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LEZIONE 29

Abbiamo visto che cosa è la pressione diastolica o pressione minima e che cosa è la pressione
siastolica o pressione massima.
I valori di questi due parametri sono rispettivamente intorno ai 70-80 mmHg per la pressione
minima e intorno a valori compresi tra i 110-130 mmHg per la pressione massima. Quindi non è
solo 80-120 mmHg, ma potrebbe essere 70-110 ed essere comunque situazione normale (abituatevi
ad essere un po’ elastici sui valori che sono indicati sui libri).
E abbiamo visto anche qual è il concetto di pressione media, un concetto molto importante, perché
concetto di tipo funzionale.
Allora, adesso, dobbiamo capire come mai la pressione sale dal valore minimo al valore massimo, e
poi scende, e quali sono i parametri che definiscono i valori della pressione massima e della
pressione minima.
Incominciamo dalla pressione massima.
Da cosa dipende la pressione massima? La pressione massima dipende fondamentalmente
dall’attività cardiaca. La pressione massima, quindi, dipende dalla forza di contrazione del cuore, il
miocardio. Abbiamo però già visto, parlando del ventricolo, che la forza di contrazione del cuore
dipende a sua volta dal ritorno venoso o riempimento ventricolare. Quindi in ultima analisi la pmax
dipende dalla gettata pulsatoria. Tanto maggiore è la gettata pulsatoria, tanto più le fibre ventricolari
sono state distese nella fase diastolica e tanto maggiore è la forza di contrazione del cuore.
E poi la pressione massima dipende anche dal volume di sangue circolante. Tanto maggiore è il
volume di sangue circolante, tanto più alta sembrerà essere la gettata pulsatoria. Nel corso di
un’emorragia, per esempio, il volume totale di sangue diminuisce e allora è ragionevole che
diminuisca anche il ritorno venoso, perché c’è meno sangue. Quindi se diminuisce il ritorno venoso,
diminuisce anche la forza di contrazione del cuore e quindi diminuisce la pressione massima.
Ovviamente la pressione massima, proprio secondo quanto abbiamo già visto dipenderà anche
dall’attività del sistema nervoso autonomo, dipenderà anche dalla componente ortosimpatica.
Quindi la pressione massima dipenderà dal livello di stimolazione ortosimpatica. E la stimolazione
ortosimpatica agisce in diversi modi, agisce aumentando il ritorno venoso, quindi facendo variare la
gettata pulsatoria, e interviene anche facendo variare la forza di contrazione del cuore. Quindi la
stimolazione ortosimpatica interviene sia sulla forza di contrazione che sulla gettata pulsatoria.
Tutti questi elementi, se aumentano, fanno aumentare il valore della pressione massima. La pmax però
dipende anche da un’altra componente molto importante, che è la distensibilità vasale. La
distensibilità vasale e la distensibilità del vaso. Quale vaso? L’aorta, principalmente, e le grosse
arterie.
E la distensibilità è data dalla variazione di volume indotta dalla variazione di pressione.

Distensibilità = ∆V

∆P

Se un’arteria ha una bassa distensibilità vuol affermare che, dato un certo volume di sangue che le
arriva, la variazione di pressione è bassa. Il volume che arriva nell’arteria (aorta) qual è? La gettata
pulsatoria. Dato che la gettata pulsatoria rimanga costante, se il vaso è molto distensibile, la
variazione di pressione sarà bassa, perché il vaso si distende e la variazione di pressione è bassa.
Se il vaso è più rigido, se voi provate a spingere in un vaso rigido di vetro o di metallo un volume,
allora la pressione sale di più. Quindi tanto maggiore è la distensibilità, tanto minore sarà la
variazione di pressione, dato un certo volume che entra nel vaso.
Questo fenomeno è importante in due condizioni: una fisiologica e una fisiopatologia.
Condizione fisiologica. Immaginate il ventricolo, l’arco aortico (e poi scendendo), l’aorta toracica,
l’aorta addominale e via di seguito le grosse arterie.

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In posizione normale, nello stesso individuo, cioè in ognuno di noi, la prima fase dell’albero
arterioso è più distensibile rispetto alla fase più distale.
Via via che ci si allontana dal ventricolo, le arterie diventano un po’ più rigide.
La stessa cosa succede con l’invecchiamento. Con l’invecchiamento i vasi tendono a perdere un po’
della componente elastica. L’elastina ha una emivita di 30 anni. Quindi le molecole di elastina ci
mettono molto tempo per essere ricostituite. Una volta che si sono degenerate se ne depositano
sempre meno. Con l’invecchiamento succede proprio questo, si rallenta il deposito di elastina,
mentre prevale la componente collagene.
Non si può chiamare questo fenomeno patologico, perché da una parte vi è sì un’alterazione della
struttura della parete, ma questa avviene in maniera fisiologica.
Quindi via via che gli anni passano il sistema cardiovascolare presenta questa caratteristica, una
riduzione della componente di elastina e un aumento relativo della componente collagene. Il tutto
risulta in una diminuita distensibilità del letto arterioso.
È questo il motivo per cui con il progredire degli anni, la pressione arteriosa tenderà ad aumentare
un pochino.
Se in una persona sana di 20 anni la pressione massima può essere 110 mmHg, è più normale che
una persona di 80 anni abbia una pressione massima che si può avvicinare ai 150 mmHg, non
perché è iperteso, ma perché contrariamente ci si avvicina verso questa posizione descritta. È per
questo che è più normale trovarsi in una situazione di ipertensione quando si hanno 80 anni, che
quando se ne hanno 20.
Quindi tutti questi fattori
1) Forza di contrazione del cuore (miocardio)
2) Gettata pulsatoria (G.P.)
3) Volume di sangue circolante
4) Stimolazione ortosimpatica
5) Distensibilità vasale
vanno a condizionare il valore della pressione massima.

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Il valore della pressione minima.

Da che cosa invece dipende la pressione minima? La pressione minima può dipendere in parte dagli
stessi parametri, in parte no. Dobbiamo andare a capire il motivo per cui la pressione minima
assume il valore di 80 mmHg.
Intanto, perché la pmin non è 0 mmHg, ma è 80 mmHg?
Perché si sta parlando di un circuito chiuso. Se noi avessimo il sistema che s’interrompesse e
avessimo un bel catino che raccoglie il sangue, la pressione andrebbe giù a quota 0 mmHg.
Il fatto di avere un circuito (sistema) chiuso fa sì che la pressione minima non possa essere 0
mmHg, perché? Perché quegli 80 mmHg residui alla fine della diastole sono quegli 80 mmHg che
servono per vincere le resistenze periferiche.
Se la pressione minima fosse 0 mmHg, dove troverei la pressione per spingere il sangue in tutti gli
altri distretti?
La pressione minima dipende in maniera principale dalle resistenze periferiche.
Se le resistenze periferiche diminuiscono, perché c’è una vasodilatazione periferica, perché il vaso
si dilata, la pressione minima cala, scende.
Se c’è una contrazione della muscolatura liscia dei vasi, delle arterie, se le arterie si
vasocostringono, la pressione minima sale.
Quindi sono le resistenze periferiche il maggior determinante del valore di pressione minima.
Però su questo determinante possono esserci delle oscillazioni, che dipendono da altri fattori.
Facciamo qualche esempio.
Prendiamo il caso in cui si ha variata (per i motivi visti prima) la pressione massima, allora invece
di avere un andamento dell’onda come indicato in figura, si tiene conto della pressione massima
aumentata.Se la pressione massima è aumentata, e la resistenza è rimasta costante, tutta l’onda di
pressione tenderà a rimanere un po’ più su, un po’ più in alto. A parità di resistenze periferiche, se la
pressione massima aumenta un po’, aumenta un po’ anche la pressione minima. Quindi il secondo
determinante della pressione minima, che può variare l’apporto delle resistenze periferiche, è
l’andamento della pressione massima.
Ci può essere anche un altro elemento, la frequenza cardiaca. Immaginate di avere una frequenza
cardiaca aumentata, un individuo che passa da una condizione di riposo ad una condizione di
attività muscolare, la frequenza aumenta un po’, aumenta perché viene attivato il sistema
ortosimpatico. Il sistema ortosimpatico fa aumentare la frequenza cardiaca. Il sistema ortosimpatico,
allora, fa aumentare la frequenza e fa aumentare anche la pressione massima. Voi capite che, se
aumenta la frequenza, io mi ritroverò in una condizione in cui la pressione è un po’aumentata, poi
tenta di andar giù, ma mentre sta scendendo, durante la fase di diastole ventricolare, viene anticipata
la sistole successiva. Quindi la sistole inizia prima, ma la pressione aortica sta ancora scendendo
verso il suo valore minimo. Se la sistole comincia prima, la pressione minima risulta un po’
aumentata perché non si è dato il tempo alla pressione di tornare al suo valore normale. Tutto questo

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a parità di resistenze periferiche. Quindi altro elemento importante, che condiziona la pressione
minima, è la frequenza cardiaca.
Quindi la pressione minima dipende da:
1) Resistenze periferiche
2) Andamento della pressione massima
3) Frequenza cardiaca
Esempio: se il nostro soggetto ha una pressione, esempio classico, di 80-120 mmHg nella
condizione di riposo e lo facciamo pedalare su una bicicletta da camera per un minuto, come
variano i valori della pressione massima e della pressione minima?
Varia la massima? Si, la pressione massima varia. Aumenta o diminuisce? Aumenta. In condizioni
di attività muscolare, la pressione massima aumenta sempre. E aumenta perché, nel momento in cui
iniziamo un’attività muscolare più intensa, viene attivato il sistema ortosimpatico. Il sistema
ortosimpatico, abbiamo detto, ha effetto inotropo positivo, cioè aumenta la forza di contrazione del
cuore, quindi la pressione massima sale, e aumenta anche la frequenza cardiaca, quindi ha effetto
cronotropo positivo. Per il fatto che aumenta il ritorno venoso e aumenta la forza di contrazione del
ventricolo, la massima sale sempre durante l’esercizio fisico. Sale di poco o di tanto a seconda di
diversi fattori, dipende dall’intensità dell’esercizio fisico e dipende anche dal fatto che il soggetto
sia allenato oppure no. Il soggetto più allenato vedrà un aumento di pressione più contenuto.
Che cosa fa invece la minima in queste condizioni? La minima può fare di tutto. La minima è folle,
può aumentare, diminuire o rimanere uguale. Questo avviene perché la minima dipende da tanti
fattori. Dipende da come è variata la massima, ma dipende anche dalle resistenze periferiche. E
questi due parametri sono non necessariamente nello stesso tempo. Se guardiamo cosa fa la
massima senza sapere nient’altro, diciamo subito che se è aumentata la massima, aumenta la
frequenza, allora, mi aspetto che la minima aumenti anche lei. Però, è vero sì che questi due
parametri, quello legato alla frequenza e quello legato all’aumento della massima, sono entrambi
due fattori che fanno aumentare la minima, però bisogna anche considerare che nel caso
dell’esercizio fisico interviene anche il fattore più importante nella regolazione della minima, cioè
le resistenze periferiche. Nel momento in cui fate un’attività muscolare le resistenze periferiche
diminuiscono, perché bisogna mandare più sangue al muscolo che sta lavorando, e aumenta il
calibro dei vasi muscolari. Se diminuiscono le resistenze periferiche, diminuisce la minima.
Quindi nell’esercizio fisico abbiamo: da una parte l’aumento della massima, che tende a far
aumentare la minima, ma dall’altra parte la diminuzione delle resistenze periferiche tende a far
diminuire la minima.
La bilancia tra queste due tendenze è quella che definisce se la minima aumenta, diminuisce o
rimane uguale.
Se un soggetto è molto allenato, la pressione massima aumenterà poco, e anche la frequenza
aumenta poco, specialmente se l’impegno fisico non è molto estremo. D’altra parte un soggetto si
allena apposta per far sì che l’irrorazione, la per fusione muscolare, sia il più rapida possibile
quando comincia l’attività. Quindi nel momento in cui un soggetto molto allenato comincia a
correre o a pedalare, subito c’è un’importante vasodilatazione periferica e quindi la pressione
minima scende molto. In questi soggetti vince il secondo aspetto, cioè la vasodilatazione periferica.
Quindi nei soggetti molto allenati la massima aumenta sempre un po’, ma la minima addirittura
diminuisce. Non è patologico, ma è normale. Dipende da quello che si verifica a livello vascolare.
In un soggetto poco allenato, oppure anche in un soggetto molto allenato ma che affronta un’attività
fisica molto intensa, l’effetto importante nell’aumento della pressione massima e della frequenza
prevarranno sulla vasodilatazione periferica, e la minima aumenta un pochino. Però la massima può
aumentare tranquillamente da 120 a 160-170 mmHg, invece la minima andrà da 80 a 90 mmHg,
perché risente comunque della vasodilatazione periferica.
Se i due fenomeni si compensano la minima non andrà né su né giù, la minima rimarrà uguale.
Quindi la minima ha più possibilità.

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La pressione media che cosa fa? La pressione media risente, più che altro, di quello che fa la
pressione minima. La media è un parametro funzionale. In un’importante vasodilatazione periferica
la media, in genere, scende un po’, perché siccome il distretto periferico è vasodilatato, la pressione
che serve per spingere avanti il sangue nel circolo, diminuisce un pochino (quindi la minima può
anche diminuire un po’). Se invece prevale l’effetto di innalzamento della massima, la media può
rimanere pressoché invariata.
La figura sottostante ci dice che anche se la pulsatività è presente in tutto il sistema vascolare, non
rimane uguale a quella che si può vedere in figura. Qui c’è una pressione di 70 e di 114 mmHg, per
esempio (prima avevamo 80-120 mmHg, qui abbiamo 70-114 mmHg); è un gradiente che viene
chiamato pulse pressure di (114 – 70), cioè 44, intorno ai 40 mmHg. Questo valore, che è la
differenza tra la massima e la minima, non rimane inalterato nell’ambito del sistema arterioso. Varia
secondo quanto descritto da quest’immagine.

Siamo in tre posizioni, in tre punti diversi del sistema arterioso. Quando poi si passerà nel distretto
arteriolare, capillare, ecc la pressione scenderà e abbiamo già visto come scende. Limitiamoci al
sistema arterioso. Abbiamo detto che all’imbocco del sistema arterioso la pressione media è circa
100 mmHg, alla fine è 85- 90 mmHg, quindi varia di poco. Però in questo tratto del sistema
vascolare, solo arterioso, c’è anche una differenza interna. Qui abbiamo tre esempi: aorta toracica,
vale per il primo tratto del sistema arterioso, aorta addominale, un po’ più in giù, aorta femorale.
Sono tre pezzi successive dell’aorta.
Guardiamo i tre grafici, molto diversi tra di loro.
Nel primo grafico abbiamo la massima a 120 mmHg, nel secondo sale a 132 mmHg, e nell’ultimo
sale a 139 mmHg. Cioè passando dal tratto più prossimale al ventricolo, alla parte più distale del
letto arterioso, la pressione massima aumenta.
La minima è nel primo grafico 88 mmHg, nel secondo 86 mmHg, nel terzo 84 mmHg. La minima
scende, non segue lo stesso andamento della massima, ma anzi è il contrario. Se la massima
aumenta nel tratto arterioso, la minima scende, e anche la media scende.
Cominciamo dalla massima. Perché la massima aumenta? Perché diminuisce la distensibilità della
parete arteriosa. Dicevamo prima che, passando dal tratto più prossimale al più distale del letto
arterioso, cambia la distensibilità. A parità di forza di contrazione, di gettata pulsatoria (la gettata
pulsatoria che attraversa l’arco aortico è la stessa che ogni secondo passa qui, è uguale), di volume
di sangue circolante (perché è quello che è), di stimolazione ortosimpatica, l’unico parametro che
può far variare la pressione massima nell’aorta toracica rispetto a quella femorale è la distensibilità.
Passando dall’aorta toracica a quella femorale la distensibilità della parete arteriosa diminuisce.
Allora a parità di volume di sangue che arriva nel vaso, la variazione di pressione è più alta, perché
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la distensibilità è più bassa, e allora ecco che quest’onda pressoria che viaggia nella parete del vaso
raggiunge valori di massima più alti nell’arteria polmonare che in quell’addominale.
La minima abbiamo detto che diminuisce progressivamente perché la pressione minima tende a
vincere le resistenze periferiche. Le resistenze periferiche, dato un livello di stimolazione
ortosimpatica, sono quelle che sono.

Però se io ho un vaso, e all’inizio del vaso ho una pressione di 88mmHg, e dove il vaso termina di 0
mmHg, che pressione potrò avere in un punto situato tra questi due estremi? 80, 70 mmHg, perché?
Perché questi 8 mmHg sono quelli che sono serviti per sostenere il flusso, vincendo le resistenze di
questo tratto. Allora se io ho un flusso che progredisce da sinistra a destra (nel disegno), ogni cm
che fa ha dovuto essere sostenuto da un gradiente di pressione. Quest’energia, presente sotto forma
di pressione laterale, viene dissipata sotto forma di calore e quindi il flusso che scorre perde energia
via via che scorre lungo il tubo. E che energia perde? La perde sotto forma di pressione laterale.
Quale, quella massima o quella minima? Quella minima, perché quella massima invece dipende
dall’andamento oscillatorio che abbiamo indicato la volta scorsa.
Quindi la minima diminuisce progressivamente perché si sono vinte delle resistenze per consentire
il fluire del sangue dal punto nell’arteria toracica al punto nell’arteria femorale.
La media perché diminuisce? Perché segue la minima. Perché riflette il fatto che per passare da un
punto A ad un punto B ci vuole un gradiente. La media è un valore funzionale, tiene conto anche
della massima, perché l’andamento della pressione non è costante, ma è pulsatoria.
La media è più alta della minima perché tiene conto anche del fatto che esiste la massima. Però la
media tiene conto dell’andamento della minima dal punto di vista funzionale, quindi la media da
105 mmHg cambia e va a 102 mmHg. La media diminuisce un pochino meno della minima,
minima che perde 4 mmHg, media solo 3 mmHg, perché l’oscillazione della massima smorza un
po’ questo decremento. Però comunque la media diminuisce per forza, perché è la funzione
funzionale che fa progredire il flusso del sangue.

MISURA DELLA PRESSIONE


La pressione si misura con uno strumento chiamato sfigmomanometro. Lo sfigmomanometro
originale risale al 1896, ma la logica non è cambiata, è la stessa.
Il principio è quello di causare delle modificazioni nella tipologia del flusso di sangue in uscita dal
ventricolo in modo da riuscire a percepire qualche cosa che sia indice del valore di pressione
massima e del valore di pressione minima.
Si tratta di prendere un manicotto, all’interno del manicotto vi è una camera d’aria collegata a due
tubini. Un tubino è munito di una pompetta, la quale pompetta è munita anche di un rubinetto; serve
quasi esclusivamente per gonfiare la camera d’aria interna al manicotto, oppure sgonfiarla. L’altro
tubino è invece collegato ad un manometro a mercurio. Negli attuali sfigmomanometri non c’è la
colonnina di mercurio, c’è la rotella con la freccina.
La logica qual è?
È quella di indurre qualche cosa che ci consenta di misurare la massima e la minima. Lo
sfigmomanometro di Riva Rocci (o quello con la lancetta) misura solamente la massima e la

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minima, non misura invece la pressione media. La pressione media può essere invece misurata da
un altro sfigmomanometro molto più complesso e delicato, lo sfigmomanometro di Pascion (??).

Che cosa si fa? Ci si munisce di fonendoscopio, apparecchio che serve per poter ascoltare qualcosa,
dei rumori. Questi rumori che vengono generati nella misura della pressione arteriosa si chiamano
toni di Corotoff o rumori di Corotoff.
Cosa si fa? Si mette il manicotto. Il manicotto deve essere messo ben aderente, non serve stringerlo,
deve essere completamente sgonfio. Se il manicotto è un po’ gonfio, se c’è dell’aria quando lo
mettete sul braccio, v’induce degli errori di sovrastima, soprattutto della massima. Quindi siate certi
che il manicotto sia bel piatto, poi lo si mette sul braccio, destro o sinistro è lo stesso, perché ci sarà
un millimetro di mercurio di differenza tra destra e sinistra. Non è possibile percepire questa
differenza con questo tipo di misura, quindi la pressione è la stessa nei due bracci. L’importante è
che il braccio sia fermo. Se il braccio comincia a gironzolare, non si rileva più nulla. E importante è
anche che il manicotto sia posto all’altezza del cuore. Se, infatti, noi alziamo il braccio e se
misuriamo la pressione in questa condizione, che pressione misuriamo? (esistenza gradiente) Se ci
sono 30 cm di differenza tra l’altezza del cuore e l’altezza del manicotto, avremo lo stesso 30 cm in
meno di pressione. Facciamo che siano 30 mmHg di differenza di pressione (40 cm di distanza),
invece di misurare 120-80 mmHg misurate 90-50 mmHg (120- 30=90 e 80- 30=50).
Esempio questo per capire che esiste questo gradiente e che la pressione va misurata con il braccio
all’altezza del cuore.
Poi ponete il fonendoscopio a valle del manicotto. Si consiglia di non infilarlo sotto per due motivi:
uno perché si sentirebbero diversi rumori, due perché potrebbe far male. La logica dice cha il
fonendoscopio deve essere messo a valle. Dopodiché chiudete la valvolina del fonendoscopio e si
comincia a gonfiare, si gonfia fino circa a 200 mmHg. Siccome nel manicotto la pressione è
maggiore della pressione che c’è nell’arteria, la pressione trasmurale è negativa e l’arteria si chiude.
Siamo nella posizione B. La pressione del manicotto è maggiore di 120 mmHg.

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Comprimendo sul tessuto chiude il vaso, in questo caso chiude l’arteria radiale che stiamo
esaminando. Se si chiude l’arteria, c’è flusso in periferia?No, per un istante no, nel momento in cui
voi avete il manicotto a 200 mmHg, qui non c’è flusso di sangue. Tanto è vero che, se voi ci mettete
troppo a misurare la pressione, il vostro compagno o il vostro paziente comincia a sentire un
formicolio nella mano, perché? Perché non c’è più per fusione, il braccio si gonfia, viene impedito
il ritorno venoso, diventa un po’ blu e fa male.
Quindi chiudiamo il vaso. Intanto stiamo ascoltando con il fonendoscopio posto a valle. Non sentite
niente. Se provate a prendere il fonendoscopio e ad appoggiarlo sul polso ed ascoltate, che cosa
sentite?
Non sentite niente, sentite il vuoto, perché? Perché il sangue, a parte nel primo tratto dell’arco
aortico, scorre di moto laminare, e il moto laminare è silente. Quindi se voi ponete il fonendoscopio
su un vaso, venoso o arterioso, senza provocare un moto turbolento, che provoca rumore, voi non
sentite niente. È come essere nei pressi di un fiume, voi non sentite di essere nei pressi di un fiume,
c’è l’acqua che scorre, ma siccome scorre di moto laminare, voi non lo sentite. Se è un ruscello o
una cascata si, perché il moto è turbolento, ma se è un fiume voi non sentite niente.
Allora in queste condizioni, se nel manicotto c’è una pressione di 200 mmHg, voi ancora non
sentite niente, ma in questo caso non perché il sangue scorre di moto laminare, ma perché avete
impedito il flusso, che non è più neanche laminare, non c’è, perché avete chiuso il vaso.
Allora questa linea, indicata con B e C in figura, è l’andamento della pressione nel vostro
manicotto. Se siamo in B, siamo nella condizione appena indicata, zero flusso, non c’è alcun
rumore. Adesso voi aprite piano piano il rubinetto che c’è sulla pompetta, non di colpo. Piano piano
l’aria comincia ad uscire dal manicotto, uscendo l’aria il manicotto si sgonfia, allenta un po’ la
pressione che c’è sul vaso e il vaso si distende. Nel momento in cui nel vaso chiuso c’è una
pressione che è superiore a quella che c’è nel manicotto, cioè quando nel manicotto siamo con una
pressione appena inferiore alla massima, parte un fiotto di sangue. Siccome la pressione dentro
oscilla, e invece la pressione del manicotto è costante, ci sarà un istante (indicato in rosso) in cui la
pressione nel vaso supera la pressione nel manicotto. In quest’istante il vaso, che è rimasto finora
chiuso, si apre per un breve tempo. Non si apre per tutto il ciclo cardiaco, ma soltanto per un
intervallo di tempo, in quest’intervallo il sangue passa. Siccome passa attraverso un vaso a piccola
sezione, passa a velocità molto elevata. Se passa a velocità più elevata del normale, produce un
moto turbolento. Ed ecco perché voi, che state ascoltando con il vostro fonendoscopio, sentirete
prima il nulla, ma nel momento in cui arrivate ad un valore di pressione nel manicotto che è appena
inferiore a quello che c’è nell’arteria, al picco sistolico, sentite il primo “tum”. È tum molto rapido
perché il vaso rimane aperto per un intervallo di tempo molto breve.
Siccome nel manicotto voi state continuando a far scendere la pressione, questa condizione
continuerà a riproporsi e anzi la fase in cui il vaso rimane aperto proseguirà sempre di più. Quindi
voi avrete nelle orecchie, tramite il fonendoscopio, un rumore che diventerà sempre più intenso, bel
forte. Il momento in cui voi sentite il primo battito è rappresentato dal valore della pressione
massima.
Scendendo con la pressione nel manicotto, ci sarà un punto, punto C, in cui la pressione nel
manicotto diventa inferiore anche alla pressione minima. La massima è più facile da misurare della
minima. La massima è il primo rumore che sentite, lo guardate sulla vostra lancetta o sulla
colonnina di mercurio e per esempio è 118 mmHg, quello è il valore. Poi continuate a sentire il
rumore.Ad un certo punto, però, si sentiranno in successione due modificazioni di questo rumore,
la prima modificazione è quella che viene chiamata ovattamento del suono, il secondo rumore è la
scomparsa del suono.Sono due cose che possono essere molto vicini o molto distanti. Adesso
vediamo in quali condizioni sono vicini e in quali distanti.
Il valore di pressione minima corrisponde all’ovattamento, non corrisponde alla scomparsa.
Attenzione perché in clinica molto spesso, vuoi per rapidità, vuoi perché l’ovattamento è più
difficile da individuare, da sentire, vuoi per uso comune, si dice: “ quando senti il primo suono è la
massima, quando non lo senti più è la minima..” Questo è sbagliato, molto sbagliato.

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Fino al punto C c’è sempre una parte, anche piccola, del ciclo in cui la pressione che c’è nel
manicotto supera quella che c’è nel vaso, quindi c’è sempre un piccolo intervallo di tempo nel quale
il vaso rimane chiuso. Quindi il vaso all’inizio è sempre chiuso, poi si apre per intervalli sempre più
grandi, infine è tutto aperto. Si ha una successione di questo genere: prima il vaso è chiuso, poi si
apre per un istante, poi ancora un po’ di più, poi ancora un po’ di più e poi sempre di più, fino a che
non si chiude più, perché la pressione del manicotto è inferiore alla pressione che c’è nel vaso. Il
passaggio da queste due condizioni determina l’ovattamento. E quindi questo passaggio è l’istante
in cui sentite l’ovattamento. Nell’ovattamento invece di sentire tum, tum, tum, si sente tuff, tuff,
tuff, e continuate a sentire questo rumore. Dovete riuscire a percepire quel tono lì.
Al di sotto dell’ovattamento continuate a sentire il battito, continuate a sentire il rumore ancora per
un po’, perché? Perché, bene o male, intorno al vaso c’è il manicotto con dentro la sospensione e
questo causa comunque un restringimento del vaso. Anche se la pressione del manicotto non riesce
a chiudere il vaso, però lo costringe un po’. Il vaso rimanendo costretto ha sempre un po’ di
turbolenza e voi continuate a sentire questo rumore.
Però attenzione: se la frequenza è molto elevata, ad esempio un soggetto viene da voi con una
tachicardia parossistica, patologia molto grave con una frequenza molto elevata, la velocità del
sangue è elevata. La velocità del sangue elevata unita all’ingombro meccanico del manicotto fa sì
che voi continuiate a sentire questo rumore dei toni cardiaci per un periodo molto lungo al di sotto
del valore dell’ovattamento, che è la minima. Allora quello che succede è che potreste scambiare un
valore molto più basso della minima per la minima effettiva, magari quel paziente lì ha la minima di
100 mmHg, che è una minima che dal punto di vista clinico è indicativa di una patologia, e invece
dite che il soggetto ha una minima di 70 mmHg, che è invece minima normale.
Quindi in un soggetto normale, la differenza tra ovattamento e scomparsa può essere di 2- 5 mmHg
e allora è una differenza trascurabile e non incorrete in grossi guai usando la scomparsa.
Se però c’è una patologia in atto incorrete in errori madornali, che sono anche di rilevanza clinica.
Abituatevi a cercare di percepire l’ovattamento, misurazione non facile.
Ricordatevi di sgonfiare bene alla fine la pompetta, il braccio del soggetto altrimenti fa male.

GITTATA CARDIACA

1) Aspetto emodinamico G.C.= G.P * fcardiaca


2) Aspetto metabolico (legge di Fick) V•O 2

G.C. =
∆ (A-V) O2

3)Aspetto meccanico ( legge di Poiseuille) G.C. = ∆P

Rtot

La gittata cardiaca è un parametro estremamente importante. La gittata cardiaca è il flusso di sangue


che esce dal cuore destro e dal cuore sinistro. Abbiamo visto che la gittata cardiaca è l’elemento che
condiziona anche la massima. La gittata cardiaca, naturalmente, varierà in varie condizioni sia
fisiologiche che fisiopatologiche. Ad esempio, la gittata cardiaca risente pesantemente del volume
di sangue circolante.
Visto che è un parametro così importante, si raccolgono tre definizioni di gittata cardiaca,
cerchiamo di mettere insieme le tre cose.
La gittata cardiaca dipende da vari fattori, aspetti: l’aspetto emodinamico, un aspetto metabolico e
un aspetto meccanico.
La gittata cardiaca è stata definita, la prima volta che è stata introdotta, come il prodotto della
gettata pulsatoria e della frequenza cardiaca. Questo è un aspetto per cui lavora il sistema

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ortosimpatico. Abbiamo appena detto che il sistema ortosimpatico fa variare la frequenza e fa
variare la forza di contrazione del cuore. Quindi facendo variare la frequenza, facendo variare la
forza di contrazione del cuore che fa variare la gettata pulsatoria, cambia la gittata cardiaca. La
gittata cardiaca può aumentare o diminuire a seconda delle esigenze. E chi detta le esigenze? Le
esigenze sono dettate dalla periferia, e qui interviene l’aspetto metabolico.
Che cosa è l’esercizio fisico? L’esercizio fisico o muscolare non è altro che il raggiungimento delle
massime performance dell’organismo. Ci troviamo tutti i giorni dinanzi all’esercizio fisico. E non
s’intende per esercizio fisico la gara, ma s’intende il fatto che saliamo le scale, che una volta siamo
seduti una volta corriamo. Anche andare a correre per prendere il tram è un esercizio fisico, non
occorre essere un atleta. In ogni caso quest’aumento dell’attività muscolare deve essere sostenuta.
Dal punto di vista cardiovascolare la gittata cardiaca deve tener conto di questa modificazione dei
distretti periferici( in questo caso dell’aumento del lavoro muscolare) e lo fa secondo quanto
descritto dalla legge di Fick.
Una delle prime leggi che abbiamo visto è: la quantità è uguale concentrazione per volume, legge
della diluizione.

Q = C * V legge della diluizione

Abbiamo detto che dividendo il tutto per il tempo, possiamo scrivere questa legge così:

Q V
=C*
t t

Q• = Csost * V•

dove
Q• = flusso di una sostanza
Csost = concentrazione di una sostanza o soluto
V• = flusso

Allora immaginate

Il flusso qual è? Il flusso è la gittata cardiaca, che abbiamo già detto essere un flusso. Adesso
immaginate che dentro ci sia un soluto disciolto. La quantità nel tempo trasportata dal punto A, al

10
punto B, circuito chiuso, sarà uguale alla concentrazione della sostanza per il flusso. E questa
sostanza che sostanza è? Potrebbe essere una qualsiasi sostanza, ma nella fattispecie ci serviamo di
una sostanza del tutto particolare ed importante: O2, ossigeno.
Allora sulla base della relazione vista possiamo dire che la gettata cardiaca, che è un flusso, sarà
uguale alla quantità di ossigeno che nel tempo è utilizzata dal tessuto. Io ho una quantità di ossigeno
che esce, e un po’ dell’ossigeno via via viene assorbito.
In A avrò una concentrazione arteriosa di ossigeno e in B avrò una concentrazione venosa di
ossigeno (ripreso quest’argomento quando tratteremo la respirazione).
La differenza tra la concentrazione dell’ossigeno nel sangue arterioso e la concentrazione di
ossigeno nel sangue venoso si chiama:
∆ (A-V) O2
cioè differenza artero venosa in ossigeno.
E allora avremo che la gittata cardiaca sarà uguale, secondo quanto descritto dalla legge della
diluizione, a
-consumo di ossigeno, che sarebbe la quantità di ossigeno a livello arterioso meno la quantità di
ossigeno a livello venoso. Questo valore prende il nome di consumo di ossigeno, che è l’ossigeno
che è stato consumato nel transito dal punto arterioso a quello venoso. Se manca dell’ossigeno, che
avevamo nel distretto arterioso, che non abbiamo più nel distretto venoso, quell’ossigeno dove è
andato a finire? Nei tessuti, non c’è alternativa.
-diviso la variazione della concentrazione di ossigeno tra il livello arterioso e il livello venoso
∆ (A-V) O2, questa è la nostra concentrazione.

Il consumo di ossigeno è analogo alla quantità di soluto, la concentrazione è espressa in termini di


differenza di concentrazione tra il punto arterioso e il punto venoso. Quello che ne risulta è la legge
di Fick.

V• = G.C.
Q•O = Cs * V•
2

Q•O 2

V=
Cs

(Q•O A - Q•O V)
2 2

G.C. =
∆ (A-V) O2

∆ (A-V) O2 ≅ Cs

La legge di Fick espressa per il circolo cardiovascolare prende questa forma:


gettata cardiaca uguale al consumo di ossigeno diviso la differenza artero venosa.
La terza legge che ci consente di discutere della gettata cardiaca è la ben nota legge di Poiseuille.
Tale legge ci dice che il flusso, gettata cardiaca, è uguale alla differenza tra la pressione arteriosa e
quella venosa (P) (pressione che sostiene il flusso in tutto il circolo) diviso le resistenze totali dei
vari vasi allo scorrimento del sangue.

V= ∆P

Rtot

G.C. = ∆P

11
Rtot

Quindi abbiamo che la gittata cardiaca è uguale alla differenza di pressione artero venosa diviso le
resistenze totali.
Perché queste leggi le vediamo assieme?
Adesso cerchiamo di capire quando e come varia la gittata cardiaca.
Partiamo dalla considerazione funzionale. La gittata cardiaca varia quando cambia il consumo di
ossigeno. Voi vi mettete a fare un esercizio fisico, aumenta il consumo di ossigeno, perché il
muscolo ha bisogno di un maggior apporto di comburente( che è l’ossigeno). Lo posso vedere
scritto anche così, posso dire che il consumo di ossigeno è uguale alla gittata cardiaca per la
differenza artero venosa in ossigeno.

V•O = G.C. * ∆ (A-V) O2


2

Che cosa possiamo fare per aumentare Q•O perché il muscolo ne ha più bisogno? O aumento la
2

gittata cardiaca o aumento la differenza artero venosa in ossigeno, o se posso aumento entrambi i
fattori.
Normalmente ∆ (A-V) O2 è un valore intorno ai 5 ml O2/100 ml sg (5 millilitri di ossigeno ogni 100
millilitri di sangue).Questo valore, in un soggetto normale a riposo, vale 5 ml O2/100 ml sg.
Perché? Perché il contenuto di ossigeno del sangue arterioso, la concentrazione di ossigeno nel
sangue arterioso, è 20 millilitri di ossigeno ogni 100 millilitri di sangue. Via via che si passa dal
livello arterioso a quello venoso l’emoglobina viene desaturata un po’ e il contenuto di ossigeno nel
sangue venoso scende, perché viene consumato, e scende a 15 millilitri di ossigeno ogni 100
millilitri di sangue. Quindi in pratica, nel passaggio dal sangue arterioso a quello venoso, ogni 100
millilitri di sangue se ne cedono 5 millilitri.
[O2]art = 20 ml O2/ 100 ml sg
[O2]ven = 15 ml O2/ 100 ml sg
Vediamo se è vero.
Il consumo di ossigeno totale medio a riposo per un soggetto sano, che non sia ipertiroideo, è di
circa 250 millilitri di ossigeno al minuto. Se la gittata cardiaca è uguale a 5000 millilitri al minuto,
allora possiamo scrivere che, secondo quanto previsto dalla legge di Fick, che 5000 millilitri al
minuto, che è la nostra gittata cardiaca, è uguale a V O , che è 250 millilitri al minuto, diviso la
2

differenza artero venosa di ossigeno, che è 5 millilitri di ossigeno ogni 100 millilitri di sangue.
V O = 250 ml O2/ min
2

G.C. = 5000 ml/ min

5000 ml/ min = 250 ml/ min = 50 * 100 ml/min * ml sg/ ml O2 = 50 * 100 ml sg/ min

5 ml O2/ 100 ml sg

Ricordatevi che la differenza artero venosa sono 5 millilitri di ossigeno in 100 millilitri di sangue.
Ritornando alla legge di Fick, V O aumenta, come faccio a supportare quest’aumento? O faccio
2

variare la differenza artero venosa o faccio variare la gittata cardiaca. La differenza artero venosa
aumenta durante l’esercizio fisico, perché i tessuti estraggono più ossigeno dal sangue,
l’emoglobina si desatura di più. Durante l’esercizio invece di esserci 15 millilitri di ossigeno in 100
millilitri di sangue nel sangue venoso, ce ne sono magari 10 millilitri di ossigeno in 100 millilitri di
sangue, o magari anche meno. Quindi si tira fuori più ossigeno, quindi aumenta la differenza artero
venosa. Un po’ della componente dell’aumento del V O deriva da lì, il resto deriva da un aumento
2

della gittata cardiaca, che può variare (lo vedremo tra un attimo).

12
Se io voglio variare la gittata cardiaca per far fronte al consumo di ossigeno, come faccio? Ve lo
dicono le altre due equazioni, perché io per variare la gittata cardiaca posso usare o la prima o la
terza equazione. Il nostro sistema cardiovascolare fa entrambe le cose. Il nostro sistema
cardiovascolare dice: io devo sostenere un flusso maggiore del sangue, come faccio? Facile! Attivo
il sistema ortosimpatico; il sistema ortosimpatico mi aumenta la gittata pulsatoria, perché aumenta il
ritorno venoso e quindi la gittata pulsatoria, come risposta all’aumento del ritorno venoso. Il
sistema ortosimpatico aumenta anche la frequenza cardiaca. Ma non solo. Io posso variare la gittata
cardiaca anche diminuendo le resistenze totali, ecco che vasodilato la muscolatura periferica.
Quindi vedete come le cose vanno insieme bene, sono tre aspetti diversi che però rispondono alla
stessa esigenza funzionale, cioè quella di adeguare la gettata cardiaca all’aumento del consumo di
ossigeno, oppure alla diminuzione. Abbiamo parlato dell’aumento, ma ovviamente le variazioni
opposte le abbiamo se il consumo di ossigeno diminuisce. Quindi un aspetto metabolico è affrontato
risolvendolo dal punto di vista meccanico o emodinamico.
Le prossime diapositive sono un esempio di come possiamo andare a discutere le variazioni di
gittata cardiaca, servendoci della legge di Fick, in due soggetti, un soggetto sedentario e un soggetto
che invece pratica attività aerobica, a seconda che il soggetto sia a riposo oppure stia praticando
l’esercizio. Questa tabella non è solo un esempio, ma è una tabella importante perché dice anche di
quante volte ,e come,può variare la gittata cardiaca.

G.C. = G.P. fcardiaca


fcardiacamax ≅ 220 – età

RIPOSO ESERCIZIO
Sedentario Allenato Sedentario Allenato
Gettata pulsatoria ml 70 110 100 145
Frequenza cardiaca cicli/min 70 45 200 200
Gettata cardiaca l/min 4.9 4.9 20 * 4.1 30 * 6.1

Questa diapositiva ci dice di quante volte varia la gittata cardiaca nei nostri due soggetti, sedentario
e allenato, in riposo e in esercizio. Una volta che abbiamo capito come e perché varia la gittata
cardiaca nei due soggetti andiamo a vedere di quanto varia il consumo di ossigeno.
A riposo hanno entrambi una gittata cardiaca di 4, 9 l/min, da dove deriva questo valore? Nel
sedentario avremo la frequenza cardiaca di 70 cicli/min e di conseguenza una gittata pulsatoria di
70 ml. Quindi 70 cicli/min * 70 ml fa 4900 ml/min, che sono 4,9 l/min.
L’allenato ha anche lui una gittata cardiaca di 4,9 l/min, ma li raggiunge in una maniera diversa. Il
soggetto allenato ha un diametro ventricolare e un volume ventricolare più ampio rispetto ad un
soggetto non allenato. Una delle conseguenze più evidenti, dal punto di vista fisiologico,
dell’allenamento aerobico è un aumento consistente del volume ventricolare, soprattutto sinistro,
ma anche destro ovviamente. Quindi nell’allenato la gittata pulsatoria varia di un bel po’, invece
che 70 ml risulta essere110 ml al minuto.
I medici di una volta, quando vedevano le lastre di un soggetto allenato, pensavano che il soggetto
avesse una patologia dilatativa del miocardio, patologia grave dal punto di vista patologico.Tali
medici non pensavano o non sapevano che invece questo riflesso dell’attività aerobica è un riflesso
fisiologico di un aumento del volume ventricolare.
Quindi l’allenato ha una gittata pulsatoria più ampia. Siccome ogni volta che il cuore si contrae è in
grado di buttare fuori più sangue e siccome la gittata cardiaca riflette l’esigenza metabolica, a
riposo, il soggetto sano sedentario e il soggetto sano allenato, avendo lo stesso bisogno metabolico,
perché sono entrambi a riposo, avranno la stessa gittata cardiaca. Ma se il soggetto allenato ha una
gittata pulsatoria più grande, perché il cuore è più grande, avrà una frequenza cardiaca più bassa.
Questo è il motivo per cui gli atleti, che si sono allenati in discipline aerobiche, hanno la frequenza

13
più bassa, perché si è ingrandito il cuore. Quindi non è infrequente avere 40 battiti al minuto in un
soggetto.
Quindi l’allenato ha una frequenza cardiaca più bassa a parità di gettata cardiaca.
Adesso il sedentario e l’allenato vanno tutti e due a correre. Indipendentemente da quanto dura,
vediamo di quanto varia la loro gittata cardiaca. Facciamo conto che la frequenza cardiaca vada in
tutti e due i soggetti al massimo. Se i due soggetti hanno 20 anni, siccome la frequenza cardiaca
varia con l’età (circa 220 – età), tutti e due avranno una massima che è 200, quindi arrivano alla
stessa massima. Il sedentario parte da 70 per arrivare a 200, è un po’ meno di 3 volte. L’allenato
parte da 45 per arrivare a 200, è più di 4 volte.
La gittata pulsatoria non cambia molto, varia al massimo di circa1,3 volte, quindi al massimo del 30
% , non di più (50 % valore esasperato). Questo valore massimo è condizionato dal fatto che intorno
al ventricolo c’è il pericardio, pericardio è membrana rigida che più di tanto non può essere distesa.
Quindi la gittata pulsatoria non varia più del 30%. La gittata pulsatoria, nel soggetto sedentario,
passa da 70 a 100 e nel soggetto allenato, da 110 al massimo 145. Se fate i conti è più o meno il
30%.
Adesso per vedere di quanto è variata la gittata cardiaca ci basterà moltiplicare, in tutti e due i
soggetti, in esercizio, la gittata pulsatoria per la frequenza cardiaca. Nel caso del sedentario
abbiamo 20 l/min di gittata cardiaca, che corrisponde ad un aumento di 4 volte. Mentre in un
soggetto allenato, la gettata cardiaca aumenta fino a 30 l/min, un terzo in più di quello che troviamo
nell’altro soggetto, quindi aumenta rispetto alla condizione di controllo di 6 volte.
Vedete che il vantaggio maggiore si ha nella variazione della frequenza cardiaca, perché il soggetto
allenato ha un aumento molto più grande della frequenza cardiaca.
Adesso sappiamo come varia la gittata cardiaca nei due soggetti, se è sedentario varia di 4 volte, se
è un atleta di 6.
V•O 2

G.C. = legge di Fick per il cuore


∆ (A-V) O2

RIPOSO ESERCIZIO
Sedentario Allenato Sedentario Allenato
V•O ml/min
2 250 250 1600 * 6.1 3000 * 12
∆ (A-V) O2 ml O2/ 100 ml sg 5 5 8 10
Gettata cardiaca l/min 5 5 20 * 4 30 * 6

Diapositiva 2. Prendiamo due soggetti, soggetto sedentario e soggetto allenato, entrambi a riposo. Il
V•O di un soggetto sedentario a riposo è di 250 ml/min. Il V•O di un soggetto allenato, ma che in
2 2

questo momento è a riposo, è uguale, è 250 ml/min. Il soggetto che ha lo stesso peso, che ha la
stessa età, che è normale, ha un consumo di ossigeno uguale. Quindi il consumo di ossigeno è
uguale , a riposo, nel soggetto allenato o no. La differenza artero venosa è la stessa, quindi anche la
gettata cardiaca è la stessa.
Ora vediamo i due soggetti in esercizio.
La gittata cardiaca è variata nel sedentario di 4 volte, nell’allenato di 6 (per quello che abbiamo
visto prima).
Di quanto varia il consumo di ossigeno nei due soggetti. Siccome il consumo di ossigeno è la gittata
cardiaca per la differenza artero venosa, possiamo calcolare il V•O nel sedentario e nell’allenato. Nel
2

sedentario la gittata cardiaca varia di circa 4 volte e il ∆ (A-V) O2 passa da 5 a 8, quindi abbiamo un
aumento del V•O di 6 volte circa.
2

Nell’allenato la gittata cardiaca varia di più che nel sedentario, 6 volte invece che 4, però varia
anche la differenza artero venosa, perché nell’allenato l’emoglobina si desatura un po’ di più, e

14
allora invece di estrarre 5 millilitri di ossigeno su 100 millilitri di sangue, che il soggetto estrae a
riposo, n’estrae addirittura anche il doppio. Allora vedete che il V•O può aumentare di molto, fino a
2

12 volte, ma anche di più. Da 250 si passa a 3000 ml/min.


Quindi vedete come è utile questa legge di Fick, perché ci dice in base alle esigenze funzionali, alle
caratteristiche del soggetto, di quante volte possono variare la gittata cardiaca e il consumo di
ossigeno.
Terza diapositiva.

L’altra cosa che abbiamo visto è l’aspetto meccanico e anche questo bisogna considerarlo. Perché?
Aumenta il consumo di ossigeno, devo aumentare la gittata cardiaca. La gittata cardiaca la faccio
aumentare, aumentando la gittata pulsatoria e aumentando la frequenza. Però interviene anche la
considerazione meccanica della gittata cardiaca come flusso di sangue che passa attraverso un
circuito. Quindi dobbiamo tener conto della pressione, della variazione di pressione e delle
resistenze totali. Per esempio, se noi non fossimo in grado di far variare le resistenze totali,
potremmo variare la gittata cardiaca? Si, però dovremmo aumentare il gradiente pressorio. Per
esempio, se l’atleta ha un aumento di gittata cardiaca di 6 volte (abbiamo visto prima), se le
resistenze totali rimangono uguali, vuol dire che devo variare il gradiente pressorio. Vi sembra
possibile? Se il gradiente dall’inizio alla fine del circolo è di 100 mmHg, dal lato arterioso a quello
venoso, e io voglio una gittata cardiaca 6 vote maggiore, perché devo correre a prendere il tram, vi
sembra ragionevole che possano rimanere costanti le resistenze totali? No. Altrimenti vorrebbe dire
che il gradiente diventa 600 mmHg, vuol dire che il nostro soggetto dovrebbe avere una pressione
arteriosa di 600 mmHg, il che non succede, ovviamente. Perché non succede? Perché l’aumento di
gettata cardiaca può essere mantenuto, così come richiesto dal consumo di ossigeno, senza variare
tanto la pressione arteriosa, grazie al fatto che possiamo modulare, in questo caso diminuire, le
resistenze totali. Le quali resistenze sono messe sia in serie che in parallelo. Le resistenze in serie
sono quelle che incontriamo quando, per esempio, andiamo a vedere i distretti uno dopo l’altro. Per
esempio le arteriole sono in serie rispetto alle arterie e rispetto ai capillari che vengono dopo, i
compartimenti sono messi in serie l’uno all’altro. Però se andiamo a pensare ai capillari, i capillari
tra di loro sono messi in parallelo.
La resistenza totale, in un sistema di resistenze in serie, è dato dalla somma delle singole resistenze.
Quindi le resistenze totali saranno date dalle resistenze nel circolo arterioso, più quelle nel circolo
arteriolare, più quelle nel circolo capillare e così via.
Nel caso delle resistenze in parallelo, come nel circolo capillare, il reciproco della resistenza totale è
dato dalla somma dei reciproci delle singole resistenze. Cosa significa? Che la resistenza totale nel
letto messo in parallelo, in questo caso nel letto capillare, è inferiore alla resistenza fornita da ogni
singolo capillare. Quindi, il fatto di avere tanti capillari messi tra di loro in parallelo, fa sì che la
resistenza totale del letto capillare sia inferiore alla resistenza del singolo capillare.
Fate conto che Pu sia il distretto arteriolare che poi prosegue nel circolo capillare. Aumento il
diametro della zona Pu, vasodilato; vasodilatare significa allargare il diametro arteriolare. Allargare
il diametro arteriolare vuol dire aumentare la pressione all’imbocco dei capillari, significa questo

15
reclutare più capillari. La vasodilatazione arteriolare consente il reclutamento dei capillari e quindi,
siccome i capillari sono messi in parallelo, consente una diminuzione delle resistenze totali.
Quando s’inizia un esercizio muscolare e si vasodilata il distretto capillare muscolare si assiste ad
una invasione di sangue nel distretto muscolare, ad una vasodilatazione muscolare, che fa scendere
le resistenze periferiche totali. Perché? Perché il sangue viene fatto passare attraverso il circuito
capillare muscolare, che è un circuito a bassa resistenza. “Bassa resistenza” perché i capillari sono
messi in parallelo; più capillari ci sono in parallelo più le resistenze sono basse. Se questo sistema
funziona quando vogliamo diminuire le resistenze periferiche, funziona anche quando vogliamo
aumentarle. Se io ho un abbassamento della pressione arteriosa, l’abbassamento della pressione
arteriosa si può avere per esempio nella sindrome ortostatica, come facciamo a tamponare
quest’abbassamento? Basta vasocostringere il distretto arteriolare. Vasocostringendo il distretto
arteriolare si manda meno sangue al distretto capillare, si ha un aumento della pressione a monte e
un aumento delle resistenze perché il sangue passerà attraverso arteriole più costrette e attraverso un
letto capillare meno reclutato. Quindi, in definitiva, la resistenza totale aumenta un po’. Ma se la
resistenza totale aumenta un po’, a parità di gittata cardiaca, dovrò aumentare anche il P, aumentare
il P vuol dire aumentare la pressione a monte, cioè a livello arterioso. Allora vedete che su queste
resistenze agisce il sistema nervoso autonomo. Se c’è bisogno di aumentare la pressione, ci sarà un
vasocostrizione, se c’ è bisogno di diminuire la pressione o di mantenere una elevata gettata
cardiaca, allora si assisterà ad una vasodilatazione.
E, in effetti, abbiamo visto, quando abbiamo parlato del sistema nervoso autonomo, che ci sono dei
distretti periferici che si vasocostringono e dei distretti periferici che si vasodilatato (parlando di
mediatori chimici).
Abbiamo detto tutto sul circolo sistemico, passiamo a vedere qualcosa di più specifico sul circolo
polmonare.
Tutte le informazioni, che abbiamo raccolto sul circolo sistemico, valgono anche per il circolo
polmonare. Più volte abbiamo fatto riferimento al circolo polmonare. Per esempio il ragionamento
sull’aumento o la diminuzione della gittata cardiaca interessano, ovviamente, anche il circolo
polmonare. Questo perché ogni variazione di gittata cardiaca del cuore di sinistra interessa anche,
pari pari, il sistema polmonare. Se aumentano le resistenze nel circolo polmonare, dovranno variare
anche quelle nel circolo sistemico e viceversa.
Però nel caso del circolo polmonare dobbiamo dire alcune cose in più che sono proprio specifiche
del circolo polmonare e solo sue , sono degli adeguamenti di quanto già visto per il circolo
sistemico al circolo polmonare, tenendo però conto delle caratteristiche molto specifiche del
polmone (no degli altri organi).

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CIRCOLO POLMONARE

La figura sottostante è molto banale.

Ci dice semplicemente che sono due sistemi uniti fra di loro, che sono interessati dallo stesso flusso,
ma in un regime di pressione diverso. Si vede che da una parte la pressione è 120, (120/0), 0
rappresenta il potenziale valore finale di pressione, in realtà non è 0, ma è 3. Comunque questo è il
circolo sistemico, che abbiamo appena visto, con pressione d’ingresso 120, con pressione finale che
è circa 3. Poi si passa al ventricolo destro. La pressione massima nel ventricolo destro è circa
25mmHg, la pressione nell’atrio sinistro è circa 8 mmHg.
Quindi il gradiente medio è da una parte 25- 8, quindi 17, dall’altra 120-3, cioè 117.
Vedete l’andamento, qui la pressione nell’arteriola d’ingresso è circa 12, la pressione in uscita è
circa 9, la pressione media nei capillari polmonari è circa 10 mmHg, anzi anche un po’ meno.
Mentre invece è 20, anche un po’ meno, intorno ai 17 mmHg, nei capillari sistemici.
Vediamo qui le resistenze viscose nel circolo polmonare.
L’andamento delle pressioni, più o meno, è lo stesso, è sempre pulsatile, in questo grafico siamo a
circa 25 di picco sistolico, circa 8-9 di minima diastolica, la media è circa 14 per arrivare, lo si vede
nell’altra figura, a circa 4- 5 mmHg.

La figura che vediamo è sbagliata, ma indicata su molti libri. È sbagliata perché a differenza di
quanto osservato nel circolo sistemico, questa figura sembra che vi dica che l’andamento delle
pressioni è un po’ diverso. Nel circolo sistemico si parte con 100, si scende un pochino a 90, nelle
arteriole si ha 30, con un andamento simile a quello rappresentato in figura. Si diceva che la più
grande caduta di pressione, circa il 60 %, è a livello delle arteriole. Vedendo però la figura sbagliata

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sembra tutto diverso. Non è così in realtà. Anche nel caso del circolo polmonare, il maggiore picco
di caduta della pressione è a livello delle arteriole. Quindi anche nel circolo polmonare se si parte da
25, si arriva circa a 20, 15, con un andamento simile a quello in figura.

Quindi anche nel circolo polmonare il 60 % delle resistenze precapillari sono a carico del distretto
arteriolare. È per questo che la figura è sbagliata.
Quella sottostante è una rappresentazione tridimensionale di un tratto di polmone, di un pezzettino
di polmone. È l’immagine tridimensionale, ottenuta al microscopio elettronico a scansione del
polmone. Allora si riconoscono bene gli alveoli con diametro di circa 50 micron, nell’uomo, e i setti
interalveolari, dove scorrono i capillari.(non è possibile vedere i capillari)

Immaginate adesso di ingrandire un particolare, quindi avrete un pezzettino di parenchima


polmonare che è delimitato su tre lati da alveoli (3 alveoli), quindi è tutto aria e poi c’è un velo di
tessuto dove scorrono i capillari (quelli rosa). Poi si vede un fibroblasta e del tessuto polmonare
tutto intorno. I capillari ,che qui scorrono, possono essere in vari punti, possono essere in mezzo,
circondati da interstizio, oppure possono essere circondati anche loro da un velo interstiziale, però si
trovano ad essere come la salsiccia in un panino: strato epiteliale alveolare da una parte, strato
epiteliale alveolare dall’altra, in mezzo a questi due strati il capillare. Capillare che quindi è in un
setto molto, molto sottile, esposto da entrambe le parti agli alveoli. Il primo capillare descritto
invece è contornato da uno spessore ampio di interstizio.
Tra i due vasi c’è una differenza enorme dal punto di vista meccanico.
Il secondo capillare, quello che si trova nell’alveolo, prende il nome di CAPILLARE ALVEOLARE,
o vaso alveolare, e questo definisce il fatto che si trova nel setto vero e proprio interalveolare ed è
esposto alle pressioni che ci sono nell’alveolo. Invece il primo vaso, quello al centro, nel tessuto,
viene chiamato anche CAPILLARE EXTRALVEOLARE. Tale vaso che si trova all’incrocio tra tre
alveoli diversi si chiama VASO D’ANGOLO, perché è proprio lì incuneato nel punto in cui vari setti
interalveolari confluiscono.
Potrebbe sembrare banale, ma anche a differenza di pochi millimetri i due vasi sono estremamente
diversi dal punto di vista meccanico.
Siamo a fine espirazione, entrambi i vasi sono abbastanza rotondeggianti e hanno quasi la stessa
dimensione. Adesso il polmone si espande. Quando il polmone si espande, ad espandersi sono gli

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alveoli polmonari. Quando il polmone si espande, i tre alveoli si espandono, il vaso alveolare viene
schiacciato e stirato, viene compresso, viene deformato, passa da una condizione, rotondeggiante,
ad una condizione in cui viene stirato da una parte e schiacciato dall’altra. Invece il vaso
extralveolare subisce uno stiramento in tutte le direzioni, perché in tutte e tre le direzioni viene
stirato dagli alveoli che si stanno espandendo.
Allora capite che il diametro, il raggio, del vaso alveolare diminuisce con l’aumento del volume
polmonare. Il vaso nella zona extralveolare invece, nella stessa condizione, aumenta di diametro e
di raggio.

Le resistenze fornite al passaggio di sangue nel vaso alveolare tendono ad aumentare con l’aumento
del volume. Mentre invece le resistenze che si trovano nella zona extralveolare tendono a diminuire
con l’aumento del volume. Quello che succede è quello rappresentato in figura. Sull’ascissa
abbiamo il volume polmonare, il volume polmonare passa da un (Vr) volume minimo ad un volume
massimo. Se passiamo dal volume minimo al volume massimo, si vede che le resistenze, che sono
sull’ordinata, del vaso alveolare aumentano sempre. Perché? Perché il setto interalveolare viene
schiacciato e quindi il vaso si deforma, e il raggio diminuisce, fino a che collassa. Mentre il vaso
extralveolare continua ad aumentare perché è stirato da tutte le parti e le resistenze nel vaso
extralveolare diminuiscono. Allora vedete che siccome il sangue passa sia dai vasi alveolari che dai
vasi extralveolare, ovviamente, quale è in definitiva il comportamento delle resistenze al flusso via
via che aumentiamo il volume polmonare? Non è altro che la somma, ad ogni volume, delle
resistenze incontrate nei capillari alveolari e di quelle extralveolare. Vedete una cosa intelligente.
Vedete che la resistenza è alta sia a volumi bassi che ad elevati volumi del polmone, mentre è
minima intorno ad un valore che corrisponde al volume normalmente presente nel polmone alla fine
di una espirazione normale. Nell’espirazione e ispirazione normale, le resistenze si mantengono
prossime al loro valore più basso. Ma se noi facciamo una espirazione forzata, o un’ispirazione
forzata, le resistenze aumentano e quindi è ostacolato il flusso di sangue e quindi viene resa più
difficoltosa la perfusione polmonare e quindi anche gli scambi di gas.

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