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CCXXIV
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CCXXVI
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AL RE DI FRANCIA
CCXXIX
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DI UN BREVE CONTRO LA PESTE DA PORTARSI AL COLLO
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INVECE DI CHIUDERLA
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Uno de' miei amici raccontò una volta che egli aveva
conosciuto un Fiorentino, il quale aveva la moglie bella che
era perseguitata da molti amatori. E alcuni di quelli, alla notte,
sulla via vicino alla casa venivano con le fiaccole a fare la
serenata, come si dice. Il marito, che era uomo molto arguto,
spesse volte destato dal suono delle trombe e dai canti, s'alzò
una notte dal letto e venne alla finestra con la moglie, e vista
la turba degli amanti che facean baccano, con gran voce li
pregò di stare un poco a vedere. Tutti a quell'invito alzarono
gli occhi, ed egli espose fuori della finestra un arnese molto
abbondante, in funzione, dicendo loro, che per quanto essi ne
avessero egli ne aveva anche di più per contentare la donna,
che era quindi vano ed inutile che si dessero tanto attorno,
sperava adunque che non gli avrebbero più dato noia. E
questo grazioso discorso li distolse dall'inutile cura.
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Temo, che ciò che sto per raccontare non sembri una favola,
perché ripugna alla natura e pare che si possa facilmente
negare. Un tale, che aveva nome Giacomo, e che al tempo di
Papa Eugenio era nella Curia Romana, nel posto chiamato di
copista, tornò a Noyon in Francia, che era il suo paese natale,
e qui cadde in grave e lunga malattia. Il mio racconto sarebbe
troppo lungo se dovessi dire tutte le cose che egli disse e che
gli erano durante quella malattia accadute. Finalmente, dopo
molti anni, al sesto anno del pontificato di Niccolò V, tornò alla
Curia, per andare al sepolcro di nostro Signore, nudo e
povero, perché per la via i ladri lo avevano spogliato; e andò
da alcuni della Curia, miei vicini, uomini onestissimi che lo
avevano prima conosciuto. E raccontò loro, che già da due
anni dopo la malattia non aveva né mangiato né bevuto, per
quanto avesse provato spesso. È un uomo magrissimo, ed è
prete; ha la mente perfettamente sana, dice l'ufficio, ed io ne
ho udita la messa. Molti teologi e fisici hanno lungamente
parlato con lui, e dicono che è cosa contro natura, ma
talmente stabilita che sarebbe ostinazione non crederla. Ogni
giorno vengono moltissimi a vederlo e ad interrogarlo; e si
hanno su di ciò diverse opinioni. Alcuni credono che il suo
corpo sia abitato dal demonio; ma egli non ne dà alcun segno,
e pare uomo prudente, probo e religioso, e anche ora lavora al
suo mestiere di copista. Altri affermano che il suo umore
malinconico gli sia di nutrimento. Io stesso ho molte volte
parlato seco, ed egli crede false queste opinioni; e confessa
che ne è più meravigliato degli altri. Ma non venne a questa
consuetudine tutt'in una volta, ma a poco a poco. Io mi
meraviglierei di più di questo prodigio, se sfogliando certi
annuali che copiai in Francia, non avessi letto che similmente
ciò avvenne al tempo di Lotario imperatore e di Papa
Pasquale, nell'anno 822. Una fanciulla di dodici armi a
Commercv, nel territorio di Toul, dopo avere avuta la
comunione pasquale, si astenne dal mangiar pane per dieci
mesi prima, poi per tre anni da qualunque cibo e bevanda; poi
tornò alla consuetudine di prima; ed egli spera di far lo stesso.
CCXLIX
DI EDUCARE UN ASINO
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DI UN PRETE CHE NON SAPEVA SE L'EPIFANIA
CCLI
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Due ragazze erano alla finestra della loro casa che dava su di
un orto, e in quel mezzo uscì l'ortolano, vecchio e calvo, per
mangiare; e avendolo visto deforme per la calvizie, gli
chiesero se desiderava sapere il modo di far nascere i peli. Ed
avendo risposto che ciò desiderava, dissero le giovani per
giuoco che si lavasse il capo coll'urina della moglie. Ed egli,
voltosi verso di loro: «Questa vostra medicina», disse ridendo,
«non è punto buona; e lo provai col fatto: poiché da trent'anni
lavo in quel modo questo amico mio (e lo additò con la mano)
e pur tuttavia né anche un pelo gli è spuntato sul capo».
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CCLIX
CCLX
CCLXI
Uno dei nostri concittadini, che era uomo molto arguto, era da
molto tempo tormentato da grave malattia. E venne a lui un
frate per esortarlo alla pazienza e, fra le altre parole di
consolazione, gli disse che Dio soleva infliggere dei mali a
coloro che egli amava: «Non mi meraviglio», disse il malato,
«che Iddio abbia così pochi amici; ché se li tratta in questo
modo, ne avrà anche meno».
CCLXII
CCLXIII
CCLXIV
CCLXV
CCLXVI
CCLXVII
CCLXVII
DI UN SOFISMA
CCLXIX
CCLXX
CCLXXII
CONCLUSIONE