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SAGGI SUL PAGANESIMO MORENTE

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535

DI E DIAVOLI
SAGGI SUL PAGANESIMO MORENTE

FIRENZE
SUCCESSORI LE MONNIER
1904

\
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e

.P3

IMlOPllETA DEGLI EDITOUI.

FireEze, 1904.

Societ Tipografica

Fiorentina,

Via

S. Gallo, 33

626124

AL MIO CARISSIMO AMICO

PROF. GIUSEPPE
TESTIMONIANZA

MUSCATELLO
DI

QUESTO MIO TENUE LAVORO


SIA

UN AFFETTO

CHE NON N TENUE N FUGACE

SOMMAEIO

I.

Di e Diavoli.
L' ultimo cauto

II.

romauo e

la

fiue del

paga-

nesimo.
Ili.

La

distruzioue degl'idoli in

Roma.

IO

PREFAZIONE

jiiit

umile di fronte alla fidente aspettazione


Griaccli infine io

altrui.

tare altro al lettore, se

non presumo presennon tenuissimi con-

tributi alla trattasione di


il

un tema

grandioso,

pi grandioso forse a chi scruti nelle proe

fondit della vita

del pensiero
crisi
dell'

antico. Il
e

tema

quella

immensa
rovina
il

morale

sociale

die port

alla

Di

quella crisi

primo

imperio romano. studio vorrehe se-

guire gli atteggiamenti e gli sviluppi nella concezione religiosa, il secondo nella poesia
e

nella politica,
el)l)e

il

terzo gli effetti die

quella
di

crisi

sulle

opere

d' arte.

La

storia

quella

immensa rovina fu tema die


intelletti
:

affascin
,

noMlissimi

quivi

volsero
il

tra gli

altri, le loro

indagini feconde

Beugnot, il Boissier, il * e una lieta promessa sar :


~

Gihhon, il Gregorovius, il Grici

venuta

test

La

storia della decadenza e rovina dell' Dipero

romano

del Gibjou notissima e pi volte rixjrodotta nelle principali lingue. Vedi ]50i : Beugnot, Histoire de la dstruction

struction

dn paganisme, Paris, 1835 Cliastel, du paganisme dans V Empire


;

Histoire
d' Orient,

de la

d-

V. Lasanlx,

Der Untergang
Soliiller

des Sellenismus

1850; E. und die EinKaiser,

zieliung seiner Tempelgiiter

durch

die

ehristlicJien

Miinclien, 1854

Hermann,

GeschicTite der romischen


ji.

Kaiserzeit, Gotha, Pertlies, 1887, II,


sier

344 segg.; Bois-

G.,Laj^H du paganisme, Paris, Hacliette, 1898; Gregorovitis, Storia di lioma nel Medio Evo, lilsrb I (ediz, ital.

PREFAZIONE

11

cV otr' Alpe, quella

del

dottissimo

Cmnont,

che nella prefazione alla sua grandiosa opera sui Misteri di Mitra, ci lascia sperare che

ancW

egli affronter
i

V arduo

noMle tema.

Del qual tema

lavori che qui presento,

non

trattano che alcuni particolari lati ed aspetti, e con tali riserve vogliono essere raccomandati alla l)enevola considerazione
dei
lettori.

D'

altra parte

il

titolo

Di e Diavoli mi
le

pure parso

efficace

a rappresentare quel procoscienze sul

fondo contrasto, che divideva

finire del paganesimo. Gli di del culto popolare erano considerati nelV opposto

diavoli malvagi: e
essi

mentre

gli

campo quali adoratori di


li

rammentavano

tutti i ieneficii che crede-

vano

largiti dagli di ai JRomani, e

vano a riscontro con


la miseria

la miseria presente,

poneanzi

interpretavano quale vendetta degli di sdegnati, gli avversar ii torcesiffatte

stessa

vano a loro pr
l)ile

ragioni:

mali onessi terri-

d' era travagliata

Roma
si

erano per

ammonimento

del vero dio,

sdegnato che

ai demoni malvagi
dalla folle umanit.

prestasse

ancor culto

Roma, soc. editr.Naz. 1900)

Grisar, Storia di

Boma, ecc.

Boma
^

alla fine del

mondo

antico (ecliz. ita!.,


et

Roma, LefebYre).
aux

Cumont

F., Textes

momiments

figurs. relatfs

inystres de Mitlvra^

Bruxelles^ 1899; Prface, p. IX,

12

PREFAZIONE

la

Come ho gi detto, il jjrimo lavoro studia orisi del mondo antico in riguardo alla

concesione religiosa.
j)lGe albosso,

un

dbhosso,
della

un

sem-

sulla
il

storia

teologia pa-

gana.

colorire

mio disegno mi

stato
rife-

necessario richiamare fatti e cognizioni


rentisi alle egioche anteriori della vita
tali notisie,

na:

romacome non formanti V abbietto della mia trattasionCf sono solo sommaria-

mente ricordate in princijrio, e senza alcuna documentazione. Chi vorr approfondire le


periodo, potr fonti hen pi copiose ed insigni.
studio
ricerche per
tale

accedere
*

i' ohhietto

fu dunque il queprincipale del mio sito : quale fu il concetto che degli di si ebbe
nel

mondo pagano, e quale quello che su di essi prevalse nel mondo cristiano. delle sin-

E
;

'^

Gir.

Marquardt

1.,

Le

culle vhez les lloma'nis, trad.

par M. Brissiiud, Paris, Tlioriu, 1889-1890 "Wissowa G,, (nelBelujloi nnd Kultus der Bomer, Muucheu, 1902
Klass. Alterkomsiv. V, 4 AM.). Per imo sguardo generale della religione romana in questo periodo cfr. Zeller Ed., Beligion nnd PMlosopMe liei dea

V Hamlhiicli der

Bomeni in Vortraege imd Ahiumdl. II, p. 93 segg. V introduzione d. 1-63) alF oliera del Boissier, La
lif/ion

re-

romahie
;

d^ Auguste

cmx Antonins, Paris, Hachette,


x^eriodo
Svres,

5* ediz. 1900
religion

e ijer

il

posteriore

Eeville,

La

Bome sous les elite Boms ecc. tengescM


101-110
,

1886,

Friedliinder, SU-

I^ p.

1'

Bd., Harnack, Dogmengesch., opera ora citata del Boissier.

MlEFAZiONE

gole (ioncesioni
e

crktkuw sui

miti, sugli

di

sui demoni

mi parve
e

potere indica/re

le ori-

gini nelle concezioni stesse


ste

nattiralmente

pagane, hencli mitrasformate con gli eledie


il

menti di altra natura


importava.

cristianesimo

Certamente

V un
da

altro di queste dottrine

particolare o me studiate si

trover qua l disperso nelle opere migliori; pure, se considero die, ad es., nella pode^ rosa storia dei dogmi dello Harnadi si trovano solo, qua e l, accenni fugaci a tali

dottrine (I, p. 151 n., 152, 452, 587), lio fiducia die la ricostrusione di esse in tutti i loro

particolari

le

loro attinenze con la dottrina

i padri cristiani accettavano, sembrare non inutile contributo. possa

evemeristica, che

Gli argomenti da

me

trattati in questo vo-

lume, tuttoch affatto diversi da quello sulV Incendio di Eoma, da me precedentemente stidiato, pur possono, per qualche non tenue
rapporto, richiamarne naturalmente
do.
il

ricor-

Ed

ricordo che piace a

me

stesso di pro-

vocare, giacche a

qualche dichiarazione in proposito. Si aggiunge che quel lavoro vide per la quarta volta la luce
^

me tarda

di fare

Lehrhiieh der Dogmengeschciie, Frei2* ediz. 1888-1890 (3 voi.). burg-^ Molir,

Haruack Ad.,

PREFAZIONE

un volume di Fatti e Icggeude, edito da questa medesima lenemerita ed antica Casa editrice, che semra quasi con la vi/rtn delle
in

sue helle tradizioni conferire nohilt agli scritti che accoglie : dal qua fatto mi viene ora novella semita

a discorrerne.

La prima

dicliia-

rasione dunque die io voglio fare la seguente : che io non dedo essere condannato ad
oGCiparmi i)er tutta la vita dell' incendio e di Nerone. Chi dunque continua a confutarmi e

mena poi
lenzio cui
di

trionfo del

mio

silensio,

come di

si-

mi al)Ma

egli stesso ridotto, si

mia strana

illusione.

Pur

v' ha, tra i

pasce cam-

pioni tilthnamente scesi in lizza, qualcuno, la cui autorit e il cui valore senibrerebhe potere

es2)ugnare

qualsiasi

mia pi pervicace
di

volont di tacere. Intendo parlare

Paolo

Aliar d,

lo scrittore

forbito e geniale,

V illu-

stratore dei
delle

primi tempi

del Cristianesimo e

lunghe travagliose vicende della fede nascente. Anche per per lo scritto suo mi occorso verificare quello che era naturale aspettarsi,

trattandosi

di

argomento ormai gi

tanto trito : che cio, se io volessi replicare agli

^'

In Jemie

des

Qiiestions

Msioriqties,

Aprile 1903.

Cfr. lure Allard, Les chrtiens oui-is incendi Nron, Parigi, Bloud et C, 1904.

Home

sous

PREFAZIONE

15
rijeUre, in

argomenti suoif
ordine

mi ovvorrerehhe

e collocasione diversa^

quel che ho gi
i^njii-

repUcatamente
tata
feci,

detto.

la

stato ])in volte

a mia fantasia
di

ricostruzione

che

io
cri-

una

delle

primissime credense

stiane: quella cio che la distruzione dell' impero

fosse necessaria ad assicurare V avvento del regno di Dio. Eppure si tratta di fatti e ^estvmo-

nianze, che dovrehhero disarmare ogni volont

pi ribelle; ed or si aggiunge in questa volume qualche particolare ctirioso in proposito,


e

tra gli altri


(v.

attestazione precisa
ecc.,

di

San

Gerolamo

nota 28). Che altri poi mi apporti quali documenti con-

L'ultimo canto,

trarii alla

mia

tesi tutti i consigli e le


e

atte-

stazioni

di mitezza

di bont provenienti

dai padri dei primi

secoli, e

che

presuma

cos

di prova^'e essere impossibile, che dottrine in-

cendiarie agitassero la

munit

cristiana,

prima massa della cocosa eh' io non giungo a


vero, io voglio

comprendere.

E per

pur

tacere
le te-

di tutto quel che ho detto e provato con

stimonianze stesse di fonte cristiana, di mia fazione violenta e turbolenta in quella prima

comunit; fazione nella quale


il

naturale che

fanatismo
sitila

idea

suggestione fatale di quella distruzione dell' imperio e di Roma


e la

'prorompesse

ad

atti

forsennati

e folli;

voglio

16

PREFAZIONE

pur

lacere di tutto questo: voglio ansi partire


i

dal presupposto, iimmmssibile, che


tutti,

Cristiani

sol

Nerone, fossero^ perch cristiani, esempio di mitessa e di


compresi

gli scliiavi di

lont.

Mi

haster

domandare :

quar
i

la ra-

gione per

quali non professarono dottrine se non apirunto di dont


cui, in seguito, quei padri,
e di 'mitessa,

non

dettero consigli, se

non di

perdono, a riguardo degV idoli e dei templi pagani non eMero che un solo grido: aMat^ La ragione era questa, tete, incendiate f
che

Msognava distruggere

le

sedi dei demoni,

annidantisi appunto nei templi e nelle statue, secondo la credenza di cui si apportano in
questo volume molteplici prove.

Non

quindi

naturale che, gi fin d'allora, si sia voluto distruggere la casa di Nerone, che era il demone
pei Cristiani, ansi
lestia,
il

maggiore dei demoni, la


e

Anticristo,
di

distruggere

insieme
diil

Roma,

ricettacolo
le

tutti i

demoni, per

schiudere

vie al

Signore,

per affrettare
e

compimento della divina promessa, che


Salvatore verrebbe
distrusione distrusione

cio il

dopo V Anticristo
se
il

dopo la

dell' imperio f

dunque,

Questo fervore di naturale in una

massa, nella quale sia

fermento di

j;rt.ssiojii

Cfr. V ultimo paragrafo del

primo studio.

PREFAZIONE

17

e d'imjjiilsi

violenti^

in giorni di titudine di persone,

imo anche apprendersi^ aberrazione fanatica, a una molche alibiano individuale tranquille.

mente consuetudim miti

Ri/pensecolo,
il

siamo a

tutti quei vescovi


lo

del

quarto

che vollero, con

schiantare dalle radici

culto antico, vedere grandiosa e trionfante la

nuova fede; con quale ardore, con quale frenesia quasi di entusiasmo, essi si trascinavano dietro le moltitudini, di citt in citt, di villaggio in villaggio, appiGcando
il

fuoco ad ogni

simulacro, ad ogni sacello, ad ogni tempio! gli scrittori sacri davano naturalmente lode ad
essi,

come ad uomini pii


li

e servi devoti

di Dio;
^

e i

canti popolari

esaltavano per avere ahhruCristo.

ciato

gV idoli

alla

maggior gloria di

Si consideri dunque quanto pi vivo dovesse essere il sacro fervore onde erano invasi
quei primi Cristiani, per V impulso hen maggiore che ad essi veniva dalla magnifica pro-

messa:

le

nuove sorti umane, V avvento


essi l'aspettavano

del

Uegno divino
^

per la loro ge-

Cfr.

ad

es.

Teodoreto, Hist.

eccl.

Y,

21,

x>ro-

posito del vescovo Marcello distruttore dei templi della

sua diocesi di

Apama

10-14
169

e la sequentia

popolare die
Meril,

Sulpicio Severo, B. Martini vita, si cantava in onore


Fosics xoxmaves
i(iiiil)us

di S. Martino, in
p.
:

Du

latiues,

ad Clirist (jlomtm dat


Pascal,.

dola .
2

(J.

18

PREFAZIONE

uerazioue; durante la loro vita: unico impedimento era ormai che Roma ancora esistesse,
che

V imperio romano fosse ancor


!

saldo e forte.

Oh

con qual fremito di desiderio doveva proil

rompere da quei petti

Ma

tem2)o

che

io

grido di distruzione!... torni al mio volume. Il

quale,

se

mi ha

tentato

mento antico, sicch io dirne pi ancora di quello che mi fossi proposto, per pi altre parti semhra quasi trarmi
ed invogliarmi a ragionare di altre questioni e prohlemi. Ma pur forza che io ne taccia,
che pi mi preme. Il concetto dei Cristiani che stato da me in
e sol questo

a toccare delV argoquasi mi invescavo a

aggiunga,

questo scritto con qualche ampiezza illustrato,


d' interpretare
cio

quali potenze

diaT)oliche

tutte le divinit

antiche, questo
e

concetto

che

semhra
la

cos

ingenuo
del

salvezza
il

primitivo, fu in realt Cristianesimo. Senza un tal


si

concetto

Cristianesimo
gli altri

sareMe fuso

con-

fuso con

culti o sarebbe vissuto in-

sieme con essi in pacifico accordo. Senza V orrore che ai Cristiani ispiravano le demoniache

potenze
e

degli

di.

Cristo sarehhe

entrato in

mezzo a quegli
piet
disfornn' del riprese

di,

a portare
antico.
i

la

nota

della

del sagrifizio nell'Olimpo cos vario e

mondo

Pi

volte e a j>w

furono fatti

tentativi

delV accordo,

PREFAZIONE

19

V accordo lrimo lavoro. era impossibile. Il Cristianesimo non poteva riconoscere agli altri culti il diritto di convicome
si legger nel

Ma

vere con esso, senza riconoscere in


il

diritto al diritto

il

pari tempo male di serpeggiare per il mondo, ai demoni di dominare e di trarre

alla perdizione

V umanit. Chi immagina una


amante
della liert di
il

dottrina tollerante ed
coscienza,

svisa

carattere

della

dottrina
li-

stessa e la falsa.

Non

vi poteva

essere la

bert del male. Il Cristianesimo professava di essere la verit assoluta, perch rivelata da

Dio :

al di fuori di esso
e del

nebre dell'errore
si,

non erano che le tepeccato. DalV altra parte,

era la esortazione alla tolleranza, e quando tentativi di conciliazione fallirono, si lev la


si lasciassero
i culti

preghiera che
pace
la

antichi, che si

almeno vivere i/n lasciasse a ciascuno

sua religione.

Non

basta un solo cammino,

diceva

Simmaco, per giungere al grandioso


divinit.

mistero della
che

Ma

il

Cristianesimo,

non aveva ceduto nei giorni delV umiliazione e del dolore, non cur queste ultime voci
di preghiera e di rimpianto.

Certamente alla lotta contro gli antichi


culti esso trov gi in
le

coscienze e pronte
filosofia

le

gran parte preparate armi negli stessi scritti

della

pagana.

Da

secoli si

era eserc-

20

PREFAZIONE
religioso, si era

tata la critica sul lrhema

acuita la lotta contilo


e

contro

le

celeste.

Ed

sujerstisioni popolari, che offendevano la maest favole era vivo negli spiriti migliori il

le

lisogno di

una pin
fece

elevata concezione religiosa,

di

una pi pura adorazione


si

divina. Il Cristia-

nesimo
sciente

eco di

questo

Msogno

delle co-

pi

alte;
e

ma non
ad
esso,
e

a quell'altezza, sione in mezzo


poco al
e il

pot levare il popolo se volle aver vigore e diffu-

livello suo,

dov porsi a poco a adottare in parte i riti

cerimoniale

degli antichi culti, ed eredi-

tare molte delle antiche feste ed assumere tutta

quella

organizzazione

ufficiale di

forme

este-

riori, di fastose apparenze,

di terreno potere,

contro cui Cristo

aveva combattuto tutta la

sua

vita.

Oaelo Pascal.

I.

Di e Diavoli,

D[

fi

DIAVOLI.

SOMMA.RIO
1.

La primitiva
in

religione

penetrati religione in Eoma.

nieri

Eoma.
il

romana

e gli elementi stra-

2. Funzione
scettiche.

politica

della
le

Tendenze
a

Lotta

superstizioni e contro vit letteraria volta

culto delle immagini.

3.

contro

Atti-

ravvivare,

gli

anticlii

culti.

4.

Carattere
nella

di

tale

attivit letteraria.
filosofica
le

Si

ringagliardiscettiche.

scono

letteratura
e

tendenze

Monoteismo

Spiegazioni scientifiche del dei varii miti presso gli antichi, concetto della divinit e

panteismo

5.

6. Confutazioni degli scrittori cristiani


,

a tali spiegazioni.
:

7. Spiegazione data dagli scrittori cristiani gli di sono demoni. I demoni pagani e gii angeli cristiani. L'oricio dei demoni, secondo gli gine e la natura degli di
scrittori

dioevali.

cristiani. Gli

di

demoni
I

8.

La divinazione pagana

nelle leggende e i cristiani.

meLe

opere demoniache degli di.


verit e di
si -vince

loro responsi

commisti di

9. Come menzogne. Gli oracoli pseudo-sibillini. la potenza demoniaca degli di. Gli effetti dei saGli esorcismi.

grifizii agli di.

10. I templi e gP idoli sono opere demoniache. Necessit di distruggerli.

'Iltl"lllllll'

1.

La primitiva

religione

roinaiia

fu

risei'vata e pudica,

senza elementi che ecci-

tassero la fantasia o

commovessero

sensi.

Quello spirito di rigore e di ordine die cos speciale del carattere romano riduceva
quasi la religione a un sistema di formole esteriori, a una serie di contratti giuridici
tra

l'uomo e la

divinit, ai quali

il

sentimento

era affatto
si

estraneo. I prischi romani non curavano di rappresentarsi la forma e la

vita dei loro di, non conoscevano semidei, non conoscevano il mondo eroico, non avevano insomma mitologia.

Ben
trare in
ria

presto

Eoma

cominciarono per a peneelementi stranieri. Dall' Etru-

probabilmente non immigrarono nel Lazio se non i riti augurali; ma una larga
corrente religiosa con nuove forme di culto e con leggende divine, penetr dall'Italia

20

DKI E m.VVOLT .1.

meridionale,
dall'

dalla

Sicilia,
l'

dalla Grecia

Asia Minore. Sotto


e
si

influenza del pen-

siero

della

letteratura

greca profonda-

mente

mut anche F

indole della religione

romana. Fu, veramente, quello non piccolo ruscello, ma largo fiume di pensieri e di
cognizioni, che invase
cio

Eoma.

Il

poeta Por-

da Gellio (XVII, 21, Licino, 45), cos si es])rime: Durante la seconda guerra punica la Musa con passo alarto penetr tra la fiera bellicosa genta di Eomolo . Allora le antiche tradizioni locali andarono a poco a poco adattandosi alle
citato

nuove forme
trecciarono
e
fedi, le rigide

di credenza,
si

miti greci s'inconfusero con le antiche


i

severe divinit della religione X^rimitiva furono trasformate per l' influenza delle gaie e passionate divinit dei Greci,
e tutta

una

serie di racconti

e di
le

favole
figure,

and ad animare e a ravvivare

prima cos smorte, degli antichi di. poco a poco cominci anche in

Eoma

una poesia mitologica.

E come

gii annalisti

facevano studio continuo per foggiare, secondo le leggende greche, le antiche tradizioni delle terre italiche, cos i poeti volsero il loro canto a celebrare le memorie locali,

redigendole nella forma che avevano

presso

r)ki

T]

BiAvoT.t .1.2.

27

poeti alessandrini, i miti dell'Eliade. Yi era per una sostanziale diiierenza nella
trattazione niifcologica
tra
i

poeti greci e

romani.

Per

primi,

specialmente

per

epoca prealessandrina, il mito era controllato con la viva coscienza del popolo; racconto il 1 Eomani i)rendevano invece
quelli dell'

dalla

tradizione letteraria,

non

dalla fede

per influsso apj)unto della tradizione letteraria, la fede popopolare.


d' altra parte,

Ma

polare

si

elementi; sistema d' identificazione tra gli di stranieri e gii di romani, che si radic cos profonda-

arricchiva i)ur di questi nuovi sicch a poco a poco, per quel

mente

nelle coscienze, tutto intero l' Olimpo greco sorrise alle fantasie dei Eomani.

2.

Ma

insieme con

gli

penetrati pure in
critica religiosa.

Eoma

greci eran la letteratura e la


di

per ragioni' affatto diverse, eccitamento e favore


tal critica trov,

e presso gii aristocratici e presso

il

popolo.

Gli

aristocratici,

quali

Livio

Salinatore,

I^^obiliore, Scipione Africano Maggiore, furono potenti ed efficaci fautori delle lettere, e cercarono di ringagliardire quel

Fulvio

moto

di pensiero che

veniva dalla Grecia.

2S

BKl E DIAYOLT

.2.

avevano un concetto esclusivamente politico: che fosse cio una


Della
religiouc
essi

serie di praticlie e di forinole necessarie i)er


il

governo della cosa pubblica;


coprivano

ma, pur

(piando essi
si

ufficii sacerdotali,

non

peritarono j)unto di spiegare scientilcasenti-

mente tendenze affatto scetticlie: il mento religioso non aveva eco nel loro
Prevaleva la tendenza a distinguere P

cuore.

uomo

dal cittadino, il ilosofo dal funzionario pubblico. Si badi a queste parole del l)e Natura Deorum. I, 22, 61, messe in bocca a un pontefice: si discute se esistano o

no

gii di.

E cosa
tesse in

difficile il

negarlo.

S,

se si discuin

una conpopolo; versazione e in un consesso quaP il nostro, cosa facilissima . E nel De Bivinatione
mezzo
al
(II, 12, 28)

ma

un augure

stesso die afferma


1'

recisamente
ria

il

concetto che

arte divinatodella re-

debba essere coltivata a servizio

pubblica. Tijjico del resto il caso di Cicerone, che pure copr ufficii sacerdotali e che

fu cos spregiudicato nelP investigare le supreme ragioni dell'arte augurale e della concezione religiosa in due sue ojjere famose \

tiim

Le due opere di Cicerone, De Diviiatione e De NaDeorum furono sipportate da Agostino, Ctv. Dei IV;

DI E DIAVOLI

.2.

29

solo negli austeri recessi delle dispute


si

fllosofche egli

addimostr
,

cos

libero;

dinanzi al popolo agi' inizii ap-pviT l)ena della sua carriera oratoria, cos tuo-

ma

nava
dere,

la

sua gagliarda eloquenza (Pro Bosdo

Ameriio,

XXIY,

67)

Non

vogliate cre-

come spesso vedete


i

rax)presentato nelle

tavole, che coloro

quali

hanno com,messo

qualche empiet o scelleraggine sieno agitati ed atterriti dalle faci ardenti delle
Furie. Dalla propria colpa e dal proprio terrore tormentato ciascuno; e il suo
delitto lo agita e trae fuor di senno ; e i tristi pensieri e i rimorsi lo sgomentano:

queste sono le E urie assidue ed interne che notte e giorno reclamano la vendetta paterna dagli scelleratissimi
figli .

da credere per che tale ardore polemico


gii si sia a poco a idoco smorzato con la esperienza politica e con la et. Egli entr nel medesimo ordine di idee degli uomini di stato

romani,

quali pure rispettando la libert

30, come x>i'OVii del dispregio in cui i Romaui stessi teuevauo le loro stiperstizioiii. E nel capitolo precedente,

parlando in genere
firavioyesque

dello

scetticismo
v'ulermit

dei pii dotti roIiocg


iviellefieniiorc!^

mani, cos dice Agostino:


Iiomani,
sed

cotra

consucudcm

civitatis,

quae

(laernoilaois

rii'iTnis

fncmi

ohlh/afa, inn-um ralelxDi ,

30

DI E DIAVOLI

.2.

della discussione scientifica,

volevano tenere
per

per

il

poi)olo alieno

da

siffatte dispute,

non rilassarne la disciplina e i costumi. Abbiamo di ci attestazioni precise. Lattanzio {Inst. II, 3, 2) riferendosi a un passo del De Natura Deorum, che non conservato tra le parti sui)erstiti dell'opera, cos dice: OomIjrendeva ben Cicerone quanto fossero falsi
i

culti degli uomini. Griaccli

dopo aver con

molti argomenti abbattuto le religioni, afferma tuttavia non doversi di ci discutere in


pubblico, per non spegnere con tal disputa la religione dello Stato . Era, in parte al-

meno,
stessa

il

concetto medesimo

clie

nelP opera

De Natura Deorum
Balbo
:

(III, 4, 10)

uno

degli

interlocutori. Cotta, esjjrimeA^a, risj)ondendo


allo stoico

Con

coteste argomenta-

zioni tu finisci per rendere dubbio quel che dubbio non . E la ragione di tal diffidenza
del disputare era tutta politica. Questi uomini, nell'interesse dello Stato, volevano, nei rapporti pubblici, star contenti al quia; il co-

stume tramandato dai maggiori era legge per essi, perch quel costume aveva tenuta salda
la

comi)agine della patria. quello appunto che Cotta dice precedentemeiite {Nat. Deor. IH, 2, 5) Quando
:

si

tratta della religione io seguo Tiberio C'O-

DEL E DIAVOLI

.2..

31

ruiicaiiio,
tefci

Publio Scipione, P. Scevola, i)onmassimi, non Zenone o Cleante o Ori-

do ascolto a O.Lelio augure e sapiente, che in una sua famosa orazione ne discorse, anzicli ad un caposcuola degli stoici . Ma
sii)po,e

pur con tanta propensione rispettosa verso le autorit antiche, punto egli infirma la libert della discussione scientifica. Da te che sei filosofo, egli dice a Balbo (III, 2, 6), aspetto
di conoscere le ragioni della religione, maggiori nostri io debbo credere, i)ure se

ma

ai

non

me ne danno

ragione

qui chiaramente

accennato a quello sdoppiamento quasi della personalit umana, tra il pensatore e l'uomo
pubblico, tra lo studioso e il cittadino, sdo^)piamento cui la classe pi alta di Eoma pa-

reva essersi ormai abituata con facile acquiescienza.

Ed infatti quegli stessi maggiori, alla cui autorit Cotta si richiama, non avevano tenuto condotta diversa. Cos Q. Muzio Scevola, che fu pontefice

massimo e fu console
(pr.

nel 659 di E., distingueva

Agost. Civ.
:

Bei

-IV, 27) tre specie di religioni

quella dei

poeti, quella dei filosofi


di Stato: la
spiug(^re, la

prima si seconda non era adatta


il

q quella degli uomini poteva confutare e rei>er


il

popolo, la terza era

naezzo migliore per go-

32

DI E DIAVOLI

.2.

vernare

le moltitudini.

Cos pure

un greco

del circolo di 8cii3one Emiliano, Polibio, reputava essere supremo interesse dello Stato

difendere la sua religione antica (VI, 50) ^ Insomma la religione era una funzione i)olitica,
la cui azione

doveva esplicarsi
il

in

renne e x>otente per

popolo e

un freno x)ein una difesa

di tutti gli ordini dello Stato, vincolati alle

forme inviolabili ed intangibili del cerimoni ale sacro.

Ma

il

popolo non fu tenero di quel freno

e di quella difesa. Il popolo fu xn'ofondameute

Questo x)asso di
xjercli

Polilbio (VI,

56)

di troppa im-

portanza

ne abbia a riportare qui tutto il senso. Per quel che riguarda gli di, dice 1' a., i Eoniani sux)erauo di molto gli altri popoli. Quello infatti
se

non

che presso gli altri


stato

biasimato, quello tiene saldo lo

scrupolosa cui'a della religione. a tal punto questa cui-a i)resso di essi stata Giacch l)ortata e presa sul serio, sia negli affari privati sia nei
e

romano

cio la

X)ubblici,

che pi non

si

potrebbe. Ci fa meraviglia ad

alcuni, a

me

inir fatto a cagione del popolo. Se di soli

sapienti fosse cojuposta ima citt, ci non sarebbe punto necessario. Ma poich tutto il poj)olo leggiero e pieno di smodate cupidigie , d' irragionevole ira , di violente

passioni, resta che con incerti terrori e tragiche paure esso sia tentito a freno. Perci sembra a me che non ii'-

ragionevolmeute n temerariamente

gii antichi

abbiano

importato nelle moltitudini le opinioni sugli di e sulle,

peu dell'inferno:
e

che per

contro irragionevolmente

temerariamente

gli

nomini

di

oggi

le

respingano

DT E DIAVOLI

.2.

)0 OO

scettico.

Esso

apx>laiidivi

nel teatro a tutti

motteggi di Plauto, che qualche volta toccavano non solo le forme religiose, ma la ^ venerazione stessa da prestarsi agii di.

La

religione
in

ma

esso sentimento, osservanza di pratiche esteriori; e nei

non

era

in

momenti
oblioso
e

cui l'animo si espandeva pi


l'

spensierato,

osservanza veniva

meno. Cos
Catone,

la fede religiosa decadeva.

Gi

il grande avversario della coltura ne avvertiva il decadimento egli si greca, lagnava, a quanto ne riferisce un passo del De divinatione (I, 15, 28), essere ormai neglette e cadute in oblo molte cerimonie di
:

angurii ed auspicii.

Ma gli

che

appunto contro

gii

augurii

e gli auspicii erano pi fieri e vigorosi aii attacchi di pensatori e di poeti.

Tutti coloro che

si

erano abbeverati

alle

vive fonti della poesia gTeca, tutti coloro che

avevano sentito

il

fascino dell'arte euripidea,

importarono nella letteratura, specialmente


3

Come prova

di questa tendenza

scettica e

quasi

derisoria verso gli di in Pianto, basterebbe l'Amphitruo. Ad ogni modo frequente in lui per tal riguardo, specie

nelle
;

zoso

Caj)t.

invocazioni, un tono motteggevole e schervedi Aiihil. 621 sgg., BaceJi. 115 sgg., 892 sgg., 803 sgg., Cas. 230 sgg., 331-334, ecc.
3

C. Pascal.

DI E DIAVOLI

.2.

draniniatica, uoii olo


altres lo scattar

Iti

critica religiosa, Jiia

mordace e violento

di sde-

gno

e di sprezzo contro tutte le superstizioni e tutte le ciurmerle volgari.


Il

grande Ennio fu dei pi vivaci in que-

sue tragedie si era spesso presentata occasione di fare prorompere i suoi personaggi contro V ingordigia e la
sta lotta, livelle

crudelt degli auguri.

Superstiziosi vati

ed imi3udenti indovini, o inerti o folli o dominati dal bisogno per s non conoscono
:

un

pretendono mostrare a un altro la via ed a coloro ai quali promettono riccliezze chiedono pur solo una dramsentiero
e
:

ma

. (pr.

Oic.

De

div. I, 58, 132).

E non

era

raro trovare nelle sue tragedie cotali imprecazioni. Altrove (pr. Oic.

De

div. I, 40, 88)

un

altro personaggio si scagliava contro gii oracoli che per avidit di guadagno simulano

responsi altrove era Achille che imprecava contro gii astrologi (pr. Oic. Ee^). I, 30): quel che sta loro dinanzi ai piedi non vedono, e
;

cercano di scrutare

le vie del cielo

Ma un'altra
di
scientifico. 'Nel

parte della operosit poetica

Ennio aveva un contenuto meramente

zava a

Eoma

le

suo JEvliemeriis egli volgarizdottrine di questo antico

ed arguto

filosofo,

da cui ebbe nome uno

DI E DIAVOLI .2.

35

dei sistemi d' iuterpretazione del


religioso
,

quel

sistema

cio

fenomeno che vedeva


nomivirt

nei

nomi

di divinit

nomi

di antichi

ni, preclari

per loro

speciali

doti e

dopo morte assurti all' adorazione divina, da parte dell' umanit riconoscente e stupefatta; t^qW lEincliarmus Ennio inculcava un' altra spiegazione dei miti, immae perci

ginando raffigurati sotto i nomi delle divinit i fenomeni naturali. Ci rimangono da tal poemetto i versi suoi sopra Giove (pr.
Yarr. L. L. Y, 65). Il Dio vi identificato all'aere, che diventa vento e nube, e poi
j)ioggia e freddo, per ridiventare poi

vento
nel

ed aria
mortalis

perci appunto
il

detto

frammento, ha
aeque

nome

di

luipitr,

Quia
iii-

deluasque parole con le quali si allude vat,

turas

omnes
all'

an-

tica erronea etimologia iuvans pater.

E un

era quello di Giove considerato quale cielo ed etere animato-

concetto molto

affine

re,

che troviamo in un frammento di Pa-

cuvio ispirato dal Orisippo euripideo (Euripide,

836, Il^auck"). Questo passo che comincia Hoc vide circum supraqiie quod

framm.

Gomplexii continet L. L. Y, 17 e 19),


rii)ideo,

Terram (presso Yarrone,

rammenta

altro passo euIT, 25, 65) cos

che Cicerone {N. B.

36

DI E DIAVOLI

.2.

tradusse

Yides sulime

fusum immoderatum

Terram tenero circumiectu am lume plectituT f Hiinc siimmum libeto divum, aveva perliibeto Jovem; e che Ennio stesso
aethera, Qui

reso cos

As^nce
tal

lioc

sublimen candens quem


JV.

invoeant omnes Jovem (presso Oic.


2, 4).

Con

D.

IT,

preparazione

filosofica na-

turale che pur contro gii auguri e gii arusi)ici fosse vivace la Musa Pacuviana; ce

ne rimane qualche saggio nell'opera De Dir


vinatione, di Cicerone (I, 57, 181), e nelle Notti Attiche di Aulo Gelilo (XIY, 1, 34). Ed

anche

l'altro

grande tragico latino dell'et

repubblicana, Accio, segue la medesima tendenza di vivace opposizione contro le superstizioni popolari. Isella tragedia Astianatte

un personaggio prorompeva
espressione di realt
agii auguri, che
:

in questa cruda

Io

non presto fede


le orec-

empiono di parole
1.

chie altrui, per empire di oro le case proprie (pr. Gelilo,


e).

Su

tutti questi scrittori

aveva potente
specialmente

efficacia l'educazione

filosofica,

nel senso epiciu'eo. Ora ijrecetto epicureo era r indifferenza degli di per le sorti umane.

Gli di, secondo il pensiero di Epicuro, sarebbero molto infelici se dovessero pensare ogni giorno a distribuire agii

uomini

DI E DIAVOLI

.2.

37

il

male. Questo pensiero si conferma e si avvalora di mano in mano negli scrittori con altre ragioni. Gli di non si
beile e
il

curano, credo, di quel clie fanno gli uomini, era detto in una tragedia di Ennio, (pr. Oic. De Div. II, 50, 104), giaccli altrimenti sa-

rebbero premiati il cbe ora non

buoni e puniti

cattivi,

l^on altrimenti l'Antigone di Accio ijrorompeva nel grido di supremo sconforto


:

non governano gli di, no, il supremo re degli di non si cura degli uomini (pr. Macrob. Sat. VI, 3, 50). Pi tardi Ora
]N^o,
!

zio dir {Sat. I, 5, 101)

io
;

passano la vita tranquilli


prodigio sul
cieli
.

so che gli di e se v' qualche


gli di

mondo, non sono preoccupino di mandarlo gi


!

che

si

dall' alto

dei

Ma

se gli di

non

si

curano degli uo-

mini, a che giova il pregarli, a che giova onorarne ed adorarne le immagini'? Ed ecco

un' altra fase di quest' acre battaglia combattuta in Eoma contro la religione popolare
;

la lotta

contro

il

Pur questa lotta aveva avuto

culto delle immagini. in Grecia cam-

pioni gagliardi; ed era stata collegata alla critica sul concetto antropomorfico degli
di, critica

che nel verso di Senofane

si le-

38
A^ava a vivace
tale lotta si

DI E DIAVOLI

.2.

rampogna. ^e i^romuovere trovavano di accordo con gli


i

epicurei pure

fautori di

avversarie tendel detto di

denze, gii stoici,

memori

uno

sdegnoso solitario
rij)etevano,. i^er

filosofo,

dal
l'

quale essi
eredit del

pi ragioni,

Si purificano, maccliiandosi di sangue, come se alcuno bruttato di fango volesse lavarsi nel fango.... E fanno pre-

pensiero:

ghiere a questi simulacri degli di, come se alcuno ]3otesse discorrere con le muraglie
delle sue case
.

(Eraclito,

framm. 5 in Biels,

Fragmtnte der Yorsocratilver, Berlin, 1903, p. 67). Molto simili a questo, per V intonazione generale e per un senso non celato di i)iet e di disprezzo, sono alcuni passi di
poeti latini. Lucilio clie agitava la sua sferza in mezzo al Foro, non si inerito i3unto di toccare in una delle sue satire pure una delle

Vie

memorie pi venerate dai Eomani, quella del fondatore stesso dei loro ordini religiosi,
Il^uma Pompilio. Egli rappresenta con disdegno quella turba di devoti, che trema dinanzi

immagini paurose e alle Lamie istituite a Eoma dai Fauni e dai Numa Pompilii:
alle

come

fanciulletti, egli
le

che tutte

aggiunge, credono statue di bronzo abbiano vita e


i

sieno uomini, cos costoro stimano realt

DI E DIAYOLI .2.3.

39

loro sogni, credono che sia

un'anima in quelle

immagini
'Ne

meno

(presso Lattanzio, Inst. I, 22, 13). vivace la dipintura che fa il

grande Lucrezio di questi fanatici adoratori ]^on fa punto opera di piet (v, 1198-1202): il sacerdote, che, col capo coperto, si volge verso una statua di pietra, mentre tutti si appressano alle are, non piet che egli s'inchini prostrato al suolo, e tenda le palme
avanti ai temigli degli di e sparga le are di copioso sangue e aggiunga voti a voti .

Vedremo

poi in seguito quanto nelP ei)oca imi)eriale continuasse tenace e persistente quest'opera di demolizione contro i sagrifzii
agli di e
1'

adorazione delle immagini.

3.

Se nei generi
le

di letteratura pi

popoci

lari, quali la poesia

drammatica e

la satirica,

erano cos vivaci

tendenze scettiche,

vuol dire che quelle libere voci di dileggio alle divinit trovavano un'eco nella coscienza

comune, alla quale la rinnovata cultura aveva da principio impresso quel moto e da cui veniva ora a sua volta novello impulso. I frutti maturarono ben presto. Eoma divenne pro-

fondamente

scettica,

40

DI E DIAVOLI

.3.

Quando
che
lo

le classi

dirigenti

si

accorsero

coscienze, corsero ai ripari. L'opera di restaurazione religiosa, che suole comunemente essere attribuita

scetticismo

invadeva

le

ad Augusto, aveva avuto

fino dai

tempi della repubblica validi propugnatori. Erano dotti, che cercavano di ravvivare gli
antichi culti pev mire
e

considerazioni di

ordine politico, non i^er sentimento. Gli amici appartenenti al circolo di Scipione

Emiliano

aggiravano verisimilmente nelscettiche che troval' orbita di quelle idee vano cos vivace espressione nei versi di
si
;

Lucilio

eppure, essi

si

ispiravano al concetto
loro,

politico che

guidava uno di

Polibio,

quando affermava essere supremo interesse dello Stato difendere il suo culto (VI, 56).

Ed

infatti

Furio compose una raccolta di


jjev
6),

preghiere

le

crob. Ili, 9,

operazioni militari (MaLelio compose una aureola

oratiuncula in difesa della scienza augurale ultimi due (cfr. Wat. JDeor. Ili, 1, 3). liTegii
secoli della

repubblica e nei primi tempi

dell'impero si ebbe tutta opere di antichit sacra.

una

rifioritura di

Fulvio Nobiliore, console nel 565, scrisse Fasti e colloc l'opera sua in aede Hercu(Macr.
I,

is

12,

16);

Elio Stilone tratt

il

DI E DIAVOLI

.3.

41

diritto sacrale

(Yarrone L. L. VII, 2); Aijpio Claudio Fulcro, console nel 700 di Eoma e

0. Claudio Marcello, console nel 704, scrissero libri sulla disciplina augurale, e il secondo

uno scopo
(Cic.

sosteneva che gli auspicii servivano solo ad politico, per il bene dello Stato
Leg. 2, 32); M. console nel .701, compose
ciis-

De

Valerio Messala,

un

liber de aiisi>i-

(Geli. 13, 15, 3) e

una ^xplanatio migu-

riorum (Festo,
Ijrobabilmente
il

161);

Giulio Cesare, che console del 690, compose i

libri augtiraes (Prisciano,


2,

Gramm.

latini K.,

270) e i libri auspiciorum (Macr. 1, 16, 29) di Yeranio, Festo (289) rammenta l' opera
;

sugli auspicii e Macrobio (3, 5, 6; 3, 6, 14 ecc.) quella sul diritto pontificale; Mgidio Figulo,

pretore nel 696, scrisse le opere de dis e de extis. Cos Granio Fiacco illustrava gVindi-

gitamenta (Censorino, de die natali 3, 2), L. Taruzio Firmano, penetrava nei misteri dell'astrologia caldaica (Cic. de Div. 2, 98; Plinio, N. H. Auct. libri 18) Ateio Capitone e An;

tistio

Labeone esponevano

il

diritto pontifi-

cale (Festo, 154 b, 253, 348 ecc.); e a dichiarare il rituale etrusco intendevano le opere
di Cecina (Plinio, N. H. Auct. l. 2), di Giulio Aquila (ivi), di Tarquizio Prisco (ivi), di

Umbricio Melior (ivi),

di Cesio (Arnob. 3, 40).

42

DI E DIAVOLI .3.4.

I^n istar io a rammentare l'attivit portentosa spiegata in tal campo da Terenzio

Yarrone, le cui Antiquitates rerum divinarum erano qnasi un'ampia enciclopedia di antichit religiosa, cos rum di Cicerone fu

come il De Natura Deouna enciclopedia filoesistenza e della

sofica sul i3roblema della

natura divina. E naturalmente, questa attivit si continu nella prima epoca imperiale: baster rammentare i nomi di Yerrio
Fiacco, di Giulio Igino, di Trebazio Testa, di Giulio Modesto, che fu liberto di Igino, e ne calc valorosamente le orme. Tanti no-

ingegni, tanti uomini preclari per virtil, per dottrina, per alta condizione sociale, pabili

revano

quasi

unirsi,

coalizzarsi,

come ad

una

difesa suprema: la difesa dei culti anti-

chi dello Stato, che andavano a poco a jjoco decadendo dalle consuetudini e i)i dalle

coscienze; la difesa di quei culti, nei quali essi ravvisavano il freno alle intemperanze
del i)opolo, la salvezza della patria.

4.

Tutta questa cos fervida attivit


il

ar-

rest

moto
pu

della

filosofa

scettica

La

risposta ci

esser data da Yarrone, che


fii
il

di quella attivit

pii

poderoso rap-

DI E DIAVOLI .4.

43

presentante.

Questi studiosi di

anticliit,

questi raccoglitori pazienti di tutti i riti e le forme del culto, riserbarono per all' attivit ilosofca del loro pensiero la pi

am-

pia libert. Arnobio, un apologista cristiano, ci ba conservato notizia di quel cbe Yar-

rone sentisse sopra

immagini degli

di.

Al

e sopra le principio del libro VII


sagrifzii

dell'opera Adverstis nations, Arnobio si iJresenta il quesito di un suo supposto contraddittore E cbe dunque, dir alcuno, voi
:

non debbano farsi sagrifzii ! E risponde con l' autorit non di un cristiano, ma di un pagano, di Yarrone appunto no.
credete che
:

di

Yarrone riporta pure

le ragioni

gli

di veri

non desiderano

non chiedono

sa-

grifzii, gli

di poi che sono fatti di bronzo, di terra cotta, di gesso o di marmo tanto

ne curano, giacch essi sono privi n si commette colpa col non di senso i sagrifzii, n si acquista grazia fare col * farli . Certo cos audaci idee Yarrone
se
; *

meno

Servio, ad Aen. XI,

787

cMarua Varrone uhique

expiignator religipnis. Cfr. Atigaist.

De

civ^

Dei

III,

Varr falsa haec esse, Nai et vir doctissimus qiiamvis non audacter neqwe fidenter, paene tamen fatetiir. Sed iitilc esse civtaUlms dicit ut se viri fortes, etiamsi falsmn
sit,
(iis

eorum

ijenitos esse

credant

ut co viodo animus huinamis

44
attinse
ai

DI E DIAVOLI

.4.

i)i*iiicipii

della

filosofa

stoica.

Sai)piamo infatti da Tertulliano, Ad natioies II, 2, che Yarrone, appunto come gli
stoici,

diceva

il

fuoco anima del


igns

mondo

itt

lerinde in

omnia gubernet, sicut animus in noMs . IS^ meno importante un'altro x)asso, pur di Varrone, che riguarda il problema delle origini stesse della reli-

mimdo

gione.

Di questo passo
:

ci

riferito

il

con1.

tenuto da Tertulliano,

Ad

nationes II,

Al quesito

ha imi)ortato primamente tra gli uomini gli di, Yarrone rispondeva con una triplice distinzione i filosofi, i pochi
:

poli e

poeti.

L'una
di

specie

di

divinit,

quella importata dai

filosofi,

rappresentava
naturali, dei jjoeti e
;

un adombramento
V altra era dovuta

fenomeni

ai racconti

velut divinae stirpis fiduciam gerens res


2)raesuinat audacius,

magnai

aggrediendai

agat vehementms et ob hoc imjileat ijjsa seouritate felicius . Anclie j)er Varrone dunque la reli-

aveva scopi ed intendimenti ]3olitici. Scettico in egli voleva nel reggimento dello Stato Y osservanza del cnlto ufficiale. Nel raccogliere le antichit sacre egli non ebbe altro obbietto. Ci risulta da Agostino, Civ. Dei TV, 22; il quale cita anche le sue parole
gione
filosofa;
:

Ex

eo (cio dal

conoscere le

speciali

attribuzioni

di

ciascun

quem ctdusque rei eausa deum advocare atque invocare deheamus, ne faciamus ut mimi solent, et optemus a Libero aqtiam, a Lymphis vinum .
'

dio) enim jjoterimus scire

DI E DIAVOLI .4.

45
di

v'

ei'Ji

iuliue

ima

terza

specie

divinit,
"^

che ciascun popolo adottava per conto suo. Di tale distinzione troviamo gi tracciate le
linee in Q.

Mucio Scevola, come sopra ab-

biam
sti

detto.

un

ancor debole conato per la


;

spiegazione del fenomeno religioso

ma

que-

pensosi

flosofl vi

e giungeranno, come vedremo, ben pi alti e severi. Ad ogni

intendono con pertinacia a risultati

modo
di

quel

che vi ha di pi vitale ed anche

pi

vivace, in questa critica religiosa, la polemica contro il concetto antropomorfico degli di e contro
1'

adorazione alle loro im-

magini.
in

un

pensiero che acquista di mano


delle

mano

vigore col ringagliardirsi

tendenze stoiche, sicch vediamo nel primo secolo dell' impero Seneca prorompere in forti affermazioni, che suonano quasi invettiva e
il

rampogna

ISTon

due

volte,

secondo

motto volgare,

egli dice (presso Lattanzio,

Institut. (Uv. II, 4)

noi siamo fanciulli,

ma

s Di questa triplice ripartizione di Varrone discorre a lungo Agostino, Civ. Dei, VI, 5 e 6. Agostino cos ob Dgs quijppe fbtilosos [se. bietta a Varrone (ivi, 6)
:

deos] ciGcomodatos esse ad theatrum, naUcrales ad mndum, civiles ad rirljem, cum mtmdiis opus sit divinum, uries ve'o
et

theatra opera

sint Jiominum

nec alii
templis,

Mi rideantur

in

iheatris,

exhiheatis

quam quam

qui adorantur in

nec alis ludos

quidiis victimas immolaiis .

46
semxu'c.

DI E DIAVOLI .4.

hi ilil'creuzti tra

faiiciulJi a

noi

questa, die i nostri ginoclii sono maggiori dei loro. Perci appunto gii uomini danno

unguenti, incensi ed aromi a queste grandi pupattole da giuoco, sagrificano pingui ed

opime vittime ad
bocca,

esse,

clie

hanno bens

senza uso di denti, ed apportano pepli ed indumenti preziosi, mentre

ma

ad esse non

necessario alcun vestimento,

e consacrano oro e argento, che non hanno chi li riceva come coloro che li donarono

non hanno
efficace

ehi da loro

li

accetti.

IN'

meno

rapi^resentazione di questi fervidi veneratori degli di poneva Seneca in altro


"

i^asso
stit.

gli

pur conservatoci da Lattanzio {In Venerano i simulacri dedi, supx^licano ad essi in ginocchio, li
div. II, 2)
:

adorano, un giorno intero li pregano seduti o in piedi, ad essi gettaur) la stipe votiva,

sgozzano le vittime e, pur tenendo in s alto conto quei simulacri, guardano ^ ]30 con disprezzo gli artefici che li fecero .

ad

essi

*^

Altri

passi

veementi di Seneca vedi presso AgoSi noti questo: Sacros, inmorin materia vilissima atque

stino,

Civ. Bei, VI, 10.

tales , inviolanles

inmoMli dedi-

cavi,

iartus illis

vero

mixto

liominum ferarumque et piscium, qiidam sexu diversis corporims indimnt: mimina vospiritu accento,

cant quae, si,


liaherentur .

siMto occurrerent,

monstra
x^^ssi

Agostino cita questo ed altri simili

da

DI E DIiiVOLI .4.

47
e
allo

in

mezzo

al

guizzo

dolP irouiti

scatto della rami)ogna s' insiniia di tanto in tanto in questi pensosi scrittori il desi-

derio di
di

una pi

alta concezione religiosa,

nna pi pnra adorazione divina. Glia Yergilio {Aen. I, 11), quando si trova a menzionare gli sdegni e le vendette di Giunone,

ferma di un tratto, come colto da un dubbio angoscioso albergano dunque s grandi ire negli animi celesti ? tantaene
si
:

animis caelestibus iraef

piu^e

Lucrezio

aveva deplorato cbe nature cos iraconde


si

attribuissero agli di (V, 1194-5)


infelix

getrir-

nus
l)tdt

liumamim,

taia

divis

Ciim

un

facta atqiie iras adiunxit acerbas ! pensiero che ritorner poi frequente
^

negli ajjologisti cristiani.

E, pur quanto al

un' opera Cantra superstitiones, che citata piire da Tertulliano, Apol. 12. Seneca non fa per sempre coerente nei

V. la
'^

suoi pensieri circa bella trattazione


11, p. 65-89.

maggiori problemi
del
Boissier,

religiosi.

La

reliffion

ro-

iaine,

antiebissima gi nel paganesimo la rampogTia

maniera antropomorfica di rappresentare gli i vizii e le debolezze umane. Sono noti i bei versi di Senofane da Colofone (Bergk-Hiller'*^, 16)
contro la
di con tutti
:

llvxa eola' vs^YjUav "Ou.f\poc, f)' "^Hatooc: ts, oaaa itap' vtptKO'.a'.v viosa "/.al ^^'[oc, lotiv,
TtXsrtxeiv }J.ot)(su'.v Ts y.aX t^XeIgt'
y.al

XX-qXoo^

itatsc'.v,

scpfiY^avxo

BsJv ^ejiiaTCa spY^.

48
culto
e
all'

DI E DIAVOLI .4.

divma, and man mano afforzandosi il pensiero che l' adorazione semplice e pura della divinit meadortizouc
glio valesse che
i

grandiosi sagrifizii e le

fastose offerte.
nati,

sdegnati PeOrazio richiedeva non vittime sungli

calmare

tuose,

ma

sol

che una
il

mano

innocente

spargesse sulP ara

pio farro e

una mica

di sale crepitante (Cam.

Ili, 23, 17 sgg.).

E Persio dimandava: Ohe cosa giova Poro agli di !.. perch piuttosto non offrire quel che dalla sua gran mensa non potrebbe offrire la

perversa prole del gran Messala, la

giustizia e la piet dell'animo, e impeccabili i pensieri pi riposti e il cuore caldo

di generosa onest

tutto ci, perch io il rechi ai templi e liter anch'io col farro (Sat. II in fine). Il poeta stoico pone
f

Dammi

qui la cerimonia come una pura formalit, cui a malincuore si rassegna, quando per

accompagnata da tutto un sagrifzio spirituale di bont, di umanit e di giustizia. I^ altrimenti Seneca avvertiva (pr. Lattanzio VI, 25, 3) non con le immolazioni e col
sia

copioso sangue doversi onorare Dio, bens con la purezza della mente, con l'onest e
la

bont dei propositi.

I templi in onor di

Dio, egli aggiunge,

non son da

costruire con

DI E DIAVOLI

.4.

49
:

l'

ammassare

sassi sopra

sassi

ciascuno in

* cuor suo deve consacrargli un tempio . Questa tendenza a spiritualizzare sem-

pre pi il culto e il concetto religioso ebbe la sua influenza pure per la questione riguardante la natura stessa della divinit.

Su

questione V opera De natura deoriim di Cicerone aveva richiamato l'attenzione


tal

dei
leio

Eomani.
espone

'Nel
le

primo

libro
i

l'

epicureo Yel-

pensieri degli antichi filosofi greci sulla natura degli di: dubbii, perplessit, affermazioni recise, misteriose profonde escogitazioni, stranezze e
delirii, si

opinioni e

alternano, si susseguono in quella storia degli antichi sforzi dell'umano intelletto intorno all'affannoso

problema.

Queir ampia esposizione, la quale anche molto dopo serv come fonte agli apologisti cristiani (cfr. ad es. Octavms, cap. 19, Lattanzio, Inst. I, 5), eccit le

speculazioni dei Eo-

mani, potentemente promosse dalla grande

Imiter

{Ojyera I, p. candtis est

il x)asso Cipriano, Quocl idola dii non sint 19 sgg. Hartel), cap. 9: in nostra dedimente [<?etts], in nostro Gonservandiis est pectore
. :

Cfr. Ariioi)io, Adi\ nat^ IV, 30 cultus verus in peetore CHi atque opinatio de dis duina, nec quicquam prodesi inlatio saufiulis
,0.

et

cvuoris ,
4

Pascal.

50

DI E DIA.YOLI

.4.

diftusioue e dal gran

favore

eli e

ebbe in

Eoma

la llosotia stoica.

Gi molto prima dell'epoca imi^eriale nel seno tesso del i)aganesimo aveva messo qualche germoglio F idea monoteistica. Gli apologisti della

nuova fede non

s'

ingannarono,

quando pagana alcuni barlumi

attribuirono alla

pi remota scienza

di quella idea.

Lattanzio nelle sue Istituzioni divine (1, 5) studiosamente cerca tra gii antichi filosofi e
poeti afiermazioni ed accenni al concetto del Dio unico e supremo. Egli cita il Dio izrjoT-(ovo?

dei carmi orfici ed alcuni versi di Yer-

gilio {Aen.
clie egli

YI, 724 sgg. Georg. IV, 221

sgg.),
;

cerca trarre alla interpretazione sua e i)assando ai filosofi e prendendo le notizie


da] libro I

De natura ileorum
con

di Cicerone, esa-

mina i varii concetti della


tificata via via

divinit unica, iden-

la natura,

con

l'etere,

con

con la mente, con la necessit, con la legge, per conchiudere infine comunque essa si concepisca, essa apx)unto quel che
la ragione,
:

noi chiamiamo
perfino
alle

Dio.

Ed Arnobio
degli

ricorre

arti

occulte

orientali,

per conchiudere che pure per mezzo di esse gli antichi popoli avevano ravvisato e conosciuto
1
il

Dio

A^ero

ed unico {Adv. nat.

\^

23).

DI E DIAVOLI .4.

51

Ohe
fi

tal

divinit

unica non fosse solo

concepita
ca,
lit

come una mera astrazione filosoma altres qualche volta come jjersonadivina, ci mostra un altro passo di Lat-

tanzio (Inst. div. I, 7). Apijrendiamo da esso come in un dialogo di Cicerone V interlocutore Ortensio presentava questa obbiezione:
se

Dio

unico,
1

come pu

essere felice nella

solitudine sua

Lattanzio risponde che Dio

unico, ma non solo, poich pagnia dei suoi angeli.

ha

la

com-

Questa credenza sulla unicit di Dio fu in Eoma una conseguenza delle dottrine stoiche ed assunse quindi una forma panteistica, coerentemente a tali dottrine. Verso i tempi di Sulla il poeta Q. Valerio Sorano cos invocava il sommo Giove (pr. Agostino,

De

civ.

I)ei,YlI, 9):
omuixjotens,

Ixi^jiter

rerum rex

ipse deusque

Progenitor geniti'ixque, Detim Deus, imiis et omue.

al

facile riconoscere qui un' eco della in-

tonazione solenne che lo stoico Oleante d

suo inno a Giove

tura
te,

IsTulla sulla terra al di fuori

principio della nadi

ne nel cerchio immenso dell' etere divmo, n sul mare! ]S improbabile che
allo stesso Valei'io

Sorano

sieiio

da attribuire

52
altri versi

DI E DIAVOLI

.4.

Aen. IV,

trovano presso Servio {ad nei quali Giove stesso si ri638), volge agii di e cos dice loro
che
si
:

Cat'licolcie, luca meiulbra, dei,

qnos nostra potcstas

Officiis divisa facit.

In

tal

concezione della divinit Giove


l'

veramente, secondo
(pr.

espressione di Yarrone

Agost.

De

civ.

Dei,

VII,

6)

del

mondo,

clie lo

governa
;

col

l' anima movimento

e con la ragione gli altri di sono emanazioni di queir anima divina, ministri del suo volere, ed egli ne accoglie in s le varie nature,

die in lui

si

ricompongono nella

unit divina.
Ootal dottrina stoica fece sentire la sua
iufluenza pur nel modo onde i teologi trattarono un' altra concezione popolare, quella

Questi spiriti misteriosi, intermedii tra la natura umana e la divina, e

dei Genii.

immaginati dal popolo or come mortali or come eterni, rappresentavano quasi la natura intellettuale dell' uomo, ed erano come
legati

perennemente a

lui,

anima

di

lui,

protettori e custodi della sua vita mortale.

La

credenza nella immortalit

dell' anima

port

naturalmente a quella della sopravvivenza del Genio, pur dopo la morte dell'uomo:

DI E DIAVOLI .4.

53

indi

vediamo
L. Y,

Geni essere api}aiati ai

Mani

(C. I.

24(5

manihus

et genio),

e nella fe-

sta in onore dei

j)ortate al di grano, di viole e di sale (Ovidio Fast. II,

Mani, nei FarentaUa, essere Genius le pie offerte di corone e


L' antropomorfismo
fece

533

segg'.).
i

attri-

genii pure agli di. E cos tutta la terra e tutto il cielo era popolato di questi

buire

si3ritL

misteriosi,

della

immensa
i

quasi infinite particelle anima divina del mondo. Eu

questa appunto la interpretazione che ne


trassero

teologi stoici.

Yi doveva

essere

unico, anima dell' universo, datore infaticato di vita tutti gii altri genii, tutte

un genio
le altre

anime non erano se non emanazione di queir anima divina, di quel genio universale. Deus est, diceva Varrone (pr. Agostino, Civ. Dei,

VII, 13) qui praejmsitus


gicjnendaruni

est
.

vim

liabet

omnium rerum

ac

Cos pur da questa parte si giungeva alla afiermazione della unicit di Dio, e cio
della unit della natura divina sul
I!^el

mondo.
il

primo secolo dell'impero

Plinio

vecchio, attesta esser comune ai suoi tempi la discussione sulla natura di Dio {Hist.

Nat. II, 5 in f.), ed appunto per questo egli crede necessario interrompere bruscamente
la esposizione sua,

per fare una breve disser-

54

DI E DIAVOLI .4.

tazioue su kilc probleiuii. Questa dissertczione ijer noi di grande importanza, come
indice del punto cui la speculazione filosofica era giunta, nella determinazione del

concetto religioso. Plinio comincia dalF asserire essere stoltezza il voler determinare la

forma e V effigie di Dio. Qualunque sia questo Dio e dovunque esso sia, esso dev' essere tutto senso, tutta vista, tutto udito, tutto anima, tutto spirito, principio e ter-

mine a

s stesso.

Maggiore

stoltezza

di-

chiara Plinio^ il credere a innumerevoli di, o formare gli di dalle virt e dai vizii degli

uomini, come la Pudicizia, la Concordia, la

Mente,
la

la Speranza, l'Onore,

la

Clemenza,

Fede, o

di

come pens Democrito (?) due soltanto, la Pena e il Benefzio. L'umar


cotali

nit debole e travagliata ricorse a


espedienti,

memore

della propria

manchevo-

lezza, affinch ciascuno potesse

partitamente

adorare quello di cui pi avesse difetto. Poco appresso passa Plinio a notare l'assurdit di
un' altra concezione della religione popolare, quella cio che si facciano matrimoni tra gii
spazio di tempo ninno nasca, e che alcuni di sieno semj)re vecchi e canuti, altri sempre giovani o fanciulli, ecc.

di e che in s

immenso

Ma

che cosa sono dunque questi

DI E DIAVOLI .4.

55

nomi
detti,
altri

di diviiiifc? Alcuui, conio quelli .sopra

sono nomi di virt o di

vizii

umani;
dalla

come Giove e Mercurio, sono nati

interpretazione di fenomeni naturali. Plinio

passa poi a discorrere di quelli che adorano la Fortuna o di quelli clie adorano il proprio astro e conchiude
recisa del concetto

con l'affermazione

monoteistico e panteistico. Dio per lui la natura, universale e infinita e a quest'arcana divinit, alla in;

vestigazione della quale lia dedicato la poderosa opera sua, si volge il suo saluto finale

(XXXVII,

^ 205)

Salve^ lyarens

rerum omsolis ce-

nium Natura,

teque nobis Quiritium

lbratam esse numeris omniMis tuis fare . E la Natura la Divinit unica pure per Se-

neca (De Benef. lY, 8 Quaest. nat. II, 45). Isella prima parte d questa dissertazione
;

pliniana sul concetto di Dio, abbiamo, come in breve riassunto, le ragioni che piti tardi

largamente spiegheranno
stiani, quali

gli

scrittori

cri-

Arnobio, Cipriano, Firmico Mapoi, pii tardi,

terno, sulle varie divinit pagane.

Quando
prevalere in

cominciarono a

dottrine neoplatoniche, la concezione filosofica della divinit non fu guari diversa anche allora, come vedrele
;

Eoma

mo,

si

credette all'unico dio, che pervadeva

5G

DI E DIAVOLI .4.5.

l'universo, ed cnianaA^a da so altre u ture diviue, gli di miuori ed i demoui, messag-

geri e uiiuistri del divino volere; ma. quel Dio, quel Dio unico e solitario, che tutto
spirito (Apuleio, de dogm. Fat.
I,

11),

pu

esser
il

istante

compreso dal volgo; sol saggio, con supremo sfrzo

non per un
d' in-

telligenza, pu elevarsi a comprenderlo, come guizzo di folgore che solca le nuvole oscure

(Apuleio

De

deo Socr.,

3).

coscienza scientifica degli antichi rimase paga solo ai sorrisi d' indifferenza o
5.

La

di scetticismo e alle critiche demolitrici, opX)ure volle penetrare pi

addentro nel prole linee

blema, e quasi abbozzar

di questa

storia delle credenze, e scrutare la prima origine delle varie figure divine ? Quegli

ardimentosi che negavano fede alle molteplici nature divine, qual concetto si
spiriti

facevano di esse in generale e dei singoli


miti in j)articolare, come spiegavano l'insinuarsi di questi nomi e di queste credenze
nelle coscienze

umane ?
problema
;

I^oi

non mtendiamo
remota
ra-

proseguire tal

sin dalla

diosa antichit greca e si comprende del resto come tutte quelle idee che noi vediamo

DI E DIAVOLI .5.

57

ricomparire iu

varia guisa esplicate ed illustrate, nell'ultima epoca repubblicana e nei primi secoli dell' et imperiale,

Eoma,

iii

non sieno che


cbe
nire.
il il

riflessi

e derivazioni delle idee

genio greco aveva lasciato all' avveNostro intento solo di ricercare qual'

spiegazione che degli di aveva cercato di avvalorare la scienza pagana, e che essa ancor vigorosamente propugnava, quando si trov di fronte alle criconcetto e la
tiche incessanti degli apologisti cristiani. Tali notizie noi non possiamo desumere
se

non

dalle opere stesse che cercavano di

infirmare

confutare

le

risultanze

della

pur tra mezzo allo sfogdi argomentazioni, agli artifzii polemici, gio
scienza pagana;
alle

ma

volute reticenze, potr rifulgere per noi

qualche raggio di quella luce.


spiegazione degli di generalmente accettata dagli apologisti cristiani quella
evemeristica,
condizioni e

La

che toglieva agii di il prestigio e la maest celeste e li riduceva alle


al

livello

umano.

Clemente

Alessandrino, (Frotrept.
^

2, 24) cita gli scrit-

i precedenti dell' evemerismo nella Grecia sopra gli scrittori che tentarono una interpretazione razionalistica dei miti, vedi F. Wippreclit, EntuncT'

Soj)ra

e cio

lung der rationalistisclien Mytliendeutung, Tnbingen, 1902.

5R
tori clje

-Dk E DIAVOLI

.5.

avevano
:

i)roiJugiiato e seguito tale


,

Nicnore Teodoro di Cirene. Arnobio Ciprio, Diagora, {Adversus nationes, IV, 29) ha questi medesimi nomi ed aggiunge quello di Pello Leonte. Con l'autorit e con la scorta di tali sapienti, i quali, a suo dire, ogni pi minuziosa cura avevano posto nel ricercare e portare a luce quella ignorata istoria, Arnobio I)rotesta di poter narrare i fatti di Giove e le guerre di Minerva e di Diana, e le avventure di Libero, e il genere di vita di Veistenia

Evemero Agrigeutiuo

nere, e il matrimonio della Magna Matr, e le origini di Serapide egizio e di Iside e dei nomi tutti degli di. N meno incline

ad accettare tale spiegazione degli antichi di si mostrano Firmico Materno, De errore


profan.
relig.,
7,

ad Pentadmm, pit. 8-22. In Lattanzio, troviamo anzi una

nella Epitome 11-14 e in Inst. div., I, ca-

e Lattanzio

larga applicazione di tal sistema di interI^retazione dei miti.

Egli discorre di Giove convertitosi in pioggia d' oro per l' amore di Danae e dei miti
rapito dall' aquila, di Europa trasportata dal toro, di Io trasformata in mucca. Che cosa la pioggia d'oro? dodi

Ganimede

manda

Lattanzio.

Le monete

di oro^ con le

DI E IHAVOTJ

.5.

59

quali Giove corruppe il debole auijiio feuiminile. Olie cosa l'aquila rapitrice di Ganimede? L'insegna di una legione che rap
il

fanciullo.

Ohe

significa

toro,

che,

se-

condo

la favola trasport

Europa! La nave

che aveva per insegna quell' effigie. E la mucca in cui si trasform Io per fuggire
recante quella ^^ immagine, e sulla quale essa cerc rifugio. Di fronte a queste ingenue spiegazioni
l'ira di
?

Giunone

La nave

accettate e propugnate dagli apologisti, troviamo un altro sistema d'interpretazione dei


Secondo Teodoreto, (G-raecamm affectionum curani, in Migne, Patrol. gr. voi. 83, j). 869 sgg.) quattro sono le fonti della BsoTCoda prima V adora:

^^

tio

zione del sole, della Itina, ecc., e in genere di tntti gli elementi naturali ; seconda fonte 1' adorazione degli
Tiomini dopo la morte, e ventori delle arti, come
altres degli

non

solo dei valorosi o

degF in-

Ercole, Escxdapio, Bacco,

ma

nomini e delle donne corrotte, come Ganimede, Venere, Elena e i Romani, dice 1' a., adorarono i loro imperatori, perfino Nerone, Domiziano e Commodo. Dipoi la &soKo'.la pu procedere da nna terza
:

fonte e cio dalle parole dei vati antichi, giaccli questi si annunziarono figliuoli degli di e dicliiararono di

conoscere lene i loro padri. Y' infine un quarto genere di deificazione, pieno di estrema insania e pazzia
(i\i.^povx'qoirj.c,

ual

Ko.pa-!zkri,iac, o)(TTj; jj.ecTv),

quello per

uomini credono divinit le passioni e le attivit dell' anima cos Eros ed Afrodite rappresentano il desiderio amoroso, Ares la passione gaierresca, ecc.
il

qtiale gli

60
miti, (la essi

DI E DIAVOLI .5.

costau temente avversato.

Ma

sistema clie poggia beu pi alto quanto a valore scientifico, sicch questi remoti pensatori

sembrano avere antiveduto


infatti l'indagine

risultati

cui sol pervenne la scienza dell'et nostra.

Tutta
alla

mitologica intorno
si

quale gloriosamente

affatic

il

secolo
della

test decorso, coi sussidii amplissimi

glottologia e delle religioni comparate, ebbe a fondamento una concezione del mito che,

nei risultamenti

suoi, spesso
gli antichi

non fu

lon-

tana da quella che


fsica e

chiamarono
linguag-

naturale.

I^el

primitivo
ariani,

gio

di ciascuno dei popoli

mancasignifi-

vano necessariamente astrazioni o

cazioni accessorie, ogni parola era la rappresentazione di un fatto o di un fenomeno.

fenomeni parole significanti naturali perdettero la loro primitiva significazione, divennero nomi di persone divine
poco a poco
le
i

immagini, rappresent come fatti della vita giornaliera i fatti della natura nella molteplicit dei
suoi fenomeni, e ravviv con questa immensa concezione ed elaborazione dello spirito tutti
gii spazii e tutte le cose.
to ^^
li

e la fantasia

umana

color quelle

Cfr. O. Seeck, Die


Jalirl) f.

BMung
Alteri.

cler

(jriechsGhen

Bel-

(jon

(N.

d.

Mass.

1899, p. 225 segg.),

DI E DIAVOLI

.5.

61

prima di essere il dio del eielo, come Cerere fu il grano prima di essere la dea del grano; e il linguaggio popolare conserv qualche documento di queil

Giove fu

cielo

sta loro primitiva significazione:


la fantasia
teria,

^^

ma quando

popolare elabor questa rude ma-

e ra\^viv e personific il cielo ed il grano, i fenomeni dell'uno e dell'altro fu-

queste persone divine. L'indagine mitica cerca duiique svolgere dall'involucro mitico l'osservazione diretta della natura
scosta,
clie vi

rono concepiti quali

fatti nella vita di

na-

cerca quasi riprodurre, avvalendosi dei' risultati etimologici e del tessuto di


tutta la favola,
specie nella comparazione con gii altri popoli, quel mondo lontano di
234

p.

Im

der

Mythus nicM Glechnis oder


WirlcUcMeit .
^^

Sinne seiner JErfinder und ihrer Glmibigen ist Allegorie, sondern tiatsacJi-

lielie

Si notino le espressioni
(' il

quali

sttb

Jove frigido,

Vestam

focolare

Genium smim masero neir uso popolare

vino perfundere, e Lare egredi, defraudare. Queste e siffatte espressioni ri')


;

e la

commedia, che del

lin-

conserv insigni guaggio popolare cfr. Nevio, C'om. fr. 121 Eibesem]3lari di tal genere beck cocus edit Nejhmum, Cererem et Venerem exptrtam Vocanom, Liherumqwe ohsorhuit ]ariter (= pisces,
specchio
;

fedele,

'^

lnnem, holera igni cacto , vinum). Cos pure per

nomi

di

divinit greche

cfr.

Reichenberger, Die Eniwicdung des

metonymiseJien Gehraiielis von Gotternamen, Karlsrnhe, 1891..

62

DI E DIAVOLI

.5.

fantasia e di sentimento, che


rivestire di s si)lendide

popolo forme e di
il

sepije
s

visi

vaci colori.

Ed anche

gli

antichi

dotti

affannavano ad investigare quel mondo. Certamente nei singoli i)articolari erano il liii
delle volte le loro spiegazioni caduche o fal da notare come essi non aveslaci;

ma

sero a loro disposizione n i risultati linguistici oggi ottenuti ne le indagini comi^arative

con
i

mitologie orientali e specialmente con miti indiani, il cui significato spesso di


le

cos intuitiva- evidenza.

ogni modo, pure a prescindere dal fatto che qualche volta quelle spiegazioni si trovavano su quella
vero o la maggiore approssimazione al vero, degna di considerazione la concezione generale del fenostessa via, su cui era
il

Ad

meno

mitico, quale
'l

adombramento

della vita

della natura

Di

tale spiegazione per gii

Questa interpretazione fisica dei miti era stata svilux^pata da Metrodoro in un' opera sopra Omero. Cfr. Tatiani Adversiis Crvaecos, 21, in Migne, Patrol. gr.
VI,
j).

^3

853

Kal

M-rjtpoojpoi; oe' Aajj/^axYjvi; v t) respl

'^Ofj.Tjpoo

K'.av

s'f]f)oDq

oisiXsHxac,

TcavTW

sq

irXk'(Y(opiav

[j,5TY>v.

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oi

Y^-P

"Hpav

oote 'AQfjvav ouxs Aia toot' slvai


y.al xsi.v'q

cp'qatv OTtsp

zo^ izzpi&Xouc, axolq


'

v.abiop~
aToix.siv

cayts?

vojjLiCouo!,

wotuc,

oh

oKOGzaGB'.q

v,a\

Metrodoro Prima di lui Anassagora,


rjiav.oo^/r^ozic.

di

Lampsaco era
Teagene,

scolare

di

auclie

fiorito

iiella

DI E DIAVOLI .5.

63
rigorosa-

anticlii

uon avevano un concetto


scientifico
i
:

mente

essi interpretavano

come

racconti mitici, quasich gii uomini avessero voluto deliberatamente naallegorie

scondere la significazione dei fenomeni naturali sotto


i

nomi

divini; essi

quindi
mito.

il

concetto della formazione


nei risultati le loro

non avevano di un
spiegazioni
di

Ma

oggi. Osiride era interpretato qua! simbolo dei semi terrestri, Iside come la terra. Tifone

sembrano spesso precorrere quelle

come

il

calore

e
si

poich

le

messi matusi

rate dal calore

colgono

separano

dalla terra, e poi di

nuovo all'approssimarsi

ripongono quali semi nella terra, si interpretava essere questa la morte di Osiride, deporre cio i semi nella terra, e il suo ritrovamento essere il nuovo nascimento delle biade alimentate dal cadell'inverno
si
,

lore terrestre (presso Firmico Materno, De errore ^rofan. relig., 6). Attis era interpretato qual personificazione delle biade (ivi,
3,
<

2);

una concezione questa die

si

avvi-

a. C. si era messo su questa vedevano nei miti allegorie non fisiche, ma morali. V. Wipprecht, Ztir EulwlcMuuf/ (lev raUonalsii-

seconda met del sesto secolo

via. Altri

scheu M'i/iheufeuiui(jf Tubiugeu, 1902, p. 9 seg.

64

DI E DIAVOLI .5.

Cina molto a quella della moderna mitologia comparata, la quale nei casi del giovanetto

moriva anzi tempo e perpetuamente rinasceva, vede appunto rappresenAttis, che

tato

il

nascere e

il

morire della vegetazione.

Cos questi anticlii mitologi avevano ravvisato nel mito di Libero un mito solare, e in
quello di Proserpina

un mito lunare

(ivi, 7,

7), interj)retato Giove or come il sole .or come l'etere e Giunone come l'aria (presso Arnobio, III, 30) negli amori di Giove per la madre sua avevano visto raffigurato la
;

pioggia che scende nel grembo della terra,


e in quello di Giove per la figlia la pioggia
clie

feconda

Y,

32).

semi terrestri (presso Arnobio, Proseri;)ina rapita all' Orco raffigurava


i

per essi
(presso

seme fecondo occultato nelle glebe Arnobio, ivi); n altrimenti i moderni


il

veggono in quel mito rappresentata la vegetazione, che si cela nel grembo della terra al
per ricomparire lieta al ritorno della primavera, cos come Prodell' autunno,

cominciar

serpina ritornava ad abbracciar la madre. E in Arnobio stesso troviamo rammentato


del mito di

Attis anche

un'altra

si)iega-

zione: quella che vi vedeva rai)presentato


il

sole (V, 42)

la

moderna mitologia comin

parata pur trova

questa complessa figura

DI E DIAVOLI 5.6.

65

mitica un aspetto che lo avvicina ad un eroe solare quello del combattimento col
:

cinghiale,

immagine

del fulmine

aspetto
al ger-

comune ad
manico

altre figure mitiche,

come

Sigfrido, al celtico

Diarmaid, agli
^NTon ci

ellenici Herakles,

Meleagros, Adon.

Questi antichi indagatori furono spesso traviati dalle strane etimologie che erano accreditate e quanto

dilunghiamo in

altri esempii.

la

smania del vacuo etimologizzare abbia


il

spesso celato
si

significato verace

dei miti,

scorge da molteplici esempii di Yarrone. Ad ogni modo, pur tra mezzo a incongruenze
e stranezze, erano intuizioni felici e ricostruzioni geniali e la significazione attribuita al fenomeno mitico era tale, qual fa meraviglia
:

ritrovare in persone sprovviste di tutti i sussidii della comparazione, che hanno rivelato
ai nostri giorni cos reconditi veri.

6.

Ma

quali erano le confutazioni che gli

apologisti facevano alla spiegazione fsica dei miti ? Oi rimangono in quasi tutte le
loro opere

e poich le ragioni da essi addotte sono di una grande uniformit, ci ba;

ster accennarne qualcuna. Tertulliano, Ad nat. II, 4, per provare che gli di non posC. Pascal.

66

DI E DIAVOLI

.6.

sono identificarsi con


ic

gli elementi, cos dice:

se gii elementi sono palesi e visibili a tutti, e se per contro Iddio inaccessibile

a cbiunque, quomodo poteris ex ea parte qiiam

non

vdisti,

cum

ergo non

quaevides confjredif^ soggiunge: luibes coniungere sensu neque


?

ratione, quid vocabnlo coniiingis ut coniungas

etiam potestate

Pi innanzi Tertulliano fa
Saturno,

qualche apx)licazione particolare.

egli dice {Ad nat. II, 12) interpretato come allegoria del tempo; gli si ascrivono a genitori il cielo e la terra, perch anch' essi

esistenti fin dall' eternit

lo si

rappresenta
tron-

falcato, ]3erch tutto vien dal

tempo

cato

divoratore dei figli, perch tutto ci che esso produce di nuovo consuma. E si
;

apporta qual prova il nome istesso Kpvog equivalente a Xpvoc. Ma a tali spiegazioni
:

Tertulliano oppone o era Saturno o era il tempo. Se era il tempo, come mai poteva es:

sere Saturno, e se era Saturno, come mai poteva essere il tempo? N"on molto superiori

genere di ragionamenti sono quelli di Firmico Materno. ISV opera destinata a


siffatto

confutare le religioni dei gentili, pi volte egli si trova alle prese con le spiegazioni

che dei varii miti avevano escogitato


sofi del

i filo-

paganesimo.

proposito della in-

DI E DIAVOLI

.6.

67

terpretazione del mito di Iside ed Osiride come simbolo della fecondazione e vegetazione terrestre, egli osserva (De errore proreligiorum, 6): ma che bisogno e' di fngere adulterii e incesti? Questa pretesa ragione fisica potrebbe bene celarsi in

fanarmn

perch si sarebbe dovuto celare quello che noto a tutti? E del mito di Attis interpretato come rappresentaaltro

modo.

Ma

zione della produzione terrestre e dei lavori


di mietitura, cos giudica Firmico
(3,

4):

ma

l'agricoltore gi conosce
la terra,

quando deve
affidare ai

rimuovere
solchi
il

quando deve
;

frumento,
la

ecc.

in ci secondo
ratio,

V aunella

tore consiste

pliysica

non

pena e nella morte


si

di Attis.

Pi innanzi

trova la discussione

sopra altra inter-

pretazione naturalistica, quella del mito di Liber e Proserpina, spiegati l'uno come
Sole, l'altro

zione

l'

come Luna. A autore oppone una


(7,
il

tale interpretaserie

di

argo-

menti di questo genere


vide fanciullo
lo divise? chi

che 7): Sole? chi lo ingann? chi


le

Ma chi fu

mangi

membra sue?

chi

rap la

Luna?

chi la nascose? chi la fece

consorte di Plutone ?

Dopo tutto

ci, pos-

siamo dispensarci dal riportare il discorso che egli pone in bocca allo stesso Sole, fa-

68

DI E DIAVOLI

.6.

cendogli ingeBuamente confutare le si)iegazioni di questi studiosi del mito. Larga

messe di

siffatte

confutazioni potrebbe pure

raccogliersi dall'opera di Arnobio, Adversus nationes, e specialmente dal libro TV, 33 e dal Y, <^ 32-42. L' autore si mostra sprez-

zante di
ai

ragioni fsiclie attribuite giudica anzi arguzie e sotticon le quali si soliti difendere le gliezze,
siffatte

miti

le

argomentazioni che egli oppone non mostrano in lui una sobriet,


cattive cause,
le

ma

e ponderatezza di giudizio maggiore degli


altri.

Egli

domanda (V,

32) ai sostenitori della

interpretazione fsica: O donde avete potuto conoscere tutto questo? ed a proposito,

ad

del mito di Attis, domanda (Y, 42): se Attis il Sole, o chi era mai quell'altro
es.,
**

Attis, di cui si racconta la storia?


sofi del

filo-

paganesimo dovevano certo guarsiffatte

dare con superbo dispregio a


futazioni e

con-

disdegnare di rispondere. Grli esempi apportati bastano infatti a dimostrare

della
il

come questi apologisti nel fervore polemica non comprendessero intero


di

significato delle dottrine, che essi si asribattere.

sumevano
^4

Ed

strano

die

Del medesimo genere di quelle

sopra

apportate

DI E DIAVOLI

.6.

69

interpretassero come ima giustifcazione dei miti e della ragione di essere degli antichi di, quel clie era invece una spiegazione
scientifica

di
si

causa loro
durre
il

rigor di termini, la sarebbe avvantaggiata dal riessi.

mito

alle

proporzioni di

un

fatto

umano, logicamente spiegato con

le ragioni

del sentimento e della fantasia: dal togliere quindi ad esso ogni parvenza di sopranna-

scomponendolo negli elementi suoi e mostrandone i progTessivi sviluppi. Ma parve forse ad essi che ci significasse avturale,

valorare di alcuna autorit le favole tradizionali,

mentre non era se non un investigare nei procedimenti della mente umana

l'origine delle sue varie concezioni miticlie.

Quelle ingenue confutazioni furono vittoriose; e con quella vittoria fu spenta nei
secoli, fino ai

tempi

nostri,

ogni eco di quemate-

ste indagini geniali.

Ma

una discussione

scientifica in

doveva spiacere a pi d' uno tra gli ardenti fautori della nuova fede. L' antico motto enniano ])Mloso]^liari est milii necesse, at pmicis, nam omnino licmt placet,
ria religiosa
sono le obbiezioni ebe sulla interpretazione naturale dei miti fa Agostino, Civ. Dei VI, 8.

'0

DI E DIAVOLI .6.

(pr. Oic.
vsere
il

Tiisc. II, 1, 1),

avrebbe potuto

es-

motto di parecclii di essi. Essi propugnavano con ardore la fede per ragioni di moralit e di sentimento, ma appunto per questo disdegnavano la profana sapienza.
G rimane, tra le opere spurie di Cipriano (III, p. 302 sgg. Hartel) un carme dedicato

ad un Senatore,

il

quale aveva fatto apo-

stasia dalla religione cristiana

ed era

ritor-

nato all'adorazione degF Idoli. Doveva essere un seguace di quel teismo filosofico,

che caratteristico tra gli ultimi proseliti del paganesimo: i quali volevano conciliare
la scienza

con

le

antiche fedi crollanti,

ri-

spettando in pari tempo


dell'

ed avvalorando

autorit propria tutte le antiche forme

del culto,

depositarie iDer il popolo di quelle concezioni religiose, che essi volevano salvare dalla rovina. Ed notevole

come

1'

ammonimento, che il poeta rivolge al Senatore, di non discutere troppo, giacch anche l' alta sapienza, come tatto ci che
eccede la misura, raggiunge
l'

efietto

oj>-

I)Osto
alta,

Indulge

dictiSf

sainentia

non

])lacet
cadit....

Omne quod

est

niminm, cantra

(vv. 51-52).

DI E DIAVOLI .7.

71

-^

perdettero per ogni efficacia sugli spiriti ed ogni intervento nei fatti umani.

7.

Gli antichi di

detronizzati

non

Fu ad

essi

riserbata

una strana
noi

sorte,

diventarono

demoni.
gii

indagheremo

brevemente

atteggiamenti e gli sviluppi

di tale credenza, e le origini prime di essa e la sorte che tocc agii di in questa loro

ultima miseranda trasformazione.

Tanto nel paganesimo quanto nel


stianesimo
spiriti

cri-

era la

dottrina
il

che vi fossero

vaganti per
la

mondo, intermediarli
variamente ope-

tra

l'uomo e

divinit,

ranti sui destini umani, o custodi di singole vite. Kel paganesimo la credenza nei de-

moni, come spiriti individuali che accompagnassero l'uomo, molto antica: si ritrova gi in Pindaro {Pytli. Y, 164 seg.) e in Teo-

gnide (v. 161 segg.); e presso Menandro distinzione tra (fr. 550 Kock) si ha gi la

due specie
cattivo

di

demoni,
di

buoni e

cattivi.

Notissime sono del resto

le tradizioni sul

demone

Bruto

(Plut. Brut. 36) e


I,

su quello di Cassio Parmense (Yal. Mass.


^"^

7, 7).
^^

I^el tardivo

paganesimo

tal dottrina

Fu

dotta-ina di alciini ueoplatonici clie

due genii,

72

DI E DIAVOLI

.7.

sembrava

offrire

il

modo di conciliare V antico

politeismo con la nuova idea monoteistica, di cui iDareva farsi sempre iji vivo il biso-

gno

nelle coscienze.

Massimo

Tirio attesta

essere gi universale al suo tempo la credenza elle vi fosse un unico dio, re e

padre di tutte

le

cose,

accanto

a lui

molti altri di, figliuoli di Dio. Questo, egli dice {JDiss. XVII, 5), ijrofessa il greco e lo
straniero,

Puomo
saggio
8)

del continente

il

ma-

rinaro
{Diss.

il

l'

indotto.
il

altrove

XIV,

egli

spiega

concetto di

queste divinit secondarie.

Sono nature m-

uuo buono ed imo malvagio custodissero la vita di ciascun uomo. Tal dottrina rammentata da Servio, ad Sunt etiam qui putent Manes eosdem Aeii. Ili, 63 esse quos vetustas Genios appellavit, duosque Manes
:

corporibus ab ij)sa statim conceptione assiguatos fuisse, (jui ne niortua quidem corj)ora deserant consumptisque

etiam

corporibus sepulcra iidiabitent ; e ad Aen. VI, 743: Cura nascimur duos genios sortimur. Unus est qui

iiortatur

ad bona, alter qui dejjravat ad mala : qtdbus assisteutibus j)Ost mortera asserimur iu meliorem vitam
Civ.
A'', anclie Agostino, Dei IX, 11. Sui demoni, oltre tutti gii autori cidal Waser, uell' art. daimones della Real-EncyGlojyae-

aut condemnamur in deteriorem .

tati
die

Pauly-Wissowa

(Stuttgart, 1901),
il

i>u essere

ancora
Begriff

utilmente

consultato

Wabrmund,
p. 761 sgg.

Ueder

den

oatfxmv in seiner geschicMlicien Entivickelung, in Zeitschri/t


f. d. oesterr.

Gymn. 1859,

DI E DIAVOLI

.7.

73

mortali, che risiedono tra la terra e il cielo, j)ii deboli di Dio, ina i)i forti degli uomini, e sono ministri di Dio, e custodi degli

uomini.

Beo

rappresenta Apuleio nel De Socratis, quali medias potestates 'per qiias desideria nostra et merita ad Deos eommeant,
Cos pure
li

e Plutarco nel
serisce che

De

defectu oramilorum, 10, as-

avevano risoluto le maggiori difficolt quelli che avevano escogitato una stirpe di demoni intermedia tra l'uomo e la divinit. Come si vede molto si avvicinava a tale concetto quello degli angeli cristiani, che troviamo negli antichi monumenti raffigurati ai lati del Salvatore, alati
camjDioni della verit e della fede, intermediarli tra la volont divina e le speranze
e le preghiere

umane.

*^

Anche su questo
Del, IX, caxj. 22,
spie-

^^

V. iu Agostino, De

civit.

demoni. Gi Origene aveva ajffermato che gli angeli hanno natura e divisamenti affatto diversi dai demoni (Contra Celsmn IH, 37):
gate le difiereuze tra gli angeli e i
akXric. sal wgboc, v.a\ KpoaipaBUx;
;

fa

discusso

come

egli intendesse questa diversa natiu-a. Secondo Lattanzio gii angeli furono creati da Dio sjnritiMis suis immortali1)tts

(Inst. "VII,
s'

5,

9)

,'

ma quando

gli

angeli mandati

sulla terra

stantia (E;pit.

inqiiinarono, allora perdettero la loro suh22), ed anclie il nome di angeli, e diven-

nero

satelliti del diavolo.

74

DI E DIAVOLI

.7.

punto
delle

si

accese

il

dibattito tra

sostenitori

avversarie, giacch gli del cristianesimo, come il platooppositori nico Celso, affermavano non potersi far direligioni

due

stinzione tra

demoni pagani

gii angeli
*'

cristiani (Orig.,

Contra Celstim, V, 4

seg.).

tra le file stesse dei Cristiani

carono quelli che tale identit

non manammisero e

l>ropugnarono, e ne trassero anzi argomento a confortare la loro tesi, che parte della verit si

Viene

fosse gi rivelata ai saggi antichi. di solito attribuita a Platone la co-

noscenza

d'ella vera natiu^a degli angeli, sulla scorta di quel passo del Sim2)osio (202 E.),
si

nel quale

dice essere

demoni nature

in-

termedie tra gii di e

gii

uomini, nunzie ai

^^

Qualche

scrittore cristiano attribisce a

Dio quali
in

suoi messaggeri auche gii


affatto speciale.

angeli

maligni,

ma

senso

vuole con tale espressione assegnare a quegli angeli natui'a malvagia, bens denotare sol qiiesto, che essi sieuo ministri delle ijuuizioni e delle
si

Non

vendette di Dio. Giaccli

le sciagure,

noi sogliamo chiamare mali.


sic

Cfr. In
:

spiega Teodoreto, Jerem. XLIX, 14


'fr/p

(Migne, Patrol. voi. 81, p. 732)


zia^io
.

v.al

htloq

X-p'-

hC^.TzsG'ZB'XBV
y.al

azobq p^r^v
6Xtd/'.v

6ofj.o

axo [Salm.

77, 49]. Oojxv

pYTjV v.al

rtoaToXvjv 8t'
cpaet

^Yv.aXsv

Xujv icovYjpJv. novTjpo'ji; oh y.aXsc

o)( (o^
.

zo'-oxooc

XX' Mq

Ttjxcjupia?

X^-P^^ sy.7t,airou.Vot)(;

Kav. ^p

slcQajXsv y.al Tc; STca-^&jxva? aDja-tpop^.

DI E DIAVOLI .7.

75

^^ Tal concetto fu primi delle cose umane. poi ripreso e spiegato da Porfirio, nel ITspl

zoxfiQ

spujixtov, II, sg.,

ed a Platone

lo ascris-

sero

Felice, Tertulliano, Cipriano. Plato f dice Minucio {Oct. 26), qui Quid

Minucio

negotium (irediMt, nonne et cmgelos sine negotio narrat et daemonas f E Tertidliano, AjoI.^ 22 Angelos etiam Plato
inveni/^e

Deum

non negavit
sintj 6)
:

Cij)riano,
et

{Quodidla
veri

dii

non

Ostanes

formam

Pei negat

posse et angelos veros sedi eius dicit adsistere. In quo et Plato pari ratione consencons2)ici
tit

et

unum Peum
dicit .

servans ceteros angelos vel

daemonas

Teodoreto afferma

{Gfraec.

Sermo lY in Migne, Patrol. gr. Platone chiam di e demoni quelli che noi chiamiamo angeli e disse
affect. curatio,

voi. 83, p. 909):

che questi erano


dell'universo
.
^^

sacri ministri del Signore

Ma
^^

il

paganesimo aveva pure come ab-

Dalle ox)iuioui platoiiiohe sui demoui derivarono

poi quelle che tennero il campo nella eresia dei Valentiniani vedi l Diss. I j)remessa alle oi)ere di Ireneo, in Migne, Patrol. gr. voi. 7, p. 95-98. Sul concetto
;

dei

ai[j.ov<;

in Platone vedi Wahruiund,

in Zeitschrift

f. d. osterr.
^^

Gymnas., 1859; p. 776-780. Contro il concetto dei platonici circa

daemonc^
1.

buoni e beati ragiona a lungo Agostino nei cap. 8-14, del De Civitate Dei. V. anclie De Divin. daemonim,

IX.

e. 4.

76

DI E DIAVOLI

.7.

biamo sopra visto, i suoi demoni maligni. Questi si compiacevano di sferze, battiture e digiuni, voci di malo augurio, detti osceni
(Plut.
cul.

De XIII

Iside et Os,

XXYI; De

defectu orail

in

f.).

Ed

era turbato anche

pa-

inganesimo vase ed agitate dai demoni; s'indicava anzi

dalle trepide fantasie di

anime

nelle superstizioni popolari

racolosa del Nilo,

come

pietra miavente la virt di

una

fugare lo spirito maligno, sol che si accostasse al naso dell'invasato (Ps. Plutarco,

De

fluviis,

XVI,

2).

Si

pu

di

leggieri im-

dottrina giovasse agli intenti degli apologisti cristiani, i quali vedevano dunque nello stesso paganesimo la.;

maginare quanto

tal

conferma della loro

idea,

che cio

le

anime

degl'infedeli fossero in preda a spiriti malvagi. Lattanzio rijDorta le opinioni di Hermes

Trismegisto e di Asclepio, che chiamavano demoni nemici e tormentatori degli uomini


{Inst. II, 15,
8),

lazione che ad essi d


di aYYsXoi
TTovYjpoi,

rammenta anche l'appelHermes Trismegisto

i.

aiDpellazione la quale corrisponde a quella di nocentes angeli di Asclepio


(Ps. Apulei. Asclei).
e.

25,

p. 48, 15 Goldb.).

tanto oltre gii apologisti procedettero in questa loro idea, che s'indussero a interpretare

come

spiriti

maligni, pure quelli che

come

DI E DIAVOLI

.7.

77

tali

non erano stati evidentemente considerati

dagli scrittori che essi citano; Lattanzio si appella alla autorit di Esiodo, e ne riporta i due versi {Op. et D. 122 sg.):
Tol [lv ai[Xov? scat Al? j.-'cXoo

L ppoXd*;

oOXol, :ti)(6viOL, ^XayvSg Gvyjtwv v6pj;ra)v.

Peggio che a tali scrittori, che pur si ornavaDO di cos eletta sapienza, non ripugnasse maculare pur la grandiosa memoria
di Socrate, traendo a sifltatta interpretazione il demonio socratico. Menti cos illuminate,

che non

rifuggivano dal prendere l'anima sublime di Socrate come tipo ed esempio di


tutti gli ossessi, di tutti g' invasati dal de-

mone malvagio

Cos Minucio Felice, {Od. 26) [daemonas] Socrates novit qui ad mitiim et cirMtrium assidentis siM damonis ve decli!

nabat negotia

vel

petbat

Cos Cipriano,
Socrates instriii
;

{Quod Idola
se et regi

dii

non

sint, 6):

ad arMtriimi daemonii praedicabat e Tertulliano, (Apo. 22): sciunt daemonas 2)1iilosopM Socrate ipso ad daemonii arMtriwn
exspectante, e Lattanzio, (Institut. II, 14, 9): Socrates esse circa se adsidmtm daemona

puero sii adliaesisset, ciiius mitu et arbitrio sua vita regeretur nei quali passi tutti l'esemj)io di Socrate addotto,
loqueatur , qui
;

78

DI E DIAVOLI .7.

pur quando dalle parole citate non appaia, j)er confermare con un'autorit storica l'esistenza dei demoni maligni.
Il

cristianesimo
tutti
i

dunque

inter23ret

come

malvagi
del
elle

demoni.

Uno

scrittore avver,

sario dei cristiani

IV

secolo,

esponeva verso la met in forma di profezia questa

per lui era gi una dolorosa realt. In quella bizzarra traduzione di un' opera

ermetica, clie conosciuta sotto il nome di Dialogiis ad Ascejium, e che fu falsamente


attribuita
si

ad Apuleio, tra
dalla

gli altri

mali cbe

religione si annovera anche questo: Soli nocentes angeli remcmbiint, qui Immanitati conmixti ad om-

temono

nuova

nia audaeiae mala miseros marni inieeta comlllent

in della, in ra2)inas, in frandes

et

in

omnia quae sunt


traria
.

animarum naturae
i

con-

tal

condizione di demoni
Essi

filosofi

del cristianesimo ridussero gli


-

antichi di
la loro realt

pagani.
^

non negarono

In questa decadenza generale degli di a demoni Zeus o Giove conserv i)er F antica signoria su di essi, e fu considerato quindi quale il capo dei demoni. Cfr. Tatiani, Adv. Graecos 8 (in Migne, Patr. gr. VI, X3. 824)
:

y.al

fj.7|'C'.

'(

ol oaLfjLOvsi; o.hzoi

p-sz

toh
tolc,

'f]Y'r[J.vou

axtLv

Ai;

dt

tt^v sl}j.ap|xvf]v

TzsKz)V.aoi

ahzoic,

TiOsGtv,

DI E DIAVOLI

.7.

79

u
li

il

loro intervento nei fatti

umani:

ma

giudicarono spiriti malvagi, insidiosi, e ingannatori, che ponevano loro stanza nei

templi e nelle statue consecrate ed ivi fa-

cevano risentire

volgendo

le

loro malefci effetti, sconmenti, distraendole dalla coi

gnizione del vero Dio, irrompendo a quando a quando nei corpi miserandi degli uomini,

membra, distruggendone la salute. Agii di per tal modo non veniva neppur negata la sapienza; anzi, come vele

torcendone

dremo,

essi

furono ritenuti inventori delle

arti; e Lattanzio,

dopo aver

citato

1'

etimo-

logia di daeiones : quasi da:q'j.ovy.Q id est jeritos ac rerum scios, aggiunge: Si crede

che sieno questi appunto gii di. E certamente essi sanno molte cose future, ma non tutto, giacch non lecito ad essi penetrare nei disegni di Dio, e perci appunto
wairsp v.ai ol avSp'ujio'. y.paxv]6v're(;

Da

Porfirio neo-

platonico era stato posto a capo dei demoni malvagi Serapide da Ini identificato con Pliitone ; e come simbolo

malvagia potenza demoniaca era stato j)Osto appunto jpercli il izovfipbc, oc-jaov si ritrovava nei tre elementi, acqua, terra ed aria. EuseMo {Praep. ev. IV, 23, in Migne, Fair. voi. 21, p. 304303) e Teodoreto {Graec. affectionum curato, III in Midi questa
il

cane

tricipite,

gne, Patr. voi. 83, j). 881) citano per gli loro polemica questi luogM di Porfirio.

scopi

della

80

DI E DTAVOLT

.7.

sogliono adattare a doppio senso i loro re^' sponsi {Inst. II, 14, 6). Questa concezione
si uni in uno strano miscuglio concezione evemeristica, clie abbiamo visto accetta ai cristiani e con reminiscenze

degli di

con

la

mitologiche

reminiscenze bibliche; e ne

venne

di novella teogonia, di cui troviamo tracciate le linee ben per

fuori

una specie

tempo, nel pi antico dei poeti latini


stiani, in

cri-

delle

Oommodiano. Questi, nel libro I Instriwtiones, ha uno speciale carme


:

sul culto dei demoni, e cos spiega V origine di essi (L. I, 3; ediz. Ludwig, Teubner, 1878)

Quando Dio onnipotente orn l'universa


gli

natura, volle che


terra;

angeli visitassero la

quaggi mandati, spregiaDio. Tanta era la belleggi lezza delle donne, che essi ne rimasero
essi,

ma

rono

le

di

appenach, contaminati di colpa, non poterono pi essere accolti nel cielo, si ribellarono a Dio e gli avventarono bevinti.
Il ooucetto degli Dei secondo i Cristiani veniva ad essere esattamente esxwesso da Agostino, {O'vv. Dei, Vili, 26), quando diceva, dediicendolo da alcnne x>arole di Hermes Trismegisto, cine ogni dio lia per anima nn demone e per corpo nn simulacro. L' etimologia!, jioi di oaX^o-^^q da oaYifxove? Lattanzio trasse da nn j)asso platonico, Crai. 398, B: oxi (ppyi|i.o'. v.al oa'f][j.ovBi; '?]Gav,
^^

Ma

oa'.]i.r}vaq

abzobq vfi,aos.

DI E DIAVOLI

.7.

81

stemmie. Allora
dizio sopra
eli

1'

Altissimo pronunci giu-

loro.

Dal

loro

seme vuoisi

giganti. Da questi furono importate le arti sulla terra, giaccli essi insegnarono e a tingere le lane e ad eserci-

siano nati

tare ogni altra arte.


gli

Quando furono

morti,

uomini dedicarono ad

essi simulacri;

ma

poich essi erano nati di malvagio seme. Iddio decret non fossero accolti nel cielo;
sicch essi

non pochi
di

vagando vanno ora sconvolgendo corpi di uomini. Sono questi gii che voi onorate e pregate . ^^ Sono

manifesti in questo racconto i varii elementi formatori. Ed anzitutto la contami-

nazione degli angeli operata dalle femmine reminiscenza biblica ma una remini;

scenza di passi notissimi di scrittori i)agani


^~

questa

derivazioue
anclie

dei

deiaoui

containinati

accenna

Tertulliano

dagli angeli in Apol. 22


:

Secl quomodo de Angelis qtiibusdam sua sponte corru]ts corruptior gens daevionum evaserit damnata a deo cum generis

mictorihtis

et

cum

eo

quem diximus

principe,

apud
nat.

Litteras sanctas ordine cognoscitur . Cfr.


II,

anclie
.

Ad

13 daemones, maorum angelorum proles


i

Secondo
opero
digniiis

lui

demoni

si j:)resentano

qtiaK di,
:

conix^ieudo

elle li

fanno credere

tali {Apol. 23)

Non

ergo

praesumetm' ipsos Ifiaemonas'] esse qui se deos faciant, ctim eadem edant qiiae faciant deos credi, quam j^fo'es angelis et daemonihis deos esse f Cos pure cfr. Ensol>io, Praep.

ev.

V, 2 e Agostino, Bivin. daemonwm, Q q


C. Pascal.

S.
6

82
il

DI E DIAVOLI

.7.

cenno delle arti ingannatrici sul mondo importate, cenno nel quale implicitamente si afferma la beata ignoranza ed innocenza
dell'antica favoleggiata et aurea; e d'altra I^arte una manifesta derivazione dalla dot-

trina evemeristica
le arti dai Griganti

1'

affermazione che,

jjer
i

importate sul mondo,


i

simulacri dopo la loro morte. Pure commista di elementi

mortali dedicarono ad essi

disformi la narrazione, quale troviamo in Lattanzio {Inst. II, 14). Quando cominci a
crescere
terra,
gi'
il

numero

Dio

degli uomini sopra la prevedendo che il diavolo con

inganni suoi avrebbe corrotto o rovinato 1' umanit, mand gli angeli a custogenere, e ad essi anzitutto prescrisse che non rimettessero della divina dignit, contaminandosi d'imi^urit terrena.
dia dell'

uman

il

i^rescrisse,

perch sapea che

l'

avreb-

bero fatto, perch non

Quale insidiosa poi A^enia al ]3eccato. parte presti qui al suo Dio l'ingenuo scrittore, non chi non vegga! E quali custodi
fa egli

avessero

a sperar

mandar da Dio

sulla terra, tali, dei

quali Dio gi sapeva che si sarebbero contaminati e inquinati! Continua Lattan-

zio,

che

gii

angeli

dimorando

sulla terra

furono dal diavolo adescati

al vizio e negli

DE E

DLWOLI

.7.

83

^^ l^on ebbero amplessi muliebri corrotti. quindi pi ricetto nel cielo e ricaddero sulla

terra; siccb

diavolo da angeli di Dio li fece suoi satelliti e ministri. Quelli che fuil

rono da essi procreati non furono n angeli n uominij ma ebbero tra gli uni e gii altri intermedia natura. Cos ne vennero fuori

due specie di demoni, Puna celeste, l'altra terrena. Questa distinzione certamente indotta da Lattanzio in riguardo all' antica Ad distinzione di di superi ed inferi.
^'*

-3

paene

talis

Cfr. anche Agostino {De eiv. dei III, 5) Navi etiam de scrijtm'is nostris otoritur, qua quaestio
:

(ioncabuernt,

quaeriUir ntnim praevarGatores angeli mim JiVuibus liominum imde natis (jiganiims, id est nimitim grandibus
ac fortihus viriSf

timo terra com])leta

est .

alludono al luogo della Genesi, 6, 4. presso Teodoreto e la seguente (Graoc.

Questi passi

La narrazione
X^

affect. ciiratio,

in Migne, Patrol. gr. voi. 83, p. 1060) I demoni perA'ersissimi, per sottrarsi al mite dominio del SigTiore,

tentarono impadronirsi del potere e attribuendosi nome di di, j)*?rsuasero gli uomini stolti a render loro divini
onori. Dixjoi cercando di rafforzare
il

loro potere, si glo-

riarono di conoscere e di j^redire anclie il futuro spingendo in inganno gli uomini semplici. E in ogni parte della terra elevarono officine d' ingaiini ed escogitarono i
l)restigi della
~*

divinazione .
clie

notevole j)er

celesti

demoni

terrestri,

questa distinzione di demoni come pure il pensiero che i


risulta

terrestri sieno adescati dalle volutt carnali, si trovino


j)ure nella concezione

pagana dei demoni, come

84

DI E DIAVOLI

.7.

Ogni

modo

dall'

una narrazione e
qual
concetto

dall' altra
si

scaturisce

cliiaro
i

avesse

degli angeli corrotti, importatori delle arti sul mondo, erano stati, dopo la loro morte, adorati quali di, ma degli di:
figli

non erano che demoni. All' accoglimento di tale idea la coscienza cristiana
essi

trovava gi preparata la via nelle concezioni j)agane. ideila credenza comune era
gi infatti, fino da tempo anticliissimo, die i morti diventassero demoni. Secondo Esiodo
[0]).

et

D. 122 segg.) gii

uomini

della pri-

sca et aurea divennero, dopo la lor morte, Satiiovsc, abitanti sulla terra, patroni degli

uomini, custodi delle opere giuste e delle


cattive, coperti di aria, erranti dapi^ertutto

sopra la terra, datori delle ricchezze . Il morto chiamato Sai^itov pure presso Eschilo
{Pers. 620)
[j.ov5(;

ed Euripide
gli di

{Ale. 1003); e

Sai-

sono
(cfr.

morti

Mani Luciano, De

cio le
luctu 24,

anime dei

De morte
Sai^j.oat

Feregr. 36, 37); sicch frequente nelle in-

scrizioni sei)olcrali la dedicazione esoc

un' altra parte delle concezioni cristiane era gi nel paganesimo.


Mani'iis.
dal passo di Celso j^resso Origene, Contra C'elsmn Vili, 62, ohe si potr vedere rij)ortato nella nota 31,

Dis

Ma

DI E DIAVOLI

.7.

85

quella cio clie interpretava come demoni (di di. V'era infatti tutta una classe di divinit i)arificata ai
rato

demoni

tale era conside-

Hermes
(C.

{Corj)iis

Hecate

I.

Gr.

Imcript. Gr, 8358), tale 5950) e tali i dii minores


4738),

come Memnon
Crono

(ivi

Mitra

(ivi

6012),
filosofi,

{Antol. Palat. VII, 245) ecc. I

fecero clie congiungere queste due concezioni pagane, quella cio clie demoni fossero i morti e quella che
del cristianesimo

non

a congiungerle erano tratti dalla dottrina evemeristlca clie

demoni fossero

gli

di.

Se gli di non erano che due concezioni si riducevano in i morti, le verit ad una sola, e il trovarle entrambe
essi accettavano.

nelle credenze popolari

qualche
dei
la

modo

pareva anzi dare in conferma alle speculazioni


i

filosofi.

Solo,

Cristiani
i

non ammisero
i

distinzione tra

demoni buoni e

cat-

tivi.

I demoni, cio gli di, erano tutti mal-

vagi, asserviti alla

I ministri del

suprema potest del male. Dio vero, del Dio buono,

erano invece gli angeli. Distinzione cotesta che i Pagani non comprendevano. Griacch
presso di essi
il

nome

aYfsXo? era spesso adooaipcov,

perato nel medesimo significato di


nelle iscrizioni sepolcrali di
tal

Thera troviamo
del

nome aggiunto

al

nome

defunto

86

DI E DIAVOLI

.7.

Gr. Insulariim, III, 933, 947, 949la distinzione ebbe vigore 958, 968-973). per P autorit che ad essa veniva dal fatto,
(Inscri]i)t.

Ma
si

avvalsero appunto della parola ay{BXoi a denotare gi' intermediarli tra Dio e gii uomini.
i

che

settanta

Solo ai demoni rimase


del
:

il

triste privilegio

male essi furono i pervertitori della misera umanit e come vedremo, i loro
;

intermedii tra

pur vagando negli spazii cielo e la terra, avevan sede nei templi e nelle statue ad essi dedicate, ed ivi si pascevano dei sagrifi^ii offerti ed esercitavano arcani perniciosi influssi sugli uomini. Sono questi, dice Lattanzio,
spiriti

malvagi

il

immondi, autori di tutti i mali che avvengono, e di essi il diavolo stesso principe. 'Ne altrimenti ne parla Cipriano {Quod idola Mi non sint, 6); sono
(II, 14, 5) gii spiriti

spiriti

fallaci

vaganti,

quali,

dacch

immersi nei mondani

vizii perdettero nel terreno contagio il celeste vigore, non cessano di trascinar seco nella rovina e di in-

fondere negli

altri la loro

depravazione

'^

2="^

V. anclie Tertulliano, De
illos desertores

idolol.
dei,

pono, anglos esse


jyroditores etkim

9 Unum proamatores feminanmi,


:

Imms

curiositatis,

projterea

qiioqiie

dam-

DI E DIAVOLI

.7.

87

Ma
non

solo la realt della loro persona si negava agii antichi Dei. Si ammetdell'

non

arte divinatoria, dell'aruspicina, delle magie ; l' efficacia delle preghiere, delle statue, dei sagrifzii; solo cotali

teva la verit

ritenevano peccaminose -e destinate alla perdizione degli nomini.


si
]Sr

opere ed arti
tal

concezione degli

di

si

dilegn
pa-

mai pi

dalle coscienze.

Una
di

iscrizione po-

sta nella Siria in

memoria
514

un tempio

gano trasformato in chiesa


bilmente verso
il
:

cristiana, proba-

d. 0., cos

dice {Corptis

Divenne casa di InscTipt. Gr. lY, 8627) Dio quello che era albergo di demoni: la

luce salvatrice rifulse, ov' era nascondiglio


di

tenebra
i

ove erano
cori

sagrifzii degi' idoli


;

ora sono
irato,

degli angeli
.

ove Dio era

ora Dio pietoso

]^ altrimenti, alcuni secoli dopo, echeggi a Eoma questo grido di vittoria.

vescovo Eaugerio faceva da Ildebrando magnificare Eoma diventata pi gloriosa.


Il
natos

a deo

e Agostino,

Civ.

Dei 1\ , 1

docenduvi

deos falsos quos vel

palom

colbant vel occulte ctdMic eohinl,

eos esse inmundissimos sjiritus et malignissimos ac fallacisshnos daemones, iisque adeo ut, aut veris mit fictis etlam, suis iamen crmwihus delectentur, qriae siM celerrari per sua

festa voluerunt .

V. auclie Be

dir.

daemonnm,

4.

88

DI E DIAVOLI

.7.

percti redenta dalla soggezione dei a qnella di Cristo. '"


Et multo

demoni

nielius Cliristo sub principe pellet


siibdita,

Qua 111 emii regnaret


(Sancii Anselmi Vita. Ertiz.

daemouiis.
1870, a'v. 215-216).

De Irruente. Matritt

E
vent

cos nelle credenze popolari


il

Diana

di-

guidava di notte la tregenda^ delle streghe (v. Graf Roma nelle


clie
,

demonio

-^

Non

altrimenti

il iioeta.

Sedxilio Scotto
i

aveva

ce-

lebrato
e di
al

Roma, cbe rinchiusa


:

tra
s

due

temxili di Pietro

Paolo era dlA^entata, or


ISTiinc

veramente, dimora simile


mine
inclita Iloma,

cielo

cielo est siniilis yore,


flanstra.

Cnins

doeent

iiitns inesse deiini.


:

lanitov ante fores fxit sacrarla PetiTis

Qnis neoet

lias

arces instar liabci'e

ijoli

l'arte alia Palili circnnidant atria. iniiros,

llas intor Eonia est,

liie serlet

ergo dens.

(Cfr. Sedulii Scottii

Carmina

quadrafinta. ed.

Dueramler,

1869, carra. XXXV, p. 32). E cos in una x^oesia del secolo pubblicata, dopo il Giesebrecbt ed altri, dal

Nova ti

(Influsso del pensiero latino

^,

p. 172 segg.)

Eoma

stessa personificata risponde

con disdegno a chi


:

le raui-

inenta le passate grandezze Quid memoras


Olicis in

titulos
?

ant cnr insignia

prisca,
?

vtiltnm
il

Quid memoras

titulos

ecc.

diverso

sentimento che

muove

il

poeta Ilde-

berto, del secolo XI, nella seconda parte del carme De urlis Bomae mina, diretta a mostrare che Eoma era stata resa

pi illustre dalla nuova religione (cfr. Wernsdorif, Poetae lai. min. ediz. Lemaire, IV, 66 segg.).

DI E DIAVOLI

.7.

89

memorie, ecc. II, 376), e la cui opera mali-

gna troviamo menzionata pure nelle leggende di S. Mccol e di S. Cesario (Grraf.,


1.

e).

Cos tutti gii di antichi comi)ariscono

nelF esercito dell'Anticristo in


di

un poemetto

de Mery del XIII secolo (Graf, L e, 377). Il Panteon, il tempio di tutti gli di, divenne naturalmente il tempio di tutti
i

Huon

demoni.

Secondo
templitm

fecit liOG

et

dedicari fecit
et

MiraMlia, Agrippa, ad lioNe])tuni dei

norem

Oibeles

matris deorum

Quariii et
sercliToniv,
si

omnium daemonioriim

; e la Kai-

vv. 171-190, riferisce clie il sabato celebrava a Eoma la festa di Saturno e

di tutti i diavoli, cui era consacrato

un

son-

tuoso tempio, la Rotonda


ser dir. Ili, 416).

Naturalmente, potentissimo demone, ingannatore e tentatore, era Venere, che nel Livre des cratures di Fi-

(v.

Massman, Kai-

lippo di Tbaun anzi considerata quale regina stessa dell' inferno. E demone fu pure

ApoUo.
])osies,

I^el

Boman

de ]Edi;pus (Gollection de

romans, ecc.

Paris, Silvestre,

1858,

a carte A, III) cos descritto il suo ora Era il sole che essi colo adoravano, e
:

avevano fatto un gran simulacro


dente sopra

d' oro, se-

un

carro
Il

ricchissimo aspetto.

a quattro ruote, di diavolo abitava in

90

DI E DIAVOLI .7.8.

quel simulacro e dava resi3onsi a quelli venivano a lui e 1' adoravano .


tutto x3reso dall'
latina,
si

clie

naturale adunque che quando Yilgardo,


amore per
rivivere
la radiosa civilt

argoment, nella seconda met


di far
gii antichi di,

del sec.

X,

avvalorando F ingenuo tentativo con V autorit dei poeti maggiori di Roma, P opera sua fosse interpretata come un supremo conato di demoni, aspiranti ancora al dominio. Gli si presentarono di notte, narra uno
scrittore medioevale,
i

demoni che avevano


poeti
antichi,

assunto

la

senibianza dei

e gii resero ingannevoli grazie, che egli si facesse fortunato banditore della loro fama
e gii promisero gloria. Egli traviato da~quegli infernali inganni, cominci ad insegnare

molte cose contrarie alla santa religione, finch riconosciuto eretico, fu condannato a

morte
(liis,

Giesebrecht, De Utterartim sUiecc. p. 12 trad. ital. p. 24 Oomparetti,


(cfr.
; ;

Virgilio nel

M.

JE.

I,

p.

125).

8.

Abbiamo
all'

gi accennato alla divina-

aruspicina, alle arti magiche, non combattute gi nelle loro verit ed essenza,
zione,

bens solo nella forza ispiratrice, onde esse

DI E DIAVOLI .8.

91

riteneva di origine demoniaca, e perci peccaminosa e fatale. N tuttavia mancavano tra i Cristiani stessi
clie si

muovevano, forza

In una lettera infatti che ci conservata da Yopisco (Saturn. 8) Adriano cos dice dei Cristiani del nemo Christianorum irresbyter non l' Egitto matliematicus ( astrologo, indovino ) non hartispeXf non aliptes ( 'medico secretista ) . Tediamo ora in quale forma si presentava
quelli

dediti a cotali

arti.

'

'

'

ai Cristiani la divinazione

pagana. Porfirio
o,

compose un' opera sulla scienza,


la cliiam, filosofa degli

come

egli

oracoli, e di tale

opera, ora perduta, numerosi estratti riman-

gono presso Eusebio, Teodoreto, Lattanzio, Sant'Agostino". Scopo dell'opera era di venire in aiuto agli spiriti dubbiosi, a quelli

che avevano domandato in gTazia agli di, che si mostrassero, per far cessare le loro
incertezze.

Porfirio voleva conseguire l'intento col raccogliere gii oracoli e i precetti


religiosi, che,

secondo

rificare la vita.
ci

erano atti a puI frammenti dell' opera sua


lui,

portano, per cos dire, nel vivo della lotta

tra le

due

religioni, e ci

danno preziose inforex oracuUs hmirievda

^'

Cfr. Porpliyrii,

De pliilosojMa

lhrormn reUquiae. Ed. G. Wolfe. Berolini, 1856.

92

DI K DIAVOLI

.8.

inazioni. L'oijera riguardava quella speciale

parte della teurgia, che consisteva nel provocare la presenza di una divinit. Col

compimento

di

riti

sacri

uomo giunge

a dispogliarsi della terrena impurit, e ad evocare la natura divina, costringendola, mediante pregliiere e formole sacre, a risiondergli.

sulla

L'impero clie tali formole lianno natura universa e sulle stesse divinit
elle

tale,

esse

non possono

sottrarvisi.

Evocate, debbono presentarsi e rispondere,

pure mal volentieri. Il teurgo solo jju scioglierle da quei vincoli, pu liberarle,
sia

poich egli solo in possesso delle mistiche chiavi. Troviamo anzi oracoli nei quali

Ecate o Apollo dichiarano essere venuti di mala voglia, perch costretti ad obbedire.

La manifestazione
agli

sensibile

della

divinit
:

uomini

si

effettua dn pi

maniere

un

voce, una luce improvvisa; alcune volte il dio entra in una statua a lui
soffio,

una

consacrata, altre volte entra nel corpo stesso del suo evocatore e parla per la sua bocca. Questa dottrina fu accolta dalla coscienza
cristiana,

che solo sostitu naturalmente alla


^^

designazione di di quella di demoni


2^

notevole che nello stesso paganesimo era l'opidi,

nione che non

ina

demoni ministri

di

Dio pre-

DI E DIAVOLI

.8.'

93

ad accoglierla essa era tratta dai precedenti


suoi stessi, dalla stessa tradizione biblica. Ancbe nelle credenze ebraicbe era che gl'in-

dovini fossero invasati dallo spirito demoniaco e avessero potenza di evocare i trapassati.
di Saul,
IsTel

1 libro di

Samuele

Pejjisodio

che and a couvsultare la Pitonessa

di Endor, j)er evocare lo spirito di Samuele, bench Saul istesso avesse sterminato dal
j)aese g' indovini e tutti quelli
lo

che avevano

spirito

del Pitone

(I

Smn., 28, 3-9).

contro

cotali

rompe

Isaia

pratiche magiche cos proSe vi si dice domandate


:

gli spiriti di Pitone e gl'indovini, i quali bisbigliano e mormorano, rispondete: Il po-

polo

non domanderebbe
ai

il

suo Dio? An?

drebbe

morti per

li

viventi

(Is. 8, 19).

sicdessero agli oracoli. Questo dico esiilicitaiucutc

Plu-

tarco/ (I)e cefectu oractil. 418, E), il quale -per aggiunge doversi respingere V opinione clic questi demoni sieno

ingannatori. Teodoreto (Graec. uff. X, in Migne, Patr. voi. 83, p. 1061) cita questo Il silenzio clie ora passo di Plutarco, ma xn^emette preme gli oracoli prova abbastanza che essi erano ora-

malvagi, funesti e

Giiratio

coli di

demoni maligni, che avevano usurpato

il

nome

di Dio, e dox)ocli il nostro Salvatore apparve in carne, X)resero la fuga, essi, che avevano importato tra gli uo-

mini questi inganni, non sopportando


luce divina
.

lo splendore della

94
IS^ella

DI E DIAVOLI

.8.

dottrina biblica era dunque, lA che in germe, gi esplicata, siffatta concezione.


Quelli che

avevano

lo

spirito

demoniaco

potevano evocare i morti: e che altro facevano gli officianti pagani ! Gli di che essi invocavano ed evocavano, non erano
forse

degli angeli corrotti, figli i quali loro morte furono adorati quali dopo di dagli uomini, ma non erano in realt
la

i figli

se

non demoni, a
le

del male! Gli


reali

servigio del gran signore oracoli dunque erano reali,


e
le

divinazioni

arti

magiche

la consacrazione delle

statue e dei templi

era

riti

questi spia presentarsi, tostoch fossero maligni evocati ogni idolo era la sede di un de:

il

vincolo

che impegnava

monio.
Tertulliano in

De idololatria,

15,

parlando

dell'alloro collocato dai cristiani sulle

impo-

ste e delle lucerne accese dinanzi alle case, chiaramente accenna all'obbligo che deri-

vava

ai

zione.

demoni dal -pegno della consacraI Eomani, egli dice, hanno divinit
:

perfino degli usci Gardea cos chiamata a vardinihus, Forciius a foribiis, Limentirms a
limine, e
lo stesso

Janus a imma:

nomi
essi

tutti vani

ed immaginarli;

ma quando

sono volti alla superstizione, traggono a s

DI E DIAVOLI

.8.

95

demoni ed ogni
consacrazione
li

si)irito

immondo, perch
i

la

obbliga. Altrimenti

de-

moni non hanno nomi speciali, ma trovano un nome col ove trovano pure un pegno di consacrazione . Cos ogni demone agitando
e
di

corrompendo l'umanit sotto

il

nome
e

un

signore, stessa era opera di lui (De errore 'profan. rei. 1):
lobimus per
(Uctbolum

il

dio era emissario del suo capo -^ e la divinazione diavolo


:
:

Firmico Materno,

divinationem pro-

esse
i

inventam

et

per-

fectam.

.
il

erano

templi consacrati fomite continuo del peccato: ivi si


il

Le

statue ed

annidavano sotto

nome

delle

varie divi-

nit, gii spiriti malvagi: e quel che vi facessero in pi luoghi a fosche tinte de-

Cotesti impuri spiriti, cos dice Minucio Felice {Oet. 27), si nascondono sotto
scritto.

le

statue e le

immagini consacrate e con

l'alito

loro quasi ottengono autorit di

nume

Natiiralmeute ogui stranezza o bizzarria

di lua-

fu attribuita alla ossessione dei demoni^ come si pu argouieutarc, tra gii altri, dal seguente passo di Teodoreto, In Dan. IV, 30 (Migne, Fatr. voi. 81, p. 1369)
iiiaci
:

loiov yp Ttv oh jjlvov t Xys'.v y,aX Ttpx-csiv jrapaTCc/.'.ytcov XYi3T ts y.al aia.y.xa., W. y.aX x lo6;tv aiza^na xb.
*

jrpoaKtTCTovxa
V(uy

Toto

o'

av

xic,

\hni v.al vv xohc, 6:: oaifi-

yoyXou}j,vooc uoioDvxac

v.al

Trayovxai;.

96

DI E DIAVOLI

.8.

vivente,

quando spirano dentro

ai vati, e si

fermano nel corpo dei sani ed animano alcuna volta le fibre delle viscere animali e governano il volo degli augelli, ed emettono
oracoli involuti di falsit

non poche.

Griac-

ch essi s'ingannano ed ingannano, in parte

ignorando la verit, e quella parte clie essi conoscono non volendo riconoscere, per trarsi
a rovina. Cos allontanano

uomini dal cielo e dalla visione del vero Dio li volgono a quella delle materia, ne perturbano la vita, ne rendono inquieti i sonni, ed insinuandosi
gli

occultamente nei corpi,

tenui quali sono, atterriscono le menti, agitano in convulsioni le membra; i)er costringere gli uospiriti

mini ad adorarli e per far poi


X)rendersi

le viste di
sazi!

cura di loro,

quando
i

del

fumo

degli altari e delle vittime cessano le

loro coercizioni.

Sono questi

furiosi,

cbe

voi vedete correre all'impazzata in pubblico, i vati, che, pur quando non sono nel

tempio, cos infuriano, cosi impazzano, cos distorcono le membra .

In quanti scrittori si trovano questi medesimi tratti e descrizioni delle opere demoniache Gi erano in Tertulliano, e le ritroviamo in Cipriano, in Lattanzio, in Firmico Materno, in Agostino, in Taziano, in Ate!

DI E DIAVOLI

.8.

97
'

nagora, in Teodoreto, in Eusebio, in Isidoro.^ Ed anche qui notevole come in tale asse-

gnazione di opere ai demoni i Cristiani si trovassero d'accordo con le concezioni che

tenevano il campo nel mondo pagano. Secondo Apuleio {De Beo Socratis)
moni, giusta
le speciali attribuzioni

de-

di cia-

scuno, formavano le visioni notturne, face-

vano

il

taglio

nelle
li

viscere,

volo degli uccelli,


augurale,

ammaestravano
i

regolavano il al canto
scagliavano
i

ispiravano

vati,

fulmini, corruscavano le nubi, procuravano

3*^

Tertulliano, Apol. 22

Itaque et Gorporihus valehi-

dines injligunt et aliquos casus acerdos,


tinos, et extraordinarios per

animae vero
eco.
siiit,
;

r.epen-

vim

excesstis,

v.
:

pure De
ergo

anima 46. Cipriano, Quod Idola


hi adflatu suo

dii

non

Hi

spiritus sub statuis atque imaginihus consecratis delitescunt,

vatum peotora inspirant, extorum fibras animant, avium volatus gtibernant, sortes regunt, oracida efficiunt,
falsa veris semper involmmt, nam et falluntur et falhmt, vitam turbant, somnos inquietante inrepentes etiam spiritus in Gorporibus occulte mentes terrent, membra distorquent, va-

letudinem frangunt, morbos lacesstmt, ut ad cultum sui cogant, ut nidore altarium et rogis

pecorum saginati

reinissis

quae constrinxerant, curasse videantur . Lattanzio, Insf. q^li quoniam spiritus sunt temies et incomII, 14, 14
:

prehensibiles, insinuant se corporibus


visceribus operati valetudinem vitiant,

hominum
morbos

et occulte

in

citant, somniis

ammos terrent, mentes furoribus quatiunt, ut homines Ms malis cogant ad eoruhi auxilia deeurrere . rirmico Mat.,

De errore profan.
C, Pascal.

relig.,

13 j Agost. De

Trinit. 4, 2; Tatiani,
7

98

DI E DIAVOLI

.8.

insomma

mezzi, per cui dato agii uomini conoscere il futuro. E naturalmente,


tutti
i

sempre secondo le concezioni pagane, dai demoni maligni erano da aspettarsi le calamit tutte. Le loro operazioni malefiche sono esposte da Porfirio, Ilepl Tro^-^c e^itj^xtv II, 40-42. I demoni maligni ed il loro capo sono, secondo Porfirio, venerati da coloro clie con veneficii ed incantagioni procurano i misfatti. Essi sono atti agl'inganni con ogni specie di prodigi. Per opera di essi i loro fee pozioni amatorie. Essi ispirano le intemperanze e i desiderii delle
deli

preparano

filtri

Adversus Graec. (18

ili

Migue, Patrol.

gr.

VI, p. 848), Ate-

Migne, Patrol. gr. VI, Contra Celsum, III, 27 (inPatrol.gr., v. pag. 953), Origene, 11, p. 268) Eusebio, Praep. ev. IV, 21 V, 2 Isidoro, Seni. Ili e. 6. Secondo Teodoreto la natnra dei demoni inBagora, Legato 2>ro
Christ. 27, (in
; ; ;

ma essi, soliti ad ingannare gii nomini, sogliono assumere forme a quelli estranee In Isaiae cap. XIII
corjporea,
:

T. 21

(Migne Patrol. gr. 81, p. 332) 'AocjjLaxoc; jjisv ouv xcv oaijxvcuv cpatc;, s^arcaTv oh zobc. vBptuTcoo? elcoOoTa,
TCostv.vooji Gyywiazr/..
i

c/XXv.oi. Tiva zo6xoi<^

Per Origene

non sono incorporei


lit di

demoni,

ma

essi

hanno una qua-

aXXo Ss
gr.

corpo che pure diversa da un corpo, Ttoiv otjxa X'. sxspov acfjLaxoi; (Convni. in Joann. XX, Patrol.

voi. 14, p. 638). Saremmo forse al non corpus, se quasi corpus, che gli Epicurei attribuivano ai loro di ? In ::epl py^^v I, 8 (Patrol. gr. voi. 11, p. 120) Origene spiega che i demoni sono detti incorporei a cagione della

estrema rarit dl loro corpo.

DI E DIAVOLI

.8.

99
Il

ricchezze e

le

ambizioni e gP inganni.

mendacio familiare ad

essi, giaccli vo-

gliono essere stimati di, e il loro capo il sommo degli di. Sono costoro che godono
delle libazioni e del

fumo

dei sacrifzii, dei

quali si fa pingue il loro spirito. Giacch esso si pasce e dei vapori e delle emanazioni
e di svariate altre cose, e del sangue e dell'odore dei sacrifzii si corrobora. ^' Abbiamo

dunque

qui, cornee facile vedere, quegli stessi

pensieri sui demoni, che agitavano di trepidanze e terrori gli animi cristiani. E l'idea
^^

nenta, presso Didot, Parisiis,

V. V edizione dello Herclier, Porpliyrii, De ahsti1858 (insieme con Aeliani,

De natura animalium
portato

ecc.). Questo passo (II, 42) rida EiiseMo, (Praep. evang. IV, 22 in Migne, Patrol. gr. l. voi. 21, x>. 304) e da Teodoreto, G-raec.

affeet.

curatio III

(in

Migne,
anzi

o.

e.

v.

83,

p.

880),
all^

il

quale ultimo lo cita

come appartenente
degli oracoli.

opera

di

Porfirio

sulla filosofa

altra

Molto
il

affine al passo di Porfirio e cetto dei

molto importante per

il

con-

demoni nel j)aganesimo


annunziano
all'

seguente passo di

Celso (presso Origene, Contra Celsum. Vili, 62)

Quei

demoni
e si

clie

uomo

e alla citt

il

futuro

occupano delle cose molatali, sono demoni terrestri, disfatti dalle carnali volutt, cupidi di sangue, di fumo e di canti e ad altre cose sitatte deditissimi, e di niun' altra cosa, superiore a queste, capaci . Celso aggiunge (presso Origene, ivi) doversi sacrificare ad essi solo in

quanto gioAd,
ragionevole .

giaccli

far

questo ad ogni eosto non

100

DI E DIAVOLI

.8.

che

tali

demoni annidandosi

nelle statue,

esercitassero misteriosa potenza, continu a turbare di angosce le timorose coscienze per

tutto

il

gende

cosi sbocciarono le legche attribuivano ai simulacri di Te:

medio evo e

Graf, Roma nelle memoriej ecc. II, 388-406), e circondavano di superstiziose paure la statua di Marte posta

nere fascini arcani

(v.

in sul lasso d' Arno {Inf. XIII, 144).

demoni avevano, come abbiamo vi^^ sto, pure una parziale conoscenza del vero. Ignorano la pura verit, dice Minucio Felice
i

Ma

{Od.

27),

e quella verit che essi conoscono,

non vogliono

confessare, per trarsi a rovina . E Cipriano {Quod idola dii non sint, 7): mescolano sempre alla verit le menzogne .

pi esplicitamente Lattanzio {Inst. II, 14, 6): essi sanno, s, molte cose, ma non
tutto, poich

nel consiglio fatto straordinario che gli scrittori cristiani chiamino con
^2

non lecito ad di Dio . Indi il

essi penetrare

otiriosa la

questa scienza

spiegazione clie d Tertulliano di degli di o demoni (Apol. 22). Secondo


:

lui ogni spirito alato

dunque

i
:

demoni
per

j>ossono

es-

sere nello stesso

tempo dappertutto

essi

non

vi lia

distanza. Perci essi giungono a conoscere tu.tto ci che

avviene altrove, e con V annunziarlo ai mortali si fanno credere essi stessi autori di ci che annunziano. V. anche
Agost.

De

(ivinaUone

daemomim,

3.

DI E DIAVOLI

.8.

101

aria di trionfo gli stessi antichi di

stare la

ad atteverit della nuova fede. Ecate ed

Apollo interrogati sopra Ges Cristo fecero testimonianza della saggezza e della santit di lui. Ecate rispose tra le altre cose:
di Cristo era, per la sua santit, per la sua alta piet, superiore a quella di

L'anima
gli

tutti

altri

uomini
ev.,

.
1).

(Porfirio

presso

Eusebio, Prae]).

YII,

Ed

Apollo Mi-

lesio consultato se Cristo fosse

uomo,

cos

risi30se:

egli

un dio o un era un uomo

secondo la carne; sai)iente i^er le sue opere miracolose; ma condannato dai tribunali
caldei,

inchiodato

sopra

una

croce,

ebbe

triste fine . (Lattanzio, Inst.,

Gli scrittori cristiani,


oracoli,

lY, 13, 11). che citano siffatti


for^'

ne menano trionfo come di una

zata confessione del vero.


e, 12), gare che Cristo fosse
(1.

Lattanzio

Sembra, dice che Apollo voglia ne-

un

dio.

Ma

se egli

confessa che

era mortale secondo la carne,


noi,

come diciamo anche


^^

ne segue che

se-

Anclie Ginstino, (Coiortatio ad Ch-aecos, 11, in Migne, Patrol. gr. VI, p. 264), dice ohe gli oracoli danno

ragione ai Gristianij e

ne apporta pure presso Eusebio, Praej). IX, 10, opera di Porfirio sugli oracoli. Cos billa vengono apportati e lodati da
lyoum
II,

nno,

che

si

trova

riportato dalla nota pru'e versi dalla SiTeofilo

(Ad Auto-

36 in Mig-ne, Fair. gr. VI, p. 1109).

102

DI E DIAVOLI

.8.

concio lo spirito egli

punto
verit,

fosse Dio, quello apche affermiamo noi.... Ma, stretto daUa

non pot negare P evidenza, come quando disse che Cristo era sapiente. Ohe rispondi dunque, o Apollo? Se era sapiente,
dunque
la dottrina

sua sapienza e niun^ al-

segue sapiente e non altri . La verit che anche gli oracoli, e cio quelli che li facevano parlare, partecipavano a quella
tra, chi la

tendenza di moderazine, d'imparzialit e di tolleranza, di cui troviamo pii tratti al declinare del mondo pagano. Alessandro Severo, ad esempio, aveva messo nella sua
cappella l'immagine di Cristo, insieme con

Abramo, Orfeo ed Apollonio (Lampridio,


Aless. Sev.

XXIX);

il

filosofo Porfirio,

che

pure era acre avversario dei Cristiani, cos

Era un santo, e come tutti i santi salito nei cieli. Guardati dunque dal bestemmiarlo, ed abbi compassione dell'umana folla. Giacch gran rischio v' che dall'omaggio dovuto a questo giusto s vada a cascare nella folla dei Cristiani . (Agostino, Civ. Dei XIX, 23). Ed anzi, vi ha pur qualche indizio che
giudicava di Cristo:

sia stata tentata la conciliazione tra la fede

cristiana e le

altre

antiche

fed

crollanti.

Era

il

sistema antico dei Eomani, d acce-

DI E DIAVOLI

.8.

103

giiere gli di stranieri, perch venissero a fare onorata compagnia ai loro di vetusti.

poco a poco Eoma era diventata come un immenso Panteon, ove tutte le divinit adorate sulla terra avevano immagine e culto,
ove
i

pi strani

riti

s'

intrecciavano

si

confondevano, e migliaia e migliaia di voci


levate al cielo dovevano

raggiungere ciascuna U nume patrio. Percli in questo consesso divino non entrerebbe ancbe Cristo f ISTon era egli una natura divina, adorata gi

prima di manifestarsi

nome
stema
sura
di
i

Non

si

mondo, sotto altro erano, appunto con tal sial

di identificazioni,

allargati

a dismi-

fatti

confini dell' Olimpo romano ! Ed inabbiamo notizia di qualcbe tentativo tal genere. llUc, diceva Adriano par-

lando di Alessandria (Yopisc.

Saturn.

8),

qui Serapem colunt Christiani simt, et devoti sunt Sera])i qui se Christi episcopos dicunt .

in

Eoma

stessa

qualche cosa di simile

tent Eliogabalo, clie dopo avere riunito, nel tempio dedicato a s stesso, tutti gli

oggetti d venerazione dei Eomani, voleva trasferirvi pure i culti giudaici e cristiani

(Lampridio, Heliog.
Cristo

3).

Ma

il

tentativo

fall.

non

volle esser confuso con gii altri


i

di, cio con

demoni. Egli doveva snidarli

104

DEI E DIAVOLI .8.

dalle loro sedi e volgerli in fuga, e costringerli a confessare per mezzo dei loro oracoli la divinit sua.

Era naturale, date


nessero anche
in pr della

le

credenze sulla

i^ar-

ziale verit degli oracoli,

che

gli scrittori po-

tali oracoli,

come argomenti

nuova

fede. Anzi, essi si appel-

larono imre ai cosiddetti oracoli sibillini. Sono, questi oracoli, carmi d' indole religiosa e sociale, che alcune stte giudaiche e cristiane andavano spargendo, adoperando il nome di sibillini, per conferire ad essi

maggior credito ed autorit presso


Il

gentili.

contenuto di questi carmi pseudo-sibil-

lini tratto in

gran parte dalle antiche pro-

fezie ebraiche e dalla

Ma

gli apologisti della

dommatica nuova fede

cristiana.
si lascia-

rono trarre in inganno, e attribuendo


oracoli
essi
alle
sibille dei

tali

novella
si

conferma

gentili trassero da alla loro dottrina.

Lattanzio
tali

richiama spesso all'autorit di oracoli (ad es. Div. inst. lY, 18 VII, 15),
5 :

ed Agostino cos racconta Flacciano, un uomo chiarissimo;, che fu anche proconsole e che alla grande facondia accoppiava la molta dottrina, mentre ci trovavamo un
giorno a discorrere di Cristo, mi present un codice greco, affermando che vi si conte-

DI E DIAVOLI .8.9.

105

ne vano mostr

carmi della Sibilla Eritrea; e mi in un certo punto come le iniziali


i

dei versi fossero in tale ordine, clie


ste insieme
(Civ. XpsicjTc Gso dI? atr/]p

comporendevano queste parole: 'Iyjgod?


Dei,

XYIII,

23).

Se gli di erano demoniache potenze, non si dovevano forse i)lacare con sagrifzii e con voti, perch non avessero a nuocerei La risposta dei llosofi cristiani fu che i de9.

moni non avevano facolt di nuocere, se non a coloro che li temevano e li adoravano.

Nocent

UH

quidein, sed

iis

quibiis

timentur, quos

manus

dei xotens
ce

et excelsa

non protegitf qui j^rofani sunt


veritatis

sacramento

(Latt.

Inst. II, 15,

2).

Se

gli di

propiziati con sagrifzii avevano finto di largire ai loro fedeli la liberazione dai mali,

non era in realt se non l' effetto di un' astuzia. Erano anzi essi stessi che cagionavano il male, per costringere gli uomini
ci
all'

adorazione

quando poi erano stanchi


si

allontanavano e gii uomini quindi credevano dovere ai loro bedei sacrifzii ottenuti,
neflzii la fine dei proprii dolori.

Questa dot-

106

DI E DIAVOLI

.9.

trina in Tertulliano, in Minucio Felice, in Cipriano, in Taziano, ecc.


^'*

Unico mezzo per


al culto del vero Dio.

vincerli di

cessare

ogni adorazione ed ogni culto, e passare

pone sotto tale usbergo, non lia paura dei demoni. Ohi invece sacrifica ad essi, si fa loro schiavo ed
si

OM

accresce sempre pi la loro potenza. curioso infatti il notare come i cristiani spie-

gassero gii

La

dei sacrifizii resi agli di. loro spiegazione identica a quella che
effetti

dava il neoplatonico Porfirio, nel passo che abbiamo sopra riportato (Espi Tuo^r;? [jn]>D)(cov
II,
42).
3^

Gli di, cio gli spiriti maligni,


:

si

Tertull., Apol. 22

Laedunt xvimo, dehinc remedia


sive contraria ;
.

jJ'aecvpiunt

ad miraculuin nova,
et

desinunt laedere

curasse creduntur

post quae Minucio, Oct. 27


:

ut ad Gultum sui cogani, ut nidore altarium vl Jiostiis peGudum saginati, rmissis quae constrinxerant, curasse vide-

antur . Cipriano, Quod idola dii nonsint, 1, (V. nota 30). Taziano, Adversus Chriecos, 18 (Migne, Fatrol. gr. VII,
p. 848)
Tiv
:

STTstov tcv
"Y]V

Y'ioopLicov

uajxvTcuv,

sTcpaYfJi.a'nsoavTo

noXaocuotv, TtooTfxsvoc vaov Kepi-(p<povzsq,

zobq vSpcuKoo^ s? t p^^aov rtoy.a6iaT(i)0'.v. Gerolamo, Le insidie e le malvage operazioni dei In Nalium, 7. demoni e a qnali mezzi essi ricorsero per farsi credere di, vedi pure presto Eusebio, Praep. ev. V, 2. Ed Eusebio stesso in IV, 21 indica i mezzi per non avere pi timore

di essi, per vincerli anzi e scacciarli non oracoli, non non tutte le altre arti diaboliclie : basta per saci'ifzii,
:

scacciarli professare ed imitare Cristo.

DI E DIAVOLI .9.

107

pascono del fumo e delle carni dei sagriflcii, e per virt di essi acquistano nuovo vigore e potenza ^^ Ut sibi pctbula nidoris et sanguinis 'proGiirent dice Tertulliano (Apol. 22). E Minucio Felice (Oct. 27) nidore altarium
vel

hostiis

pecudiiTR

saginati

parole

che

quasi testualmente riproduce Cipriano {Quod


idola ecc.
7).

Ed Arnobio

(VII, 3)

Nidorem

consectatur et fiimos pasciturq^iie de cnissis, quas evomunt ardentia viscera ^^ Il buon

Prudenzio inorridiva

al

pensiero cbe

Eoma

33

strare che

Anclie Euselbio {Praep. evang. IV, 15) Yiiol dimoi saorifzii si fanno solo ai demoni, e che cio
si

torto

credono

fatti

a divinit. Secondo Origene,

(Contra Celsum III, 37), gli di delle genti, cio i demoni, si aggirano intorno ai sacrifzii ed al sangue e alle offerte sacrificali, per ingannare quelli che non si rifugiano in Dio. ^^ Cos Origene, Contra Celsum III, 27; Atenagora, Legatio pr Christ. 27 sg. (in Migne, Fair. gr. voi. 6,
p. 953), Agostino,

lamo, Episi, ad
tuclo

De Civ. Dei III, Damasum Talis


:

20. Cfr.
est

anche Geromultivictimis ipsiua


et

aemomim
Jiostia,

quae per idola manufacta cruore pecudum


et

pascitur,

novissime

saginatiore

quadan>,

Jiominis morte,

sattiratiir .

punto, come in tanti


1.

altri,
:

anche in questo certa incoerenza in ArnoMo. Nel


Curiosa

Ili, e. 24, egli

domanda
dii

fruges henefacere

nisi enim tura et salsas accipiant nequetmt ; e nel VII, e. 28, cos dice :

Habent enim

dii nares

quihus ducant aereos spiritus,

ac-

cipiunt auras et remittunt, ut penetrare illos possint

nidorum

differentium quaitates ,

108

DI E DIAVOLI

.9.

stimasse di quegli spiriti

^"^

cui i>iaceva

san-

guinario costume (Contra

Symm. 1, 451

segg.):

liorrificos quos prodigialia coguut Credere moustra deos, qtios sauguiiioleutiis edendi Mos ixxvat, ut piuguis luco lanietur in alto

Viotima, Tsceribus multa Inter vina vorandis.

Ma

pi

esi)licito

Firmico Materno,

{De errore ecc. 13, 3). ]^el simulacro stesso di Serapide, egli dice, come in tutti gli altri,

si

accolgono
sj)iriti
il

x>er gli

assidui sacrifizii gii

immondi
time ed

dei demoni: giaccli le vitiDrofuso

sangue

per la continua

strage del bestiame, niun altro effetto hanno che questo: che la sostanza dei demoni,! quali

sono generati per i)rocreazione diabolica, nutra aijpunto di quel sangue . Dato tale concetto dei sacrifizii ed
sacro terrore che essi ispiravano

si

il

come nutri-

mento
''^~'

alle

potenze demoniache, naturale

Ad Agostino (Civ. Dei, IX, 23) non ripugna che demoni si cMamino dii, peroli tal nome avvalorato anche dalle sacre scrittm-e, come ad es. (Ps. 95, 4, 5) Omnes dii gentium, daemonia . E Agostino aggiunge
(1.

e.)

omnes ergo deos dixit, sed gentium,


,

id
.

est

quos

gentes
(Praej).

pr

diis

halent,

quae

sunt

daemonia

Eusebio

IV, 17 in Migne, Patr. gr. voi. 21, p. 287) dai

anche ai maggiori di. Era, Atena, Crono, Ares, Dionisio, Zeus, Febo, Apollo istesso, argomenta che dunque anch' essi erano demoni malvagi.
sacrifizii

umani

fatti

DI E DIAVOLI

.9.

109

che

proseliti della

nuova fede spiegassero

pia che mai vivace l'attivit loro i^er proscriverli ed abolirli. da sentire come suoni

minacciosa la rampogna sulle labbra di Origene {Exiortatio ad martyrmm, 45, in Patrol. gr.

voi. 11,

p. 622).

suadersi

che

vi

sieno

Egli non sa perancora coloro, che


il

stimino cosa indifferente


di.

sacrificare

agli

Costoro non considerano la natura dei

demoni, costoro ignorano che i demoni per rimanere in questo aere denso, che circonda
la terra,

dei
si

hanno bisogno di nutrirsi del fumo sacrifzii, e vanno perci spiando o^e elevi quel fumo, ove si elevino gV incensi,
il

ove scorra
ai ladroni,

sangue

delle vittime.

Se coloro,

aggiunge l'autore, che danno gli alimenti ai sicarii ed ai barbari nemici dell'imperatore, sono puniti come violatori
quanto pi dovrebbero essere puniti coloro che con i sacrifizii danno alidello Stato,

mento

della nequizia, e fan che essi si fermino vicino alla terra?

ai ministri

Questa invocazione di pene non and perduta nei secoli. Quando i Cristiani furono i vincitori, e padroni ormai dei pubblici
poteri,

colto

condannarono a morte chiunque fosse a compiere gli esecrandi sacrifzii. E

dall'anno 346 in poi tutto

un seguito

di

Ilo

DI E DIAVOLI .9.

editti nei quali o la

morte o

le

giori o

pi acerbi supplizii nacciati ai sacrificanti {Cod. Teodos.


i

pene magvengono mi-

XYI,
propi-

tit.

10, num. 4, 6, 7, 9, 12, 13, 23). Gli di non si dovevano dunque

ziare,

si

doveva

farsi vincere dalla


;

paura

che

essi

nuocessero

si

dovevano domare e

scacciare con la solenne professione del vero Dio. Bastava il nome del vero Dio, perch

questi

demoni fuggissero sgomenti dal corpo

degli ossessi. Esorcizzati in nome di Cristo, quegli di, cos temuti, del paganesimo, non

osavano mentire rivelavano la loro natura demoniaca e fuggivano. Ohi era forte della fede in Cristo non aveva dunque nulla a te:

mere dagli

di delle genti. E gli scrittori ripetutamente e con mirabile accordo parlan


di cotali prodigiosi effetti della parola divina

a mortificazione degli quasi in tono di sfida.

di. Tertulliano lo fa

Venga innanzi, egli dice (A])ol. 23), qualcuno di coloro che si credono invasati da un dio, che aspirano dal
il

fumo

degli altari rochi ed anelanti


CaeestiSy

nume

divino, e parlan

cotesta

medesima Virgo
cotesto

che annunzia

le pioggie,

Esculapio stesso che indica le medicine, e che a Socordio, a Tanatio e ad Asclepiadoro,


IDur destinati in altro

giorno a morire, pr-

DI E DIAYOLI

.9.

Ili

lungo la vita; se non confesseranno di esser demoni (poich essi non osano mentire ad un
Cristiano) ivi stesso versate
;

il

Cristiano, impudentissimo

Ma non a

sangue

di

quel
tal

confessione soltanto

si

limitava la misteriosa

divino. Bastava giurare nel nome di Cristo, perch gli di si torcessero ed infiammassero d' insana rabbia e

potenza del vero

nome

tremebondi si dessero alla fuga.""* Cotesto demone che tu adori, cos dice Firmico Materno,

nome

udito appena il di Dio e di Cristo comincia a tremare

{De errore ecc.

28),

e per rispondere alle interrogazioni nostre

pu a mala pena mettere assieme trepide


parole: stando nel corpo dell'uomo si sente dilacerato, bruciato, sferzato e tosto confessa
i

commessi
,

delitti .

Ed

altrove {De

errm^e ecc. 13)

I flagelli

della parola di-

vina hanno virt di castigare i vostri di, quando essi cominciano a nuocere agli uoOrigene, (Contra Celscm Vili, 64) rappresenta una battaglia qnasi tra gli angeli e i demoni, nel momento in cui tur uomo presta la sua adorazione al vero Dio.
38

Secondo Ini sono innumerevoli potest sacre, che pregano per noi, che combattono per noi, perch essi vedono i demoni pugnar contro e cercar di nuocere alla
salvezza di quelli che si danno a Dio, sperati con chi rifugge dall' onorarli col
tari e col sanome.
li

vedono esadegli al-

fumo

112

DI E DIAVOLI

.9.

mini

vostri

eli,

quando prendono stanca

nel corpo degli nomini, sono tormentati dal fuoco delle fiamme spirituali del Dio vero:
quelli
clie

da voi sono onorati quali

di,

presso di noi soggiacciono, per virt di Cristo, ai nostri comandi e, bench repugnanti,

sopportano le pratiche espiatrici della nostra fede e i tormenti e, vinti, sono sottoposti alle

pene vendicatrici
{Oct. 27)
:

altrimenti Minucio

Lo stesso Saturno e Serapide e Giove e qualunque altro dei demoni adorati da voi, vinti dai tormenti, svelano la loro natura n si pu certo ammettere che essi,

specialmente alla presenza vostra, mentiscano x^^i' desiderio d' ignominia. Credete

dunque

alla loro parola,

che essi sieno de-

moni. Giacch esorcizzati in

nome

del vero

ed unico Dio,

essi, repugnanti, miserandi, nei corpi umani in cui sono, inorridiscono e o balzan fuori d'un tratto o a poco a
;

poco
il

si dileguano . Segue presso Minucio concetto che essi temano e fuggano i Cri-

stiani,

gendo

e che perci appunto vadano sparnegli animi degli ignari V odio contro

trova largamente sviluppato e spiegato da Lattanzio {Instit. Y, 21). Secondo Lattanzio stesso (Inst.
di essi.
il

concetto che

si

TI, 15)

demoni temoni

giusti, cio coloro

DI E DL4lV0LI .9.

113

clie

adorano Dio: esorcizzati nel nome di

Dio, essi tosto escono dai corpi; flagellati dalle parole dei suoi cultori non solo essi

confessano di essere demoni,

ma

rivelano

anche

nomi

loro,

quei medesimi

nomi che

sono adorati nei templi.

pure Prudenzio
106):
virtiis qiiatit,

ha (Hymn.
Haec

I, Tcspl oT'fvcov,

His modis spurctim latronem martyrura


coercet, torquet, luit.

Con

la indicazione di lurido ladrone jjer


il

demonio, Prudenzio adopera una immagine, che a quanto ci riferisce Tasignificare

ziano {Aclv. GraecoSf 18, q Migne, Fair. YI, p. 848) Giustino aveva usata ed aveva cos

che come i ladroni rapiscono gli uomini ancor vivi e dipoi, pattuito ed ottenuto il riscatto, li rilasciano, cos anche
giustificata,

quelli

stimavano di, s'impadronivano degli animi umani e dipoi, sodi

che

gentili

disfatti i desiderii loro di sacrifzii e di offerte, li


(AjwtJi.,

liberavano

^^

Prudenzio stesso

402 sgg.)

lercussiis

Christi

Torqiietur Apollo Nomine nec fulmina verM Ferro


tot verlyera lingiiae .

poteste agitant
^^

miseriim

demoni V appellativo
12:
x'Jj

In altra significazione applica Taziano agli di o cfr. Adversus Graecos, di ladroni


"^

'

Gcpiv

^sXzripicf T:p(;
X-^a.tal

x v.svoo6e,siv zpaKBVZBc,

v.r/.l

:cpYjviaavTe<;

^^zf\xoQ

-(syso^ai Tupos6ofX'r]Q7joav.
S

Pascal,.

114

DI E DIAYOLI .9.10,

Questa rapijresentazione degli piterignes.


antichi di, trepidi e sgomenti per virt della divina parola, una delle i)iii frequenti negli scrittori cristiani, n cale apportare i)i altre

poco dopo (41S):jEiulat

et notos

susinrat

Iii])-

testimonianze

ci

baster citare

Oiixcano

(Qiiod idola, ecc.

Lattanzio {Inst.

Demetrianum, 15), 7, VII, 21; v. anche i luoghi


8,

Ad

sopra apportati), Teoflo (Ad Autol. II,

in

Migne,

Patrol. gr. YI, p. 1061).

10.

Ma

gli

di,

snidati

dai

corpi degli

uomini, non ismettevano perci la loro demoniaca potenza. Essi avevano i^ur sempre
sede nei templi, si nascondevano nelle statue consacrate. Bisognava distruggere quelle sedi, per disxjerderli, x>er annientarli. Quelle
sedi stesse anzi erano opera loro: fu
il

dia3),

volo, secondo Tertulliano (De idololatria,

che import nel


simulacri.
**^
''^

mondo

gli

artefici

delle

statue e delle immagini e di ogni genere di

Dato

il

concetto clie

pli e degli idoli

i Cristiani avevano dei temcome opere demoniache e sedi dei de-

naturale che essi sputassero contro di essi. L' accusatore dei Cristiani nelF Ootavius di Minucio Fe-

moni,

lice cos dice di essi (o. 8)

tempia ut Mtsta despiciunt,

DI E DIAVOLI .10.

115

Contro
inesorabile

tali artefici
:

il

fiero apologista

egii

vorrebbe addirittura am-

putare quelle mani esecrande (De idololatria, 7). I^ gli basta imprecare ad essi soltanto tutti gli altri artefici, cbe concorrono
:

al

lavoro di ornamento o di costruzione di

debbono esser del ijari sembra qui (ivi, 8). acceso di quella medesima ira potente ed indomita elle gi infiammava gli scrittori
temigli, are, edicole,

maledetti

Tertulliano

biblici

contro

gl'idoli
di

loro adoratori.

Agli antichi passi

Salomone, di Geremia,

dei salmi, dell'Esodo, studiosamente raccolti


Deos desjD^mni, rident sacra . Origene {Contra CeUum, Vili, 38) nega questi sfregi ed insulti dei Cristiani contro Giove, Apollo o qualsiasi altro dio; ed apporta questa ragione, che i Cristiani hanno imparato dalla divina parola a benedire, non a maledire, affinch la loro lingma non si abitui alla bestemmia. Ma non si i)u dav-

vero pretendere che un Cristiano stimasse, o stimi tuttora, fare oijora indegna col maledire o disx)regiare i

demoni,
jjrecise

il che logico e naturale. E v' attestazioni di fatto. D'm mortul

ha del resto
et

dii

unum
.

sunt, dice Tertulliano

(De

spect.

13),

wtraqiie idololatria

ahstinemus : nec minus tenpla qiiam monumenta desjpicimus E in Idolol. 11 Quo ore Christianus ttirarms, si iter
:

tempia transibit, jquo ore fwmantes aras despiiet, et exswfflaMt quiius ipse prospexit ? . E Prudenzio, Contra Symm,
orat. I,

579

quota pars

est,

Quae Ioys

infectaiu sanie

non

clesiraat

aram?

116

DI E DIAVOLI .10.

da Oii3riano (Testimonia^
p.
13i

III, 59, Opera, v. I,


le

160 Hartel), fan riscontro

parole ben

impetuose e veementi
lo stesso

clelP Apocalisse,
:

che

Cipriano riporta

Se alcuno

adora la bestia (diavolo) e il simulacro di lui, e prende il suo segno in su la fponte o


in su la
dell' ira di

mano, anch'

egli

berr del vino

lice della

Dio, mesciuto tutto puro nel casua ira, e sar tormentato con

fuoco e zolfo, nel cospetto dei Santi Angeli e dell'Agnello, e il fumo del tormento salir

nei secoli dei scoli

(14, 9-11).

Era pi

mite, pur nell' ira veemente, l'imprecazione

liei
:

martirio di Eulalia

(tusdI

otsco.,

Mymn.

Ili,

126 sgg.)

Mart.yr ad ista JiiJiil, sed enini Infremit inque tyi'anni oculos Sputa iacit: simulacra deliinc

Dissipat impositamque molam Turibulis pede prosubigit.

Tralascio altre testimonianze

credo xier avvertire


di-

che tale uso non serviva solo a denotare V estremo


sxirezzo,

aveva proljalbilmente origine in una superstizione jioiiolare molto antica. Credo cio die anche nel paganesimo fosse x^opolare V nso di sputar contro le persone o le cose in cui
spirito
si

ma

credeva avesse
i

j)osto sede

uno

maligno. Gli epilettici e


tali

deva fossero invasati da

maniaci infatti si cresj)iriti ed era usuale gettar


:

lo sputo per scacciare lo spirito. Cfr. Plauto, Ca;pt. 550 llic isti qui insjutatur morms interdum venti ; Plinio, H.

N. XXVIII,
T
toiv
Y]

4, 7,

35

e Teofrasto, Carati. 16
tc,

}j.aiv}Jievv

sK'ik'f\Kzov

cppt^a?

v.Xtcov TCToai.

DI E DIA.YOLI .10.

117

gagliarda dell'antico cantore dei salmi (Sal-

mi

135, 15-18)

G' idoli delle

argento ed oro, opera Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e

genti sono di mani d'uomini.

non veggono, hanno orecchi e non odono ed anche non hanno fiato alcnno nella loro
bocca.
Simili

ad

essi

sieno

quelli

che

li

fanno e chiunque in
per
i

essi si confida *\

Ma

Cristiani quei bronzi

quei
inerte,
:

marmi
senza

non erano materia bruta ed


vista,

senza udito e senza alito

abitava in-

vece in essi una misteriosa potenza, perturbatrice della vita umana. Essi parteciparono alla credenza comune del paganesimo, che le
statue fossero animate. Statiuts animatas
sensu,
(si

legge nel pagano Dialogo

Ad Ascle-

tanta et talia facienimim), statuas fiiturorii/n inaescias . Per gli tes;


et spiritii ])enas,
''^

Questi

antichi

passi

sacri furono

naturalmente

apportati spessissimo dagli scrittori cristiani in questa lotta contro g' idoli. Cfr. Tertull. Be icolol. 4, lo, ecc. ;

Origene, Cantra Celsum, HI, 37; JExhort. ad martirmm 45.

EuseMo,
log.

Praex.

evang.,

TV, 16; Agostino,

Vili, 24, 2, ecc. Cfr. anche

De civ. Commodiano, Carmen


:

dei;

apo-

740 sgg.:
l^am
et comminatiir tleoriim ctiltoribus ipse Sacriflcans idolis periet in morte seciinda. Quiqiie deos ergo seqnitur fabricatos in amo,

Argento ve!

Cnm

lapide, ligno vel aeramine fasos, ipsis nfelix mittetnr in igne proectus.

118
s]3iriti

DI E DIAVOLI .10.
.

abitatori delle statue erano per

Cri-

malvagi e nemici. Sicch, se a tutte le sacre autorit del passato si congiungeva il religioso terrore, che dentro quei bronzi e
stiani,

quei

marmi ponessero

loro insidiosa stanza

gii spiriti demoniaci, si

pu immaginare con

qual trepido ardore si aspirasse alla dispersione di quegli esecrandi pegni diabolici, e

con quale impeto prorompesse il grido abbattete Togliete, togliete, con animo tran:
!

quillo, o santissimi imperatori, gii

ornamenti

dei templi, cos dice Firmico Materno {JDe errore jrof. relig. 28, 6), abbruciate cotesti di,

convertite in vostro proftto e in x)ropriet vostra tutte le rendite. Quando avrete distrutto
i

templi, avrete
.

maggior merito

di virt di-

nanzi a Dio

E il

merito era palese, giacch,

come

sostiene Agostino per inculcare la distruzione dei templi {De civ. Dei Y, 26), le cose

terrene

non debbono essere in potest dei demoni, ma del Dio vero. E Agostino stesso, quando volle vedere abbattuti anche a Car:

tagine gi' idoli, trov nel fervore della sua convinzione accenti non meno caldi Dio
lo vuole,

egli esclama.

dato. Dio lo ciato a compiere l'opera sua de verMs lsahni 82).

Dio lo ha comanha predetto. Dio ha gi comin!

{SerTii.

XXIV,

DI E DIAVOLI .10.

119

Oom'
tori

noto, u

il

popolo, n
si

gi'

impera-

rimasero sordi a

siffatte voci.

In altre

trover qualche fugace accenno a questa storia di devastazione. poco a poco l'umanit si chiuse

pagine di questo

volume

angosciosa nelle trepidanze d' oltretomba ov' era sorriso di arte, ov' erano ville e citt
:

fiorenti,

fu squallore e deserto.

sulla ro-

vina immensa della civilt e

dell'

arte ancristia-

tica trionf, grandioso e terribile,

il

nesimo

trionf

come

furia che irrompe ed

invade, come forza che domina e vince. Ma gii di antichi non morirono. Distrutti i
loro templi e
i

cora per

il

mondo

loro simulacri, vagarono angii di della giovinezza


:

e dell' amore, gii di giocondi del lavoro e della vita, divenuti ormai demoni, turba-

rono di terrori e di angosce


:

1'

umanit

tre-

pidante rosseggiarono tra lingue di faoco, urlarono sopra cime arroventate, flagellarono con ghigno feroce e tra grida selvagge i
peccatori maledetti, essi, che composti a dignit maestosa e solenne avevano ispirato
le

concezioni pi serene

dell'arte

avevano accompagnato

Eoma

antica, vittoriosa su

tutte le vie della civilt e della gloria.


~JC*-

II.

L' ultimo canto


e la fine

romano

del paganesimo.

]^eir

anno 416

dell'

ra volgare
^

il

poeta
per

Eutilio l!famaziano

abbandonava
tradizioni
virt.

Eoma

ritornare

nella Gallia nativa.

Egli aveva

nella sua famiglia

nobili di paIl

triottismo e di civili

padre suo

Lacanio, durante il governo della Toscana, aveva dato belle prove di moderazione e di giustizia. Quando il figliuolo giunse a Pisa
e vide nel fro della citt la statna del pa^

dre suo, e seppe che i vecchi 1' additavano ai loro figli quale effigie di un uomo che
era stato esempio di

carattere

costante

mite, ebbe bella testimonianza dell' affetto e della venerazione che tutt' ora circonda-

memoria paterna. E con compiacenza ramment egli pure come di niun alvano
tro
la
ufficio

pi

si

dichiarasse

contento

il

Vedi

Carni. I, 135-6.

124

l'

ultimo canto romano

padre suo, che di questo


cose sacre, n la fettura di Eoma,

n questura, n
;

la cura delle
la stessa pre-

ufi&ci ambiti per fulgore di fasto e di potenza, avevano potuto scuotere nel suo animo la iDreferenza che egli

dava a questo

uflcio

meno

alto,

ma

nel

quale trovava cos vivace e sincera la corrispondenza di affetto con i suoi buoni Pisani.

tale scuola fu educato il figliuolo, che anch' egli segu la via dei pubblici uf-

fici,

alla

giunse, probabilmente nel 414, fino carica suprema di praefecttis iirM ^


e

aveva aperto le sue porte al mondo intero, aveva largito ad esso i benefizii della sua civilt e delle sue leggi, ed ora poteva

Eoma

uno

straniero,

un

gallo, venire

a governarla,

avere la giurisdizione sul suo territorio e presiedere il Senato ed amministrar la giustizia.


l'
*

EutUio sentiva tutta

alta carica, e

quando

gii

maest deltocc abbandola

nare

Eoma

per tornare

nella

sua terra

natale, nella quale orde di barbari avevano sparso desolazione e squallore, gii salirono
2 3

Carm.

1,

573-590.

157-160. Circa la data vedi Matliis, 1, Buiilo Claudio Namaskino. Torino, 1900, pag. 12. '^ Circa le attribuzioni del 2iraefeetus urbi cf'r. Carm.
I,

Carm.

159-160

Cassiodoro, Var.,

6,

4, ecc.

E LA FINE DEL PAGANESIMO

125
alla citt

animo i cari ricordi. E dea Roma e a Venere genitrice della


dal fondo dell'
f'

preghiera che gii rendessero propizio il viaggio, in premio dell' avere egli bene amQuirino, di avere sempre onorato e consultato l' Augusto Senato

ministrato

diritti di

di

Eoma.

Ed aggiunse

che mi sia

dato chiudere la vita nella mia patria o che un giorno tu, o Eoma, sarai restituita agli
occhi
anzi al
miei, io sar fortunato e giunger sommo di ogni mio voto, se tu ti

degnerai di ricordarti sempre di me . Cos al poeta che parte si presenta qual conforto la speranza, che 1' opera sua sar proseguita
diletta.

di

buona memoria
egli,

nella sua citt

Del suo viaggio


dett

per

l'

giunto in patria, in versi, la quale, e importanza storica e per il valore poe-

una descrizione
i

tico,

tra

monumenti

piti

notevoli nella

letteratura del

V secolo,

l^oi ci
;

faremo per

poco suoi compagni di viaggio egli ci parler di cose nobili e belle, ed evocher ricordi che parranno diffondere attraverso il buio dei secoli una luce di gloria.
^

Carm.

1,

155 e segg.

126

l'

ultimo canto romano

Devastazioni

gueiTesche,

che

avevano

sparso la miseria e l'orrore nella sua patria, cliiamavano il jjoeta ai fondi aviti. Non

pi lecito, egli dice, pi oltre ignorare quelle l' diuturne rovine indugio del soccorrere
:

le

ha

moltii)licate.

Dojjo

fieri

incendi nei

dilaniati fondi, ora

tempo

di far sorgere
"

almeno capanne da pastori. E dopo questo primo accenno di desolazione, un altro pi grave ci asi)etta: Gi stanchi degli
ami^lessi della cara

Eoma, siamo abbattuti

Scegliamo la via di mare, giacche le vie piane di terra sono inondate dai gonfi fiumi, e sono aspre le
e
il

ne tarda

partire.

pianura etrusca e la via Aurelia sono state devastate col ferro o col fuoco dalle gotiche mani, e sono

erte dei monti.

Dopoch

la

state distrutte le case nei

campi ed

ponti

sui fiumi, meglio afldare le vele all'incerto mare '. Sono brevi tratti, ma ci i^tqsentano uno spettacolo di squallore. E per

carme, qua e l, ricomparisce questa triste nota deserto, solitudine e barbarie


tutto
il
:

ov' erano
G 7

prima
1, I,

ville ridenti e floride citt.

Carm.
Carm.

27-34. 35-42.

E LA PINE DEL PAGANJ]SIMO

127

e tanto splendore di camiji e tanto fervore


di

opere umane. Sopra tutto questo pas-

sato

un
da

soffio

distruttore.

dov' pi

la

vantata sicurezza di tutte


pero,

le strade dell'

im-

Eoma

capitale

lino

agii estremi

mondo ? Poco pi di due secoli un oratore greco, diletto a Marco Auprima, relio, Elio Aristide, cos diceva in una magnifica invocazione a Eoma Ora Elleni
confini del
:

e barbari possono girare


ficolt

ovunque senza
loro,

dif-

portando seco le proprie sostanze, come se andassero da ima patria in un' altra n sono temibili le
fuori del

paese

Egitto, n i monti impraticabili, n gii smisurati torrenti, n le selvaggie trib ; i)er esser sicuro basta esl'

porte verso l'Arabia e

cilicie

le strette

sabbiose vie attra-

sere

cittadino

romano,

o,

meglio,

suddito

vostro. Il detto omerico: 'la terra

comune

a tutti

'

voi avete fatto realt. Avete misu-

rato tutta ]a terra, avete gettato dovunque i ponti sui fiumi, costruite le vie nei monti, coperti i deserti di popoli, e tutto nobilitato

con l'ordine e la disciplina


^

pure po-

Aelii Aristidis Smyrnaei quae supersunt, II, Berolini,

Weidmaiui, 1898, pag. 121, Roma. La traduzione da noi

100-101 deir Orazione a

i)osta del professore

Dante

Vaglieri {Fanftilla della Dovienica, 1 felblbraio 1903).

128

l'

ultimo canto romano

chi anni ijrinia

vantava
si

Eutilio, Olaudiano ancor che alla sapiente politica di Eoma


eli

dovesse la facilit dei viaggi e lo

strin-

gersi di tutti i popoli in una famiglia sola: Lo straniero ormai dovunque come in

casa sua; facile mutar sede, un giuoco ormai veder Tuie e penetrare nei recessi una
volta orrendi
fonti del
;

possiamo

abbeverarci alle
;

Eodano e a quelle dell' Oronte siamo tutti una famiglia sola ^


Qui
il

poeta cortigiano, per inneggiare a Stilicone, non ha voluto accorgersi dei mali che lo circondavano ha attinto agli inni
:

di altri

tempi l'ispirazione

al precoiio

ma-

quello stesso Stilicone, il cui secondo consolato egli celebrava in questo


gnifico
;

ma

carme, era condottiero di orde devastatrici

ed egli stesso dissanguatore di popolo^"; e proprio nei tempi suoi, i tempi che prece-

dono immediatamente
pubbliche
condizioni

quelli
si

di Eutilio, le

fanno quanto mai

II Cons.

SUliGonis, 154-9.

Zosimo, V, 1. Difende Stilicone dalle accuse di Zosimo e di Eunai^io il Vogt, De CI. Claudiani carminum
quae Stilicoiem ^praeMcant fide liistorGa, Bonnae/ 1863, pag. 15 e segg. I frammenti delle storie di Eunapio vedi presso Miieller, Fragm. histor. Gr., TV, 7-56.

E lA PINE DEL PAGANESIMO

129

miserevoli;

" a tal segno che piuttosto che avventurarsi a lunghi viaggi, non era prudente, ad un patrizio, passeggiare sulla via

Appia/- Simmaco, nello scrivere ad un amico ]o avverte che egli stesso non pu uscire
fuori le porte di

Eoma, perch
ci

la

campagna
corrispon-

infestata

dai malviventi/'

La

denza di Simmaco
zioni del
tratta di
il

d anche,

sulle condi-

tempo suo, ragguagli preziosi. Si un uomo buono e prono a vedere

bene dappertutto, e a considerare con

largo sentimento d'indulgenza tutte le cose umane ; egli anzi loda il tempo suo, nel quale
l'istruzione diffusa e
la
il

merito dischiude

eppure con tanta inclinazione benevola per il mondo, qualche volta par che una nube gli oscuri la fronte e una
via agii onori;
esitanza angosciosa gli turbi l'anima. Egli

**

vede la pubblica fortuna esausta,

il

fsco di-

voratore di tutto, la terra non pi produt^^ tiva. Se avesse avuto anima pi ardente

meno
^^

indurita

nella

lunga pratica del

^-

Vedi Tamassia, L^agonia di Boma. Pisa, 1894. Per tutta questa parte vedi pure la classica opera

di G. Boissier,
i3 1*
15

La

fin chi paganisme,- 11, pag.

155 e seg.

Ep.
Ep.

II, 22.

Ili, 43.
I,

V, 63;

5.
9

C. Pascai..

130

l'ultimo canto rMaK

mondo

ufficiale,

avrebbe forse trovato negli

sdegni generosi, accenti di vero e veemente dolore, quali li trov il nostro E-utilio, clie

parve sentire come un ultimo fremito di romana grandezza, e se avesse avuto sguardo pi profondo avrebbe visto die ben pi alta
era la cancrena roditrice
il
;

ed avrebbe avuto

presentimento della prossima fine, quel presentimento che faceva dire a Gerolamo
:

niente fu pi forte e pi saldo dell' impero romano, cos ora sul " finire delle cose niente pi debole, quel presentimento che a Olaudiano stesso fer

Come

sul principio

mava
tenza,

l'

estro magnifcatore della

gli strappava dall' Ahim di angoscia dove caddero grido la forza del Lazio e la potenza di Eoma
:
!

romana poanimo questo

poco a poco siamo ormai diventati l'ombra di noi stessi ^^

con questo decadere di tutte le pubbliche cose cresceva spaventosa la miseria. Eoma ebbe qualche volta a soffrire la fame.

Le ricchezze del mondo avevano preso ormai altra via le provincie erano stanche
:

di nutrire

loro spese la superba regina.

^^
i^

Hieronymi, In Dan., 11.


Bell.
Glia.,
I,

44-45.

liA

Fine dei. pagaMesdo.

131
clie

G' imperatori stessi

avevano ordinato

grano dell'Egitto fosse diretto a Costantinopoli. Invano Simmaco aveva scongiurato l'imperatore che soccorresse la Citt eterna, i)riva delle sue risorse e clie non
tutto
il

aveva pi
il

il

modo

di vivere.

^^

Durante

la

ribellione di

Gildone fu impedito dal ribelle

trasporto del

])ero

grano dall'Africa, e si ebquindi giorni di desolazione suprema.

Claudiano, abbattuto

allora

una
si

dolente, faceva efficace dipintura della dea Eoma


e

mentre
;

lagnava con Giove dell'avverso fato ma non era pi la dea superba, fulgida di bellezza e di potenza aveva languida la voce e tardo il passo, e gii ocelli infossati
;

macilento l'aspetto, ed a Giove diceva non ti supplico io gi che il console romano


:

festeggi l'abbattuto Arasse, n che le nostre scuri opprimano i Persi armati di faretra
;

n che
arene
;

nostre aquile si posino sulle rosse tutto questo a noi davi un giorno,
le

ora io,

Eoma,

ti

chiedo solo

il

pane

abbi

piet, ottimo padre, della gente tua, difendici dalla fame estrema ^\ Eutilio non ebbe
18

JEpist.,
1^

X, 55, 57.

Bell. OUa., 31-36. Molto simile a quella di Claudiano la rappresentazione di Roma, che si trova nella seconda met del secolo V in Sidonio Apollinare, nel

132

l'ultimo canto eomano

questi

momenti
:

di abbattimento e sconforto,

ne rappresent mai
zione ultima

Eoma

Roma

in questa abbiela vittoriosa eterna nei

cui destini immutabili egli aveva fede inconcussa. Ed era tale questa fede, che pur tra mezzo alle angscie ed ai pericoli di volta
in volta rinno vantisi, e all'insolente scorazzar vittorioso dei Goti, egli affermava so-

lenne

Eoma non

muore.
gli altri imperi,

Quel che morte per

egli dice, forza per te; tu rinasci, anzi ti


fai i)i

grande per

tuoi stessi mali.

Su

via.

Pauegirieo in onore di Avito. Anche ivi Roma rammenta con rimpianto a Giove la sua passata grandezza, ed cos descritta (v. 45 e seg.)
:

Ciim

procxil erecta caeli

Pigios

Eoma

de parte traliebatgradus, curvato cemna collo

Peudent crines de vertice, tecti non galea clipeus impingitiu' aegris Gressibns et pondus, non trror, fertnr in liasta.
Ora
ferens.
PiilTere,
:

Della fame da cui fu travagliata Eoma nel 412 durante la invasione dei Goti, cos scrive Gerolamo (Epist. ad Prnciiram) Capitur nrbs quae totum cepit orbem,

imo fame perit antequam gladio,


rentur inventi suut.

et ax

pauci qui cape-

Ad nefandos cibos erupit esurientium rabies et siia invicem membra laniarunt, diim mter non parcit lactenti infantiae et recipit, utero quem paulo ante
effuderat , Nattu'almente questo qiiadro nella
finale di una.
:

immagine

non

si

ripugnante esagerazione ma la fantasia eccita a tali esagerazioni se non dinanzi allo spet-

tacolo di enormi mali.

LA. FINE

DEL PAGANESIMO.

133

cada vittima alfine la sacrilega gente; sottopongano i Goti al tuo giogo il i)ei'fido
collo.

Le

terre da te
;

pacificate

ti

mandino
colmino
ari

ricchi tribnti
di ricchezze

le spoglie dei barbari


il

a te

grembo venerando;
te,

in eterno
il

il

Eeno per
;

in

eterno per te

Nilo inondi l'Egitto; la terra fertile alimenti te sua nutrice l' Africa a te mandi
le

sue messi feconde.... e frattanto ridiventi


il

Lazio, e scorrano dai pingui torchi gl'itali vini, e il Tevere stesso cinto della sua
fertile

sue acque agii usi dei tuoi cittadini e scarichi a te dalle


le

canna trionfale assoggetti

tranquille sue rive di


della

qua

ricchi prodotti

campagna

e di l quelli del

mare

^^

Bel sogno di opulenza e di sana e operosa prosperit; n si pu senza commozione pensare a questo sognatore, che
della

pur nel giorno


della

sventura non ha disperato della gran-

dezza di Eoma.
citt

Ohe anzi l'immagine


la fantasia.

regina gii sta radiosa dinanzi alla niente

e g' infiamma

Non

pi la

squallida dea, disfatta dalle sue pene e dai suoi dolori, che si umilia all'onta dell'abie-

zione estrema, quale vedemmo rappresentata da Olaudiano, ma la regina che memore


2^

Carni., I, 139-152.

134
d tutti
i

l'

ultimo canto eomano

beuetzi largiti al

mondo

e fssa su-

IDerbo lo sguardo nell'avvenire e vi ravvisa ancor la vittoria, l^ulla di pi magnifico clie

questo saluto a Eoma, saluto evocatore delle passate grandezze Te non ritard la Libia
:

infiammate sue arene, te non respinse con l' Orsa armata del suo gelo per quanto spale
;

zio la natura

polo e l'altro del mondo abitabile, per tanto la terra fu aperta al tuo valore. Tu hai fatto a diverse
tra

ha disteso

un

patria sola pure a coloro che non volevano essere a te soggetti giov il tuo dominio. Tu hai dato ai vinti la comunanza del

genti

una

tu hai fatto una citt di quel che prima era l'universo '\ Questo superbo inno rivolto ad una regina caduta ci commuove
tuo
diritto,

molto pi delle glorificazioni di lei, fatte nel fulgore della sua potenza. Certamente il motivo i)oetico non era nuovo. Anche Olaudiano non sempre ebbe dinanzi alla fantasia quelle tetre visioni di squallore e di fame.

Quando l'animo

gii si rinfranc di

alcuna

speranza che il suo Stilicone potesse difendere Boma e quasi rinnovarne i destini, allora lev pi alta l'ala al canto suo; e, per
celebrare
2i

il

secondo consolato di Stilicone,


59-6(>.

Carm.

I,

E LA

FESTE

DEL PAGANESIMO.

135

inneggi a Eoma, madre delle armi e del diritto, a Eoma che dopo la disfatta era

sempre risorta pi fiera e pi grande, a Eoma che aveva accolto, nel suo seno i popoli vinti, e aveva loro largito i diritti di ^^ cittadini. Ma se Olaudiano vedeva in Stivindice della romana grandezza, non poteva avere tale conforto. Stilicone ora non era pi; ma ad ogni modo egli per Eutilio non era stato che un tradi'^ tore dell'impero. E Eutilio non vedeva
licone
il

Entilio

d'intorno a s che segni precursori di rovina: estendersi sempre pi la potenza cristiana,


397),

che egli stima pestis contagia (I, e[ l' impero patteggiare con i barbari, e
pretesto

questi, col

dfella^nuova religione,

devastare, saccheggiare, distruggere i templi antichi, proscrivere gli antichi riti. Tanto

dunque ha maggiore importanza


zione che
nit di
il

l'afferma-

poeta fa

(I,

129-140) della eteril

Eoma. Per comprendere

signifi-

cato di tale affermazione, bisogna ricordare come la questione dibattuta suUa eternit
di

Eoma

era allora

un

episodio di un'acre
si

lotta

religiosa.

poich

tratta

di

una

22

II

Cotis.

Stilic.

130-154.

23

Carm,,

II,

42-3.

136

l'ultimo canto eomano

lotta tra le pi

memorabili

dell' umanit,

poich in questa lotta Rutilio stesso ebbe la sua parte di combattimento, noi, prima di
leggere quei versi,
fatti e alle idee,

vogliamo accennare
li

ai

che

hanno

ispirati.
il

L'eternit di

Roma

poeti latini e la dalla prima ei30ca imperiale. Yergilio nell' Eneide fa che Giove stesso x)rometta a Ve-

sogno dei fede fervida del popolo fino

era stata

nere

fati eterni di

Roma

(I,

277 e seg.)

7m

ego nec metas rerum nec tempora pono, Impe-

rium

Yergilio stesso, per F eternit ai carmi suoi, augura auspicare che essi dimno quanto la rocca capitolina e

sine fine

de di.

il

Senato di

Roma

(IX, 446-9):

si quid mea carmina possunt Nulla dies unqtiam memori vos eximet aevo, Dum domus Aeneae Capitoli inmobile saxnm

Accolet imperiunique pater Romantis habebit.

l^OTL altrimenti

Orazio

(Ccf/rm. Ili, 30, 8)

augurava che la sua gloria potesse crescere sempre rinnovellata, fino a che il Pontefice con la tacita vergine salirebbe il Campidoglio; ed Ovidio (Met. XY, 877):
Quaque
j)fitet

domiti

Romana

poteutia terris

Ore legar populi, perque omnia saeoula fama Si quid liabent veri vatnm praesagia. vivam.

L'affermazione di

tal

magnifico presagio

E LA FINE DEL PAGANESIMO.

137

continu superba per tutti i secoli della vita romana. La troviamo in Frontino, in

Ausonio, in Amniiano Marcellino, nelle iscrizioni, nelle monete. Un ignoto poeta greco
in

una

bella

ode

saffica

Eoma

cos le
di-

dice:

Il

tempo che tutto abbatte e

strugge, e che in varie guise trasforma la vita, a te ha dato prospero ed eterno l'im-

Ed era, come gi dicemmo, pure perio . fervida fede del popolo. Secondo ui^a no"*

tizia

conservata da Cassio Dione, un oracolo della Sibilla diceva che il Campidoglio


sarebbe a capo della terra abitata sino alla dissoluzione del inondo. ^^ ^el 66 dopo C,
/

^*

L' ode oontentita nel Florilegio di Stobeo

(VII,

pag. 312, Hense) ed attribiiita alla poetessa Melimi o di Lesbo. Da Stobeo il nome 'Pcujti interpretata come " forza e r ode stessa si crede diretta alla '^ Forza
13,
,,

,,.

figlia di Marte, ,, e primo verso invoca Roma tutta V ode mostra ohe si tratta proprio della citt di Roma e che V ode stessa da attribuire ad uno scrittore
il
''

Ma

Circa 1' eternit di Roma deir et imperiale. confronta pure il voto di Elio Ai'istide, nella orazione a
greco

Roma

sopra citata,
T']V

109

[Qsoi izdvzsg v.al 6s{v icacosi;]

tovTU)V

aioivo? v.a\
v.a\

jxv]

pX'^v T7]v8s Y,a\ KXcy T*/]vSs 8XXstv 8i' reaeoSai Tcplv av jJLSpoc xs itsjs SaXaxtTjC

Svopa ^pi BXXovxa Kaa'qxai.


^^

Dione,

Excerpta

vatic,

154:

SipXXv](;

}(p7]ojji?

cpdoTisxo KaiwfccuXtov KStpXatov soef)ai

x'fic,

olxoo[Jivv](; fJis)(pt

138

l'ultimo

c.ys^TO

romano
1'

quando Eorna
fratelli

risorse dalle sue ceneri,

Ae~

ternitas im/perii

divenne una divinit, ed i Arvali nell'ofirire ad essa i sacrifizi


ci

annunziavano d far

ob detecta nefa/rio-

rum

Consilia, e

cio

per

essersi svelate le

trame di coloro che volevano distruggere Eoma. *^ Ora nella credenza popolare era
che questa eterna durata di Eoma venisse assicurata dalla durata di alcuni oggetti e

monumenti, che erano considerati come

firmamenta imperii. Tali erano j libri sibillini, l'ancile di Kuma, il fuoco di Vesta, i simulacri del porticiis ad nationes. ^' Era naturale che contro tali firmamenta imperii pi si appuntassero le mire rabbiose di tutti i

nemici di Eoma.

avevano P anima tutta piena dei sogni mistici dell' Oriente ed asQuesti

nemici

setata di vendetta contro

Eoma,
spoglie e

la

dominatrice, carica delle


verso. Tutto
lare,

dell'

superba Uni-

un genere
delle

di letteratura popo-

quello

Apocalissi

dei

Carmi

trattazione clie ne
^^

questa parte mi Tbaster riferirmi alla lio fatta in Atene e Roma, maggio 1901, rix3ubblicata in Fatti e leggende diBoma antica, pag. 156-163.
26 pgj,

tijtta

Cfr. la
e nelle

bella trattazione del Graf, in

Boma

nelle

memorie

immaginazioni del medio

evo, 1,

203 e seg.

e vedi pure voi, II, cap. XXII, pag. 470 e seguenti.

E L FINE DEL PAGANESIMO

139

lseudosiillim

a quest' unico tema: Podio contro Eoma, che era la tufior

intorno

trice della

ingiustizia sul

mondo, e ijareva
il

simboleggiare la violenza e
stringendo
tributi
i
il

sopruso, cola

mondo
i

intero a pagarle con

suoi ozi beati.

Dopo

prima perdi
il

secuzione contro

cristiani quest' odio di-

prorompe con parole fuoco nell'Apocalisse di San Giovanni:

vampa

terribile e

visionario

inebbriato

dal

i)ensiero

che

morte, cordoglio e fame ]3ossano piombare


sulla

nuova Babilonia, che Dio


col

stesso possa

distruggerla
di

fuoco

(caj).

XYIII).

Ma

non meno veementi erano

imprecazioni carmi che alcune stte cristiane queiL

le

spargevano sotto il nome di Sibillini. Era un nome accortamente scelto, per far trovare ad essi facile accesso presso il popolo ed autorit alle loro fosche predizioni.

L'imprecazione in questi carmi violenta: Eoma deve perire, la sua ricchezza dileguarsi, il fuoco invaderla tutta, il suo
suolo deve essere occupato dai lupi e dalle
volpi.

Ed

il

tristo

cantore

domanda con

il tuo Palghigno feroce: dove ladio? Dove saranno allora Giove e tutti gli di che tu adoravi? (Vili, 43-5). E poi-

sar allora

ch era nelle profezie che

Boma

durerebbe

140

l'

ultimo canto romano


le

sino alla fine del

mondo,

si

congiunsero

due credenze, e la distruzione di Roma, sede e capitale dell'impero, si mise in rapporto con la universale distruzione cosmica.

Cos Gerolamo, Bi Dan. 11.

-^

Questa forma
i

presso i3arecclii scrittori cristiani,

quali

cercarono mostrare
sero ragione di
l)regassero

non avesodiare l'impero; come anzi


come
essi
l'

Dio die conservasse


la fine

impero,

giacche sajjevano che


^^

dell'impero

il

Imjjortantissiino
Quaest.
:

tal

riguardo

passo

di

Gerolamo,

Algasiae

{Opera, Parisiis,

1706, IV,

Nisi, inquit [Paultis] fuerit Eomantun impag. 209) perium ante desolatum et Antichristus praecesserit, Clxri-

non veniet, qui ideo ita venturus est, ut Anticliristum destruat. Meministis, ait, qnod liaec ipsa qiiae ntinc
stus

scribo

per

epistolam,
et

sermone narrabam,

ventiu'um, nisi detineat scitis ut reveletur in suo tempore, lioo est quae causa sit ut Antichristus in praesentiarum non veniat
dicere Bomanwm imperium destruenimperant aeternum putant . A proijsito di qiieste parole, giova il notare che V interpretazione di Gerolamo proprio quella che del

cum apnd vos essem praesenti dicebam vobis Christnm non esse praecessisset Antichristus. Et nunc quid

optime nostis. Neo vult


ipsi qui

dnm, quod

passo di Paolo io

detti

nelF opuscolo

svlV Incendio

Boma. Eppure quella interpretazione cagion da parte


degli scrittori cattolici cos vivaci proteste fosche j)redizioni fa nobile contrasto il bel
!

queste

carme di

Roma
.di

Prudenzio (Contra SynimacM OraUonem), che esaltando redenta alla gloria di Cristo, d ad essa la missione
2>erpetxi.are la

pace sul mondo

(II,

638 e seg.).

E LA FINE DEL PAGANESIMO

141

avrebbe

annunziato

la

fine

del

mondo.

dosi Tertulliano nelP Axmlog., cap. XXXII, e nel Liber ad Scapulam, cap. II. In Lattanzio invece la profezia ricomparisce nella sua forma pi violenta (Div. Inst., YII, 15).

Le

sibille stesse, egli dice, lian vatici-

nato che

Dio, fu nemica di giustizia e trucid il popolo alunno di verit . E facile riconoscere cbe

Eoma cadrebbe e per giudizio di perch Eoma odi il nome di Dio, e

Lattanzio attinse qui ad uno di quei carmi


divulgati sotto
dei
cristiani,
il

nome

di sibillini dai giudi

sitibondi
le

vendetta contro

Eoma, dopo
stiani

la

persecuzioni contro i cridistruzione di Gerusalemme.


dice

Quando

le viscere della terra italiana sa-

ranno dilaniate,
(IV, sino

uno di tali cantori fiamma si slancer 127), quando al vasto cielo, consumando le citt, fala
gli

cendo perire

uomini, riempiendo Paria immensa di una nuvola di cenere oscura,


le goccie, rosse

quando dranno

sangue, cadall'alto, allora ravvisate la collera di Dio, che viene a vendicare la morte dei suoi giusti . naturale che i firmamenta
il

come

imperii fossero ritenuti principal cagione della superbia di Eoma, e deUa sicurezza

balda e tranquilla, con la quale essa pareva

142
sfidare
i

t/ ut.timo

canto romano

Agostino allude ad essi quando dice (De Civ. Dei, II, 29) che il fuoco di Vesta e la rocca capitolina non potranno assicurajre l'eternit; ed altrove,
secoli.

alludendo alP impero di Eoma, cos dice: Quelli che promisero l' eternit ai re-

gni terreni, non sono stati addotti dalla verit, ma hanno mentito per adulazione
{Sermo

CY

de verMs

stino stesso ci

Lucae, 11). Agoha conservato il lamento di

ev.

questi ultimi pagani: Ohristianis tempori-

bus Eomaperit {Serm.


Sirmondi,

LXXXI=XXXIII
fremeva nelle co-

Ma

di

De verMs evang. Mattliaei, 18). mano in mano che Eoma periva,


e

di dileggiare e sopprimere quei misteriori pegni della eternit sua. carme cristiano dell'anno 394,

tanto pi si agitava scienze avversarie la

brama

Un

che tutta una satira mordace contro

pa-

gani, cos accenna con iseherno ai firmamenta imierii'. <^ O voi, che venerate i boschi e
e la selva ida, e il Campidoglio eccelso di Giove, e il Palladio, e i lari di Priamo e il santuario di Vesta, dite
l'

antro della

sibilla,

ors, cotesto vostro Giove, per

convert in cigno ? convert in pioggia d'oro?


si

amor di Leda per amor di Danae si

cos continua di

tutto

il

carme quasi in tono sprezzante

E LA FINE DEL PAGANESIMO

143

vittoria

(cfr.

Baehrens, Foetae latini minores,


oggetto di venecnlto, e che pnre al
riteiunti

ILI, p. 287).

Dei

libri sibillini, altro

razione e di

fervido

tempo diEutilio erano


i/ni2)erii, si

firmamentum
avesse brninvet-

disse che Stilicone

li

ciati.

^^

Di qni muovono

le violente

*^

tarono

Delle -accuse rivolte da Eutilio a Stilicone dispuil Wernsdorff nell' Excursus Vili a Entilio, pail

gina 196 e SGgg., deir edizione Lemaire, e

Mathis, nel-

V opera citata, Butilio Claudio Naviasiano, pag. 75 e segg. Il Wernsdorff crede falsa la notizia dei libri sibillini

dati alle fiamme, e lo argomenta dal fatto che di ci non si trova notizia negli ordini imperiali e che gli altri
scrittori

ne tacciono.

-un

argomento ex

silentio,

che

qni non miv_^pare abbia valore di fronte alla precisa attestazione di uno scrittore contemporaneo. I passi che
il il

Wernsdorff adduce da scrittori che indicano, secondo suo avviso, i carmi sibillini come ancora esistenti, non
:

mi pare che giovino all' assunto qualcuno di essi non li indica come esistenti e quanto agli altri da notare che possono riferirsi a tempo anteriore che Rutlio sembra indicare la distruzione come proditoria e segreta, e che ad ogid modo in mezzo alla collxivie di carmi che
,

correvano

'sotto il

nome

di sibillini, questi scrittori pote-

vano anche non discernere i genuini dai falsi. Il Mathis poi mette in rilievo la natura religiosa
politica delle accuse di" Rutilio
;

ma

quel

che

egli

ag-

giunge (pag. 77) circa


nale non
di quei

mi par ben nemici che mossero Onorio contro Stilicone, e le accuse contenute nel carme sarebbero 1' eco di quelle
delle quali si

sospetto di una animosit persofondato. Eutilio sarebbe stato uno


il

erano avvalsi quei nemici.

Il

che mi pare

144
tive
(II,

l'ultimo canto romako

del

nostro

Eutilio

contro

Stilicone
l'

35 e segg.).

La natura tem

invidia

nemici di Eoma) e stim le Alpi troppo piccolo riparo alle nordiche minacce.... Cos
(dei

Eoma

fino dall' inizio merit esser

munita

ebbe per s solleciti gli di. Tanto pi dunque malvagio il delitto del crudele Stilicone, che trad gli arcani
di pi difese, ed

imperio. Il suo bieco furore per sopravvivere alla stirpe romana confuse, le pi
dell'

basse cose con le pi

alte.

E temendo

tutto

quanto egli stesso per essere temuto aveva fatto, import le armi barbariche alla rovina del Lazio. Egli pose il nemico armato nelle viscere nude dell'impero, con inganno pi
turpe che non fosse l'inganno dell'apportata rovina. E a satelliti coperti di pelli Eoma
era dischiusa, schiava prima ancora
di
es-

sere presa. ]^ solo con le gotiche armi inferoc quel traditore ; prima aveva distrutto
col fuoco
il

presidio che a
ISToi

Eoma veniva

dai

suoi orcoli sibillini.


la

morte procurata
;

al

odiamo Altea per figlio consumando il

fatale tizzone

gli augelli,

come

lama, an-

in contraddizione con quanto FA., inunediataniente dopo, giustamente osserva circa la responsabilit
olie sia

Onorio nella x)resa di' Eoma, nella distruzione dei templi anticlii e nei maltrattamenti ai pagani.
di

E LA FINE DEL PAGANESIMO

145

cor piangono il crine vstrappato a Niso; ma Stilicoiie volle distruggere i pegni fatali deleternit dell'impero, rovinarne i fati ancora fiorenti. Si dileguino tutti i tormenti che dil'

laniano gi nel Tartaro Kerone, un'

ombra

pi

trista

consumi

le faci

stigie;

IS^erone

colp una mortale, Stilicone una immortale; quegli la madre sua, questi la madre del

mondo

Cos parlava Eutilio di Stilicone,

poco dopo di Olaudiano, che in lui aveva sperato il restauratore dell' impero. E certamente in queste veementi invettive da ravvisare
il

prorompere di tutto

lo

sdegno del

poeta per la soverchia soggezione di Stilicone alle pretese dei cristiani. Questi ultimi
'"

Il

vandalo Stilicone era cristiano,

ma

probabile

clie

non

fosse acre persecutore dei pagani, e che atten-

Ma

desse (o forse provocasse ?) gli ordini imperiali per agire. che egli non lasciasse sfuggire occasione per morti-

pagano, pur probabile. Noto 1' episodio moglie sua Serena ohe nel tempio della Magna Mater strapp dal simulacro della dea la preziosa collana e i)er
ficare il culto

della

dileggio se

ne cinse

il

collo (Zosimo,

V,

38).

Fu

Stilicone

che bruci

i libri sibillini

(Eutilio, II, 52), fu Stilicone

che fece togliere le lamine d' oro dalle porte del Campidoglio (Zosimo, V, 38), fu Stilicone che apr Roma a
qne nemici che erano feroci odiatori dei pagani e che nel sacco di Alarico avevano risparmiato solo quelli che essi ritrovarono rinchiusi nelle chiese cristiane.
C, Pascal, 10

146

l'

ultimo canto romano

pagani avevano l'anima esacerbata dal trionfo degli avversari, che crescevano sempre pi
in potenza,
loro,

sempre pi affermavano Pantorit sempre pi nei vari campi della vita

pubblica disputavano il terreno ai j)agani, e cercavano abbattere dalle radici il loro culto.
Potenti per numero, per audacia,
di fede, essi
ijer

ardore

met
che

del secolo iv,

avevano proseguito, nella seconda una lotta ad oltranza,

devastazione tutte le provincie dell'impero. ^on star io a rammentare i


sj)arse di

particolari
]30ich

memvu^andi di quella lotta

ma

degli attacchi di Eutilio contro i cristiani, sar ojjportuno dire qualche parola sul modo onde quella
lotta si era manifestata.

dovremo pur parlare

In quella lotta i cristiani avevano preso arditamente l'offensiva; ^^ i pagani sostene-

vano pressoch disperatamente la difensiva, cercando salvare quanto pi potevano dei

^^

Importante a tal riguardo V editto promulgato

uel 423 dagli imperatori Onorio e Teodosio (Cod. Theod., XVI, tit. 10, n. 24). Se i giudei e i pagani sono tranquilli,

dice
i

editto, e nulla

osino
torit

cristiani fare

ad

essi violenza,

tentano di turbolento, non abusando dell' au-

ranno

lor religione. Se faranno violenza o se rapiloro beni, saranno condannati al triplo ed al quadruplo della cosa rapita .

di
i

E LA FINE DEL PAGANESIMO

147

loro diritti, dei loro templi, delle istituzioni il mondo si allontanava ornai da loro.

Ma

essi.

Ogni imperatore

barbari, cbe l)oi3olarit e

e ogni condottiero di voleva avere largo seguito e


di liberale
si

fama
Il

scbierava
ci

contro di

essi.

codice teodosiano

qualclie sprazzo

di luce,

che fa risaltare di

foscbi colori questa

lotta

memoranda.

Un

editto, probabilmente dell'anno 346, stabiliva che chiunque adorasse templi pagani,

chiunque compisse

sacrifizi, fosse

dannato a

morte: gladio ultore sternatiir (Cod. Theod., XYI, "^tit. 10, 4). E cos morte o proscrizione

vengono minacciate
editti del

ai

pagani nei posteriori


381
(ivi, n. 7).

356

(ivi, n. 6) e del

pagani resistevano ancora, e resistettero pur dopo che l'imperatore minacci ad


i

Ma

essi

pi

fieri

supplizi:

acerMoris immineMt

swpiMcii crueiatus (anno 385, ivi n. 9). Grli ordini severissimi si susseguirono, crescendo ognor di ferocia contro l'odiata fede (editti
del 392, ivi n. 12; del 395, ivi n. 13). finalmente nel 423 si ebbe prova della mansue-

tudine e della clemenza imperiale in una legge che disponeva: I pagani che ancora

rimangono, se saranno sorpresi nel compiere i loro esecrandi sacrifizi, bench avrebbero dovuto essere gi tutti dannati a morte.

148

l'

ultimo

CA.1vT0

eomano

pure sieno puniti con la confisca dei beni e ^^ con l'esilio (ivi, n. 23).
Cosi
fin
il

paganesimo.

E gii ultimi adora-

per le ove non tardarono a raggiungerli campagne, gii editti imperiali. Se vi sono ancor templi nei campi,, dispone una legge del 399 (ivi,
n. 16),
tutti.

tori degli di disprezzati si dispersero

senza rumore e tumulto

si

abbattano

Giacch distrutti

templi, aggiuuge,

non

avr pi alimento la superstizione .

Ed

Onorio nel 408 ordinava:

Se ancora riman-

gono statue nei templi e nei santuari, sieno rimosse dalle loro sedi (ivi, n. 19). Accanto
meraviglia di trovare anche editti imperiali che cercavano di salvare
tali ordini, ci fa

templi dalle furie devastatrici. Probabilmente ogni volta che qualche voce autoi

revole giungeva al trono^in difesa delle antiche opere d' arte, gV imperatori si muo-

vevano in

loro favore. Giacch quasi

sempre

addotta la ragione dell' arte per giustificare

^^

importante xjure

il

titolo

del libro

XVI

del

Codice Teodosiano, ov' tutta lina serie di editti (nn. 44, 46, 47, 51, 54, 56, 58 e 63) dei primi anni del secolo V,
editti
elle
i

stabiliscono

contro
li
:

gli eretici e i

pagani, e
li

contro

magistrati eie non


le

denunziano e non

pu-

niscono,

proscrizione, deportazione, confisca dei beni e persino la morte.

pene maggiori

E LA FINE DEL PAGANESBIO

149

l'ordine della conservazione. L'arte che era

ormai cadente, sopravviveva alla fede, e impetrava per essa nemici. Cos Teodosio il rispetto dei suoi
stata ispirata dalla fede

domand che
fizi

si

lasciasse aperto
si

un tempio
10, n. 8);

a condizione che non vi


e voti (God. Tlieo.

facessero' sacritit.

XYI,

cos

Onorio pubblic una legge che proibiva di distruggere le opere d'arte che erano nei
(ivi,

templi pagani

n. 15).

Altra volta altra


saltali

ragione era apportata o invocata per varli, e cio l'opportunit di dedicare


edifizi

ad usi
fu

civili.

^^

Ma
di

una

fiacca difesa.

Una

fosca follia

distruzione

aveva invaso

eii

animi.

^*

Da Agostino, Epist. ad Maximum Madanr., risulta che alciuii templi erano stati adibiti ad altri usi. Confronta nella citata orazione di Libanio (pag. 26 Goth.)
2^
:

Che necessit sono volgere ad

^*

v' di distruggere i templi, se si pos-

altro uso

Libanio nella orazione Pro temj^Us fa una efficace dipintura di questi fanatici distruttori Corrono ai tem:

portando legna e pietre e ferro: quelli che non ne hanno, portano contro di essi le mani ed i piedi.... Ai sacerpli,

doti conAdene o tacere o morire. Abbattuti i


si

primi templi, corre ai secondi ed ai terzi, si accumulano trofei a trofei contro la legge tua.... Passano per i campi come torrenti
devastatori
:

giacch quando hanno abbattuto

un tempio

in uji campo, il campo stesso perde la sua luce' e la sua vita e giace immerso nello squallore .

150

l'ultimo canto romaj^o

San Martino, vescovo di Tours, marciava alla testa dei suoi monaci per dil^eWa, Galli a,

struggere
cri.
^'

templi, gl'idoli e gli alberi saIsella Siria il vescovo Marcello dii


i

strusse tutti

magnifici

nella sua diocesi di

templi che erano ^" Si trov diApama.

nanzi
loro

maestoso tempio di Griove, con le sue colonne formate di pietra collegate tra
al

con piombo e
suo

ferro.

Contro

quella

immensa mole pareva


la

dovesse

spuntarsi

rabbia del

piccone;
stesse

eppure non
colonne,

pos quella furia sterminatrice. Si distrussero


si

le

fondamenta
il

delle

adoper tempio croll. il vescovo Marcello volle incedere trionil

fuoco

ed

fante

alle

nuove

vittorie

e continu pei

villaggi la sua marcia di devastazione. Fu ucciso in uno di tali comj^attimenti , e il

siuodo

proclam

che egli

aveva dato

la

vita in servigio di Dio. Ad Alessandria si era accesa pi fervida la lotta (389-391). I

pagani
3^

si

erano collegati in una

suprema
De
Beati

Sxilpieio Severo, Dialogi, III, im. 9 e 10;


vita,

nn. 10-14. (V. Sulpici Severi, 0;pera, Lugd. Batav. 1647, pp. 471-9 576 e seg.).
Martini
^^
eccl.,
;

Sozomeno, Rist. eccl., VII, 15 Teodoreto, Sist. V, 21. Teodoreto si esalta a tal narrazione e cMama
,

Marcello

uomo

divino e pieno di apostolico fervore.

E LA FINE DEL PAGANESIMO


-difesa

151
;

per salvare il tempio di Serapide il vescovo Teoflo ne aveva decretato la distruzione.

quando venne

l'ordine di Teodosio,

favorevole a Teotlo,

qiiesti si scagli su di esso con furia selvaggia, lo ridusse un mucchio di rovine, depred le riccliissime spoglie, distrusse la gloriosa biblioteca di Ales-

200,000 volumi, tutto il j)atrimonio inestimabile della sapienza ellesandria,


^^

ricca

di

che star pi oltre a rammentare io questa storia di rovina 1 1 pagani avevano ormai l' anima colma, satura di un sentinica.

mento che era insieme


e di
gl'

di rimpianto, di odio

sprezzo.

A
si

poco a poco per ordine de-

soppressero tutte le spese del culto pagano, si confiscarono tutti i beni dei templi. E quando Graziano e poi Yalen-

imperatori

tiniano fecero togliere dalla sala del senato


3^

siis,

Didot,

Etmapio, Vita di Edesio, ediz. Boissonade, Pari1849 (nel vokime PMlostratorum et Calli472)
,

strati

opera, ecc., p.

Teodoreto, JSistoria
distruzione,

ecel.,

Y,
:

Ennapio dice rimase il basamento del tempio, clie essi non potettero asportare, perch non si potevano rimuovere gli enormi
la

22.

Dopo aver narrato

massi

Teodoreto finisce questo capitolo con

le

parole

in tutte le parti del mondo furono abbattuti i templi dei demoni . Agostiao approvava la distruzione dei templi per questa ragione, cbe anche le
Allo stesso

modo

cose terrene

ma

non debbono essere in potest dei demoni, del Dio vero (De Civ. Dei, V, 26).

152
di

l'ultimo (janto romano


la statua della Vittoria,

Eoma

che pareva

ultimo simbolo della grandezza passata, invano pagani per bocca di Simmaco eleva-

rono

ultime proteste. Quest'uomo di solito cos compassato, cos freddo, cos disposto a
le

scansare gli urti della vita e a passare in

mezzo
tico

al

mondo con un

sorriso tra lo scet-

V indulgente, quest' uomo parve levarsi a non usata altezza per difendere la statua die simboleggiava la gloria di Eoma.
e

Kella sua orazione egli fnge che la citt


stessa prenda la parola di fronte
all'

imperail

tore e gii dica mondo sotto il

Questo culto fece cadere


riti
i

mio impero, questi

hanno

respinto Annibale dalle

mura

Galli dal

Campidoglio

Simmaco
desimi

I^oi
il

poco appresso cos dice contempliamo tutti i me-

astri,

viviamo nello modo onde ciascuno cerca


basta
sto

medesimo cielo ci comune, stesso mondo. Ohe importa il


la

verit

I^on

un solo cammino per giungere a queimmenso mistero . Ma n in nome del-

l'arte,

u in nome della libert di pensiero i pagani giunsero a salvare il patrimonio della loro fede. Il medioevo parve con una
leggende penetrare il senso ascoso della vittoria del cristianesimo
sulle antiche istituzioni

delle sue misteriose

romane.

la

leg-

E LA PINE DEL PAGANESIMO

153
fa-

genda fu quella

della Salvatio

Bomae, un

voleggiato edlfzio nobilissimo, la cui idea germogli forse nella fantasia popolare dal-

V ammirazione del magnifico portictis ad ncitiones, ove erano le statue simboliche di


tutti
i

popoli vinti.

^^

Or,

genda,

quaodo nacque
precipit con

secondo la legCristo, la SavaUo


^^

Bomae

tutte le sue statue.

commovente lo pagani, che in mezzo

Ma

spettacolo
al crollo

di

questi

di tutte le

loro cose pii care si stringono con fervore di venerazione intorno alla immagine glo-

posta sulla tomba di Paolina, moglie di Yettio Agorio


riosa
di

Eoma.
uno

L' iscrizione

Pretestat,

dei grandi personaggi del-

l'impero, d alla buona consorte questa lode, che essa fu amica della verit e delPonore,
^^ 39

Graf,
Ales.

Roma

nelle memorie,

Neckam, De

ecc. I, 201, e segg. naturis rerum, lib. II, cap. 174.


i

altrimenti

dicevano
ci

pagani contemporanei di
Sirmondi) de
:

Riitilio.

Agostino in Servi.
18,

LXXXI (XXXIII
conserva
!

verMs evang. Matthaei


Christianis tem^orius

il

loro lamento

pagani non

si

Tali giudzi dei perii fondavano solo sulla mancata adorazione

Roma

tori ecclesiastici, tori cristiani,

degl' idoli, ragione questa piti volte confutata dagli scritma altres sulla politica degl' impera-

come
:

si

ad MarcelUnum

Ut quid antem ad

trae da Agostino, Epist. CXXXVIII illud respondeam

qu.od dicunt, per qtiosdam imperatores christianos multa mala imperio accidisse romano ?

154

l'

ULTniO CANTO EOMANO

fedele agii di e devota ai loro templi, che am suo marito pi che s stessa, ma pi

ancora di
Inscr.

suo marito

am Eoma

(Corpus

VI., 1779). E il nostro Eutilio, pure in mezzo a tanti tracolli e a tante ro-

L.

vine, esortava

Eoma

a non diffidare della

sua sorte

essa sola

non doveva temere


(I,

la

conocchia fatale delle Parche


di pi grandioso di

134).

E^uUa

questo spettacolo, di Eoma che cade e trova in questo suo supremo cantore ancora accenti di fierezza antica Finch staranno le terre, finch il
:

cielo porti

gli

astri,

il

tempo

di

tua vita

non
che
tuo
:

sar soggetto
gli altri

a termine alcuno. Quel

imperi dissolve, rii)ara l'imperio

tu rinasci pi grande dai tuoi stessi mali . Ahim! fu vano vaticinio!

Al tempo di Eutilio anche in Eoma la devastazione era cominciata. Per quanto si vogliano attenuare o accettare con le pi

ampie riserve le informazioni che ci vengono da alcuni scrittori, pure non si pu ad esse negare ogni valore. I^el sermone
che Agostino tenne ai Eomani dopo vasione di Alarico {Serm. OV de
l'

in-

veri).

E LA PINE DEL PAGANESIMO

155
fos-

evang.

Lue, XI)

egli

rammenta come

sero stati gi in Eoma da alcnni anni atterrati tutti i simulacri degli di; e nel-

l'anno 403 San Gerolamo cos scrive (Hieron.


JE]}.

glio
i

LYII, ad Laetam) L' aureo Campido ormai immerso nello squallore. Tutti
:

templi di

Eoma

sono neri per fuligiue:

le

ragnatele
Il

si

stendono sotto
si

le loro volte....

popolo, passando, frettoloso dinanzi


.

ai

templi crollati a met,


dei martiri

avvia ai sepolcri

poco dopo rammenta alla pia Laeta, come un titolo di onore per la sua famiglia, che il suo congiunto Gracco,
prefetto della citt, aveva fatto distruggere qualche aniio prima la gTotta di Mitra e

molti simulacri adorati dal popolo e fatto battezzare sulle lro rovine. E

si
il

era

desimo fatto rammentato a titolo X3ur da Prudenzio, Cantra Symm. orationem,


I,

med'onore

del

561 e segg. In un sermone tenuto prima 399 a Cartagine ^"j Agostino , volendo
i

difendere

cristiani
al

che avevano tolto la

barba dorata
*o

simulacro di Ercole, esorta

il Sermone XXIV de verhis Psalmi, 82 {Serm. 6 Sirmondi). anteriore al 399 ; il clie si deduce dal fatto che non vi menzione degli editti di Onorio di qnelr anno, i quali avrebbero serAdto alF oratore per la sua
tesi.

V- qui ap^sresso

La

clisirusione

degV idoli

in

Bomci.

156
i

l' UT.TIMO

CANTO ROMANO

Cartaginesi a imitare V esempio di Eoma, ove gi Ercole non pi, anzi tutti gli di sono stati abbattuti. Ad ogni modo il magdegli edifzi di Eoma rimaneva ancora in piedi. J^elF anno 403 il poeta Olau-

gior

numero

diano mostrava ad Onorio

dall' alto

della

torre imperiale il tempio maestoso di Giove Tonante sul Campidoglio e gli innumerevoli archi trionfali
tutti ond' era

e
lo

gli

altri

monumenti
si

denso
'"^

spazio che

sten-

deva

alla vista

V occhio, egli dice, rimane

abbagliato dal lampo dei metalli, e il fulgore dell'oro tutto intorno diffuso accieca
la vista trej)idante {De

Hon., 52-53). nostro Rutilio, pochi anni dopo, poteva ancora celebrare quei grandiosi monumenti

VI cons.

il

Gli occhi,

vagando da un punto

all' altro.

'^^

Questa osservazione fu gi fatta dal Gregoroviiis,

(Storia di
I,
iJ.

GrF imperatori fiu'ono per qualche temj)o pi 45),


Roma,
j)^

Boma

1,

I.

cap. II, ediz. ital. di Eoina, 1900,

toUerairti con

quanto riguarda la conserva(Pro


teivplis

zione del culto pagano.


ediz.

Da Libanio

p. 20-21,

Gothofredo)

risulta

clie i sacrifizi vietati

altrove

erano permessi a Roma. Furono poi anche a Roma vietati da Valentiniano nel 391 (Cod. Theod. XVI, tit. 10,
n. 11).
festivit

Ma

fino a quell'

pagane e furono

epoca continuarono cerimonie e erette statue ed altari, come

dato

deduiTe da parecchie iscrizioni (V. Lanciani,

Noiizie degli scavi, 1883, p. 481).

E LA FINE DEL PAGANESIMO

157

sono abbagliati, egli dice


falgore dei templi
;

(I,

95 e segg.), al
di

gli

stessi

trebbero avere sedi pi belle. dei rivi sospesi sopra volte aeree a tale

non poOhe dir io


al-

tezza elle neppur le nubi y leverebbe Irif

Queste moli

si

elevano a guisa di monti

un'opera cos gigantesca perfino la Grecia loderebbe. I fiumi sono intercettati tra le tue mura: eccelse terme con-

insino al cielo:

sumano laghi

interi....

che dir delle selve

rinchiuse entro le case i stesse, ove gli augelli prigionieri con vario canto gorgheggiano!

Ogni stagione raddolcita

dalla tua prima-

vera eterna; lo stesso inverno, vinto, conserva a te le tue delizie. Leva in alto, o
cinge il crine e nelle verdi sue fronde tu rinno velia il tuo sacro

Eoma,

l'alloro

che

ti

capo canuto: l'aureo diadema irraggi la sua luce dal tuo elmo turrito: l'aureo tuo scudo
in eterno

lampeggi.

Cos Eutilio che vedeva ancora integre


e fulgide le sembianze di Eoma antica. dopo di lui, ahim, quanta rovina! Il suo

Ma

fu veramente l'ultimo

canto. Pochi

anni

dopo, uno sciagurato

editto

imperiale stai

biliva che le cappelle, i templi, se ancor ve n' erano in piedi,

santuari,

dovessero

tutti distruggersi, e per espiazione

dovesse

158
Ijiantarvisi

l'ultimo canto romano

segno della croce (Codice Tlieocl., XVI, 10, 25). ISTulla v' ha che provi, come si tentato pi. volte sostenere, che
il

su

questo editto non fosse applicato anche a Eoma. * E quale non fu la distruzione! Durante quel (Irainina^ pietoso a quando
il rimpianto per la reche cade. Un ignoto poeta gina maestosa mette in bocca a Eoma queste parole di

a quando

si

leva

rimpianto
brata

Io

non
di

so pi qual fui, apstessa....

pena mi ricordo

me

fui

cele-

un giorno per il mondo intero: or non mi si concede neppure di ricordare la mia caduta (Wernsdorff, Poetae Latini
non si prestava alla interpretazione clie dovessero essere salvati, purch vi si piantasse temxjli sii la croce, ma solo che la croce si piantasse per espiaL' editto
^^

zione

sulle

rovine.

Dice infatti
si

fana, tempia, deluhra,


X)raecepto

Cunctaque eorum qua etiam nuno restant integra,


:

magistratuum destrui ooUocationeque venerandae Christianae religionis signi ex^nari praecipinius . possibile quindi che gi prima dell' editto molti templi
infatti
tit.

fossero stati assegnati al culto cristiano. Alcuni editti del 408, del 414, ecc. (V. Cod. Tieod., XVI,
5,

nn. 43, 54, 57) espropriavano gli edifzi pagani assegnavano alle chiese. Ed Agostino a riguardo dei templi pagani indicava tre vie da seguire o distruggerli,
e
li
:

o volgerli ad uso pubblico o convertirli in chiese crisolo escludeva V uso privato (JEjtist. XLVII ad stiane
:

PiMicoam).

E LA PINE DEL FAGANESDIO

159
''''^

minor es,

E un Lemaire, IV, ]). 536). altro lamenta che Costantinopoli iorisca e si chiami ormai nuova Eoma e che nei suoi costumi e nelle sue mura Eoma anediz.
,

tica rovini:
sta cadis

Moribus
il

et
**

muris

Roma

vetu-

(ivi,

p. 538).

Ed

a tempo ben

remoto
a

risale

carme

dolorato che a

Eoma

ignoto poeta addice: Nulla fu i^ari


dell'

te, o Eoma, ed or non sei che una rovina sola: ma pur dalle infrante tue i3ietre si

vede

quanto grandiosa tu

fosti

(ivi,

"^3

Questo carme, che coinincia Vix

scio qiiae ftieram,

fu tratto dallo Heinsius ex veteri codice chartaceo ,hibliothecae Meciceae, e pulbblicato da P. Fabricius in Antiq. moti. p. 166. Nel catalogo della Latirenziana del Bandini

non

contenuto.

Il

Baehrens non

1'

accolse nei

Poetae Latini minores e neppiu-e il Riese nell' Anthologia Latina sive jioesis Latinae Sipplementmn (Lipsiae, Teubner).
"^^

Questo

carme,

clie

comincia

NoMlihus quondam

f'iieras

dopo le opere di pag. 538 nelF edizione di Basilea 1563. Neppure esso contenuto nelle raccolte del Baebrens e del Eiese. Un altro epigramma pure inserito dal
Beda,

constructa patronis, fu pubblicato

tomo

I,

Wernsdorif, nella

stia

raccolta (IV, p. 536),

il

seguente

Roma

vetus,

veters diim te rexere Qtiirites


erat.

Nec ionus imum-

nis nec

malus ullus

Defunctis patrilfus successit prava

iuventtis

gramma sec. XV,


portam

ruis. Questo epiQuorum contenuto nel codice Lam-enziano 33, 24, del
consiliis praecipiintn.

a foglio 76 v., con la indicazione


Tyherin.
Il

Sanctae Mariae trans

Bomae supra Buecheler non


:

V ha accolto nei suoi Carmina

epUiraphica.

160
p.

l'ultimo canto ROjIANO

206).

pieno

il

petto di nobile dolore,

aggiunge: ma l'antichit, le fiamme, le spade non hanno potuto distruggere la tua'


gloria eterna! (vv. 23-24).

"

Cos cadde Eoma.

il

nostro

Eutilio

che

e bella,

un

cant eterna, ed eternamente fulgida sembra avere qualche volta come oscuro i)i'esentimento di rovina. Conla

tro coloro che egli ravvisava causa del dissolvimento della virt e della potenza ro-

mana muove

acerba la rampogna.

Ed

naturale che in questa condizione dello spirito suo ogni volta che 1' occasione gli si
porga,
1'

anima ricolma

trabocchi.

Attacchi sistematici e diretti non dato


in questi

tempi aspettarne, giacche non sarebbero stati scevri di pericolo. Degli scritti composti in confutazione dei suoi, Ago-

Questo carme si trova nel ijocmetto di tino scrittore del sec. XI, Hildeerti de wrMs lioviae mina ; ma non v' ha dubbio cbe questa parte del ]5oemetto sia molto
'^''

anteriore
sua,

ad

dii'etta

Ildeberto, il quale l'interpol poi nell' opera a mostrare come Roma era stata resa pi

nuova religione. Vedi trattata lai questione nel Wernsdorff, Poet. Lai. min. (ed. Lemaire), IV, p. 66
illustre dalla

e segg.

E LA PINE DEL PAGANESLMO

161

stino cos dice (De Civ, Dei, Y, 26): Mi si detto che questi scritti sono gi pronti, ma che ali autori aspettano il tempo, in cui

possano

pubblicarli senza pericolo

Ed

Agostino aggiunge: Tal tempo non sarebbe gi propizio alla libert del dire il vero, ma alla licenza del dire il male . Dal
Codice Teodosiano (XYI,
tit. 5,

nn. 66 e 34)

risulta che gl'imperatori minacciavano perfino la confsca dei beni e la morte a chi

conservasse libri contrari al cristianesimo.

**^

condizioni della cosa pubblica si comprende bene come gli attacchi di Eutili
tali

In

non per questo sono meno vigorosi. Durante il suo viaggio si trova ad attaccar brighe con un
fossero fatti quasi di sfuggita.

Ma

giudeo avaro e

fastidioso,

ed

egli,

dopo

averlo coperto di vituperii rammenta che la Giudea stsita radix stultitiae (v. 389); meglio,

secondo

lui,

che la Giudea non fosse

^'^ Libanio, indirizzando intorno al 390 alF imperatore Teodosio la sna orazione in difesa dei templi, cos cercara disviare il pericolo : Sembrer a non pocM

che io ora assuma nna impresa piena di riscbi, paidando in difesa dei templi, e mostrando non esser conveniente
il

danneggiarli. Ma quelli clie ci temono, sMngannano di gran lunga sulP indole tua (cfr. Libanii Pro templis,
ed. Gothofredo, 1634, p. 7).
C. Pascal. 11

162
stata

l'

uLTnro canto romano

mai assoggettata

al

giogo

romano

dalle guerre di

ora

il

e di Tito; giacch contagio di quella peste allora recisa

Pompeo

serpeggia pi largamente per il (v. 397): Latius excisae pestis contagia

mondo
serpiint.

trova a passare dinanzi alla trova che l'isola tutta piena Capraia, egli di monaci, uomini, com'egli dice (I, 440 e

Quando poi

si

segg.),

che fuggono la luce, che con greco

nome
vivere

si

chiamano monaci, perch vogliono


senza alcun testimone. Essi
te-

soli,
i

mono
pure
i

doni della fortuna, ma ne temono danni. Pu essere che alcuno si renda

infelice

Ma

per non essere infelice? quale insania tanto stolta di pervertito

da s

stesso,

accogliere beni, mentre tu temi i mali ? quel carcere per essi una pena voluta dai fati, oppure essi hanno il fegato tumido di
cotesta,

cervello

mai

di

non

neppure

nero
^'

tele .

"^^

notevole che Rutilio investa

il

concetto stesso

della vita eremitica, presujiponendolo attuato nella sua forma pi rigida, di macerazioni e di astinenze. Altri
scrittori investono le individuali qualit

morali dei mo-

naci. Libanio nella pi volte citata orazione Pro templis


(p.

10

Goth.)

Coperti di nere vesti, e

degli

elefanti

mangiano i)i danno un gran da fare a cagione del

sovercMo lor bere a quelli clie in cambio del loro canto somministrano ad essi il A'ino . Eunapio, nella A^ita 4i

E LA PENE

DEI^

PAGANESIMO

163
si

Proseguendo ancora

il

viaggio, egli

trova dinanzi alla Grorgona, irto scoglio

clie

sorge in mezzo al mare, tra la costa pisana e la Corsica. Anche ivi un ritiro di monostro concittadino, egli dice (518 e segg.), qui si seppellito vivo. Egli era giovane, di nobile lignaggio, non infenaci.

Un

riore

ad alcuno n per

il

censo n per con-

tratte nozze,
sciato
gli

agitato dalle Furie, ia lauomini e la terra; esule dal


credulo,

ma

mondo,

egli,

entrato in questo

turpe nascondiglio. Infelice, stima che le cose celesti si pascano di sordidezze, e tor-

menta
stta,

s stesso pi fieramente che

non

fa-

rebbero su di lui gli di oltraggiati. Questa

domando

io,

non pi

fatale dei ve-

leni di Circe? Allora

erano i corpi che si ora sono gli animi . mutavano, In questi versi efficacemente rappresentato il contrasto tra i due mondi che si
Edesio
(p.
il
:

472 Boiss.) Quegli stessi [che avevano ditempio di Serapide] addussero poi in quei sacri luoghi i cosiddetti monaci, uomini all' aspetto, ma viventi a guisa di porci, e che in pubblico sopportavano
strutto

e facevano infinite cose turpi e indicibili. E sembrava opera pia ad essi il dileggiare la maest del sacro lugo.

Tirannica potest aveva allora ogni nomo coperto di nere vesti, che non rifuggisse dal mostrarsi pubblicamente in sordido aspetto .

164

l'

ultimo canto eoal^no, ec.

trovavano ora di fronte: Funo cMuso nelle sue ombre paurose, l'altro vibrante e vigoroso e lieto nel possesso pieno e sano della vita terrestre, quel medesimo contrasto che
nei versi ispirati di
il

un grande poeta
il

vivente,

Carducci, tempra

ritmo a i3otenza insu-

perata d'immagini:
. . . .
.

ima strana compagnia

tra

ManoM

templi spogliati e i colonnati infranti procede lenta, in neri sacchi avvolta,


litanando,

campi del lavoro umano sonanti e i clivi memori d' impero fece deserto ed il deserto disse
e sovra
i

regno di Dio.
turbe ai santi aratri, ai vecchi padri aspettanti, a le fiorenti mogli, ovunque il divo sol benedicea

Strappar

le

maledicenti maledicenti a
e de
1'

opre de la

A^ita

V amore

-40fr-

III.

La

distruzione degli idoli in

Roma.

r^:-^e

168

LA DISTRUZIONE DEGl' IDOLI


i

IN.

ROMA

presentavano, e

presentatori fossero puniti {Cod. Teod.j XYI, 10, 15). Una sacra follia di distruzione aveva invaso questi fanatici.

In una orazione
rono
ferro
:

scritta in difesa dei teinpli


li

intorno al 390, Libanio cos


ai templi,

dipinge:

Cor-

jjortando

legna e pietre e

quelli clie

tro di essi le

non ne hanno portano conmani e i piedi. Ai sacerdoti

conviene o tacere o morire. Abbattuti i primi templi si corre ai secondi ed ai terzi, si ac-

cumulano trofei a trofei.... Passano per i campi come torrenti devastatori . Queste parole sembrano illuminare di vivi colori
quelle storie di distruzione, che noi troviamo narrate da Sulpicio Severo, da Sozomeno,

da Teodoreto, da Eunapio.

Isella Gallia

il

vescovo Martino, nella Siria il vescovo Marcello, ad Alessandria il vescovo Teofilo marciavano alla testa dei loro
fedeli, tutto ab-

battendo e distruggendo.
Gl'imperatori seguirono in proposito una politica varia ed oscillante, secondo le ten-

denze di quei consiglieri cbe avevano pi autorit su di essi. Un editto del 399 di-

Se ancor rimangono templi nei campi, senza rumore e tumulto si abbattano tutti (Cod. Teod., XYI, 10, 16). Ed uno del 408 Se ancor rimangono statue
spone:

LA DISTRUZIONE DEGl' IDOLI IN ROMA

169

nei templi e nei santuari siano rimosse dalle


loro sedi
(ivi, n. 19).

Accanto a
i

tali editti

quali pur vietando sotto le pene pi severe i sacrifizi e T adorazione degV idoli, proibiscono la distruzione,
se
altri,

ne trovano

specialmente per
n. 8 e 15).

il

rispetto dell'arte

(ivi,

pochi anni dopo, pure quel rispetto cess. E verso i pochi residui del paganesimo non vi fu pi ragione piet. Biso-

Ma

gnava sradicare con la violenza F aborrito culto. Nel 423 come dimostrazione della
clemenza imperiale si disponeva che quei pagani che fossero sorpresi a compiere le lro esecrande cerimonie, bench avessero dovuto essere gi tutti dannati a morte, pure fossero puniti con la confisca dei beni
pochi anni dopo senza pi riguardo o eccezione di sorta si ordinava tutte le cappelle, i templi, i santuari, se ancor ne rimangono in piedi, sieno
e con l'esilio
(ivi,

n. 23); e

distrutti e per espiazione vi

pianti su il segno della veneranda religione cristiana


si

(ivi,

n. 25).

Il

fanatismo dei fedeli e


i

ratorie fecero sentire

leggi impeloro effetti anche a


i cri-

le

Eoma?
stiani di

opinione ormai invalsa che

Eoma

fossero rispettosi dei temj)li

170

LA DISTRUZIONE DEGl' IDOLI IN ROMA


tolleranti della reli-

e degl'idoli pagani e

gione avversaria; sicch l'inizio delle devastazioni in Eoma dovrebbe attribuirsi alla
presa
di

Alarico.

Tale opinione noi crela facile acquie-

diamo invalsa piuttosto per

scenza, con la quale si sogliono accettare i giudizi accreditati da forti autorit, che per
l'

esame spassionato dei fatti e delle testimonianze superstiti. Qiiest' esame or noi

vogliamo fare brevemente, aggiungendo altres qualche altra fonte a quelle gi conosciute per tale quesito.

Sono

stati piii volte apportati

versi di

Olaudiano, che nel 403 dall'alto della torre imperiale indicava ad Onorio il tempio mae-

Giove Tonante sul Campidoglio, g' innumerevoli archi trionfali, e gli altri monumenti tutti ond' era denso lo sx)azio che si stendeva alla vista (De VI cons. Honoriiy 52 seg.). Mun dubbio quindi che nei primi anni del secolo Y esistessero i templi ed i monumenti maggiori di Eoma. Ma esistevano ancora i simulacri nei templi, esistevano i
stoso
di

santuari, le cappelle, le grotte sacre? II^Tello stesso anno 403 Gerolamo scrisse

a Leta un'epistola (Hieronymi, ^p. LYII ad Laetam), nella quale dopo avere notato con
gioia

come

templi pagani

si

giacessero or-

LA DISTRUZIONE DEGL' IDOLI IN E03IA

171

mai abbandonati e

deserti,

le

rammenta,

quasi a titolo di onore per la sua famiglia, che alcuni anni prima il suo congiunto
Gracco,
prefetto
della
citt,

aveva

fatto

distruggere la grotta di Mitra e molti simulacri adorati dal popolo, e si era fatto battezzare sulle loro rovine. Cos in

un
si

sepol-

cro cristiano sulla via Salaria vetus

trov

la rappresentazione dell'abbattimento di

una

statua pagana (De Eoss, Bull. ardi,


^

crisi.,

1865).

Senonch

gii scrittori

cbe vogliono

persuadere altrui della perfetta tolleranza


religiosa dei cristiani di

Eoma, adducono

cbe

tali,

testimonianze sono aftatto rare e

sporadiche, e che per contro ben gravi testimonianze c'inducono a ritenere che i cristiani

non
tali

fossero in

Eoma

devastatori.
il

testimonianze sarebbero

tratta-

mento

fatto dai cristiani ai

monumenti

degli

Arvali, e

una

lettera di

Simmaco.

Quanto ai monumenti degli Arvali, io non giungo veramente a comprendere che cosa si voglia da essi dedurre. Il Grisar
^

A
1.

j)i'oposito di tal
e.

raoniunento, cos giudica


,

il

De

Rossi

p. 7

la dipiata caricatura

poco
qiialclie

meno che F

scoperta unico testimonio certo che ci additi

da

me

violenza quivi fatta dai Cristiani contro le sta-

tue pagane .

172

LA DISTEUZIONE DEGl' IDOLI IN EOMA


alla fine del

{Roma
nianza;

mondo

antico, I, 33) i3er

sostenere la sua tesi invoca tale testimo-

pure dalla esposizione che egli fa, risulta die tutti i monumenti arvalici i quali erano nel bosco caduto in potere dei cristiani furono rotti e dispersi, mentre invece le iscrizioni di uno dei templi, che
.

ma

era protetto dalle leggi imperiali, servarono. O dunque?

si

con-

L'altra testimonianza, abbiamo detto, una lettera di Simmaco, ed il Grisar stesso

che la invoca

(op. cit.,

pag.

35). Si tratta di

una

delle relazioni ufficiali di

Simmaco, pre-

fetto della citt, all'imperatore {Bel.

XXI, ed.

Seeck, in

Mon. Germ.

pag. 295). Purtroppo mento si trae una conclusione affatto opposta

Hist., Atict. ant., 6, 1, per anche da tal docu-

a quella desiderata. La esposizione che fa il Grisar non risponde esattamente al vero,


anzi un accorto adombramento del vero.

Es-

sendo stato, egli dice, accusato Simmaco di avere, quando era prefetto urbano, punito ingi stainen te
litto
i

cittadini cristiani per

un

de-

ad

essi

falsamente imputato, cio per


ai

danneggiamento

monumenti
sofferto

idolatrici,

Damaso

fece solenne dichiarazione che ve-

run cristiano aveva

simile persecuzione dal prefetto e questi rese testimo-

una

LA DISTRUZIONE degl'idoli IN ROilA

173
al

nianza
le cose

clie

nessuno mai era comparso

suo

tribunale reo di quel delitto . dir vero^ non istanno precisamente cos. I cristiani

avevano accusato Simmaco di averli

perseguitati come distruttori dei templi. Allora l'imperatore Valentiniano mand subito

un

rescritto perch fossero liberati

cristiani

incarcerati per tal cagione.

Simmaco

rispose,

anche con la testimonianza di Damaso, che egli non aveva incarcerato nessuno. Ma egli

non

dice di essersi cos regolato, perch la colpa dei cristiani fosse insussistente; dice

anzi di

non avere
il

solo per evitare

intentato alcun processo, sospetto che ei volesse per-

seguitarli (praevidi enmn, egli dice, qiiidpossint aemuU suspicari), e nella relazione stessa

afferma che le

mura

della citt erano state

spogliate dei loro ornamenti (ciiltum spoUato-

rum

moenium). Questo documento non prova dunque che i cristiani di Eoma non distrug;

prova invece che, quando distruggevano, i pubblici poteri erano impotenti a


gessero
reprimerli: e se solo avessero tentato la punizione, l'imperatore avrebbe sconfessato i

suoi funzionari. Sicch la relazione di Sim-

maco
contro

da mettere tra

le altre prove,

che

anche a
i

Eoma

infier

il

fanatismo religioso

templi.

174

LA

DISTRUZIOIS'E DEGl' IDOLI IN

EOMA

Alcuni passi infine dei Padri della Chiesa sono stati interpretati come riferentisi alla rovina morale, non materiale, degli idoli. E certamente all' abbandono dei templi, non al
loro disfacimento materiale, allude Gerolamo quando scrive L' aureo Campidoglio or:

mai immerso nello

squallore; tutti

templi di

sono neri per f uligine {Ep. LYII ad Laetam). JS^on si erano avute in Eoma, come in Oriente, le marcie delle turbe frenti-

Eoma

cbe, cbe
sacri.

muovevano a distruggere
i

gli edifzi

Ma

templi erano nella desolazione e


i

neUo squallore appunto perch


erano stati
atterrati.

loro idoli
:

eversis in tirbe

non

iDossibile

Questo dice Agostino omnibus simulacris, e volgere le sue parole a senso

Roma

morale. Egli parla infatti di simulacri, non di di abbattuti pu vedersi una esagera;

zione nelle sue parole, ma non gi un senso metaforico. E si badi pure alla occasione nella quale quelle parole furono dette.

Esse
ai

si

trovano nel sermone


Lucae,
11)

OV
di

{de

verMs

evangelii

tenuto da

Agostino,
Alarico.

Eomani dopo V invasione

Agostino risponde a quei pagani, i quali che Eoma per l' abbattisi lamentavano
dei suoi dii fosse stata saccheggiata ed afflitta. ]N^o, non vero, risi)onde Ago-

mento

LA DISTRUZIONE DEGl' IDOLI IN ROMA

l75

stino,

non vero;

simulacri degli di erano

ed appunto per questo i Goti guidati da Eadagaiso poterono essere vinti. QuaF era dunque il lamento
stati gi tutti abbattuti,

dei pagani, cui

qui risponde Agostino


altrimenti
;

evidente che

pagani non potevano dire


!

nostri di sono morti


stati

non

sarebbero

pi pagani

essi

dicevano
statue dei

invece

voi avete abbattuto le

nostri di, e perci essi si vendicano col far

saccheggiare Eoma. E Agostino risponde che le statue erano state gi abbattute

prima

di

Eadagaiso

eppiu?e allora

Eoma
la

non fu saccheggiata, ma consegu anzi


vittoria sui Goti.

Ma

v'

un

altro passo di Agostino,

mol-

to importante per la nostra questione, ed al quale non si jDosto mente. nel sermo-

ne

XXIV

(de veriis

vsalmi 82).

'

Questo

ser-

mone
come
agli

fu tenuto a Cartagine prima del 399, provato dal fatto che non si fa cenno
di

editti

Onorio

di

quell'anno, che

egregiamente alla tesi che Foratore sostiene. Agostino vuole esortare i Cartaginesi a sradicare la mala
pianta della superstizione pagana. Dio lo
2

avrebbero

servito

Ediz. Migne, Patrol. Ut.

a'oI

38,

j.

166.

176

LA DISTRUZIONE DEGL' IDOLI IX EOIIA

vuole, egli esclama,

Dio lo ha comandato, Dio lo ha predetto, Dio ha gi cominciato a compiere 1' opera sua, ed in molti luoghi della terra l'ha gi in gran parte compiuta.

Koma
;

stessa,

aggiunge
nuti

Foratore, gli di

che caput gentium, romani sono vequi


?

meno perch dunque rimasero

Questo passo preso isolatamente parrebbe potersi anche interpretare in senso morale; ma U passo che segue impedisce una tale interpretazione. In esso Agostino vuol
difendere
quali

alcuni cristiani di Cartagine,


1'

erano sotto

rapito la cole adorato nella citt. Agostino


il

imputazione di aver barba dorata al simulacro di Er-

non nega
stesso lo

fatto,

ma

lo giustifica

cristiani lo fecero

per
fece,

dileggio al falso dio, anzi

Dio

per mezzo dei suoi fedeli, dei suoi cristiani. Questo Ercole che una volta era chia-

mato

dio, egli

dice,

Eoma non

pi, e

qui invece voleva essere anche con la barba dorata evidente che qui si tratta dei si!

mulacri, non del concetto della divinit se i simulacri di Ercole fossero stati ancora nei
;

templi di Eoma, l'antitesi tra

Eoma

e Carta-

gine posta da Agostino non avrebbe avuto pi alcun significato.

Tutte

le

testimonianze sembrano dunque

LA.

DISTRUZIONE DEGl' IDOLI

EST

KOMA

177

accordarsi per indurci a questa conclusione, che anche in Eoma la distruzione degl' idoli

fu opera del fanatismo religioso. I cristiani guidati da Alarico fecero il resto, sui grandi

templi pagani, solo risparmiando, per ordine del loro duce, le chiese cristiane e coloro che
vi si
sigli

rifugiavano, sicch almeno, in


orrori

mezzo

della

suon' consiglio
della

di

selvaggia devastazione, mitezza la professione

nuova

fede.

e. PASCAr..

i-^

AGQIUI^TE

A
Di

pag-.
altre

10, nota, 2
due
:

oi>ere

crediamo op]iortuiio aggiungere

qui la menzione

V. Scliultze, Gesch. des Untergangs iles grechisGh-romischen Hedentums, I e II, Jena, 18871892
;

Arneth, Das klassische Heidenturns


f/ion,

und. die christlwhe Beli-

Wien, 1895.

pag. 12, notare

da aggiungere la menzione della bella opera del

Bouch-Leclercq, Histoire de la dmnations dans Vantiquit. in tale opera, nel voi. I, a pag. 29-91 un rapido, ma succoso cenno di tutto quanto riguarda i rapporti
tra la divinazione e la filosofia, e le varie giustificazioni o confutazioni che gli anticM fecero dei riti e delle
arti aiigurali.

pag. 47, nota 6:

Sulle idee religiose di Seneca e specialmente sui rapporti di esse col cristianesimo primitivo pu essere

utilmente consultato
Seneca tmd
seine

il

libro

BezieTiung

zum

del Kreylier, L. Annaetis Urchristentum (Berlin,

Gaertner, 1887). Crediamo ])eT di dover fare ogni riserva circa la conclusione ciii egli giunge, di ima dipen-

denza delle dottrine di Seneca dalle dottrine biblicbe


cristiane.

A
viiie.

pag. 60:

Le parole primitivamente significanti cose o fenomeni naturali passarono ad essere nomi di persone diCi pot avvenire appunto perch la fantasia pri-

180
niitiva

AGGIUNTE

anim qtielle cose e quei fenomeni, ed ebbe di una percezione esclusivamente religiosa. Ogni fatto del mondo esterno suscitava nelF uomo come il concepimento di una misteriosa potenza, di cui esso fosse la Crediamo opportuno rimanmanifestazione visibile.
essi

dare

il

lettore alF importante articolo

Mythologie di

Hermann Usener
p. 6-32.

in

ArcMv filr

Beligionstvissenschaft, VII,

pag. 62, nota 13

L' interpretazione naturalistica dei miti fu accetta


agli Stoici; v. Cicerone, De Natura Deorum II, 24, 63 e segg.; e III, 24, 63: Magnani molestiam suscepit et

mvnime necessariam prwms Zeno, ^ost CleantJies, deinde Clirysi^fus, commenticiarum fabtdarum reddere ratonem,
vocalmloruni, cur
care ecc.

quidque ita appellatum


e

sit,

causas expli-

Ma

gli Stoici accettavano

zione razionalistica

pure T interpretacome una delle fonti ponevano

della 0Ortouc/. la deificazione dei heneficiis excellentes viri


(cfr.

N. D.

II,

24,

62).

ancora

pil svilujppata

Questa seconda spiegazione era da un altro stoico, Perseo, sco-

lare di Zenone, il quale riteneva essere stati -oggetto di deificazione non solo gli uomini ma le cose stesse da essi
inventate," cfr.

De Nat.

Deor.

I,

15, 38:

At Fersaeus
a quibus

eiusdem Zenonis auditor eos

dicit esse Tiaitos deos

magna
titiles

utUitas ad vitae cultuni


et

salutar es

ipsasque res deorum esse vocabulis nuncupatas, ut ne


esset

inventa,

lioG

quidem

vina .
pietate,

Quanto

diceret

illa

inventa esse deorum,

sed ipsa di-

a Crisippo vedi pure Pliilodemi, de


:

col.

13 {Dox. 547)

v.al

vpmKoo?

tic,

Oso'j; cp'qoi

frammenti suoi sopra gli Di e i miti sono raccolti in Axnim, Stoicorum veterum fragmenta (Lix^siae, Teubner, 1903), II, p. 312-320.
p.eTa^aXsv. I

A
il

pag-.

69:

L' interpretazione naturalistica dei miti eliminando concetto degli di quali persone e spiegandoli invece

AGGIUNTE
quali simboli di fenomeni naturali,
sospetta ai Cristiani, che
trassero tal
loro causa.
gliere ogni venerazione agli

181
non doveva
si

essere

appunto anticM di. Pure, essi non che avrebbe avvantaggiato la consegtienza,

sforzavano di to-

Ed strano che non la traessero, giacche essa si trovava gi in un' opera molto letta dagli apologisti, nel De Natura Deorum di Cicerone, ove V accademico Cotta, a proposito della spiegazione
di
fsica

degli
:

propugnata dagli stoici, cos dice (III, 24, 63) Quod Gui facitis illud profecto confitemim, longe alite' se rem iabere atque hominum opinio sit, eos enim qui di ajjpellantur rerum naturas esse, non figuras deorum, .

A pag'. 91:
A

da rammentare pure

proposito dei Cristiani dediti ad arti divinatorie lar credenza di molti di essi nella

verit dei sogni, considerati come mezzo con cui Dio suole manifestare agli uomini la volont sua. A propugnare tale idea Sinesio vescovo di Cirene, nella prima

met del
posito al

sec.

Patrol. gr. voi.

V, scrisse V opera De insomniis (cfr. Migne, QG, p. 1281 sgg.). Eimandiamo in proHistoire de
la

BouchLeclercq,

da notare come sieno addirittura isop. 98 segg. late nel cristianesimo le voci tendenti a considerare
responsi
le arti della divinazione, dei sogni, i degli oracoli, ecc. Qualche tratto vivace di rampogna e di sdegno si trova in Clemente Alessandrino, Protrept. I, 2. Ma in genere gli scrittori cristiani con-

divination, I,

come imposture

siderano cotali arti non come false, bens come pecca-

minose.

A.
Il

pag".
trattato

99, nota 31
di Porfirio

De

absUnentia ([lepl

.KojrjC.

[X(j/7^(juv)

riprodotto

pure nella edizione di Augusto


selecta,

Nauck, Porphyrii philosophi platonici Opuseula


Lipsiae, Teubner, 1866, p. 83 sgg.

182

AGGIUNTE

Avvertenza

A pag, 48 , linea 9 pag. 49, nota 8, linea


secrandis.

Carm.,

si

legga

Carm.
legga

-r-

2: eonservanclus

si

con-

Si coglie qni V occasione per ringraziare i professori Enrico Eostagno, Domenico Bassi, Paolo Savi-Lopez, che ci sono stati cortesi di. qualclie utile indicazione.

INDICE DEL YOLTJME

Dedica

Pag.

5 7 9

Sommario
Prefazione
,

DI E Diavoli Sommario

21

23
25

2 3

>

.......
.

27
39

4
5

42
56 65
71

6
7 8 9

...

90

105

10

114

L' ULTIMO CAJSTTO

KOMANO E LA FINE DEL

. .

PAGANESIMO

121

La DISTRUZIONE
Aggitmte

DEGL' IDOLI IN ROMA.

165
179

-to^

UNIVERS TY OF CHICAGO

44 755 166

i.^^/^^

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