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CRITERI DI RESISTENZA
La verifica di resistenza ha lo scopo di stabilire se lo stato tensionale dell'elemento strutturale analizzato è tale da
provocarne il cedimento inteso come rottura o snervamento.
Il problema fondamentale è quello mettere in relazione i parametri critici del materiale, la tensione di
snervamento σs o quella di rottura σr, ottenuti con le semplici prove monoassiali di trazione o compressione, con la
resistenza dell'elemento soggetto ad uno stato di tensione in genere biassiale o triassiale.
A questo scopo, sulla base delle osservazioni sperimentali basati sul meccanismo fisico con cui il materiale
giunge allo stato limite, sono state sviluppate diverse teorie che prendono il nome di criteri di resistenza. In
particolare, i criteri di resistenza forniscono delle combinazioni delle tensioni effettivamente agenti (principali o
cartesiane), dette tensioni equivalenti,
σe = f (σ1 ,σ 2 ,σ 3 ) o (
σe = g σ x , σ y , σ z , τ xy , τ yz , τ zx ) (11.1)
che possono essere confrontate con le tensioni di snervamento e rottura del materiale. Per molti criteri la tensione
equivalente dipende solo dalle tensioni principali massima e minima.
Per ciascun un criterio di resistenza, il cedimento in un punto della struttura si verifica se la tensione equivalente
raggiunge il valore limite di rottura o snervamento, cioè se:
σe = σl con l=s,r. (11.2)
Nella pratica, salvo casi particolari, le strutture sono progettate affinché le tensioni massime agenti si
mantengano sufficientemente al di sotto di quelle critiche. Si definisce tensione ammissibile una frazione opportuna
della tensione che provoca il danneggiamento. La definizione si ottiene introducendo un fattore n>1 come segue:
σl
σamm = (11.3)
n
Il valore n è detto coefficiente di sicurezza e il suo valore (tipicamente 1.3≤n≤2, in alcuni casi n=4) è imposto da
normative o scelto dal progettista in base a considerazioni riguardanti:
• l'incertezza sull'entità del carico e sulla modalità di applicazione (urti, sollecitazioni di montaggio e trasporto),
• l'incertezza sulle proprietà del materiale (proprietà iniziali, variazioni dovute alla lavorazione, usura e
temperatura in esercizio),
• l'imprecisione del modello matematico per il calcolo delle tensioni (uso di teorie semplificate),
• la possibile presenza di altre tensioni (dovute alla lavorazione o al montaggio),
• pericolosità del cedimento,
• costo.
Per verificare se un elemento di geometria nota è in condizione di sicurezza, si calcola il valore della tensione
equivalente e si confronta con la tensione ammissibile tramite una disequazioni di questo tipo:
σ e ≤ σ amm (11.4)
Questo tipo di calcolo è detto di verifica.
In alcuni casi è possibile scrivere la σe in funzione di un parametro geometrico della struttura (D) e ricavare
quest'ultimo imponendo che la σe eguagli il valore ammissibile:
σe ( D) = σamm (11.5)
Questo tipo di calcolo è detto di progetto.
r = σ lt σ lc (11.7)
11.1
che, si noti, è un numero negativo, le (6) possono essere sintetizzate come segue:
maxσ1, rσ 3 = σ lt (11.8)
La (8) consente di definire una tensione equivalente da confrontare con la sola tensione ammissibile a trazione
σamm=σlt/n come segue:
σ e = maxσ1, rσ 3 (11.9)
σst σst σ3 Considerando tensioni principali non ordinate, ma tali che σ1 e σ3 siano la
massima e la minima o viceversa, nel piano σ1-σ3, gli stati di tensione limite
espressi dalle (6) sono rappresentati da un quadrato (vedi fig.1). Questa
rappresentazione può essere utilizzata anche in caso di stato di tensione biassiale
σst con σ2=0. Se le tensioni sono ordinate (σ1>σ3) l’area segnata in grigio nella
σsc σ1
figura (per la quale sarebbe σ1<σ3) non deve essere considerata.
Nello stato di tensione tangenziale puro, rappresentato dalla linea tratto-punto
in fig.1, si ha σ1=-σ3 con τmax=(σ1-σ3)/2=(σ1+σ1)/2=σ1. Applicando il criterio di
Navier (6) a questo caso si ottiene che il cedimento si verifica quando σ1=σs cui
σsc corrisponde τmax=(σs+σs)/2=σs. Dati sperimentali mostrano che questa
eventualità può essere considerata realistica per i materiali fragili, mentre nel
Fig.11.1 - Criterio di Navier nel piano caso di materiali duttili lo snervamento si verifica per valori della tensione
σ1−σ3 (τραττεγγιατο περ σst σsc
= ).
tangenziale molto minori.
Nel piano σn-τn ciascuno stato di tensione è rappresentato mediante i 3
τn
cerchi di Mohr di cui quello esterno è relativo al piano in cui agiscono le
tensioni principali più elevate in modulo. In fig.2, ad esempio, sono riportati
in linea tratteggiata, i cerchi limite a trazione e compressione semplice e con
linea punteggiata il caso di σ1=σlt e σ2=σlc. In particolare, per il criterio di
Navier, gli stati di tensione limite sono rappresentati da cerchi di Mohr
O σn
tangenti alle rette parallele all'asse τ aventi equazione σ=σlt e σ=σlc mostrate
in fig.2. Sul piano di Mohr è possibile definire una curva limite data
dall’inviluppo di tutti i cerchi di Mohr che rappresentano stati di tensione
limite. Per il criterio di Navier tale curva limite è la circonferenza tangente
alle rette σ=σlt e σ=σlc rappresentata con linea punteggiata in figura. σlc σlt
Questo criterio:
Fig.11.2 – Rappresentazione del criterio di
• può essere utilizzato per materiali con comportamento non simmetrico, Navier nel piano di Mohr.
tipicamente fragili, per prevedere la rottura σlt=σrt, σlc=σrc,
• è spesso in contrasto con i dati sperimentali, risultando eccessivamente conservativo, nelle zone dove le tensioni
σ1 e σ3 sono di segno discorde e la tensione di compressione è la maggiore in valore assoluto,
• considera solo le tensioni massime in valore assoluto, trascurando l'effetto di quelle intermedia e minima,
• indica che la tensione tangenziale di snervamento è pari a σs,
• fallisce nel caso di compressione idrostatica pari a -σs prevedendo il cedimento.
σs
τ s = 12 (σ s − 0) = 12 σ s (11.10)
Fig.11.3 - Criterio di Tresca. Per uno stato generale di tensione le tensioni di taglio massime agenti nei
piani principali sono date da
τ ij = 1
2
(σ i − σ j ) i, j =1,2,3; i ≠ j (11.11)
Lo snervamento si verifica quando τmax=τs, cioè, considerando tensioni principali non ordinate,
max 12 (σ i − σ j ) = 12 σ s , (11.12)
11.2
nella quale || significa valore assoluto, da cui:
τ Nel caso biassiale con σ3=0 e tensioni agenti nel piano 1-2 la (14)
ν
diventa
σ e = max(σ1 − σ 2 , σ1 , σ 2 ) (11.15)
U = U1 + U 2 + U 3 =
1
2E
[
σ12 + σ22 + σ 32 − 2ν (σ1σ2 + σ1σ 3 + σ 2σ 3 ) . ] (11.17)
La sollecitazione agente sul cubetto unitario in ciascuna direzione può essere considerata come la somma di una
tensione media, definita come
σ1 + σ 2 + σ3
σm = , (11.18)
3
11.3
e della tensione ∆σi (i=1,2,3) data dalla differenza tra la tensione effettivamente agente e la tensione media stessa,
cioè ∆σi = σi − σ m . E' evidente che la σm provoca solo una variazione di volume dell'elemento mentre le ∆σi
producono la distorsione di forma del cubetto.
L'energia di deformazione dovuta alla sola variazione di volume si ottiene sostituendo alle tre tensioni principali
la componente media:
Uv =
1
[
3σ m2 − 6νσ m2 =
(1 − 2ν ) 3σ 2 = (1 − 2ν ) (σ + σ + σ )2
] (11.19)
m 1 2 3
2E 2E 6E
ovvero:
1 − 2ν 2
Uv =
6E
[
σ1 + σ 22 + σ 32 + 2(σ1σ2 + σ1σ 3 + σ 2σ3 ) ] (11.20)
Ud = U −Uv =
1 +ν 2
3E
[
σ 1 + σ 22 + σ 32 − (σ 1σ 2 + σ 1σ 3 + σ 2σ 3 ) ; ] (11.21)
Tensioni equivalenti
La relazione (24) permette di definire la tensione equivalente (detta di Von Mises) per lo stato di tensione triassiale
da confrontare con quella ammissibile:
Due stati tensionali definiti da diversi valori delle componenti del tensore degli sforzi, ma aventi lo stesso valore
della σe data dalla (25) sono equivalenti ai fini dell'energia di deformazione (e quindi dello snervamento).
La (25) può essere riscritta per un sistema di assi non principale e fornisce:
σ e = σ x2 + σ 2y + σ z2 − (σ xσ y + σ yσ z + σ zσ y ) + 3 τ xy
2
(
+ τ yz
2
+ τ zx
2
) (11.26)
Le espressioni (25-28) possono essere utilizzate mediante le relazioni (4) e (5) per fini di verifica o progetto
tenendo conto che la σl che può essere inserita è solo quella di snervamento. Sostituendo nelle (25-28) σs al posto di
σe si ottengono le situazioni limite per i vari casi di stato tensionale. Nel caso di stato di tensione puramente
tangenziale con σ1=τ e σ2=- σ1, utilizzando la (28), allo snervamento si ottiene:
τ s = 0.577σ s . (11.29)
11.4
La (29) può essere ottenuta utilizzando anche la (28) che in questo caso si riduce a 3τ xy2 = σ s . Il confronto con
σ2 l'analoga relazione ottenuta con la teoria della massima tensione tangenziale
σs mostra che il criterio dell'energia di distorsione indica una resistenza allo
snervamento a taglio apprezzabilmente più alta (del 15.4%).
σs/2 Nello spazio σ1-σ2-σ3 l'eq. (24) rappresenta un cilindro avente per asse la
trisettrice degli assi di riferimento. Nel piano σ1-σ2 (con σ3=0) la sua traccia
σs σs è una ellisse di eq.(27) (vedi fig.5).
σ1 Questo criterio:
• vale per materiali con comportamento simmetrico,
• considera tutte le tensioni principali,
• indica che la tensione tangenziale di snervamento è 0.577 quella in
σs
trazione,
Fig.11.5 – Criteri di Navier, Tresca, e • fallisce nel caso di trazione tripla prevedendo la resistenza.
Von Mises.
σ1 + σ 2 + σ 3
σh = τh = 1
3
(σ1 − σ 2 )2 + (σ 2 − σ 3)2 + (σ1 − σ 3)2 (11.32,33)
3
La (33) può essere scritta anche come
τh = 3
2 σ12 + σ 22 + σ 32 − (σ1σ 2 + σ 2σ 3 + σ1σ 3) (11.34)
τn σh ,τh
σ2
τn
τh σh 2α compressione
β n
σn trazione σp
γ α σ1
σn
torsione
σ3 σ1=σs
Fig11.6. - Uno dei 4 piani ottaedrici. Fig.11.7 – Tensioni ottaedriche Fig.11.8 – La curva limite di Mohr e cerchi limite per
allo snervamento. trazione tripla, trazione, torsione e compressione.
Nel caso di stato di compressione idrostatico, per il quale non si verifica snervamento nel materiale, le tensioni
principali coincidono con la σh mentre la τh risulta nulla. Questo fa ritenere che quest’ultima sia la causa dello
snervamento. In particolare in un provino soggetto ad uno stato di tensione monoassiale le tensioni ottaedriche allo
snervamento (fig.7) diventano:
σ1 σ s
σh = = τh = 3
2
σs = 0.4714σ s (11.35,36)
3 3
Nel caso multiassiale lo snervamento si verifica quando la tensione ottaedrica (33) raggiunge il valore critico:
τh = 1
3
(σ1 − σ 2 )2 + (σ 2 − σ 3)2 + (σ1 − σ 3)2 = 3
2
σs (11.37)
e la tensione equivalente, che coincide con quella di Von Mises (25), può essere espressa come:
σe = 1
2
(σ 1 − σ 2 )2 + (σ 2 − σ 3 )2 + (σ 1 − σ 3 )2 (11.38)
11.5
Criterio di Mohr
Il criterio di Mohr ipotizza che la crisi del materiale si verifichi nel piano in cui si realizza una combinazione critica
di tensioni tangenziali e normali. Tali combinazioni vengono identificate sul piano di Mohr σn-τn imponendo per
ogni σn una τn che provochi la rottura e tracciando il corrispondente cerchio Mohr; la curva limite di Mohr, specifica
per il materiale analizzato, è l’inviluppo dei cerchi ottenuti (fig.8). Ovviamente gli stati tensionali i cui cerchi di
Mohr maggiori sono tangenti alla curva limite sono stati tensionali limite.
I punti di tangenza dei cerchi limite con la curva di Mohr rappresentano lo stato tensionale agente nel piano in
cui avviene la rottura. Sfruttando le proprietà dei cerchi di Mohr che è possibile determinare la direzione di tali piani
(fig.9).
Per tracciare le curve di Mohr sarebbe necessario effettuare almeno le prove di trazione, compressione, torsione,
più una prova in stato triplo di sollecitazione caratterizzato dallo stato tensionale σ1=σ2=σ3=σp. Nonostante la
presenza di qualche punto relativo a stati triassiali, le curve di Mohr trascurano l’effetto della tensione intermedia.
Le curve di Mohr hanno le seguenti caratteristiche:
• sono simmetriche rispetto all'asse σ, perché la rottura non dipende dal segno delle τ,
τn
• dalla parte delle σ negative tendono a diventare parallele all'asse σ, perché per
σl, τl
compressione idrostatica non si ha rottura,
σ,τ • dalla parte delle σ positive le curve intersecano l'asse σ nel punto σp, che, per i
φl
σn
materiali fragili, tende a coincidere con σrt,
• in questo punto la tangente alla curva deve essere verticale perché il cedimento a
trazione avviene per distacco.
Fig.11.9 – Verifica di
Se la curva di Mohr per il materiale considerato è disponibile, questo criterio è,
resistenza utilizzando la probabilmente, il più efficace. La verifica deve essere effettuata confrontando il
curva limite di Mohr. maggiore dei 3 cerchi di Mohr rappresentativi dello stato di tensione agente con il
cerchio limite relativo allo stesso stato (fig.9). Quest’ultimo si ottiene amplificando di
un fattore n crescente tutte le tensioni principali σ1l=nσ1, σ2l=nσ2, σ3l=nσ3 fino a quando il cerchio ottenuto non
risulta tangente alla curva limite: il fattore n per cui si ottiene il cerchio limite è il coefficiente di sicurezza. Il punto
di tangenza di coordinate σl, τl (fig.9) determina la giacitura del piano in cui si verifica la crisi del materiale; la
normale al piano forma l’angolo φl/2 con la direzione 1. Poiché per n=0 il cerchio di Mohr degenera in un punto
coincidente con l’origine, tracciando la congiungente tra l’origine e il punto limite, l’intersezione con il cerchio dello
stato tensionale agente permette di determinare graficamente il punto di coordinate σ=σl/n, τ=τl/n come in fig.9.
τ σ2
τn ν
σlt
τl
τ
ι τλ σlt
τl φ α
σlc σlt σlc σ1
σn σ
ν
τl
σlc
(a) (b) (c)
Fig.11.10 – Teoria di Coulomb Mohr: a) curva limite, b) la retta tangente ai cerchi limite di trazione e compressione e relativi parametri, c) la
spezzata limite nel piano σ1-σ2 a confronto con quello della massima tensione normale.
Criterio di Coulomb-Mohr
La curva limite di Mohr può essere approssimata utilizzando solo i cerchi di Mohr limite a trazione e compressione
e la retta tangente ai suddetti cerchi come mostrato in fig.10. Tale retta sul piano di Mohr ha equazione
τ + µσ = τ i (11.39)
nella quale τi è l’intersezione con l’asse τn e µ=tanα è il coefficiente angolare. La retta di Coulomb ha pendenza pari
ad α=π/2-φ e i cerchi limite sono tangenti ad essa in punti la cui congiungente con il centro del cerchio (il raggio)
forma un angolo pari a φ=π/2-α. Sussiste la seguente relazione:
11.6
σ1 − σ 2 + m(σ1 + σ 2 ) = 2τ l σ 2 − σ 3 + m(σ 2 + σ 3) = 2τ l σ 3 − σ1 + m(σ 3 + σ1) = 2τ l (11.41a-c)
nelle quali le costanti τl (che è la coordinata τn del punto di tangenza del cerchio limite del caso di stato di tensione
puramente tangenziale alla retta limite – fig.10) ed m possono essere espresse in funzione dei diametri dei cerchi
limite a trazione e compressione, coincidenti con σlt e σlc rispettivamente, mediante le seguenti relazioni
σ lcσ lt σ lc + σ lt
τl = m= (11.42,43)
σ lc − σ lt σ lc − σ lt
Le 6 equazioni (41) rappresentano 6 piani che nello spazio formano un vertice nel punto σ1=σ2=σ3=τl/m.
Nel caso piano, considerando σ3=0 e non ordinando σ1 e σ2, le (41) assumono la seguente forma:
Queste espressioni possono essere utilizzate anche nel caso triassiale se σ1 e σ2 sono la massima e la minima
tensione agenti o viceversa.
Per m=0 (σlt=-σlc) il criterio di Coulomb-Mohr è equivalente a quello di Tresca.
Nel primo e terzo quadrante dove σ1 e σ2 hanno lo stesso segno la teoria di Mohr e quella di Navier coincidono.
La condizione limite può essere espressa semplicemente come
Nel secondo e quarto quadrante dove le tensioni hanno segno opposto, le due teorie differiscono. In particolare le
le combinazioni σ1 e σ2 limite sono espresse dalla seguente relazione:
maxσ1,σ 2 minσ1,σ 2
+ =1 (11.46)
σ lt σ lc
Ordinando le tensioni principali in modo che σ1>σ2>σ3 e introducendo il rapporto r tra le tensioni limite a
trazione e compressione (7), in base alle (45-46) la tensione equivalente da confrontare con quella ammissibile a
trazione σamm=σlt/n, è data dalla seguente espressione:
σ e = maxσ1, rσ 3, σ1 + rσ 3 (11.47)
La linea avente pendenza σ1/σ3=-1, che rappresenta lo stato di tensione puramente tangenziale, interseca il
contorno del rombo nel punto di coordinate σ1=-σ3=τl<σlt. L’analoga intersezione con la linea rappresentativa della
teoria di Navier fornisce, invece, τl=σlt, che è una caratteristica di molti materiali fragili. In questi materiali, nei casi
in cui le tensioni sono discordi e la tensione di trazione è la massima in valore assoluto o è comunque vicina a quella
di compressione (nel caso di stato di tensione puramente tangenziale sono uguali), la rottura avviene in piani normali
ad essa. Per sollecitazioni di questo tipo il criterio di Coulomb-Mohr risulta eccessivamente conservativo e viene
modificato opportunamente.
Criterio di Coulomb-Mohr modificato
Il criterio di Coulomb-Mohr modificato è rappresentato in fig.11 a confronto con quello originale. Il valore σi
rappresentato in figura è il valore di compressione per il quale la rottura a
σi,σlt σlt σ2
trazione prevale ancora su quella per scorrimento e dovrebbe essere determinato
σlt
sperimentalmente; tuttavia, operando in modo conservativo si assume σi=σlt e la
spezzata limite utilizzata è quella rappresentata con linea spessa in fig.11.
σlt In questo caso, nel primo e terzo quadrante valgono ancora le (45), nel
σsc σ1 secondo e quarto quadrante, se la tensione positiva è maggiore in modulo di
quella negativa, la condizione limite è ancora espressa dalle (45), viceversa
(σ1>0 σ2<0 e |σ2|>|σ1| oppure σ1<0 σ2>0 e |σ1|>|σ2|) la condizione limite è
σlt
rappresentata da:
σlt,σi
σlc σ lc + σ lt
maxσ1, σ 2 + minσ1,σ 2 1 = 1 (11.48)
Fig.11.11 – Il criterio di Coulomb σ lcσ lt σ lc
Mohr modificato.
Operando come nel caso precedente, ricordando la definizione (7) e tenendo
conto delle (45) e della (48), l’espressione delle tensione equivalente è data da:
11.7
Analisi Preliminare
CAPITOLO 1
ANALISI PRELIMINARE
Nei primi ponti strallati erano utilizzati pochi stralli con ampi spazi,
es. Ponte di Maracaibo in Venezuela, Polcevera a Genova realizzati da
RICCARDO MORANDI, il che portava ad avere grandi sforzi nei
cavi i quali richiedevano complicati congegni di ancoraggio nonché
spessori notevoli dell’impalcato per la grande distanza che c’era fra i
pochi cavi.
Attualmente si utilizzano molti stralli con spazi molto più ridotti. I
vantaggi dell’utilizzo di una strallatura diffusa sono:
Figura 1.1
Su tale grafico si vede che l’inclinazione ottimale dei cavi è 45° ma
può variare nel ragionevole limite di 25°-65° (figura 1.1).
I bassi valori dell’angolo di inclinazione corrispondono ai cavi esterni,
mentre i valori più alti corrispondono ai cavi più vicini al pilone.
h = Lc ⋅ tan 25°
Figura 1.2
Tale relazione ci fornisce l’altezza minima della torre al di sotto della
quale sarebbe opportuno non andare.
Figura 1.3
In merito alla natura dei vincoli esterni ed interni della struttura, gli
esterni di ogni strallo si possono ipotizzare dalle cerniere, senza però
che queste costituiscono degli snodi delle membrature cui fanno capo.
Dal punto di vista statico, considerando due ponti strallati: ad arpa uno
e a ventaglio l’altro di uguale caratteristiche geometriche, il ponte ad
arpa induce nell’impalcato uno sforzo normale doppio rispetto a
quello a ventaglio.
Se supponiamo che il passo ∆ fra gli stralli sia piccolissimo,
considerando lo schema a ventaglio (figura 1.4), si ha:
q ⋅ dx H
= Tanα =
dN L−x
q ⋅ ( L − x) ⋅ dx q⋅L q⋅x
x
q
= dN dN = ⋅ ( L − x) ⋅ dx N =∫ − dx
H H 0 H H
q ⋅ L ⋅ x q ⋅ x2 q ⋅ L2 q ⋅ L2 q ⋅ L2
N= − N max ( x = L) = − =
H 2H H 2H 2H
Schema a ventaglio
Figura 1.4
q ⋅ L2
N max =
2H
q ⋅ dx H
= Tanα =
dN L
q ⋅ L ⋅ dx q⋅L q⋅L
x
= dN dN = dx N =∫ dx
H H 0 H
q⋅L⋅x q ⋅ L2
N= N max ( x = L) =
H H
Schema ad arpa
Figura 1.5
q ⋅ L2
N max =
H
• maggiore stabilità;
Figura 1.6
La stabilità trasversale del ponte è legata quindi anche alla forma del
pilone, così come la capacità di ridurre gli effetti torsionali
nell’impalcato. Un pilone ad A è senza dubbio il più adatto per far
fronte a questo tipo di sollecitazioni, anche se dal punto di vista
economico non è altrettanto competitivo, come si può vedere dal
grafico seguente che esprime la relazione fra l’incremento di costo e la
geometria del pilone (figura 1.8).
Figura 1.8
Una grande influenza sulla scelta della geometria del pilone si ha nel
caso dei ponti strallati asimmetrici, con la campata di riva più corta
della campata principale. In questi casi è conveniente inclinare il
pilone verso la campata più corta in modo da far lavorare il pilone a
compressione sotto carichi permanenti ed aumentare in questo modo
la rigidezza della struttura (figura 1.9).
Figura 1.9
Esempio di impalcato in CA
BIBLIOGRAFIA
[1] Walther R., Cable stayed bridges, Thomas Telford, London, 1999.
[4] Gimsing N.J., Cable Supported Bridges, Concept & Design, John
Wiley & Sons, Chichester, 1996.
CAPITOLO 2
ANALISI STATICA
2.1 PREDIMENSIONAMENTO
La fase di predimensionamento è senza alcun dubbio la fase con più
incertezze, in quanto occorre stabilire le dimensioni, molte volte di
tentativo, da dare ai vari elementi strutturali. In questa fase è possibile
utilizzare modelli molto semplici ed espressioni semplificate che non
tengono conto di effetti del secondo ordine e a lungo termine.
2.1.1 PILONE
2.1.4 STRALLI
Figura 2.2
Figura 2.3
Asc ,i γ s ⋅ li P ∆ 1
Asc ,i − ⋅ = g + q + ⋅ + TPTR ,i ⋅
∆σ amm sin ϕ i ⋅ cos ϕ i 30 ⋅ d sin ϕ i ∆σ amm
γ s ⋅ li P ∆ 1
Asc ,i ⋅ 1 − = g + q + ⋅ + TPTR ,i ⋅
sin ϕ i ⋅ cos ϕ i ⋅ ∆σ amm 30 ⋅ d sin ϕ i ∆σ amm
P ∆
g +q+ ⋅ + TPTR ,i
30 ⋅ d sin ϕ i
Asc ,i = (2.3)
γ s ⋅ li
∆σ amm ⋅ 1 −
sin ϕ i ⋅ cos ϕ i ⋅ ∆ σ amm
∑ G ⋅ a − ∑ (G + Pj )⋅ a j
n n
i i j
n n
∑ (G + P )⋅ a − ∑ G ⋅aj
(2.5)
i i i j
i =1 j =1
max Tac =
h ⋅ cos φ ac
Figura 2.4
min Tac
K ac = ≥ 0.25 (2.6)
max Tac
Figura 2.5
dove:
Ni = sforzo normale dello strallo i-esimo;
[D] = matrice di flessibilità;
δi = spostamento del nodo i-esimo.
Figura 2.6
l l
Π= 1
2 ∫ N ⋅ ε ⋅ dx − ∫ q ⋅ w ⋅ dx − H u = min
0 0
(2.7)
ovvero:
l l
Π= ∫ EA ⋅ ε ⋅ dx − ∫ q ⋅ w ⋅ dx − H u = min
2
1
2 (2.8)
0 0
0 0 0
(2.13)
[ ]
l
− ∫ (N ⋅ w, x ), x + q δw ⋅ dx = 0 → (N ⋅ w, x ), x + q = 0
0
N,x = 0
(N ⋅ w ) = −q
,x ,x
N ⋅ δu 0 + N ⋅ w, x δw 0 − H ⋅ δ u = 0
l l
(2.15)
w(0) = 0
ma N ⋅ w, xδw = 0 se , quindi N ⋅ w, x = 0 e la (2.15) si
w(l ) = 0
semplifica in:
N −H =0 N=H ∀δu
L’equazione di equilibrio è:
N ⋅ w, xx = − q (N=cost.) (2.16)
q
Riscrivendo la (2.16) come w, xx = − e integrando, si ha:
N
q
w, x = − ⋅ x + C1
N
q
w=− ⋅ x 2 + C1 ⋅ x + C2 (2.17)
2N
w(0) = C2 = 0
q ⋅l
2
q ⋅l
w(l ) = − + C1 ⋅ l = 0 → C1 =
2N 2N
q ⋅l
w(x ) = −
q
⋅ x2 + ⋅x (2.18)
2N 2N
( )
l 2
L = ∫ 1 + w'2 dx (2.21)
0
γ γ γ ⋅l γ ⋅ x
con w' = ⋅ (l − x ) − ⋅x = − e tenendo conto dello
2σ 2σ 2σ σ
α α2
sviluppo in serie di Taylor 1+α = 1+ − + ... arrestato al
2 8
secondo termine, si ha:
1
w'2 1 γ ⋅ l γ ⋅ x 2
( )
l 2 l l
L = ∫ 1 + w' 2
dx ≅ ∫ 1 + dx = ∫ 1 + − dx =
0 0
2 0
2 2σ σ
l
1 γ 2 ⋅ l 2 γ 2 ⋅ l ⋅ x γ 2 ⋅ x 2 l
γ 2 ⋅ l 2 γ 2 ⋅ l ⋅ x γ 2 ⋅ x2
= ∫ 1 + − + dx = ∫0 1 + 8σ 2 − 2σ 2 + 2σ 2 dx =
0 2 4σ 2 σ2 σ 2
l
γ 2 ⋅ l 2 ⋅ x γ 2 ⋅ l ⋅ x 2 γ 2 ⋅ x3 γ 2 ⋅l2
= x+ − + = l ⋅ 1 +
2
8σ 2 4σ 2 6σ 2 0 24σ
differenziando otteniamo:
1 γ 2 ⋅l2 1 γ 2 ⋅l3
dL = dl + dl − dσ (2.23)
8 σ2 12 σ 3
1 γ 2 ⋅ l 2
dl 1 + 2 1 γ 2 ⋅l3
8 σ dσ
= 12 σ 3
dL
−
L 1 γ ⋅ l 2 1 γ ⋅ l 2
l 1 + l 1 +
6 2σ 6 2σ
dl 1 γ 2 ⋅ l 2 1 γ 2 ⋅l2
1 + dσ
l 2 4σ 2
− 12 σ
dL 3
= dε =
L 1 γ ⋅ l 2 1 γ ⋅ l 2
1 + 1 +
6 2σ 6 2σ
dl 1 γ ⋅ l
2
1 + 1 γ 2 ⋅l2
l 2 2σ dσ
12 σ 3
dε = − (2.24)
1 γ ⋅ l 2 1 γ ⋅ l 2
1 + 1 +
6 2σ 6 2σ
2
γ ⋅l
la quantità è molto piccola rispetto all’unità, nei casi che
2σ
interessano, si ha pertanto:
dl 1 γ 2 ⋅ l 2
dε = − dσ ma dσ = E ⋅ dε , quindi:
l 12 σ 3
dl 1 γ 2 ⋅ l 2
dε = − E ⋅ dε
l 12 σ 3
γ 2 ⋅ l 2 dl
dε ⋅ 1 + E =
σ 3
l
1 dl
dε =
γ ⋅l
2 2
l
1+ E
σ 3
E dl
dσ = E ⋅ dε =
γ ⋅l ⋅ E l
2 2
1+
σ3
E
E* = (2.25)
γ ⋅l2 ⋅ E
2
1+
σ3
dl
quindi dσ = E * ⋅ = E * ⋅ dε * .
l
*
La quantità dε costituisce un parametro fittizio della variazione della
deformazione del filo; se infatti aumentiamo di dN il tiro, a parte
l’incremento della estensione del filo, questo assumerà un nuovo
assetto di equilibrio sotto l’azione del suo peso e quindi una nuova
curva più tesa.
Figura 2.7
ε 2* σ2 σ σ
dσ 2
dσ 2
1 γ 2 ⋅l2
∆ε = ∫ d ε = ∫ *
* *
=∫ = ∫ + dσ =
ε1* σ1
E (σ ) σ 1 E σ1
E 12σ 3
γ 2 ⋅l2 ⋅ E
1+
12σ 3
σ2 σ σ σ2
dσ 2
γ 2 ⋅ l 2 ⋅ σ −3 σ 2 γ 2 ⋅l2 σ 2 −σ1 γ 2 ⋅ l 2 1 1
=∫ +∫ dσ = − = + 2 − 2
σ1
E σ1 12 E σ 1 24σ 2 σ1
E 24 σ 1 σ 2
σ 2 − σ1 σ 2 − σ1 E
Es * = = =
ε 2 − ε1 σ 2 − σ 1 γ ⋅ l 1 γ ⋅l ⋅ E
1
(σ 22 − σ 12 )
* * 2 2 2 2
+ 2 − 2 1 +
E 24 σ 1 σ 2 24 ⋅ σ 1 ⋅ σ 2
2 2
poniamo σ 2 = β ⋅ σ 1
E E
Es * = =
γ ⋅l ⋅ E
(σ 1 + β ⋅ σ 1 ) 1 + γ ⋅ l 3 ⋅ E 2 (1 + β )
2 2 2 2
1+
24 ⋅ σ 1 ⋅ β
4 2
24 ⋅ σ 1 ⋅ β
E
Es * = (2.26)
γ ⋅l ⋅ E 1+ β
2 2
1+ ⋅
12 ⋅ σ 13 2 ⋅ β 2
Figura 2.8
Figura 2.9
σ max + σ min
σm = ∆σ = σ max − σ min (2.27a, b)
2
Figura 2.10
Figura 2.11
Figura 2.12
Figura 2.13
σg Ng
ρ= ≅ (2.33)
σ g + 0.5σ q N g + 0.5 N q
in cui al valore effettivo di σ max = σ g + σ q si sostituisce il valore
ridotto: σ g + 0.5σ q .
s i (x ) = a 1 + a 2 x + a 3 x 2 + a 4 x 3 + % 2.34)
s(x ) = N * (x ) a (2.35)
ε(x ) = B* (x ) a (2.36)
Le posizioni
! !
Γ = N* (x j )
u = u j (2.38)
! !
u = Γa (2.39)
a = Γ −1u (2.40)
2. trave di Bernoulli-Eulero.
Problema assiale.
x x a1 1 1 a
s x (x ) = a 1 + a 2 = 1 ε x (x ) = a 2 = 0 1
l l a 2 l l a 2
Figura 2.14
E’ quindi
x 1
N* (x ) = 1 B* (x ) = 0
l l
u1 = u (0 ) = a1 u 2 = u (l ) = a1 + a 2
x x 1
N(x ) = 1 − B(x ) = [− 1 1]
l l l
Problema flessionale.
x x2 x3
w (x ) = a 1 + a 2 + a3 2 + a4 3
l l l
Figura 2.15
1 x x2
ϕ(x ) = w , x (x ) = a 2 + 2a 3 + 3a 4 2
l l l
1 x
χ (x ) = − w , xx (x ) = − 2 2a 3 + 6a 4
l l
x x2 x3 2 6x
N * (x ) = 1 B* (x ) = 0 0 − 2 −
l l2 l3 l l3
1
u1 = w (0 ) = a1 u 2 = ϕ(0 ) = a 2 u 3 = w (l ) = a1 + a 2 + a 3 + a 4
l
1
u 4 = (a 2 + 2a 3 + 3a 4 )
l
1 0 0 0
1
0 0 0
Γ= l
1 1 1 1
1 2 3
0
l l l
e la sua inversa
1 0 0 0
0 l 0 0
Γ −1 =
−3 − 2l 3 −l
2 l −2 l
x2 x3 x x 2 x3 x2 x 3 x 2 x 3
N(x ) = 1 − 3 2 + 2 3 l − 2 2 + 3 3 2 − 2 3 l − 2 + 3
l l l l l l l l l
1 x x x x
B(x ) = 6 − 12 l l 4 − 6 l − 6 + 12 l l 2 − 6 l
l2
Figura 2.16
Figura 2.17
t
Li = ∫ B t σdV δuˆ (2.46)
V
t
p 0 + p − ∫ B σdV δuˆ = 0 ∀δû
t
(2.48)
V
p = ∫ B t σdV − p 0 (2.49)
V
I vettori definiti dalle (2.47) sono noti come forze nodali e le loro
componenti sono le quantità statiche associate, attraverso il modello
cinematico, agli spostamenti nodali. In particolare, p0 è il vettore
(noto) delle forze nodali equivalenti ai carichi esterni applicati
sull’elemento, mentre p rappresenta il contributo delle tensioni
all’interfaccia con gli elementi adiacenti.
Problema assiale
Problema flessionale
l l
p 0 = ∫ N t (x )n (x )dx = q ∫ N t (x )dx
0 0
x2 x3 x x 2 x3 x2 x 3 x 2 x 3
N(x ) = 1 − 3 2 + 2 3 l − 2 2 + 3 3 2 − 2 3 l − 2 + 3
l l l l l l l l l
quindi
x2 x3
1 − 3 2
+ 2
3
l l
x x 2
x
3
l − 2 +
l l 2 l3
t
l
ql ql 2 ql ql 2
p0 = q ∫ dx = −
0
x 2
x
3
2 12 2 12
3 2 − 2 3
l l
l − x + x
2 3
l 2 l3
σ = d(ε − ϑ) (2.50)
p = ∫ B t d B dV u − ∫ B t (d ϑ)dV − p 0 (2.51)
V V
La matrice simmetrica
k = ∫ B t d B dV (2.52)
V
p θ = ∫ B t (d ϑ)dV (2.53)
V
p = ku− (p 0 + p θ ) (2.54)
Problema assiale
σ=Eε
EA 1 − 1
k=
l − 1 1
Problema flessionale
σ=Eε
12 6l − 12 6l
4l 2 − 6l 2l 2
2 6x EJ 6l
B* (x ) = 0 0 − 2 − k= 3
l l3 l − 12 − 6l 12 − 6l
6l 2l 2
− 6l 4l 2
EA EA
0 0 − 0 0
l l
12EJ 6EJ 12EJ 6EJ
0 0 −
l3 l2 l3 l2
6EJ 4EJ 6EJ 2EJ
0 0 − 2
k= l2 l l l
EA EA
− 0 0 0 0
l l
12EJ 6EJ 12EJ 6EJ
0 − 3 − 0 − 2
l l2 l3 l
6EJ 2EJ 6EJ 4EJ
0 0 − 2
l2 l l l
uL = T u (2.55)
t 0
T= = diag (t )
0 t
cosα senα 0
t = - senα cosα 0
0 0 1
e quindi
cosα senα 0 0 0 0
- senα cosα 0 0 0 0
0 0 1 0 0 0
T=
0 0 0 cosα senα 0
0 0 0 - senα cosα 0
0 0 0 0 0 1
quindi
T p G = ∫ B t d B dV T u G − ∫ B t (d ϑ)dV − T p 0 G
V V
-1
moltiplicando ambo i membri per T , si ottiene
T −1T p G = T −1 ∫ B t d B dV T u G − T −1 ∫ B t (d ϑ)dV − T −1T p 0 G
V V
p G = T −1 ∫ B t d B dV T u G − T −1 ∫ B t (d ϑ)dV − p 0 G
V V
inoltre k L = ∫ B t d B dV e p θL = ∫ B t (d ϑ)dV
V V
pertanto
p G = T −1k L T u G − T −1p θL − p 0 G
p G = T T k L T u G − T T p θL − p 0 G
p G = k G u G − T T p θL − p 0 G
(
p G = k G u G − p 0 G + T T p θL ) (2.56)
2.6.3.3 Assemblaggio
(
p e = k e U − p 0 e + T T p θe ) e = 1,! , N
( )
N N N
∑p = ∑k
e =1
e
e =1
e U − ∑ p 0 e + T p θe
e =1
T
(2.57)
Ponendo
( )
N N
K = ∑ke P = ∑ p 0 e + T T p θe
e =1 e =1
La (2.57) si scrive
KU=P (2.58)
K * K *0 U* P*
*T = (2.59)
K 0 K 00 U 0 R
K * U* = P* − K *0 U 0 R = K *0T U* + K 00 U 0 (2.60a, b)
ε = ε 0 + u , x + 12 w ,2x χ = w , xx (2.62)
Π[u ] = ∫ {EA(ε ) }
2
1
2 0 + u , x + 12 w ,2x + EJw ,2xx dx =
l
Π[u ] = 1
2 ∫ EAε dx + ∫ EAu
2
0
1
2
2
,x dx + 18 ∫ EAw ,4x dx + ∫ EAε 0 u , x dx +
l l l l
Π[u ] = 1
2 ∫ N ε dx + ∫ N u
0 0 0 ,x dx +
l l
+ ∫ 3EAu w dx + ∫ 3EAw
2 4
1
6 ,x ,x
1
24 ,x dx
l l
dove
Π 0 [u ] = ∫ 12 N 0 ε 0 dx
l
Π [u ] = ∫ N 0 u , x dx
'
0
l
Π[u ] ≅ Π [u ] = 1
2
''
0
1
2 ∫ EAu
2
,x dx + 12 ∫ EJw ,2xx dx + 12 ∫ N 0 w ,2x dx (2.63)
l l l
Π[u ] ≅ 12 Π '0' [u ] = 1
2 ∫ EAu
2
,x dx + 12 ∫ EJw ,2xx dx − 12 p H ∫ w ,2x dx (2.64)
l l l
Figura 2.18
x x
u (x ) = 1 − a 1 + a 2 = a t N a (x )
l l
x2 x3 x x2 x3
w (x ) = 1 − 3 2 + 2 3 f1 + l − 2 2 + 3 f 2 +
l l l l l
x2 x3 x2 x3
+ 3 2 − 2 3 f 3 + l − 2 + 3 f 4 = f t N f (x )
l l l l
Π[u ] ≅ 12 Π '0' [u ] = 12 a t k a a+ 12 f t (k Ef − p k Gf )f = 12 u t (k Ef − p k Gf )u
dove si è posto
EA 1 − 1
l
k a = EA ∫ N 'a N 'at dx =
0
l − 1 1
12 6l − 12 6l
l 4l 2 − 6l 2l 2
EJ 6l
k Ef = EJ ∫ N f N f dx = 3
'' '' t
0
l − 12 − 6l 12 − 6l
6l 2l 2
− 6l 4l 2
36 3l − 36 3l
l 4l 2 − 3l - l 2
H 3l
k Gf = H ∫ N 'f N 'ft dx =
0
30l − 36 − 3l 36 − 3l
3l -l 2
− 3l 4l 2
k a 0 0 0
kE = kG = (2.65a, b)
0 k Ef 0 k Gf
C’è da dire, inoltre, che gli sforzi complessivi negli stralli non sono
influenzati, in misura apprezzabile, dai valori iniziali delle pretrazioni.
{∆N i } 2
100 ≤ε
{N i } 2
dove:
P = ψ (U ) (2.66)
Φ(U ) = ψ (U ) − P = 0 (2.67)
( ) ( ) ∂ Φ
Φ U n +1 ≅ Φ U n + { }
U n +1 − U n = 0 (2.68)
∂ U Un
∂ Φ ∂ Ψ ∂Φ i ∂Ψi
K T (U ) = = K Tij = = (2.69)
∂U ∂U ∂U j ∂U j
Ψn = Ψ Un ( ) Φn = Φ Un ( ) ( )
K Tn = K T U n (2.70a, b, c)
ΔU n = U n +1 − U n (2.71)
( )
ΔU n = − K Tn
−1
( ) (P − Ψ )
Φ n = K Tn
−1 n
U n +1 = U n + ΔU n (2.72a, b)
Φn = Ψ n − P (2.73)
Φn < α (2.74)
( ) (P− Ψ )
ΔU n = K 0T
−1 n
(2.76)
Figura 2.19
Il problema può essere risolto oltre che con dei metodi iterativi anche
con dei metodi incrementali, in cui si può osservare il comportamento
della struttura man mano che viene caricata.
Supponiamo di conoscere le equazioni di equilibrio nell’incognita α
L[α ] = F (2.77)
dL
L[α 0 + ∆α ] = L[α 0 ]+ ∆α + R = ∆F (2.78)
dα A
dove R è il resto, trascurabile se ∆α 2 è trascurabile rispetto a ∆α.
In questo modo linearizziamo il problema e l’equazione da risolvere
diventa
dL
L[α 0 ]+ ∆α = ∆F (2.79)
dα A
{S}= {∆ S} + {∆ S} + ! + {∆ S}
1 2 n (2.81)
Figura 2.20
(a) (b)
Figura 2.21
Figura 2.22
{δ S}= [K ] {δβ}
t A (2.84)
ma
{δ β}= [R ] {δβ}
A (2.86)
(a) (b)
Figura 2.23
Figura 2.24
EA EA
l 0 0 − 0 0
l
12EJ 6EJ 12EJ 6EJ
0 C1 0 − D1
l3 l2 l3 l2
0 6EJ 4EJ 6EJ 2EJ
C1 C2 0 − 2 C1 B
k= l2 l l l
EA EA
− 0 0 0 0
l l
0 12EJ 6EJ 12EJ 6EJ
− − C1 0 − 2 D1
l3 l2 l3 l
6EJ 2EJ 6EJ 4EJ
0 D1 B 0 − 2 D1 D2
l2 l l l
dove:
c c c d d d
C1 = 1 + 2 C 2 = 3 1 + D1 = 1 + 2 D 2 = 3 1 +
l l l l l l
c d d c
B = 3 1 + + 3 1 +
l l l l
EA EA
l 0 0 − 0 0
l
12EJ 6EJ 12EJ 6EJ
0 φ φC1 0 − φ φD1
l3 l2 l3 l2
0 6EJ 4EJ 6EJ 2EJ
φC1 φ(C 2 + λ 2 ) 0 − 2 φC1 φ(B + λ1 )
k= l2 l l l
EA EA
− 0 0 0 0
l l
0 12EJ 6EJ 12EJ 6EJ
− 3 φ − 2 φC1 0 φ − 2 φD1
l l l3 l
6EJ 2EJ 6EJ 4EJ
0 φD1 φ(B + λ1 ) 0 − 2 φD1 φ(D 2 + λ 2 )
l2 l l l
con
1 β 6EJ χ
φ= λ1 = 1 − β λ2 = 1+ β= ⋅
2β + 1 2 l 2 GA
w (x ) χ (x ) 0 − d/dx w
s(x ) = ε(x ) = =
ϕ(x ) t (x ) d/dx − 1 ϕ
x 1 x
w (x ) = a 1 + a 2 ϕ(x ) = b1 + b 2
l l l
da cui si ottiene
1 1 x
χ (x ) = − b2 t (x ) = a 2 − b1 − b 2
l2 l l
e quindi:
1 l − x 0 x 0 1 0 1 0 −1
N(x ) = B(x ) =
l 0 l−x 0 x l − 1 − l + x 1 − x
l
EJ 0
k = ∫ B t d B dx d= *
0 0 GA
l l
1 −1
2 2
l l 2
l l 2 0 0 0 0
GA* 2 3
−
2 6 + EL 0 1 0 − 1
k=
l − 1 − l l
1 − l 0 0
0 0
2 2
2 0 − 1 0 1
l l l l2
−
2 6 2 3
BIBLIOGRAFIA
[2] Walther R., Cable stayed bridges, Thomas Telford, London, 1999.
[3] Gimsing N.J., Cable Supported Bridges, Concept & Design, John
Wiley & Sons, Chichester, 1996.
[10] Pozzati P., Ceccoli C., Teoria e tecnica delle strutture, UTET,
Torino, 1995.