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Capitolo 4

Le basi fisiche dell’evoluzione stellare

4.1. La formazione di strutture autogravitanti


Le considerazioni svolte nel precedente capitolo forniscono un quadro generale dei
meccanismi fisici che riteniamo operare nelle strutture stellari determinandone le pro-
prietá. Inserendo adeguate valutazioni dell’efficienza di tali meccanismi nelle equazioni
dell’equilibrio stellare discusse nel secondo capitolo e utilizzando i sistemi di calcolo nu-
merico ivi presentati sará possibile operare previsioni teoriche sul comportamento nel tempo
di tali strutture, per ogni assunto e prefissato valore della massa e della composizione chim-
ica. Diviene cosí possibile investigare quantitativamente il destino evolutivo degli oggetti
stellari al duplice fine di interpretare le strutture stellari oggi osservate in termini dei loro
parametri evolutivi e, nel contempo, di comprendere il ruolo che le stelle hanno svolto e
stanno svolgendo nell’evoluzione nucleare della materia dell’Universo.
Prima di entrare in tali dettagliate valutazioni, dedicheremo peraltro questo capitolo a
precisare il quadro entro il quale tali risultati evolutivi devono muoversi in base a consider-
azioni generali sulla natura e il funzionamento della ”macchina stella”. Per ciò che riguarda
in particolare l’origine di tali strutture, si è più volte indicato come una stella sia il risul-
tato della contrazione di una massa di gas interstellare nel quale il campo gravitazionale
abbia finito col prevelere sull’energia termica delle particelle. Si può ottenere una stima dei
rapporti tra le grandezze in gioco richiedendo che alla periferia di una nube di massa M e
raggio R l’energia gravitazionale di un atomo di idrogeno superi la sua energia di agitazione
termica

MH
G > kT
R
Collegando la massa alla densità media della nube, M = 43 πR3 ρ, si può esprimere R3 in
funzione di M, ρ, ottendendo cosı̀

M 2ρ 3 k 3
> ( )
T3 4π GH
che mostra come per ogni prefissata coppia di valori ρ e T della nube protostellare esista
una massa minima in grado di contrarre (Massa di Jeans). Come era da attendersi, la massa
di Jeans risulta tanto minore quanto minore è la temperatura o quanto maggiore è la densità.
Se per una tipica nube interstellare assumiamo una temperatura T ∼ 100K ed una densità di

1
2

∼ 20 atomi cm−3 si trova una massa minima di circa un migliaio di masse solari, dell’ordine
quindi di quella osservata per gli ammassi stellari di disco.
Ciò suggerisce un semplice schema che giustifica, sia pur qualitativamente, la formazione
di tali ammassi e, più in generale, l’esistenza di ammassi stellari. Una nube che abbia rag-
giunto la massa critica, o per fluttuazioni di densità o per raffreddamento, inizia infatti a
collassare perchè la forza gravitazionale prevale sull’agitazione termica. A bassa temperatura
il gas è non ionizzato e trasparente alla radiazione, l’energia acquistata nella contrazione
viene irradiata nello spazio ed il collasso procede quasi isotermicamente. Aumenta peraltro
la densità e diminuisce quindi la massa critica di Jeans, rendendo possibile ulteriori frag-
mentazioni in scala gerarchica. Tali fragmentazioni terminano quando, al procedere della
contrazione, la radiazione tende sempre più a restare intrappolata nel gas e la temperatura
del gas stesso inizia ad aumentare. Dall’ultima generazione di fragmentazioni nasceranno le
stelle dell’ammasso.
La formazione delle strutture stellari è peraltro processo estremamente complesso che
coinvolge il trattamento idrodinamico del gas in contrazione, non escluso l’intervento di
campi magnetici, e che esula dai limiti della presente trattazione. E’ nondimeno istruttivo
utilizzare ancora la relazione precedente per valutare la densità minima corrispondente a
masse di Jeans dell’ordine delle comuni strutture stellari. Si ricava infatti facilmente che per
l’instabilità gravitazionale deve essere

ρ ≥ 4 1044 T 3 /M 2
Ponendo come limite inferiore delle possibili temperature il valore della radiazione di
fondo (T ∼ 3K), per M = 1M si ottiene cosı̀ ad esempio ρ ≥ 10−18 grcm−3 , corrispondente
a circa 106 atomi di idrogeno per centimetro cubo.

4.2. Strutture di equilibro e teorema del viriale


Con semplici procedure basate sulla terza legge di Newton si può agevolmente mostrare
(→ A4.2) che per un qualsiasi sistema isolato di particelle autogravitanti vale il Teorema del
Viriale nella forma

d2 I
2T + Ω =
dt2
dove T =energia cinetica totale = Σi 21 mi vi2 estesa a tutte le particelle del sistema, Ω =
energia (negativa) di legame gravitazionale ( = 0 per r → ∞) e I è il momento di inerzia
del sistema.
Le fasi iniziali del processo di formazione stellare sono sotto il controllo dei tempi scala
meccanici del collasso gravitazionale ed il sistema è ben lontano dalle condizioni di quasi
stazionarietà ( quasi equilibrio che abbiamo definito essere caratteristiche di una struttura
stellare. Al progredire della contrazione l’innalzamento della temperatura finisce con il fa-
vorire fenomeni di ionizzazione, cresce l’opacità radiativa, l’energia guadagnata nella con-
trazione viene ceduta al gas, innalzandone temperatura e pressione, ed i tempi scala passano
da tempi scala meccanici a tempi scala termodinamici. Le strutture raggiungono cosı̀ con-
dizioni di quasi equilibrio, d2 I/dt2 → 0 e le strutture stesse restano sotto il controllo del
viriale nella forma

2T + Ω = 0
Da questo momento potremo dire di essere in presenza di una struttura stellare, struttura
che rimarrà sotto il controllo del viriale sinché non si giunga ad una eventuale fase finale
esplosiva. Si noti che l’alta opacità della materia nelle fasi iniziali, inibendo il trasporto
3

radiativo, tende a indurre estesi moti convettivi, talché si ritiene in genere lecito assumere
strutture iniziali totalmente convettive e, di conseguenza, chimicamente omogenee.
E’ utile notare che la precedente espressione del viriale non rappresenta qualcosa di mis-
terioso o magico ma, al contrario, fornisce in forma quantitativa una ovvia condizione di
equilibrio per le strutture. L’equilibrio tra le forze di gravità e quelle di pressione richiede
infatti che all’aumentare della gravità (al decrescere di Ω) aumenti la temperatura per au-
mentare la pressione. E’ facile ricavare dal viriale anche le linee generali di evoluzione di
un sistema autogravitante. A causa dell’irraggamento dalla superficie (e talora anche per
emissione di neutrini) il sistema perde infatti continuamente energia. Se tale perdita non è
bilanciata da una qualche sorgente interna di energia (quali le razioni nucleari) temperatura
tenderebbe a decrescere. Se la pressione é controllata dalla temperatura, la stella deve al-
lora contrarre su tempi scala termodinamici (o di Kelvin-Helmotz. Il viriale ci dice che per
rimanere in equilibrio deve risultare

dT = −dΩ/2
cioé metà dell’energia guadagnata nella contrazione deve andare ad innalzare il contenuto
termico della struttura, mentre l’altra metà supplisce alle perdite per radiazione. La perdita
di energia quindi finisce col produrre un innalzamento della temperatura e, in questi senso,
una struttura autogravitante può essere riguardata come un sistema termodinamico a calore
specifico negativo.
Ma quello che quı̀ più interessa è che tale relazione mostra come la storia di una stella
sia la storia di una progressiva contrazione di una sfera di gas autogravitante e del con-
temporaneo continuo innalzamento del contenuto termico della struttura. In tal senso una
qualunque stella altro non è che una macchina naturale per innalzare la temperatura di un
agglomerato di particelle. Se le particelle che compongono il gas stellare fossero puntiformi
e non interagenti, la contrazione non avrebbe termine, né avrebbe termine il continuo in-
nalzamento delle pressioni e delle temperature. Ma le particelle sono atomi, composti da
un nucleo centrale circondato dagli elettroni periferici, e nel corso della contrazione possono
intervenire due possibili tipi di fenomeni, a seconda dei valori di temperatura-densità che
vengono raggiunti:

i) gli elettroni degenerano, cosı̀ che la pressione non dipende più dalla temperatura. La
contrazione è arrestata dalla pressione degli elettroni degeneri,

ii) vengono raggiunte temperature alle quali diventano efficienti le reazioni nucleari.

Minore è la massa di una stella, maggiore è in genere la densità e minore la temperatura


delle zone centrali. Stelle di massa sufficientemente piccola (M ≤ 0.1M ) degenerano ancor
prima di raggiungere le temperature di fusione dell’idrogeno. Stelle di massa leggermente
superiore (0.1M ≤ M ≤ 0.5M ) innescano l’idrogeno ma degenerano prima di innalzare le
temperature sino a innescare la combustione dell’elio. Stelle più massicce degenerano prima
di innescare la combustione del carbonio. In stelle ancora più massicce la contrazione è
destinata a proseguire, innescando tutte le combustioni esotermiche, sino a raggiungere le
ultime fasi esplosive.
Se e quando nelle regioni centrali di una struttura inizia a divenire efficiente una sor-
gente nucleare di energia, l’energia cosı̀ prodotta va a supplire alle perdite per radiazione,
rallentando la contrazione. La contrazione deve in ogni modo continuare (innalzando la tem-
peratura) sino a quando l’energia nucleare prodotta giunge a bilanciare esattamente quella
persa dalla struttura. In tali condizioni la contrazione guidata dalle perdite di energia si
arresta e, se si trascurassero le variazioni di composizione chimica indotte dalle reazioni
nucleari, la struttura risulterebbe indefinitamente stabile.
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In realtà le reazioni di fusione nucleare, agglutinando due o più nuclei in un unico prodotto
di reazione, diminuiscono il numero di particelle. Diminuisce quindi la pressione, rompendo
l’equilibrio idrostatico, e la stella deve quindi contrarre, ora però su tempi scala nucle-
ari. L’aumento di temperatura guidato da tale contrazione dovrà anche essere in grado di
mantenere la produzione di energia ai livelli necessari a fronte del progressivo consumo del
combustibile nucleare disponibile. Si noti che da quanto sinora indicato si ricava che l’energia
irraggiata da una stella NON è determinata dall’efficienza delle reazioni nucleari, essendo
invece vero il viceversa: l’efficienza delle reazioni è regolata dalla necessità di bilanciare il
preesistente fabbisogno energetico della struttura. E’ questa una evidenza che sarà necessario
tener presente nel seguito per comprendere alcune caratteristiche dell’evoluzione stellare.
La storia di una stella è quindi la storia di una continua contrazione, di volta in volta
rallentata dall’innesco di reazioni nucleari, con una continua alternanza di tempi scala ter-
modinamici e nucleari. Ricordando come la temperatura di efficienza delle reazioni nucleari
sia regolata dalla repulsione coulombiana, è facile prevedere che, al passare del tempo ed
all’aumentare della temperatura, nelle regioni centrali di una stella inizierà prima la com-
bustione dell’idrogeno, seguita -in successione a partire dall’elio- dalla combustione degli
elementi più pesanti prodotti delle precedenti combustioni. Tale alternanza si interrompe
definitivamente se la degenerazione elettronica interviene a bloccare la contrazione. Ove ciò
non avvenga (stelle massive) dobbiamo prevedere che una struttura stellare quasi statica
giunga fatalmente al suo termine quando nelle zone centrali si sia formato un nucleo di ferro
giunto al limite della fusione nucleare (∼ 5 109 K). Come più volte indicato tale fusione è en-
dotermica, e ne consegue un processo di contrazione reazionato positivamente che riporterà
la struttura su tempi scala meccanici, ponendo fine all’evoluzione stellare con la possibile
distruzione e dispersione di parte della struttura.
L’innesco della reazione endotermica induce infatti un assorbimento di energia che ac-
celera la contrazione, che a sua volta incrementa la temperatura centrale e l’efficienza della
reazione stessa. Ci si attende come risultato un collasso della struttura. Pur senza entrare qui
nel merito dei meccanismi fisici che regolano e controllano tale collasso, ricordiamo che ci si
attende nel nucleo stellare una intensa produzione di neutroni e neutrini e, contemporanea-
mente, un subitaneo innalzamento della temperatura che riattiva reazioni nucleari in gran
parte della struttura (nucleosintesi esplosiva). E’ in questa fase che può venire eiettata nello
spazio una consistente frazione della struttura medesima, iniettando nel gas interstellare gli
elementi sintetizzati nell’intero corso dell’evoluzione nucleare della struttura.

4.3. Combustioni termonucleari: la catena protone-protone


Per precisare ulteriormente il quadro evolutivo emerso dal teorema del viriale conviene esam-
inare più in dettaglio la serie di reazioni nucleari che ci attendiamo divengano efficienti nel
gas stellare al progressivo aumentare della temperatura. Tra le moltissime reazioni nucleari
in linea di principio efficienti soffermeremo la nostra attenzione solo su quelle che definiamo
come significative, e che appartengono a due distinte categorie:

i) Reazioni che per l’abbondanza del combustibie ed il valore della sezione d’urto pre-
dominano nettamente e dalle sole quali dipende la produzione di energia

ii) Reazioni che pur non contribuendo apprezzabilmente alla produzione di energia
possono lentamente sintetizzare prodotti di reazione di particolare rilevanza nel quadro
dell’evoluzione della composizione nucleare della materia stellare.
Sulla base delle considerazioni sin qui svolte appare evidente che al progressivo crescere
della temperatura debbano per prime divenire efficienti le reazioni nucleari cui corrisponde
la minor repulsione coulombiana, cioè quelle tra due protoni. Ciò, in linea di principio, è
5

Fig. 4.1. Le reazioni della catena protone-protone, con sottolibeate le reazioni primarie.

certamente vero, ma è anche vero che i protoni, giunti a reagire nuclearmente decadono con
grandissima probabilità nuovamente in due protoni (scattering nucleare) e solo una piccol-
issima frazione dei nuclei composti decade lungo il canale di fusione, in grado di produrre
energia

p + p → D + e+ + ν
fortemente inibito dal necessario intervento delle interazioni deboli. Per tale motivo, attorno
ai 106 K le prime fusioni a diventare efficienti sono le combustioni degli elementi leggeri D, Li,
Be e B con protoni. Ci si attende peraltro che l’abbondanza di tali elementi nel gas stellare
sia molto piccola, e corrispondentemente piccolo è il contributo delle fusioni all’energetica
della struttura. L’effetto principale, oltre alla distruzione degli elementi stessi, consisterà
in un momentaneo rallentamento della contrazione gravitazionale ed in una trascurabile
produzione di 3 He e 4 He, secondo canali di combustione che ritroveremo discutendo qui di
seguito la combustione dell’idrogeno.
Solo quando la temperatura raggiunge, orientativamente, i 5 − 6 106 K il numero di
reazioni nucleari pp è aumentato al punto da rendere efficiente anche il canale di fusione di
due protoni in un nucleo di deuterio D, secondo la reazione già in precedenza indicata. Il
deuterio prodotto è peraltro in grado di reagire nuclearmente con un altro protone,

D + p →3 He + γ
cui segue tutta una catena di reazioni impostata sui vari prodotti di combustione che converrà
esaminare in qualche dettaglio. Alle minori temperature l’3 He prodotto tende ad accumularsi
come prodotto di reazione. Solo attorno a 8106 K diviene efficiente la reazione di combustione

3
He +3 He →4 He + 2p
mentre attorno ai 15 milioni di gradi diviene efficiente anche la reazione concorrente

3
He +4 He →7 Be + γ
di fusione di 3 He con i nuclei di 4 He certamente presenti nel gas stellare almeno come
conseguenza della nucleosintesi cosmologica. Si noti come le due ultime reazioni esaminate
6

Fig. 4.2. Efficienza relativa delle catene di combustione pp al variare della tempeatura (in milioni
di gradi).

contemplino di fatto la fusione di due nuclei di elio, mentre resta peraltro inibita la reazione
”debole” 3 He + p →4 He + e+ + ν.
Esperienze di laboratorio indicano che il 7 Be è nucleo instabile per cattura K, cioè per
cattura di un elettrone dell’orbita più interna, con tempo di dimezzamento di 57 giorni.
Tale processo non può peraltro essere efficiente nelle stelle, perchè alle temperature in esame
ci si attende che il 7 Be sia completamente ionizzato. In tali condizioni il nucleo può però
catturare un elettrone del plasma stellare, iniziando una catena di reazioni che conduce infine
alla formazione di due nuclei di 4 He. Si noti come tale reazione non risulti governata dalla
repulsione coulombiana.
E’ invece regolata dalla repulsione coulombiana l’alternativa cattura di un protone per
formare 8 B e, attraverso una serie di decadimenti, 8 Be e infine 24 He. L’efficienza di questa
reazione aumenta quindi al crescere della temperatura, e a circa 2 107 K essa finisce col
prevalere sulla concorrente cattura elettronica. Di particolare rilevanza in questa catena di
reazioni i neutrini prodotti nel decadimento del 8 B, che a causa della grande energia furono
i primi ad essere rilevati nelle esperienze di rilevazione dei neutrini solari (→ A5.5)
La Figura 4.1 riporta uno schema riassuntivo della catena di reazioni originate dalla
fusione di due protoni, nota come catena pp. Come indicato nella figura, al variare della
temperatura sono possibili tre diverse sequenze di reazioni (ppI. ppII e ppIII) che conducono
in ogni caso al comune risultato di fondere 4 protoni in un nucleo di 4 He. La Figura 4.2
mostra l’efficienza relativa di questi diversi canali al variare della temperatura. Ad evitare
equivoci ricordiamo che all’aumentare della temperatura aumenta l’efficienza di tutte le
reazioni e quindi di tutte e tre le catene pp: la figura 4.2 riporta il contributo relativo delle
tre catene alla produzione totale di energia.

4.4. Elementi primari ed elementi secondari


Chi avesse dimestichezza con le famiglie di elementi radioattivi naturali riconoscerebbe nella
catena pp tutta una serie di elementi ”secondari”, i cui nuclei sono contemporaneamente
prodotti e distrutti nella sequenza di reazioni. In tale condizione le abbondanze di questi
elementi tendono verso condizioni di equilibrio, ed i nuclei non intervengono più nel deter-
minare la velocità delle reazioni se non in maniera indiretta. Illustreremo tale caratteristica
nel caso del deuterio.
Per il deuterio si ha infatti una reazione di produzione (p + p →) ed una di distruzione
(D + p →). Poichè per ogni reazione viene creato o distrutto un nucleo di deuterio, il numero
di nuclei creati o distrutti nell’unità di volume e nell’unità di tempo sarà dato dalle relazioni

dN2 N2
Processi di creazione → = n1,2 = 1 < σ11 v >
dt 2
7

Fig. 4.3. Il rapporto di equilibrio D/H al variare della temperatura T in milioni di gradi.

dN2
Processi di distruzione → = −n12 = −N1 N2 < σ12 v >
dt

dove 1 e 2 fanno riferimento rispettivamente a protoni e deutoni. Ne segue che che il


numero di deutoni nell’unità di volume varia col tempo secondo la relazione
dN2
= n11 − n12
dt
Qualunque sia l’abbondanza iniziale del deuterio (ma in realtà ce ne attendiamo molto
poco) si ricava che l’abbondanza di tale elemento deve evolvere verso la condizione di equi-
librio

n11 = n12
da cui si trae per le abbondanze di equilibrio

N2 1 < σ11 v >


( )eq =
N1 2 < σ12 v >
E’ subito visto infatti che se N2 > N1 allora σ12 > σ11 , e viceversa, cosı̀ che le abbondanze
evolvono necessariamente verso l’equilibrio. Ricordando che le abbondanze in numero sono
legate a quelle in massa dalla relazione Xi = Ni Ai H/ρ per le abbondanze in massa di
equilibrio potremo scrivere (X2 /X1 )eq =< σ11 v > / < σ12 v >.
Si può ottenere una scala dei tempi per il raggiungimento dell’equilibrio osservando che,
per esempio, se N2  (N2 )eq prevale la reazione di distruzione, per la quale

1 dN2 d
= lnN2 = −N1 < σ12 v >
N2 dt dt
da cui N2 = N20 e−t/τ con τ = 1/(N1 < σ11 v >). Per una miscela ricca di idrogeno e per
temperature in cui la fusione pp è efficiente si trova cosı̀ (X2 )eq ≤ 10−18 , τ ≤ 1 secondo. Le
condizioni di equilibrio sono cioè raggiunte in tempi rapidissimi e senza una apprezzabile
variazione della composizione chimica della materia (Figura 4.3)
All’equilibrio ogni reazione p+p è necessariamente seguita da una reazione D+p, talchè
si può direttamente assumere che ogni reazione p+p abbia per risultato la scomparsa di
tre protoni e la sintesi di un nucleo di 3 He, la velocità di produzione restando regolata
solo dal valore di n11 . In questo senso il deuterio è elemento secondario, come lo sono
anche 7 Be,7 Li,8 Be,8 B la cui dettagliata valutazione risulta inessenziale sia ai fini della
evoluzione chimica che a quelli della produzione di energa della catena pp, fermo restando
8

Fig. 4.4. La concentrazione all’equilibrio di 3 He (a sinistra) e il tempo (in anni) per raggiungere
l’equilibrio stesso (a destra) in funzione della temperatura in milioni di gradi .

che alle restanti reazioni primarie occorrerà associare i prodotti in particelle ed i contributi
energetici provenienti dalle reazioni secondarie che le seguono.
Cosı̀ gli effetti delle due prime reazioni della catena
p + p → D + e+ + ν (+Q11 )
D + p →3 He + γ (+Q12 )
ove con Qii indichiamo l’energia rilasciata nella singola reazione eventualmente decurtata
della enrgia sotto forma di neutrini,restano compiutamente descritti dalle relazioni

dN1 dN3
= −3n11 = n11
dt dt
dQ
= n11 (Q11 + Q12 )
dt
ove le prime due regolano, con ovvio significato dei simboli, la variazione col tempo del
numero di particelle per unità di volume e la terza fornisce l’energia prodotta per unitaà di
tempo sempre nell’unità di volume. Da quest’ultima si ricava immediatamente la produzione
di energia per grammo e per secondo della ppI:

1 dQ
ε=
ρ dt
Resta da notare che alcuni elementi, come nel nostro caso l’3 He, possono comportarsi da
primari o secondari a seconda della temperatura che regola il valore della sezione d’urto di
distruzione. A basse temperature la sezione d’urto 3 He +3 He è molto piccola e la compo-
sizione d’equilibrio -sempre esistente- è corrispondentemente non solo molto alta ma anche
raggiunta in tempi lunghi. L’evoluzione dell’ abbondanza di 3 He deve quindi essere seguita
in dettaglio e l’3 He si comporta come elemento pseudoprimario. Al crescere della temper-
atura aumenta la sezione d’urto di distruzione e l’3 He diviene a tutto rigore un secondario
(Fig. 4.4)

4.5. Traiettorie evolutive per fusione di particelle cariche


Esaminando in generale le proprietà dei nuclei è possibile porre in luce quanto di non oc-
casionale vi è nel tipo di reazioni nucleari che abbiamo incontrato discutendo la catena
pp e che incontreremo illustrando le altre combustioni. Come già richiamato nel I capitolo
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Fig. 4.5. La sequenza dei nuclei stabili é contornata da nuclei instabili che con decadimenti β + o
β − si portano nella configurazione di equilibrio, cui corrisponde un massimo dell’energia di legame.

(→ A1.8), un generico nucleo resta caratterizzato dal numero Z di protoni e N di neutroni


che lo compongono, ed é possibile mappare nel piano Z,N la sequenza di nuclei stabili es-
istenti in natura (Fig. 4.5). In tale piano, per i nuclei piú semplici, sino a circa Z=20, i
nuclei stabili appaiono caratterizzati da un numero simile di protoni e neutroni (Z ∼ N )
mentre a Z maggiori si manifesta un progressivo eccesso di neutroni (Fig. 1. 22). Le regioni
esterne alla sequenza di stabilità sono occupate da nuclei instabili che decadono verso la loro
configurazione stabile trasformando protoni in neutroni, o viceversa, attraverso decadimenti
β + o β − , rispettivamente.
Come mostrato in Figura 4.6, non sorprende trovare che per ogni prefissato numero di
nucleoni A=Z+N la configurazione stabile mostra la maggiore energia di legame (la minore
massa) tra tutti gli altri possibili isobari. Si comprende cosı̀ come i decadimenti β rapp-
resentino il canale di trasformazione che consente ai nuclei di portarsi nel loro minimo di
energia con l’emissione di elettroni negativi o positivi. Risulta anche comprensibile l’evidenza
sperimentale secondo la quale l’instabilità appare tanto maggiore (i tempi di decadimento
tanto minori) quanto più i nuclei si allontanano da quella che viene talora definita la loro
valle di stabilità.
In tale scenario, si comprende come nella catena pp, agglutinando successivamente pro-
toni si producano nuclei con eccesso di tali particelle, instabili dunque per decadimento β + .
Più in generale, quando la fusione di particelle leggere porta a configurazioni della valle di
stabilità, il nucleo composto prodotto nella reazione decadrà nel suo stato fondamentale con
l’emissione di un quanto γ di energia. Se il configurazione del nucleo composto è all’esterno
della valle, ciò avverrà inevitabilmente per un eccesso di protoni e un decadimento β + si
incaricheràdi riportare il nucleo nella sua configurazione stabile.
E’ cosı̀ possibile leggere la maggior parte delle reazioni che abbiamo incontrato nella
catena pp e che incontreremo nel seguito in tale semplice chiave topologica, chiarendo
l’alternanza di processi γ e β + che in genere contraddistinguono le varie catene di com-
bustione tra particelle cariche.
10

Fig. 4.6. Andamento schematico della massa di nuclei con eguale numero di nucleoni (numero
atomico A=Z+N) al variare del numero di protoni Z e neutroni N. Il nucleo stabile realizza la
massima energia di legame (massa minima). I nuclei instabili si portano nello stato di massimo
legame tramite decadimenti β − [(Z,N]→ (Z+1, N-1) + e− + ν ] o β + [(Z,N]→ (Z-1, N+1) + e+ +
ν ] liberandosi cosı̀rispettivamente dell’eccesso di neutroni o di protoni.

4.6. Il biciclo CN-NO


Se, e solo se, nel gas stellare è presente anche una minima quantità di nuclei di carbonio, di
azoto e/o di ossigeno, a temperature leggermente superiori a quelle necessarie per l’efficienza
della catena pp si apre un ulteriore canale di reazioni per la combustione dell’idrogeno in
elio. Se, per esempio, assumiamo la presenza di soli nuclei di carbonio, a circa 15 106 K
diventano efficienti processi di cattura protonica che innescano una serie di reazioni
12
C + p →13 N + γ
13
N →13 C + e+ + ν (τ = 870sec)
13
C + p →14 N + γ
14
C + p →15 O + γ
15
O →15 N + e+ + ν (τ = 178sec)
15 ∗
N + p → ( O) → (∼ 99%) →12 C + α
16

→ (∼ 1%) →16 O + γ
Si vede come il nucleo di 12 C aggreghi successivamente 4 protoni giungendo con l’ultima
reazione alla produzione di un nucleo di 16 O in uno stato eccitato. Quest’ultimo decade pref-
erenzialmente restituendo un nucleo di 12 C ed una particella α ( nucleo di 42 He). Trascurando
per il momento l’ulteriore canale di decadimento in 16 O, siamo dunque in presenza di un ciclo,
in cui il carbonio funge da catalizzatore della fusione di 4 protoni in un nucleo di elio, rima-
nendo disponibile per una serie indeterminata di reazioni. Naturalmente il ciclo può prendere
inizio quando sia presente almeno uno qualsiasi dei suoi componenti (12 C,13 C,14 N,15 N ),
essendosi in precedenza assunto il 12 C solo a titolo di esempio. Tale ciclo viene in genere in-
dicato come ciclo CN ad indicare come esso sia basato sulla continua mutua trasformazione
di questi due elementi.
Trattandosi di un ciclo, tutti i nuclei C e N sono contemporaneamente creati e distrutti,
e assumono quindi la veste di elementi secondari, evolventi quindi verso una loro condizione
di equilibrio. All’equilibrio n1j = cost (j = 12, 13, 14, 15) e per le abbondanze di equilibrio
si ricava

N (12 C) < σ1,12 v >= N (13 C) < σ1,13 v >= N (14 N ) < σ1,14 v >= ....
11

Fig. 4.7. Variazione col tempo dell’abbondanza dei vari elementi del ciclo CNO in una miscela
con composizione iniziale solare, mantenuta a T= 30 106 K, ρ = 1 gr/cm3 . La linea a tratti mostra
l’evoluzione temporale del coefficiente ε di generazione di energia. Il tempo t è in anni.

Come atteso, l’abbondanza di equilibrio dei vari nuclei risulta quindi inversamente pro-
porzionale alla sezione d’urto per i rispettivi processi di distruzione. La sezione d’urto di
gran lunga minore è quella per processi di cattura protonica su 14 N , seguita nell’ordine da
quelle per gli analoghi processi su 12 C,13 C e 15 N . Corrispondentemente ci si attende che
all’equilibrio oltre il 95% dei nuclei sia sotto forma di 14 N ed il resto largamente sotto forma
di 12 C.
Abbiamo peraltro già indicato come il ciclo CN non sia perfetto, perdendo una piccola
parte dei nuclei a formare 16 O. Tale perdita è peraltro effimera, perchè tale elemento viene
a sua volta processato per restituire nuclei di 14 N . Si ha infatti
16
O + p →17 F + γ
17
F →17 O + e+ + ν
17
O + p → (18 F )∗ →14 N + α
ove appare ora lecito trascurare la piccola quantità di 18 F che decade nel suo stato
fondamentale. Si vede come le precedenti reazioni realizzino un nuovo ciclo NO: un nucleo
di azoto può aggregare successivamente 4 protoni per restituire infine ancora un nucleo di
azoto più una particella α. Siamo dunque in presenza di due cicli mutuamente accoppiati che
realizzano il cosiddetto biciclo CN-NO nel quale tutti i nuclei pesanti coinvolti si presentano
come elementi secondari. Si noti che, poichè i nuclei non sono in realtà né creati né distrutti
ma solo trasformati l’uno nell’altro, in ogni caso ed in ogni momento il numero originale N0
di nuclei pesanti deve conservarsi, risultando

ΣNi = N0
Alle minori temperature la cattura 16 O + p è largamente innefficiente e la combustione
riposa essenzialmente sul solo ciclo CN. Attorno ai 20 106 K ambo i cicli sono in piena
efficienza e sia 12 C che 16 O vengono ridotti a pochi percento di 14 N . Anche in questo caso
12

Fig. 4.8. Abbondanze relative di equilibrio al variare della temperatura (in milioni di gradi) per
gli elementi principali del ciclo CNO. Si è posto ΣNi = 1

Fig. 4.9. La produzione di energia dalla catena pp e dal ciclo CNO al variare della temperatura
in milioni di gradi. Si è assunta una composizione chimica solare.

la grande maggioranza dei nuclei di 14 N finiscono necessariamente con l’evolvere lungo il


ciclo CN che fornisce quindi in ogni caso il maggior contributo alla generazione di energia.
L’importanza del ciclo NO discende dall’evidenza che il gas interstellare da cui originano
le stelle risulta in genere relativamente ricco di elementi multipli di α, quali 12 C e 16 O, a
fronte di una relativa sottoabbondanza di 14 N . L’efficienza del ciclo NO ha dunque l’effetto
di rendere disponibili per il ciclo CN gli originali nuclei di 16 O presenti nella materia.
Quanto sinora esposto ha come importante conseguenza l’efficienza di una combustione
CNO viene dunque memorizzata nella abbondanza relativa di quei tre elementi, secondo lo
schema:
12 14 16
Gas non processato C⇑ N⇓ O⇑
12 14 16
Gas processato CN C⇓ N⇑ O⇑
12 14 16
Gas processato CNO C⇓ N⇑ O⇓

La Figura 4.7 riporta l’andamento col tempo delle abbondanze dei nuclei nel caso di
combustione CNO in una miscela con abbondanze originali solari alle condizioni indicate.
Si nota come prima 12 C e poi 16 O vengano trasformati in 14 N , mentre 13 C e 15 N vengono
prodotti e mantenuti all’equilibrio con i loro capostipiti 12 C e 14 N . I tre elementi più abbon-
danti del ciclo CNO risultano in ogni caso 12 C, 14 N e 16 O, cui corrispondono le più piccole
sezioni d’urto per le reazioni di distruzione e, conseguentemente, i tempi più lunghi per
il raggiungimento dell’equilibrio. Per seguire nel dattaglio l’evoluzione di una combustione
CNO sarà quindi sufficiente valutare istante per istante l’efficienza delle tre reazioni
12 13
C+p→ N+γ
13

Fig. 4.10. Schema delle reazioni che compongono il biciclo CN-NO. Sono indicate anche le reazioni
che prendono origine dai rari nuclei di 18 F che decadono nel loro stato fondamentale.

14 15
N+p→ O+γ
16 17
O+p→ F+γ
e, eventualmente, se interessati ai dettagli temporali,
13 14
C+p→ N+γ
che sono le quattro reazioni pseudoprimarie. Tutti gli altri elementi possono essere riguar-
dati come strettamente secondari, raggiungendo in tempi trascurabili composizioni minime
di equilibrio. La Figura 4.8 mostra la dipendenza dalla temperatura delle abbondanze di
equilibrio dei quattro elementi pseudoprimari.
L’efficienza della combustione CNO dipende per ogni temperatura dalla abbondanza di
tali elementi nel gas stellare. Nel caso di gas con composizione solare (Z ∼ 0.02) circa il
50% della massa degli elementi pesanti è attribuibile a C,N ed O e attorno ai 17 106 K la
combustione CNO inizia a predominare sulla pp (Fig. 4.9). Tale soglia non dipende peraltro
criticamente dall’abbondanza di CNO. La dipendenza dalla temperatura della generazione
di energia va infatti nei due casi come

εpp ∝ T 4 εCN O ∝ T 15
e modeste variazioni di temperatura sono quindi sufficienti per bilanciare variazioni anche
notevoli nell’abbondanza di nuclei CNO.
La Figura 4.10 riporta uno schema delle reazioni che compongono il biciclo CN-NO,
con anche indicate le reazioni che prendono origine dai rari nuclei di 18 F che decadono
nello stato fondamentale anzichè restituire un nucleo di 14 N ed una particella α. In linea
di principio potrebbe preoccupare l’esistenza al termine di queste ultime reazioni del nucleo
stabile 20 Ne: ogni nucleo di 20 Ne formato viene infatti sottratto al ciclo, diminuendone
l’efficienza. E’ peraltro facile verificare che il numero di nuclei di 20 Ne cosı̀ prodotti risulta
del tutto trascurabile. Dal rapporto delle rispettive sezioni d’urto p,γ e p,α si ricava infatti
la probabilità dei nuclei eccitati (= la frazione) di decadere nel loro stato fondamentale per
proseguire la catena di reazioni. Risulta cosı̀
14

(18 F)∗ →18 F ∼ 0.3; (19 F)∗ →19 F ∼ 0.0008; (20 Ne)∗ →20 Ne ∼ 0.0002;

ricordando che circa solo l’ 1% dei nuclei transita per il ciclo NO si ricava che la prob-
abilità di formare un nucleo di 20 Ne è minore di 10−9 . Questa probabilità va confrontata
con il numero di cicli che compie un nucleo prima che sia esaurito l’idrogeno. Nel caso di
materia di tipo solare, Z=0.02, abbiamo indicato come vi sia all’incirca 1 nucleo di CNO per
ogni 1000 nuclei di idrogeno, e questo è quindi il numero di cicli compiuto da ogni nucleo di
CNO. E’ subito visto che non solo nel caso del Sole, ma anche per materia molto più povera
di metalli, la probabilità di formare 20 Ne risulta microscopica.
Per completare il quadro resta da indicare come il quadro di reazioni sin qui descritto
riposi sull’implicita assunzione che il tempo tra due successive catture protoniche sia lungo
rispetto ai decadimenti β. Ciò è sempre vero nelle fasi di normale evoluzione delle strutture
stellari, nelle quali la temperatura è governata dall’equilibrio idrostatico e le fusioni nucleari -
come abbiamo indicato - sono eventi rari. Non è più vero durante le ultime fasi di implosione-
esplosione, durante le quali la temperatura può aumentare improvvisamente di ordini di
grandezza. In tal caso cresce la sezione d’urto per cattura protonica e diventa probabile che
gli elementi del ciclo instabili β + catturino un protone prima di decadere. In tal caso si
aprono ulteriori canali di combustione indicati con il termine CNO veloce (→ A4.3).

4.7. Combustione dell’He. Catena del 14 N

Al termine della combustione dell’idrogeno, esaurito tale combustibile la materia risulterà


composta da elio e dagli elementi più pesanti originariamente preesistenti. Se il ciclo CNO
è stato efficiente ci si attende che tra tali elementi pesanti C e O si siano in gran parte
trasformati in 14 N.
La catena pp, ove sono presenti due rami di combustione He+He, ci indica come a qualche
diecina di milioni di gradi debba certamente risultare ”coulombianamente” efficiente anche
la reazione
4
2 He +42 He →84 Be
Con tale reazione non si realizza però una reale combustione perché il 8 Be cosı̀ prodotto
ridecade in due particelle α in circa 10−16 secondi. La combustione si realizzerà solo se e
quando il Be prima di decadere catturi una ulteriore particella α giungendo a produrre un
nucleo stabile di 12 C
8
Be +4 He →12 C
Per comprendere il meccanismo che porta ad una efficiente produzione di carbonio è
da notare che il 8 Be si comporta come un elemento secondario, creato dalla reazione di
produzione 4 He +4 He e distrutto dal successivo decadimento, con una concenrazione di
equilibrio che dipende dal rapporto tra l’efficienza delle reazioni di produzione (fusione di
due nuclei di elio) e di distruzione (decadimento spontaneo). Aumentando la temperatura
si producono due effetti, tutti e due tesi a rendere più probabile la combustione del berillio
in carbonio:

1. Aumenta la velocità di reazione α + α e aumenta quindi, a fronte del costante tempo di


decadimento , la concentrazione di equilibrio di 8 Be
2. Si attenuano gli effetti della repulsione coulombiana e aumenta quindi la sezione d’urto
del berillio per cattura α

La combinazione di questi due effetti fà si che a circa 108 K divenga efficiente il processo
a tre corpi di fusione di He in C. A tali temperature, ben superiori a quelle richieste dal
15

semplice attraversamento della barriera coulombiana, risultano peraltro efficienti anche suc-
cessive catture α, così che nelle strutture stellari ci si attende che siano contemporaneamente
efficienti

3α →12 C + γ

12
C + α →16 O + γ
seguite, ma con minore e talora trascurabile efficienza, da
16
O + α →20 N e + γ

20
N e + α →24 M g + γ
Al termine della combustione di elio ci si attende essenzialmente una miscela di 12 C e
16
O con tracce più o meno consistenti di Ne. Le stelle, consentendo di mantenere la materia
attorno ai 108 K per milioni di anni, riescono cosı̀a superare tramite la reazione 3α il limite
imposto alla veloce nucleosintesi cosmologica dalla mancanza di nuclei stabili con A=5, 8.
Le reazioni di combustione di elio sin qui discusse sono le uniche rilevanti per quel che
riguarda il contributo al fabbisogno energetico di una struttura stellare. E’ peraltro da notare
come alle temperature di combustione dell’elio l’ 14 N presente (anche come prodotto di una
precedente combustione CNO) sia in grado anch’esso di catturare particelle α
14
N + α →18 F + γ
seguita dal decadimento
18
F →18 O + e+ + ν
innescando una catena di reazioni che qui di seguito riportiamo in una notazione alternativa
di immediata interpretazione
14
N (α, γ)18 F (e+ ν)18 O(α, γ)20 N e(α, n)25 M g
Ricordiamo che in una stella ricca di metalli quale il Sole, con abbondanza in massa di
elementi pesanti dell’ordine di Z ∼ 0.02, l’abbondanza in numero di elementi CNO (supra)
è dell’ordine di 10−3 , confortando la scarsa rilevanza energetica di tale reazione a fronte della
combustione 3α. E’ peraltro da notare che il completamento della catena implica che per
ogni nucleo CNO originalmente presente nel gas stellare venga liberato un neutrone, il che
-nella assunzione Z ∼ 0.02- corrisponde a ∼ 1021 neutroni liberati per grammo di materia.
Poiché i neutroni non risentono della repulsione coulombiana, essi tendono ad essere
catturati dai nuclei circostanti, che vengono cosı̀a fungere da nuclei seme per la costruzione
di elementi a numero atomico sempre più alto. Proprio un simile processo contribuisce alla
formazione degli elementi più pesanti del Fe che, come già sappiamo, non ci attendiamo
possano essere prodotti in combustioni termonucleari quiescenti.

4.8. Le combustioni avanzate


Considerando ancora una volta gli effetti della repulsione coulombiana, si trova che in-
nalzando la temperatura a 7 − 8 108 K diviene efficiente la combustione del carbonio
12
C +12 C →20 N e + α ∼ 50% Q = 4.6M eV
→23 N a + p ∼ 50% Q = 2.2M eV
16

→23 M g + n rara Q = −2.6M eV


→24 M g + γ molto rara Q = 13.9M eV
→16 O + 2α sporadica Q = −0.1M eV

Si noti come all’aumentare della complessità del nucleo composto diventino sempre più
probabili canali di fragmentazione con emissione di protoni, neutroni o particelle α a con-
fronto del decadimento nello stato fondamentale.
Poiché siamo a temperature molto più alte di quelle tipiche per la combustione
dell’idrogeno o dell’elio, i protoni e le particelle α prodotte reagiscono immediatamente
con molti dei nuclei circostanti. Tra le molte reazioni possibili, e di cui sarà necessario tenere
dovuto conto, segnaliamo ad esempio una catena di reazioni che può portare un ulteriore
contributo alla produzione di neutroni

12
C(p, γ)13 N (e+ ν)13 C(α, n)16 O
Innalzando ancora la temperatura, a T ∼ 1.5 109 K i fotoni sono cosı̀ energetici che
la successiva combustione del Neon viene in realtà innescata da un processo di fotodisinte-
grazione
20
N e + γ →16 O + α
23
e le particelle α cosı̀ prodotte reagiscono con lo stesso Neon o con il N a prodotto della
precedente combustione del carbonio
20
N e + α →24 M g + γ
23
N a + α →26 M g + p

dando di nuovo inizio a tutta una serie di reazioni che possono portare alla formazione
di alluminio, silicio, fosforo.
A T ∼ 2 109 K diviene possibile la fusione diretta di due atomi di ossigeno
16
O +16 O →28 Si + α ∼ 45% Q = 9.6M eV
→31 P + p ∼ 45% Q = 7.7M eV
→31 P + n ∼ 10% Q = 1.5M eV
→32 S + γ molto rara Q = 16.5M eV
→24 M g + 2α sporadica Q = −0.4M eV

i cui prodotti danno di nuovo origine a tutta una serie di reazioni che possono giungere sino
al 46 T i.
All’ulteriore aumentare della temperatura iniziano a dominare i processi di fotodisinte-
grazione e di ricattura delle particelle prodotte che conducono ad un equilibrio dinamico in
cui l’abbondanza dei vari nuclei è regolata dalle rispettive energie di legame. Da tali pro-
cessi di equilibrio emerge come specie dominante il nucleo più legato, il Ferro, termine delle
possibili reazioni esoenergetiche di cui qui ci siamo interessati.

4.9. Evoluzione stellare e fusioni nucleari


La conoscenza del quadro delle reazioni termonucleari consente ora di precisare le aspetta-
tive evolutive delineate all’inizio di questo capitolo come conseguenza del teorema del viriale.
Come schematizzato in Fig. 4.11 , ci si attende che la storia di una stella sufficientemente
massiccia consista in una progressiva contrazione intervallata da ”stop” nucleari ogniqual-
volta l’innalzamento della temperatura nelle zone centrali raggiunga la soglia di una delle
combustioni termonucleari chiamate progressivamente a trasformare prima H in He, poi He
17

Fig. 4.11. Schema dell’andamento temporale delle temperature centrali T in uns stella sufficien-
temente massiccia: fasi di contrazione gravitazionale (g) portano in successione alle combustioni di
H, He, C.. sino alla finale fotodisintegrazione del Ferro.

in C e O, sintetizzando infine Mg, Si sino alla costituzione del nucleo finale di Fe la cui
fotodisintegrazione darà inizio al collasso finale di Supernova .
Piú in dettaglio, troveremo che ogni reazione, esaurito il proprio combustibile nelle regioni
centrali, si sposta in uno strato che circonda il nucleo composto dai prodotti di reazione
che all’aumentare della temperatura fungeranno da combustibile alla successiva reazione.
Come schematizzato in Fig. ?? l’iterazione di tale processo conduce infine nelle fasi finali
di pre-Supernova alla tipica struttura ”a cipolla”, in cui un nucleo di Ferro é contornato
in successione dai prodotti delle varie reazioni che sono state efficienti lungo tutta la storia
della stella.
La durata temporale delle fasi di combustione nucleare resta determinata dalla condizione
che l’energia prodotta supplisca al fabbisogno energetico della struttura, restando quindi
collegata alla capacità di produrre energia delle varie fusioni. E’ subito visto che a parità
di nucleoni coinvolti la fusione di gran lunga più energetica é quella dell’idrogeno, dalla
quale ci attendiamo un emissione di energia di almeno ∼20 MeV per nucleo di He prodotto,
quindi almeno ∼5 MeV per nucleone coinvolto. Segue nell’ordine la 3α →12 C che fornisce
7.275 MeV per nucleo prodotto di carbonio, e altri 7.162 MeV per la combustione di 12 C
in 16 OO. Si hanno dunque circa 0.6 MeV per nucleone dalla combustione in C, che salgono
a circa 0.9 MeV se la combustione si completa a formare 16 O. Se ne conclude che se una
stella rimanesse a luminosità costante la combustione dell’elio sarebbe in grado di durare
non piú di un quinto di quanto duri quella dell’idrogeno. Poichè in realtà una struttura
aumenta di ordini di grandezza la sua luminosità, la durata combustione di He risulterà
corrispondentemente minore, riducendosi talora anche a meno di 1%.
Le combustioni di elementi più pesanti risultano ancor meno energetiche e, per di più,
l’abbondante produzione di termoneutrini che contraddistingue le fasi evolutive più avanzate
aumentano di molto il fabbisogno energetico, riducendo di conseguenza i tempi caratteristici
della combustione, sino a farli svanire in una continua finale contrazione. La Tabella 1 riporta
una valutazione indicativa della storia energetica di una struttura, dalla sua formazione sino
alla struttura finale di pre-Supernova.
Se l’età delle stelle è distribuita a caso, ci si attende di trovare la grande maggioranza
delle stelle in fase di combustione di idrogeno, e ciò è da collegarsi alla già citata evidenza
osservativa della Sequenza Principale. Ci si attende anche una non trascurabile presenza
di stelle in fase di combustione di He, ma una scarsa o nulla evidenza di stelle in fasi di
combustione ancor più avanzate. Fasi quindi di difficile identificazione osservativa, ma che
18

Fig. 4.12. A destra: l’andamento temporale della struttura di una stella. In ordinata la variabile
Mr /M che descrive la struttura dal centro ( Mr /M=0) alla superficie ( Mr /M=1). Le aree trat-
teggiate rappresentano le zone ove sono efficienti le indicate combustioni nicleari. A sinistra: schema
della struttura finale ”a cipolla” in fase di pre-Supernova.

Tab. 1. Schema orientativo dell’evoluzione di una struttura stellare massiva attraverso le diverse
fasi di combustione al crescere della temperatura centrale T6 in milioni di gradi. Per ogni fase viene
riportata l’energia totale (gravitazionale o nucleare)rilasciata dall’inizio dell’evoluzione e la frazione
di energia emessa per fotoni o neutrini.

T6 Fase Egrav Enucl Fotoni Neutrini

0-10 Gravit. 1 KeV/n 100%


10-30 H → He 6.7 MeV/n 95% 5%
30-100 Gravit. 10 KeV/n 100%
100-300 He → C, O 7.4 MeV/n 100%
300-800 Gravit. 100 KeV/n 50% 50%
12
800-1100 C +12 C → 7.7 MeV/n ∼ 100%
1100-1400 150 KeV/n ∼ 100%
16
1400-2000 O +16 O → 8.0 MeV/n ∼ 100%
2000-5000 Fe 400 KeV/n 8.4 MeV/n ∼ 100%

risultano peraltro di grande importanza quando si affrronti il problema della formazione


degli elementi e della evoluzione nucleare della materia nell’Universo.
19

Approfondimenti

A4.1. La formazione stellare. Funzione Iniziale di Massa (IMF)


La formazione stellare origina dal prevalere della gravità sulla agitazione termica del gas interstellare.
La dinamica dei processi di formazione è peraltro ancora aperta a indagini ed ipotesi. Per quel che
riguarda l’identificazione del meccanismo che conduce nubi interstellari a superare la massa critica,
iniziando la contrazione, sono possibili due scenari:

1. La massa critica viene superata per fluttuazioni spontanee nella densità e/o per rafreddamento
del gas,
2. La massa critica viene superata a causa della compressione prodotta dalla propagazione nel
mezzo di onde d’urto prodotte da una vicina supernova.

Tali due meccanismi, anzichè essere alternativi, possono rappresentare due meccanismi concor-
renziali che, con efficienza da determinare, hanno contribuito alla formazione stellare lungo l’arco
della storia della nostra Galassia. In tale contesto, le più volte citate differenze tra ammassi stellari
di disco e di alone (numero di stelle e stato dinamico) sono indice di una sostanziale differenza nello
stato fisico del gas nel quale si formarono i protoammassi e/o nei meccanismi di formazione.
Nel primo caso (fluttuazioni spontanee) la produzione di stelle resta indipendente dalla presenza
in loco di altre stelle,o tutt’al più inibita da tali stelle se esse, riscaldando il gas, elevano il valore della
massa di Jeans. In tal caso ci si attendono processi di formazione stellari più o meno casualmente
scaglionati nel tempo. La formazione di stelle indotta da eventi di Supernova suggerisce al contrario
che la nascita di sistemi stellari sia un evento autopropagantesi: la formazione di un sistema stellare
implica la presenza di stelle massicce che, esplodendo come Supernove, inducono in sequenza la
formazione di ulteriori sistemi stellari nelle regioni circostanti, e cosı́di seguito. Un processo iterativo
di cui si trova forse evidenza osservativa nella sequenza temporale di alcuni gruppi di ammassi aperti
della Galassia.
La distribuzione di masse stellari risultante al termine della gerarchia di fragmentazioni di un
protoammasso è un problema fondamentale tuttora aperto. Dall’osservazione delle stelle attorno
al Sole è stata a suo tempo ricavata per tale distribuzione una legge di potenza, nota come IMF
(Initial Mass Function) di Salpeter, fornita in letteratura nelle due forme alternative:

dN dN
=M = M −α = M −1.35
dlnM dM

dN
= M −(α+1) = M −2.35
dM

E’ subito visto come tale distribuzione diverga per M→ 0: essa era infatti intesa a descrivere la
distribuzione della IMF per masse superiori o dell’ordine di 1 M . Le più recenti evidenze osservative
mostrano che la distribuzione di Salpeter può al più essere mantenuta sino a masse dell’ordine di
0.6 M ; per masse minori sono state proposte varie alternative, tutte in accordo nell’abbassare
drasticamente il numero di stelle previsto in tale intervallo di masse. Miller e Scalo hanno ad
esempio proposto di interpretare i dati osservativi in termini di una distribuzione log-normale, del
tipo

dN
∝ exp[−C1 (logM − C2 )2 ]
dlnM
20

Fig. 4.13. Istogramma della distribuzione in massa dei frammenti risultanti da un processo proba-
bilistico confrontato con una distribuzione log-normale. Le masse sono in frazioni della massa della
nube iniziale.

con cui coprire l’intero intervallo di masse. Non è peraltro ancora chiaro il ruolo dei fenomeni fisici
alla base di una tale distribuzione, né - in particolare - quanto tale legge sia di validità generale
o rappresenti - al contrario - una distribuzione caratteristica delle sole stelle di Popolazione I.
L’ipotesi che la IMF dipenda anche sensibilmente dal contenuto di metalli è stata infatti avanzata
più volte, sulla base dell’osservazione che il contenuto di metalli condiziona l’opacità della materia
ed i meccanismi di raffreddamento della medesima, processi che dovrebbero giuocare un ruolo non
trascurabile nella dinamica della contrazione e della fragmentazione.
E’ interessante peraltro notare come sia stato mostrato che una distribuzione log-normale sia
spontaneamente raggiunta quando si supponga che il processo di successive fragmentazioni sia retto
da leggi probabilistiche per quel che riguarda il numero di frammenti per evento, le masse di tali
frammenti e il numero di frammentazioni (Fig. 4.13).

A4.2. Il teorema del viriale


Si abbia un gas autogravitante, composto cioè da un insieme di N particelle di massa mi , mutamente
interagenti attraverso il loro campo gravitazionale. Per esso si definisce il momento di inerzia
m1 (x2i + yi2 + zi2 )
P
I= i
i = 1, N

con ovvio significato dei simboli. Operandone la derivata seconda rispetto al tempo ne risulta

1 d2 I X d X 2
2
= mi (xi vxi + yi vyi + zi vzi ) = mi vxi + ... + m1 xi axi + .......
2 dt dt
i i

dove per brevità sono stati omessi gli analoghi contributi delle componenti y e z.
E’ subito visto che la somma
X 2 2 2
X
mi vxi + mi vyi + mi vzi = mi vi2 = 2T
i i

avendo indicato con T l’energia cinetica totale del sistema, somma delle energie cinetiche delle
singole particelle.
Notiamo ora che mi axi per la legge di Newton (F = ma) è la componente x della forza agente
sulla i-ma particella. Potremo dunque scrivere
X mi mj xj − xi
xi mi axi = xi Fxi = xi G 2
rij rij
j6=i
21

Eseguendo le somme, ad ogni termine del tipo

mi mj xj − xi
xi G 2
(componente x della forza operata dalla particella j su quella i)
rij rij

corrisponde un termine

mi mj xi − xj
xj G 2
(componente x della forza operata dalla particella i su quella j)
rij rij

la cui somma fornisce


mi mj xj − xi mi mj (xj − xi )2
(xi − xj )G 2
= −G 2
rij rij rij rij

Sommando le corrispondenti componenti y e z si ha

mi mj (xj − xi )2 + (yj − yi )2 + (zj − zi )2 mi mj


−G 2
= −G
rij rij rij
e sommando su tutte le particelle
X mi mj
− G = Ω = energia di legame gravitazionale
rij
ij

Riassumendo, si conclude che

1 d2 I
= 2T + Ω
2 dt2
come si voleva dimostrare.

A4.3. Condizioni generali sulle strutture stellari


Sulla base delle varie relazioni teoriche che governano l’equilibrio delle strutture stellari è possibile
ricavare interessanti predizioni sul comportamento generale di tali strutture.
Dall’equazione dell’equilibrio idrostatico nella forma dP/dM=GM/4πr4 , integrando lungo
l’intera struttura con un unico passo si ottiene as esempio

M2 M
P ∝ e poichè P ∝ ρT ∝ T
R4 R3
si ha infine

M
T ∝
R
Alla stessa relazione si giunge dal teorema del viriale. Da 2W + Ω = 0 si ha infatti W ∝ −Ω,
dove ad evitare confusioni con la temperatura T abbiamo ora indicato con W l’energia cinetica
totale del sistema. Per la temperatura si ha T ∝ W/M e, dal viriale, anche ∝ Ω/M. Poichè Ω ∝
M2 /R si ha infine ancora T ∝ M/R.
Utilizzando tale relazione possiamo anche ricavare indicazioni sulla relazione massa-luminosità
per strutture supposte almeno in larga parte in equilibrio radiativo. In tal caso si ha infatti

dT 3κ L T4 L
= − da cui ∝ 4
dM 4ac 16π 2 r4 T 3 M R
Da T ∝ M/R si ricava infine

L ∝ M3
22

Fig. 4.14. Mappa degli elementi coinvolti nella combustione CNO veloce. Le linee a tratti indicano
i decadimenti β.

che mostra come la luminosità debba crescere con una potenza superiore della massa. Si
noti come nella derivazione non si siano fatte ipotesi sulla generazione di energia, a ulteriore di-
mostrazione che la luminosità di una struttura è governata dalla massa attraverso l’equilibrio idro-
statico. Introducendo l’ipotesi che la luminosità sia il prodotto di un meccanismo di combustione
nucleare, poichè l’efficienza delle combustioni cresce con la temperatura, la relazione precedente ci
garantisce anche che la temperatura centrale deve crescere con la massa.
Dalla equazione della conservazione di energia si ha inoltre

dL L
= 4πr2 ρε da cui ∝ ρε
dR R3

e utilizzando ancora T ∝ M/R, unita alla L ∝ M3 si ha

LT 3
∝ T 3 ∝ ρε
M3
.

che mostra come il rapporto tra temperatura e densità dipenda dal coefficiente di generazione
di energia. Per quest’ultimo si avrà una dipendenza da temperatura e densità del tipo

ε ∝ ρm T n
risultando m=1, n=4 per la combustione dell’idrogeno, catena pp, m=1, n=14 per il ciclo CNO,
e m=2, n=22 per la combustione dell’elio.
Per strutture sorrette dalla catena pp si avrà cosı̀, ad esempio

T ρ2 ∼ cost
e simile per il CNO, che mostra come se all’aumentare della massa deve crescere la temperatura,
come abbiamo già trovato, nel contempo deve diminuire anche la densità centrale. Diminuendo
le masse si avranno dunque minori temperature e maggiori densità, predisponendo tali masse
all’insorgere della degenerazione elettronica, come già indicato.

A4.4. Il ciclo CNO veloce


I meccanismi di combustione dell’idrogeno tramite la catena pp o il ciclo CNO sono in genere valutati
sotto l’implicita assunzione che la materia stellare sia a temperature tipiche delle fasi quiescenti di
23

Fig. 4.15. Diagrammi di flusso per le reazioni del ciclo CNO veloce a varie temperature in miliardi
di gradi (T9 ).

combustione, e quindi al più a poche diecine di milioni di gradi. Sono queste infatti le temperature
che consentono di norma di estrarre dalla fusione dell’idrogeno l’energia necessaria per sostenere
una struttura stellare. E’ da presumere però che in peculiari condizioni evolutive materia ancora
ricca di idrogeno possa raggiungere temperature anche molto più alte. Tale è il caso, ad esempio,
di stelle supermassicce o prive di metalli o ancora, con riguardo a fasi non quiescenti, di materia
coinvolta nell’esplosione di una nova o di una supernova (nucleosintesi esplosiva.)
Ad alte temperature (T ≥ 108 K)il quadro di reazioni di combustione dell’idrogeno può risultare
anche drasticamente modificato da due distinti ordini di accadimenti;

1. Nella normale trattazione delle reazioni pp o CNO si è assunto che ove vengano prodotti nuclei
β instabili, questi abbiano il tempo di decadere spontaneamente prima di catturare un altro
protone. Ciò può non essere più vero ad alte temperature, quando la velocità delle reazioni di
cattura è grandemente accresciuta.
24

2. Alle alte temperature considerate è contemporaneamente presente la cattura α che può entrare
in concorrenza con reazioni di cattura protonica.

Le modifiche attese nella catena pp risultano marginali. Più rilevanti le modifiche attese nel ciclo
CNO, dove la cattura 13 N(p,γ)14 O può diventare concorrenziale al decadimento 13 N(e+ ν)13 C, e dove
reazioni quali 14 O(α,p)17 F(p,γ)18 Ne o 15 N(α, γ)19 F a T≥ 5 108 K giocano un ruolo determinante.
Il calcolo dettagliato dell’efficienza dei vari processi concorrenti può essere eseguito sulla base
della conoscenza delle relative sezioni d’urto. La figura 4.14 riporta uno schema delle varie reazioni
in grado di contribuire alla combustione veloce, mentre la figura 4.15 mostra i canali efficienti alle
tre diverse temperature 108 , 5 108 e 109 K.
A 108 K è ancora essenzialmente operante un ciclo CNO attraverso la serie di reazioni
12
C(p, γ)13 N (p, γ)14 O(e+ ν)14 N (p, γ)15 O(e+ ν)15 N (p, α)12 C
mentre 20 Ne viene trasformato in 22
Ne. A 5 108 K il ciclo CNO si espande mentre diviene
operante anche il ciclo
20
N e(p, γ)21 N a(e+ ν)21 N e(p, γ)22 N a(p, γ)23 M g(e+ ν)23 N (p, α)20 N e
A 109 K le reazioni sono infine dominate da catture α che operano sugli elementi leggeri sino a
trasformarli in Mg24 .
25

Origine delle Figure

Fig.4.2 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, Zanichelli


Fig.4.3 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, Zanichelli
Fig.4.4 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, Zanichelli
Fig.4.5 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, Zanichelli
Fig.4.6 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, Zanichelli
Fig.4.7 Castellani V., Sacchetti M. 1978, Astrophys. Space Sci. 53, 217
Fig.4.8 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, Zanichelli
Fig.4.9 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, Zanichelli
Fig.4.13 Elmegreen B.G.Mthieu R.D. 1983, MNRAS 203, 305
Fig.4.14 Prialmk D., Shara M.M., Shaviv G. 1978, A&A 62, 339
Fig.4.15 Audouze J., Truran J.W., Zimmerman B.A, 1973, ApJ 184, 493.

(Version 4.2)

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