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P: punto di
applicazione V2 Vr
Verso
del vettore P V P V1
a) b)
Fig. 1 – a): simbolo grafico di un vettore – b): somma vettoriale di due vettori.
Se ad ogni punto di una certa regione dello spazio è possibile associare un vettore, si dice che
quel punto è il punto di applicazione del vettore e che quella regione dello spazio è sede di un
campo vettoriale.
Come esempio di campo vettoriale, si può fare riferimento allo spazio che circonda la terra: ad
ogni punto di tale spazio è possibile associare il vettore “forza di attrazione” che la terra esercita su
un qualunque corpo (più familiarmente, il peso).
Il campo elettrico ed il campo magnetico, come vedremo nei prossimi paragrafi, sono grandez-
ze vettoriali (o, più semplicemente, dei vettori) e trovano la loro sede nei rispettivi campi vetto-
riali che circondano le sorgenti fisiche che li hanno generati (cariche elettriche e correnti elettriche).
2. Le cariche elettriche
Secondo il modello di Bohr, gli atomi di cui è costituita la materia sono formati da un nucleo
attorno al quale ruota, seguendo opportune orbite, un certo
Elettrone
numero di particelle elementari: gli elettroni. Il nucleo, a
sua volta, è formato da altre particelle elementari note come
protoni, accompagnate, in alcuni casi, da un terzo tipo di
particelle dette neutroni.
Nucleo
Oltre ad una propria massa, sia gli elettroni sia i protoni
possiedono una particolare proprietà che prende il nome di
carica elettrica. I neutroni, invece, non possiedono questa
proprietà (non sono dotati, cioè, di carica elettrica) e per
Orbita più questa ragione si dice che sono neutri (da qui il loro nome).
interna
Dagli studi effettuati sui fenomeni elettrici è emerso che
Altre orbite
intermedie alcune particelle dotate di carica elettrica (o, più semplice-
Orbita più mente, cariche) si attraggono, mentre altre si respingono; si
esterna o è quindi giunti alla conclusione (come verrà spiegato in se-
di valenza guito) che in natura esistono due tipi “complementari” di
Fig. 2 – L’atomo secondo Bohr. cariche, convenzionalmente denominate cariche positive
(quelle possedute dai protoni) e cariche negative (quelle
degli elettroni). Più precisamente, cariche di “segno” opposto sono soggette ad una forza di attra-
zione reciproca, mentre cariche dello stesso “segno” si respingono.
Questi fenomeni furono scoperti per la prima volta (anche se non spiegati) da Talete, filosofo e
matematico greco di Mileto, vissuto attorno al 600 a.C.. Egli, infatti, osservò che strofinando con
una pelle di gatto una barretta di ambra (in greco, elektron) era possibile attrarre, con quella resina
fossile, piccoli frammenti di foglie secche, piume e pilucchi di lana.
Il fenomeno fu considerato per millenni poco più che una curiosità e per averne una interpreta-
zione scientifica si dovette giungere fino alla seconda metà del ‘700 quando, grazie alla legge di
Coulomb illustrata nel prossimo paragrafo, furono chiarite e misurate le interazioni fra le cariche
elettriche. In onore del grande fisico francese, all’unità di misura della carica elettrica è stato dato il
nome di Coulomb [C].
La tabella che segue riporta la massa e la carica di protoni, elettroni e neutroni. Si noti che elet-
troni e protoni possiedono la stessa quantità di carica, benché di segno opposto, mentre, come si è
detto, i neutroni sono neutri. Gli elettroni, inoltre, possiedono una massa molto più piccola di quella
dei protoni e dei neutroni che hanno, invece, masse praticamente uguali.
Concluderemo questo paragrafo segnalando che la quantità di carica elettrica che, attraverso op-
portune modalità, è possibile trasferire ad un corpo può essere solo un multiplo intero della carica
dell’elettrone (o del protone, se positiva). Questo principio si enuncia dicendo che la carica elettri-
ca è quantizzata.
k0 Q ⋅ q
F= 1)
εr d 2
E=F q ⇒ F = q⋅E 2)
k0 Q ⋅ q
F εr d 2 Q Q
E= = = =
q q 4 πε 0 ε r d 2
4πεd 2
1
La costante dielettrica relativa εr di un mezzo è data dal rapporto fra la costante dielettrica assoluta ε di quel mez-
zo e la costante dielettrica assoluta ε0 del vuoto. Ne consegue che la costante dielettrica relativa del vuoto vale 1.
2
Poiché anche la carica esploratrice q genera un proprio campo elettrico, occorre ipotizzare che essa sia puntiforme,
ovvero tanto piccola da far sì che in ogni punto dello spazio siano possibili l’osservazione e la misura del campo elettri-
co generato da Q senza che quest’ultimo risulti alterato in modo significativo da quello generato da q.
Se le cariche sono poste nel vuoto (ε = ε0 ovvero εr = 1), il modulo del campo elettrico diventa:
Q
E= 3)
4πε 0 d 2
Si noti che E non dipende dalla carica di prova, ma solo dalla carica Q da cui trae origine.
Se il campo nasce da più cariche, ad esempio Q1 e Q2, la forza F che agisce su q è uguale alla
somma vettoriale delle forze F1 ed F 2 esercitate separatamente da Q1 e Q2 su q, ovvero:
F = F1 + F 2
Si ottiene, allora:
F F1 + F 2 F1 F 2
E= = = + = E1 + E 2 4)
q q q q
Poiché entrambi i campi E1 ed E 2 sono indipendenti dal valore di q, anche il campo risultante
E dipenderà solo dal punto in cui viene misurato e dalle varie cariche che lo generano.
Impiegando una carica esploratrice unitaria, le intensità di E e di F assumono lo stesso valore
e quindi si può dire che l’intensità del campo elettrico in un punto è uguale alla forza che si e-
sercita sull’unità di carica posta in quel punto.
q: carica esploratrice
Dato che F = q ⋅ E (eq. 2), la direzione
F positiva
-q di F è la stessa di E , mentre il suo verso
E
q E F dipende dal segno di q: in particolare, fissa-
Linee di forza to il segno (supposto positivo) di Q, se q è
a) del campo elettrico b)
positiva (fig. 4-a) F ha lo stesso verso di
Cariche di ugual segno Cariche di segno opposto
+Q si respingono +Q si attraggono E , altrimenti vale il contrario (fig. 4-b).
Ciò spiega quanto si è già detto in pre-
cedenza, ossia che cariche di segno oppo-
Fig. 4 - Forze di repulsione e di attrazione sto si attraggono, mentre cariche di ugual
. tra cariche elettriche. segno si respingono.
3
Si noti che, per convenzione, le linee di forza di un campo elettrico divergono da cariche positive e convergono su
quelle negative.
U P − U P'
∆V = VP − VP' = 5)
q
che è il presupposto per il movimento di cariche, ovvero per la nascita di una corrente elettrica.
4
Si ricordi che E risulta inversamente proporzionale al quadrato della distanza d dalla sorgente (equazione 3).
La presenza di forze di natura magnetica rivela la natura vettoriale dei campi magnetici. Vo-
lendo risalire sperimentalmente alle linee di forza, si può porre un ago magnetico di prova (fig. 6)
in loro prossimità e valutare, ad equilibrio raggiunto, la
direzione ed il verso assunti dall’ago. Spostando di un breve
tratto ∆s il centro di gravità dell’ago, questo raggiungerà una
nuova posizione di equilibrio caratterizzata da una nuova dire-
zione ed un nuovo verso.
Ripetendo l’operazione si può costruire una poligonale a-
Fig. 7 – Le tipiche linee di forza vente tutti i lati di lunghezza ∆s; se i valori di ∆s sono molto
. . di un campo magnetico. piccoli, si può ottenere una linea continua orientata che rappre-
senta una delle linee di forza del campo magnetico (fig. 7).
S N I
N
+ − + −
a) b)
Hans Christian Oersted
Fig. 9 – Con questo esperimento (vedi foto) Oersted scoprì, nel 1820, i legami fra correnti
. elettriche e campi magnetici. Era nato l’elettromagnetismo!
I legami fra i fenomeni elettrici e magnetici furono scoperti, nel 1820, dal fisico danese Hans
Christian Oersted (1777-1851). In un famoso esperimento, egli pose l’ago magnetico di una bus-
sola in prossimità di un conduttore nel quale fece scorrere una corrente elettrica (vedi foto e fig. 9).
5
Questo fatto si esprime anche dicendo che il campo magnetico ha una natura solenoidale.
Poiché in assenza di corrente l’ago della bussola si orientava lungo la direzione dei poli geogra-
fici, Oersted orientò lungo la stessa direzione anche il conduttore in modo che, a pila scollegata, ago
e conduttore risultassero allineati (fig. 9-a). Una volta collegata la pila, Oersted notò che l’ago si
portava in posizione perpendicolare al conduttore (fig. 9-b), mentre, riaprendo il circuito, l’ago si
riportava lungo la direzione originaria, riallineandosi al conduttore ed ai poli geografici.
Da questa esperienza Oersted giunse alla conclusione che qualsiasi conduttore percorso da una
corrente elettrica induce, nello spazio circostante o in sostanze e materiali posti in prossimità del
conduttore, proprietà magnetiche la cui origine è dovuta al movimento dei portatori di carica.
Questo esperimento risultò di importanza fondamentale, poiché chiarì che i fenomeni magnetici
traggono sempre origine da una corrente elettrica6 e segnò la nascita dell’elettromagnetismo.
Riassumendo, se in un conduttore si hanno cariche in movimento, allora nell’intorno di quel
conduttore nasce un campo magnetico H. Viceversa, per generare un campo magnetico H oc-
corre produrre una circolazione di cariche elettriche (cioè una corrente elettrica).
Per comprendere meglio il fenomeno sopra esposto, consideriamo un conduttore percorso da
una corrente I. In conseguenza della corrente elettrica, nell’intorno del conduttore nascerà un campo
magnetico le cui linee di forza sono delle linee chiuse concatenate con
la corrente I (fig. 10).
H Dato che la corrente è la responsabile della nascita della forza ma-
l l2 l1 B gnetica che si sviluppa lungo le linee di forza l1, l2, ... l, si dice che tale
H dl corrente possiede intrinsecamente una forza magnetomotrice F e si
A
conviene di identificare l’intensità di tale forza con quella di I.
I
Poiché, in generale, l’effetto magnetomotore di N conduttori per-
corsi dalla stessa corrente è N volte quello di I, si dovrà associare il va-
Fig. 10 lore di F con il prodotto NI, misurando convenzionalmente F in “Am-
perconduttori” o, come si dice di solito, in Amperspire.
Da quanto detto, dunque, F = I [Ampere] o, più in generale:
F = NI [Amperspire] 6)
Ritornando alla figura 10, si consideri una generica linea di forza l. L’azione della forza F si e-
serciterà lungo tutta la linea l, per cui lungo un tratto infinitesimo dl si svilupperà un forza dF.
Per convenzione, il valore del campo magnetico H assume il valore del rapporto dF/dl, ossia:
H = dF/dl ⇒ dF = Hdl
sicché, la forza magnetomotrice (o tensione magnetica) FAB che si sviluppa fra due punti A e B di
una medesima linea di forza, varrà:
B
FAB = ∫ H ⋅ dl
A
Estendendo l’integrale a tutta la linea chiusa l concatenata con I (in generale, NI), si perviene
alla seguente relazione che esprime il teorema della circuitazione di Ampere:
F = NI = ∫ H ⋅ dl 7)
l
6
Lo stesso campo magnetico terrestre è dovuto a correnti elettriche che scorrono nelle profondità del globo.
NI ⎡A⎤
H= ⎢⎣ m ⎥⎦ 8)
l
B = µ⋅H 9)
dove µ è un parametro che prende il nome di permeabilità magnetica e che tiene conto delle pro-
prietà magnetiche del mezzo in cui si sviluppa l’azione del campo magnetico H .
Poiché µ è uno scalare, il vettore B ha la stessa direzione e lo stesso verso del vettore H 7.
L’unità di misura di B è il Tesla [T].
I I
H= =
l 2π ⋅ r
7
La permeabilità magnetica del vuoto assume il valore µ0 = 4⋅π⋅10-7 Henry/m.
P H
H H α1
α2 r
H l
Fig. 12
Si può dimostrare che il campo magnetico H in un punto P dell’asse del solenoide è dato da:
NI
H= (cosα 1 − cosα 2 )
2⋅l
NI
H≈
l
NI = ∫ H ⋅ dl = H ∫ dl = H ⋅ 2π ⋅ rx
Fig. 13
da cui:
NI NI NI NI
H= con H min = ≤H= ≤ H max =
2π ⋅ rx 2π ⋅ r2 2π ⋅ rx 2π ⋅ r1
NI
H=
2π ⋅ r