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IL MEZZOGIORNO, LA BASILICATA E ZANARDELLI

di Giampaolo D’Andrea

1. A cento anni dall’ormai mitico viaggio di Zanardelli in Basilicata è


possibile una valutazione più approfondita ed anche più serena di quel che
esso significò e rappresentò e del contesto istituzionale,politico ed economi-
co sociale nel quale maturò e produsse i suoi effetti. Serve anche al dibattito
odierno, per altro, prendere bene le misure delle questioni allora effettiva-
mente sul tappeto, resistendo alla tentazione di giustapporre tempi e conte-
sti diversi o, peggio ancora, di affrontare questioni di ieri con la preoccupa-
zione di giustificare posizioni di oggi, anziché con l’obiettivo di farne tesoro
per orientarsi meglio nel presente.
Dobbiamo andare oltre la troppo schematica divisione tra favorevoli
entusiasti e denigratori pregiudiziali, evitando di restare prigionieri del
trionfalismo sospetto del duo Lacava-Torraca, ma anche di preoccupazioni e
preconcetti che hanno irrigidito troppo il confronto politico tra i protagoni-
sti di allora e condizionato non poco le successive ricostruzioni in sede sto-
riografica, eccessivamente tributarie di quelle posizioni di partenza. Sulla
scia degli sviluppi del dibattito che negli anni sessanta ebbe come protagoni-
sti Romeo e Gerschencron sono venuti in evidenza tutti i limiti di un’appli-
cazione troppo schematica al Mezzogiorno dei modelli interpretativi che
danno ragione del divario tra distinti sistemi economici nazionali o conti-
nentali, ma si rivelano non del tutto adeguati a spiegare diversi ritmi di svi-
luppo all’interno dell’unico sistema economico nazionale, cioè di quello che
già Giustino Fortunato ben definiva sviluppo dualistico.
Dobbiamo riuscire a recuperare tutto intero il significato ed il valore del
viaggio e della successiva legge speciale per la Basilicata, senza sottacerne i
limiti evidenti e gli aspetti contraddittori, che tuttavia non sembrano di

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portata tale da giustificare la radicale svalutazione nettamente prevalente
nelle ricostruzioni successive.
È bene dire subito che l’iniziativa di Zanardelli, per quei tempi di grande
impatto comunicativo e di notevole significato politico, non rappresentò un
fatto isolato, né esclusivamente propagandistico, né il pagamento di un
pegno elettorale. Non fu un episodio isolato in quanto fu preceduta e segui-
ta da altre azioni e provvedimenti a beneficio del mezzogiorno; non ebbe un
intento esclusivamente propagandistico perché, pur con tutti i limiti di
metodo e di merito, nessuno può ormai disconoscerne gli effetti concreti;
non costituì il pagamento di un pegno elettorale, innanzitutto perché non
aveva formato oggetto di annunci o promesse nel corso della precedente
campagna elettorale e poi anche perché la maggioranza parlamentare che
sosteneva il governo Zanardelli-Giolitti era cosi ampia da non rendere
necessari sforzi particolari finalizzati ad ottenere il favore della deputazione
lucana, in prevalenza filogovernativa.
Bisogna per altro considerare che il suffragio elettorale, pur significati-
vamente allargato nel 1882, in Basilicata manteneva, più che altrove, la
sua struttura di suffragio censitario e ristretto1 per l’elevatissima percen-
tuale di analfabeti (75,4%,seconda solo alla Calabria, a fronte del 70,2%
del Mezzogiorno e del 48,7% dell’Italia), piuttosto che per l’astensioni-
smo cattolico, che non manifestava effetti rilevanti. Alle elezioni del 1900
erano stati ammessi al voto 23.774 elettori (il 4,3% della popolazione,
contro il 6,6 % della media nazionale); i circa 15.676 votanti avevano
espresso 7 deputati ministeriali e 3 esponenti dell’opposizione costituzio-
nale. Il 94% dei consensi si era orientato verso i candidati conservatori,
contro il 90,83% del Mezzogiorno ed il 73,69% dell’Italia. La Basilicata,
che nel 1882 aveva eletto ben dieci deputati su dieci dello schieramento
ministeriale della Sinistra, era diventata ormai una roccaforte della ten-
denza parlamentare conservatrice, che aveva sostenuto gli ultimi molto
discussi governi del secolo. Il gruppo politico dominante aveva quindi ben
poco da guadagnare, in termini elettorali, dall’offerta di un palcoscenico
nazionale a sindaci eletti con suffragio più largo e portatori di istanze non
agevolmente riassorbibili nelle trame sfilacciate delle sofisticate tessiture
politiche nazionali, alla difficile ricerca di nuovi assetti e nuovi equilibri.
Al contrario si correva il rischio di amplificare il disagio e di mettere in
crisi il già difficile rapporto tra maggioranza parlamentare e rappresentan-
za politica.

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Viaggio del Presidente del Consiglio e legge speciale in realtà rientravano
in una strategia nazionale lucida e consapevole, più di quanto si sarebbe
indotti a pensare, della quale non veniva affatto sottovalutata la valenza
politica più generale, anche in relazione all’ormai prevedibile ulteriore
ampliamento del suffragio elettorale, e, quindi, all’impatto con una opinio-
ne pubblica più larga del corpo elettorale effettivo.
Una strategia maturata gradualmente presso i settori parlamentari più
aperti ed avveduti, corrispondente anche ad una diversa consapevolezza
delle condizioni reali del paese e delle sue prospettive future che si andava
facendo strada presso i ceti produttivi delle aree del nord più investite dai
processi di sviluppo e dalla trasformazione capitalistica.
Il bresciano Zanardelli non poteva non esprimere quel fermento nuovo,
quell’apertura inedita alle esigenze connesse all’effettiva creazione di un
mercato nazionale, che in lui si sposava con la particolare sensibilità che gli
derivava dall’ispirazione risorgimentale mazziniana e garibaldina, che era
all’origine del suo impegno civile e politico, e dal sentirsi tutto dentro la tra-
dizione di quell’illuminismo riformatore che permeava i suoi studi giuridici,
da Cesare Beccaria al lucano Mario Pagano, che, qualche anno prima, non a
caso, aveva celebrato a Brienza, partecipando alla inaugurazione di un
monumento eretto in suo onore.
Il suo governo, che Giovanni Spadolini definisce “quello della svolta libe-
rale e democratica”2, con Giolitti Ministro dell’Interno, si era formato pro-
prio con l’obiettivo di dar voce alle esigenze di una svolta profonda nei rap-
porti tra paese legale e paese reale, come si amava dire allora, e di rispondere
alle nuove sfide dell’Italia del primo novecento, che non poteva continuare a
ragionare ed agire come negli anni immediatamente successivi all’Unità,
come se fosse ancora in presenza delle stesse forze, delle stesse dinamiche
sociali e politiche, degli stessi interessi e delle stesse aspirazioni3.
La consapevolezza nuova era stata efficacemente sintetizzata da Giovanni
Giolitti in persona, alla Camera, il 4 febbraio 1901, in occasione del dibatti-
to sulla condotta del governo in ordine allo scioglimento della Camera del
Lavoro di Genova, che aveva preceduto la crisi del governo Saracco. “Noi
siamo all’inizio di un nuovo periodo storico -aveva affermato- ognuno che
non sia cieco lo vede. Nuove correnti popolari entrano nella nostra vita poli-
tica, nuovi problemi ogni giorno si affacciano, nuove forze sorgono con le
quali qualsiasi Governo deve fare i conti (...) Il moto ascendente delle classi
popolari si accelera ogni giorno di più, ed è un moto invincibile, perché

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comune a tutti i paesi civili e perché poggiato sul principio dell’uguaglianza
tra gli uomini”4.
Presentando alla Camera il suo Governo, il 7 marzo 1901 lo stesso
Zanardelli aveva evidenziato l’urgenza di una politica riformatrice in mate-
ria di ripartizione delle pubbliche imposte e di leggi di equità sociale. “Al
Ministero parve indispensabile a tale intento di porsi all’opera senza alcun
indugio, e ciò non solo perché il diritto delle classi diseredate ad un miglio-
ramento delle loro condizioni materiali e morali gli è sembrato improroga-
bile, ma perché, inoltre, anche dal lato politico è sommamente provvido il
dare a queste classi immediatamente il pegno dell’interesse, delle simpatie,
dell’affetto che il Governo ed il Parlamento nutrono per esse; la dimostra-
zione irrefragabile che le forze dello stato si volgono con efficace predilezio-
ne a favore dei deboli e dei sofferenti”5. Annunciando poi l’abolizione del
dazio consumo su farine, pane e paste ne aveva sottolineato la ricaduta prin-
cipalmente sull’Italia meridionale “alla quale ne piace mostrare fin da oggi il
convincimento delle speciali sollecitudini ch’essa esige da parte del legislato-
re”. Un bel passo avanti rispetto alle tesi che erano circolate fino a qualche
anno prima, tra gli imprenditori lombardi ed intorno a “l’Italia del popolo”
e “ Il Cisalpino”, preoccupati dall’incidenza della spesa per le regioni meri-
dionali nella dilatazione del debito pubblico.
Sollecitato dal rapporto conclusivo della Commissione di Inchiesta
Saredo sulle amministrazioni pubbliche napoletane, alla Camera si era svol-
to per cinque giorni un dibattito parlamentare molto vivace sui problemi
del Mezzogiorno, incentrato attorno a due mozioni, una presentata da Luigi
Luzzatti, per conto della maggioranza, e l’altra, da Antonio Salandra, per
conto dell’opposizione. Di particolare impatto le tesi di Salandra: “Noi non
contrattiamo; noi esigiamo bensì non a titolo di ricambio, ma a titolo di
riconoscimento del diritto nostro, che tutti gli italiani si persuadano essere
giunto ormai il tempo di soddisfare le legittime aspettazioni del
Mezzogiorno; è giunto il tempo di rispondere a queste aspettazioni con
impegni precisi, con provvedimenti a sicura scadenza, con promesse e con
fatti, se anche promesse e fatti dovessero costare notevoli sacrifici comuni
per l’interesse di quelle province, che è pure interesse della patria comune”6.
Il dibattito, il 13 dicembre, era stato concluso da Zanardelli in persona:
“La prosperità non solo, ma la potenza, la grandezza, la gloria sono riposte
nell’armonia, nella coesione dei sentimenti di un popolo, nella riunione di
varie regioni di una nazione, nella solidarietà intimamente sentita dei propri

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destini. Questi sentimenti di solidarietà, questa unità morale delle varie
regioni d’Italia, furono i felici fattori della nazionale risurrezione” 7.
“Occorre -aveva proseguito- continuare quest’opera di unità morale, di fra-
terna cooperazione. Quella stessa emula gara di sacrifici per la quale l’Italia
poté divenire libera ed una, valga a dare ad essa floridezza e potenza, a ren-
derla degna del suo passato, degna del posto che il suo genio, il suo cielo e la
virtù del suo popolo le assegnano fra le nazioni”. Nel suo intervento il
Presidente del consiglio aveva accennato ad alcuni impegni specifici, come
l’abolizione del dazio sul consumo di pasta e pane, la costruzione della diret-
tissima ferroviaria Napoli-Roma, la nascita dell’Acquedotto Pugliese e l’inse-
diamento di una commissione incaricata di mettere a punto un progetto per
l’industrializzazione di Napoli.

2. È importante approfondire le ragioni per le quali fu prescelta proprio


la Basilicata per dare il via alla strategia di attacco ai problemi del
Mezzogiorno.
Sicuramente avranno avuto la loro influenza le sollecitazioni parlamen-
tari, che non erano mancate e che avevano raccolto fermenti ed inquietu-
dini che, nella primavera di quell’anno, avevano dato vita ad una mobili-
tazione dei sindaci ed in genere di tutto il cosiddetto ceto politico. Il 28
aprile dell’anno successivo, il lucano Ettore Ciccotti, deputato socialista
eletto a Napoli, illustrando una specifica interpellanza alla Camera dei
Deputati sui gravi incidenti verificatisi a Matera nel corso di manifestazio-
ni contadine, aveva impietosamente messo il dito sulla piaga, lamentando
le miserrime condizioni della regione e sollecitando l’adozione di una
legge speciale per la Basilicata. Il 18 maggio tutti i sindaci, riuniti a
Potenza, avevano minacciato le dimissioni in massa, se Governo e
Parlamento non avessero adottato concrete decisioni8. Nel giugno succes-
sivo, in occasione della discussione del provvedimento sulle opere idrauli-
che, Pietro Lacava e Michele Torraca avevano pronunciato vibranti parole
di denuncia, invocando l’attenzione del Governo. Pietro Lacava si era sof-
fermato in particolare sulla piaga dell’emigrazione: si emigrava perché non
era possibile sopportare il peso dell’imposta e non esistevano capitali a
buon mercato; l’alternativa era solo il ricorso all’usura, in proporzioni spa-
ventevoli. Michele Torraca aveva concentrato l’attenzione sulle gravi con-
seguenze del dissesto idrogeologico, effetto del disboscamento selvaggio
posto in essere soprattutto negli ultimi decenni. L’acqua corrodeva e deva-

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stava le terre. La malaria sottoponeva al suo funesto dominio pressoché
tutti i 125 comuni della regione. Solo 19 di essi venivano risparmiati dalla
diffusione delle terribili febbri. Molti comuni, interessati da vasti movi-
menti franosi che ne mettevano a repentaglio la stabilità, correvano il
rischio concreto di scivolare a valle. “Devastazione di terre, terre abbando-
nate perché non si possono coltivare, terre infestate dalla malaria, abitati
che crollano, e (ultimo tratto al quadro della desolazione) l’emigrazione
(...) Sicché la mia è una provincia che rimarrà una landa deserta (...) Una
provincia per la quale non è una frase dire che si spegne”9. Un quadro
desolante, non c’è dubbio, che riproduceva a tinte forti la condizione par-
ticolarissima della regione, svelata impietosamente già da tutti i suoi indi-
catori socio economici; un insieme di caratteristiche che -secondo l’effica-
ce sintesi di Francesco Saverio Nitti- ne facevano, rispetto a Napoli, l’altro
estremo della questione Meridionale. La nuova Irlanda, come l’aveva defi-
nita nel citato dibattito alla Camera Antonio Salandra,” con analoghe
condizioni e con analoghi fenomeni sociali”10. La dimensione territoriale
contenuta consentiva, forse, di sperimentare efficacemente interventi
mirati, coerenti con la strategia che si andava definendo, che, senza mette-
re in discussione il modello generale di sviluppo nazionale, puntava ad
affrontare le cause specifiche di resistenza e di impermeabilità allo svilup-
po riscontrabili nelle varie parti del paese.
Temi ben presenti anche nel dibattito meridionalistico di fine secolo, ora
rilanciato, con grande efficacia e con inedita aggressività culturale, dai vari
Giustino Fortunato, Gaetano Salvemini e Francesco Saverio Nitti, Antonio
De Viti De Marco e Napoleone Colajanni, Antonio Salandra e Sidney
Sonnino, Ettore Ciccotti ed Antonio Labriola, etc.11 In particolare Giustino
Fortunato si affannava a sfatare il mito del “Mezzogiorno ricco e torpido” ed
a ricordare “le singolari asprezze della struttura topografica, che fanno della
bassa Italia un regno appartato e fuori di mano, il regno della discontinuità,
con gli intrigati labirinti delle sue montagne franose, con i molli sregolati
suoi torrenti, in cambio di fiumi, con tanta frequenza di deserti non irrigui,
né irrigabili, su cui impera la malaria”. Francesco Saverio Nitti, dal canto
suo cominciava a dimostrare con dovizia di dati come il vigente regime
doganale e finanziario fosse di grave nocumento al Sud e di gran giovamen-
to al Settentrione e come, in proporzione alla ricchezza prodotta, al Sud il
prelievo fiscale incidesse assai più che nel Nord, ove per altro si concentrava
la maggior parte della spesa pubblica.

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Quel che è necessario chiarire è dunque che la scelta di cominciare dalla
Basilicata non era funzionale tanto alle sue pur evidenti esigenze specifiche,
quanto a finalità politiche di ordine più generale, nonché all’ineludibile esi-
genza di rafforzare lo sviluppo del paese; l’obiettivo della legge speciale, con-
seguentemente, non era quello di determinare una rinascita in astratto della
Basilicata o una rivincita rispetto alla storia o una riduzione del divario, ma
una più realistica svolta rispetto alla stagnazione, all’arretramento progressi-
vo, certamente relativo e forse anche assoluto. Una svolta resa possibile da
una certa disponibilità finanziaria, recata da una fase ciclica favorevole del-
l’economia italiana, che richiedeva, per altro, di essere ulteriormente stimo-
lata dalla più compiuta utilizzazione delle potenzialità del mercato interno.
Di conseguenza l’iniziativa assunta va attentamente inscritta all’interno di
quelle ragioni e forse anche giudicata e valutata con riferimento prevalente a
quegli obiettivi. Anche perché appariva secondario, per la classe dirigente
nazionale, quel che essa potesse significare in Basilicata, proprio per le assai
limitate dimensioni territoriali e demografiche della regione.
Raccogliendo l’appello di Lacava e Torraca il Presidente Zanardelli aveva
promesso: “Ora è la prima volta che mi si tiene parola in specie di provvedi-
menti per la Basilicata. Orbene assicuro l’On. Torraca e la Camera che
anche in tale questione mi studierò di poter fare ciò che ho fatto per le
Puglie e per Napoli (...) Mi farò collaboratore dei Deputati della Basilicata
allo scopo di giovare a questa provincia e di restituirle le grandezze di un
tempo”.12

3. Il viaggio ebbe un notevole rilievo sui giornali del tempo: molti erano
gli inviati al seguito del Presidente del Consiglio nella peregrinazione che lo
portò dal 18 al 30 settembre 1902 ad attraversare tutto il territorio della
Basilicata13.
A mano a mano che il quadro si faceva più chiaro, anche grazie ai memo-
randum che da ogni parte venivano consegnati al seguito presidenziale, diven-
tava anche più precisa l’ipotesi di intervento. Zanardelli, più volte, riprese nei
suoi interventi di saluto le questioni che gli venivano proposte14. A Matera
l’On. Torraca, pur ammettendo i “dissensi e cammini diversi” dall’anziano sta-
tista, ebbe ad affermare: “Chi è fra noi oggi, il quale non senta e non veda che,
poiché una questione di Basilicata è posta e l’On. Zanardelli l’ha presa nelle
sue mani, non si può bene augurare della Basilicata senza augurare bene
all’On. Zanardelli, come uomo e come Presidente del Consiglio?”15.

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A Rionero, ormai a conclusione del viaggio, il più volte ministro
Emanuele Gianturco, il parlamentare lucano che con maggiore consapevo-
lezza aveva aderito al nuovo corso Zanardelli-Giolitti16, evocò la “visione di
un’altra Basilicata lussureggiante di campi, di oliveti, di vigne fiorenti,
popolata di case, abitata da un popolo colto, forte e civile”, mentre Giustino
Fortunato nel brindisi in onore del Presidente del Consiglio pronunciato a
Melfi, ricordò “Il problema del Mezzogiorno è, e sarà per lunga ora,il pro-
blema capitale, il problema fondamentale di tutta quanta la politica dello
Stato italiano. Averlo così posto non significa punto averlo risoluto. Ma
averlo così posto è già molto, addirittura moltissimo”.
Nel discorso pronunciato a Potenza al Teatro Stabile, a conclusione del
viaggio, Zanardelli assunse solennemente l’impegno a combattere insieme
“una grande battaglia contro le forze della natura e le ingiurie degli uomini”.
“Non aspiro -furono le sue parole di commiato- ad alcun bene maggiore che
a quello di uscire da questa battaglia insieme a voi vittorioso: in questa spe-
ranza io bevo al rinnovamento materiale e civile della generosa ed ormai
anche per me tanto diletta terra Lucana”17.

4. Rientrato a Roma cominciò subito a lavorare al progetto. Innanzitutto


affidò, d’intesa con il Ministro dei Lavori pubblici, Balenzano, all’Ing.
Eugenio Saint Just, capo del Genio Civile di Cagliari, il compito di mettere
insieme tutto il materiale raccolto, di tentare una diagnosi il più possibile
accurata e precisa e di delineare gli elementi portanti di una terapia, distin-
guendo tra la fase d’urto e gli interventi strutturali18.
Rispondendo ad una interpellanza dell’On. Ciccotti tesa a sollecitare l’a-
dozione di provvedimenti speciali e di un “confacente indirizzo di politica
generale, volto precipuamente a scemare lo sproporzionato peso tributario e
favorire lo sviluppo della produzione ed a far fronte intanto alle preoccu-
panti, imminenti conseguenze del mancato ricolto”, riconfermò l’impegno
assunto: “In tanti modi procurai di assecondare i voti delle rappresentanze
della Basilicata, non credo con ciò di essermi sdebitato dei doveri che credo
il governo abbia verso quella regione. Io ho avuto sempre il proposito e lo
ho oggi ancora fermissimo, di presentare un disegno di legge speciale per la
Basilicata”. Ed il 27 giugno 1903 presentò il disegno di legge speciale per la
Basilicata. Il rivelarsi della grave malattia, che lo avrebbe condotto alla
morte (sopraggiunta il 26 dicembre),lo costrinse, pochi mesi dopo, alle
dimissioni.

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Toccò a Giovanni Giolitti, subentratogli il 3 novembre, sollecitarne l’e-
same e l’approvazione, come si era impegnato a fare presentando alla
Camera il suo nuovo governo: “Le questioni che più urgentemente incom-
bono - aveva detto- sulla economia del nostro paese sono: i trattati di com-
mercio, la diminuzione dell’onere del debito pubblico, l’ordinamento ferro-
viario e la urgente necessità di rialzare le condizioni economiche delle pro-
vince meridionali. Quest’ultima non è solamente una necessità politica, ma
un dovere nazionale”19. Sul mezzogiorno aveva presentato un vero e proprio
pacchetto, che comprendeva il rafforzamento della vigilanza sulle ammini-
strazioni comunali, provinciali e delle opere pie, la sollecita costruzione delle
ferrovie per la Calabria e la Sicilia, delle opere di bonifica e dell’acquedotto
pugliese, l’impegno a favorire le esportazioni dei prodotti agricoli meridio-
nali, le misure dirette alla promozione dello sviluppo industriale di Napoli,
l’alleggerimento degli oneri relativi ai debiti delle amministrazioni provin-
ciali e comunali, la conversione a minor saggio di interesse dei debiti ipote-
cari,l’intenzione di affrontare la questione dei latifondi, “allo scopo di pro-
muovere con tutti i mezzi possibili la piccola proprietà con la conseguente
sostituzione della cultura intensiva alla cultura estensiva”, nonché l’invito a
procedere alla sollecita approvazione della legge per la Basilicata, “pronti
anche ad estenderne l’applicazione alle altre province le quali si trovino in
condizioni analoghe”. In sede di replica, rispondendo all’On. De Viti De
Marco, che aveva criticato l’idea delle leggi speciali per una determinata
provincia, aveva precisato: “Ad alcune condizioni eccezionalmente gravi e
speciali è necessario provvedere con delle leggi speciali, ed è forse uno dei
difetti maggiori della legislazione italiana di aver sempre voluto regolare
tutto uniformemente”. “Io credo -aveva aggiunto- che sia un dovere nazio-
nale di dimostrare al Mezzogiorno col fatto e non più con le dichiarazioni,
non più con le parole, che noi comprendiamo le sue condizioni: sentiamo il
dovere di portarci rimedio, e cominciamo immediatamente ad agire”.20
La Camera dei Deputati affidò ad una Commissione presieduta dall’On.
Lacava il compito di istruire l’iter parlamentare del provvedimento speciale.
Fu nominato relatore l’On. Torraca, che, rispetto alla stesura originaria, pro-
pose significative correzioni, d’accordo con lo stesso Giolitti, al fine di ren-
dere più concrete le agevolazioni tributarie, di incrementare considerevol-
mente le risorse destinate alle opere pubbliche, di porre a carico dello stato
le spese necessarie per favorire l’istruzione elementare, di distinguere le fun-
zioni ordinarie del prefetto da quelle straordinarie poste in capo al

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Commissariato Civile per la Basilicata. “Non vi è documento ufficiale -si
legge nella relazione che accompagnava il disegno di legge- né studio di
osservatore, onde non risulti che la Basilicata è giù, al più estremo gradino,
fra le disgraziate province dell’Italia Meridionale peninsulare; e sempre che
si è voluto additare un esempio tipico di desolazione e squallore sono ricorsi
il suo nome e la sua figura (...) La Basilicata è la provincia dove più si
muore, donde più si fugge, dove si è meno favoriti dalle leggi per opere
pubbliche e dove più si paga per imposte”.21
Nel corso del dibattito parlamentare che ne accompagnò l’esame e l’ap-
provazione tornarono i problemi che erano emersi alla vigilia del viaggio.
L’On. Materi soffermò in particolare la sua attenzione sulle questioni relati-
ve allo sviluppo agricolo. “Io confido -disse- sopra ogni altra cosa che l’o-
dierna discussione della legge valga a farci mettere un poco più d’accordo
intorno al vero indirizzo da seguire, se davvero si vuole provocare la trasfor-
mazione agraria del mezzogiorno, trasformazione che aumenterà la poten-
zialità di assorbimento del nostro mercato interno, e dando vita a un’agri-
coltura industriale, ci porrà in condizione di eguaglianza con le altre regioni
del Regno”.22
Forti critiche furono avanzate dall’On. Ciccotti, il quale illustrò anche
il pacchetto degli emendamenti presentati allo scopo di rendere la legge
“un po’ meno disadatta ai bisogni della contrada al cui favore si vuol prov-
vedere”. Il parlamentare socialista indicò i quattro obiettivi che, a suo giu-
dizio, un disegno di legge “che si fosse proposto di venire in aiuto di una
regione siffatta” non poteva assolutamente mancare: 1) porre un argine
all’azione sregolata degli agenti naturali; 2) rendere meno impervio il terri-
torio; 3) attenuare la pressione tributaria; 4) rafforzare l’azione integratrice
dello stato. “Il disegno di legge, e in questo sta la sua censura -osservò- ha
provveduto insufficientemente ad alcuni di questi bisogni, non ha provve-
duto punto a quello che più doveva tenersi presente”. “Vi sono parecchie
cose -proseguì- che hanno carattere illusorio e tali che promettono dei van-
taggi, che io non so se saranno veramente reali, come sarebbero le ventilate
ferrovie.” “L’azione integratrice dello stato! È qui -incalzò- che il disegno di
legge avrebbe dovuto far convergere tutti i suoi studi e tutte le sue forze, ma
è appunto qui che esso è venuto meno al suo scopo”. “Le disposizioni di
questo disegno di legge -domandò polemicamente- metteranno fine a quel-
l’esodo umano, a quella fiumana onde in venti anni emigrarono dalla
Basilicata circa duecentomila persone? Muterà la sorte di quella regione,

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soprattutto in riguardo alla sua economia? A parer mio la risposta a questa
domanda non può essere che negativa.”. Convenne con la scelta di ricorrere
a provvedimenti speciali, “ma i provvedimenti speciali non si intendono se
non connessi a tutto il resto della politica generale; perché se voi riprendere-
te con la mano sinistra ciò che avrete cercato di dare con la destra, la vostra
opera sarà sterile e vana”. “Come riconoscete il dovere in una delle regioni
dello Stato di contribuire alla vita generale dello Stato -aggiunse- così dovete
riconoscere nello Stato il dovere di provvedere a migliorare le condizioni di
questa regione”. “Avete fatto una legge -concluse- che è un simulacro di
legge e vi siete contentati dell’apparenza, mentre era la sostanza quella a cui
dovevate mirare”23.
Non mancarono accenti molto critici anche da parte di Sonnino, che
pure preannunciò il voto favorevole24, nonostante “due difetti capitali”
riscontrati nel provvedimento, “l’uno di carattere più specialmente politico,
l’altro di natura sociale”. Da un lato la discrezionalità lasciata al potere ese-
cutivo, alla vigilia di elezioni generali, di estendere più o meno sollecitamen-
te ad altre province i benefici ivi previsti: “un potente mezzo di corruzione
politica e di asservimento parlamentare, in quanto si faccia dipendere dal
grado di ministerialismo dei rappresentanti delle singole province”.
Dall’altro la mancata previsione “di larghe riforme organiche di natura
sociale, specialmente in quanto concerne i rapporti tra i proprietari e i lavo-
ratori diretti del suolo, e i vincoli giuridici, morali ed economici che legano
questi con la terra”. Così “Pel contadino meridionale non avrete fatto nulla”.
“Egli -affermò- resterà ugualmente esposto ad ogni angheria, ugualmente
incerto del domani in ogni momento della sua laboriosa esistenza, egual-
mente estraneo alla terra che lavora”. “Non avrete avviato alcun movimento
pratico verso la divisione della grande proprietà terriera -sottolineò-, a mal-
grado di tutte le altisonanti declamazione contro i latifondisti”. “Non si sarà
iniziata alcuna radicale trasformazione di quelle condizioni generali di eco-
nomia agricola e sociale -concluse- che impediscono ogni forte e largo risve-
glio civile del mezzogiorno e spingono all’esilio volontario tanta parte della
sua popolazione”.
A riprova della valenza politica che il Governo attribuiva al provvedi-
mento per la Basilicata, nella discussione generale presero la parola il
Presidente del Consiglio Giolitti ed il Ministro del Tesoro Luzzatti.25
Lo statista di Dronero ne volle precisare la portata proprio attraverso
l’inquadramento in una più organica visione della strategia di intervento

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in favore del Mezzogiorno. “Io ritengo -esordì- che la risoluzione della
questione meridionale, vale a dire il proposito di sollevare le condizioni di
quelle fra le province meridionali che sono in condizioni di inferiorità
economica rispetto al rimanente del Regno, sia una necessità assoluta, un
dovere nazionale; e credo che, se noi non giungeremo a portare quelle
province ad un livello di sufficiente eguaglianza col rimanente del Regno,
ritarderemo con ciò stesso il progresso generale del nostro paese”. “Finché
in Italia -proseguì- avremo una parte così cospicua, così importante di
paese in condizione di inferiorità, questo costituirà una vera inferiorità per
l’intera nazione”. Passò poi in rassegna le misure generali già adottate e
quelle in corso di definizione destinate a produrre i loro effetti maggiori
nelle regioni meridionali, come la legge per la trasformazione dei debiti
comunali e provinciali, già fruttuosamente sperimentata per la Sicilia e la
Sardegna, nonché altri provvedimenti speciali come la legge per Napoli ed
infine quelli già ricordati varati al tempo del governo Zanardelli.
Respingendo la tesi di chi,come il deputato calabrese Chimirri, aveva
sostenuto la necessità di far precedere i singoli provvedimenti da un piano
generale per tutto il Mezzogiorno, Giolitti precisò senza mezzi termini: “A
me pare perfettamente logico che... si cominci la cura là dove il bisogno è
più urgente: perché l’esperienza che noi faremo là, ci servirà di guida,
molto più sicura di quel che possa essere qualunque studio teorico, per
vedere quali siano i mezzi che più rispondano allo scopo che ci proponia-
mo.” Ed ancora: “Una buona legge per la Basilicata sarà un punto di par-
tenza, per giovare alle altre province che si trovano in condizioni simili”.
“La questione del Mezzogiorno -concluse- per noi è una parte sostanziale,
essenziale del programma di Governo, perché siamo convinti che dalla
risoluzione di questa questione dipenderà in molta parte l’avvenire del
paese”.
Dopo di lui il Ministro Luzzatti affrontò, punto per punto, non senza
spirito polemico, tutti i rilievi avanzati nel corso della discussione generale
“senza concedere nulla”, come egli stesso ammise, tra l’ilarità generale. Si
dichiarò a favore delle proposte avanzate dall’On. Ciccotti “per rendere più
severa l’istituzione degli ordinamenti di credito”, anche per evitare che,
“nate a fine di previdenza, finiscano anch’esse nelle alee dei giuochi e vadano
ad alimentare l’usura rapace, che persiste a taglieggiare gli infelici”. Respinse
la richiesta di maggiori stanziamenti (“L’onorevole Ciccotti l’ha messa
innanzi per additarci un dovere dell’avvenire; ei sa che oggi non si può spen-

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dere di più. E anche se volesse ricorrere al rimedio radicale e improvvido che
ha in mente -la riduzione delle spese militari ndr- dovrebbe lasciare in
sospeso la legge della Basilicata prima di ottenerlo”). Mostrò infine una
certa apertura alla richiesta di “accrescere le guarentigie e a impedire la
deviazione di istituti che si presentano con le maggiori speranze e poi per
mancanza di riscontri accurati finiscono per degenerare”, nonché all’esigen-
za, sottolineata anche da Sonnino, di adottare alcuni provvedimenti a favore
dei contadini, “specialmente dettando le norme per quegli istituti che si
dovranno seguire nelle operazioni di credito, cominciando dalle più mode-
ste,per finire alle maggiori”. Terminò invitando la Camera ad approvare il
provvedimento, “perché esso è un buon affare per l’Italia economica e una
buona azione per l’Italia politica”.
Il relatore On. Torraca, nella replica, offrì un saggio di sano realismo,
dando atto all’On. Ciccotti di aver fatto della legge “l’analisi più acuta, la
critica più forte” e non negando l’insufficienza degli stanziamenti, pur sot-
tolineandone l’entità tutt’altro che trascurabile. “Non potevamo avere altro
scopo -precisò- se non di avviare bene l’impresa, in modo che avesse in sé
medesima l’impulso e la forza per svilupparsi. E credo che questo si sia otte-
nuto”. “È difetto di molti uomini politici -affermò- il credere che colle leggi
e con gli ordinamenti si possano risolvere le grandi questioni; ed è anzi il
particolare difetto dei radicali; è l’illusione che alimenta il radicalismo. Le
grandi questioni si possono rendere man mano meno aspre, avviare alle
naturali soluzioni; si possono ottundere le punte; ravvivare le energie sane;
domare le avverse; ma non di più... Il Governo e la Commissione, in pieno
accordo non hanno avuto la pretesa di risolvere la questione della Basilicata;
ma hanno messo le condizioni per un miglioramento positivo benefico”.26
Ormai la situazione politica era cambiata. La svolta impressa da Giolitti
si era consolidata. Basti considerare che il governo poteva contare su una
maggioranza amplissima, come quella che alla Camera, il 23 febbraio del
1904, dopo un vivace ed approfondito confronto, emendamento per emen-
damento, articolo per articolo, accompagnò l’approvazione del ddl
“Provvedimenti a favore della provincia della Basilicata” (172 favorevoli, 38
contrari).27
Una legge speciale, dunque, destinata ad essere estesa “gradatamente,
secondo il criterio del maggior bisogno e compatibilmente con le disponibi-
lità del bilancio” alle province che avessero “condizioni analoghe a quelle
della Basilicata”, come veniva espressamente chiesto nell’ordine del giorno

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Colosimo ed altri che il Governo, per bocca dello stesso Presidente del
Consiglio, non ebbe “difficoltà ad accettare”, perché corrispondeva a quanto
dallo stesso dichiarato28.
È questa la chiave di lettura più coerente di una scelta che non mancò di
suscitare polemiche anche negli anni successivi, per la lentezza con la quale
venivano realizzati gli interventi e per il riproporsi della dialettica tra ammi-
nistratori locali e rappresentanza parlamentare, ora anche in ordine al ruolo
che le autonomie locali potevano avere nella gestione delle risorse finanziarie
e nell’ulteriore definizione delle azioni necessarie. Anche questo era uno
degli effetti dei provvedimenti: un nuovo protagonismo delle forze locali sia
per quel che concerne le iniziative economiche, sia per quel che riguarda la
partecipazione politica.
Nulla dunque che potesse giustificare il trionfalismo acritico dei Lacava e
dei Torraca all’insegna del “tutto merito nostro”. Ma anche nulla che potesse
giustificare la troppo preconcetta ostilità dei Fortunato e dei Ciccotti. La
legge speciale varata non era molto lontana da quella sollecitata dall’espo-
nente socialista (l’unico del Mezzogiorno a sedere in Parlamento) che, rie-
cheggiando le posizioni di Gaetano Salvemini, continuava ad insistere sulla
necessità di una svolta radicale di carattere etico-politico29. Le misure di
carattere generale adottate raccoglievano anche le tesi esposte da Giustino
Fortunato ( che pochi mesi dopo pubblicò il suo magistrale saggio La que-
stione meridionale e la riforma tributaria)30; mentre Francesco Saverio Nitti,
che aveva definito il governo Zanardelli “non migliore del precedente, spes-
so peggiore”, da poco eletto deputato del collegio di Muro Lucano, lasciato
libero dal trasferimento a Potenza di Pasquale Grippo (44 mila abitanti,
2190 elettori, 1337 votanti, 1323 voti a lui, unico candidato),entrato ora
nelle grazie di Giolitti, poteva trovare rimedio al suo scetticismo circa la
possibilità di affrontare la questione meridionale attraverso provvedimenti
particolari, settoriali e territorialmente circoscritti, con la costituzione della
commissione incaricata di definire il progetto di industrializzazione dell’area
napoletana, che era di straordinaria importanza per quella modernizzazione
del mezzogiorno che avrebbe costituito il cavallo di battaglia della sua lunga
vita politica.
Il suffragio universale maschile si avvicinava ed occorreva in ogni caso
evitare che nel mezzogiorno si riproponesse il rischio latente della Vandea,
alimentato questa volta anche dalla piccola borghesia e da ampi settori del
ceto dei possidenti. Occorreva puntare ad un consenso più largo. Non erano

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più sufficienti le antiche pratiche clientelari, che potevano assicurare l’ele-
zione di deputati in piccoli collegi uninominali espressione di un suffragio
censitario e ristretto; bisognava ora proporre politiche in grado di affrontare
questioni più generali, di interesse collettivo.
Ed occorreva anche sostenere, rilanciando la domanda interna, il nuovo
ciclo espansivo dell’economia nazionale, che aveva nel triangolo industriale
il suo polo di riferimento.
La legge speciale sulla Basilicata, con il suo programma di opere di difesa
del suolo, viarie e ferroviarie serviva anche a questo.
Si poteva fare diversamente? Probabilmente sì, almeno in teoria. È un
fatto, però, che orientamenti diversi fecero molta fatica ad aprirsi un varco,
restarono confinati in settori molto limitati e circoscritti del Parlamento,
della stampa e dell’elite dirigente nazionale. Si affermò l’impostazione più
realistica e probabilmente la più compatibile con il difficile equilibrio tra le
forze in campo. Certamente troppo poco per determinare la resurrezione
della Basilicata, che una superficiale letteratura propagandistica andava
vagheggiando a fronte di un Giustino Fortunato, che giustamente ammoni-
va sull’illusione funesta o imperdonabile leggerezza di credere che, con le
sovvenzioni statali, si potesse portare il mezzogiorno al livello del nord,
come, per altro, chiedevano le punte più avanzate della classe dirigente
regionale e come sarebbe stato necessario per imprimere una svolta effettiva
alla vita del mezzogiorno. Pur tuttavia è fuor di dubbio che anche quel poco
contribuiva comunque a rompere la stagnazione ed a mettere in moto
nuove dinamiche politiche, economiche e sociali, dopo i decenni di silenzio
assordante che avevano caratterizzato l’atteggiamento del governo e della
classe dirigente nazionale.
Tutt’altra questione è quella relativa all’adeguatezza di strategie, strumen-
ti, procedure e risorse che complessivamente caratterizzarono quell’embrio-
ne di intervento straordinario nel Mezzogiorno; opportunamente ne parla-
rono subito soprattutto i più attenti tra i meridionalisti, aprendo la pista di
una riflessione destinata a svilupparsi più compiutamente solo nel secondo
dopoguerra, con la ripresa della vita democratica. Caduta l’illusione della
definitiva risoluzione della questione meridionale, che era stata annunciata
nel ventennio persino alla voce corrispondente dell’Enciclopedia Italiana,
curata -ironia della sorte- dallo studioso lucano Raffaele Ciasca, i problemi
del Mezzogiorno tornarono allora a proporsi in tutta la loro drammaticità e
fu di nuovo necessario affrontarli con grande determinazione: non fu certa-

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mente inutile l’esperienza compiuta a seguito della legge Zanardelli-Giolitti,
così come fu possibile utilizzare modelli di intervento positivamente collau-
dati in altri contesti.

Note
1 Per questi e per gli altri dati relativi alle elezioni, cfr. P.L. Ballini, Le elezioni nella storia

d’Italia dall’Unità al fascismo. Profilo storico statistico, Bologna Il Mulino, 1988.


2 G. Spadolini, Gli uomini che fecero l’Italia, Milano 1990, Longanesi, pp. 501 e segg.
3 Sulla svolta del periodo giolittiano, cfr. per tutti,oltre al classico G. Carocci, Giolitti e l’età

giolittiana, Torino, Einaudi, 1961, il volume di S. Colarizi, Storia del novecento italiano.
Cent’anni di entusiasmo, di paure, di speranza, Milano, BUR, 2000.
4 Discorsi parlamentari di Giovanni Giolitti. Pubblicati per deliberazione della Camera dei

Deputati, Roma, tipografia della Camera dei Deputati, 1953, v. II, pp. 626-633.
5 Discorsi parlamentari di Giuseppe Zanardelli. Pubblicati per deliberazione della Camera

dei Deputati, Roma Tipografia della Camera dei Deputati, 1905, v. I, pp. 455-464.
6 Cfr. Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, XXI^ Legislatura, 2^ Sessione, Discussioni,

Tornata del 9 dicembre1901, p. 6555 e segg.


7 Discorsi parlamentari di G. Zanardelli, pubblicati per deliberazione della Camera dei

Deputati, Roma, tipografia della Camera dei Deputati, 1905, v. III, pp. 517 sgg.
8 Sul clima politico di quegli anni, cfr. in particolare, N. Calice, Lotte politiche e sociali in

Basilicata, Roma, Editori Riuniti.


9 Cfr. AA. PP., cit., Tornata del 20 giugno 1902, pp. 3252 e segg.).
10 Ivi, Tornata del 9 dicembre 1901, pp. 6557.
11 Sulle novità che negli anni di Giolitti caratterizzarono gli sviluppi del meridionalismo, cfr.,

soprattutto, G. Galasso, Passato e presente del meridionalismo. Vol. I°, Napoli, Guida 1978.
12 Discorsi Parlamentari, cit, pp. 549 sgg.
13 Un’interessante rassegna stampa è nel volumetto celebrativo edito dal Comune di

Montalbano Jonico (Assessorato alla Cultura. Biblioteca Comunale “F. Rondinelli”), 1902-
2002. Omaggio a Zanardelli, a cura di Domenica Malvasi, Bernalda 2002.
14 Cfr., tra gli altri, il volume celebrativo edito dal Comune di Moliterno (Biblioteca “G.

Racioppi”), L’ospite illustre. Narrazione e pensieri sul viaggio di Zanardellli in Basilicata,


Moliterno 2002, che contiene anche la stampa del diario inedito del Sindaco di Moliterno,
Vincenzo Valinoti Latoracca.
15 Il viaggio di Basilicata in “La Tribuna”, Sabato 27 settembre 1902, ora in 1902-2002

Omaggio a Zanardelli, cit. p. 29.


16 Su di lui, cfr. C.D. Fonseca (a cura di), L’esperienza culturale e politica di Emanuele

Gianturco, Napoli, Liguori, 1997.


17 Cfr. P. Corti (a cura di), Inchiesta Zanardelli sulla Basilicata (1902). Condizioni storiche,

gruppi sociali, modi di intervento dello Stato nel Sud, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi, che
raccoglie anche una selezione dei memorandum consegnati nel corso della visita.
18 La relazione è in P. Corti, cit.
19 Discorsi parlamentari, cit., pp. 758 sgg.
20 Discorsi parlamentari, cit. 758 segg.
21 Cfr. Atti Parlamentari, cit., Relazioni, Sez. 1902-4,Doc. 398-A.
22 Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, XXI Legislatura, 2 Sessione, Discussioni, Tornata

dell’11 febbraio 1904, pp. 10633.

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23 Ivi, pp. 10635 e sgg.
24 “Voterò questa legge,come voterei qualunque altra che in questo momento, compati-
bilmente con la situazione generale finanziaria, porgesse un sollievo qualsiasi alle sofferen-
ze delle province meridionali Per la stessa ragione voterò in favore di qualunque emenda-
mento che fosse proposto nell’intento di estendere almeno in parte alle altre province del
Mezzogiorno i benefici che qui si concedono alla sola Basilicata” (Atti Parlamentari
Camera dei Deputati, XXI Legislatura, 2^ sessione, Discussioni, Tornata del 13 febbraio 1904,
pp. 10696 e sgg.)
25 Ivi, pp. 10705 e sgg.
26 Ivi, pp. 10715 e sgg.
27 Al Senato il ddl fu approvato,a scrutinio segreto, il 26 marzo 1904 con 70 voti favorevoli

e 9 contrari. (Cfr. Atti Parlamentari, Senato del Regno, XXI Legislatura, 2^ sessione 1902-904,
Discussioni, tornate del 25 e del 26 marzo 1904, pp. 3571 e segg. e pp. 3607 e segg.). La
legge 31 marzo 1904, n. 140, fu pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del regno d’Italia, n. 93,
del 20 aprile 1904. Il testo è anche in P. Corti, cit.
28 Ivi, pp. 10720.
29 Cfr., E. Ciccotti, In difesa dell’uomo e della libertà. Scritti e discorsi, a cura di T. Pedio,

Bari, Adriatica editrice,1970.


30 Ripubblicato con il titolo Che cosa è la questione meridionale? presso Calice Editore,

Rionero in Vulture,1993.

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