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A PKOFESSOKE NELI.A UNIVERSIT DI CATANIA.
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;03
535
DI E DIAVOLI
SAGGI SUL PAGANESIMO MORENTE
FIRENZE
SUCCESSORI LE MONNIER
1904
\
r e
e
.P3
FireEze, 1904.
Societ Tipografica
Fiorentina,
Via
S. Gallo, 33
626124
PROF. GIUSEPPE
TESTIMONIANZA
MUSCATELLO
DI
UN AFFETTO
SOMMAEIO
I.
Di e Diavoli.
L' ultimo cauto
II.
romauo e
la
fiue del
paga-
nesimo.
Ili.
La
distruzioue degl'idoli in
Roma.
IO
PREFAZIONE
jiiit
altrui.
un tema
grandioso,
del pensiero
crisi
dell'
antico. Il
e
tema
quella
immensa
rovina
il
morale
sociale
die port
alla
Di
quella crisi
primo
guire gli atteggiamenti e gli sviluppi nella concezione religiosa, il secondo nella poesia
e
nella politica,
el)l)e
il
quella
di
crisi
sulle
opere
d' arte.
La
storia
quella
affascin
,
noMlissimi
quivi
volsero
il
tra gli
altri, le loro
indagini feconde
venuta
test
La
romano
del Gibjou notissima e pi volte rixjrodotta nelle principali lingue. Vedi ]50i : Beugnot, Histoire de la dstruction
struction
Histoire
d' Orient,
de la
d-
V. Lasanlx,
Der Untergang
Soliiller
des Sellenismus
durch
die
ehristlicJien
Miinclien, 1854
Hermann,
G.,Laj^H du paganisme, Paris, Hacliette, 1898; Gregorovitis, Storia di lioma nel Medio Evo, lilsrb I (ediz, ital.
PREFAZIONE
11
del
dottissimo
Cmnont,
che nella prefazione alla sua grandiosa opera sui Misteri di Mitra, ci lascia sperare che
ancW
egli affronter
i
V arduo
noMle tema.
non
trattano che alcuni particolari lati ed aspetti, e con tali riserve vogliono essere raccomandati alla l)enevola considerazione
dei
lettori.
D'
altra parte
il
titolo
Di e Diavoli mi
le
pure parso
efficace
finire del paganesimo. Gli di del culto popolare erano considerati nelV opposto
diavoli malvagi: e
essi
mentre
gli
rammentavano
vano
la miseria presente,
poneanzi
stessa
vano a loro pr
l)ile
ragioni:
Roma
si
erano per
ammonimento
sdegnato che
ai demoni malvagi
dalla folle umanit.
prestasse
ancor culto
Grisar, Storia di
Boma, ecc.
Boma
^
mondo
Roma, LefebYre).
aux
Cumont
F., Textes
momiments
figurs. relatfs
inystres de Mitlvra^
12
PREFAZIONE
la
Come ho gi detto, il jjrimo lavoro studia orisi del mondo antico in riguardo alla
concesione religiosa.
j)lGe albosso,
un
dbhosso,
della
un
sem-
sulla
il
storia
teologia pa-
gana.
colorire
mio disegno mi
stato
rife-
na:
romacome non formanti V abbietto della mia trattasionCf sono solo sommaria-
accedere
*
i' ohhietto
fu dunque il queprincipale del mio sito : quale fu il concetto che degli di si ebbe
nel
mondo pagano, e quale quello che su di essi prevalse nel mondo cristiano. delle sin-
E
;
'^
Gir.
Marquardt
1.,
Le
par M. Brissiiud, Paris, Tlioriu, 1889-1890 "Wissowa G,, (nelBelujloi nnd Kultus der Bomer, Muucheu, 1902
Klass. Alterkomsiv. V, 4 AM.). Per imo sguardo generale della religione romana in questo periodo cfr. Zeller Ed., Beligion nnd PMlosopMe liei dea
V Hamlhiicli der
Bomeni in Vortraege imd Ahiumdl. II, p. 93 segg. V introduzione d. 1-63) alF oliera del Boissier, La
lif/ion
re-
romahie
;
d^ Auguste
5* ediz. 1900
religion
e ijer
il
posteriore
Eeville,
La
1886,
Friedliinder, SU-
I^ p.
1'
MlEFAZiONE
gole (ioncesioni
e
crktkuw sui
miti, sugli
di
sui demoni
mi parve
e
potere indica/re
le ori-
nattiralmente
cristianesimo
Certamente
V un
da
particolare o me studiate si
trover qua l disperso nelle opere migliori; pure, se considero die, ad es., nella pode^ rosa storia dei dogmi dello Harnadi si trovano solo, qua e l, accenni fugaci a tali
dottrine (I, p. 151 n., 152, 452, 587), lio fiducia die la ricostrusione di esse in tutti i loro
particolari
le
evemeristica, che
Gli argomenti da
me
lume, tuttoch affatto diversi da quello sulV Incendio di Eoma, da me precedentemente stidiato, pur possono, per qualche non tenue
rapporto, richiamarne naturalmente
do.
il
ricor-
Ed
me
stesso di pro-
vocare, giacche a
qualche dichiarazione in proposito. Si aggiunge che quel lavoro vide per la quarta volta la luce
^
me tarda
di fare
Haruack Ad.,
PREFAZIONE
un volume di Fatti e Icggeude, edito da questa medesima lenemerita ed antica Casa editrice, che semra quasi con la vi/rtn delle
in
sue helle tradizioni conferire nohilt agli scritti che accoglie : dal qua fatto mi viene ora novella semita
a discorrerne.
La prima
dicliia-
rasione dunque die io voglio fare la seguente : che io non dedo essere condannato ad
oGCiparmi i)er tutta la vita dell' incendio e di Nerone. Chi dunque continua a confutarmi e
mena poi
lenzio cui
di
trionfo del
mio
silensio,
come di
si-
mi al)Ma
mia strana
illusione.
Pur
pasce cam-
pioni tilthnamente scesi in lizza, qualcuno, la cui autorit e il cui valore senibrerebhe potere
es2)ugnare
qualsiasi
mia pi pervicace
di
Paolo
Aliar d,
lo scrittore
forbito e geniale,
V illu-
stratore dei
delle
primi tempi
del Cristianesimo e
lunghe travagliose vicende della fede nascente. Anche per per lo scritto suo mi occorso verificare quello che era naturale aspettarsi,
trattandosi
di
argomento ormai gi
^'
In Jemie
des
Qiiestions
Msioriqties,
Aprile 1903.
Cfr. lure Allard, Les chrtiens oui-is incendi Nron, Parigi, Bloud et C, 1904.
Home
sous
PREFAZIONE
15
rijeUre, in
argomenti suoif
ordine
mi ovvorrerehhe
e collocasione diversa^
quel che ho gi
i^njii-
repUcatamente
tata
feci,
detto.
la
a mia fantasia
di
ricostruzione
che
io
cri-
una
delle
primissime credense
fosse necessaria ad assicurare V avvento del regno di Dio. Eppure si tratta di fatti e ^estvmo-
attestazione precisa
ecc.,
di
San
Gerolamo
L'ultimo canto,
trarii alla
mia
atte-
stazioni
di mitezza
di bont provenienti
secoli, e
che
presuma
cos
cendiarie agitassero la
munit
cristiana,
comprendere.
E per
pur
tacere
le te-
stimonianze stesse di fonte cristiana, di mia fazione violenta e turbolenta in quella prima
naturale che
fanatismo
sitila
idea
'prorompesse
ad
atti
forsennati
e folli;
voglio
16
PREFAZIONE
pur
Cristiani
sol
gli scliiavi di
lont.
Mi
haster
domandare :
quar
i
la ra-
gione per
non
dettero consigli, se
non di
perdono, a riguardo degV idoli e dei templi pagani non eMero che un solo grido: aMat^ La ragione era questa, tete, incendiate f
che
Msognava distruggere
le
annidantisi appunto nei templi e nelle statue, secondo la credenza di cui si apportano in
questo volume molteplici prove.
Non
quindi
naturale che, gi fin d'allora, si sia voluto distruggere la casa di Nerone, che era il demone
pei Cristiani, ansi
lestia,
il
Anticristo,
di
distruggere
insieme
diil
Roma,
ricettacolo
le
tutti i
demoni, per
schiudere
vie al
Signore,
per affrettare
e
cio il
dopo V Anticristo
se
il
dopo la
dell' imperio f
dunque,
fermento di
j;rt.ssiojii
primo studio.
PREFAZIONE
17
e d'imjjiilsi
violenti^
imo anche apprendersi^ aberrazione fanatica, a una molche alibiano individuale tranquille.
Ri/pensecolo,
il
siamo a
del
quarto
nuova fede; con quale ardore, con quale frenesia quasi di entusiasmo, essi si trascinavano dietro le moltitudini, di citt in citt, di villaggio in villaggio, appiGcando
il
fuoco ad ogni
simulacro, ad ogni sacello, ad ogni tempio! gli scrittori sacri davano naturalmente lode ad
essi,
e servi devoti
di Dio;
^
e i
canti popolari
ciato
gV idoli
alla
maggior gloria di
Si consideri dunque quanto pi vivo dovesse essere il sacro fervore onde erano invasi
quei primi Cristiani, per V impulso hen maggiore che ad essi veniva dalla magnifica pro-
messa:
le
del
Uegno divino
^
Cfr.
ad
es.
Teodoreto, Hist.
eccl.
Y,
21,
x>ro-
sua diocesi di
Apama
10-14
169
e la sequentia
popolare die
Meril,
di S. Martino, in
p.
:
Du
latiues,
dola .
2
(J.
18
PREFAZIONE
uerazioue; durante la loro vita: unico impedimento era ormai che Roma ancora esistesse,
che
saldo e forte.
Oh
Ma
tem2)o
che
io
quale,
se
mi ha
tentato
mento antico, sicch io dirne pi ancora di quello che mi fossi proposto, per pi altre parti semhra quasi trarmi
ed invogliarmi a ragionare di altre questioni e prohlemi. Ma pur forza che io ne taccia,
che pi mi preme. Il concetto dei Cristiani che stato da me in
e sol questo
aggiunga,
quali potenze
diaT)oliche
tutte le divinit
antiche, questo
e
concetto
che
semhra
la
cos
ingenuo
del
salvezza
il
concetto
Cristianesimo
gli altri
sareMe fuso
con-
fuso con
sieme con essi in pacifico accordo. Senza V orrore che ai Cristiani ispiravano le demoniache
potenze
e
degli
di.
Cristo sarehhe
entrato in
mezzo a quegli
piet
disfornn' del riprese
di,
a portare
antico.
i
la
nota
della
mondo
Pi
volte e a j>w
furono fatti
tentativi
delV accordo,
PREFAZIONE
19
V accordo lrimo lavoro. era impossibile. Il Cristianesimo non poteva riconoscere agli altri culti il diritto di convicome
si legger nel
Ma
diritto al diritto
il
alla perdizione
dottrina tollerante ed
coscienza,
svisa
carattere
della
dottrina
li-
stessa e la falsa.
Non
vi poteva
essere la
bert del male. Il Cristianesimo professava di essere la verit assoluta, perch rivelata da
Dio :
al di fuori di esso
e del
nebre dell'errore
si,
preghiera che
pace
la
antichi, che si
sua religione.
Non
diceva
mistero della
che
Ma
il
Cristianesimo,
non aveva ceduto nei giorni delV umiliazione e del dolore, non cur queste ultime voci
di preghiera e di rimpianto.
coscienze e pronte
filosofia
le
della
pagana.
Da
secoli si
era eserc-
20
PREFAZIONE
religioso, si era
contro
le
celeste.
Ed
sujerstisioni popolari, che offendevano la maest favole era vivo negli spiriti migliori il
le
lisogno di
una pin
fece
di
divina. Il Cristia-
nesimo
sciente
eco di
questo
Msogno
delle co-
pi
alte;
e
ma non
ad
esso,
e
livello suo,
cerimoniale
quella
organizzazione
ufficiale di
forme
este-
di terreno potere,
sua
vita.
Oaelo Pascal.
I.
Di e Diavoli,
D[
fi
DIAVOLI.
SOMMA.RIO
1.
La primitiva
in
religione
nieri
Eoma.
il
romana
2. Funzione
scettiche.
politica
della
le
Tendenze
a
Lotta
3.
contro
Atti-
ravvivare,
gli
anticlii
culti.
4.
Carattere
nella
di
tale
attivit letteraria.
filosofica
le
Si
ringagliardiscettiche.
scono
letteratura
e
tendenze
Monoteismo
Spiegazioni scientifiche del dei varii miti presso gli antichi, concetto della divinit e
panteismo
5.
a tali spiegazioni.
:
7. Spiegazione data dagli scrittori cristiani gli di sono demoni. I demoni pagani e gii angeli cristiani. L'oricio dei demoni, secondo gli gine e la natura degli di
scrittori
dioevali.
cristiani. Gli
di
demoni
I
8.
La divinazione pagana
meLe
loro responsi
commisti di
9. Come menzogne. Gli oracoli pseudo-sibillini. la potenza demoniaca degli di. Gli effetti dei saGli esorcismi.
'Iltl"lllllll'
1.
La primitiva
religione
roinaiia
fu
risei'vata e pudica,
tassero la fantasia o
commovessero
sensi.
Quello spirito di rigore e di ordine die cos speciale del carattere romano riduceva
quasi la religione a un sistema di formole esteriori, a una serie di contratti giuridici
tra
l'uomo e la
divinit, ai quali
il
sentimento
era affatto
si
vita dei loro di, non conoscevano semidei, non conoscevano il mondo eroico, non avevano insomma mitologia.
Ben
trare in
ria
presto
Eoma
probabilmente non immigrarono nel Lazio se non i riti augurali; ma una larga
corrente religiosa con nuove forme di culto e con leggende divine, penetr dall'Italia
20
meridionale,
dall'
dalla
Sicilia,
l'
dalla Grecia
siero
della
letteratura
greca profonda-
mente
mut anche F
romana. Fu, veramente, quello non piccolo ruscello, ma largo fiume di pensieri e di
cognizioni, che invase
cio
Eoma.
Il
poeta Por-
da Gellio (XVII, 21, Licino, 45), cos si es])rime: Durante la seconda guerra punica la Musa con passo alarto penetr tra la fiera bellicosa genta di Eomolo . Allora le antiche tradizioni locali andarono a poco a poco adattandosi alle
citato
nuove forme
trecciarono
e
fedi, le rigide
di credenza,
si
severe divinit della religione X^rimitiva furono trasformate per l' influenza delle gaie e passionate divinit dei Greci,
e tutta
una
serie di racconti
e di
le
favole
figure,
prima cos smorte, degli antichi di. poco a poco cominci anche in
Eoma
E come
gii annalisti
facevano studio continuo per foggiare, secondo le leggende greche, le antiche tradizioni delle terre italiche, cos i poeti volsero il loro canto a celebrare le memorie locali,
presso
r)ki
T]
BiAvoT.t .1.2.
27
poeti alessandrini, i miti dell'Eliade. Yi era per una sostanziale diiierenza nella
trattazione niifcologica
tra
i
poeti greci e
romani.
Per
primi,
specialmente
per
epoca prealessandrina, il mito era controllato con la viva coscienza del popolo; racconto il 1 Eomani i)rendevano invece
quelli dell'
dalla
tradizione letteraria,
non
dalla fede
Ma
polare
si
elementi; sistema d' identificazione tra gli di stranieri e gii di romani, che si radic cos profonda-
mente
nelle coscienze, tutto intero l' Olimpo greco sorrise alle fantasie dei Eomani.
2.
Ma
insieme con
gli
penetrati pure in
critica religiosa.
Eoma
il
popolo.
Gli
aristocratici,
quali
Livio
Salinatore,
I^^obiliore, Scipione Africano Maggiore, furono potenti ed efficaci fautori delle lettere, e cercarono di ringagliardire quel
Fulvio
moto
di pensiero che
2S
BKl E DIAYOLT
.2.
ma, pur
(piando essi
si
ufficii sacerdotali,
non
mente tendenze affatto scetticlie: il mento religioso non aveva eco nel loro
Prevaleva la tendenza a distinguere P
cuore.
uomo
dal cittadino, il ilosofo dal funzionario pubblico. Si badi a queste parole del l)e Natura Deorum. I, 22, 61, messe in bocca a un pontefice: si discute se esistano o
no
gii di.
E cosa
tesse in
difficile il
negarlo.
S,
se si discuin
una conpopolo; versazione e in un consesso quaP il nostro, cosa facilissima . E nel De Bivinatione
mezzo
al
(II, 12, 28)
ma
un augure
recisamente
ria
il
concetto che
pubblica. Tijjico del resto il caso di Cicerone, che pure copr ufficii sacerdotali e che
fu cos spregiudicato nelP investigare le supreme ragioni dell'arte augurale e della concezione religiosa in due sue ojjere famose \
tiim
Le due opere di Cicerone, De Diviiatione e De NaDeorum furono sipportate da Agostino, Ctv. Dei IV;
DI E DIAVOLI
.2.
29
fllosofche egli
addimostr
,
cos
libero;
dinanzi al popolo agi' inizii ap-pviT l)ena della sua carriera oratoria, cos tuo-
ma
nava
dere,
la
Ameriio,
XXIY,
67)
Non
vogliate cre-
rax)presentato nelle
quali
hanno com,messo
qualche empiet o scelleraggine sieno agitati ed atterriti dalle faci ardenti delle
Furie. Dalla propria colpa e dal proprio terrore tormentato ciascuno; e il suo
delitto lo agita e trae fuor di senno ; e i tristi pensieri e i rimorsi lo sgomentano:
queste sono le E urie assidue ed interne che notte e giorno reclamano la vendetta paterna dagli scelleratissimi
figli .
romani,
30, come x>i'OVii del dispregio in cui i Romaui stessi teuevauo le loro stiperstizioiii. E nel capitolo precedente,
parlando in genere
firavioyesque
dello
scetticismo
v'ulermit
cotra
consucudcm
civitatis,
quae
(laernoilaois
rii'iTnis
fncmi
30
DI E DIAVOLI
.2.
volevano tenere
per
per
il
poi)olo alieno
da
siffatte dispute,
non rilassarne la disciplina e i costumi. Abbiamo di ci attestazioni precise. Lattanzio {Inst. II, 3, 2) riferendosi a un passo del De Natura Deorum, che non conservato tra le parti sui)erstiti dell'opera, cos dice: OomIjrendeva ben Cicerone quanto fossero falsi
i
meno,
stessa
il
concetto medesimo
clie
nelP opera
De Natura Deorum
Balbo
:
(III, 4, 10)
uno
degli
Con
coteste argomenta-
zioni tu finisci per rendere dubbio quel che dubbio non . E la ragione di tal diffidenza
del disputare era tutta politica. Questi uomini, nell'interesse dello Stato, volevano, nei rapporti pubblici, star contenti al quia; il co-
stume tramandato dai maggiori era legge per essi, perch quel costume aveva tenuta salda
la
comi)agine della patria. quello appunto che Cotta dice precedentemeiite {Nat. Deor. IH, 2, 5) Quando
:
si
DEL E DIAVOLI
.2..
31
ruiicaiiio,
tefci
do ascolto a O.Lelio augure e sapiente, che in una sua famosa orazione ne discorse, anzicli ad un caposcuola degli stoici . Ma
sii)po,e
pur con tanta propensione rispettosa verso le autorit antiche, punto egli infirma la libert della discussione scientifica. Da te che sei filosofo, egli dice a Balbo (III, 2, 6), aspetto
di conoscere le ragioni della religione, maggiori nostri io debbo credere, i)ure se
ma
ai
non
me ne danno
ragione
qui chiaramente
accennato a quello sdoppiamento quasi della personalit umana, tra il pensatore e l'uomo
pubblico, tra lo studioso e il cittadino, sdo^)piamento cui la classe pi alta di Eoma pa-
Ed infatti quegli stessi maggiori, alla cui autorit Cotta si richiama, non avevano tenuto condotta diversa. Cos Q. Muzio Scevola, che fu pontefice
massimo e fu console
(pr.
Agost. Civ.
:
Bei
quella dei
32
DI E DIAVOLI
.2.
vernare
le moltitudini.
Cos pure
un greco
del circolo di 8cii3one Emiliano, Polibio, reputava essere supremo interesse dello Stato
difendere la sua religione antica (VI, 50) ^ Insomma la religione era una funzione i)olitica,
la cui azione
doveva esplicarsi
il
in
popolo e
Ma
il
Questo x)asso di
xjercli
Polilbio (VI,
56)
di troppa im-
portanza
ne abbia a riportare qui tutto il senso. Per quel che riguarda gli di, dice 1' a., i Eoniani sux)erauo di molto gli altri popoli. Quello infatti
se
non
scrupolosa cui'a della religione. a tal punto questa cui-a i)resso di essi stata Giacch l)ortata e presa sul serio, sia negli affari privati sia nei
e
romano
cio la
X)ubblici,
che pi non
si
potrebbe. Ci fa meraviglia ad
alcuni, a
me
sapienti fosse cojuposta ima citt, ci non sarebbe punto necessario. Ma poich tutto il poj)olo leggiero e pieno di smodate cupidigie , d' irragionevole ira , di violente
passioni, resta che con incerti terrori e tragiche paure esso sia tentito a freno. Perci sembra a me che non ii'-
ragionevolmeute n temerariamente
gii antichi
abbiano
peu dell'inferno:
e
che per
contro irragionevolmente
temerariamente
gli
nomini
di
oggi
le
respingano
DT E DIAVOLI
.2.
)0 OO
scettico.
Esso
apx>laiidivi
motteggi di Plauto, che qualche volta toccavano non solo le forme religiose, ma la ^ venerazione stessa da prestarsi agii di.
La
religione
in
ma
non
era
in
momenti
oblioso
e
spensierato,
osservanza veniva
meno. Cos
Catone,
Gi
il grande avversario della coltura ne avvertiva il decadimento egli si greca, lagnava, a quanto ne riferisce un passo del De divinatione (I, 15, 28), essere ormai neglette e cadute in oblo molte cerimonie di
:
angurii ed auspicii.
Ma gli
che
appunto contro
gii
augurii
si
erano abbeverati
alle
avevano sentito
il
Come prova
di questa tendenza
scettica e
quasi
derisoria verso gli di in Pianto, basterebbe l'Amphitruo. Ad ogni modo frequente in lui per tal riguardo, specie
nelle
;
zoso
Caj)t.
invocazioni, un tono motteggevole e schervedi Aiihil. 621 sgg., BaceJi. 115 sgg., 892 sgg., 803 sgg., Cas. 230 sgg., 331-334, ecc.
3
C. Pascal.
DI E DIAVOLI
.2.
Iti
mordace e violento
di sde-
gno
sue tragedie si era spesso presentata occasione di fare prorompere i suoi personaggi contro V ingordigia e la
sta lotta, livelle
Superstiziosi vati
ed imi3udenti indovini, o inerti o folli o dominati dal bisogno per s non conoscono
:
un
pretendono mostrare a un altro la via ed a coloro ai quali promettono riccliezze chiedono pur solo una dramsentiero
e
:
ma
. (pr.
Oic.
De
E non
era
raro trovare nelle sue tragedie cotali imprecazioni. Altrove (pr. Oic.
De
un
altro personaggio si scagliava contro gii oracoli che per avidit di guadagno simulano
responsi altrove era Achille che imprecava contro gii astrologi (pr. Oic. Ee^). I, 30): quel che sta loro dinanzi ai piedi non vedono, e
;
cercano di scrutare
Ma un'altra
di
scientifico. 'Nel
zava a
Eoma
le
ed arguto
filosofo,
DI E DIAVOLI .2.
35
quel
sistema
cio
nei
nomi
di divinit
nomi
di antichi
ni, preclari
per loro
speciali
doti e
dopo morte assurti all' adorazione divina, da parte dell' umanit riconoscente e stupefatta; t^qW lEincliarmus Ennio inculcava un' altra spiegazione dei miti, immae perci
ginando raffigurati sotto i nomi delle divinit i fenomeni naturali. Ci rimangono da tal poemetto i versi suoi sopra Giove (pr.
Yarr. L. L. Y, 65). Il Dio vi identificato all'aere, che diventa vento e nube, e poi
j)ioggia e freddo, per ridiventare poi
vento
nel
ed aria
mortalis
perci appunto
il
detto
frammento, ha
aeque
nome
di
luipitr,
Quia
iii-
turas
omnes
all'
an-
E un
concetto molto
affine
re,
836, Il^auck"). Questo passo che comincia Hoc vide circum supraqiie quod
framm.
rammenta
36
DI E DIAVOLI
.2.
tradusse
Yides sulime
fusum immoderatum
Terram tenero circumiectu am lume plectituT f Hiinc siimmum libeto divum, aveva perliibeto Jovem; e che Ennio stesso
aethera, Qui
reso cos
As^nce
tal
lioc
Con
D.
IT,
preparazione
filosofica na-
turale che pur contro gii auguri e gii arusi)ici fosse vivace la Musa Pacuviana; ce
anche
l'altro
repubblicana, Accio, segue la medesima tendenza di vivace opposizione contro le superstizioni popolari. Isella tragedia Astianatte
un personaggio prorompeva
espressione di realt
agii auguri, che
:
in questa cruda
Io
empiono di parole
1.
Su
aveva potente
specialmente
efficacia l'educazione
filosofica,
nel senso epiciu'eo. Ora ijrecetto epicureo era r indifferenza degli di per le sorti umane.
Gli di, secondo il pensiero di Epicuro, sarebbero molto infelici se dovessero pensare ogni giorno a distribuire agii
uomini
DI E DIAVOLI
.2.
37
il
male. Questo pensiero si conferma e si avvalora di mano in mano negli scrittori con altre ragioni. Gli di non si
beile e
il
curano, credo, di quel clie fanno gli uomini, era detto in una tragedia di Ennio, (pr. Oic. De Div. II, 50, 104), giaccli altrimenti sa-
buoni e puniti
cattivi,
non governano gli di, no, il supremo re degli di non si cura degli uomini (pr. Macrob. Sat. VI, 3, 50). Pi tardi Ora
]N^o,
!
io
;
che
si
dall' alto
dei
Ma
se gli di
non
si
mini, a che giova il pregarli, a che giova onorarne ed adorarne le immagini'? Ed ecco
un' altra fase di quest' acre battaglia combattuta in Eoma contro la religione popolare
;
la lotta
contro
il
pioni gagliardi; ed era stata collegata alla critica sul concetto antropomorfico degli
di, critica
si le-
38
A^ava a vivace
tale lotta si
DI E DIAVOLI
.2.
epicurei pure
fautori di
memori
uno
sdegnoso solitario
rij)etevano,. i^er
filosofo,
dal
l'
quale essi
eredit del
pi ragioni,
Si purificano, maccliiandosi di sangue, come se alcuno bruttato di fango volesse lavarsi nel fango.... E fanno pre-
pensiero:
ghiere a questi simulacri degli di, come se alcuno ]3otesse discorrere con le muraglie
delle sue case
.
(Eraclito,
framm. 5 in Biels,
Fragmtnte der Yorsocratilver, Berlin, 1903, p. 67). Molto simili a questo, per V intonazione generale e per un senso non celato di i)iet e di disprezzo, sono alcuni passi di
poeti latini. Lucilio clie agitava la sua sferza in mezzo al Foro, non si inerito i3unto di toccare in una delle sue satire pure una delle
Vie
memorie pi venerate dai Eomani, quella del fondatore stesso dei loro ordini religiosi,
Il^uma Pompilio. Egli rappresenta con disdegno quella turba di devoti, che trema dinanzi
immagini paurose e alle Lamie istituite a Eoma dai Fauni e dai Numa Pompilii:
alle
come
fanciulletti, egli
le
che tutte
DI E DIAYOLI .2.3.
39
un'anima in quelle
immagini
'Ne
meno
grande Lucrezio di questi fanatici adoratori ]^on fa punto opera di piet (v, 1198-1202): il sacerdote, che, col capo coperto, si volge verso una statua di pietra, mentre tutti si appressano alle are, non piet che egli s'inchini prostrato al suolo, e tenda le palme
avanti ai temigli degli di e sparga le are di copioso sangue e aggiunga voti a voti .
Vedremo
poi in seguito quanto nelP ei)oca imi)eriale continuasse tenace e persistente quest'opera di demolizione contro i sagrifzii
agli di e
1'
3.
Se nei generi
le
di letteratura pi
popoci
drammatica e
la satirica,
tendenze scettiche,
vuol dire che quelle libere voci di dileggio alle divinit trovavano un'eco nella coscienza
comune, alla quale la rinnovata cultura aveva da principio impresso quel moto e da cui veniva ora a sua volta novello impulso. I frutti maturarono ben presto. Eoma divenne pro-
fondamente
scettica,
40
DI E DIAVOLI
.3.
Quando
che
lo
le classi
dirigenti
si
accorsero
coscienze, corsero ai ripari. L'opera di restaurazione religiosa, che suole comunemente essere attribuita
scetticismo
invadeva
le
fino dai
tempi della repubblica validi propugnatori. Erano dotti, che cercavano di ravvivare gli
antichi culti pev mire
e
considerazioni di
ordine politico, non i^er sentimento. Gli amici appartenenti al circolo di Scipione
Emiliano
aggiravano verisimilmente nelscettiche che troval' orbita di quelle idee vano cos vivace espressione nei versi di
si
;
Lucilio
eppure, essi
si
ispiravano al concetto
loro,
politico che
guidava uno di
Polibio,
quando affermava essere supremo interesse dello Stato difendere il suo culto (VI, 56).
Ed
infatti
preghiere
le
crob. Ili, 9,
oratiuncula in difesa della scienza augurale ultimi due (cfr. Wat. JDeor. Ili, 1, 3). liTegii
secoli della
una
rifioritura di
Fulvio Nobiliore, console nel 565, scrisse Fasti e colloc l'opera sua in aede Hercu(Macr.
I,
is
12,
16);
il
DI E DIAVOLI
.3.
41
diritto sacrale
(Yarrone L. L. VII, 2); Aijpio Claudio Fulcro, console nel 700 di Eoma e
0. Claudio Marcello, console nel 704, scrissero libri sulla disciplina augurale, e il secondo
uno scopo
(Cic.
sosteneva che gli auspicii servivano solo ad politico, per il bene dello Stato
Leg. 2, 32); M. console nel .701, compose
ciis-
De
Valerio Messala,
un
liber de aiisi>i-
riorum (Festo,
Ijrobabilmente
il
161);
Gramm.
latini K.,
270) e i libri auspiciorum (Macr. 1, 16, 29) di Yeranio, Festo (289) rammenta l' opera
;
sugli auspicii e Macrobio (3, 5, 6; 3, 6, 14 ecc.) quella sul diritto pontificale; Mgidio Figulo,
pretore nel 696, scrisse le opere de dis e de extis. Cos Granio Fiacco illustrava gVindi-
gitamenta (Censorino, de die natali 3, 2), L. Taruzio Firmano, penetrava nei misteri dell'astrologia caldaica (Cic. de Div. 2, 98; Plinio, N. H. Auct. libri 18) Ateio Capitone e An;
tistio
Labeone esponevano
il
diritto pontifi-
cale (Festo, 154 b, 253, 348 ecc.); e a dichiarare il rituale etrusco intendevano le opere
di Cecina (Plinio, N. H. Auct. l. 2), di Giulio Aquila (ivi), di Tarquizio Prisco (ivi), di
42
DI E DIAVOLI .3.4.
Yarrone, le cui Antiquitates rerum divinarum erano qnasi un'ampia enciclopedia di antichit religiosa, cos rum di Cicerone fu
natura divina. E naturalmente, questa attivit si continu nella prima epoca imperiale: baster rammentare i nomi di Yerrio
Fiacco, di Giulio Igino, di Trebazio Testa, di Giulio Modesto, che fu liberto di Igino, e ne calc valorosamente le orme. Tanti no-
ingegni, tanti uomini preclari per virtil, per dottrina, per alta condizione sociale, pabili
revano
quasi
unirsi,
coalizzarsi,
come ad
una
chi dello Stato, che andavano a poco a jjoco decadendo dalle consuetudini e i)i dalle
coscienze; la difesa di quei culti, nei quali essi ravvisavano il freno alle intemperanze
del i)opolo, la salvezza della patria.
4.
ar-
rest
moto
pu
della
filosofa
scettica
La
risposta ci
di quella attivit
pii
poderoso rap-
DI E DIAVOLI .4.
43
presentante.
Questi studiosi di
anticliit,
questi raccoglitori pazienti di tutti i riti e le forme del culto, riserbarono per all' attivit ilosofca del loro pensiero la pi
am-
pia libert. Arnobio, un apologista cristiano, ci ba conservato notizia di quel cbe Yar-
immagini degli
di.
Al
dell'opera Adverstis nations, Arnobio si iJresenta il quesito di un suo supposto contraddittore E cbe dunque, dir alcuno, voi
:
non debbano farsi sagrifzii ! E risponde con l' autorit non di un cristiano, ma di un pagano, di Yarrone appunto no.
credete che
:
di
le ragioni
gli
di veri
non desiderano
non chiedono
sa-
grifzii, gli
di poi che sono fatti di bronzo, di terra cotta, di gesso o di marmo tanto
ne curano, giacch essi sono privi n si commette colpa col non di senso i sagrifzii, n si acquista grazia fare col * farli . Certo cos audaci idee Yarrone
se
; *
meno
787
De
civ^
Dei
III,
Varr falsa haec esse, Nai et vir doctissimus qiiamvis non audacter neqwe fidenter, paene tamen fatetiir. Sed iitilc esse civtaUlms dicit ut se viri fortes, etiamsi falsmn
sit,
(iis
eorum
ijenitos esse
credant
44
attinse
ai
DI E DIAVOLI
.4.
i)i*iiicipii
della
filosofa
stoica.
Sai)piamo infatti da Tertulliano, Ad natioies II, 2, che Yarrone, appunto come gli
stoici,
diceva
il
mondo
itt
lerinde in
omnia gubernet, sicut animus in noMs . IS^ meno importante un'altro x)asso, pur di Varrone, che riguarda il problema delle origini stesse della reli-
mimdo
gione.
Di questo passo
:
ci
riferito
il
con1.
tenuto da Tertulliano,
Ad
nationes II,
Al quesito
ha imi)ortato primamente tra gli uomini gli di, Yarrone rispondeva con una triplice distinzione i filosofi, i pochi
:
poli e
poeti.
L'una
di
specie
di
divinit,
filosofi,
rappresentava
naturali, dei jjoeti e
;
un adombramento
V altra era dovuta
fenomeni
ai racconti
magnai
aggrediendai
agat vehementms et ob hoc imjileat ijjsa seouritate felicius . Anclie j)er Varrone dunque la reli-
aveva scopi ed intendimenti ]3olitici. Scettico in egli voleva nel reggimento dello Stato Y osservanza del cnlto ufficiale. Nel raccogliere le antichit sacre egli non ebbe altro obbietto. Ci risulta da Agostino, Civ. Dei TV, 22; il quale cita anche le sue parole
gione
filosofa;
:
Ex
eo (cio dal
conoscere le
speciali
attribuzioni
di
ciascun
quem ctdusque rei eausa deum advocare atque invocare deheamus, ne faciamus ut mimi solent, et optemus a Libero aqtiam, a Lymphis vinum .
'
DI E DIAVOLI .4.
45
di
v'
ei'Ji
iuliue
ima
terza
specie
divinit,
"^
che ciascun popolo adottava per conto suo. Di tale distinzione troviamo gi tracciate le
linee in Q.
biam
sti
detto.
un
ma
que-
pensosi
flosofl vi
modo
di
quel
pi
vivace, in questa critica religiosa, la polemica contro il concetto antropomorfico degli di e contro
1'
magini.
in
un
mano
tendenze stoiche, sicch vediamo nel primo secolo dell' impero Seneca prorompere in forti affermazioni, che suonano quasi invettiva e
il
rampogna
ISTon
due
volte,
secondo
motto volgare,
ma
s Di questa triplice ripartizione di Varrone discorre a lungo Agostino, Civ. Dei, VI, 5 e 6. Agostino cos ob Dgs quijppe fbtilosos [se. bietta a Varrone (ivi, 6)
:
deos] ciGcomodatos esse ad theatrum, naUcrales ad mndum, civiles ad rirljem, cum mtmdiis opus sit divinum, uries ve'o
et
theatra opera
sint Jiominum
nec alii
templis,
Mi rideantur
in
iheatris,
exhiheatis
quam quam
qui adorantur in
46
semxu'c.
DI E DIAVOLI .4.
hi ilil'creuzti tra
faiiciulJi a
noi
questa, die i nostri ginoclii sono maggiori dei loro. Perci appunto gii uomini danno
opime vittime ad
bocca,
esse,
clie
hanno bens
ma
ad esse non
e consacrano oro e argento, che non hanno chi li riceva come coloro che li donarono
non hanno
efficace
ehi da loro
li
accetti.
IN'
meno
i^asso
stit.
gli
pur conservatoci da Lattanzio {In Venerano i simulacri dedi, supx^licano ad essi in ginocchio, li
div. II, 2)
:
adorano, un giorno intero li pregano seduti o in piedi, ad essi gettaur) la stipe votiva,
sgozzano le vittime e, pur tenendo in s alto conto quei simulacri, guardano ^ ]30 con disprezzo gli artefici che li fecero .
ad
essi
*^
Altri
passi
veementi di Seneca vedi presso AgoSi noti questo: Sacros, inmorin materia vilissima atque
stino,
tales , inviolanles
inmoMli dedi-
cavi,
iartus illis
vero
mixto
liominum ferarumque et piscium, qiidam sexu diversis corporims indimnt: mimina vospiritu accento,
siMto occurrerent,
monstra
x^^ssi
da
DI E DIiiVOLI .4.
47
e
allo
in
mezzo
al
guizzo
dolP irouiti
scatto della rami)ogna s' insiniia di tanto in tanto in questi pensosi scrittori il desi-
derio di
di
una pi
nna pi pnra adorazione divina. Glia Yergilio {Aen. I, 11), quando si trova a menzionare gli sdegni e le vendette di Giunone,
ferma di un tratto, come colto da un dubbio angoscioso albergano dunque s grandi ire negli animi celesti ? tantaene
si
:
piu^e
Lucrezio
getrir-
nus
l)tdt
liumamim,
taia
divis
Ciim
un
facta atqiie iras adiunxit acerbas ! pensiero che ritorner poi frequente
^
E, pur quanto al
un' opera Cantra superstitiones, che citata piire da Tertulliano, Apol. 12. Seneca non fa per sempre coerente nei
V. la
'^
maggiori problemi
del
Boissier,
religiosi.
La
reliffion
ro-
iaine,
maniera antropomorfica di rappresentare gli i vizii e le debolezze umane. Sono noti i bei versi di Senofane da Colofone (Bergk-Hiller'*^, 16)
contro la
di con tutti
:
llvxa eola' vs^YjUav "Ou.f\poc, f)' "^Hatooc: ts, oaaa itap' vtptKO'.a'.v viosa "/.al ^^'[oc, lotiv,
TtXsrtxeiv }J.ot)(su'.v Ts y.aX t^XeIgt'
y.al
XX-qXoo^
itatsc'.v,
scpfiY^avxo
48
culto
e
all'
DI E DIAVOLI .4.
divma, and man mano afforzandosi il pensiero che l' adorazione semplice e pura della divinit meadortizouc
glio valesse che
i
grandiosi sagrifizii e le
fastose offerte.
nati,
calmare
tuose,
ma
sol
che una
il
mano
innocente
pio farro e
una mica
E Persio dimandava: Ohe cosa giova Poro agli di !.. perch piuttosto non offrire quel che dalla sua gran mensa non potrebbe offrire la
di generosa onest
tutto ci, perch io il rechi ai templi e liter anch'io col farro (Sat. II in fine). Il poeta stoico pone
f
Dammi
qui la cerimonia come una pura formalit, cui a malincuore si rassegna, quando per
accompagnata da tutto un sagrifzio spirituale di bont, di umanit e di giustizia. I^ altrimenti Seneca avvertiva (pr. Lattanzio VI, 25, 3) non con le immolazioni e col
sia
copioso sangue doversi onorare Dio, bens con la purezza della mente, con l'onest e
la
I templi in onor di
non son da
costruire con
DI E DIAVOLI
.4.
49
:
l'
ammassare
sassi sopra
sassi
ciascuno in
pre pi il culto e il concetto religioso ebbe la sua influenza pure per la questione riguardante la natura stessa della divinit.
Su
dei
leio
Eomani.
espone
'Nel
le
primo
libro
i
l'
epicureo Yel-
pensieri degli antichi filosofi greci sulla natura degli di: dubbii, perplessit, affermazioni recise, misteriose profonde escogitazioni, stranezze e
delirii, si
opinioni e
alternano, si susseguono in quella storia degli antichi sforzi dell'umano intelletto intorno all'affannoso
problema.
Queir ampia esposizione, la quale anche molto dopo serv come fonte agli apologisti cristiani (cfr. ad es. Octavms, cap. 19, Lattanzio, Inst. I, 5), eccit le
Imiter
il x)asso Cipriano, Quocl idola dii non sint 19 sgg. Hartel), cap. 9: in nostra dedimente [<?etts], in nostro Gonservandiis est pectore
. :
Cfr. Ariioi)io, Adi\ nat^ IV, 30 cultus verus in peetore CHi atque opinatio de dis duina, nec quicquam prodesi inlatio saufiulis
,0.
et
cvuoris ,
4
Pascal.
50
DI E DIA.YOLI
.4.
favore
eli e
ebbe in
Eoma
la llosotia stoica.
Gi molto prima dell'epoca imi^eriale nel seno tesso del i)aganesimo aveva messo qualche germoglio F idea monoteistica. Gli apologisti della
s'
ingannarono,
attribuirono alla
pi remota scienza
di quella idea.
Lattanzio nelle sue Istituzioni divine (1, 5) studiosamente cerca tra gii antichi filosofi e
poeti afiermazioni ed accenni al concetto del Dio unico e supremo. Egli cita il Dio izrjoT-(ovo?
gilio {Aen.
clie egli
sgg.),
;
De natura ileorum
con
di Cicerone, esa-
la natura,
con
l'etere,
con
con la mente, con la necessit, con la legge, per conchiudere infine comunque essa si concepisca, essa apx)unto quel che
la ragione,
:
noi chiamiamo
perfino
alle
Dio.
Ed Arnobio
degli
ricorre
arti
occulte
orientali,
per conchiudere che pure per mezzo di esse gli antichi popoli avevano ravvisato e conosciuto
1
il
Dio
A^ero
\^
23).
DI E DIAVOLI .4.
51
Ohe
fi
tal
divinit
concepita
ca,
lit
come una mera astrazione filosoma altres qualche volta come jjersonadivina, ci mostra un altro passo di Lat-
tanzio (Inst. div. I, 7). Apijrendiamo da esso come in un dialogo di Cicerone V interlocutore Ortensio presentava questa obbiezione:
se
Dio
unico,
1
come pu
solitudine sua
ha
la
com-
Questa credenza sulla unicit di Dio fu in Eoma una conseguenza delle dottrine stoiche ed assunse quindi una forma panteistica, coerentemente a tali dottrine. Verso i tempi di Sulla il poeta Q. Valerio Sorano cos invocava il sommo Giove (pr. Agostino,
De
civ.
I)ei,YlI, 9):
omuixjotens,
Ixi^jiter
rerum rex
ipse deusque
al
tura
te,
ne nel cerchio immenso dell' etere divmo, n sul mare! ]S improbabile che
allo stesso Valei'io
Sorano
sieiio
da attribuire
52
altri versi
DI E DIAVOLI
.4.
Aen. IV,
trovano presso Servio {ad nei quali Giove stesso si ri638), volge agii di e cos dice loro
che
si
:
In
tal
veramente, secondo
(pr.
espressione di Yarrone
Agost.
De
civ.
Dei,
VII,
6)
del
mondo,
clie lo
governa
;
col
e con la ragione gli altri di sono emanazioni di queir anima divina, ministri del suo volere, ed egli ne accoglie in s le varie nature,
die in lui
si
ricompongono nella
unit divina.
Ootal dottrina stoica fece sentire la sua
iufluenza pur nel modo onde i teologi trattarono un' altra concezione popolare, quella
dei Genii.
immaginati dal popolo or come mortali or come eterni, rappresentavano quasi la natura intellettuale dell' uomo, ed erano come
legati
perennemente a
lui,
anima
di
lui,
La
dell' anima
port
naturalmente a quella della sopravvivenza del Genio, pur dopo la morte dell'uomo:
DI E DIAVOLI .4.
53
indi
vediamo
L. Y,
Mani
(C. I.
24(5
manihus
et genio),
e nella fe-
533
segg'.).
i
attri-
genii pure agli di. E cos tutta la terra e tutto il cielo era popolato di questi
buire
si3ritL
misteriosi,
della
immensa
i
teologi stoici.
Yi doveva
essere
unico, anima dell' universo, datore infaticato di vita tutti gii altri genii, tutte
un genio
le altre
anime non erano se non emanazione di queir anima divina, di quel genio universale. Deus est, diceva Varrone (pr. Agostino, Civ. Dei,
est
.
vim
liabet
omnium rerum
ac
Cos pur da questa parte si giungeva alla afiermazione della unicit di Dio, e cio
della unit della natura divina sul
I!^el
mondo.
il
Plinio
vecchio, attesta esser comune ai suoi tempi la discussione sulla natura di Dio {Hist.
Nat. II, 5 in f.), ed appunto per questo egli crede necessario interrompere bruscamente
la esposizione sua,
54
DI E DIAVOLI .4.
tazioue su kilc probleiuii. Questa dissertczione ijer noi di grande importanza, come
indice del punto cui la speculazione filosofica era giunta, nella determinazione del
concetto religioso. Plinio comincia dalF asserire essere stoltezza il voler determinare la
forma e V effigie di Dio. Qualunque sia questo Dio e dovunque esso sia, esso dev' essere tutto senso, tutta vista, tutto udito, tutto anima, tutto spirito, principio e ter-
mine a
s stesso.
Maggiore
stoltezza
di-
chiara Plinio^ il credere a innumerevoli di, o formare gli di dalle virt e dai vizii degli
Mente,
la
la Speranza, l'Onore,
la
Clemenza,
Fede, o
di
memore
della propria
manchevo-
partitamente
adorare quello di cui pi avesse difetto. Poco appresso passa Plinio a notare l'assurdit di
un' altra concezione della religione popolare, quella cio che si facciano matrimoni tra gii
spazio di tempo ninno nasca, e che alcuni di sieno semj)re vecchi e canuti, altri sempre giovani o fanciulli, ecc.
di e che in s
immenso
Ma
DI E DIAVOLI .4.
55
nomi
detti,
altri
vizii
umani;
dalla
passa poi a discorrere di quelli che adorano la Fortuna o di quelli clie adorano il proprio astro e conchiude
recisa del concetto
con l'affermazione
monoteistico e panteistico. Dio per lui la natura, universale e infinita e a quest'arcana divinit, alla in;
vestigazione della quale lia dedicato la poderosa opera sua, si volge il suo saluto finale
(XXXVII,
^ 205)
Salve^ lyarens
nium Natura,
lbratam esse numeris omniMis tuis fare . E la Natura la Divinit unica pure per Se-
neca (De Benef. lY, 8 Quaest. nat. II, 45). Isella prima parte d questa dissertazione
;
pliniana sul concetto di Dio, abbiamo, come in breve riassunto, le ragioni che piti tardi
largamente spiegheranno
stiani, quali
gli
scrittori
cri-
Quando
prevalere in
cominciarono a
dottrine neoplatoniche, la concezione filosofica della divinit non fu guari diversa anche allora, come vedrele
;
Eoma
mo,
si
5G
DI E DIAVOLI .4.5.
geri e uiiuistri del divino volere; ma. quel Dio, quel Dio unico e solitario, che tutto
spirito (Apuleio, de dogm. Fat.
I,
11),
pu
esser
il
istante
non per un
d' in-
telligenza, pu elevarsi a comprenderlo, come guizzo di folgore che solca le nuvole oscure
(Apuleio
De
deo Socr.,
3).
coscienza scientifica degli antichi rimase paga solo ai sorrisi d' indifferenza o
5.
La
di questa
storia delle credenze, e scrutare la prima origine delle varie figure divine ? Quegli
ardimentosi che negavano fede alle molteplici nature divine, qual concetto si
spiriti
umane ?
problema
;
I^oi
non mtendiamo
remota
ra-
proseguire tal
sin dalla
diosa antichit greca e si comprende del resto come tutte quelle idee che noi vediamo
DI E DIAVOLI .5.
57
ricomparire iu
varia guisa esplicate ed illustrate, nell'ultima epoca repubblicana e nei primi secoli dell' et imperiale,
Eoma,
iii
riflessi
genio greco aveva lasciato all' avveNostro intento solo di ricercare qual'
spiegazione che degli di aveva cercato di avvalorare la scienza pagana, e che essa ancor vigorosamente propugnava, quando si trov di fronte alle criconcetto e la
tiche incessanti degli apologisti cristiani. Tali notizie noi non possiamo desumere
se
non
infirmare
confutare
le
risultanze
della
pur tra mezzo allo sfogdi argomentazioni, agli artifzii polemici, gio
scienza pagana;
alle
ma
La
livello
umano.
Clemente
Alessandrino, (Frotrept.
^
i precedenti dell' evemerismo nella Grecia sopra gli scrittori che tentarono una interpretazione razionalistica dei miti, vedi F. Wippreclit, EntuncT'
Soj)ra
e cio
5R
tori clje
-Dk E DIAVOLI
.5.
avevano
:
Nicnore Teodoro di Cirene. Arnobio Ciprio, Diagora, {Adversus nationes, IV, 29) ha questi medesimi nomi ed aggiunge quello di Pello Leonte. Con l'autorit e con la scorta di tali sapienti, i quali, a suo dire, ogni pi minuziosa cura avevano posto nel ricercare e portare a luce quella ignorata istoria, Arnobio I)rotesta di poter narrare i fatti di Giove e le guerre di Minerva e di Diana, e le avventure di Libero, e il genere di vita di Veistenia
Evemero Agrigeutiuo
nere, e il matrimonio della Magna Matr, e le origini di Serapide egizio e di Iside e dei nomi tutti degli di. N meno incline
e Lattanzio
Egli discorre di Giove convertitosi in pioggia d' oro per l' amore di Danae e dei miti
rapito dall' aquila, di Europa trasportata dal toro, di Io trasformata in mucca. Che cosa la pioggia d'oro? dodi
Ganimede
manda
Lattanzio.
Le monete
di oro^ con le
DI E IHAVOTJ
.5.
59
quali Giove corruppe il debole auijiio feuiminile. Olie cosa l'aquila rapitrice di Ganimede? L'insegna di una legione che rap
il
fanciullo.
Ohe
significa
toro,
che,
se-
condo
la favola trasport
Europa! La nave
che aveva per insegna quell' effigie. E la mucca in cui si trasform Io per fuggire
recante quella ^^ immagine, e sulla quale essa cerc rifugio. Di fronte a queste ingenue spiegazioni
l'ira di
?
Giunone
La nave
^^
tio
zione del sole, della Itina, ecc., e in genere di tntti gli elementi naturali ; seconda fonte 1' adorazione degli
Tiomini dopo la morte, e ventori delle arti, come
altres degli
non
degF in-
ma
nomini e delle donne corrotte, come Ganimede, Venere, Elena e i Romani, dice 1' a., adorarono i loro imperatori, perfino Nerone, Domiziano e Commodo. Dipoi la &soKo'.la pu procedere da nna terza
:
fonte e cio dalle parole dei vati antichi, giaccli questi si annunziarono figliuoli degli di e dicliiararono di
conoscere lene i loro padri. Y' infine un quarto genere di deificazione, pieno di estrema insania e pazzia
(i\i.^povx'qoirj.c,
ual
quello per
uomini credono divinit le passioni e le attivit dell' anima cos Eros ed Afrodite rappresentano il desiderio amoroso, Ares la passione gaierresca, ecc.
il
qtiale gli
60
miti, (la essi
DI E DIAVOLI .5.
Ma
sistema clie poggia beu pi alto quanto a valore scientifico, sicch questi remoti pensatori
risultati
Tutta
alla
mitologica intorno
si
quale gloriosamente
affatic
il
secolo
della
glottologia e delle religioni comparate, ebbe a fondamento una concezione del mito che,
nei risultamenti
suoi, spesso
gli antichi
non fu
lon-
chiamarono
linguag-
naturale.
I^el
primitivo
ariani,
gio
mancasignifi-
fenomeni parole significanti naturali perdettero la loro primitiva significazione, divennero nomi di persone divine
poco a poco
le
i
immagini, rappresent come fatti della vita giornaliera i fatti della natura nella molteplicit dei
suoi fenomeni, e ravviv con questa immensa concezione ed elaborazione dello spirito tutti
gii spazii e tutte le cose.
to ^^
li
e la fantasia
umana
color quelle
BMung
Alteri.
cler
(jriechsGhen
Bel-
(jon
(N.
d.
Mass.
DI E DIAVOLI
.5.
61
prima di essere il dio del eielo, come Cerere fu il grano prima di essere la dea del grano; e il linguaggio popolare conserv qualche documento di queil
Giove fu
cielo
^^
ma quando
queste persone divine. L'indagine mitica cerca duiique svolgere dall'involucro mitico l'osservazione diretta della natura
scosta,
clie vi
na-
p.
Im
der
Sinne seiner JErfinder und ihrer Glmibigen ist Allegorie, sondern tiatsacJi-
lielie
Si notino le espressioni
(' il
quali
sttb
Jove frigido,
Vestam
focolare
e la
lin-
conserv insigni guaggio popolare cfr. Nevio, C'om. fr. 121 Eibesem]3lari di tal genere beck cocus edit Nejhmum, Cererem et Venerem exptrtam Vocanom, Liherumqwe ohsorhuit ]ariter (= pisces,
specchio
;
fedele,
'^
nomi
di
divinit greche
cfr.
62
DI E DIAVOLI
.5.
popolo forme e di
il
sepije
s
visi
vaci colori.
Ed anche
gli
antichi
dotti
affannavano ad investigare quel mondo. Certamente nei singoli i)articolari erano il liii
delle volte le loro spiegazioni caduche o fal da notare come essi non aveslaci;
ma
con
i
ogni modo, pure a prescindere dal fatto che qualche volta quelle spiegazioni si trovavano su quella
vero o la maggiore approssimazione al vero, degna di considerazione la concezione generale del fenostessa via, su cui era
il
Ad
meno
mitico, quale
'l
adombramento
della vita
della natura
Di
Questa interpretazione fisica dei miti era stata svilux^pata da Metrodoro in un' opera sopra Omero. Cfr. Tatiani Adversiis Crvaecos, 21, in Migne, Patrol. gr.
VI,
j).
^3
853
Kal
'^Ofj.Tjpoo
K'.av
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oisiXsHxac,
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vojjLiCouo!,
wotuc,
oh
oKOGzaGB'.q
v,a\
di
Lampsaco era
Teagene,
scolare
di
auclie
fiorito
iiella
DI E DIAVOLI .5.
63
rigorosa-
anticlii
mente
essi interpretavano
come
nomi
divini; essi
quindi
mito.
il
non avevano di un
spiegazioni
di
Ma
oggi. Osiride era interpretato qua! simbolo dei semi terrestri, Iside come la terra. Tifone
come
il
calore
e
si
poich
le
messi matusi
colgono
separano
nuovo all'approssimarsi
ripongono quali semi nella terra, si interpretava essere questa la morte di Osiride, deporre cio i semi nella terra, e il suo ritrovamento essere il nuovo nascimento delle biade alimentate dal cadell'inverno
si
,
lore terrestre (presso Firmico Materno, De errore ^rofan. relig., 6). Attis era interpretato qual personificazione delle biade (ivi,
3,
<
2);
si
avvi-
a. C. si era messo su questa vedevano nei miti allegorie non fisiche, ma morali. V. Wipprecht, Ztir EulwlcMuuf/ (lev raUonalsii-
via. Altri
64
DI E DIAVOLI .5.
Cina molto a quella della moderna mitologia comparata, la quale nei casi del giovanetto
tato
il
nascere e
il
Cos questi anticlii mitologi avevano ravvisato nel mito di Libero un mito solare, e in
quello di Proserpina
un mito lunare
(ivi, 7,
7), interj)retato Giove or come il sole .or come l'etere e Giunone come l'aria (presso Arnobio, III, 30) negli amori di Giove per la madre sua avevano visto raffigurato la
;
feconda
Y,
32).
per essi
(presso
veggono in quel mito rappresentata la vegetazione, che si cela nel grembo della terra al
per ricomparire lieta al ritorno della primavera, cos come Prodell' autunno,
cominciar
Attis anche
un'altra
si)iega-
la
DI E DIAVOLI 5.6.
65
mitica un aspetto che lo avvicina ad un eroe solare quello del combattimento col
:
cinghiale,
immagine
del fulmine
aspetto
al ger-
comune ad
manico
come
Sigfrido, al celtico
Diarmaid, agli
^NTon ci
ellenici Herakles,
Meleagros, Adon.
Questi antichi indagatori furono spesso traviati dalle strane etimologie che erano accreditate e quanto
dilunghiamo in
altri esempii.
la
spesso celato
si
significato verace
dei miti,
scorge da molteplici esempii di Yarrone. Ad ogni modo, pur tra mezzo a incongruenze
e stranezze, erano intuizioni felici e ricostruzioni geniali e la significazione attribuita al fenomeno mitico era tale, qual fa meraviglia
:
ritrovare in persone sprovviste di tutti i sussidii della comparazione, che hanno rivelato
ai nostri giorni cos reconditi veri.
6.
Ma
apologisti facevano alla spiegazione fsica dei miti ? Oi rimangono in quasi tutte le
loro opere
ster accennarne qualcuna. Tertulliano, Ad nat. II, 4, per provare che gli di non posC. Pascal.
66
DI E DIAVOLI
.6.
se gii elementi sono palesi e visibili a tutti, e se per contro Iddio inaccessibile
non
vdisti,
cum
ergo non
etiam potestate
Pi innanzi Tertulliano fa
Saturno,
egli dice {Ad nat. II, 12) interpretato come allegoria del tempo; gli si ascrivono a genitori il cielo e la terra, perch anch' essi
lo si
rappresenta
tron-
tempo
cato
divoratore dei figli, perch tutto ci che esso produce di nuovo consuma. E si
;
apporta qual prova il nome istesso Kpvog equivalente a Xpvoc. Ma a tali spiegazioni
:
Tertulliano oppone o era Saturno o era il tempo. Se era il tempo, come mai poteva es:
sere Saturno, e se era Saturno, come mai poteva essere il tempo? N"on molto superiori
confutare le religioni dei gentili, pi volte egli si trova alle prese con le spiegazioni
i filo-
paganesimo.
DI E DIAVOLI
.6.
67
terpretazione del mito di Iside ed Osiride come simbolo della fecondazione e vegetazione terrestre, egli osserva (De errore proreligiorum, 6): ma che bisogno e' di fngere adulterii e incesti? Questa pretesa ragione fisica potrebbe bene celarsi in
fanarmn
perch si sarebbe dovuto celare quello che noto a tutti? E del mito di Attis interpretato come rappresentaaltro
modo.
Ma
4):
ma
l'agricoltore gi conosce
la terra,
quando deve
affidare ai
rimuovere
solchi
il
quando deve
;
frumento,
la
ecc.
in ci secondo
ratio,
V aunella
tore consiste
pliysica
non
di Attis.
Pi innanzi
trova la discussione
pretazione naturalistica, quella del mito di Liber e Proserpina, spiegati l'uno come
Sole, l'altro
zione
l'
tale interpretaserie
di
argo-
Ma chi fu
mangi
membra sue?
chi
rap la
Luna?
consorte di Plutone ?
Dopo tutto
ci, pos-
siamo dispensarci dal riportare il discorso che egli pone in bocca allo stesso Sole, fa-
68
DI E DIAVOLI
.6.
messe di
siffatte
raccogliersi dall'opera di Arnobio, Adversus nationes, e specialmente dal libro TV, 33 e dal Y, <^ 32-42. L' autore si mostra sprez-
zante di
ai
ragioni fsiclie attribuite giudica anzi arguzie e sotticon le quali si soliti difendere le gliezze,
siffatte
miti
le
ma
Egli
domanda (V,
ad
del mito di Attis, domanda (Y, 42): se Attis il Sole, o chi era mai quell'altro
es.,
**
filo-
con-
della
il
sumevano
^4
Ed
strano
die
sopra
apportate
DI E DIAVOLI
.6.
69
interpretassero come ima giustifcazione dei miti e della ragione di essere degli antichi di, quel clie era invece una spiegazione
scientifica
di
si
causa loro
durre
il
mito
alle
proporzioni di
un
fatto
le ragioni
del sentimento e della fantasia: dal togliere quindi ad esso ogni parvenza di sopranna-
scomponendolo negli elementi suoi e mostrandone i progTessivi sviluppi. Ma parve forse ad essi che ci significasse avturale,
mentre non era se non un investigare nei procedimenti della mente umana
Quelle ingenue confutazioni furono vittoriose; e con quella vittoria fu spenta nei
secoli, fino ai
tempi
nostri,
Ma
una discussione
scientifica in
doveva spiacere a pi d' uno tra gli ardenti fautori della nuova fede. L' antico motto enniano ])Mloso]^liari est milii necesse, at pmicis, nam omnino licmt placet,
ria religiosa
sono le obbiezioni ebe sulla interpretazione naturale dei miti fa Agostino, Civ. Dei VI, 8.
'0
DI E DIAVOLI .6.
(pr. Oic.
vsere
il
avrebbe potuto
es-
motto di parecclii di essi. Essi propugnavano con ardore la fede per ragioni di moralit e di sentimento, ma appunto per questo disdegnavano la profana sapienza.
G rimane, tra le opere spurie di Cipriano (III, p. 302 sgg. Hartel) un carme dedicato
ad un Senatore,
il
ed era
ritor-
nato all'adorazione degF Idoli. Doveva essere un seguace di quel teismo filosofico,
che caratteristico tra gli ultimi proseliti del paganesimo: i quali volevano conciliare
la scienza
con
le
ri-
ed avvalorando
del culto,
depositarie iDer il popolo di quelle concezioni religiose, che essi volevano salvare dalla rovina. Ed notevole
come
1'
ammonimento, che il poeta rivolge al Senatore, di non discutere troppo, giacch anche l' alta sapienza, come tatto ci che
eccede la misura, raggiunge
l'
efietto
oj>-
I)Osto
alta,
Indulge
dictiSf
sainentia
non
])lacet
cadit....
Omne quod
est
niminm, cantra
(vv. 51-52).
DI E DIAVOLI .7.
71
-^
perdettero per ogni efficacia sugli spiriti ed ogni intervento nei fatti umani.
7.
Gli antichi di
detronizzati
non
Fu ad
essi
riserbata
una strana
noi
sorte,
diventarono
demoni.
gii
indagheremo
brevemente
di tale credenza, e le origini prime di essa e la sorte che tocc agii di in questa loro
cri-
era la
dottrina
il
che vi fossero
vaganti per
la
mondo, intermediarli
variamente ope-
tra
l'uomo e
divinit,
ranti sui destini umani, o custodi di singole vite. Kel paganesimo la credenza nei de-
moni, come spiriti individuali che accompagnassero l'uomo, molto antica: si ritrova gi in Pindaro {Pytli. Y, 164 seg.) e in Teo-
gnide (v. 161 segg.); e presso Menandro distinzione tra (fr. 550 Kock) si ha gi la
due specie
cattivo
di
demoni,
di
buoni e
cattivi.
le tradizioni sul
demone
Bruto
7, 7).
^^
I^el tardivo
paganesimo
tal dottrina
Fu
due genii,
72
DI E DIAVOLI
.7.
sembrava
offrire
il
politeismo con la nuova idea monoteistica, di cui iDareva farsi sempre iji vivo il biso-
gno
nelle coscienze.
Massimo
Tirio attesta
padre di tutte
le
cose,
accanto
a lui
molti altri di, figliuoli di Dio. Questo, egli dice {JDiss. XVII, 5), ijrofessa il greco e lo
straniero,
Puomo
saggio
8)
del continente
il
ma-
rinaro
{Diss.
il
l'
indotto.
il
altrove
XIV,
egli
spiega
concetto di
Sono nature m-
uuo buono ed imo malvagio custodissero la vita di ciascun uomo. Tal dottrina rammentata da Servio, ad Sunt etiam qui putent Manes eosdem Aeii. Ili, 63 esse quos vetustas Genios appellavit, duosque Manes
:
corporibus ab ij)sa statim conceptione assiguatos fuisse, (jui ne niortua quidem corj)ora deserant consumptisque
etiam
corporibus sepulcra iidiabitent ; e ad Aen. VI, 743: Cura nascimur duos genios sortimur. Unus est qui
iiortatur
ad bona, alter qui dejjravat ad mala : qtdbus assisteutibus j)Ost mortera asserimur iu meliorem vitam
Civ.
A'', anclie Agostino, Dei IX, 11. Sui demoni, oltre tutti gii autori cidal Waser, uell' art. daimones della Real-EncyGlojyae-
tati
die
Pauly-Wissowa
(Stuttgart, 1901),
il
i>u essere
ancora
Begriff
utilmente
consultato
Wabrmund,
p. 761 sgg.
Ueder
den
Gymn. 1859,
DI E DIAVOLI
.7.
73
mortali, che risiedono tra la terra e il cielo, j)ii deboli di Dio, ina i)i forti degli uomini, e sono ministri di Dio, e custodi degli
uomini.
Beo
rappresenta Apuleio nel De Socratis, quali medias potestates 'per qiias desideria nostra et merita ad Deos eommeant,
Cos pure
li
e Plutarco nel
serisce che
De
avevano risoluto le maggiori difficolt quelli che avevano escogitato una stirpe di demoni intermedia tra l'uomo e la divinit. Come si vede molto si avvicinava a tale concetto quello degli angeli cristiani, che troviamo negli antichi monumenti raffigurati ai lati del Salvatore, alati
camjDioni della verit e della fede, intermediarli tra la volont divina e le speranze
e le preghiere
umane.
*^
Anche su questo
Del, IX, caxj. 22,
spie-
^^
V. iu Agostino, De
civit.
demoni. Gi Origene aveva ajffermato che gli angeli hanno natura e divisamenti affatto diversi dai demoni (Contra Celsmn IH, 37):
gate le difiereuze tra gli angeli e i
akXric. sal wgboc, v.a\ KpoaipaBUx;
;
fa
discusso
come
egli intendesse questa diversa natiu-a. Secondo Lattanzio gii angeli furono creati da Dio sjnritiMis suis immortali1)tts
(Inst. "VII,
s'
5,
9)
,'
ma quando
gli
angeli mandati
sulla terra
stantia (E;pit.
nero
74
DI E DIAVOLI
.7.
punto
delle
si
accese
il
dibattito tra
sostenitori
avversarie, giacch gli del cristianesimo, come il platooppositori nico Celso, affermavano non potersi far direligioni
due
stinzione tra
demoni pagani
gii angeli
*'
cristiani (Orig.,
Contra Celstim, V, 4
seg.).
non manammisero e
l>ropugnarono, e ne trassero anzi argomento a confortare la loro tesi, che parte della verit si
Viene
noscenza
d'ella vera natiu^a degli angeli, sulla scorta di quel passo del Sim2)osio (202 E.),
si
nel quale
dice essere
demoni nature
in-
gii
uomini, nunzie ai
^^
Qualche
Dio quali
in
angeli
maligni,
ma
senso
vuole con tale espressione assegnare a quegli angeli natui'a malvagia, bens denotare sol qiiesto, che essi sieuo ministri delle ijuuizioni e delle
si
Non
le sciagure,
Cfr. In
:
v.al
htloq
X-p'-
hC^.TzsG'ZB'XBV
y.al
azobq p^r^v
6Xtd/'.v
6ofj.o
axo [Salm.
pYTjV v.al
rtoaToXvjv 8t'
cpaet
^Yv.aXsv
o)( (o^
.
zo'-oxooc
XX' Mq
Ttjxcjupia?
X^-P^^ sy.7t,airou.Vot)(;
Kav. ^p
DI E DIAVOLI .7.
75
^^ Tal concetto fu primi delle cose umane. poi ripreso e spiegato da Porfirio, nel ITspl
zoxfiQ
ed a Platone
lo ascris-
sero
Felice, Tertulliano, Cipriano. Plato f dice Minucio {Oct. 26), qui Quid
Minucio
negotium (irediMt, nonne et cmgelos sine negotio narrat et daemonas f E Tertidliano, AjoI.^ 22 Angelos etiam Plato
inveni/^e
Deum
non negavit
sintj 6)
:
Cij)riano,
et
{Quodidla
veri
dii
non
Ostanes
formam
Pei negat
posse et angelos veros sedi eius dicit adsistere. In quo et Plato pari ratione consencons2)ici
tit
et
unum Peum
dicit .
daemonas
Teodoreto afferma
{Gfraec.
Sermo lY in Migne, Patrol. gr. Platone chiam di e demoni quelli che noi chiamiamo angeli e disse
affect. curatio,
Ma
^^
il
poi quelle che tennero il campo nella eresia dei Valentiniani vedi l Diss. I j)remessa alle oi)ere di Ireneo, in Migne, Patrol. gr. voi. 7, p. 95-98. Sul concetto
;
dei
ai[j.ov<;
in Zeitschrift
f. d. osterr.
^^
daemonc^
1.
buoni e beati ragiona a lungo Agostino nei cap. 8-14, del De Civitate Dei. V. anclie De Divin. daemonim,
IX.
e. 4.
76
DI E DIAVOLI
.7.
biamo sopra visto, i suoi demoni maligni. Questi si compiacevano di sferze, battiture e digiuni, voci di malo augurio, detti osceni
(Plut.
cul.
De XIII
Iside et Os,
XXYI; De
defectu orail
in
f.).
Ed
pa-
anime
come
una
fugare lo spirito maligno, sol che si accostasse al naso dell'invasato (Ps. Plutarco,
De
fluviis,
XVI,
2).
Si
pu
di
leggieri im-
dottrina giovasse agli intenti degli apologisti cristiani, i quali vedevano dunque nello stesso paganesimo la.;
maginare quanto
tal
idea,
che cio
le
anime
i.
25,
p. 48, 15 Goldb.).
tanto oltre gii apologisti procedettero in questa loro idea, che s'indussero a interpretare
come
spiriti
come
DI E DIAVOLI
.7.
77
tali
dagli scrittori che essi citano; Lattanzio si appella alla autorit di Esiodo, e ne riporta i due versi {Op. et D. 122 sg.):
Tol [lv ai[Xov? scat Al? j.-'cXoo
L ppoXd*;
Peggio che a tali scrittori, che pur si ornavaDO di cos eletta sapienza, non ripugnasse maculare pur la grandiosa memoria
di Socrate, traendo a sifltatta interpretazione il demonio socratico. Menti cos illuminate,
che non
mone malvagio
Cos Minucio Felice, {Od. 26) [daemonas] Socrates novit qui ad mitiim et cirMtrium assidentis siM damonis ve decli!
nabat negotia
vel
petbat
Cos Cipriano,
Socrates instriii
;
{Quod Idola
se et regi
dii
non
sint, 6):
ad arMtriimi daemonii praedicabat e Tertulliano, (Apo. 22): sciunt daemonas 2)1iilosopM Socrate ipso ad daemonii arMtriwn
exspectante, e Lattanzio, (Institut. II, 14, 9): Socrates esse circa se adsidmtm daemona
puero sii adliaesisset, ciiius mitu et arbitrio sua vita regeretur nei quali passi tutti l'esemj)io di Socrate addotto,
loqueatur , qui
;
78
DI E DIAVOLI .7.
pur quando dalle parole citate non appaia, j)er confermare con un'autorit storica l'esistenza dei demoni maligni.
Il
cristianesimo
tutti
i
dunque
inter23ret
come
malvagi
del
elle
demoni.
Uno
scrittore avver,
IV
secolo,
per lui era gi una dolorosa realt. In quella bizzarra traduzione di un' opera
ad Apuleio, tra
dalla
gli altri
mali cbe
religione si annovera anche questo: Soli nocentes angeli remcmbiint, qui Immanitati conmixti ad om-
temono
nuova
et
in
animarum naturae
i
con-
tal
condizione di demoni
Essi
filosofi
antichi di
la loro realt
pagani.
^
non negarono
In questa decadenza generale degli di a demoni Zeus o Giove conserv i)er F antica signoria su di essi, e fu considerato quindi quale il capo dei demoni. Cfr. Tatiani, Adv. Graecos 8 (in Migne, Patr. gr. VI, X3. 824)
:
y.al
fj.7|'C'.
'(
ol oaLfjLOvsi; o.hzoi
p-sz
toh
tolc,
'f]Y'r[J.vou
axtLv
Ai;
dt
tt^v sl}j.ap|xvf]v
TzsKz)V.aoi
ahzoic,
TiOsGtv,
DI E DIAVOLI
.7.
79
u
li
il
umani:
ma
giudicarono spiriti malvagi, insidiosi, e ingannatori, che ponevano loro stanza nei
cevano risentire
volgendo
le
gnizione del vero Dio, irrompendo a quando a quando nei corpi miserandi degli uomini,
membra, distruggendone la salute. Agii di per tal modo non veniva neppur negata la sapienza; anzi, come vele
torcendone
dremo,
essi
arti; e Lattanzio,
dopo aver
citato
1'
etimo-
logia di daeiones : quasi da:q'j.ovy.Q id est jeritos ac rerum scios, aggiunge: Si crede
che sieno questi appunto gii di. E certamente essi sanno molte cose future, ma non tutto, giacch non lecito ad essi penetrare nei disegni di Dio, e perci appunto
wairsp v.ai ol avSp'ujio'. y.paxv]6v're(;
Da
Porfirio neo-
platonico era stato posto a capo dei demoni malvagi Serapide da Ini identificato con Pliitone ; e come simbolo
malvagia potenza demoniaca era stato j)Osto appunto jpercli il izovfipbc, oc-jaov si ritrovava nei tre elementi, acqua, terra ed aria. EuseMo {Praep. ev. IV, 23, in Migne, Fair. voi. 21, p. 304303) e Teodoreto {Graec. affectionum curato, III in Midi questa
il
cane
tricipite,
gne, Patr. voi. 83, j). 881) citano per gli loro polemica questi luogM di Porfirio.
scopi
della
80
DI E DTAVOLT
.7.
sogliono adattare a doppio senso i loro re^' sponsi {Inst. II, 14, 6). Questa concezione
si uni in uno strano miscuglio concezione evemeristica, clie abbiamo visto accetta ai cristiani e con reminiscenze
degli di
con
la
mitologiche
reminiscenze bibliche; e ne
venne
fuori
una specie
cri-
delle
sul culto dei demoni, e cos spiega V origine di essi (L. I, 3; ediz. Ludwig, Teubner, 1878)
angeli visitassero la
quaggi mandati, spregiaDio. Tanta era la belleggi lezza delle donne, che essi ne rimasero
essi,
ma
rono
le
di
appenach, contaminati di colpa, non poterono pi essere accolti nel cielo, si ribellarono a Dio e gli avventarono bevinti.
Il ooucetto degli Dei secondo i Cristiani veniva ad essere esattamente esxwesso da Agostino, {O'vv. Dei, Vili, 26), quando diceva, dediicendolo da alcnne x>arole di Hermes Trismegisto, cine ogni dio lia per anima nn demone e per corpo nn simulacro. L' etimologia!, jioi di oaX^o-^^q da oaYifxove? Lattanzio trasse da nn j)asso platonico, Crai. 398, B: oxi (ppyi|i.o'. v.al oa'f][j.ovBi; '?]Gav,
^^
Ma
oa'.]i.r}vaq
abzobq vfi,aos.
DI E DIAVOLI
.7.
81
stemmie. Allora
dizio sopra
eli
1'
loro.
Dal
loro
seme vuoisi
giganti. Da questi furono importate le arti sulla terra, giaccli essi insegnarono e a tingere le lane e ad eserci-
siano nati
Quando furono
morti,
uomini dedicarono ad
essi simulacri;
ma
poich essi erano nati di malvagio seme. Iddio decret non fossero accolti nel cielo;
sicch essi
non pochi
di
vagando vanno ora sconvolgendo corpi di uomini. Sono questi gii che voi onorate e pregate . ^^ Sono
nazione degli angeli operata dalle femmine reminiscenza biblica ma una remini;
questa
derivazioue
anclie
dei
deiaoui
containinati
accenna
Tertulliano
Secl quomodo de Angelis qtiibusdam sua sponte corru]ts corruptior gens daevionum evaserit damnata a deo cum generis
mictorihtis
et
cum
eo
quem diximus
principe,
apud
nat.
anclie
.
Ad
Secondo
opero
digniiis
lui
demoni
si j:)resentano
qtiaK di,
:
conix^ieudo
elle li
fanno credere
Non
ergo
praesumetm' ipsos Ifiaemonas'] esse qui se deos faciant, ctim eadem edant qiiae faciant deos credi, quam j^fo'es angelis et daemonihis deos esse f Cos pure cfr. Ensol>io, Praep.
ev.
S.
6
82
il
DI E DIAVOLI
.7.
cenno delle arti ingannatrici sul mondo importate, cenno nel quale implicitamente si afferma la beata ignoranza ed innocenza
dell'antica favoleggiata et aurea; e d'altra I^arte una manifesta derivazione dalla dot-
trina evemeristica
le arti dai Griganti
1'
affermazione che,
jjer
i
disformi la narrazione, quale troviamo in Lattanzio {Inst. II, 14). Quando cominci a
crescere
terra,
gi'
il
numero
Dio
inganni suoi avrebbe corrotto o rovinato 1' umanit, mand gli angeli a custogenere, e ad essi anzitutto prescrisse che non rimettessero della divina dignit, contaminandosi d'imi^urit terrena.
dia dell'
uman
il
i^rescrisse,
l'
avreb-
Quale insidiosa poi A^enia al ]3eccato. parte presti qui al suo Dio l'ingenuo scrittore, non chi non vegga! E quali custodi
fa egli
avessero
a sperar
mandar da Dio
zio,
che
gii
angeli
dimorando
sulla terra
al vizio e negli
DE E
DLWOLI
.7.
83
^^ l^on ebbero amplessi muliebri corrotti. quindi pi ricetto nel cielo e ricaddero sulla
terra; siccb
diavolo da angeli di Dio li fece suoi satelliti e ministri. Quelli che fuil
rono da essi procreati non furono n angeli n uominij ma ebbero tra gli uni e gii altri intermedia natura. Cos ne vennero fuori
due specie di demoni, Puna celeste, l'altra terrena. Questa distinzione certamente indotta da Lattanzio in riguardo all' antica Ad distinzione di di superi ed inferi.
^'*
-3
paene
talis
Cfr. anche Agostino {De eiv. dei III, 5) Navi etiam de scrijtm'is nostris otoritur, qua quaestio
:
(ioncabuernt,
quaeriUir ntnim praevarGatores angeli mim JiVuibus liominum imde natis (jiganiims, id est nimitim grandibus
ac fortihus viriSf
est .
Questi passi
La narrazione
X^
affect. ciiratio,
in Migne, Patrol. gr. voi. 83, p. 1060) I demoni perA'ersissimi, per sottrarsi al mite dominio del SigTiore,
tentarono impadronirsi del potere e attribuendosi nome di di, j)*?rsuasero gli uomini stolti a render loro divini
onori. Dixjoi cercando di rafforzare
il
riarono di conoscere e di j^redire anclie il futuro spingendo in inganno gli uomini semplici. E in ogni parte della terra elevarono officine d' ingaiini ed escogitarono i
l)restigi della
~*
divinazione .
clie
notevole j)er
celesti
demoni
terrestri,
84
DI E DIAVOLI
.7.
Ogni
modo
dall'
una narrazione e
qual
concetto
dall' altra
si
scaturisce
cliiaro
i
avesse
degli angeli corrotti, importatori delle arti sul mondo, erano stati, dopo la loro morte, adorati quali di, ma degli di:
figli
non erano che demoni. All' accoglimento di tale idea la coscienza cristiana
essi
trovava gi preparata la via nelle concezioni j)agane. ideila credenza comune era
gi infatti, fino da tempo anticliissimo, die i morti diventassero demoni. Secondo Esiodo
[0]).
et
uomini
della pri-
sca et aurea divennero, dopo la lor morte, Satiiovsc, abitanti sulla terra, patroni degli
sopra la terra, datori delle ricchezze . Il morto chiamato Sai^itov pure presso Eschilo
{Pers. 620)
[j.ov5(;
ed Euripide
gli di
{Ale. 1003); e
Sai-
sono
(cfr.
morti
Mani Luciano, De
cio le
luctu 24,
anime dei
De morte
Sai^j.oat
Dis
Ma
DI E DIAVOLI
.7.
85
quella cio clie interpretava come demoni (di di. V'era infatti tutta una classe di divinit i)arificata ai
rato
demoni
Hermes
(C.
{Corj)iis
Hecate
I.
Gr.
come Memnon
Crono
(ivi
Mitra
(ivi
6012),
filosofi,
fecero clie congiungere queste due concezioni pagane, quella cio clie demoni fossero i morti e quella che
del cristianesimo
non
demoni fossero
gli
di.
Se gli di non erano che due concezioni si riducevano in i morti, le verit ad una sola, e il trovarle entrambe
essi accettavano.
qualche
dei
la
modo
filosofi.
Solo,
Cristiani
i
non ammisero
i
distinzione tra
demoni buoni e
cat-
tivi.
I ministri del
erano invece gli angeli. Distinzione cotesta che i Pagani non comprendevano. Griacch
presso di essi
il
nome
Thera troviamo
del
nome aggiunto
al
nome
defunto
86
DI E DIAVOLI
.7.
Gr. Insulariim, III, 933, 947, 949la distinzione ebbe vigore 958, 968-973). per P autorit che ad essa veniva dal fatto,
(Inscri]i)t.
Ma
si
avvalsero appunto della parola ay{BXoi a denotare gi' intermediarli tra Dio e gii uomini.
i
che
settanta
il
triste privilegio
male essi furono i pervertitori della misera umanit e come vedremo, i loro
;
intermedii tra
pur vagando negli spazii cielo e la terra, avevan sede nei templi e nelle statue ad essi dedicate, ed ivi si pascevano dei sagrifi^ii offerti ed esercitavano arcani perniciosi influssi sugli uomini. Sono questi, dice Lattanzio,
spiriti
malvagi
il
immondi, autori di tutti i mali che avvengono, e di essi il diavolo stesso principe. 'Ne altrimenti ne parla Cipriano {Quod idola Mi non sint, 6); sono
(II, 14, 5) gii spiriti
spiriti
fallaci
vaganti,
quali,
dacch
vizii perdettero nel terreno contagio il celeste vigore, non cessano di trascinar seco nella rovina e di in-
fondere negli
altri la loro
depravazione
'^
2="^
V. anclie Tertulliano, De
illos desertores
idolol.
dei,
Imms
curiositatis,
projterea
qiioqiie
dam-
DI E DIAVOLI
.7.
87
Ma
non
solo la realt della loro persona si negava agii antichi Dei. Si ammetdell'
non
arte divinatoria, dell'aruspicina, delle magie ; l' efficacia delle preghiere, delle statue, dei sagrifzii; solo cotali
teva la verit
opere ed arti
tal
concezione degli
di
si
dilegn
pa-
mai pi
dalle coscienze.
Una
di
iscrizione po-
memoria
514
un tempio
cristiana, proba-
d. 0., cos
dice {Corptis
Divenne casa di InscTipt. Gr. lY, 8627) Dio quello che era albergo di demoni: la
tenebra
i
ove erano
cori
ora sono
irato,
degli angeli
.
a deo
e Agostino,
Civ.
Dei 1\ , 1
docenduvi
palom
eos esse inmundissimos sjiritus et malignissimos ac fallacisshnos daemones, iisque adeo ut, aut veris mit fictis etlam, suis iamen crmwihus delectentur, qriae siM celerrari per sua
festa voluerunt .
V. auclie Be
dir.
daemonnm,
4.
88
DI E DIAVOLI
.7.
demoni
daemouiis.
1870, a'v. 215-216).
De Irruente. Matritt
E
vent
Diana
di-
demonio
-^
Non
altrimenti
il iioeta.
Sedxilio Scotto
i
aveva
ce-
lebrato
e di
al
tra
s
due
temxili di Pietro
cielo
Cnins
doeent
Qnis neoet
lias
ijoli
liie serlet
ergo dens.
Carmina
quadrafinta. ed.
Dueramler,
1869, carra. XXXV, p. 32). E cos in una x^oesia del secolo pubblicata, dopo il Giesebrecbt ed altri, dal
Nova ti
^,
p. 172 segg.)
Eoma
le raui-
titulos
?
prisca,
?
vtiltnm
il
Quid memoras
titulos
ecc.
diverso
sentimento che
muove
il
poeta Ilde-
berto, del secolo XI, nella seconda parte del carme De urlis Bomae mina, diretta a mostrare che Eoma era stata resa
pi illustre dalla nuova religione (cfr. Wernsdorif, Poetae lai. min. ediz. Lemaire, IV, 66 segg.).
DI E DIAVOLI
.7.
89
e).
un poemetto
de Mery del XIII secolo (Graf, L e, 377). Il Panteon, il tempio di tutti gli di, divenne naturalmente il tempio di tutti
i
Huon
demoni.
Secondo
templitm
fecit liOG
et
dedicari fecit
et
norem
Oibeles
matris deorum
Quariii et
sercliToniv,
si
omnium daemonioriim
; e la Kai-
un
son-
Naturalmente, potentissimo demone, ingannatore e tentatore, era Venere, che nel Livre des cratures di Fi-
(v.
Massman, Kai-
lippo di Tbaun anzi considerata quale regina stessa dell' inferno. E demone fu pure
ApoUo.
])osies,
I^el
Boman
de ]Edi;pus (Gollection de
romans, ecc.
Paris, Silvestre,
1858,
a carte A, III) cos descritto il suo ora Era il sole che essi colo adoravano, e
:
un
carro
Il
ricchissimo aspetto.
90
DI E DIAVOLI .7.8.
clie
del sec.
X,
avvalorando F ingenuo tentativo con V autorit dei poeti maggiori di Roma, P opera sua fosse interpretata come un supremo conato di demoni, aspiranti ancora al dominio. Gli si presentarono di notte, narra uno
scrittore medioevale,
i
assunto
la
senibianza dei
e gii resero ingannevoli grazie, che egli si facesse fortunato banditore della loro fama
e gii promisero gloria. Egli traviato da~quegli infernali inganni, cominci ad insegnare
molte cose contrarie alla santa religione, finch riconosciuto eretico, fu condannato a
morte
(liis,
Virgilio nel
M.
JE.
I,
p.
125).
8.
Abbiamo
all'
aruspicina, alle arti magiche, non combattute gi nelle loro verit ed essenza,
zione,
DI E DIAVOLI .8.
91
riteneva di origine demoniaca, e perci peccaminosa e fatale. N tuttavia mancavano tra i Cristiani stessi
clie si
muovevano, forza
In una lettera infatti che ci conservata da Yopisco (Saturn. 8) Adriano cos dice dei Cristiani del nemo Christianorum irresbyter non l' Egitto matliematicus ( astrologo, indovino ) non hartispeXf non aliptes ( 'medico secretista ) . Tediamo ora in quale forma si presentava
quelli
dediti a cotali
arti.
'
'
'
ai Cristiani la divinazione
pagana. Porfirio
o,
come
egli
oracoli, e di tale
gono presso Eusebio, Teodoreto, Lattanzio, Sant'Agostino". Scopo dell'opera era di venire in aiuto agli spiriti dubbiosi, a quelli
che avevano domandato in gTazia agli di, che si mostrassero, per far cessare le loro
incertezze.
secondo
rificare la vita.
ci
tra le
due
religioni, e ci
^'
Cfr. Porpliyrii,
De pliilosojMa
92
DI K DIAVOLI
.8.
parte della teurgia, che consisteva nel provocare la presenza di una divinit. Col
compimento
di
riti
sacri
uomo giunge
a dispogliarsi della terrena impurit, e ad evocare la natura divina, costringendola, mediante pregliiere e formole sacre, a risiondergli.
sulla
L'impero clie tali formole lianno natura universa e sulle stesse divinit
elle
tale,
esse
non possono
sottrarvisi.
pure mal volentieri. Il teurgo solo jju scioglierle da quei vincoli, pu liberarle,
sia
poich egli solo in possesso delle mistiche chiavi. Troviamo anzi oracoli nei quali
Ecate o Apollo dichiarano essere venuti di mala voglia, perch costretti ad obbedire.
La manifestazione
agli
sensibile
della
divinit
:
uomini
si
effettua dn pi
maniere
un
voce, una luce improvvisa; alcune volte il dio entra in una statua a lui
soffio,
una
consacrata, altre volte entra nel corpo stesso del suo evocatore e parla per la sua bocca. Questa dottrina fu accolta dalla coscienza
cristiana,
ina
demoni ministri
di
Dio pre-
DI E DIAVOLI
.8.'
93
dovini fossero invasati dallo spirito demoniaco e avessero potenza di evocare i trapassati.
di Saul,
IsTel
1 libro di
Samuele
Pejjisodio
di Endor, j)er evocare lo spirito di Samuele, bench Saul istesso avesse sterminato dal
j)aese g' indovini e tutti quelli
lo
che avevano
spirito
del Pitone
(I
contro
cotali
rompe
Isaia
polo
non domanderebbe
ai
il
drebbe
morti per
li
viventi
(Is. 8, 19).
Plu-
tarco/ (I)e cefectu oractil. 418, E), il quale -per aggiunge doversi respingere V opinione clic questi demoni sieno
ingannatori. Teodoreto (Graec. uff. X, in Migne, Patr. voi. 83, p. 1061) cita questo Il silenzio clie ora passo di Plutarco, ma xn^emette preme gli oracoli prova abbastanza che essi erano ora-
malvagi, funesti e
Giiratio
coli di
il
nome
di Dio, e dox)ocli il nostro Salvatore apparve in carne, X)resero la fuga, essi, che avevano importato tra gli uo-
lo splendore della
94
IS^ella
DI E DIAVOLI
.8.
avevano
lo
spirito
demoniaco
potevano evocare i morti: e che altro facevano gli officianti pagani ! Gli di che essi invocavano ed evocavano, non erano
forse
degli angeli corrotti, figli i quali loro morte furono adorati quali dopo di dagli uomini, ma non erano in realt
la
i figli
se
non demoni, a
le
divinazioni
arti
magiche
la consacrazione delle
era
riti
questi spia presentarsi, tostoch fossero maligni evocati ogni idolo era la sede di un de:
il
vincolo
che impegnava
monio.
Tertulliano in
De idololatria,
15,
parlando
impo-
ste e delle lucerne accese dinanzi alle case, chiaramente accenna all'obbligo che deri-
vava
ai
zione.
demoni dal -pegno della consacraI Eomani, egli dice, hanno divinit
:
perfino degli usci Gardea cos chiamata a vardinihus, Forciius a foribiis, Limentirms a
limine, e
lo stesso
Janus a imma:
nomi
essi
tutti vani
ed immaginarli;
ma quando
DI E DIAVOLI
.8.
95
demoni ed ogni
consacrazione
li
si)irito
immondo, perch
i
la
obbliga. Altrimenti
de-
moni non hanno nomi speciali, ma trovano un nome col ove trovano pure un pegno di consacrazione . Cos ogni demone agitando
e
di
il
nome
e
un
signore, stessa era opera di lui (De errore 'profan. rei. 1):
lobimus per
(Uctbolum
il
Firmico Materno,
divinationem pro-
esse
i
inventam
et
per-
fectam.
.
il
erano
Le
statue ed
annidavano sotto
nome
delle
varie divi-
nit, gii spiriti malvagi: e quel che vi facessero in pi luoghi a fosche tinte de-
Cotesti impuri spiriti, cos dice Minucio Felice {Oet. 27), si nascondono sotto
scritto.
le
statue e le
l'alito
nume
di lua-
fu attribuita alla ossessione dei demoni^ come si pu argouieutarc, tra gii altri, dal seguente passo di Teodoreto, In Dan. IV, 30 (Migne, Fatr. voi. 81, p. 1369)
iiiaci
:
loiov yp Ttv oh jjlvov t Xys'.v y,aX Ttpx-csiv jrapaTCc/.'.ytcov XYi3T ts y.al aia.y.xa., W. y.aX x lo6;tv aiza^na xb.
*
jrpoaKtTCTovxa
V(uy
Toto
o'
av
xic,
yoyXou}j,vooc uoioDvxac
v.al
Trayovxai;.
96
DI E DIAVOLI
.8.
vivente,
ai vati, e si
fermano nel corpo dei sani ed animano alcuna volta le fibre delle viscere animali e governano il volo degli augelli, ed emettono
oracoli involuti di falsit
non poche.
Griac-
ignorando la verit, e quella parte clie essi conoscono non volendo riconoscere, per trarsi
a rovina. Cos allontanano
uomini dal cielo e dalla visione del vero Dio li volgono a quella delle materia, ne perturbano la vita, ne rendono inquieti i sonni, ed insinuandosi
gli
tenui quali sono, atterriscono le menti, agitano in convulsioni le membra; i)er costringere gli uospiriti
le viste di
sazi!
cura di loro,
quando
i
del
fumo
loro coercizioni.
Sono questi
furiosi,
cbe
voi vedete correre all'impazzata in pubblico, i vati, che, pur quando non sono nel
In quanti scrittori si trovano questi medesimi tratti e descrizioni delle opere demoniache Gi erano in Tertulliano, e le ritroviamo in Cipriano, in Lattanzio, in Firmico Materno, in Agostino, in Taziano, in Ate!
DI E DIAVOLI
.8.
97
'
nagora, in Teodoreto, in Eusebio, in Isidoro.^ Ed anche qui notevole come in tale asse-
tenevano il campo nel mondo pagano. Secondo Apuleio {De Beo Socratis)
moni, giusta
le speciali attribuzioni
de-
di cia-
vano
il
taglio
nelle
li
viscere,
ammaestravano
i
regolavano il al canto
scagliavano
i
ispiravano
vati,
3*^
Tertulliano, Apol. 22
animae vero
eco.
siiit,
;
r.epen-
vim
excesstis,
v.
:
pure De
ergo
dii
non
Hi
vatum peotora inspirant, extorum fibras animant, avium volatus gtibernant, sortes regunt, oracida efficiunt,
falsa veris semper involmmt, nam et falluntur et falhmt, vitam turbant, somnos inquietante inrepentes etiam spiritus in Gorporibus occulte mentes terrent, membra distorquent, va-
letudinem frangunt, morbos lacesstmt, ut ad cultum sui cogant, ut nidore altarium et rogis
pecorum saginati
reinissis
quae constrinxerant, curasse videantur . Lattanzio, Insf. q^li quoniam spiritus sunt temies et incomII, 14, 14
:
hominum
morbos
et occulte
in
citant, somniis
ammos terrent, mentes furoribus quatiunt, ut homines Ms malis cogant ad eoruhi auxilia deeurrere . rirmico Mat.,
De errore profan.
C, Pascal.
relig.,
13 j Agost. De
Trinit. 4, 2; Tatiani,
7
98
DI E DIAVOLI
.8.
insomma
sempre secondo le concezioni pagane, dai demoni maligni erano da aspettarsi le calamit tutte. Le loro operazioni malefiche sono esposte da Porfirio, Ilepl Tro^-^c e^itj^xtv II, 40-42. I demoni maligni ed il loro capo sono, secondo Porfirio, venerati da coloro clie con veneficii ed incantagioni procurano i misfatti. Essi sono atti agl'inganni con ogni specie di prodigi. Per opera di essi i loro fee pozioni amatorie. Essi ispirano le intemperanze e i desiderii delle
deli
preparano
filtri
ili
Migue, Patrol.
gr.
Migne, Patrol. gr. VI, Contra Celsum, III, 27 (inPatrol.gr., v. pag. 953), Origene, 11, p. 268) Eusebio, Praep. ev. IV, 21 V, 2 Isidoro, Seni. Ili e. 6. Secondo Teodoreto la natnra dei demoni inBagora, Legato 2>ro
Christ. 27, (in
; ; ;
ma essi, soliti ad ingannare gii nomini, sogliono assumere forme a quelli estranee In Isaiae cap. XIII
corjporea,
:
T. 21
(Migne Patrol. gr. 81, p. 332) 'AocjjLaxoc; jjisv ouv xcv oaijxvcuv cpatc;, s^arcaTv oh zobc. vBptuTcoo? elcoOoTa,
TCostv.vooji Gyywiazr/..
i
Per Origene
demoni,
ma
essi
aXXo Ss
gr.
corpo che pure diversa da un corpo, Ttoiv otjxa X'. sxspov acfjLaxoi; (Convni. in Joann. XX, Patrol.
voi. 14, p. 638). Saremmo forse al non corpus, se quasi corpus, che gli Epicurei attribuivano ai loro di ? In ::epl py^^v I, 8 (Patrol. gr. voi. 11, p. 120) Origene spiega che i demoni sono detti incorporei a cagione della
DI E DIAVOLI
.8.
99
Il
ricchezze e
le
ambizioni e gP inganni.
mendacio familiare ad
gliono essere stimati di, e il loro capo il sommo degli di. Sono costoro che godono
delle libazioni e del
fumo
quali si fa pingue il loro spirito. Giacch esso si pasce e dei vapori e delle emanazioni
e di svariate altre cose, e del sangue e dell'odore dei sacrifzii si corrobora. ^' Abbiamo
dunque
pensieri sui demoni, che agitavano di trepidanze e terrori gli animi cristiani. E l'idea
^^
De natura animalium
portato
ecc.). Questo passo (II, 42) rida EiiseMo, (Praep. evang. IV, 22 in Migne, Patrol. gr. l. voi. 21, x>. 304) e da Teodoreto, G-raec.
affeet.
curatio III
(in
Migne,
anzi
o.
e.
v.
83,
p.
880),
all^
il
come appartenente
degli oracoli.
opera
di
Porfirio
sulla filosofa
altra
Molto
il
il
con-
seguente passo di
Quei
demoni
e si
clie
uomo
e alla citt
il
futuro
occupano delle cose molatali, sono demoni terrestri, disfatti dalle carnali volutt, cupidi di sangue, di fumo e di canti e ad altre cose sitatte deditissimi, e di niun' altra cosa, superiore a queste, capaci . Celso aggiunge (presso Origene, ivi) doversi sacrificare ad essi solo in
quanto gioAd,
ragionevole .
giaccli
far
100
DI E DIAVOLI
.8.
che
tali
demoni annidandosi
nelle statue,
tutto
il
gende
medio evo e
Graf, Roma nelle memoriej ecc. II, 388-406), e circondavano di superstiziose paure la statua di Marte posta
(v.
demoni avevano, come abbiamo vi^^ sto, pure una parziale conoscenza del vero. Ignorano la pura verit, dice Minucio Felice
i
Ma
{Od.
27),
non vogliono
confessare, per trarsi a rovina . E Cipriano {Quod idola dii non sint, 7): mescolano sempre alla verit le menzogne .
pi esplicitamente Lattanzio {Inst. II, 14, 6): essi sanno, s, molte cose, ma non
tutto, poich
nel consiglio fatto straordinario che gli scrittori cristiani chiamino con
^2
essi penetrare
otiriosa la
questa scienza
dunque
i
:
demoni
per
j>ossono
es-
tempo dappertutto
essi
non
vi lia
avviene altrove, e con V annunziarlo ai mortali si fanno credere essi stessi autori di ci che annunziano. V. anche
Agost.
De
(ivinaUone
daemomim,
3.
DI E DIAVOLI
.8.
101
stare la
Apollo interrogati sopra Ges Cristo fecero testimonianza della saggezza e della santit di lui. Ecate rispose tra le altre cose:
di Cristo era, per la sua santit, per la sua alta piet, superiore a quella di
L'anima
gli
tutti
altri
uomini
ev.,
.
1).
(Porfirio
presso
Eusebio, Prae]).
YII,
Ed
Apollo Mi-
uomo,
cos
risi30se:
egli
secondo la carne; sai)iente i^er le sue opere miracolose; ma condannato dai tribunali
caldei,
inchiodato
sopra
una
croce,
ebbe
Lattanzio
un
dio.
Ma
se egli
confessa che
ne segue che
se-
Anclie Ginstino, (Coiortatio ad Ch-aecos, 11, in Migne, Patrol. gr. VI, p. 264), dice ohe gli oracoli danno
ragione ai Gristianij e
ne apporta pure presso Eusebio, Praej). IX, 10, opera di Porfirio sugli oracoli. Cos billa vengono apportati e lodati da
lyoum
II,
nno,
che
si
trova
(Ad Auto-
102
DI E DIAVOLI
.8.
punto
verit,
non pot negare P evidenza, come quando disse che Cristo era sapiente. Ohe rispondi dunque, o Apollo? Se era sapiente,
dunque
la dottrina
segue sapiente e non altri . La verit che anche gli oracoli, e cio quelli che li facevano parlare, partecipavano a quella
tra, chi la
tendenza di moderazine, d'imparzialit e di tolleranza, di cui troviamo pii tratti al declinare del mondo pagano. Alessandro Severo, ad esempio, aveva messo nella sua
cappella l'immagine di Cristo, insieme con
XXIX);
il
filosofo Porfirio,
che
Era un santo, e come tutti i santi salito nei cieli. Guardati dunque dal bestemmiarlo, ed abbi compassione dell'umana folla. Giacch gran rischio v' che dall'omaggio dovuto a questo giusto s vada a cascare nella folla dei Cristiani . (Agostino, Civ. Dei XIX, 23). Ed anzi, vi ha pur qualche indizio che
giudicava di Cristo:
cristiana e le
altre
antiche
fed
crollanti.
Era
il
DI E DIAVOLI
.8.
103
giiere gli di stranieri, perch venissero a fare onorata compagnia ai loro di vetusti.
poco a poco Eoma era diventata come un immenso Panteon, ove tutte le divinit adorate sulla terra avevano immagine e culto,
ove
i
pi strani
riti
s'
intrecciavano
si
raggiungere ciascuna U nume patrio. Percli in questo consesso divino non entrerebbe ancbe Cristo f ISTon era egli una natura divina, adorata gi
prima di manifestarsi
nome
stema
sura
di
i
Non
si
di identificazioni,
allargati
a dismi-
fatti
confini dell' Olimpo romano ! Ed inabbiamo notizia di qualcbe tentativo tal genere. llUc, diceva Adriano par-
Saturn.
8),
qui Serapem colunt Christiani simt, et devoti sunt Sera])i qui se Christi episcopos dicunt .
in
Eoma
stessa
tent Eliogabalo, clie dopo avere riunito, nel tempio dedicato a s stesso, tutti gli
oggetti d venerazione dei Eomani, voleva trasferirvi pure i culti giudaici e cristiani
(Lampridio, Heliog.
Cristo
3).
Ma
il
tentativo
fall.
non
104
dalle loro sedi e volgerli in fuga, e costringerli a confessare per mezzo dei loro oracoli la divinit sua.
le
credenze sulla
i^ar-
che
tali oracoli,
come argomenti
nuova
larono imre ai cosiddetti oracoli sibillini. Sono, questi oracoli, carmi d' indole religiosa e sociale, che alcune stte giudaiche e cristiane andavano spargendo, adoperando il nome di sibillini, per conferire ad essi
gentili.
lini tratto in
Ma
cristiana.
si lascia-
tali
novella
si
conferma
Lattanzio
tali
richiama spesso all'autorit di oracoli (ad es. Div. inst. lY, 18 VII, 15),
5 :
ed Agostino cos racconta Flacciano, un uomo chiarissimo;, che fu anche proconsole e che alla grande facondia accoppiava la molta dottrina, mentre ci trovavamo un
giorno a discorrere di Cristo, mi present un codice greco, affermando che vi si conte-
DI E DIAVOLI .8.9.
105
ne vano mostr
XYIII,
23).
Se gli di erano demoniache potenze, non si dovevano forse i)lacare con sagrifzii e con voti, perch non avessero a nuocerei La risposta dei llosofi cristiani fu che i de9.
moni non avevano facolt di nuocere, se non a coloro che li temevano e li adoravano.
Nocent
UH
quidein, sed
iis
quibiis
timentur, quos
manus
dei xotens
ce
et excelsa
sacramento
(Latt.
2).
Se
gli di
propiziati con sagrifzii avevano finto di largire ai loro fedeli la liberazione dai mali,
non era in realt se non l' effetto di un' astuzia. Erano anzi essi stessi che cagionavano il male, per costringere gli uomini
ci
all'
adorazione
allontanavano e gii uomini quindi credevano dovere ai loro bedei sacrifzii ottenuti,
neflzii la fine dei proprii dolori.
Questa dot-
106
DI E DIAVOLI
.9.
vincerli di
cessare
pone sotto tale usbergo, non lia paura dei demoni. Ohi invece sacrifica ad essi, si fa loro schiavo ed
si
OM
accresce sempre pi la loro potenza. curioso infatti il notare come i cristiani spie-
gassero gii
La
dei sacrifizii resi agli di. loro spiegazione identica a quella che
effetti
dava il neoplatonico Porfirio, nel passo che abbiamo sopra riportato (Espi Tuo^r;? [jn]>D)(cov
II,
42).
3^
si
Tertull., Apol. 22
jJ'aecvpiunt
ad miraculuin nova,
et
desinunt laedere
curasse creduntur
ut ad Gultum sui cogani, ut nidore altarium vl Jiostiis peGudum saginati, rmissis quae constrinxerant, curasse vide-
antur . Cipriano, Quod idola dii nonsint, 1, (V. nota 30). Taziano, Adversus Chriecos, 18 (Migne, Fatrol. gr. VII,
p. 848)
Tiv
:
STTstov tcv
"Y]V
Y'ioopLicov
uajxvTcuv,
sTcpaYfJi.a'nsoavTo
zobq vSpcuKoo^ s? t p^^aov rtoy.a6iaT(i)0'.v. Gerolamo, Le insidie e le malvage operazioni dei In Nalium, 7. demoni e a qnali mezzi essi ricorsero per farsi credere di, vedi pure presto Eusebio, Praep. ev. V, 2. Ed Eusebio stesso in IV, 21 indica i mezzi per non avere pi timore
di essi, per vincerli anzi e scacciarli non oracoli, non non tutte le altre arti diaboliclie : basta per saci'ifzii,
:
DI E DIAVOLI .9.
107
pascono del fumo e delle carni dei sagriflcii, e per virt di essi acquistano nuovo vigore e potenza ^^ Ut sibi pctbula nidoris et sanguinis 'proGiirent dice Tertulliano (Apol. 22). E Minucio Felice (Oct. 27) nidore altarium
vel
hostiis
pecudiiTR
saginati
parole
che
Ed Arnobio
(VII, 3)
Nidorem
Prudenzio inorridiva
al
pensiero cbe
Eoma
33
strare che
Anclie Euselbio {Praep. evang. IV, 15) Yiiol dimoi saorifzii si fanno solo ai demoni, e che cio
si
torto
credono
fatti
(Contra Celsum III, 37), gli di delle genti, cio i demoni, si aggirano intorno ai sacrifzii ed al sangue e alle offerte sacrificali, per ingannare quelli che non si rifugiano in Dio. ^^ Cos Origene, Contra Celsum III, 27; Atenagora, Legatio pr Christ. 27 sg. (in Migne, Fair. gr. voi. 6,
p. 953), Agostino,
lamo, Episi, ad
tuclo
20. Cfr.
est
aemomim
Jiostia,
pascitur,
novissime
saginatiore
quadan>,
Jiominis morte,
sattiratiir .
altri,
:
domanda
dii
fruges henefacere
nisi enim tura et salsas accipiant nequetmt ; e nel VII, e. 28, cos dice :
Habent enim
dii nares
ac-
nidorum
differentium quaitates ,
108
DI E DIAVOLI
.9.
^"^
cui i>iaceva
san-
Symm. 1, 451
segg.):
liorrificos quos prodigialia coguut Credere moustra deos, qtios sauguiiioleutiis edendi Mos ixxvat, ut piuguis luco lanietur in alto
Ma
pi
esi)licito
Firmico Materno,
{De errore ecc. 13, 3). ]^el simulacro stesso di Serapide, egli dice, come in tutti gli altri,
si
accolgono
sj)iriti
il
x>er gli
immondi
time ed
sangue
per la continua
strage del bestiame, niun altro effetto hanno che questo: che la sostanza dei demoni,! quali
sono generati per i)rocreazione diabolica, nutra aijpunto di quel sangue . Dato tale concetto dei sacrifizii ed
sacro terrore che essi ispiravano
si
il
come nutri-
mento
''^~'
alle
Ad Agostino (Civ. Dei, IX, 23) non ripugna che demoni si cMamino dii, peroli tal nome avvalorato anche dalle sacre scrittm-e, come ad es. (Ps. 95, 4, 5) Omnes dii gentium, daemonia . E Agostino aggiunge
(1.
e.)
id
.
est
quos
gentes
(Praej).
pr
diis
halent,
quae
sunt
daemonia
Eusebio
anche ai maggiori di. Era, Atena, Crono, Ares, Dionisio, Zeus, Febo, Apollo istesso, argomenta che dunque anch' essi erano demoni malvagi.
sacrifizii
umani
fatti
DI E DIAVOLI
.9.
109
che
proseliti della
pia che mai vivace l'attivit loro i^er proscriverli ed abolirli. da sentire come suoni
minacciosa la rampogna sulle labbra di Origene {Exiortatio ad martyrmm, 45, in Patrol. gr.
voi. 11,
p. 622).
suadersi
che
vi
sieno
sacrificare
agli
demoni, costoro ignorano che i demoni per rimanere in questo aere denso, che circonda
la terra,
dei
si
hanno bisogno di nutrirsi del fumo sacrifzii, e vanno perci spiando o^e elevi quel fumo, ove si elevino gV incensi,
il
ove scorra
ai ladroni,
sangue
delle vittime.
Se coloro,
aggiunge l'autore, che danno gli alimenti ai sicarii ed ai barbari nemici dell'imperatore, sono puniti come violatori
quanto pi dovrebbero essere puniti coloro che con i sacrifizii danno alidello Stato,
mento
ai ministri
Questa invocazione di pene non and perduta nei secoli. Quando i Cristiani furono i vincitori, e padroni ormai dei pubblici
poteri,
colto
un seguito
di
Ilo
DI E DIAVOLI .9.
morte o
le
giori o
XYI,
propi-
tit.
ziare,
si
doveva
paura
che
essi
nuocessero
si
dovevano domare e
scacciare con la solenne professione del vero Dio. Bastava il nome del vero Dio, perch
questi
degli ossessi. Esorcizzati in nome di Cristo, quegli di, cos temuti, del paganesimo, non
osavano mentire rivelavano la loro natura demoniaca e fuggivano. Ohi era forte della fede in Cristo non aveva dunque nulla a te:
mere dagli
di. Tertulliano lo fa
Venga innanzi, egli dice (A])ol. 23), qualcuno di coloro che si credono invasati da un dio, che aspirano dal
il
fumo
nume
divino, e parlan
cotesta
medesima Virgo
cotesto
che annunzia
le pioggie,
DI E DIAYOLI
.9.
Ili
lungo la vita; se non confesseranno di esser demoni (poich essi non osano mentire ad un
Cristiano) ivi stesso versate
;
il
Cristiano, impudentissimo
Ma non a
sangue
di
quel
tal
confessione soltanto
si
limitava la misteriosa
divino. Bastava giurare nel nome di Cristo, perch gli di si torcessero ed infiammassero d' insana rabbia e
nome
tremebondi si dessero alla fuga.""* Cotesto demone che tu adori, cos dice Firmico Materno,
nome
28),
commessi
,
delitti .
Ed
altrove {De
I flagelli
vina hanno virt di castigare i vostri di, quando essi cominciano a nuocere agli uoOrigene, (Contra Celscm Vili, 64) rappresenta una battaglia qnasi tra gli angeli e i demoni, nel momento in cui tur uomo presta la sua adorazione al vero Dio.
38
Secondo Ini sono innumerevoli potest sacre, che pregano per noi, che combattono per noi, perch essi vedono i demoni pugnar contro e cercar di nuocere alla
salvezza di quelli che si danno a Dio, sperati con chi rifugge dall' onorarli col
tari e col sanome.
li
fumo
112
DI E DIAVOLI
.9.
mini
vostri
eli,
nel corpo degli nomini, sono tormentati dal fuoco delle fiamme spirituali del Dio vero:
quelli
clie
di,
presso di noi soggiacciono, per virt di Cristo, ai nostri comandi e, bench repugnanti,
sopportano le pratiche espiatrici della nostra fede e i tormenti e, vinti, sono sottoposti alle
pene vendicatrici
{Oct. 27)
:
altrimenti Minucio
Lo stesso Saturno e Serapide e Giove e qualunque altro dei demoni adorati da voi, vinti dai tormenti, svelano la loro natura n si pu certo ammettere che essi,
specialmente alla presenza vostra, mentiscano x^^i' desiderio d' ignominia. Credete
dunque
nome
del vero
ed unico Dio,
essi, repugnanti, miserandi, nei corpi umani in cui sono, inorridiscono e o balzan fuori d'un tratto o a poco a
;
poco
il
si dileguano . Segue presso Minucio concetto che essi temano e fuggano i Cri-
stiani,
gendo
e che perci appunto vadano sparnegli animi degli ignari V odio contro
trova largamente sviluppato e spiegato da Lattanzio {Instit. Y, 21). Secondo Lattanzio stesso (Inst.
di essi.
il
concetto che
si
TI, 15)
demoni temoni
DI E DL4lV0LI .9.
113
clie
Dio, essi tosto escono dai corpi; flagellati dalle parole dei suoi cultori non solo essi
ma
rivelano
anche
nomi
loro,
quei medesimi
nomi che
pure Prudenzio
106):
virtiis qiiatit,
ha (Hymn.
Haec
I, Tcspl oT'fvcov,
Con
ziano {Aclv. GraecoSf 18, q Migne, Fair. YI, p. 848) Giustino aveva usata ed aveva cos
che come i ladroni rapiscono gli uomini ancor vivi e dipoi, pattuito ed ottenuto il riscatto, li rilasciano, cos anche
giustificata,
quelli
che
gentili
liberavano
^^
Prudenzio stesso
402 sgg.)
lercussiis
Christi
poteste agitant
^^
miseriim
demoni V appellativo
12:
x'Jj
'
Gcpiv
^sXzripicf T:p(;
X-^a.tal
x v.svoo6e,siv zpaKBVZBc,
v.r/.l
:cpYjviaavTe<;
^^zf\xoQ
-(syso^ai Tupos6ofX'r]Q7joav.
S
Pascal,.
114
DI E DIAYOLI .9.10,
et notos
susinrat
Iii])-
testimonianze
ci
baster citare
Oiixcano
Lattanzio {Inst.
Ad
in
Migne,
10.
Ma
gli
di,
snidati
dai
corpi degli
uomini, non ismettevano perci la loro demoniaca potenza. Essi avevano i^ur sempre
sede nei templi, si nascondevano nelle statue consacrate. Bisognava distruggere quelle sedi, per disxjerderli, x>er annientarli. Quelle
sedi stesse anzi erano opera loro: fu
il
dia3),
mondo
gli
artefici
delle
Dato
il
concetto clie
naturale che essi sputassero contro di essi. L' accusatore dei Cristiani nelF Ootavius di Minucio Fe-
moni,
DI E DIAVOLI .10.
115
Contro
inesorabile
tali artefici
:
il
fiero apologista
egii
putare quelle mani esecrande (De idololatria, 7). I^ gli basta imprecare ad essi soltanto tutti gli altri artefici, cbe concorrono
:
al
debbono esser del ijari sembra qui (ivi, 8). acceso di quella medesima ira potente ed indomita elle gi infiammava gli scrittori
temigli, are, edicole,
maledetti
Tertulliano
biblici
contro
gl'idoli
di
loro adoratori.
Salomone, di Geremia,
vero pretendere che un Cristiano stimasse, o stimi tuttora, fare oijora indegna col maledire o disx)regiare i
demoni,
jjrecise
ha del resto
et
dii
unum
.
(De
spect.
13),
wtraqiie idololatria
ahstinemus : nec minus tenpla qiiam monumenta desjpicimus E in Idolol. 11 Quo ore Christianus ttirarms, si iter
:
tempia transibit, jquo ore fwmantes aras despiiet, et exswfflaMt quiius ipse prospexit ? . E Prudenzio, Contra Symm,
orat. I,
579
quota pars
est,
Quae Ioys
infectaiu sanie
non
clesiraat
aram?
116
DI E DIAVOLI .10.
da Oii3riano (Testimonia^
p.
13i
parole ben
impetuose e veementi
lo stesso
clelP Apocalisse,
:
che
Cipriano riporta
Se alcuno
mano, anch'
egli
lice della
Dio, mesciuto tutto puro nel casua ira, e sar tormentato con
fuoco e zolfo, nel cospetto dei Santi Angeli e dell'Agnello, e il fumo del tormento salir
(14, 9-11).
Era pi
liei
:
martirio di Eulalia
(tusdI
otsco.,
Mymn.
Ili,
126 sgg.)
Mart.yr ad ista JiiJiil, sed enini Infremit inque tyi'anni oculos Sputa iacit: simulacra deliinc
aveva proljalbilmente origine in una superstizione jioiiolare molto antica. Credo cio die anche nel paganesimo fosse x^opolare V nso di sputar contro le persone o le cose in cui
spirito
si
ma
credeva avesse
i
j)osto sede
uno
lo sputo per scacciare lo spirito. Cfr. Plauto, Ca;pt. 550 llic isti qui insjutatur morms interdum venti ; Plinio, H.
N. XXVIII,
T
toiv
Y]
4, 7,
35
e Teofrasto, Carati. 16
tc,
}j.aiv}Jievv
sK'ik'f\Kzov
cppt^a?
v.Xtcov TCToai.
DI E DIA.YOLI .10.
117
mi
135, 15-18)
non veggono, hanno orecchi e non odono ed anche non hanno fiato alcnno nella loro
bocca.
Simili
ad
essi
sieno
quelli
che
li
fanno e chiunque in
per
i
essi si confida *\
Ma
quei
inerte,
:
marmi
senza
abitava in-
vece in essi una misteriosa potenza, perturbatrice della vita umana. Essi parteciparono alla credenza comune del paganesimo, che le
statue fossero animate. Statiuts animatas
sensu,
(si
Ad Ascle-
Questi
antichi
passi
sacri furono
naturalmente
apportati spessissimo dagli scrittori cristiani in questa lotta contro g' idoli. Cfr. Tertull. Be icolol. 4, lo, ecc. ;
EuseMo,
log.
Praex.
evang.,
dei;
apo-
740 sgg.:
l^am
et comminatiir tleoriim ctiltoribus ipse Sacriflcans idolis periet in morte seciinda. Quiqiie deos ergo seqnitur fabricatos in amo,
Argento ve!
Cnm
lapide, ligno vel aeramine fasos, ipsis nfelix mittetnr in igne proectus.
118
s]3iriti
DI E DIAVOLI .10.
.
Cri-
malvagi e nemici. Sicch, se a tutte le sacre autorit del passato si congiungeva il religioso terrore, che dentro quei bronzi e
stiani,
quei
marmi ponessero
pu immaginare con
qual trepido ardore si aspirasse alla dispersione di quegli esecrandi pegni diabolici, e
con quale impeto prorompesse il grido abbattete Togliete, togliete, con animo tran:
!
ornamenti
dei templi, cos dice Firmico Materno {JDe errore jrof. relig. 28, 6), abbruciate cotesti di,
convertite in vostro proftto e in x)ropriet vostra tutte le rendite. Quando avrete distrutto
i
templi, avrete
.
maggior merito
di virt di-
nanzi a Dio
E il
come
sostiene Agostino per inculcare la distruzione dei templi {De civ. Dei Y, 26), le cose
terrene
non debbono essere in potest dei demoni, ma del Dio vero. E Agostino stesso, quando volle vedere abbattuti anche a Car:
tagine gi' idoli, trov nel fervore della sua convinzione accenti non meno caldi Dio
lo vuole,
egli esclama.
{SerTii.
XXIV,
DI E DIAVOLI .10.
119
Oom'
tori
noto, u
il
popolo, n
si
gi'
impera-
rimasero sordi a
siffatte voci.
In altre
trover qualche fugace accenno a questa storia di devastazione. poco a poco l'umanit si chiuse
pagine di questo
volume
angosciosa nelle trepidanze d' oltretomba ov' era sorriso di arte, ov' erano ville e citt
:
fiorenti,
fu squallore e deserto.
sulla ro-
dell'
arte ancristia-
il
nesimo
trionf
come
invade, come forza che domina e vince. Ma gii di antichi non morirono. Distrutti i
loro templi e
i
cora per
il
mondo
e dell' amore, gii di giocondi del lavoro e della vita, divenuti ormai demoni, turba-
1'
umanit
tre-
pidante rosseggiarono tra lingue di faoco, urlarono sopra cime arroventate, flagellarono con ghigno feroce e tra grida selvagge i
peccatori maledetti, essi, che composti a dignit maestosa e solenne avevano ispirato
le
concezioni pi serene
dell'arte
avevano accompagnato
Eoma
antica, vittoriosa su
II.
romano
del paganesimo.
]^eir
anno 416
dell'
ra volgare
^
il
poeta
per
Eutilio l!famaziano
abbandonava
tradizioni
virt.
Eoma
ritornare
Egli aveva
nobili di paIl
triottismo e di civili
padre suo
Lacanio, durante il governo della Toscana, aveva dato belle prove di moderazione e di giustizia. Quando il figliuolo giunse a Pisa
e vide nel fro della citt la statna del pa^
dre suo, e seppe che i vecchi 1' additavano ai loro figli quale effigie di un uomo che
era stato esempio di
carattere
costante
mite, ebbe bella testimonianza dell' affetto e della venerazione che tutt' ora circonda-
memoria paterna. E con compiacenza ramment egli pure come di niun alvano
tro
la
ufficio
pi
si
dichiarasse
contento
il
Vedi
Carni. I, 135-6.
124
l'
n questura, n
;
la cura delle
la stessa pre-
ufi&ci ambiti per fulgore di fasto e di potenza, avevano potuto scuotere nel suo animo la iDreferenza che egli
dava a questo
uflcio
meno
alto,
ma
nel
quale trovava cos vivace e sincera la corrispondenza di affetto con i suoi buoni Pisani.
tale scuola fu educato il figliuolo, che anch' egli segu la via dei pubblici uf-
fici,
alla
aveva aperto le sue porte al mondo intero, aveva largito ad esso i benefizii della sua civilt e delle sue leggi, ed ora poteva
Eoma
uno
straniero,
un
gallo, venire
a governarla,
alta carica, e
quando
gii
nare
Eoma
per tornare
nella
sua terra
natale, nella quale orde di barbari avevano sparso desolazione e squallore, gii salirono
2 3
Carm.
1,
573-590.
157-160. Circa la data vedi Matliis, 1, Buiilo Claudio Namaskino. Torino, 1900, pag. 12. '^ Circa le attribuzioni del 2iraefeetus urbi cf'r. Carm.
I,
Carm.
159-160
Cassiodoro, Var.,
6,
4, ecc.
125
alla citt
preghiera che gii rendessero propizio il viaggio, in premio dell' avere egli bene amQuirino, di avere sempre onorato e consultato l' Augusto Senato
ministrato
diritti di
di
Eoma.
Ed aggiunse
che mi sia
dato chiudere la vita nella mia patria o che un giorno tu, o Eoma, sarai restituita agli
occhi
anzi al
miei, io sar fortunato e giunger sommo di ogni mio voto, se tu ti
degnerai di ricordarti sempre di me . Cos al poeta che parte si presenta qual conforto la speranza, che 1' opera sua sar proseguita
diletta.
di
buona memoria
egli,
per
l'
una descrizione
i
tico,
tra
monumenti
piti
notevoli nella
letteratura del
V secolo,
l^oi ci
;
faremo per
poco suoi compagni di viaggio egli ci parler di cose nobili e belle, ed evocher ricordi che parranno diffondere attraverso il buio dei secoli una luce di gloria.
^
Carm.
1,
155 e segg.
126
l'
Devastazioni
gueiTesche,
che
avevano
sparso la miseria e l'orrore nella sua patria, cliiamavano il jjoeta ai fondi aviti. Non
pi lecito, egli dice, pi oltre ignorare quelle l' diuturne rovine indugio del soccorrere
:
le
ha
moltii)licate.
Dojjo
fieri
incendi nei
tempo
di far sorgere
"
almeno capanne da pastori. E dopo questo primo accenno di desolazione, un altro pi grave ci asi)etta: Gi stanchi degli
ami^lessi della cara
Scegliamo la via di mare, giacche le vie piane di terra sono inondate dai gonfi fiumi, e sono aspre le
e
il
ne tarda
partire.
pianura etrusca e la via Aurelia sono state devastate col ferro o col fuoco dalle gotiche mani, e sono
Dopoch
la
campi ed
ponti
sui fiumi, meglio afldare le vele all'incerto mare '. Sono brevi tratti, ma ci i^tqsentano uno spettacolo di squallore. E per
ov' erano
G 7
prima
1, I,
Carm.
Carm.
27-34. 35-42.
127
sato
un
da
soffio
distruttore.
dov' pi
la
le strade dell'
im-
Eoma
capitale
lino
agii estremi
mondo ? Poco pi di due secoli un oratore greco, diletto a Marco Auprima, relio, Elio Aristide, cos diceva in una magnifica invocazione a Eoma Ora Elleni
confini del
:
ovunque senza
loro,
dif-
portando seco le proprie sostanze, come se andassero da ima patria in un' altra n sono temibili le
fuori del
paese
Egitto, n i monti impraticabili, n gii smisurati torrenti, n le selvaggie trib ; i)er esser sicuro basta esl'
cilicie
le strette
sere
cittadino
romano,
o,
meglio,
suddito
comune
a tutti
'
rato tutta ]a terra, avete gettato dovunque i ponti sui fiumi, costruite le vie nei monti, coperti i deserti di popoli, e tutto nobilitato
pure po-
Dante
128
l'
vantava
si
strin-
gersi di tutti i popoli in una famiglia sola: Lo straniero ormai dovunque come in
casa sua; facile mutar sede, un giuoco ormai veder Tuie e penetrare nei recessi una
volta orrendi
fonti del
;
possiamo
abbeverarci alle
;
poeta cortigiano, per inneggiare a Stilicone, non ha voluto accorgersi dei mali che lo circondavano ha attinto agli inni
:
di altri
tempi l'ispirazione
al precoiio
ma-
ma
ed egli stesso dissanguatore di popolo^"; e proprio nei tempi suoi, i tempi che prece-
dono immediatamente
pubbliche
condizioni
quelli
si
di Eutilio, le
II Cons.
SUliGonis, 154-9.
Zosimo, V, 1. Difende Stilicone dalle accuse di Zosimo e di Eunai^io il Vogt, De CI. Claudiani carminum
quae Stilicoiem ^praeMcant fide liistorGa, Bonnae/ 1863, pag. 15 e segg. I frammenti delle storie di Eunapio vedi presso Miieller, Fragm. histor. Gr., TV, 7-56.
129
miserevoli;
" a tal segno che piuttosto che avventurarsi a lunghi viaggi, non era prudente, ad un patrizio, passeggiare sulla via
Appia/- Simmaco, nello scrivere ad un amico ]o avverte che egli stesso non pu uscire
fuori le porte di
Eoma, perch
ci
la
campagna
corrispon-
infestata
dai malviventi/'
La
denza di Simmaco
zioni del
tratta di
il
d anche,
sulle condi-
largo sentimento d'indulgenza tutte le cose umane ; egli anzi loda il tempo suo, nel quale
l'istruzione diffusa e
la
il
merito dischiude
eppure con tanta inclinazione benevola per il mondo, qualche volta par che una nube gli oscuri la fronte e una
via agii onori;
esitanza angosciosa gli turbi l'anima. Egli
**
il
fsco di-
voratore di tutto, la terra non pi produt^^ tiva. Se avesse avuto anima pi ardente
meno
^^
indurita
nella
^-
Vedi Tamassia, L^agonia di Boma. Pisa, 1894. Per tutta questa parte vedi pure la classica opera
di G. Boissier,
i3 1*
15
La
155 e seg.
Ep.
Ep.
II, 22.
Ili, 43.
I,
V, 63;
5.
9
C. Pascai..
130
mondo
ufficiale,
sdegni generosi, accenti di vero e veemente dolore, quali li trov il nostro E-utilio, clie
parve sentire come un ultimo fremito di romana grandezza, e se avesse avuto sguardo pi profondo avrebbe visto die ben pi alta
era la cancrena roditrice
il
;
ed avrebbe avuto
presentimento della prossima fine, quel presentimento che faceva dire a Gerolamo
:
niente fu pi forte e pi saldo dell' impero romano, cos ora sul " finire delle cose niente pi debole, quel presentimento che a Olaudiano stesso fer
Come
sul principio
mava
tenza,
l'
gli strappava dall' Ahim di angoscia dove caddero grido la forza del Lazio e la potenza di Eoma
:
!
con questo decadere di tutte le pubbliche cose cresceva spaventosa la miseria. Eoma ebbe qualche volta a soffrire la fame.
Le ricchezze del mondo avevano preso ormai altra via le provincie erano stanche
:
di nutrire
^^
i^
44-45.
liA
131
clie
avevano ordinato
grano dell'Egitto fosse diretto a Costantinopoli. Invano Simmaco aveva scongiurato l'imperatore che soccorresse la Citt eterna, i)riva delle sue risorse e clie non
tutto
il
aveva pi
il
il
modo
di vivere.
^^
Durante
la
ribellione di
trasporto del
])ero
Claudiano, abbattuto
allora
una
si
mentre
;
lagnava con Giove dell'avverso fato ma non era pi la dea superba, fulgida di bellezza e di potenza aveva languida la voce e tardo il passo, e gii ocelli infossati
;
festeggi l'abbattuto Arasse, n che le nostre scuri opprimano i Persi armati di faretra
;
n che
arene
;
nostre aquile si posino sulle rosse tutto questo a noi davi un giorno,
le
ora io,
Eoma,
ti
chiedo solo
il
pane
abbi
piet, ottimo padre, della gente tua, difendici dalla fame estrema ^\ Eutilio non ebbe
18
JEpist.,
1^
X, 55, 57.
Bell. OUa., 31-36. Molto simile a quella di Claudiano la rappresentazione di Roma, che si trova nella seconda met del secolo V in Sidonio Apollinare, nel
132
questi
momenti
:
di abbattimento e sconforto,
ne rappresent mai
zione ultima
Eoma
Roma
cui destini immutabili egli aveva fede inconcussa. Ed era tale questa fede, che pur tra mezzo alle angscie ed ai pericoli di volta
in volta rinno vantisi, e all'insolente scorazzar vittorioso dei Goti, egli affermava so-
lenne
Eoma non
muore.
gli altri imperi,
grande per
Su
via.
Pauegirieo in onore di Avito. Anche ivi Roma rammenta con rimpianto a Giove la sua passata grandezza, ed cos descritta (v. 45 e seg.)
:
Ciim
Pigios
Eoma
Peudent crines de vertice, tecti non galea clipeus impingitiu' aegris Gressibns et pondus, non trror, fertnr in liasta.
Ora
ferens.
PiilTere,
:
Della fame da cui fu travagliata Eoma nel 412 durante la invasione dei Goti, cos scrive Gerolamo (Epist. ad Prnciiram) Capitur nrbs quae totum cepit orbem,
et ax
Ad nefandos cibos erupit esurientium rabies et siia invicem membra laniarunt, diim mter non parcit lactenti infantiae et recipit, utero quem paulo ante
effuderat , Nattu'almente questo qiiadro nella
finale di una.
:
immagine
non
si
ripugnante esagerazione ma la fantasia eccita a tali esagerazioni se non dinanzi allo spet-
LA. FINE
DEL PAGANESIMO.
133
cada vittima alfine la sacrilega gente; sottopongano i Goti al tuo giogo il i)ei'fido
collo.
Le
terre da te
;
pacificate
ti
mandino
colmino
ari
ricchi tribnti
di ricchezze
a te
grembo venerando;
te,
in eterno
il
il
Eeno per
;
in
eterno per te
Nilo inondi l'Egitto; la terra fertile alimenti te sua nutrice l' Africa a te mandi
le
Lazio, e scorrano dai pingui torchi gl'itali vini, e il Tevere stesso cinto della sua
fertile
qua
ricchi prodotti
campagna
e di l quelli del
mare
^^
Bel sogno di opulenza e di sana e operosa prosperit; n si pu senza commozione pensare a questo sognatore, che
della
dezza di Eoma.
citt
e g' infiamma
Non
pi la
squallida dea, disfatta dalle sue pene e dai suoi dolori, che si umilia all'onta dell'abie-
Carni., I, 139-152.
134
d tutti
i
l'
beuetzi largiti al
mondo
e fssa su-
questo saluto a Eoma, saluto evocatore delle passate grandezze Te non ritard la Libia
:
infiammate sue arene, te non respinse con l' Orsa armata del suo gelo per quanto spale
;
zio la natura
polo e l'altro del mondo abitabile, per tanto la terra fu aperta al tuo valore. Tu hai fatto a diverse
tra
ha disteso
un
patria sola pure a coloro che non volevano essere a te soggetti giov il tuo dominio. Tu hai dato ai vinti la comunanza del
genti
una
tu hai fatto una citt di quel che prima era l'universo '\ Questo superbo inno rivolto ad una regina caduta ci commuove
tuo
diritto,
molto pi delle glorificazioni di lei, fatte nel fulgore della sua potenza. Certamente il motivo i)oetico non era nuovo. Anche Olaudiano non sempre ebbe dinanzi alla fantasia quelle tetre visioni di squallore e di fame.
Quando l'animo
gii si rinfranc di
alcuna
speranza che il suo Stilicone potesse difendere Boma e quasi rinnovarne i destini, allora lev pi alta l'ala al canto suo; e, per
celebrare
2i
il
Carm.
I,
E LA
FESTE
DEL PAGANESIMO.
135
inneggi a Eoma, madre delle armi e del diritto, a Eoma che dopo la disfatta era
sempre risorta pi fiera e pi grande, a Eoma che aveva accolto, nel suo seno i popoli vinti, e aveva loro largito i diritti di ^^ cittadini. Ma se Olaudiano vedeva in Stivindice della romana grandezza, non poteva avere tale conforto. Stilicone ora non era pi; ma ad ogni modo egli per Eutilio non era stato che un tradi'^ tore dell'impero. E Eutilio non vedeva
licone
il
Entilio
che egli stima pestis contagia (I, e[ l' impero patteggiare con i barbari, e
pretesto
questi, col
dfella^nuova religione,
devastare, saccheggiare, distruggere i templi antichi, proscrivere gli antichi riti. Tanto
l'afferma-
poeta fa
(I,
signifi-
cato di tale affermazione, bisogna ricordare come la questione dibattuta suUa eternit
di
Eoma
era allora
un
episodio di un'acre
si
lotta
religiosa.
poich
tratta
di
una
22
II
Cotis.
Stilic.
130-154.
23
Carm,,
II,
42-3.
136
lotta tra le pi
memorabili
dell' umanit,
poich in questa lotta Rutilio stesso ebbe la sua parte di combattimento, noi, prima di
leggere quei versi,
fatti e alle idee,
vogliamo accennare
li
ai
che
hanno
ispirati.
il
L'eternit di
Roma
poeti latini e la dalla prima ei30ca imperiale. Yergilio nell' Eneide fa che Giove stesso x)rometta a Ve-
era stata
nere
fati eterni di
Roma
(I,
277 e seg.)
7m
rium
Yergilio stesso, per F eternit ai carmi suoi, augura auspicare che essi dimno quanto la rocca capitolina e
sine fine
de di.
il
Senato di
Roma
(IX, 446-9):
si quid mea carmina possunt Nulla dies unqtiam memori vos eximet aevo, Dum domus Aeneae Capitoli inmobile saxnm
l^OTL altrimenti
Orazio
augurava che la sua gloria potesse crescere sempre rinnovellata, fino a che il Pontefice con la tacita vergine salirebbe il Campidoglio; ed Ovidio (Met. XY, 877):
Quaque
j)fitet
domiti
Romana
poteutia terris
Ore legar populi, perque omnia saeoula fama Si quid liabent veri vatnm praesagia. vivam.
L'affermazione di
tal
magnifico presagio
137
continu superba per tutti i secoli della vita romana. La troviamo in Frontino, in
Ausonio, in Amniiano Marcellino, nelle iscrizioni, nelle monete. Un ignoto poeta greco
in
una
bella
ode
saffica
Eoma
cos le
di-
dice:
Il
strugge, e che in varie guise trasforma la vita, a te ha dato prospero ed eterno l'im-
Ed era, come gi dicemmo, pure perio . fervida fede del popolo. Secondo ui^a no"*
tizia
^*
(VII,
pag. 312, Hense) ed attribiiita alla poetessa Melimi o di Lesbo. Da Stobeo il nome 'Pcujti interpretata come " forza e r ode stessa si crede diretta alla '^ Forza
13,
,,
,,.
figlia di Marte, ,, e primo verso invoca Roma tutta V ode mostra ohe si tratta proprio della citt di Roma e che V ode stessa da attribuire ad uno scrittore
il
''
Ma
Circa 1' eternit di Roma deir et imperiale. confronta pure il voto di Elio Ai'istide, nella orazione a
greco
Roma
sopra citata,
T']V
109
tovTU)V
aioivo? v.a\
v.a\
jxv]
pX'^v T7]v8s Y,a\ KXcy T*/]vSs 8XXstv 8i' reaeoSai Tcplv av jJLSpoc xs itsjs SaXaxtTjC
Dione,
Excerpta
vatic,
154:
SipXXv](;
}(p7]ojji?
x'fic,
olxoo[Jivv](; fJis)(pt
138
l'ultimo
c.ys^TO
romano
1'
quando Eorna
fratelli
Ae~
ternitas im/perii
annunziavano d far
ob detecta nefa/rio-
rum
Consilia, e
cio
per
essersi svelate le
trame di coloro che volevano distruggere Eoma. *^ Ora nella credenza popolare era
che questa eterna durata di Eoma venisse assicurata dalla durata di alcuni oggetti e
firmamenta imperii. Tali erano j libri sibillini, l'ancile di Kuma, il fuoco di Vesta, i simulacri del porticiis ad nationes. ^' Era naturale che contro tali firmamenta imperii pi si appuntassero le mire rabbiose di tutti i
nemici di Eoma.
avevano P anima tutta piena dei sogni mistici dell' Oriente ed asQuesti
nemici
Eoma,
spoglie e
la
dell'
superba Uni-
un genere
delle
di letteratura popo-
quello
Apocalissi
dei
Carmi
trattazione clie ne
^^
questa parte mi Tbaster riferirmi alla lio fatta in Atene e Roma, maggio 1901, rix3ubblicata in Fatti e leggende diBoma antica, pag. 156-163.
26 pgj,
tijtta
Cfr. la
e nelle
Boma
nelle
memorie
evo, 1,
203 e seg.
139
lseudosiillim
intorno
trice della
ingiustizia sul
mondo, e ijareva
il
simboleggiare la violenza e
stringendo
tributi
i
il
sopruso, cola
mondo
i
Dopo
prima perdi
il
secuzione contro
vampa
terribile e
visionario
inebbriato
dal
i)ensiero
che
stesso possa
distruggerla
di
fuoco
(caj).
XYIII).
Ma
le
spargevano sotto il nome di Sibillini. Era un nome accortamente scelto, per far trovare ad essi facile accesso presso il popolo ed autorit alle loro fosche predizioni.
L'imprecazione in questi carmi violenta: Eoma deve perire, la sua ricchezza dileguarsi, il fuoco invaderla tutta, il suo
suolo deve essere occupato dai lupi e dalle
volpi.
Ed
il
tristo
cantore
domanda con
il tuo Palghigno feroce: dove ladio? Dove saranno allora Giove e tutti gli di che tu adoravi? (Vili, 43-5). E poi-
sar allora
Boma
durerebbe
140
l'
mondo,
si
congiunsero
due credenze, e la distruzione di Roma, sede e capitale dell'impero, si mise in rapporto con la universale distruzione cosmica.
-^
Questa forma
i
quali
cercarono mostrare
sero ragione di
l)regassero
impero,
dell'impero
il
Imjjortantissiino
Quaest.
:
tal
riguardo
passo
di
Gerolamo,
Algasiae
{Opera, Parisiis,
1706, IV,
Nisi, inquit [Paultis] fuerit Eomantun impag. 209) perium ante desolatum et Antichristus praecesserit, Clxri-
non veniet, qui ideo ita venturus est, ut Anticliristum destruat. Meministis, ait, qnod liaec ipsa qiiae ntinc
stus
scribo
per
epistolam,
et
sermone narrabam,
ventiu'um, nisi detineat scitis ut reveletur in suo tempore, lioo est quae causa sit ut Antichristus in praesentiarum non veniat
dicere Bomanwm imperium destruenimperant aeternum putant . A proijsito di qiieste parole, giova il notare che V interpretazione di Gerolamo proprio quella che del
cum apnd vos essem praesenti dicebam vobis Christnm non esse praecessisset Antichristus. Et nunc quid
dnm, quod
passo di Paolo io
detti
nelF opuscolo
svlV Incendio
queste
carme di
Roma
.di
Prudenzio (Contra SynimacM OraUonem), che esaltando redenta alla gloria di Cristo, d ad essa la missione
2>erpetxi.are la
(II,
638 e seg.).
141
avrebbe
annunziato
la
fine
del
mondo.
dosi Tertulliano nelP Axmlog., cap. XXXII, e nel Liber ad Scapulam, cap. II. In Lattanzio invece la profezia ricomparisce nella sua forma pi violenta (Div. Inst., YII, 15).
Le
nato che
Dio, fu nemica di giustizia e trucid il popolo alunno di verit . E facile riconoscere cbe
nome
sitibondi
le
vendetta contro
Eoma, dopo
stiani
la
Quando
ranno dilaniate,
(IV, sino
uno di tali cantori fiamma si slancer 127), quando al vasto cielo, consumando le citt, fala
gli
cendo perire
quando dranno
sangue, cadall'alto, allora ravvisate la collera di Dio, che viene a vendicare la morte dei suoi giusti . naturale che i firmamenta
il
come
imperii fossero ritenuti principal cagione della superbia di Eoma, e deUa sicurezza
142
sfidare
i
t/ ut.timo
canto romano
Agostino allude ad essi quando dice (De Civ. Dei, II, 29) che il fuoco di Vesta e la rocca capitolina non potranno assicurajre l'eternit; ed altrove,
secoli.
alludendo alP impero di Eoma, cos dice: Quelli che promisero l' eternit ai re-
gni terreni, non sono stati addotti dalla verit, ma hanno mentito per adulazione
{Sermo
CY
de verMs
stino stesso ci
ev.
LXXXI=XXXIII
fremeva nelle co-
Ma
di
di dileggiare e sopprimere quei misteriori pegni della eternit sua. carme cristiano dell'anno 394,
brama
Un
pa-
gani, cos accenna con iseherno ai firmamenta imierii'. <^ O voi, che venerate i boschi e
e la selva ida, e il Campidoglio eccelso di Giove, e il Palladio, e i lari di Priamo e il santuario di Vesta, dite
l'
antro della
sibilla,
cos continua di
tutto
il
143
vittoria
(cfr.
ILI, p. 287).
Dei
razione e di
fervido
firmamentum
avesse brninvet-
li
ciati.
^^
Di qni muovono
le violente
*^
tarono
Delle -accuse rivolte da Eutilio a Stilicone dispuil Wernsdorff nell' Excursus Vili a Entilio, pail
Mathis, nel-
V opera citata, Butilio Claudio Naviasiano, pag. 75 e segg. Il Wernsdorff crede falsa la notizia dei libri sibillini
dati alle fiamme, e lo argomenta dal fatto che di ci non si trova notizia negli ordini imperiali e che gli altri
scrittori
ne tacciono.
-un
argomento ex
silentio,
che
qni non miv_^pare abbia valore di fronte alla precisa attestazione di uno scrittore contemporaneo. I passi che
il il
Wernsdorff adduce da scrittori che indicano, secondo suo avviso, i carmi sibillini come ancora esistenti, non
:
mi pare che giovino all' assunto qualcuno di essi non li indica come esistenti e quanto agli altri da notare che possono riferirsi a tempo anteriore che Rutlio sembra indicare la distruzione come proditoria e segreta, e che ad ogid modo in mezzo alla collxivie di carmi che
,
correvano
'sotto il
nome
vano anche non discernere i genuini dai falsi. Il Mathis poi mette in rilievo la natura religiosa
politica delle accuse di" Rutilio
;
ma
quel
che
egli
ag-
mi par ben nemici che mossero Onorio contro Stilicone, e le accuse contenute nel carme sarebbero 1' eco di quelle
delle quali si
Il
che mi pare
144
tive
(II,
del
nostro
Eutilio
contro
Stilicone
l'
35 e segg.).
La natura tem
invidia
nemici di Eoma) e stim le Alpi troppo piccolo riparo alle nordiche minacce.... Cos
(dei
Eoma
munita
ebbe per s solleciti gli di. Tanto pi dunque malvagio il delitto del crudele Stilicone, che trad gli arcani
di pi difese, ed
imperio. Il suo bieco furore per sopravvivere alla stirpe romana confuse, le pi
dell'
alte.
E temendo
tutto
quanto egli stesso per essere temuto aveva fatto, import le armi barbariche alla rovina del Lazio. Egli pose il nemico armato nelle viscere nude dell'impero, con inganno pi
turpe che non fosse l'inganno dell'apportata rovina. E a satelliti coperti di pelli Eoma
era dischiusa, schiava prima ancora
di
es-
sere presa. ]^ solo con le gotiche armi inferoc quel traditore ; prima aveva distrutto
col fuoco
il
presidio che a
ISToi
Eoma veniva
dai
morte procurata
;
al
fatale tizzone
gli augelli,
come
lama, an-
in contraddizione con quanto FA., inunediataniente dopo, giustamente osserva circa la responsabilit
olie sia
Onorio nella x)resa di' Eoma, nella distruzione dei templi anticlii e nei maltrattamenti ai pagani.
di
145
cor piangono il crine vstrappato a Niso; ma Stilicoiie volle distruggere i pegni fatali deleternit dell'impero, rovinarne i fati ancora fiorenti. Si dileguino tutti i tormenti che dil'
ombra
pi
trista
consumi
le faci
stigie;
IS^erone
colp una mortale, Stilicone una immortale; quegli la madre sua, questi la madre del
mondo
poco dopo di Olaudiano, che in lui aveva sperato il restauratore dell' impero. E certamente in queste veementi invettive da ravvisare
il
prorompere di tutto
lo
sdegno del
poeta per la soverchia soggezione di Stilicone alle pretese dei cristiani. Questi ultimi
'"
Il
ma
probabile
clie
non
Ma
desse (o forse provocasse ?) gli ordini imperiali per agire. che egli non lasciasse sfuggire occasione per morti-
pagano, pur probabile. Noto 1' episodio moglie sua Serena ohe nel tempio della Magna Mater strapp dal simulacro della dea la preziosa collana e i)er
ficare il culto
della
dileggio se
ne cinse
il
collo (Zosimo,
V,
38).
Fu
Stilicone
che bruci
i libri sibillini
che fece togliere le lamine d' oro dalle porte del Campidoglio (Zosimo, V, 38), fu Stilicone che apr Roma a
qne nemici che erano feroci odiatori dei pagani e che nel sacco di Alarico avevano risparmiato solo quelli che essi ritrovarono rinchiusi nelle chiese cristiane.
C, Pascal, 10
146
l'
pagani avevano l'anima esacerbata dal trionfo degli avversari, che crescevano sempre pi
in potenza,
loro,
pubblica disputavano il terreno ai j)agani, e cercavano abbattere dalle radici il loro culto.
Potenti per numero, per audacia,
di fede, essi
ijer
ardore
met
che
particolari
]30ich
ma
degli attacchi di Eutilio contro i cristiani, sar ojjportuno dire qualche parola sul modo onde quella
lotta si era manifestata.
^^
uel 423 dagli imperatori Onorio e Teodosio (Cod. Theod., XVI, tit. 10, n. 24). Se i giudei e i pagani sono tranquilli,
dice
i
editto, e nulla
osino
torit
cristiani fare
ad
essi violenza,
ranno
lor religione. Se faranno violenza o se rapiloro beni, saranno condannati al triplo ed al quadruplo della cosa rapita .
di
i
147
loro diritti, dei loro templi, delle istituzioni il mondo si allontanava ornai da loro.
Ma
essi.
Ogni imperatore
fama
Il
scbierava
ci
contro di
essi.
codice teodosiano
qualclie sprazzo
di luce,
che fa risaltare di
lotta
memoranda.
Un
editto, probabilmente dell'anno 346, stabiliva che chiunque adorasse templi pagani,
chiunque compisse
sacrifizi, fosse
dannato a
morte: gladio ultore sternatiir (Cod. Theod., XYI, "^tit. 10, 4). E cos morte o proscrizione
vengono minacciate
editti del
ai
356
(ivi, n. 6) e del
Ma
essi
pi
fieri
supplizi:
acerMoris immineMt
swpiMcii crueiatus (anno 385, ivi n. 9). Grli ordini severissimi si susseguirono, crescendo ognor di ferocia contro l'odiata fede (editti
del 392, ivi n. 12; del 395, ivi n. 13). finalmente nel 423 si ebbe prova della mansue-
tudine e della clemenza imperiale in una legge che disponeva: I pagani che ancora
rimangono, se saranno sorpresi nel compiere i loro esecrandi sacrifizi, bench avrebbero dovuto essere gi tutti dannati a morte.
148
l'
ultimo
CA.1vT0
eomano
pure sieno puniti con la confisca dei beni e ^^ con l'esilio (ivi, n. 23).
Cosi
fin
il
paganesimo.
per le ove non tardarono a raggiungerli campagne, gii editti imperiali. Se vi sono ancor templi nei campi,, dispone una legge del 399 (ivi,
n. 16),
tutti.
si
abbattano
Giacch distrutti
templi, aggiuuge,
non
Ed
Se ancora riman-
gono statue nei templi e nei santuari, sieno rimosse dalle loro sedi (ivi, n. 19). Accanto
meraviglia di trovare anche editti imperiali che cercavano di salvare
tali ordini, ci fa
templi dalle furie devastatrici. Probabilmente ogni volta che qualche voce autoi
revole giungeva al trono^in difesa delle antiche opere d' arte, gV imperatori si muo-
vevano in
sempre
^^
importante xjure
il
titolo
del libro
XVI
del
Codice Teodosiano, ov' tutta lina serie di editti (nn. 44, 46, 47, 51, 54, 56, 58 e 63) dei primi anni del secolo V,
editti
elle
i
stabiliscono
contro
li
:
gli eretici e i
pagani, e
li
contro
denunziano e non
pu-
niscono,
pene maggiori
149
ormai cadente, sopravviveva alla fede, e impetrava per essa nemici. Cos Teodosio il rispetto dei suoi
stata ispirata dalla fede
domand che
fizi
si
lasciasse aperto
si
un tempio
10, n. 8);
facessero' sacritit.
XYI,
cos
Onorio pubblic una legge che proibiva di distruggere le opere d'arte che erano nei
(ivi,
templi pagani
n. 15).
ad usi
fu
civili.
^^
Ma
di
una
fiacca difesa.
Una
fosca follia
distruzione
aveva invaso
eii
animi.
^*
Da Agostino, Epist. ad Maximum Madanr., risulta che alciuii templi erano stati adibiti ad altri usi. Confronta nella citata orazione di Libanio (pag. 26 Goth.)
2^
:
^*
altro uso
Libanio nella orazione Pro temj^Us fa una efficace dipintura di questi fanatici distruttori Corrono ai tem:
portando legna e pietre e ferro: quelli che non ne hanno, portano contro di essi le mani ed i piedi.... Ai sacerpli,
primi templi, corre ai secondi ed ai terzi, si accumulano trofei a trofei contro la legge tua.... Passano per i campi come torrenti
devastatori
:
un tempio
in uji campo, il campo stesso perde la sua luce' e la sua vita e giace immerso nello squallore .
150
San Martino, vescovo di Tours, marciava alla testa dei suoi monaci per dil^eWa, Galli a,
struggere
cri.
^'
strusse tutti
magnifici
nanzi
loro
maestoso tempio di Griove, con le sue colonne formate di pietra collegate tra
al
con piombo e
suo
ferro.
Contro
quella
dovesse
spuntarsi
rabbia del
piccone;
stesse
eppure non
colonne,
le
fondamenta
il
delle
fuoco
ed
fante
alle
nuove
vittorie
e continu pei
siuodo
proclam
che egli
aveva dato
la
pagani
3^
si
suprema
De
Beati
nn. 10-14. (V. Sulpici Severi, 0;pera, Lugd. Batav. 1647, pp. 471-9 576 e seg.).
Martini
^^
eccl.,
;
Sozomeno, Rist. eccl., VII, 15 Teodoreto, Sist. V, 21. Teodoreto si esalta a tal narrazione e cMama
,
Marcello
uomo
151
;
quando venne
l'ordine di Teodosio,
favorevole a Teotlo,
qiiesti si scagli su di esso con furia selvaggia, lo ridusse un mucchio di rovine, depred le riccliissime spoglie, distrusse la gloriosa biblioteca di Ales-
ricca
di
che star pi oltre a rammentare io questa storia di rovina 1 1 pagani avevano ormai l' anima colma, satura di un sentinica.
di rimpianto, di odio
sprezzo.
A
si
soppressero tutte le spese del culto pagano, si confiscarono tutti i beni dei templi. E quando Graziano e poi Yalen-
imperatori
siis,
Didot,
Etmapio, Vita di Edesio, ediz. Boissonade, Pari1849 (nel vokime PMlostratorum et Calli472)
,
strati
opera, ecc., p.
Teodoreto, JSistoria
distruzione,
ecel.,
Y,
:
Ennapio dice rimase il basamento del tempio, clie essi non potettero asportare, perch non si potevano rimuovere gli enormi
la
22.
massi
le
parole
in tutte le parti del mondo furono abbattuti i templi dei demoni . Agostiao approvava la distruzione dei templi per questa ragione, cbe anche le
Allo stesso
modo
cose terrene
ma
non debbono essere in potest dei demoni, del Dio vero (De Civ. Dei, V, 26).
152
di
Eoma
che pareva
ultimo simbolo della grandezza passata, invano pagani per bocca di Simmaco eleva-
rono
ultime proteste. Quest'uomo di solito cos compassato, cos freddo, cos disposto a
le
mezzo
tico
al
mondo con un
V indulgente, quest' uomo parve levarsi a non usata altezza per difendere la statua die simboleggiava la gloria di Eoma.
e
imperail
hanno
mura
Galli dal
Campidoglio
Simmaco
desimi
I^oi
il
astri,
verit
I^on
l'arte,
u in nome della libert di pensiero i pagani giunsero a salvare il patrimonio della loro fede. Il medioevo parve con una
leggende penetrare il senso ascoso della vittoria del cristianesimo
sulle antiche istituzioni
romane.
la
leg-
153
fa-
genda fu quella
della Salvatio
Bomae, un
voleggiato edlfzio nobilissimo, la cui idea germogli forse nella fantasia popolare dal-
popoli vinti.
^^
Or,
genda,
quaodo nacque
precipit con
Bomae
Ma
spettacolo
al crollo
di
questi
di tutte le
loro cose pii care si stringono con fervore di venerazione intorno alla immagine glo-
Eoma.
uno
L' iscrizione
Pretestat,
l'impero, d alla buona consorte questa lode, che essa fu amica della verit e delPonore,
^^ 39
Graf,
Ales.
Roma
nelle memorie,
Neckam, De
altrimenti
dicevano
ci
pagani contemporanei di
Sirmondi) de
:
Riitilio.
Agostino in Servi.
18,
LXXXI (XXXIII
conserva
!
il
loro lamento
pagani non
si
Roma
degl' idoli, ragione questa piti volte confutata dagli scritma altres sulla politica degl' impera-
come
:
si
ad MarcelUnum
Ut quid antem ad
qu.od dicunt, per qtiosdam imperatores christianos multa mala imperio accidisse romano ?
154
l'
fedele agii di e devota ai loro templi, che am suo marito pi che s stessa, ma pi
ancora di
Inscr.
suo marito
am Eoma
(Corpus
VI., 1779). E il nostro Eutilio, pure in mezzo a tanti tracolli e a tante ro-
L.
vine, esortava
Eoma
sua sorte
essa sola
la
134).
E^uUa
questo spettacolo, di Eoma che cade e trova in questo suo supremo cantore ancora accenti di fierezza antica Finch staranno le terre, finch il
:
cielo porti
gli
astri,
il
tempo
di
tua vita
non
che
tuo
:
sar soggetto
gli altri
Al tempo di Eutilio anche in Eoma la devastazione era cominciata. Per quanto si vogliano attenuare o accettare con le pi
ampie riserve le informazioni che ci vengono da alcuni scrittori, pure non si pu ad esse negare ogni valore. I^el sermone
che Agostino tenne ai Eomani dopo vasione di Alarico {Serm. OV de
l'
in-
veri).
155
fos-
evang.
Lue, XI)
egli
rammenta come
sero stati gi in Eoma da alcnni anni atterrati tutti i simulacri degli di; e nel-
glio
i
LYII, ad Laetam) L' aureo Campido ormai immerso nello squallore. Tutti
:
templi di
Eoma
le
ragnatele
Il
si
stendono sotto
si
le loro volte....
ai
avvia ai sepolcri
poco dopo rammenta alla pia Laeta, come un titolo di onore per la sua famiglia, che il suo congiunto Gracco,
prefetto della citt, aveva fatto distruggere qualche aniio prima la gTotta di Mitra e
molti simulacri adorati dal popolo e fatto battezzare sulle lro rovine. E
si
il
era
med'onore
del
561 e segg. In un sermone tenuto prima 399 a Cartagine ^"j Agostino , volendo
i
difendere
cristiani
al
barba dorata
*o
il Sermone XXIV de verhis Psalmi, 82 {Serm. 6 Sirmondi). anteriore al 399 ; il clie si deduce dal fatto che non vi menzione degli editti di Onorio di qnelr anno, i quali avrebbero serAdto alF oratore per la sua
tesi.
V- qui ap^sresso
La
clisirusione
degV idoli
in
Bomci.
156
i
l' UT.TIMO
CANTO ROMANO
Cartaginesi a imitare V esempio di Eoma, ove gi Ercole non pi, anzi tutti gli di sono stati abbattuti. Ad ogni modo il magdegli edifzi di Eoma rimaneva ancora in piedi. J^elF anno 403 il poeta Olau-
gior
numero
dall' alto
della
torre imperiale il tempio maestoso di Giove Tonante sul Campidoglio e gli innumerevoli archi trionfali
tutti ond' era
e
lo
gli
altri
monumenti
si
denso
'"^
spazio che
sten-
deva
alla vista
abbagliato dal lampo dei metalli, e il fulgore dell'oro tutto intorno diffuso accieca
la vista trej)idante {De
Hon., 52-53). nostro Rutilio, pochi anni dopo, poteva ancora celebrare quei grandiosi monumenti
VI cons.
il
Gli occhi,
vagando da un punto
all' altro.
'^^
(Storia di
I,
iJ.
Boma
1,
I.
toUerairti con
Da Libanio
p. 20-21,
Gothofredo)
risulta
altrove
erano permessi a Roma. Furono poi anche a Roma vietati da Valentiniano nel 391 (Cod. Theod. XVI, tit. 10,
n. 11).
festivit
Ma
fino a quell'
pagane e furono
dato
157
(I,
95 e segg.), al
di
gli
stessi
trebbero avere sedi pi belle. dei rivi sospesi sopra volte aeree a tale
Queste moli
si
un'opera cos gigantesca perfino la Grecia loderebbe. I fiumi sono intercettati tra le tue mura: eccelse terme con-
insino al cielo:
sumano laghi
interi....
rinchiuse entro le case i stesse, ove gli augelli prigionieri con vario canto gorgheggiano!
vera eterna; lo stesso inverno, vinto, conserva a te le tue delizie. Leva in alto, o
cinge il crine e nelle verdi sue fronde tu rinno velia il tuo sacro
Eoma,
l'alloro
che
ti
capo canuto: l'aureo diadema irraggi la sua luce dal tuo elmo turrito: l'aureo tuo scudo
in eterno
lampeggi.
Ma
fu veramente l'ultimo
canto. Pochi
anni
editto
imperiale stai
santuari,
dovessero
dovesse
158
Ijiantarvisi
segno della croce (Codice Tlieocl., XVI, 10, 25). ISTulla v' ha che provi, come si tentato pi. volte sostenere, che
il
su
questo editto non fosse applicato anche a Eoma. * E quale non fu la distruzione! Durante quel (Irainina^ pietoso a quando
il rimpianto per la reche cade. Un ignoto poeta gina maestosa mette in bocca a Eoma queste parole di
a quando
si
leva
rimpianto
brata
Io
non
di
pena mi ricordo
me
fui
cele-
un giorno per il mondo intero: or non mi si concede neppure di ricordare la mia caduta (Wernsdorff, Poetae Latini
non si prestava alla interpretazione clie dovessero essere salvati, purch vi si piantasse temxjli sii la croce, ma solo che la croce si piantasse per espiaL' editto
^^
zione
sulle
rovine.
Dice infatti
si
magistratuum destrui ooUocationeque venerandae Christianae religionis signi ex^nari praecipinius . possibile quindi che gi prima dell' editto molti templi
infatti
tit.
fossero stati assegnati al culto cristiano. Alcuni editti del 408, del 414, ecc. (V. Cod. Tieod., XVI,
5,
nn. 43, 54, 57) espropriavano gli edifzi pagani assegnavano alle chiese. Ed Agostino a riguardo dei templi pagani indicava tre vie da seguire o distruggerli,
e
li
:
o volgerli ad uso pubblico o convertirli in chiese crisolo escludeva V uso privato (JEjtist. XLVII ad stiane
:
PiMicoam).
159
''''^
minor es,
E un Lemaire, IV, ]). 536). altro lamenta che Costantinopoli iorisca e si chiami ormai nuova Eoma e che nei suoi costumi e nelle sue mura Eoma anediz.
,
tica rovini:
sta cadis
Moribus
il
et
**
muris
Roma
vetu-
(ivi,
p. 538).
Ed
a tempo ben
remoto
a
risale
carme
dolorato che a
Eoma
te, o Eoma, ed or non sei che una rovina sola: ma pur dalle infrante tue i3ietre si
vede
quanto grandiosa tu
fosti
(ivi,
"^3
fu tratto dallo Heinsius ex veteri codice chartaceo ,hibliothecae Meciceae, e pulbblicato da P. Fabricius in Antiq. moti. p. 166. Nel catalogo della Latirenziana del Bandini
non
contenuto.
Il
Baehrens non
1'
accolse nei
Poetae Latini minores e neppiu-e il Riese nell' Anthologia Latina sive jioesis Latinae Sipplementmn (Lipsiae, Teubner).
"^^
Questo
carme,
clie
comincia
NoMlihus quondam
f'iieras
dopo le opere di pag. 538 nelF edizione di Basilea 1563. Neppure esso contenuto nelle raccolte del Baebrens e del Eiese. Un altro epigramma pure inserito dal
Beda,
tomo
I,
Wernsdorif, nella
stia
il
seguente
Roma
vetus,
nis nec
malus ullus
iuventtis
ruis. Questo epiQuorum contenuto nel codice Lam-enziano 33, 24, del
consiliis praecipiintn.
epUiraphica.
160
p.
206).
pieno
il
"
il
nostro
Eutilio
che
e bella,
un
cant eterna, ed eternamente fulgida sembra avere qualche volta come oscuro i)i'esentimento di rovina. Conla
tro coloro che egli ravvisava causa del dissolvimento della virt e della potenza ro-
mana muove
acerba la rampogna.
Ed
naturale che in questa condizione dello spirito suo ogni volta che 1' occasione gli si
porga,
1'
anima ricolma
trabocchi.
tempi aspettarne, giacche non sarebbero stati scevri di pericolo. Degli scritti composti in confutazione dei suoi, Ago-
Questo carme si trova nel ijocmetto di tino scrittore del sec. XI, Hildeerti de wrMs lioviae mina ; ma non v' ha dubbio cbe questa parte del ]5oemetto sia molto
'^''
anteriore
sua,
ad
dii'etta
Ildeberto, il quale l'interpol poi nell' opera a mostrare come Roma era stata resa pi
nuova religione. Vedi trattata lai questione nel Wernsdorff, Poet. Lai. min. (ed. Lemaire), IV, p. 66
illustre dalla
e segg.
161
stino cos dice (De Civ, Dei, Y, 26): Mi si detto che questi scritti sono gi pronti, ma che ali autori aspettano il tempo, in cui
possano
Ed
Agostino aggiunge: Tal tempo non sarebbe gi propizio alla libert del dire il vero, ma alla licenza del dire il male . Dal
Codice Teodosiano (XYI,
tit. 5,
nn. 66 e 34)
risulta che gl'imperatori minacciavano perfino la confsca dei beni e la morte a chi
**^
condizioni della cosa pubblica si comprende bene come gli attacchi di Eutili
tali
In
non per questo sono meno vigorosi. Durante il suo viaggio si trova ad attaccar brighe con un
fossero fatti quasi di sfuggita.
Ma
giudeo avaro e
fastidioso,
ed
egli,
dopo
averlo coperto di vituperii rammenta che la Giudea stsita radix stultitiae (v. 389); meglio,
secondo
lui,
^'^ Libanio, indirizzando intorno al 390 alF imperatore Teodosio la sna orazione in difesa dei templi, cos cercara disviare il pericolo : Sembrer a non pocM
che io ora assuma nna impresa piena di riscbi, paidando in difesa dei templi, e mostrando non esser conveniente
il
danneggiarli. Ma quelli clie ci temono, sMngannano di gran lunga sulP indole tua (cfr. Libanii Pro templis,
ed. Gothofredo, 1634, p. 7).
C. Pascal. 11
162
stata
l'
mai assoggettata
al
giogo
romano
dalle guerre di
ora
il
Pompeo
mondo
serpiint.
trova a passare dinanzi alla trova che l'isola tutta piena Capraia, egli di monaci, uomini, com'egli dice (I, 440 e
Quando poi
si
segg.),
nome
vivere
si
soli,
i
mono
pure
i
infelice
Ma
da s
stesso,
accogliere beni, mentre tu temi i mali ? quel carcere per essi una pena voluta dai fati, oppure essi hanno il fegato tumido di
cotesta,
cervello
mai
di
non
neppure
nero
^'
tele .
"^^
il
concetto stesso
della vita eremitica, presujiponendolo attuato nella sua forma pi rigida, di macerazioni e di astinenze. Altri
scrittori investono le individuali qualit
10
Goth.)
degli
elefanti
sovercMo lor bere a quelli clie in cambio del loro canto somministrano ad essi il A'ino . Eunapio, nella A^ita 4i
E LA PENE
DEI^
PAGANESIMO
163
si
Proseguendo ancora
il
viaggio, egli
clie
sorge in mezzo al mare, tra la costa pisana e la Corsica. Anche ivi un ritiro di monostro concittadino, egli dice (518 e segg.), qui si seppellito vivo. Egli era giovane, di nobile lignaggio, non infenaci.
Un
riore
ad alcuno n per
il
tratte nozze,
sciato
gli
ma
mondo,
egli,
entrato in questo
turpe nascondiglio. Infelice, stima che le cose celesti si pascano di sordidezze, e tor-
menta
stta,
non
fa-
domando
io,
non pi
erano i corpi che si ora sono gli animi . mutavano, In questi versi efficacemente rappresentato il contrasto tra i due mondi che si
Edesio
(p.
il
:
472 Boiss.) Quegli stessi [che avevano ditempio di Serapide] addussero poi in quei sacri luoghi i cosiddetti monaci, uomini all' aspetto, ma viventi a guisa di porci, e che in pubblico sopportavano
strutto
e facevano infinite cose turpi e indicibili. E sembrava opera pia ad essi il dileggiare la maest del sacro lugo.
Tirannica potest aveva allora ogni nomo coperto di nere vesti, che non rifuggisse dal mostrarsi pubblicamente in sordido aspetto .
164
l'
trovavano ora di fronte: Funo cMuso nelle sue ombre paurose, l'altro vibrante e vigoroso e lieto nel possesso pieno e sano della vita terrestre, quel medesimo contrasto che
nei versi ispirati di
il
un grande poeta
il
vivente,
Carducci, tempra
perata d'immagini:
. . . .
.
tra
ManoM
campi del lavoro umano sonanti e i clivi memori d' impero fece deserto ed il deserto disse
e sovra
i
regno di Dio.
turbe ai santi aratri, ai vecchi padri aspettanti, a le fiorenti mogli, ovunque il divo sol benedicea
Strappar
le
maledicenti maledicenti a
e de
1'
opre de la
A^ita
V amore
-40fr-
III.
La
Roma.
r^:-^e
168
IN.
ROMA
presentavano, e
presentatori fossero puniti {Cod. Teod.j XYI, 10, 15). Una sacra follia di distruzione aveva invaso questi fanatici.
In una orazione
rono
ferro
:
dipinge:
Cor-
jjortando
legna e pietre e
quelli clie
tro di essi le
conviene o tacere o morire. Abbattuti i primi templi si corre ai secondi ed ai terzi, si ac-
cumulano trofei a trofei.... Passano per i campi come torrenti devastatori . Queste parole sembrano illuminare di vivi colori
quelle storie di distruzione, che noi troviamo narrate da Sulpicio Severo, da Sozomeno,
da Teodoreto, da Eunapio.
Isella Gallia
il
vescovo Martino, nella Siria il vescovo Marcello, ad Alessandria il vescovo Teofilo marciavano alla testa dei loro
fedeli, tutto ab-
battendo e distruggendo.
Gl'imperatori seguirono in proposito una politica varia ed oscillante, secondo le ten-
denze di quei consiglieri cbe avevano pi autorit su di essi. Un editto del 399 di-
Se ancor rimangono templi nei campi, senza rumore e tumulto si abbattano tutti (Cod. Teod., XYI, 10, 16). Ed uno del 408 Se ancor rimangono statue
spone:
169
Accanto a
i
tali editti
quali pur vietando sotto le pene pi severe i sacrifizi e T adorazione degV idoli, proibiscono la distruzione,
se
altri,
ne trovano
specialmente per
n. 8 e 15).
il
rispetto dell'arte
(ivi,
pochi anni dopo, pure quel rispetto cess. E verso i pochi residui del paganesimo non vi fu pi ragione piet. Biso-
Ma
gnava sradicare con la violenza F aborrito culto. Nel 423 come dimostrazione della
clemenza imperiale si disponeva che quei pagani che fossero sorpresi a compiere le lro esecrande cerimonie, bench avessero dovuto essere gi tutti dannati a morte, pure fossero puniti con la confisca dei beni
pochi anni dopo senza pi riguardo o eccezione di sorta si ordinava tutte le cappelle, i templi, i santuari, se ancor ne rimangono in piedi, sieno
e con l'esilio
(ivi,
n. 23); e
(ivi,
n. 25).
Il
le
Eoma?
stiani di
Eoma
170
e degl'idoli pagani e
gione avversaria; sicch l'inizio delle devastazioni in Eoma dovrebbe attribuirsi alla
presa
di
Alarico.
scenza, con la quale si sogliono accettare i giudizi accreditati da forti autorit, che per
l'
esame spassionato dei fatti e delle testimonianze superstiti. Qiiest' esame or noi
vogliamo fare brevemente, aggiungendo altres qualche altra fonte a quelle gi conosciute per tale quesito.
Sono
versi di
Olaudiano, che nel 403 dall'alto della torre imperiale indicava ad Onorio il tempio mae-
Giove Tonante sul Campidoglio, g' innumerevoli archi trionfali, e gli altri monumenti tutti ond' era denso lo sx)azio che si stendeva alla vista (De VI cons. Honoriiy 52 seg.). Mun dubbio quindi che nei primi anni del secolo Y esistessero i templi ed i monumenti maggiori di Eoma. Ma esistevano ancora i simulacri nei templi, esistevano i
stoso
di
santuari, le cappelle, le grotte sacre? II^Tello stesso anno 403 Gerolamo scrisse
a Leta un'epistola (Hieronymi, ^p. LYII ad Laetam), nella quale dopo avere notato con
gioia
come
templi pagani
si
giacessero or-
171
mai abbandonati e
deserti,
le
rammenta,
quasi a titolo di onore per la sua famiglia, che alcuni anni prima il suo congiunto
Gracco,
prefetto
della
citt,
aveva
fatto
distruggere la grotta di Mitra e molti simulacri adorati dal popolo, e si era fatto battezzare sulle loro rovine. Cos in
un
si
sepol-
trov
la rappresentazione dell'abbattimento di
una
crisi.,
1865).
Senonch
gii scrittori
cbe vogliono
Eoma, adducono
cbe
tali,
sporadiche, e che per contro ben gravi testimonianze c'inducono a ritenere che i cristiani
non
tali
fossero in
Eoma
devastatori.
il
testimonianze sarebbero
tratta-
mento
monumenti
degli
Arvali, e
una
lettera di
Simmaco.
Quanto ai monumenti degli Arvali, io non giungo veramente a comprendere che cosa si voglia da essi dedurre. Il Grisar
^
A
1.
j)i'oposito di tal
e.
il
De
Rossi
p. 7
la dipiata caricatura
poco
qiialclie
meno che F
da
me
tue pagane .
172
{Roma
nianza;
mondo
pure dalla esposizione che egli fa, risulta die tutti i monumenti arvalici i quali erano nel bosco caduto in potere dei cristiani furono rotti e dispersi, mentre invece le iscrizioni di uno dei templi, che
.
ma
si
con-
che la invoca
(op. cit.,
pag.
35). Si tratta di
una
Simmaco, pre-
XXI, ed.
Seeck, in
Mon. Germ.
Es-
sendo stato, egli dice, accusato Simmaco di avere, quando era prefetto urbano, punito ingi stainen te
litto
i
un
de-
ad
essi
danneggiamento
monumenti
sofferto
idolatrici,
Damaso
una
173
al
nianza
le cose
clie
suo
tribunale reo di quel delitto . dir vero^ non istanno precisamente cos. I cristiani
perseguitati come distruttori dei templi. Allora l'imperatore Valentiniano mand subito
un
cristiani
Simmaco
rispose,
anche con la testimonianza di Damaso, che egli non aveva incarcerato nessuno. Ma egli
non
dice di essersi cos regolato, perch la colpa dei cristiani fosse insussistente; dice
anzi di
non avere
il
seguitarli (praevidi enmn, egli dice, qiiidpossint aemuU suspicari), e nella relazione stessa
afferma che le
mura
rum
moenium). Questo documento non prova dunque che i cristiani di Eoma non distrug;
maco
contro
da mettere tra
le altre prove,
che
anche a
i
Eoma
infier
il
fanatismo religioso
templi.
174
LA
EOMA
Alcuni passi infine dei Padri della Chiesa sono stati interpretati come riferentisi alla rovina morale, non materiale, degli idoli. E certamente all' abbandono dei templi, non al
loro disfacimento materiale, allude Gerolamo quando scrive L' aureo Campidoglio or:
squallore; tutti
templi di
sono neri per f uligine {Ep. LYII ad Laetam). JS^on si erano avute in Eoma, come in Oriente, le marcie delle turbe frenti-
Eoma
cbe, cbe
sacri.
muovevano a distruggere
i
gli edifzi
Ma
loro idoli
:
eversis in tirbe
non
iDossibile
Roma
morale. Egli parla infatti di simulacri, non di di abbattuti pu vedersi una esagera;
zione nelle sue parole, ma non gi un senso metaforico. E si badi pure alla occasione nella quale quelle parole furono dette.
Esse
ai
si
OV
di
{de
verMs
evangelii
tenuto da
Agostino,
Alarico.
Agostino risponde a quei pagani, i quali che Eoma per l' abbattisi lamentavano
dei suoi dii fosse stata saccheggiata ed afflitta. ]N^o, non vero, risi)onde Ago-
mento
l75
stino,
non vero;
ed appunto per questo i Goti guidati da Eadagaiso poterono essere vinti. QuaF era dunque il lamento
stati gi tutti abbattuti,
evidente che
non
sarebbero
pi pagani
essi
dicevano
statue dei
invece
prima
di
Eadagaiso
eppiu?e allora
Eoma
la
Ma
v'
un
mol-
to importante per la nostra questione, ed al quale non si jDosto mente. nel sermo-
ne
XXIV
(de veriis
vsalmi 82).
'
Questo
ser-
mone
come
agli
fu tenuto a Cartagine prima del 399, provato dal fatto che non si fa cenno
di
editti
Onorio
di
quell'anno, che
egregiamente alla tesi che Foratore sostiene. Agostino vuole esortare i Cartaginesi a sradicare la mala
pianta della superstizione pagana. Dio lo
2
avrebbero
servito
a'oI
38,
j.
166.
176
Dio lo ha comandato, Dio lo ha predetto, Dio ha gi cominciato a compiere 1' opera sua, ed in molti luoghi della terra l'ha gi in gran parte compiuta.
Koma
;
stessa,
aggiunge
nuti
Foratore, gli di
Questo passo preso isolatamente parrebbe potersi anche interpretare in senso morale; ma U passo che segue impedisce una tale interpretazione. In esso Agostino vuol
difendere
quali
erano sotto
non nega
stesso lo
fatto,
ma
lo giustifica
cristiani lo fecero
per
fece,
Dio
per mezzo dei suoi fedeli, dei suoi cristiani. Questo Ercole che una volta era chia-
mato
dio, egli
dice,
Eoma non
pi, e
qui invece voleva essere anche con la barba dorata evidente che qui si tratta dei si!
mulacri, non del concetto della divinit se i simulacri di Ercole fossero stati ancora nei
;
Eoma
e Carta-
Tutte
le
LA.
EST
KOMA
177
accordarsi per indurci a questa conclusione, che anche in Eoma la distruzione degl' idoli
fu opera del fanatismo religioso. I cristiani guidati da Alarico fecero il resto, sui grandi
templi pagani, solo risparmiando, per ordine del loro duce, le chiese cristiane e coloro che
vi si
sigli
mezzo
della
suon' consiglio
della
di
nuova
fede.
e. PASCAr..
i-^
AGQIUI^TE
A
Di
pag-.
altre
10, nota, 2
due
:
oi>ere
qui la menzione
V. Scliultze, Gesch. des Untergangs iles grechisGh-romischen Hedentums, I e II, Jena, 18871892
;
Wien, 1895.
Bouch-Leclercq, Histoire de la dmnations dans Vantiquit. in tale opera, nel voi. I, a pag. 29-91 un rapido, ma succoso cenno di tutto quanto riguarda i rapporti
tra la divinazione e la filosofia, e le varie giustificazioni o confutazioni che gli anticM fecero dei riti e delle
arti aiigurali.
Sulle idee religiose di Seneca e specialmente sui rapporti di esse col cristianesimo primitivo pu essere
utilmente consultato
Seneca tmd
seine
il
libro
BezieTiung
zum
Gaertner, 1887). Crediamo ])eT di dover fare ogni riserva circa la conclusione ciii egli giunge, di ima dipen-
A
viiie.
pag. 60:
Le parole primitivamente significanti cose o fenomeni naturali passarono ad essere nomi di persone diCi pot avvenire appunto perch la fantasia pri-
180
niitiva
AGGIUNTE
anim qtielle cose e quei fenomeni, ed ebbe di una percezione esclusivamente religiosa. Ogni fatto del mondo esterno suscitava nelF uomo come il concepimento di una misteriosa potenza, di cui esso fosse la Crediamo opportuno rimanmanifestazione visibile.
essi
dare
il
Mythologie di
Hermann Usener
p. 6-32.
in
ArcMv filr
Beligionstvissenschaft, VII,
mvnime necessariam prwms Zeno, ^ost CleantJies, deinde Clirysi^fus, commenticiarum fabtdarum reddere ratonem,
vocalmloruni, cur
care ecc.
sit,
causas expli-
Ma
zione razionalistica
N. D.
II,
24,
62).
ancora
pil svilujppata
lare di Zenone, il quale riteneva essere stati -oggetto di deificazione non solo gli uomini ma le cose stesse da essi
inventate," cfr.
De Nat.
Deor.
I,
15, 38:
At Fersaeus
a quibus
magna
titiles
salutar es
inventa,
lioG
quidem
vina .
pietate,
Quanto
diceret
illa
col.
13 {Dox. 547)
v.al
vpmKoo?
tic,
Oso'j; cp'qoi
frammenti suoi sopra gli Di e i miti sono raccolti in Axnim, Stoicorum veterum fragmenta (Lix^siae, Teubner, 1903), II, p. 312-320.
p.eTa^aXsv. I
A
il
pag-.
69:
L' interpretazione naturalistica dei miti eliminando concetto degli di quali persone e spiegandoli invece
AGGIUNTE
quali simboli di fenomeni naturali,
sospetta ai Cristiani, che
trassero tal
loro causa.
gliere ogni venerazione agli
181
non doveva
si
essere
appunto anticM di. Pure, essi non che avrebbe avvantaggiato la consegtienza,
sforzavano di to-
Ed strano che non la traessero, giacche essa si trovava gi in un' opera molto letta dagli apologisti, nel De Natura Deorum di Cicerone, ove V accademico Cotta, a proposito della spiegazione
di
fsica
degli
:
propugnata dagli stoici, cos dice (III, 24, 63) Quod Gui facitis illud profecto confitemim, longe alite' se rem iabere atque hominum opinio sit, eos enim qui di ajjpellantur rerum naturas esse, non figuras deorum, .
A pag'. 91:
A
da rammentare pure
proposito dei Cristiani dediti ad arti divinatorie lar credenza di molti di essi nella
verit dei sogni, considerati come mezzo con cui Dio suole manifestare agli uomini la volont sua. A propugnare tale idea Sinesio vescovo di Cirene, nella prima
met del
posito al
sec.
V, scrisse V opera De insomniis (cfr. Migne, QG, p. 1281 sgg.). Eimandiamo in proHistoire de
la
BouchLeclercq,
da notare come sieno addirittura isop. 98 segg. late nel cristianesimo le voci tendenti a considerare
responsi
le arti della divinazione, dei sogni, i degli oracoli, ecc. Qualche tratto vivace di rampogna e di sdegno si trova in Clemente Alessandrino, Protrept. I, 2. Ma in genere gli scrittori cristiani con-
divination, I,
come imposture
minose.
A.
Il
pag".
trattato
99, nota 31
di Porfirio
De
absUnentia ([lepl
.KojrjC.
[X(j/7^(juv)
riprodotto
182
AGGIUNTE
Avvertenza
Carm.,
si
legga
Carm.
legga
-r-
2: eonservanclus
si
con-
Si coglie qni V occasione per ringraziare i professori Enrico Eostagno, Domenico Bassi, Paolo Savi-Lopez, che ci sono stati cortesi di. qualclie utile indicazione.
Dedica
Pag.
5 7 9
Sommario
Prefazione
,
DI E Diavoli Sommario
21
23
25
2 3
>
.......
.
27
39
4
5
42
56 65
71
6
7 8 9
...
90
105
10
114
. .
PAGANESIMO
121
La DISTRUZIONE
Aggitmte
165
179
-to^
UNIVERS TY OF CHICAGO
44 755 166
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