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Marzo – Aprile 2008

Prof.sa Arcangeli

IMMUNITA': resistenza alle malattie, in particolare quelle infettive. La funzione fisiologica del
sistema immunitario è quella di prevenire le infezioni e di eradicare quelle già in atto. Ci sono due
tipi di immunità:
 INNATA (ASPECIFICA)
 ADATTATIVA (SPECIFICA, o ACQUISITA)

1) L'immunità innata è la protezione iniziale contro le infezioni; è identificata con la risposta


infiammatoria e si attiva nel giro di 12 ore dall'ingresso dell'agente di danno. La prima linea di
difesa dell'immunità innata è data dalle barriere epiteliali e successivamente da cellule
specializzate come i fagociti e le cellule NK. L'esempio tipico di barriera epiteliale è l'epitelio
respiratorio, che ha le ciglia e dei secreti che bloccano gli agenti dannosi che cercano di entrare
nell'organismo. Inoltre a livello delle secrezioni mucose si trovano le IgA, presenti anche nel
latte materno (sono la prima difesa che la madre passa al figlio).

Componenti dell'immunità innata:


− Epiteli. I microrganismi possono entrare per contatto fisico, ingestione o respirazione: tutte e tre
le “porte d'ingresso” sono rivestite da un epitelio continuo che si oppone fisicamente all'ingresso
dei microbi. Le cellule epiteliali producono anche dei peptidi con attività antibiotica, ed esistono
i linfociti intraepiteliali.

− Fagociti. Ce ne sono 2 tipi, entrambi circolanti nel sangue: granulociti neutrofili e fagociti
mononucleati (monociti). I neutrofili sono prodotti rapidamente in risposta a infezioni, sotto
stimolo delle citochine. Infatti queste agiscono sulle staminali Ingeriscono i microrganismi in
circolo e penetrano nei tessuti extravascolari, poi muoiono nel giro di poche ore (e con essi
muoiono i microbi ingeriti).I monociti sono meno abbondanti; agiscono esattamente come i
neutrofili, tuttavia, una volta usciti dal sangue, non muoiono, bensì si differenziano in
macrofagi. I macrofagi successivamente fungono da APC (cellule che presentano del midollo
osseo stimolando la maturazione dei precursori. Come agiscono i neutrofili? l'antigene) nella
risposta immunitaria specifica, ed inoltre sono il bersaglio della risposta specifica cellulo-
mediata dai linfociti Th1. Quindi i monociti sono il ponte tra immunità innata e acquisita!
I fagociti riconoscono i microrganismi presenti nel sangue tramite recettori di superficie
specifici per i diversi prodotti microbici. Migrano poi nella sede extra-vascolare di infezione in
seguito al legame con molecole di adesione espresse dall'endotelio (es. selectina) ed in risposta a
sostanze chemiotattiche prodotte dopo l'incontro con in microrganismi (es. citochine).

− Cellule Natural Killer. Classe di linfociti privi dei marcatori per le cellule T e B (cioè sono
linfociti non T e non B). Sono identificabili per la presenza del marcatore CD16 Le cellule NK
rispondono ai microrganismi intracellulari uccidendo le cellule infettate, e producendo inoltre la
più importante citochina attivante i macrofagi, l'interferone-γ. Riconoscono le cellule alterate da
infezione microbica; queste infatti esprimono delle particolari molecole e le NK hanno i
recettori per quelle molecole. Il legame attiva le cellule NK, che secernono le proteine contenute
nei loro granuli citoplasmatici, precisamente le perforine, che alterano la permeabilità della
membrana delle cellule infettate. Penetrano così nella cellula enzimi che inducono l'apoptosi. In
contemporanea, le NK attivate sintetizzano e secernono l'IFN-γ (citochina che attiva i
macrofagi).
Le perforine sono le stesse molecole effettrici dei linfociti T citotossici
Le cellule NK si riconoscono inoltre perché esprimono dei recettori per la porzione Fc di alcune
IgG, e li utilizzano per legare le cellule opsonizzate dalle Ig durante l'immunità umorale.
[Marcatori delle NK: CD16, granuli, recettori Fc]

2) L'immunità specifica si è evoluta perché i microrganismi hanno trovato delle strategie per
superare l'immunità innata dell'ospite. Le cellule principali dell'immunità specifica sono i
linfociti, che esprimono recettori in grado di riconoscere specificamente diverse sostanze
prodotte da microbi, nonché molecole non infettive, nel complesso dette molecole not-self o
antigeni. Si attivano meccanismi specializzati per combattere diversi tipi di infezione.
La risposta immunitaria specifica spesso utilizza le cellule e le molecole dell'immunità innata,
infatti la risp. innata assolve anche una importante funzione di segnale, allertando il sistema
immunitario specifico. La risposta innata genera molecole che agiscono come secondo segnale al
riconoscimento antigenico per attivare i linfociti!

Ci sono due tipi di immunità specifica:


− Immunità UMORALE: rivolta contro i microbi extracellulari. È mediata dai linfociti B, che
riconoscono l'antigene grazie alle Ig di membrana. Una volta attivati, i linfociti B si trasformano
in plasmacellule e secernono gli anticorpi (immunoglobuline). Questi hanno l'importante
funzione di impedire ai microbi presenti nelle mucose e nel sangue di colonizzare i tessuti
connettivi dell'ospite (cioè impedire le infezioni). Tuttavia non possono niente contro i microbi
che sono entrati nelle cellule.

− Immunità CELLULO-MEDIATA: rivolta contro i microbi intracellulari. Sono coinvolti i


linfociti T, che possono agire in due differenti modi:
1. il linfocita riconosce l'antigene presentato da macrofagi o da APC, di conseguenza attiva i
macrofagi stessi, che distruggono i microbi inglobati in precedenza (linfociti T helper)
2. altri linfociti invece riconoscono qualsiasi altro tipo di cellula (quindi non macrofagi) che
abbia nel citoplasma un agente infettivo e la uccidono mediante lisi o induzione dell'apoptosi
(linfociti T citotossici).

Due caratteristiche importantissime dell'immunità specifica: innanzitutto appunto la SPECIFICITA':


il sist. immunitario è in grado di discriminare almeno un miliardo di antigeni diversi. Selezione
clonale: i cloni di linfociti specifici per differenti antigeni sono già presenti nell'organismo prima
dell'incontro con l'antigene stesso, e ogni antigene induce una risposta immunitaria selezionando e
attivando i linfociti di uno specifico clone.
Seconda caratteristica: la MEMORIA. Il sist. imm. fornisce risposte più ampie ed efficaci in seguito
a ripetute esposizioni allo stesso antigene. Si ha una risposta primaria quando si viene per la prima
volta a contatto con uno specifico antigene; gli incontri successivi con lo stesso, generano risposte
secondarie, che sono il risultato dell'attivazione dei linfociti della memoria (memory cells), cellule a
lunga vita che erano state generate dalla risp. primaria. La memoria è una delle ragioni per cui i
vaccini sono efficaci.

Le fasi della risposta immunitaria sono: fase di riconoscimento (riconoscimento dell'antigene,


attivazione dei linfociti) e fase effettrice (eliminazione dell'antigene, declino delle risposte e
generazione della memoria).

Componenti dell'immunità specifica:


− Linfociti: sono le uniche cellule dotate di recettori specifici per l'antigene. Attualmente sono
differenziate fra loro in base all'espressione di alcune proteine di superficie identificabili tramite
anticorpi monoclonali. Queste proteine sono classificate con nomenclatura standard detta

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classificazione CD (cluster di differenziazione), che precisamente identifica le proteine di
superficie che definiscono un particolare tipo o stadio di differenziazione cellulare e che
vengono riconosciute da un certo gruppo (cluster) di anticorpi.

− Linfociti B = sono le uniche cellule in grado di produrre anticorpi (dopo maturazione in


plasmacellule). Esprimono sulla membrana gli anticorpi (Ig) che fungono da recettori per
l'antigene. Per distinguere le immunoglobuline di superficie da quelle secrete, si parla di s-IgM
(selfer IgM), precisamente si intendono le Ig di linfociti “vergini” che hanno riconosciuto
l'antigene ma che non hanno subito il passaggio di classe.
Le s-IgM sono un marcatore di riconoscimento per i linfociti B, ma ci sono anche altri
marcatori, per esempio il CD19 (che fa parte del complesso recettoriale e che inducendo attività
tirosino-chinasica permette il passaggio da linfocita B che riconosce l'antigene a linfocita B che
secerne gli anticorpi), il CD34 (che è anche il marcatore delle cellule staminali emopoietiche), il
CD20 (che è anche il marcatore delle cellule tumorali), il MHC II.
Spesso un certo tipo cellulare è identificato dalla presenza non di un solo marcatore ma di due o
più marcatori insieme (perché un marcatore solo può ritrovarsi in più tipi cellulari).
I linfociti B si trovano anche nel sangue (15-20% dei linfociti totali), ma stanno soprattutto nei
follicoli dei linfonodi (25%) e nella milza (45%), cioè negli organi linfoidi secondari.

− Linfociti T = hanno dei recettori che riconoscono solo dei frammenti peptidici delle proteine
antigeniche, legati a molecole specializzate (le MHC, molecole del complesso maggiore di
istocompatibilità), a loro volta espresse sulla superficie delle APC. Esprimono sulla membrana
dei particolari recettori, detti TCR; proteine di membrana coinvolte soltanto nel riconoscimento
dell'antigene e attivazione del linfocita T (ma non hanno nessuna funzione effettrice). Il TCR è
un eterodimero composto da 2 catene, una α e una β, ognuna delle quali ha una regione
variabile V e una costante C. il legame di due o più antigeni a recettori adiacnti determina
l'aggregazione dei recettori, con aggregazione delle proteine di trasduzione del segnale. Si attiva
tutta una cascata di segnalazione che culmina nella produzione di molecole che mediano la
risposta immunitaria, come le citochine. Associato al TCR c'è il marcatore CD3 (in tutti i
linfociti T).
Alcuni linfociti esprimono la molecola CD4 (sono cioè CD4+) e sono chiamati linfociti T
helper (Th) in quanto aiutano i linfociti B a produrre anticorpi e i fagociti a uccidere i microbi
fagocitati. Riconoscono le MHC di classe II.
Altri linfociti T sono invece CD8+, e sono chiamati linfociti T citotossici (Tc) perché uccidono
le cellule infettate, e riconoscono le MHC di classe I.
Le cellule T sono molto rappresentate nel sangue periferico (circa l'80%), e in generale i CD4 +
sono quattro volte più rappresentati dei CD8+. Si trovano anche nella zona paracorticale dei
linfonodi. I CD4+ diminuiscono in individui affetti da HIV; i CD8+ aumentano in caso di
infezione virale in atto.

− I linfociti NK fanno parte anche dell'immunità specifica oltre che dell'innata.

Organi linfoidi primari = sono quelli in cui i linfociti T e B maturano e acquisiscono la capacità di
rispondere agli antigeni. I linfociti B maturano nel midollo osseo e i linfociti T maturano nel timo
(in entrambi i casi comunque i linfociti originano da cellule staminali del midollo osseo).

Organi linfoidi secondari = sono i linfonodi, la milza, le tonsille, le adenoidi e il sistema


immunitario associato alle mucose. Sono organizzati in maniera tale da permettere la
concentrazione in un unico sito di tutte le cellule che partecipano alla risposta immunitaria,
favorendone lo sviluppo. I linfonodi sono aggregati nodulari di tessuti linfoidi localizzati lungo le
vie linfatiche di tutto il corpo; sono circondati da una capsula. La parte più esterna è detta corticale;

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qui si ritrovano i follicoli, detti anche zone B del linfonodo (perché qui stanno i linfociti B). La
parte più interna è la midollare, e c'è infine l'area paracorticale cove stanno i linfociti T. I fluidi
provenienti da tutti gli epiteli e tessuti connettivi sono drenati dai vasi linfatici, che li portano ai
linfonodi i quali catturano eventuali microbi presenti e poi li riportano ai tessuti.
La milza è un organo situato nell'addome che svolge lo stesso ruolo dei linfonodi ma nei confronti
del circolo sanguigno (il sangue viene drenato dalla milza).

Circolazione dei linfociti:


I linfociti non stanno mai fermi: circolano continuamente tra i diversi tessuti. I linfociti naïve
(vergini, che ancora non hanno avuto contatto con l'antigene) transitano dagli organi linfoidi
periferici, mentre i linfociti effettori migrano dal circolo alle sedi d'infezione. Significa che i
linfociti si localizzano in diverse sedi anatomiche a seconda del loro stadio maturativo (e quindi
della loro funzione). La circolazione è stata maggiormente studiata per i linfociti T.
I linfociti T maturano nel timo, poi entrano in circolo e migrano nei linfonodi. Qui trovano eventuali
antigeni arrivati tramite la linfa che drena i tessuti epiteliali e parenchimatici. Come entrano i T nei
linfonodi? Tramite delle venule postcapillari specializzare chiamate venule a endotelio alto (HEV),
che hanno appunto la funzione di homing (mandare “a casa” i linfociti). I linfociti T naïve
esprimono sulla membrana la L-selectina, che si lega a residui carboidrati sulla superficie delle
cellule endoteliali che rivestono le HEV. Si ha quindi un debole legame tra linfociti e HEV, nella
zona paracorticale del linfonodo. I linfociti si fermano un po', poi escono di nuovo in circolo nella
linfa. Se i linfociti sono attivati dal legame con un antigene, questo legame linfocita-HEV nel
linfonodo è rafforzato quindi i linfociti si concentrano maggiormente in questa zona dove ci sono
anche le APC (coordinazione della risposta immunitaria).
I linfociti si attivano se incontrano l'antigene ma tale incontro è casuale! Le probabilità di incontro
sono aumentate dal fatto che lo stesso linfocita ricircoli attraverso gli stessi linfonodi almeno una
volta al giorno. Inoltre i linfociti T sono concentrati nei linfonodi, e anche gli antigeni sono
concentrati nei linfonodi grazie alle APC. I linfociti T attivati si differenziano in cellule effettrici o
in cellule della memoria. Le cellule effettrici lasciano i linfonodi attraverso non i vasi linfatici ma i
vasi sanguigni, e migrano nei tessuti colonizzati dai microbi. La migrazione è resa possibile da alti
livelli di espressione di molecole di adesione, come le integrine (es. LFA-1, Leukocyte Function-
associated Antigen-1) in grado di interagire con i rispettivi ligandi espressi sull'endotelio attivato
dall'esposizione ai microbi; e dall'azione di citochine chemiotattiche prodotte nel focolaio
d'infezione stesso. È importante, per la successiva attivazione dei macrofagi, che il linfocita passi
dal linfonodo. Le cellule della memoria possono continuare a circolare nella linfa o migrare nella
sede d'infezione.

Antigene = qualsiasi sostanza o corpo la cui introduzione in un organismo induca una risposta
immunitaria. Si definisce anche come la molecola o sostanza in grado di legarsi al recettore dei
linfociti. Si parla più specificamente di immunogeno nel caso di un antigene capace di attivare una
risposta immunitaria specifica. Le macromolecole come proteine, carboidrati, lipidi e frammenti di
DNA fungono da immunogeni.
Esistono anche gli apteni, molecole not-self che si legano a recettori ma non inducono risposta
immunitaria a meno che non siano legati a specifici carrier proteici.
Le proprietà che caratterizzano un antigene sono: estraneità, peso molecolare, composizione
chimica, dose, via di somministrazione.
Ogni antigene è caratterizzato da uno specifico epitopo (o determinante), cioè la porzione della
molecola a cui si lega l'anticorpo. Si parla di affinità in base alla forza di questo legame anticorpo-
epitopo. L’affinità degli anticorpi prodotti durante una risp. imm. primaria è piuttosto bassa, ma in
seguito a stimolazione ripetuta questa aumenta (meccanismo di maturazione dell’affinità) = questo

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è dovuto alla variabilità delle regioni CDR dell’Ig, ed è molto importante perché ci permette di
avere sempre anticorpi più efficaci. L’affinità si misura in termini di KD = costante di dissociazione.
L’affinità si riferisce al legame tra un singolo sito di riconoscimento e l’antigene; ma un anticorpo di
solito ha due siti di riconoscimento, e a volte è anche aggregato in dimeri o pentameri → nel
complesso di parla non più di affinità ma di avidità (legame TOTALE antigene-anticorpo).
Gli epitopi possono essere:
− CONFORMAZIONALI = zone di una molecola che si trovano all'esterno e che sono
riconosciute in base alla struttura 3D. Se perdono la struttura non sono più riconosciute
dall'anticorpo.
− LINEARI = riconosciuti in base alla sequenza. Per esempio sono gli epitopi lineari che attivano
il TCR dei linfociti T. Capita spesso che siano mascherati all'interno delle molecole antigeniche
e che vengano esposti come risultato di una modificazione (come la denaturazione).
Quando l'Ig del linfocita B lega l'antigene, questo complesso linfocita-antigene viene endocitato, la
proteina antigenica viene denaturata e gli epitopi lineari dell'antigene vengono caricati sulla MHC II
della membrana plasmatica, la quale li mostrerà al linfocita Th, che in risposta secernerà le
citochine e riattiverà il linfocita B che aveva presentato l'antigene, che infine secernerà gli anticorpi
contro quell'epitopo.

IMMUNOGLOBULINE
La teoria della selezione clonale ci dice che nasciamo con un repertorio di linfociti T e B con
anticorpi (Ig) capaci di riconoscere tutti gli antigeni presenti in natura. Quando entra nell'organismo
un agente estraneo, la cellula che produce l’anticorpo più affine a quell’antigene sarà stimolata a
proliferare inducendo la formazione di un clone cellulare specifico per quell’antigene.

Struttura delle Ig:

Ogni molecola è fatta di 2 catene pesanti H e due catene leggere L che si giustappongono in modo
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tale che le estremità C-terminali delle catene pesanti coincidano (sono legate da S-S) e le estremità
N- terminali siano accoppiate tra pesanti e leggere (ciascuna catena leggera è unita a una pesante).
Le due catene H e le due catene L sono identiche fra loro. La struttura assomiglia molto a una Y.
In ogni catena leggera ci sono un dominio variabile V (VL) e un dominio costante C (CL); in ogni
catena pesante ci sono un dominio V (VH) e tre o quattro domini C (CH1, CH2...). Ciascuno di questi
domini si ripiega a formare una struttura 3D detta dominio immunoglobulinico (dominio Ig). I
domini delle catene leggere sono costituiti da circa 100 a.a., con almeno 7 foglietti β uniti da un
ponte disolfuro. All’estremità dei foglietti gli a.a. formano dei loop liberi.
Ci sono almeno 4 domini Ig per ogni catena pesante e 2 domini per ogni catena leggera.

Questi domini Ig sono presenti anche in altre proteine del sistema immunitario (recettori dei
linfociti T, proteine MHC, ecc.) e di altri sistemi biologici = si parla di superfamiglia delle Ig (si
suppone derivino tutte da uno stesso precursore ancestrale).

Le regioni VL e VH sono suddivise al loro interno in tre regioni ipervariabili, chiamate CDR
(complementary determining region). I domini variabili sono generalmente più lunghi dei domini C;
sono formati da 9 foglietti β e sono quelli deputati al contatto con l’antigene. Gli a.a. che formano i
loop qui sono di natura più flessibile. I CDR sono quelli che determinano la specificità delle Ig.
Le regioni costanti servono per altre funzioni, come per esempio l’attivazione del complemento e
l’opsonizzazione.
La parte della molecola anticorpale che comprende all'estremità N-
terminale un dominio VH e un dominio CH più una catena leggera
completa è quella indispensabile per il riconoscimento dell'antigene
ed è chiamata regione Fab (Fragment antigen binding); i restanti
domini C delle catene pesanti formano la regione Fc (Frammento
cristallizzabile, così chiamato per le proprietà fisico-chimiche che lo
caratterizzano). In ogni Ig esistono quindi due domini Fab identici
fra loro, che servono a legare l'antigene, e un dominio Fc, che serve
per la maggior parte delle attività biologiche e funzioni effettrici
degli anticorpi. A congiungere le regioni Fab e Fc c'è una porzione
flessibile, detta regione cerniera.

Infine, l'estremità C-terminale della catena pesante può essere o non essere ancorata alla membrana
plasmatica (recettori dei linfociti B), oppure può essere libera in modo che l’anticorpo sia secreto.

Esistono più isotipi (o classi) di anticorpi; si differenziano in base al tipo di catena pesante che

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contengono. Infatti ci sono 5 tipi di catene pesanti dette µ, δ, γ, ε e α → le varie classi sono dunque
nominate IgM, IgD, IgG, IgE e IgA. Anche le catene leggere possono essere di due tipi diversi (κ e
λ) ma questo non conta nella classificazione.
I diversi isotipi differiscono per le proprietà fisiche e biologiche, e per le loro funzioni effettrici.

• IgA = caratterizzate da una lunga coda C-terminale, in


grado di legare insieme due o tre molecole di IgA
insieme. Si trova solo sotto forma secreta; può esistere
informa singola, dimerica o trimerica ma comunque la si
trova quasi sempre in forma di dimero. Le IgA sono i
mediatori della prima risposta immunitaria specifica,
trovandosi nei secreti delle vie respiratorie, intestinali e
genito-urinarie. Solitamente, i 2/3 degli anticorpi
prodotti in un giorni dal nostro organismo consistono
proprio in IgA!

• IgD = sono esclusivamente legate alla membrana, hanno


uno specifico dominio di ancoraggio. Come fa la cellula
a scegliere se sintetizzare una Ig da secernere o da tenere
in superficie? Dipende dallo splicing e da quale esone
viene scelto durante il processo di maturazione dell’RNA
codificante per l’ultimo dominio costante, così si può
avere un dominio C-terminale libero o di ancoraggio (transmembrana).

• IgM = possono trovarsi sia ancorate


alla membrana dei linfociti B sia
secrete in circolo. Quando sono sulla
membrana sono informa monomerica,
e quando sono secrete si aggregano in
pentameri. Sono le prime ad essere
espresse dai linfociti V e le prime ad
essere secrete nella risposta
immunitaria. Generalmente il linfocita
B naïve ha sulla membrana sia le IgD
sia le IgM, ma quando è attivato
comincia a secernere le IgM
pentameriche.
Quando le IgM sono in forma secreta,
sono troppo grandi per essere passate nella
placenta, quindi non arrivano al feto!
Le IgM sono gli anticorpi della risposta
primaria e il loro dosaggio nel siero è
indicativo (anche a fini diagnostici) di una
eventuale malattia in corso.

• IgG = possono anch’esse essere ancorate o secrete. Si trovano sulla membrana dei linfociti T

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quando questi hanno subito lo scambio di classe, e si trovano inoltre sui linfociti della
memoria. Le IgG di secrezione si trovano nel siero e sono la spia di una risposta secondaria ad
un antigene capace di attivare anche i linfociti T (cioè un antigene timo-dipendente), perché
sono questi linfociti che regolano lo scambio di classe. La presenza di IgG indica sicura
malattia in atto.

• IgE = sono secrete come monomeri. Hanno un dominio Ig in più. Si trovano nel siero ma mai
in concentrazione alta perché stanno attaccate, con la loro porzione Fc, a un recettore di
membrana dei mastociti. Derivano da uno scambio di classe, e si formano per contatto
ripetuto con uno stesso antigene. Sono solitamente i mediatori delle allergie.

L’antigene può essere solubile, può avere un solo determinante ma anche due diversi; lega così non
un solo anticorpo. I due bracci Fab dello stesso anticorpo possono riconoscere due epitopi diversi
appartenenti allo stesso antigene: durante il contatto, entrambi i bracci si legano alla molecola
antigenica anche se sono lontani fra loro; ciò è reso possibile dalla flessibilità loro conferita grazie
alla regione cerniera. Questa flessibilità è molto importante sia quando stanno sui linfociti B sia
quando gli anticorpi sono secreti. Perché si abbia l’attivazione del complemento, entrambi i bracci
devono aver riconosciuto e legato il determinante antigenico.

MECCANISMI PER LA VARIABILITA’ DEI TCR E DELLE IG: sono principalmente 3: scambio
di classe, ipermutazione somatica e ricombinazione VDJ.

∗ I recettori per l’antigene di linfociti B naïve hanno solitamente IgM o IgD legate alla
membrana. Dopo l’incontro con l’antigene e con i linfociti T helper, il clone antigene-
specifico di linfociti B si espande e differenzia in una progenie di cellule che secerne anticorpi
specifici. Una parte di queste cellule secerne le IgM pentameriche, e un’altra parte (sotto lo
stimolo delle cellule Th) produce anticorpi di classi diverse: si chiama scambio di classe delle
catene pesanti (scambio isotipico). È importantissimo perché permette alla risposta
immunitaria umorale di adattarsi per combattere efficacemente diversi tipi di microrganismi.
Per esempio l’opsonizzazione è effettuata dalle IgG. Durante la risp. imm. sono quindi
prodotti i vari isotipi di Ig, anche se tutti i linfociti B vergini hanno sulla membrana soltanto
IgM e IgD. Avviene DOPO la ricombinazione VDJ.

Maturazione dell’affinità = processo attraverso cui l’affinità degli anticorpi prodotti in risposta a
un antigene proteico aumenta con l’esposizione prolungata o ripetuta a un certo antigene. Ma
come fanno i linfociti B a essere sottoposti alle mutazioni dei geni delle Ig e come vengono
selezionati i linfociti più affini per farli diventare più numerosi?

∗ La maturazione è il risultato dell’ipermutazione somatica dei geni delle Ig nelle cellule B in


divisione (avviene nei centri germinativi dei follicoli), e la successiva selezione dei linfociti B
più affini è effettuata dall’antigene stesso.
Parte dei linfociti B attivati entra nei follicoli linfoidi e forma i centri germinativi. Qui, i linf.
B proliferano rapidamente e i geni che codificano per le regioni variabili delle Ig, per opera di
alcuni enzimi, diventano suscettibili a mutazioni puntiformi con una frequenza mille volte
maggiore che negli altri geni. Si generano così molti cloni diversi, le cui Ig di superficie
possono legarsi con affinità molto variabile all’antigene che ha innescato la risposta. Quei
linfociti che non sono in grado di legare l’antigene muoiono per apoptosi. Quelli che legano
l’antigene invece possono attivare il complemento e vengono catturati dalle cellule
dendritiche follicolari (diverse dalle cell dendritiche APC professionali!). Con lo svilupparsi
della risp. imm. la quota di anticorpi prodotta aumenta e la quantità di antigene libera

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diminuisce: di conseguenza i linfociti B che sopravvivono devono essere in grado di legare
l’antigene a concentrazioni sempre più basse; si selezionano quindi quei linfociti i cui
recettori Ig hanno un’affinità sempre maggiore per l’antigene.
Alcuno linfociti ad alta affinità non si differenziano in cellule che secernono anticorpi ma
diventano i linfociti della memoria, che circolano per mesi o anni e sono pronti a rispondere
rapidamente se l’antigene entra nuovamente nell’organismo.

∗ All’ipermutazione somatica si affianca, come meccanismo molecolare, la ricombinazione


V(D)J. Sono in realtà due processi indipendenti. La prima si verifica durante la maturazione
dell’affinità dei linfociti B, la seconda è comune a tutti i linfociti (anche i T), riguarda le Ig di
membrana (recettori per l’antigene dei linf. naïve) e avviene durante la maturazione dei
linfociti stessi (nel timo o nel midollo osseo). È la prima ricombinazione che avviene!
L’espressione dei recettori per l’antigene dei linfociti B e T inizia con la ricombinazione
somatica dei segmenti genici che codificano per le regioni variabili dei recettori; durante
questo processo si genera la diversificazione delle Ig recettoriali di membrana.
Tra i geni V (che codificano per le regioni variabili) e i geni C (regioni costanti) sono presenti
numerosi brevi segmenti nucleotidici che sono chiamati: segmenti genici di unione (J) e di
diversità (D). Quando un precursore linfocitario differenzia in linfocita maturo, deve
effettuare una ricombinazione casuale di un segmento genico VH delle Ig con un segmento D e
un segmento J. Dopo la ricombinazione c’è quindi un complesso genico V-D-J riarangiato nel
locus della catena pesante. Questo gene viene trascritto e unito al trascritto della regione C. La
traduzione porta a una catena pesante. La ricombinazione somatica dei segmenti V, D e J è
mediata dalla V(D)J ricombinasi. L’enzima è un dimero codificato dai geni RAG-1 e RAG-
2 (Recombinase-Activating Gene) e riconosce le sequenze di DNA adiacenti a TUTTI i
segmenti V, D e J (sequenze di riconoscimento della ricombinazione altamente conservate!!)
La D è fra parentesi perché nei loci delle catene pesanti sono presenti tutti e tre i segmenti, ma
nei loci per le catene leggere ci sono solo V e J. Dopo il riconoscimento, porta i segmenti in
stretta vicinanza tra loro; alcune esonucleasi recidono poi il DNA all'estremità dei segmenti, e
le rotture vengono infine riparate da ligasi, generando così un gene completo V-J o V-D-J.
Come mai la ricombinazione dei loci genera così tanti anticorpi diversi? Perché questi
anticorpi diversi sono generati da un duplice meccanismo di ricomb. somatica:
a) diverse possibili combinazioni tra i 3 segmenti genici V,D,J (si parla di diversificazione
combinatoria);
b) variazioni di sequenza nucleotidica che si verificano a livello delle giunzioni di
ricombinazione dei segmenti genici V(D)J (si parla di diversificazione giunzionale). Si
può avere perdita o aggiunta di nucleotidi nei segmenti che stanno nel mezzo a quelli
principali V,D,J. Questo meccanismo prevede che durante il riarrangiam. genico le
esonucleasi rimuovano alcuni nucleotidi dai tre segmenti genici e che la polimerasi TdT
(Terminal-desossinucleotide Transferase) aggiunga dei nucleotidi in modo casuale. La
diversificaz. combinatoria è limitata ma quella giunzionale non lo è! Il sito di
ricombinazione V(D)J codifica per gli a.a. della regione CDR3 (la più variabile tra tutte
le regioni CDR e la più importante per il riconoscimento antigenico). Aumenta
esponenzialmente la variabilità di questa regione. Con la diversificazione giunzionale
possono essere tuttavia prodotti molti geni inutili perché non codificano proteine, di qui
nasce l’esigenza di creare dei punti di controllo lungo la via.

Nell’uomo ci sono 3 loci, posti su 3 cromosomi diversi, per la codifica delle Ig:
- cromosoma 14 = catena pesante (di un isotipo)
- cromosoma 2 = catena leggera κ
- cromosoma 22 = catena leggera λ

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Sulla catena pesante H c’è un dominio variabile ed almeno 3 costanti. Il locus che codifica per il
dominio V (sono circa 300 nucleotidi che codificano per 100 a.a.) è ulteriormente suddiviso in 3
parti, chiamate appunto V, D e J.
Se esaminiamo un DNA della linea germinale, si vede che ci sono tanti esoni diversi con sequenza
simile, tutti capaci di codificare a.a. La regione V consiste in 70 a.a.; nelle cellule germinali non c’è
un unico esone che codifica per questi 70 a.a., ma ci sono tanti esoni (V 1, V2, V3, V4…. fino a V250),
ciascuno composto di 210 nucleotidi, e intervallati da introni. Seguono tanti esoni D (D1, D2… D12),
di 30 nucleotidi ciascuno, che codificano per il segmento genico di diversità. A valle ci sono altri
esoni che codificano per il segmento genico di unione J (J 1, J2….J6). Dopo gli esoni J ci sono le
porzioni geniche per i domini C, che appunto, essendo costanti, non presentano variabilità
definibile, ma possono essere raggruppate in base a quale catena pesante codificano, cioè catena µ e
δ (che sono quelle dei recettori espressi sui linfociti naïve), e poi anche le altre catene γ, ε, α. Per
ogni catena c’è un numero diverso di nucleotidi.
La traduzione dell’mRNAmaturo porta alla produzione di una catena μ funzionante (nello stadio del
linfocita pre-B) e blocca il riarrangiamento del locus della catena pesante sull’altro cromosoma:
esclusione allelica. Se non si produce una catena pesante funzionante, si attua il riarrangiamento
sull’altro allele; se anche questo porta ad una catena pesante abortiva, si ha la morte della cellula per
apoptosi.
Per quanto riguarda le catene leggere, durante il processo maturativo dei linfociti, il locus κ si
riarrangia per primo e la produzione della catena κ blocca il riarrangiamento a livello del locus λ; di
conseguenza ogni linfocita B produce solo un tipo di catena leggera (esclusione isotipica).
Se invece andiamo a guardare il DNA di un linfocita maturo, troviamo una situazione ben diversa!
Troviamo un esone V, uno D e uno J, in seguito alla ricombinazione somatica.

Bisogna poi considerare che le due catene H e L sono ricombinate indipendentemente = ulteriore
diversificazione delle molecole di Ig finali!

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STADI MATURATIVI DEI LINFOCITI B:
- Linfociti pro-B: derivano dalla cellula staminale pluripotente ematopoietica e sono distinguibili
dalle altre cellule immature per l’espressione di molecole di superficie ristrette allo stipite B
(CD19 e CD10). Caratteristica è la presenza nel citoplasma dell’enzima TdT, che partecipa al
processo di rimaneggiamento dei geni delle immunoglobuline e del T cell receptor). Nei
cosiddetti linfociti pro-B precoci si ha un riarrangiamento del locus della catena pesante che
porta al congiungimento dei segmenti D con uno dei segmenti J, accompagnato dalla delezione
del tratto di DNA interposto; successivamente nei linfociti pro-B tardivi uno dei segmenti genici
VH si collega al complesso DJH.
- Linfociti pre-B: contengono nel loro citoplasma catene pesanti µ libere. Una piccola percentuale
delle catene citoplasmatiche µ vengono espresse sulla superficie cellulare in associazione con
una catena leggera sostitutiva non polimorfica (non ricombinata), diversa dalle catene κ e λ,
formando i recettori pre-B, l’espressione dei quali è necessaria per stimolare la proliferazione e
far proseguire la maturazione dei linfociti B.
- Linfociti B immaturi: si ha la produzione di una catena leggera κ o λ; questa si associa alla
catena pesante µ; formando IgM monomeriche, le quali vengono espresse sulla membrana
cellulare, dove svolgono la funzione di recettore antigenico. Questa cellula non possiede più
catene µ citoplasmatiche e perde la positività per la TdT.

Gli stadi finora descritti avvengono nel midollo osseo e sono antigene indipendenti. Le cellule B
immature sono più facilmente modulabili delle mature, non proliferano né si differenziano in
risposta all’antigene; al contrario l’incontro con un antigene porta alla loro morte per apoptosi o alla
inattivazione funzionale. Questa caratteristica è posta in relazione alla selezione negativa dei
linfociti per la tolleranza al self (sono eliminati i B autoreattivi). Inoltre se trattiamo con anticorpi
anti-IgM i linfociti immaturi, vediamo che le IgM scompaiono facilmente dalla membrana, anche se
vengono impiegate quantità basse di Ab (anticorpo), e che la scomparsa di esse non è seguita da

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risintesi, come invece avviene nei B maturi. I linfociti immaturi escono dal midollo e diventano:
- Linfociti B maturi vergini (naïve): caratterizzati dalla co-espressione di IgM e IgD sulla
superficie cellulare, oltre ai recettori C3 per il complemento, Fc per le Ig, e di antigeni MHC di
classe II. Su ogni cellula entrambi gli isotipi espressi sono dotati di una medesima regione V ed
hanno pertanto un’identica specificità antigenica.

MATURAZIONE DEI LINFOCITI T:


Per quanto riguarda nello specifico i linfociti T, vanno anch’essi incontro a due fasi differenziative.
La prima è la ricombinazione V(D)J, che è una differenziazione indipendente dall’antigene. La
seconda è invece antigene-dipendente e implica la modificazione dei recettori (TCR) in seguito al
contatto con l’antigene.
Il compito dei linfociti T è quello di interagire con il microambiente dopo aver riconosciuto un
antigene. Sulla membrana ci sono vari recettori:
per l’antigene (TCR),
per le proteine MHC (recettori CD4 o CD8),
per fattori di crescita,
per l’homing,
per le interazioni cellula-cellula e cellula-matrice.
Quasi tutti questi recettori sono classificati tramite CD.

Recettore per l’antigene = è un complesso proteico che si divide in due parti: il TCR vero e proprio
e una proteina CD3 (tutti i linfociti T sono CD3+). Il TCR è un eterodimero composto da una catena
α e una β: ognuna delle quali ha un dominio V e un dominio C (analoghi a quelli delle Ig). Vα e Vβ
sono le porzioni che riconoscono l’antigene.
Entrambe le catene partecipano al
riconoscimento specifico del com-
plesso MHC-peptide. Il sistema
immunitario riconosce un numero
limitato di peptidi (chiamati epitopi
immunodominanti) = ciò significa
che un linfocita T è in grado di
distinguere la differenza fra microbi
basandosi solo su poche differenze
a.a. tra i vari epitopi immunodom.
Come le Ig di membrana, anche il
TCR riconosce l’antigene ma non è
in grado di trasmettere segnali
all’interno del linfocita (la sua
porzione citoplasmatica non con-
sente la trasduzione del segnale).
Per far questo serve l’aiuto delle
molecole CD3 associate.

Servono inoltre i co-recettori CD4 o CD8 (T helper o T citotossici) per il corretto riconoscimento di
regioni costanti delle MHC e quindi la corretta attivazione del linfocita.
L’affinità delle Ig è piuttosto alta, mentre quella dei TCR è bassa, per questo il legame tra il linfocita
T e l’APC deve essere rinforzato dalle molecole accessorie.
I TCR non sono tutti uguali! Non soltanto perché i domini V sono diversi per ogni molecola, e non
soltanto per tutti i processi di ricombinazione somatica che avvengono, ma anche perché possono

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esistere due tipi di dimeri. Il più frequente è il dimero α/β, ma un 10% dei linfociti T nell’uomo,
presenta invece un dimero γ/δ.
Esistono in tutto 4 loci, localizzati su 2 cromosomi:
- crom. 7 = catena β e γ
- crom. 14 = catena α e δ

I linfociti T γ/δ sono tipicamente CD3+, CD4- e CD8-.


I linfociti T α/β possono essere:
∗ CD3+, CD4+, CD8- = linfociti T helper. A loro volta i Th possono ulteriormente essere
suddivisi in base alle citochine prodotte:
- Th1 → interferone-γ e TNF-a, attivano i macrofagi;
- Th2 → interleuchine 4, 5, 6, attivano i linfociti B;
- Th0 → producono citochine eterogenee e svolgono entrambe le funzioni.
∗ CD3 , CD4-, CD8+ = linfociti T citotossici, attaccano e lisano le cellule infettate da virus, o
+

anche alcune cellule tumorali e trapiantate. Riconoscono le MHC I.

L’incontro tra linfociti T e cellule APC avviene negli organi linfoidi secondari. Il TCR riconosce,
insieme ai corecettori CD4 o CD8, il complesso peptide-MHC sulla membrana dell’APC. Questo è
il primo segnale di attivazione dei linfociti. I segnali intracellulari sono generati dalle altre proteine
del complesso recettoriale, in particolare la CD3. Tuttavia la completa attivazione del linfocita T
non è ancora stata fatta: necessita il riconoscimento di molecole costimolatrici. Fra queste molecole
sono molto importanti le proteine B7 (presenti sulla membrana delle APC professionali e la cui
espressione è notevolmente aumentata dall’incontro tra APC e patogeno); le B7 sono riconosciute
dalla molecola CD28, presente sulla quasi totalità dei linf. T.

Il legame dei linfociti T alle APC deve essere stabilizzato per un tempo sufficientemente lungo da
permettere la completa attivazione dei segnali intracellulari! Questa funzione viene svolta dalle
molecole di adesione presente sui linf. T: le integrine (sono fondamentali!).

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Come risposta finale alla via di segnalazione intracellulare, i linfociti T (soprattutto gli helper)
sintetizzano e secernono numerose citochine dotate di diverse attività. La prima citochine in termini
di tempo a essere prodotta è l’IL-2; la sua azione è quella di stimolare la proliferazione dei linfociti
T stessi (li induce a entrare nel ciclo cellulare e dividersi). Inizia l’espansione dei cloni specifici per
l’antigene, che continua nei 2-3 giorni successivi (espansione clonale).

Questa progenie di linf. T inizia a differenziarsi in cellule effettrici per debellare l’infezione:
i linfociti T helper (CD4+) entrano in circolo, escono dal vaso sanguigno a livello del sito di
infiammazione e vanno ad attivare i macrofagi e i linfociti B. Questa funzione effettrice è
mediata da numerose proteine di superficie e da alcune citochine. Le chemochine dicono al
linfocita qual è la zona in cui deve uscire; recettorio sulla membrana lo fanno attaccare
all’endotelio in quella zona e facilitano l’uscita dal vaso.
Una volta che il macrofago è stato attivato, che cosa fa? Uccide i microbi fagocitati, producendo
al suo interno radicali dell’ossigeno e altri enzimi; aumenta l’espressione in superficie delle MHC
e delle proteine B7; produce infine citochine che permettono l’ulteriore differenziamento dei Th
nelle due sottopopolazione TH1 e TH2 per produrre citochine differenti e quindi attuare una risposta
più specifica.
i linfociti T citotossici (CD8+) secernono proteine che creano pori nella membrana delle
cellule bersaglio, inducono la frammentazione del DNA e l’apoptosi, uccidendo quindi la
cellula infettata.
Ci sono due possibili meccanismi molecolari d’azione dei linf. Tc:
- riconoscono la cellula, cambiano morfologia e avviano l’esocitosi dei loro granuli verso la
cellula bersaglio. Nei granuli ci sono: perforine e granzimi. I granzimi sfruttano i canali creati
dalle perforine per entrare nella cellula bersaglio e attivare la cascata delle caspasi che porterà
all’apoptosi;
- esprimono in superficie i ligandi del Fas. Le cellule infettate esprimono la proteina Fas. Il
legame tra Fas e Fas-ligando è uno dei meccanismi di attivazione dell’apoptosi.

una parte della progenie invece si differenzia in linfociti della memoria.

Dopo che l’infezione è stata risolta si ha il declino della risposta immunitaria: molte delle cellule
che avevano proliferato in risposta all’antigene vengono private dei loro fattori di sopravvivenza,
non c’è più l’antigene a cui legarsi e vanno in apoptosi. Inoltre i linf. T esprimono il CD128 che dà
segnali negativi alla cellula T stessa.

CELLULE CHE PRESENTANO L’ANTIGENE (APC) = cellule specializzate che catturano antigeni
microbici e li presentano ai linfociti T. Queste comprendono: cellule dendritiche, macrofagi e
linfociti B. Hanno espresse in superficie le molecole del MHC, un locus genetico i cui principali
prodotti (le proteine MHC) hanno la funzione di presentare i peptidi antigenici alle cellule T.

Negli epiteli si trovano le cellule dendritiche (presenti in numero minore anche negli altri organi e
elle aree T degli organi linfoidi secondari); finché non entrano in contatto con un microbo, queste
cellule sono immature, cioè non particolarmente efficaci nella stimolazione dei linfociti T. Hanno
però dei recettori che riconoscono i microrganismi, li catturano e inducono l’endocitosi; ci sono poi
i recettori tipo Toll (TLR) che se riconoscono un microbo, generano dei segnali di attivazione e
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inducono la produzione di citochine; ne segue un cambiamento fenotipico della cellula dendritica
stessa che abbandona l’epitelio per dirigersi a un linfonodo (dove trovano i linfociti T), portandosi
dietro l’antigene. Aumenta così la loro capacità di stimolare i linfociti T; vale a dire che aumenta
l’espressione delle MHC e altre molecole accessorie.

In tutti i tessuti si trovano anche i macrofagi; questi fagocitano i microrganismi, ne presentano


l’antigene ai linfociti T effettori, che a loro volta attivano i macrofagi stessi a uccidere il
microrganismo fagocitato. I linfociti B si trovano nel sangue. Se incontrano un antigene proteico, lo
catturano e lo presentano ai linf. T helper.

Il locus MHC contiene 2 serie di geni altamente polimorfi, detti geni MHC di classe I e di classe II.
Le MHC di classe I sono espresse da tutte le cellule nucleate, quelle di classe II invece sono
espresse principalmente dalle APC professionali (cell. dendritiche, macrofagi, linf. B). Sono tutte
proteine di membrana, provviste all’estremità N-terminale di una “tasca” in grado di alloggiare un
peptide. La struttura delle due classi è simile:

 Le MHC I sono formate da una catena α transmembrana legata non covalentemente a una β2-
microglobulina. La catena a presenta 3 domini: α1 e α2 servono per il legame con l’antigene e α3
è un dominio Ig, che ha un sito di legame per il CD8 dei T citotossici.
 Le MHC II sono formate da 2 catene (α e β) transmembrana, entrambe con un dominio Ig (α2 e
β2). Il dominio β2 contiene il sito di legame per il CD4 dei T helper.

Dal momento che possiede una sola tasca, ciascuna molecola MHC può presentare un solo peptide
alla volta; però ogni molecola MHC è in grado di presentare molti peptidi diversi (non tutti). Questo
accade perché non è necessario che tutto il peptide si leghi alla proteina MHC, basta che solo un
paio di residui a.a. siano riconosciti e interagiscano con la tasca, quindi le MHC hanno una certa
promiscuità per il legame dei peptidi.

Il legame peptide-MHC è di lunga durata: l’espressione in superficie del complesso legato può

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durare anche diversi giorni, così aumenta la probabilità che un linfocita T vergine possa incontrare il
peptide per cui è specifico e avviare la risposta immunitaria.

I geni per le MHC hanno 2 caratteristiche importanti:


1. sono espressi in modo codominante, quindi gli alleli ereditati da entrambi i genitori sono
contemporaneamente espressi. Esistono 3 geni per ogni allele che codificano per le MHC,
chiamati HLA-A, HLA-B, HLA-C (Human Leukocytary Antigen); quindi in un individuo ci
possono essere fino a 6 geni per le MHC, tutti espressi.
2. sono geni altamente polimorfi; ci sono molti alleli diversi tra gli individui della stessa specie. Il
polimorfismo è così elevato che in una popolazione normale non esistono due individuiche
possiedano esattamente la stessa serie di geni e le stesse molecole MHC. L’esistenza di alleli
multipli assicura la disponibilità di molecole MHC per ogni possibile proteina antigenica di
origine microbica. Il polimorfismo è una conseguenza evolutiva che assicura che non tutta una
popolazione soccomba all’infezione causata da un nuovo microrganismo. N.B. si tratta di un
polimorfismo e non c’entra la ricombinazione genica!

I principali fattori che rendono i tessuti trapiantati esposti al fenomeno del rigetto, ovvero al loro
riconoscimento come strutture non-self da parte del sistema immunitario sono:
 la presenza di un assetto antigenico qualitativamente o quantitativamente diverso rispetto a
quello delle strutture “self” (determinanti minori di istocompatibilità);
 la presentazione di antigeni non-self nell’ambito di complessi maggiori di istocompatibilità
(self o non self) o la semplice presenza di MHC non self in grado di attivare le cellule del
sistema immunitario dell’ospite:
 la presenza di una condizione di pericolo, ovvero di uno stato infiammatorio.
L’unico trapianto non esposto al rigetto è il feto da parte della madre! Questo perché esprime MHC
diverse ma contemporaneamente esprime i geni HLA-G, che mediano la tolleranza (proteggono le
cellule fetali dall’attacco immunitario della madre).

Le molecole MHC si caricano dei peptidi nel corso della loro sintesi e assemblaggio intracellulare:
presentano poi quindi peptidi che derivano da microrganismi che si trovano all’interno della cellula
(per questo i linfociti T che riconoscono le MHC sono specifici per i microbi intracellulari!). solo le
MHC contenenti un peptide vengono espresse in modo stabile; le molecole “vuote” sono degradate
all’interno della cellula stessa. Sono espresse quindi sulla membrana soltanto le MHC legate a un
peptide, quindi quelle in gradi di presentare l’antigene ai linf. T.
Bisogna tenere presente che le MHC possono presentare sia peptidi self (che originano da proteine
dell’ospite) sia peptidi not-self (di origine microbica). Ma se le molecole MHC presentano
normalmente anche antigeni self, come mai non si sviluppano di continuo risposte autoimmuni?
Perché i linfociti T specifici per gli antigeni self vengono uccisi o inattivati nel corso della loro
maturazione!
Le MHC presentano frammenti di proteine, ma gli antigeni che entrano nell’organismo sono
rappresentati da proteine intatte; esistono quindi dei meccanismi di processazione dell’antigene
che convertono le proteine native in peptidi in grado di legare le MHC.

• Le APC possono internalizzare microrganismi extracellulari o proteine microbiche attraverso


vari meccanismo. I linfociti B internalizzano proteine microbiche che sono legate al loro
specifico recettore Ig. Altre APC ricorrono all’endocitosi o alla pinocitosi. Dopo che sono state
internalizzate, le proteine microbiche entrano in vescicole intracellulari (endosomi o fagosomi)
che successivamente si fondono con i lisosomi, all’interno dei quali ci sono delle proteasi che
degradano le proteine trasformandole in vari peptidi di diversa lunghezza e sequenza.
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Le APC sintetizzano costantemente nel reticolo endoplasmatico molecole MHC di classe II; ogni
MHC II neosintetizzata è associata a una proteina chiamata CLIP, che ha una sequenza che occupa
la tasca di legame rendendola per il momento inaccessibile. Le varie MHC sintetizzate vengono
trasportate verso la superficie cellulare per esocitosi; le vescicole di esocitosi si fondono con quelle
più grosse contenenti i frammenti proteici degradati; all’interno di queste la proteina CLIP viene
rimossa da un’altra proteina, chiamata DM, e la tasca è resa accessibile. Se la molecola MHC di
classe II è in grado di legare uno dei peptidi presenti, il complesso si stabilizza e viene portato sulla
membrana cellulare, altrimenti la MHC viene degradata.

• Le proteine antigeniche possono anche essere prodotte nel citoplasma di cellule infettate da
virus. Queste proteine e quelle della cellula infettata stessa, sono marchiate dall’ubiquitina e
indirizzate alla degradazione. Il complesso enzimatico proteasoma taglia le proteine
citoplasmatiche in peptidi di varia dimensione e sequenza.; ma questi peptidi che sono nel
citoplasma, come fanno a incontrare le MHC di classe I che sono comunque prodotte nel
reticolo endoplasmatico? Esiste la proteina TAP (Transporter Associated with Processing
antigen), specializzata, che cattura i peptidi bel citoplasma e li trasporta attivamente attraverso
la membrana all’interno del reticolo endopl.
Le MHC di classe I neosintetizzate sono legate solo debolmente alla proteina TAP; così i peptidi
che entrano nel RE possono venire catturati dalle MHC I. Anche in questo caso se la molecola
MHC di classe I è in grado di legare uno dei peptidi presenti, il complesso si stabilizza e viene
portato sulla superficie cellulare, altrimenti la MHC resta troppo instabile e viene degradata.

ATTIVAZIONE DEI LINFOCITI B:

Risposta umorale primaria = il primo contatto con l’antigene. Inizia la maturazione dell’affinità
(fase di latenza) e dopo 1 settimana si ha produzione di anticorpi dosabile. I primi anticorpi prodotti
sono IgM quindi sono questi che si ritrovano nel siero in maggior quantità. Il tasso di anticorpi
decresce solo dopo la terza settimana dall’inizio della risposta.
Dopo una prima fase di latenza della durata di 1
settimana circa, in cui l’unico dato diagnostico può
essere la presenza dell’antigene incistato nei tessuti, la
sieroconversione inizia a manifestarsi con la
produzione di anticorpi specifici di tipo IgM. Questi
non hanno capacità protettiva (non impediscono
sovrainfezioni), sono abbastanza inerti immunolo-
gicamente (hanno scarsa affinità verso l’antigene),
Rappresentazione grafica dell’andamento nel sono presenti a basso titolo e non sono più dosabili
tempo delle concentrazioni anticorpali (IgM dopo un paio di settimane. Questo periodo coincide
in rosso, IgA in verde e IgG in blu) in seguito con la fase acuta dell’infezione. E’ molto importante
ad una infezione in un organismo superiore. identificare questa fase per evitare il rischio di
Si distinguono tre fasi: un periodo di
diffusione involontaria dell’infezione e per identificare
incubazione (asintomatico) con assenza di
anticorpi specifici circolanti, una fase acuta la più corretta terapia. Assieme alle IgM l’organismo
sintomatica con presenza di IgM e (a volte) di produce anche IgA e IgE specifiche anti-
IgA, ed una fase tardiva di convalescenza, microrganismo infettante. Le prime hanno una
con presenza delle sole IgG con funzione permanenza in circolo più limitata delle IgM e le
protettiva.
seconde fanno una comparsa ancora più sporadica. Per
entrambe esistono difficoltà tecniche di dosaggio dovute alla loro bassa concentrazione e al fatto
che la loro presenza, in seguito ad infezione, non sempre è costante. Al termine della fase acuta
inizia la vera e propria sieroconversione IgG: le IgM decrescono e sono sostituite dalle IgG che
hanno capacità protettiva (immunizzano il soggetto), sono presenti in elevata concentrazione, hanno
elevati doti di affinità e avidità e permangono in circolo per lunghi anni (anche per tutta la vita). A

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volte, però, le IgM non scompaiono completamente dal circolo, e permangono anche per alcuni anni
passata la fase acuta. Questo ha creato non poca confusione non potendo più associare la presenza
delle IgM, come si fa comunemente, alla fase acuta dell’infezione. Le prime IgG prodotte
appartengono alle sottoclassi IgG-1 e IgG-3 e sono dotate di scarsa avidità (legano poco saldamente
il proprio antigene). La loro presenza coincide con la fase acuta dell’infezione e con la presenza di
IgM circolanti. Subito dopo, terminata la fase acuta e scomparse le IgM, le IgG a bassa avidità sono
sostituite da quelle ad alta avidità, formate principalmente dai sottotipi IgG-2 e IgG-4. Queste sono
le IgG protettive “definitive” che permangono anche per tutta la vita dell’individuo. Il dosaggio
dell’avidità delle IgG è quindi un utile ausilio diagnostico nella conferma dell’infezione in fase
acuta, e permette di interpretare correttamente il valore delle IgM eventualmente trovato.

Risposta umorale secondaria = successivi contatti con lo stesso antigene. Non ha fase di latenza, gli
anticorpi iniziano a essere prodotti nel giro di 1-2 giorno e si raggiunge un valore molto elevato di
anticorpi sierici, soprattutto IgG, ma anche IgA o IgE (per scambio di classe).

Quando i linfociti B riconoscono gli antigeni ha inizio la risposta umorale. I recettori per l’antigene
non sono in grado di innescare un segnale intracellulare; nelle cellule B la trasduzione del segnale
richiede l’unione (cross-linking) di due o più recettori, tutti legati all’antigene. Il cross-linking
permette la formazione del BCR (complesso recettoriale dei linfociti B): ai recettori Ig si associano
due particolari proteine, chiamate Igα e Igβ; nella loro porzione citoplasmatica queste contengono
una sequenza ITAM di attivazione. Quando il complesso BCR è aggregato, le tirosine delle ITAM
vengono fosforilate dalle specifiche chinasi associate al complesso stesso. Le fosfotirosine che si
formano, diventano siti di legame per altre proteine adattatrici intracellulari, si innesca così la
cascata di trasmissione del segnale.
Una via porta all’attivazione della fosfolipasi-Cγ, che scinde il fosfatidil-inositolo di membrana
in IP3 (inositolo 3 fosfato) e in DAG (diacilglicerolo). Il DAG rimane localizzato sulla
membrana, così da mediare l'associazione della protein-chinasi C (PKC) alla membrana
cellulare, seguita dalla sua attivazione, dando avvio ad una catena di fosforilazioni, che
concorreranno alle risposte funzionali della cellula. IP3 è un messaggero intracellulare
citoplasmatico, che interagisce con il corrispondente recettore del reticolo endoplasmatico liscio
causando la liberazione del Ca2+ immagazzinato e, quindi, l'innalzamento della concentrazione
del Ca2+ intracellulare.
Una seconda via porta all’attivazione della proteina Ras, che ha attività GTPasica. Quando è
legata al GTP innesca una serie di fosforilazioni, fino alla fosforilazione della MAP-chinasi, che
media la trascrizione.
⇒ Quindi il risultato finale della trasduzione è l’attivazione di fattori di trascrizione che inducono
l’espressione di particolari geni; i prodotti di questi geni sono coinvolti nella proliferazione e
differenziazione delle cellule B:
- ingresso del linfocita nella fase G1 del ciclo cellulare, e successiva divisione (i
linfociti B cominciano a proliferare);
- aumento della vita media del linfocita stesso (per aumento dell’espressione dei geni
anti-apoptotici);
- aumento dell’espressione delle molecole costimolatorie B7-1 e B7-2, che sono il
secondo segnale per l’attivazione dei linfociti Th;
- espressione dei recettori per le citochine secrete dalle cellule T;
- aumento dell’attività secretoria, aumento dell’attività dei vari organuli.

I linfociti B inoltre esprimono il recettore CR2 per una proteina del complemento che fornisce
segnali necessari per l’attivazione cellulare. CR2 si trova sulla membrana insieme alle proteine
CD19 e CD81. Questo recettore riconosce il frammento C3d della proteina C3 del complemento

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(che finché non è attivata da un microbo rimane integra, quando il sistema del complemento viene
attivato dall’ingresso di un microrganismo, la C3 si frammenta e nello specifico il frammento C3d è
quello che ricopre il microrganismo stesso). Quindi il linf. B riconosce l’antigene tramite le Ig di
membrana e contemporaneamente lega il C3d tramite il CR2. questo segnale potenzia l’attivazione
del linfocita B (amplificazione del segnale).
Quando il linfocita B lega un antigene proteico, lo processa, potenzia l’endocitosi, aumenta
l’espressione delle MHC di classe II (i linfociti B sono APC professionali!) e presentano quindi
l’antigene sulla membrana legato alla giusta MHC.
I linfociti B che presentano l’antigene e i linf. Th interagiscono a livello dei follicoli negli organi
linfoidi secondari. I linfociti T ricircolano di continuo, ma i B si fermano nei follicoli e attendono
che arrivi un linfocita Th adatto. L’attivazione dei linfociti T naïve richiede sia il riconoscimento
dell’antigene sia la costimolazione da parte di altre molecole adiuvanti:
∗ i linfociti B attivati esprimono le molecole B7, che hanno il loro recettore CD28 sui Th;
∗ i linfociti T esprimono il ligando della proteina CD40 dei B (CD40L); si ha quindi il legame
CD40-CD40L che rinforza il legame linfocita B – linfocita Th;
∗ i T secernono anche citochine, che trovano i loro recettori sui B attivati. Cosa fanno le
citochine? Inducono, nei linf. B,proliferazione, scambio di classe, maturazione dell’affinità,
produzione delle cellule della memoria.
Può succedere che il linfocita Th che arriva nel linfonodo non sia vergine ma sia già stato attivato
dalle cellule dendritiche; queste lo hanno stimolato a migrare nel linfonodo e lo hanno reso pi+
adatto ad interagire con i linf. B presentanti l’antigene.

MECCANISMI MOLECOLARI DELLO SCAMBIO DI CLASSE:

Lo scambio isotipico (class-switch o switch isotipico) si avvia grazie ai segnali mediati dal CD40L,

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e sono le citochine che stimolano il passaggio a isotipi differenti. Lo scambio avviene in una
frazione delle cellule B attivate, non in tutte. In assenza del CD40 o del CD40L i linfociti B
producono solamente le IgM e non sono in grado di effettuare lo scambio.
I segnali tradotti dal CD40 e dai recettori per le citochine stimolano la trascrizione attraverso una
delle regioni a valle di Cµ. Ciascuna regione costante C (eccetto la Cδ) ha un introne situato a 5’
che contiene una sequenza conservata chiamata regione di scambio (S). Quando una regione C
diventa trascrizionalmente attiva, la regione di scambio in 3’ rispetto a Cµ si ricombina con la
regione di scambio in 5’ della stessa regione e la sequenza di DNA interposta viene eliminata.
L’enzima deaminasi svolge un ruolo fondamentale, deaminando le citosine le trasforma in uracili, il
legame che prima era C-G era stabile, ma il nuovo legame U-G non lo è e si ha una prima rottura.
L’intero processo prende il nome di ricombinazione per scambio e porta il gene VDJ già
riarrangiato in prossimità di una regione C a valle di Cµ, con il risultato che la cellula inizia a
produrre una nuova classe di catene pesanti, mantenendo però la stessa specificità della cellula B
originale, in quanto la specificità è data dalle regioni variabili VDJ, che non sono state toccate! Le
citochine prodotte dai Th determinano quale tipo di catena debba essere prodotto.

Lo scambio di classe avviene dopo la ricombinazione VDJ, ma prima della maturazione dell’affinità
(ipermutazione somatica)! Infatti dopo lo scambio di classe, l’antigene va incontro alla maturazione
dell’affinità.

STADI MATURATIVI DEI LINFOCITI T:


La prima fase della produzione dei linfociti T avviene nel midollo osseo dove dalla cellula
staminale vengono prodotte dapprima cellule progenitrici a doppia evolutività in senso T e B e
quindi cellule staminali orientate in senso T chiamate cellule pro-T. I precursori dei linfociti T (pro-
T) colonizzano il timo e vengono definiti timociti.
Il timo è costituito essenzialmente da tre zone:
 Corticale: caratterizzata dalla presenza delle cellule epiteliali timiche;
 Giunzione cortico-midollare: caratterizzato dalle cellule dendritiche;
 Midollare: ricca di macrofagi.

20
Quando arrivano i pro-T, o timociti, non esprimono né TCR, né CD4 o CD8 (timociti doppio-
negativi) e si vanno a localizzare nel seno sotto-capsulare e nella zona più esterna della corticale
timica. Da lì migrano verso la corticale, poi verso la midollare ed infine in circolo:

- Linfociti pro-T: timociti doppio-negativi, privi del TCR.

- Linfociti pre-T: viene prodotta la catena β del TCR insieme ad un surrogato della catena α
(catena pre-Tα, non polimorfica) che, analogamente a quanto avviene per le Ig, consente la
produzione di un TCR provvisorio (recettore pre-T). Se ciò non avviene il linfocita va incontro
ad apoptosi.

- Timociti immaturi (doppio-positivi): viene sintetizzata anche la catena α. Le cellule a questo


punto esprimono sia il TCR che CD4 e CD8. Diventano responsivi agli antigeni e vengono
sottoposti al processo di selezione (bisogna che esprimano o CD4 o CD8 ma non entrambi):
• Selezione positiva: la selezione è operata dalla cellula epiteliale timica. Quest’ultima
infatti esprime complessi MHC–Ag self. Solo i T che si legano al complesso
ricevono uno stimolo proliferativo mentre quelli che non si legano muoiono. Questo
processo assicura che i linfociti siano “MHC-self ristretti” cioè che riconoscano solo
antigeni presentati dai propri complessi di istocompatibilità. Inoltre poiché le cellule
epiteliali esprimono sia MHC I che II quei timociti che hanno interagito con l’MHC I
down-regolano l’espressione del CD4 mentre al contrario quelli che hanno interagito
con l’MHC II down-regolano l’espressione del CD8.
• Selezione negativa: la selezione è operata dalle cellule dendritiche. Queste
esprimono ancora complessi MHC-peptide self ma questa volta muoiono i timociti
che si legano troppo avidamente al complesso. Questo processo garantisce la
tolleranza nei confronti degli antigeni autologhi.

21
Un linfocita con il TCR che non riconosce assolutamente il self muore, mentre quelli che
riconoscono debolmente il self sopravvivono. I timociti che non hanno superato la selezione e sono
perciò andati incontro ad apoptosi vengono eliminati dai macrofagi.

Alcuni timociti esprimono le catene recettoriali γ e δ: è un tipo di regolazione che avviene a livello
di trascrizione. Una proteina silenziatrice, nel 95% dei casi, blocca la trascrizione di γ, e fa avvenire
quella di α. I TCR γδ hanno un repertorio più limitato di riconoscimento, sembra che riconoscano
antigeni di natura lipidica, e in generale sono più grossolani (forse sono una prima linea di difesa).

- Timocita maturo vergine: esce dal timo e comincia a circolare tra i vari organi linfoidi.

IPERSENSIBILITA’ = nell'ambiente in cui viviamo si trovano numerose sostanze in grado di


stimolare il nostro sistema immunitario. Il contatto con questi antigeni, porta ad una risposta
immune protettiva, ma anche a reazioni che possono risultare dannose per i tessuti, conosciute
appunto come reazioni di ipersensibilità. L’ipersensibilità può essere causata anche da antigeni self.
Può dare origine a più tipi di malattie:
- malattie autoimmuni in cui il sistema immunitario aggredisce molecole self;
- malattie come l’allergia, causate da una reazione eccessiva o incontrollata ad antigeni not-self.
Classificazione di Gell e Coombs:

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questa classificazione delle reazioni di ipersensibilità, che ne prevede quattro tipi, viene impiegata
diffusamente nonostante le sue limitazioni, perché è tuttora la più soddisfacente.
Le reazioni di tipo I sono reazioni immediate in cui gli antigeni (chiamati allergeni) si
combinano con anticorpi specifici della classe IgE che si trovano legati a recettori di membrana
sulle mast-cellule tissutali e sui basofili ematici. Il legame antigene-IgE provoca il rapido rilascio
di potenti mediatori dell’infiammazione.
Le reazioni di tipo II sono reazioni citotossiche che avvengono quando un anticorpo reagisce
con le componenti antigeniche di una cellula o di elementi tissutali, oppure con un antigene o un
aptene che si trovi legato a una cellula o un tessuto.
La reazione antigene-anticorpo può attivare alcune cellule citotossiche (cellule T killer o macrofagi)
per dare luogo alla citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente. Essa comprende solitamente
l'attivazione del complemento e può provocare l'adesione opsoninica mediante il rivestimento della
cellula con l'anticorpo; la reazione procede con l'attivazione dei componenti del complemento per
mezzo del C3 (con conseguente fagocitosi della cellula) o con l'attivazione di tutto il sistema
complementare con conseguente citolisi o danno tissutale.
Le reazioni di tipo III sono reazioni da immunocomplessi (IC) dovute al deposito a livello dei
vasi o dei tessuti di IC antigene-anticorpo solubili circolanti. Gli IC attivano il complemento e
innescano così una sequenza di eventi che conduce alla migrazione di cellule polimorfonucleate
e al rilascio di enzimi proteolitici lisosomiali e di fattori di permeabilità nei tessuti, producendo
in questo modo una reazione infiammatoria acuta. Le conseguenze della formazione di IC
dipendono in parte dalla proporzione relativa di antigene e di anticorpo nell'IC. In presenza di un
eccesso di anticorpo, gli IC precipitano rapidamente nel punto in cui è localizzato l'antigene (p.
es. all'interno delle articolazioni nell'AR) oppure vengono fagocitati dai macrofagi evitando così
di produrre danno. In presenza di un lieve eccesso di antigene, gli IC tendono a essere più
solubili e possono causare reazioni sistemiche in seguito alla deposizione in diversi tessuti.
Le reazioni di tipo IV sono reazioni di ipersensibilità cellulo-mediata ritardata prodotte da
linfociti T sensibilizzati in seguito al contatto con un antigene specifico.
Ipersensibilità immediata (di tipo I):
rapida reazione dei vasi e della muscolatura liscia, mediata da IgE e da mastociti. Spesso è seguita
da infiammazione. La reazione di ipersensibilità immediata è chiamata anche allergia (o atopia).
Il contatto con l’allergene comporta l’attivazione preferenziale dei linfociti TH2; questi secernono
IL-3 e IL-14 che stimolano nei linfociti B, specifici per quell’allergene, lo scambio di classe verso
la produzione di IgE. Le IgE prodotte si legano con alta affinità ai recettori specifici per l’Fc della
catena pesante ε espressi dai mastociti. I mastociti si attivano, l’attivazione è causata dal legame
dell’allergene a 2 o più molecole di IgE legate ai loro recettori sui mastociti (cross-linking); così
l’antigene innesca la trasduzione intracellulare; i mastociti cominciano a secernere i loro mediatori
chimici. I più importanti sono le amine vasoattive e le proteasi che vengono rilasciate dai granuli
(istamina, triptasi, che erano già preformate), i prodotti del metabolismo dell’ac. arachidonico
(leucotrieni - broncocostrizione, prostaglandine - vasodilatazione, PAF, che sono sintetizzati de
novo) e alcune citochine che saranno responsabili della reazione tardiva (IL-4, IL-14 che reclutano
altri leucociti).
Sono coinvolti nella reazione tardiva in particolare eosinofili, neutrofili e cellule Th. Il TNF
prodotto dai mastociti e l’IL-5 prodotta dai TH2 promuovono l’infiammazione in cui prevalgono
eosinofili e neutrofili; questi liberano proteasi che causano danno tissutale. I TH2 invece tendono a
esacerbare la reazione continuando a produrre citochine. Specialmente l’IL-5 attiva gli eosinofili,
che sono la componente primaria di molte reazioni allergiche.

I soggetti normali non instaurano forti risposte TH2 contro la maggior parte degli antigeni; invece
negli individui atopici, il contatto con certi antigeni (proteine del polline, alimenti, veleni d’insetti,
forfora o pelo di animali….) genera principalmente una risposta di tipo T H2. Le IgE si trovano nel

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sangue periferico in forma monometrica e in concentrazione normalmente bassa; nei soggetti
atopici la concentrazione di IgE è molto più alta. Cosa rende un soggetto allergico? In primis
l’assetto genetico (ci sono numerosi geni coinvolti!). Segue l’assetto ambientale, che può
condizionare molto questo tipo di reazioni.

∗ Gli allergeni sono generalmente di natura proteica, o si legano a proteine estranee.


∗ I mastociti hanno derivazione connettivale e sono presenti in quasi tutti i tessuti, ma
soprattutto nei vasi sanguigni e nelle terminazioni nervose. Si dividono in mastociti:
- mucosali = stanno nella mucosa intestinale e in generale nelle mucose delle vie
aeree, hanno granuli contenenti condroitinsolfato e istamina;
- connettivali = stanno nella cute, contengono eparina e istamina.
∗ I basofili sono simili ai mastociti, ne se trovano molto pochi (concentrazione minima); hanno
recettori come quelli dei mastociti e sono reclutati nei focolai d’infiammazione.
∗ Gli eosinofili si trovano nei tessuti periferici; intervengono nella cititossicità cellulare e
principalmente sono diretti verso le infezioni da parassiti, in particolare gli elminti. La loro
degranulazione produce proteine tossiche per i parassiti ma anche per i tessuti sani dell’ospite!

Asma bronchiale = forma di allergia respiratoria in cui gli allergeni inalati stimolano i mastociti
bronchiali a rilasciare mediatori come i leucotrieni che causano ripetuti episodi di broncocostrizione
e ostruzione respiratoria. Negli asmatici ci sono grandi quantità di eosinofili nella mucosa
bronchiale. Solo alcuni casi di asma non sono associati alla produzione di IgE ma tutti sono causati
dall’attivazione dei mastociti!

Ipersensibilità immediata sistemica (shock anafilattico) = sindrome clinica grave, reversibile o


irreversibile, causata da esposizione ad allergeni diversi, in soggetti precedentemente sensibilizzati
alla stessa sostanza. Immunoreazione di tipo I con liberazione massiva di mediatori chimici
vasoattivi. Causa abnorme aumento della permeabilità capillare, exemia plasmatica ed
insufficienza circolatoria acuta periferica. Se il trattamento non è precoce ed adeguato si hanno:
o Inadeguata perfusione capillare
o Diminuzione della irrorazione tessutale
o Alterazioni emodinamiche e metaboliche
o Danno cellulare irreversibile

Ipersensibilità ritardata DTH (di tipo IV):


nell’immunità cellulo-mediata, i linfociti TH1 attivano i macrofagi che hanno fagocitato i
microrganismi, così ne potenziano la capacità microbicida e determinano l’uccisione dei
microrganismi fagocitati. Questa risposta è specifica perché dipende dal riconoscimento
dell’antigene; ed è un tipo di reazione chiamata ipersensibilità ritardata.
Questo tipo di reazione può essere evocato iniettando una proteina microbica nella cute di un
individuo già immunizzato contro quel microrganismo da una vaccinazione o precedente infezione.
È ritardata per 2 motivi:
- si realizza 24-48 ore dopo che il soggetto è stato immunizzato contro la proteina microbica,
perché i linfociti T effettori ci mettono quel tempo a raggiungere il sito di inoculo e effettuare la
risposta;
- riflette una precedente sensibilizzazione del soggetto all’antigene (quindi una ipersensibilità ad
esso).

Mantoux test = è una prova diagnostica che consiste nell'iniezione intradermica, sulla faccia
palmare dell'avambraccio, di una piccola quantità nota di tubercolina al fine di saggiare la reattività
dell'individuo ad una eventuale infezione dal micobatterio della tubercolosi.

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Risulta positivo quando il tessuto iniettato, sviluppa in 48-72 ore un rigonfiamento piuttosto duro di
almeno 10 mm di diametro. Questo tipo di reazione è dovuto al fisiologico accumulo di liquidi,
molecole e cellule caratteristico della risposta immunitaria scatenata dalle "tossine" iniettate. Il fatto
che questa sia apprezzabile in tempi relativamente brevi (48-72 ore per l'appunto), indica una
reazione di tipo secondario e quindi più rapida ed intensa da parte del sistema immunitario. Ciò è
dovuto ad un pregresso incontro del soggetto con l'antigene in questione che ha permesso lo
sviluppo di cellule memoria (es. linfociti di memoria).

La presenza intradermica di tubercolina derivante dalla presenza del micobatterio, porta alla prima
interazione tra antigene e anticorpo, per cui le cellule CD4+ non sensibilizzate ricoprono i peptidi
micobatterici associati a molecole di classe II presenti sulla superficie dei monociti o di altre cellule
APC (cellule presentanti l'antigene). Questa fissazione porta alla differenziazione dei T CD4+ in
cellule TH1, sensibili ad un successivo insulto, analogamente a quanto accade nel caso delle reazioni
di tipo anafilattico. I TH1 entrano quindi in circolo e vi possono rimanere per lunghi periodi, a volte
per anni, da qui il principio di memoria del sistema immunitario. Negli individui già
precedentemente sensibilizzati si avrà, alla seconda somministrazione, un'interazione tra le cellule
TH1 della memoria e gli antigeni presenti sulle APC che attiva questi linfociti e li induce a secernere
specifiche citochine, quali:

• IFN-γ: potente attivatore macrofagico, ne aumenta l'avidità fagocitaria, li stimola a produrre


MHC di classe II, per cui la presentazione antigenica è velocizzata, e fattori di crescita
lipoproteici che stimolano la proliferazione dei fibroblasti e aumentano la sintesi di collagene;
• IL-2: provoca la proliferazione paracrina e autocrina dei linfociti T che si accumulano in loco;
• TNF-α e linfotossine: citochine che stimolano le cellule endoteliali a secernere prostaglandina,
ad azione vasodilatativa, ELAM-1 che fa aderire i linfociti e i monociti di passaggio e altri
fattori chemiotattici come l'IL-8, favorendo nel complesso la formazione di granulomi, da qui
quella che viene chiamata infiammazione granulomatosa.

TUBERCOLOSI = è una malattia contagiosa che si trasmette per via aerea mediante un batterio, il
Mycobacterium tuberculosis. Il micobatterio viene fagocitato dai macrofagi alveolari, dopodiché
inizia la cascata degli eventi che può portare al contenimento dell'infezione fino alla guarigione o
alla progressione verso la malattia attiva (tubercolosi primaria progressiva). Dopo che sia stato
fagocitato dai macrofagi alveolari, il Mycobacterium si moltiplica lentamente, ma continuamente e
diffonde attraverso i linfatici ai linfonodi ilari. Il batterio blocca la replicazione del fagosomi quindi
il macrofago non è al momento in grado di ucciderlo efficacemente. Nel fagosoma il batterio resta
vitale e produce proteina che saranno dal macrofago esposte in superficie tramite le MHC.
Nella maggior parte dei soggetti infettati si sviluppa entro 2-8 settimane l'immunità cellulo-mediata
(ritardata). I linfociti T attivati e i macrofagi formano il granuloma che limita l'ulteriore
moltiplicazione e la diffusione del Mycobacterium. Il micobatterio si trova al centro del granuloma
necrotico, ma non è usualmente vivo. A meno che non ci sia un'insufficienza successiva
nell'immunità cellulo-mediata, l'infezione in generale rimane contenuta e la malattia attiva non si
sviluppa mai più.
Quando l’ospite infettato non sviluppa la TBC si ha un equilibrio tra granulomi e difesa. Si crea una
situazione che può portare alla distruzione del granuloma, ma anche alla proliferazione del batterio.
È una distruzione incontrollata. Il batterio entra in circolo, con formazione di altri granulomi nel
corpo, a livello o di tutto l’organismo (TBC miliare) o porta all’asespsi tubercolare.

LEBBRA = causata dal Mycobacterium leprae. Ne esistono due forme.

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1)Forma tubercoloide:
∗ Forte reazione immunitaria cellulo-mediata. Causa una debole risposta anticorpale. I tessuti
infetti presentano molti linfociti e granulomi ma pochi bacilli.
∗ In pazienti immunocompetenti, vengono stimolati i linfociti TH1 che producono le citochine
IFN-γ e IL-2, le quali mediano l’attivazione dei macrofagi, la fagocitosi e l’eliminazione dei
bacilli.
∗ Infiltrazione di linfociti attorno alle cellule epiteliali, presenza di cellule di Langerhans.
Infettività bassa.

2)Forma lepromatosa:
∗ Forte risposta anticorpale ma un deficit specifico nella risposta cellulare agli antigeni di M.
leprae (debole risposta cellulo-mediata). Si osservano elevate concentrazioni di bacilli nei
macrofagi del derma e nelle cellule di Schwann dei nervi periferici. Forma di lebbra molto
contagiosa.
∗ Sono stimolati i linfociti TH2, che secernono IL-4 e IL-10, attivando i linfociti B.
∗ Macule eritematose, papule, noduli, facies leonina.
∗ Distribuzione tissutale.
∗ Implicazione dei nervi con perdita di sensibilità.

Nell’ipersensibilità ritardata si includono anche quelle forme di risposta a sostanze not-self che si
attaccano a proteine self alterandone la conformazione e attivando quindi una risposta immunitaria
contro quella proteina self alterata.

MALATTIE AUTOIMMUNI:

Il sistema immunitario è caratterizzato dalla tolleranza immunologica: in condizioni fisiologiche,


esso reagisce contro una grande varietà di antigeni microbici senza però reagire agli antigeni self.
Durante il normale processo di maturazione del linfociti sono costantemente prodotti linfociti capaci
di riconoscere gli antigeni self; quindi deve esserci almeno un altro meccanismo che impedisce le
risposte immunitarie contro gli antigeni self. Quando questi meccanismi siano difettosi si
l’autoimmunità in cui il sistema reagisce contro le cellule e i tessuti dell’organismo stesso e si
hanno così le malattie autoimmuni, che possono essere:
• organo-specifiche = interessano un solo organo o tessuto;
• sistemiche = riguardano indifferentemente più organi o tessuti. Le malattie autoimmuni
sistemiche sono caratterizzate da autoanticorpi specifici per molecole nucleari e citoplasmatiche
coinvolte nella replicazione e trascrizione del DNA e nella traduzione di mRNA. Alcune
manifestazioni delle malattie autoimmuni sistemiche sono dovute all’effetto diretto di questi
autoanticorpi, mentre altre sono dovute alla deposizione, specie nei glomeruli renali, di
complessi antigene-anticorpo.

Tolleranza immunologica = la mancata risposta contro gli antigeni self è generata dopo il contatto
dei linfociti agli antigeni stessi. Infatti quando un linfocita incontra un antigene per la prima volta
possono succedere 3 cose:
o il linfocita si attiva e innesca la risp. immunitaria (antigeni immunogeni);

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o il linfocita perde la sua funzionalità e viene eliminato (gli antigeni che innescano
questa reazione sono detti tollerogenici);
o il linfocita può non reagire in alcun modo (“ignoranza” dei linfociti).
Di solito gli antigeni microbici sono immunogeni, mentre gli antigeni self sono tollerogenici o
vengono ignorati. I meccanismi molecolari con cui avviene questa scelta non sono del tutto chiari,
ma sembra dipendere anche dal tipo di antigene e dal modo in cui è presentato.

Tolleranza centrale: tolleranza a un antigene self che viene indotta quanto il linfocita incontra
l’antigene negli organi linfoidi primari nel corso della sua maturazione. Durante lo sviluppo timico i
linfociti esprimono recettori capaci di riconoscere con alta affinità antigeni sia self che estranei.
Quando un timocita reagisce con un antigene self presentato da una molecola MHC anch’essa self,
questi recettori traducono segnali che scatenano l’apoptosi e il linfocita muore prima della sua
completa maturazione (selezione negativa). Il processo di tolleranza centrale elimina i linfociti T
autoreattivi e potenzialmente pericolosi senza compromettere però lo sviluppo del repertorio
linfocitario diretto contro gli antigeni estranei. Alcuni dei timociti specifici per antigeni self si
differenziano in linfociti T regolatori e migrano nei tessuti periferici.

Tolleranza periferica: il linfocita ormai maturo incontra l’antigene self nei tessuti periferici, dove è
indotta la tolleranza. Questi linfociti T maturi subiscono l’anergia cioè l’inattivazione funzionale,
normalmente associata al riconoscimento di antigeni senza però segnali costimolatori necessari per
la completa attivazione del linf. T. inoltre i linfociti T autoreattivi possono esprimere sulla
membrana la molecola CTLA-4 che agisce da recettore ad alta affinità per le molecole B7 espresse
dalle ACP che presentano l’antigene self. Questo legame traduce nel linfocita segnali inibitori. In
ogni caso il risultato finale è l’induzione dell’apoptosi dei linfociti autoreattivi. Anche in questo
caso alcuni T autoreattivi possono differenziarsi in T regolatori.

La funzione dei T regolatori è quella di prevenire o sopprimere l’attivazione di altri linfociti T


autoreattivi potenzialmente dannosi (meccanismo non ancora conosciuto). L’unica cosa certa è che
topi privi dei linfociti T regolatori non siano in grado di eliminare i T autoreattivi e sviluppano una
malattia autoimmune estesa a tutti gli organi, quindi sembra che i T regolatori siano fondamentali.

Principali differenze tra gli antigeni self e quelli not-self:


• gli antigeni self sono riccamente rappresentati nel timo, dove inducono tolleranza centrale,
mentre gli antigeni microbici entrano dalla periferia e vengono attivamente trasportati e
concentrati negli organi linfoidi secondari;
• gli antigeni self presentati da APC quiescenti in assenza di risposte immunitarie innate e/o di
segnali accessori favoriscono l’induzione di energia o l’apoptosi dei linf. T; invece gli antigeni
microbici inducono in primis una risposta innata che induce l’espressione di molecole
costimolatorie e citochine (vari segnali accessori per l’immunità acquisita);
• gli antigeni self sono presenti continuamente e possono pertanto causare la morte cellulare
indotta da attivazione dei linf. T specifici, mentre gli antigeni microbici vengono normalmente
eliminati prima che riescano a causare l’apoptosi indotta.

Sclerosi multipla:
malattia autoimmune del sistema nervoso centrale, porta alla degradazione della mielina con
conseguente trasmissione irregolare degli impulsi nervosi. Nelle lesioni attive si trovano linfociti
CD4+ TH1 e macrofagi. I TH1 si ritrovano anche nel liquor. All’inizio si hanno alte concentrazioni di
IL-2 nelle zone di demielinizzazione. In fase di miglioramento entrano invece in gioco i T H2 perché
c’è aumento di IL-4 e IL-3.

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In corso di sclerosi multipla in fase attiva le lesioni sono caratterizzate dall'infiltrazione di linfociti
CD4 TH1 e di macrofagi; analogamente i linfociti T che si ritrovano nel liquor di questi pazienti
esprimono dopo attivazione in vitro un profilo citochinico di tipo TH1. Nelle fasi iniziali della
malattia l'unica citochina che appare intensamente espressa a livello delle zone di demielinizzazione
è la IL-12, che come si è detto è un potente induttore di risposte T H1. Il possibile ruolo di un alterato
rapporto TH1/ TH2 nella patogenesi delle malattie autoimmuni demielinizzanti è stato ampiamente
studiato nel modello dell'encefalite allergica sperimentale (EAS). È stato dimostrato che
l'immunizzazione con peptidi della proteina basica della mielina induce una risposta polarizzata in
senso TH1 ed all'acme di gravità della malattia è possibile evidenziare la produzione di IL-2 ed IFN-
γ a livello degli infiltrati perivascolari nella sostanza bianca; per converso nella fase di remissione
della malattia è possibile rilevare la produzione di TGF-β e di IL-4. Attraverso opportuni
accorgimenti durante l'immunizzazione con la proteina basica mielinica sono stati indotti cloni di
linfociti T specifici esprimenti un profilo TH2 e producenti grandi quantità di IL-4 e di IL-10. Il
trasferimento di tali cloni T in animali singenici non solo non ha indotto EAS, ma ne ha prevenuto l'
insorgenza nonostante il trasferimento adottivo di linfociti includesse anche cloni specifici di tipo
TH1. Anche al TNF-α viene imputato un ruolo patogenetico nella sclerosi multipla e nel liquor di
pazienti con la forma cronica progressiva i livelli di TNF-α risultano solitamente elevati.

• Aplotipo = combinazione di varianti alleliche lungo un cromosoma o segmento cromosomico


contenente loci in linkage disequilibrium, cioè strettamente associati tra di loro.

Esperimento classico di Zinkernagel e Doherty: utilizzando il virus della coriomeningite linfocitaria


(CML), si infetta un topo con aplotipo H-2K (nel topo la classe I dell’MHC viene denominata H-2),
e questo animale produce CTL (linfociti T citotossici) anti-CML.
Si prendono altri due topi, uno H-2K e uno invece H-2D.
Infettando in vitro i loro fibroblasti con il virus CML, i CTL del topo H-2K, sono uccisi dai CTL di
un animale con lo stesso H-2. I fibroblasti del topo uno H-2D invece non vengono lisati. Non sono
ovviamente eliminati i fibroblasti con uguale MHC (ovvero H-2K) ma che presentano un diverso
antigene.
A tale fenomeno è stato dato il nome di RESTRIZIONE PER MHC, ad indicare che un CTL
specifico per un antigene presentato su classe I può uccidere una cellula bersaglio solo se ha lo
stesso MHC.
Anni dopo si è capito che tutto ciò avviene a causa della selezione positiva dei linfociti T nel timo:
nel topo H-2K i futuri CTL sono stati selezionati per interagire con H-2K e non con uno H-2D.
Quindi in vitro i CTL non riconoscono il loro antigene specifico presentato da H-2D perché quelli
potenzialmente in grado di farlo semplicemente non esistono, non essendo stati selezionati
positivamente nel timo durante l’ontogenesi.

La selezione positiva avviene nel TIMO. La struttura del timo presenta una parte corticale costituita
da tessuto linfoide e una parte midollare contenente linfociti e grappoli di cellule situati in un
reticolo (corpuscoli di Hassall). Il timo è essenzialmente un organo linfoide.
Durante la differenziazione intratimica, i linfociti stabiliscono rapporti di stretta contiguità con le
cellule nutrici (cellule epiteliali del Timo) e subiscono un iter maturativo che li porta ad acquisire le
caratteristiche fenotipiche e le capacità funzionali specifiche di ogni sottopopolazione (T-helper,
suppressor, killer, memory, ecc.).

Il microambiente timico: I timociti si trovano a stretto contatto con numerose popolazioni di cellule
non-linfoidi.. Queste si intrecciano a formare il particolare microambiente timico costituito da

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almeno tre varietà funzionali di cellule epiteliali e da due tipi di cellule della linea monocito-
macrofagica, le cellule interdigitate e i macrofagi. Le cellule epiteliali formano la maglia
tridimensionale che accoglie i timociti. Queste cellule epiteliali non esprimono (se non in minima
quantità) molecole MHC. Al contrario, le cellule epiteliali della corticale presentano quantità
particolarmente elevate di molecole MHC di classe I e soprattutto classe II. Un particolare tipo di
cellule epiteliali corticali è rappresentato dalle cosiddette thymic nurse cells (cellule nutrici del
timo) che esprimono molecole MHC di classe I e classe II e contengono numerosi timociti
all'interno del loro citoplasma. Le cellule epiteliali esaurite si accumulano nella midollare a formare
i corpuscoli di Hassal. Le cellule interdigitate posseggono elevate concentrazioni di antigeni MHC
di classe I e classe II e si localizzano nella midollare del timo ma, a differenza della componente
epiteliale, non hanno caratteristiche timo-specifiche e sono simili a quelle disseminate nelle aree T
degli organi linfoidi periferici. I macrofagi hanno una vivace attività fagocitaria e si localizzano
soprattutto in sede perivascolare.

RISPOSTA IMMUNITARIA CONTRO I TRAPIANTI:


tutti gli individui di una normale popolazione eterogenea (“outbred”) rigettano il trapianto
proveniente da un donatore della stessa popolazione, in conseguenza di una reazione infiammatoria
che danneggia i tessuti trapiantati. Il rigetto del trapianto è un fenomeno immunologico!
Negli studi si osservò come il trapianto tra animali consanguinei dello stesso ceppo venisse
accettato, mentre quello tra ceppi diversi venisse rigettato. La terminologia che si usa è:
singenici = animali identici fra loro;
allogenici = animali della stessa specie non identici;
xenogenici = animali di differente specie.

Gli alloantigeni (antigeni del trapianto allogenico), cioè le molecole bersaglio della reazione di
rigetto, sono proteine codificate dal MHC. Considerate le caratteristiche dei geni MHC è plausibile
che ciascun individuo esprima alcune proteine MHC che risultano estranee per il sistema
immunitario di un altro individuo.

In ogni individuo i linfociti T CD4+ e CD8+ sono selezionati nel corso della loro maturazione per
riconoscere i peptidi presentati dal comlplesso MHC del soggetto stesso (self), selezione che sta alla
base della restrizione per MHC dei linfociti T.

Per quale motivo i linfociti T maturi identificano come estranee le molecole MHC di un altro
individuo (allogeniche)? E perché questa è una delle più potenti risposte immunitarie conosciute?
La risposta è che come risultato della selezione positiva nel timo, i linf. T maturi riconoscono le
MHC self che presentano peptidi estranei; le MHC allogeniche, che legano peptidi allogenici,
assomigliano strutturalmente a molecole MHC self che presentano peptidi estranei. Di conseguenza
il riconoscimento delle MHC allogeniche è una cross-reattività immunologica! Come risultato,
molti linfociti T ristretti per MHC e specifici per differenti antigeni possono riconoscere una
qualsiasi molecola MHC allogenica, generando una potente risposta immunitaria!

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