelia si pone al


servizio del voyeurismo e dello spionaggio universali,
diventando uno strumento docile nelle mani del padre e di
Claudio.
Nessuna differenza separa più lo scandalo dalla convenzione, la
rivolta più audace dal conformismo più piatto. I contrari si
fondono, ma non in una superba sintesi hegeliana, bensì
nell'immondizia che ci viene proposta con l'etichetta del
postmoderno. Il sale della terra non sa neppure di aver perso il
suo gusto, e l'avanguardismo più sfrenato finisce nelle banalità
di un Polonio.
• L'esitazione di Amleto.

Come mai, ci si chiede, un giovane di buona educazione, può


avere delle remore ad assassinare il fratello di suo padre, che è
anche il re del suo paese e il marito di sua madre? Un vero
enigma, in effetti.
L'unico modo in cui i nostri discendenti potranno spiegarsi
questo flusso curioso di critica letteraria sarà quello di supporre
che all'epoca, nel XX secolo, al primo segnale di qualche
fantasma, il professore di letteratura era capace di sterminare la
propria famiglia senza battere ciglio.

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

• L'ironia di Girard si dispiega su Ernest Jones amico


personale e biografo di Freud, una persona riverita da
tutti, uno le cui opinioni hanno un gran peso, essendo in
linea diretta nella successione apostolica. Non dubita
per un solo istante che l'esitazione amletica è un grave
sintomo, ma lui stesso poi esita tra due patologie
ugualmente temibili: la paralisi isterica della volontà e
l'abulia specifica.

È di moda ai nostri giorni sostenere che viviamo in un mondo


del tutto nuovo nel quale anche i nostri maggiori capolavori
letterari sono diventati irrilevanti.
Dal momento che intorno a noi un numero crescente di
avvenimenti, oggetti e atteggiamenti proclama con maggiore
insistenza lo stesso messaggio, per evitare di sentirlo dobbiamo
condannare una parte crescente della nostra vita a essere
insignificante e assurda.
Prima o poi Desdemona è destinata a innamorarsi di un
giovane aristocratico simile a lei: è questo che Iago non ha
neppure bisogno di suggerire, perché Otello ne è già
spontaneamente convinto: Come tutti gli innamorati, il Moro
non si rende conto che la moglie gli somiglia più di quanto le
apparenze non dicano. Ciò che lei cerca in lui, la sua estrema
alterità, differisce meno di quel che sembra a prima vista da ciò
che lui cerca in lei. Nessuno dei due percepisce la dinamica
centrifuga del desiderio che entrambi illustrano alla perfezione
perfino nella loro rispettiva incapacità di ritrovare il proprio
temperamento nel comportamento dell'altro.
Desdemona è talmente affascinata dal mondo cupo e violento
di Otello che, scoperte le sue intenzioni assassine, non cerca in
alcun modo di salvare la propria vita. Al contrario, si prepara
alla morte come si preparerebbe a una notte d'amore.

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

Questa fusione di libido e morte violenta è il risultato finale


della mimesi conflittuale, quella conflagrazione suprema cui le
commedie non possono alludere.
Lungi dall'essere un fraintendimento, la tragedia finale suggella
l'intesa ultima della coppia.
Nella misura in cui cresce la sua ossessione rispetto agli
ostacoli che continua a generare, il desiderio si incammina
inesorabilmente verso l'annientamento di sé e dell'altro, proprio
come i giochi degli amanti conducono all'orgasmo.
Se il desiderio non genera niente, se non riproduce se stesso
mimeticamente, l'immagine soggettiva che proietta non rinvia
ad alcuna realtà oggettiva: noi crediamo di apprendere qualcosa
al di fuori di noi stessi, quando in realtà non afferriamo che
fantasmi. O il desiderio non produce alcuna conoscenza reale
perché non ha alcuna discendenza mimetica, oppure
comprende istintivamente gli unici esseri che l'interessano
veramente perché produce lui stesso i loro desideri.
Non tutte le proiezioni sono ingannevoli; se lo fossero, i
desideri altrui risulterebbero completamente inconoscibili.
• Autocritica di Girard: colgo un'autocritica nel Racconto
d'inverno, ma essa chiama a una revisione piuttosto che
a un rigetto della legge mimetica.
• Una proiezione ingenua: la fede nella legge mimetica è
di un folle geniale chiamato William Shakespeare.

Non è necessario cercare dei correlativi precisi a livello


biografico per sentire che nei lavori dell'ultimo periodo è
all'opera una dinamica della veridicità che parte dall'Amleto,
prosegue coi primi due romances e culmina nel Racconto
d'inverno.
Leggere il Racconto d'inverno come una sorta di confessione
personale a me sembra una ipotesi plausibile.

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Lustri: Ringiovanire attraverso gli errori

Per molti anni, il principio mimetico aveva affascinato


Shakespeare quale fonte di configurazioni strutturali complesse
e di capovolgimenti paradossali, da lui messi in scena con
vivacità straordinaria. Poi, gradualmente, nelle tragedie della
maturità il suo interesse per il meccanismo della rivalità
mimetica si è affievolito, ed egli si è focalizzato sempre di più
sulle sue conseguenze morali e umane, sulle sofferenze inutili
che questa follia produce.
Tra i molti capolavori di Shakespeare, il Racconto d'inverno a
me pare meritare un posto particolare, in quanto è il più
commovente. Segni di umiltà e di compassione non sono mai
mancati nel teatro shakespeariano ma erano rari, il che
sembrerebbe giustificare che si presenti lo scrittore stesso come
un uomo senza volto, un non valore, una non persona, un non
essere nessuno, nadie. È così che Jorge Luis Borges ritrae
Shakespeare nell'interpretazione mezzo fantastica e mezzo
seria proposta nella sua raccolta di saggi El Hacedor. Usando
la parola nadie come suo leit motiv, Borges suggerisce in effetti
che Shakespeare abbia pagato il proprio genio con l'anima.
La confutazione più eloquente di Borges è fornita dal Racconto
d'inverno, l'opera nella quale l'umanità dell'autore traspare più
che in ogni altra, e quella in cui, per la prima volta nel teatro di
Shakespeare, una prospettiva trascendentale si schiude
silenziosamente.

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