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La Compagnia di S. Maria della Consolazione e il
suo Ospedale
La provenienza, il tipo di attività svolta e la propensione devozionale
verso una determinata confraternita portarono i nostri emigrati ad usu-
fruire dell’Ospedale dei Lombardi, di quello di S. Maria di Loreto dei
Fornari e di quello di S. Rocco a Ripetta. Ci furono però altri valtellinesi
che, sempre nel Seicento, le circostanze della vita indirizzarono ad un
altro ospedale ancora: quello che i romani chiamavano familiarmente La
Consolazione.
Le origini di questo istituto sono connesse al suo pio sodalizio. Nel XV
secolo un condannato a morte, mentre veniva condotto sul posto delle
esecuzioni a Monte Caprino, quando arrivò nelle vicinanze, alla vista di
un’immagine della Madonna dipinta sul muro di un granaio dei patrizi
Mattei ai piedi del Campidoglio, s’inginocchiò gridando la sua innocenza
e pregando la Vergine delle Grazie di aiutarlo. Si salvò (78). Questo e altri
miracoli portarono nel 1455 ad innalzare sul luogo, con le numerose ed
abbondanti offerte dei fedeli, la chiesa di S. Maria della Consolazione. La
Confraternita che sorse con la stessa invocazione e di cui facevano parte
nobili, chirurghi, barbieri e altri rappresentanti di varie arti, nel 1470
fondò appresso al tempio anche un piccolo ospedale. Questo, fin dagli
inizi, venne destinato – come attesta il Pericoli storico del nosocomio –
alla cura di traumi e pei casi di feriti e di quant’altro richiedeva soccorsi
di chirurgia istantanea.
Modificò invece nome il sodalizio quando con la Confraternita di S.
Maria delle Grazie, che gestiva a sua volta un piccolo ospedale poco di-
stante dal Teatro di Marcello e con la Confraternita di S. Maria in Portico,
che pure controllava un terzo ospedaletto situato presso la chiesa di S.
Omobono, arrivò nel 1505 ad un’unione et confederatione per una comu-
ne attività da svolgersi nel suo ospedale: cambiò in Confraternita di S.
Maria de vita eterna. A titolo scaramantico, la maggior parte di coloro che
stavano per ricoverarsi ed anche altra gente fecero sempre più insistente-
mente notare che quel de vita eterna non era molto augurale per un’assi-
stenza ospedaliera, specialmente per chi si doveva sottoporre a delicati
interventi chirurgici. Così che, con sollievo generale, già nel 1507 quella
denominazione venne sostituita col titolo più rassicurante di S. Maria
della Consolazione (79).
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In seguito alla fusione con gli altri due nosocomi, l’Ospedale della
Consolazione venne riconosciuto nel 1505 come Arcispedale pubblico.
Da quel momento, come l’Arciospedale del S. Spirito e l’altro del SS.
Salvatore a S. Giovanni in Laterano, divenne e restò per tutto il secolo uno
degli istituti più qualificati e più popolari dell’Urbe.
Per i suoi meriti e la sua importanza fu onorato dalle visite dei ponte-
fici e dei santi del tempo: S. Filippo Neri, S. Camillo de Lellis, S. Ignazio
di Loyola e S. Luigi Gonzaga, che morì di peste nel 1591 assistendo i
malati proprio alla Consolazione (80).
Quale centro di specializzazione traumatica, dove svolsero la loro atti-
vità i primi instauratori della nuova scienza chirurgica Bartolomeo
Eustachio, Mariano Santo e Giovanni Guglielmo Riva, la maggior parte
degli abitanti di Roma lo preferirono ad altri ospedali. E, questo, proba-
bilmente perché ubicato fra il rione Monti e quello di Trastevere, i più
popolosi della città, ed essendo gli stessi in prevalenza abitati da artigiani
e manovali costoro, nei loro infortuni, trovavano agevole di poter ricorre-
re ad esso, che rappresentava una specie di Pronto Soccorso dei tempi,
immediato e vicino al posto di lavoro (81).
La gente ricambiò con offerte generose e lasciti costanti. Il reparto
delle donne, in particolare, ebbe benefattori illustri. I loro nomi furono
tramandati nella sala del Camerlengato dell’ospedale degli uomini. Le
principali e nell’insieme più importanti offerte provenivano comunque dal
popolo. Quanto alla sua amministrazione finanziaria (82) possiamo se-
gnalare che, nel 1630, le entrate per l’Arcispedale furono di 8.036 scudi
contro una spesa di 4.413 scudi.
Nel 1627 il nosocomio disponeva di 80 letti, di cui 20 per le donne in
un reparto apposito. Numero che all’occorrenza poteva essera aumentato,
raddoppiando le file nelle corsie e ricorrendo alle ben note cariole.
Per le accresciute esigenze del servizio medico e del personale ospe-
daliero, nel 1650, furono aggiunti altri locali: la spezieria e il teatro ana-
tomico (83).
Ed è proprio in questo Anno Santo che, nel registro degli Uomini e
Donne che entrano nell’Ospedale della Consolazione. Anno 1650, trovia-
mo il primo Valtellinese:
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letto 14,
ha consegnato doi chiave.
Muore il 22 novembre (75d).
Nel 1653, Roma per la prima volta potè vedere alla Consolazione le
pubbliche dimostrazioni notomiche, cioè un’autopsia, su un cadavere ese-
guite dall’insigne notomico Gianguglielmo Riva da Asti. Il famoso chi-
rurgo istituì poi, nel 1655, presso l’apposito locale ricavato dall’adatta-
mento del portico dell’istituto, un’ Accademia di Notomia (84).
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CARLO del q. Giovan Antonio, 1 giugno 1657
dalla Voltolina si ricovera;
letto 30.
Muore nello stesso giorno.
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acqua semplice prima poi con acqua composta, una miscela fatta di acqua,
aceto e foglie odorose. Il cerusico doveva essere in possesso di tutto l’ar-
mamentario medico ed avere un aiutante, preferibilmente un barbiere tra
l’altro aveva il compito di tosare il malato”.
“Il personale sanitario del lazzaretto era completato dallo speziale, che
aveva il compito di provvedere ai rifornimenti dei medicamenti, prepara-
re le varie terapie, tener conto degli eventuali successi e darne comunica-
zione ai Signori della Congregazione, ai quali andavano riferiti anche i
costi sia delle varie terapie sia della gestione del lazzaretto”.
“Oltre a queste persone, che possiamo definire il personale medico,
esisteva nel lazzaretto un personale paramedico costituito dagli espurga-
tori brutti e netti, dai barelanti, corrispondenti ai più famosi pizzicamorti
veneziani, che avevano il compito di andare a prendere e seppellire i morti
e portare i malati al lazzaretto. Accanto a questi, carrettieri e barcaroli
coadiuvavano i barelanti nel loro ingrato dovere e provvedevano al tra-
sporto della calce per la sepoltura.”
“La cura della peste, a quanto abbiamo potuto appurare, si basava su
un trattamento generale fatto di salassi, clisteri e purghe ed un trattamen-
to locale delle manifestazioni cutanee consistente in applicazione di
impiastri, ventose e sanguisughe; oppure si praticava la cauterizzazione
dei bubboni con un ferro infuocato o con sostanze caustiche come il subli-
mato od un composto fatto di verderame, miele ed aceto forte conosciuto
come unguento egiziano. Del resto tra le terapie consigliate nel ‘600 non
mancavano trattamenti che dovevano lasciare perlomeno perplessi quanti
ricorrevano ad essi. Uno di questi consigliava di mangiare ogni mattina,
appena alzati, una noce ed un fico uniti insieme. Un altro rimedio, per soli
ricchi, era una polvere composta di ambra, muschio, giacinto, smeraldi,
topazio, perle orientali, alicorno e venti foglie d’oro: ogni mattina di que-
sta polvere se ne dovevano prendere sei grani di formento con un puoco
di vino aromatico. Altri consigli preventivi per evitare l’insorgere della
pestilenza consistevano nel bere al mattino qualche goccia delle proprie
urine oppure in quello, certamente più dispendioso, di prendere, durante
l’inverno, due scrupoli (uno scrupolo = 1,046 gr.) di triaca per ogni fase
lunare. La triaca era uno dei medicamenti più antichi e più conosciuti, e
forse tra i più cari, e veniva usata anche a Roma benchè fosse per lo più
importata da Venezia, che ne aveva fatto una grossa fonte di commercio.
Gli ingredienti della triaca erano quanto mai vari e numerosi, risultando
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spesso oltre settanta le sostanze impiegate. Le farmacie dovevano essere
autorizzate a preparare e a vendere la triaca. Questa preparazione a
Venezia era occasione di festa cittadina: dinnanzi alla farmacia, tutti gli
ingredienti venivano esposti e reclamizzati uno per uno dallo speziale.
Una volta preparata, perché venisse messa in commercio, dovevano tra-
scorrere perlomeno sei mesi. Naturalmente ogni farmacia triacante si
vantava di aver scoperto la miscela ideale contro ogni tipo di pestilenza e,
se pensiamo che la triaca è stata usata sino alla prima metà dell’Ottocento,
dobbiamo credere che per secoli sia stata ben pubblicizzata” (86).
Feriti e colpiti dalla malaria
Passato quel tragico evento, l’Arcispedale riprese la sua attività di spe-
cializzazione traumatica. Questo però senza attenersi a rigorose esclusio-
ni di infermi che si presentavano con altri mali. Soprattutto quelli vittime
di febbri malariche o miasmatiche. Fra le malattie che colpivano la città e
la campagna romana, le cui paludi si estendevano fino ad arrivare intorno
all’Urbe, la più diffusa era infatti la malaria. Tanto che, propagandosi
soprattutto con la canicola estiva, ma anche colpendo durante le altre sta-
gioni, diventava sempre più preoccupante (87). Fra i ricoverati per questo
motivo oppure per ferite, nel registro degli Uomini e Donne che entrano
nel Ven. Ospedale della Madonna Santissima della Consolazione. Anno
1668-1669 non mancano i Valtellinesi (77d):
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fardellone, senza danaro;
dimesso l’1 giugno
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GIOVAN PIETRO CONTRA 7 settembre 1668
di Giovan Antonio si ricovera;
dalla Valtollina letto 14
ferito fardello, senza mantello e denaro ;
dimesso il 23 settembre.
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con febre 15 luglio 1669
torna a ricoverarsi;
letto 46
fardello senza mantello,
baiocchi 14;
dimesso il 14 agosto.
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dalla Valtollina letto 35
con febre fardello senza mantello e denaro;
dimesso il 19 novembre.
Per quanto riguarda i feriti c’è da osservare che, per tutti, non si tratta
soltanto di infortuni sul lavoro, ma, come avremo modo di constatare più
avanti, a volte del risultato di liti furibonde tra i nostri facchini ed altra
gente. Alterchi e botte da orbi che avvenivano per lo più in bettole igno-
bili e con in corpo qualche litro di vino di troppo.
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BARTOLOMEO ZANNETTO 25 maggio 1675
del q. Jacomo si ricovera;
dalla Voltolina fardello senza mantello e denaro;
ferito dimesso il 3 giugno.
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dalla Voltolina fardello senza mantello,
con febre con baiocchi 25;
dimesso il 28 giugno.
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FRANCESCO CINCIENO 28 dicembre 1677
del q. Giovanni si ricovera;
dalla Voltolina fardello senza mantello e denaro;
anni 50 con febre dimesso il 3 gennaio 1688.
facchino
Anche nel Registro successivo, che riguarda gli Anni 1678 – 1679, tra
numerosi facchini di Montereale e molti muratori da Como, troviamo una
presenza rilevante di Valtellinesi con arti e mestieri diversi (79d):
GIACOMO SALINA 24 febbraio 1678
del q. Andrea si ricovera;
dalla Voltolina letto 44
anni 50 circa fardello, senza moneta.
facchino Muore il 4 marzo con tutti i Sacramenti.
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PIETRO MINGACCI 10 giugno 1678
del q. Vincenzo si ricovera;
dalla Vultolina letto 49
anni 35 ferraiolo, fardello, senza null’altro;
carrettiero dimesso il 16 giugno.
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GIOVAN PIETRO del q. Vincenzo 27 aprile 1679
dalla Vultolina si ricovera;
anni 40 circa letto 10
coco fardello, senza denaro;
dimesso il 3 maggio.
Dalla numerazioni dei letti, occupati anche dagli altri degenti, ci ren-
diamo conto che per gli uomini a disposizione ci sono 59 posti.
Ancora Valtellinesi feriti
Nel Registro dell’Anno 1685, una annotazione iniziale del Priore
Francesco Maria Fabbri dichiara che in quel periodo nel Venerabile
Archiospedale della SS.ma Consolazione si sono posti a letto:
INFERMI 906
uomini 752
donne 154
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anni 30 fardello, senza mantello e denaro;
cocchiere dimesso il 14 febbraio.
ferito
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anni 75 di pochi panni e senza denaro;
facchino dimesso il 20 settembre.
ferito
La scritta Valte vino, esattamente così coi due termini un poco distan-
ziati, invece della solita Voltolina, ci fa credere che non si tratti di un erro-
re del Priore che ha redatto il registro… bensì che questi abbia inteso
celiare col sacerdote valtellinese, un altro religioso come lui, sul fatto che
i suoi convalligiani non fossero proprio astemi.
Su una striscia di carta, usata evidentemente come una nota per appun-
ti messa all’interno del registro, sotto la data di Sabbato 8 dicembre 1685
c’è una lista di ricoverati da sottoporre a un trattamento specifico. Tra
questi:
IGNATIO RAMPONI
deve avere il primo vitto della giornata
addirittura alle ore 6 e mezza di mattina.
STEFANO PASINI
gli si deve somministrare lo sciroppo
alle ore 11 e mezza di mattina.
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Un migliaio di ricoverati è indubbiamente un numero di tutto rispetto
per l’ospedale. In confronto all’anno precedente riscontriamo un aumen-
to di quasi quasi 100 presenze.
Nel 1686 gli Statuti della Compagnia, inizialmente redatti nel 1505 ed
in seguito rivisti nel 1644, vennero aggiornati in funzione delle nuove esi-
genze dai Guardiani Fabio Celsi e dai marchesi Ottavio Maria Lancellotti,
Cesare Baldinetti e Costanzo Patrizi (88). Come giustamente osserva il
Monachino bisogna riconoscere che la presenza congiunta nel sodalizio di
artigiani, negozianti e nobili romani offrì l’edificante spettacolo di una
esemplare fratellanza di tutte le classi sociali.
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dalla Voltulina letto 36
anni 40 fardello, senza mantello e denaro;
facchino dimesso il 10 settembre.
con febbre
Proprio sul finire del secolo, il religioso che dirigeva l’istituto ha scrit-
to in un foglio allegato al registro degli Uomini e Donne che entrano nel
Venerabile Archiospedale della SS.ma Consolazione. Anno 1699, quello
che si potrebbe definire il biglietto da visita del nosocomio (82d):
Io sottoscritto Priore
del Venerabile Archiosp. della SS.ma Consolazione
fo piena et indubitata fede…
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Anche nell’ultimo anno del secolo i Valtellinesi non mancano:
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del q. Giovanni si ricovera;
dalla Voltolina letto 11
anni 46 ferraiolo, fardellone, senza mantello e denari;
facchino dimesso il 7 agosto.
FACCHINI
PRIMO MISURATORE DI GRANO
CARRETTIERI
COCCHIERI
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CONTADINI
VACCARI
OSTI
CUOCHI
SERVITORE
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