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Biofissazione di CO2 fossile mediante microalghe per labbattimento dei gas serra

9.4.1 Introduzione
Il cambiamento globale del clima richiede sostanziali riduzioni delle emissioni di gas serra (GHG, GreenHouse Gas) derivanti da attivit umane, in particolare del biossido di carbonio (CO2) fossile, e anche un cambiamento nel modo di produrre e utilizzare le risorse energetiche. A causa delle quantit complessive su scala globale, della diversit e della distribuzione geografica delle fonti di CO2 fossile, non pensabile poter applicare una singola tecnologia per labattimento dei gas serra a ogni situazione, ma sar necessaria una serie di tecnologie differenti, da usarsi singolarmente o in combinazione. Tra le opzioni di riduzione, le tecnologie per la cattura e la sequestrazione di biossido di carbonio impediscono che il CO2 derivante dalla combustione di combustibili fossili si accumuli nellatmosfera e consentono di continuare a usare i combustibili fossili da cui il mondo attualmente dipende in larga misura. La maggior parte di queste tecnologie di cattura e sequestrazione si basa sulla cattura del CO2 fossile da punti di emissione fissi, come centrali elettriche o altre installazioni industriali, a cui fa seguito il suo stoccaggio di lungo termine in formazione geologiche, suoli o oceani, o il suo riutilizzo. La biofissazione di CO2 a opera di microalghe una di queste tecnologie per labattimento dei gas serra. Essa si basa sulluso dellenergia solare attraverso la fotosintesi per catturare e utilizzare correnti di CO2 concentrato, prodotto da centrali elettriche o da altre fonti. Le microalghe sono microscopiche piante acquatiche (fig. 1) e, come per altre opzioni in cui si utilizzano biomasse, la diminuzione delle emissioni di gas serra mediante processi di biofissazione si ottiene dalla conversione e utilizzo della biomassa algale raccolta come biocombustibile rinnovabile in grado di sostituire i combustibili fossili, o ricavandone prodotti che richiedono un minor consumo di energia rispetto alle tecnologie convenzionali. I biocombustibili rinnovabili che si possono

ottenere dalla biomassa algale comprendono metano, etanolo, biodiesel e idrogeno, mentre i prodotti che permettono di risparmiare energia includono fertilizzanti, biopolimeri, prodotti chimici e anche mangimi animali. La cattura e lutilizzo del CO2 da parte delle microalghe possono anche essere associati a servizi ambientali,

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fig. 1. Microalghe coltivate attualmente a scopo commerciale o di potenziale interesse per labbattimento dei gas serra. A, Micractinium sp. (alga verde), dominante nelle vasche per il trattamento delle acque relfue (per cortesia di EPA); B, Spirulina (Arthrospira) platensis, microalga filamentosa prodotta come supplemento nutrizionale (per cortesia di UTEX); C, Navicula sp. (diatomea), potenzialmente in grado di produrre oli (per cortesia degli Autori).

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quali il trattamento delle acque reflue e il riciclaggio di nutrienti, il che, in confronto ai processi convenzionali, determina un ulteriore abbattimento dei gas serra grazie alla riduzione del consumo energetico. Rispetto alla produzione di biomassa con piante superiori, la caratteristica pi importante dei processi basati su microalghe la capacit di raggiungere elevate efficienze di conversione solare, riducendo in tal modo le necessit di superficie e di acqua, i due fattori che maggiormente limitano qualsiasi tecnologia basata sulla fotosintesi. Il concetto di cattura del CO2 e di produzione di biocombustibili rinnovabili mediante colture microalgali su vasta scala era gi stato proposto mezzo secolo fa (Oswald e Golueke, 1960) ed stato oggetto di estesa attivit di ricerca e sviluppo, soprattutto negli Stati Uniti (Sheehan et al., 1998) e in Giappone (Hamasaki et al., 1994; Usui e Ikenouchi, 1997; Murakami e Ikenouchi, 1997). Attualmente le microalghe vengono prodotte a scopo commerciale per ottenere sostanze nutritive, sia in vasche

allaperto sia in fotobioreattori chiusi, utilizzando sia fonti di CO2 concentrato sia gas di combustione, e vengono anche impiegate nei processi di trattamento delle acque reflue (fig. 2). Queste conoscenze pratiche forniscono la base per impiegare le colture intensive di microalghe nella riduzione dei gas serra. Lo schema generale di un processo di questo tipo presentato in fig. 3, dove vengono riportati gli input, i vari processi e i prodotti descritti di seguito. Per far progredire lo sviluppo e lapplicazione dei processi di biofissazione per opera di microalghe finalizzati alla produzione di energia rinnovabile e alla mitigazione dei gas serra, EniTecnologie e il National Energy Technology Laboratory del Dipartimento per lEnergia statunitense hanno organizzato lInternational Network on Biofixation of CO2 and GreenHouse Gas Abatement with Microalgae, che qui verr chiamato Biofixation Network (Benemann et al., 2001; Pedroni et al., 2001, 2002). Questiniziativa opera sotto legida del Programma

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fig. 2. Sistemi per la produzione di microalghe.

A, vasca circolare allaperto (1.000 m2 circa), sistema di coltura intensiva per la produzione di Chlorella; B, impianto per la produzione di Spirulina e Haematococcus pluvialis con vasche ad alta velocit agitate mediante ruote a pale; C, sistema a fotobioreattore tubulare chiuso per la produzione di Haematococcus pluvialis; D, bacini per il trattamento di acque reflue che comprendono vasche ad alta velocit (per cortesia degli Autori).

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luce solare

O2

FONTI DI CO2 CONCENTRATE centrali, industrie altre fonti acqua-acque reflue nutrienti salini-rifiuti

COLTIVAZIONE INTENSIVA IN VASCHE ALL APERTO raceway-type, senza rivestimento, poco profonde ( 40 cm) agitazione mediante ruote a pale stazioni di transfer della CO2 larga scala (> 1 ettaro)

RACCOLTA DELLA BIOMASSA bioflocculazione microfiltraggio altri?

SISTEMA DI INOCULO fotobioreattori chiusi e aperti

energia, CO2

biomassa

ceppi di microalghe

biocombustibili, coprodotti, acqua rigenerata

PROCESSAMENTO conversione a biocombustibili/energia (fermentazioni, estrazioni) processamento a coprodotti (biopolimeri, mangimi, fertilizzanti, ammendanti del terreno, ecc.)

fig. 3. Schema del processo di biofissazione del CO2 e della riduzione dei gas serra mediante microalghe.

GHG R&D dello IEA (International Energy Agency) e include tra i suoi membri compagnie del settore energetico, agenzie governative e altre organizzazioni che promuovono lattivit di ricerca e sviluppo in questo campo. Scopo del Biofixation Network di costituire un forum che consenta ai partecipanti di condividere informazioni e competenze, coordinare e collaborare nelle attivit di ricerca e sviluppo, preparare analisi tecno-economiche e di valutazione delle risorse, sviluppare e dimostrare, entro un decennio, il possibile utilizzo di processi pratici basati su microalghe nella riduzione di gas serra. Questo articolo descrive lo stato attuale della tecnologia basata su microalghe applicata alla riduzione dei gas serra e alcuni programmi di ricerca e sviluppo che si stanno realizzando nellambito del Network.

9.4.2 Fotosintesi, produttivit delle microalghe e riduzione dei gas serra


I processi biologici di fotosintesi che fissano il CO2 nella biomassa vegetale, la sua successiva conversione e il suo utilizzo come combustibile rinnovabile costituiscono una delle tecnologie pi promettenti attualmente disponibili per la riduzione dei gas serra. Globalmente, la fotosintesi cattura una quantit di CO2 che va ben oltre un ordine di grandezza rispetto a quella emessa dalla combustione di combustibili fossili, anche se sostanzialmente tutto questo carbonio viene riciclato nuovamente nellatmosfera in poco tempo, da alcuni giorni a

qualche anno. Lappropriazione e lalterazione da parte delluomo degli ecosistemi e della produttivit primaria, cio del CO2 fissato nella biomassa vegetale, superano gi di gran lunga il nostro uso di combustibili fossili. Perci, una gestione migliore della biosfera potrebbe ridurre notevolmente le emissioni di CO2 fossile e di altri gas serra. Parte del carbonio fissato mediante fotosintesi, per esempio, pu accumularsi e rimanere a lungo nel terreno, o anche in superficie, come biomassa delle foreste. Pertanto incrementare questi processi di sequestrazione del carbonio rappresenta una strada importante per ridurre i gas serra. Unulteriore efficace via per ridurre i gas serra mediante fotosintesi rappresentata dalluso della biomassa come fonte di energia, o direttamente (mediante la combustione) o dopo averla convertita in carburanti gassosi o liquidi. I biocarburanti verrebbero ottenuti da rifiuti e da residui agricoli, forestali o di altre fonti, potrebbero essere coprodotti con alimenti, mangimi e prodotti forestali, oppure prodotti appositamente in aziende come le attuali piantagioni di zucchero di canna, di olio di palma e alberi o altre piante, nelle cosiddette fattorie energetiche. In molti paesi i biocarburanti rimangono unimportante fonte di energia, e certamente costituiscono una primaria fonte di energia per la maggior parte delle popolazioni pi povere. Laumento globale della produzione di biocarburanti e del loro utilizzo, senza incidere sulla produzione alimentare o su altre necessit umane ed evitando la distruzione degli ambienti naturali rimasti, costituisce una grande sfida tecnologica e sociale di questo secolo. Essa richieder

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una trasformazione su scala mondiale degli attuali metodi agricoli e forestali, affinch sia data priorit alla prevenzione di ulteriori perdite nette di carbonio dal suolo o dalla vegetazione, una delle fonti principali di CO2 antropogenico nellatmosfera seconda solo alla combustione di carburanti fossili. La produzione di biomassa sostanzialmente limitata dallefficienza di conversione solare della fotosintesi. In teoria, e in laboratorio, la fotosintesi pu essere un convertitore di energia solare altamente efficiente, considerando che unefficienza massima di circa il 10% (massimo valore di conversione da solare a biomassa) generalmente ritenuta il limite superiore. In laboratorio (cio in condizioni di scarsa intensit luminosa) questa efficienza pu essere effettivamente raggiunta con le colture di microalghe (Radmer e Kok, 1977). Di norma lagricoltura opera con unefficienza ben al di sotto dell1% di radiazione incidente solare annua convertita in biomassa raccolta. Inoltre, nellagricoltura convenzionale le immissioni di energia fossile (fertilizzanti, pesticidi, sostanze chimiche, combustibile, ecc.) possono notelvomente abbattere lefficacia nella riduzione di CO2 fossile mediante luso della biomassa come fonte energetica (Pimentel e Patzek, 2005). La sfida per la ricerca e sviluppo consiste nellaumentare lefficienza della fotosintesi nei sistemi di coltivazione allaperto e nel minimizzare lestensione dei terreni necessari (il cosiddetto impatto del processo sul territorio), riducendo contemporaneamente le richieste energetiche e aumentando cos le potenzialit dei sistemi a biomassa di produrre biocombustibili, cibo, mangime e fibre, nonch di ridurre le emissioni complessive di gas serra. Le microalghe, piante microscopiche che solitamente crescono in ambienti acquatici, marini, salmastri o dacqua dolce, sono generalmente in grado di riprodursi molto rapidamente, spesso raddoppiando la loro massa nel giro di un giorno o anche di poche ore. Ne esistono molti tipi (comunemente chiamate, in base al colore dei loro pigmenti dominanti, alghe verdi, rosse, marroni o verdi-azzurre, etc.) con migliaia di specie note (v. ancora fig. 1 per alcuni esempi). Oltre che per lambiente acquatico e i tassi di crescita molto rapidi, la loro coltivazione differisce da quella delle piante superiori anche perch richiede una fonte concentrata di CO2, come quella presente nei gas di combustione provenienti dalle centrali elettriche (5-15%), in quanto lassorbimento di CO2 dallaria (0,04%) da parte delle colture algali sarebbe costoso e ne ridurrebbe di gran lunga la produttivit. Dato che acqua e sostanze nutritive, compreso il CO2, non sono fattori limitanti, e la rapida crescita permette una produzione continua, con tali colture si possono potenzialmente raggiungere efficienze di conversione solare (ovvero produttivit della biomassa) molto pi alte che con le piante superiori. Questo, e lutilizzo diretto del CO2 dei gas di combustione delle centrali elettriche, costituiscono

il vantaggio e lattrattiva fondamentali delle colture intensive di microalghe applicate alla riduzione dei gas serra. La sfida consiste nello sviluppo di processi per produrre biomassa microalgale che abbiano costi competitivi rispetto allagricoltura e selvicoltura convenzionali, le quali attualmente sono in grado di produrre biomassa a costi notevolmente bassi (complessivamente ben al di sotto di 100 $/t di biomassa, ovvero inferiori a 5 $/GJ). Come si vedr in seguito, per raggiungere lobiettivo di una produzione di basso costo, gli attuali processi di coltivazione di biomassa microalgale devono essere semplificati e la produttivit massimizzata per avvicinarsi il pi possibile allefficienza di conversione solare teorica del 10%. Tale il principale obiettivo del Biofixation Network. Come detto sopra, un vantaggio delle colture intensive di microalghe rispetto alle piante superiori la velocit di crescita. Questo fattore riduce la notevole quantit di tempo necessaria alle piante superiori per crescere dal seme fino allo sviluppo completo, periodo durante il quale non intercettano tutta la luce solare. Inoltre, come gi affermato, le microalghe non sono limitate da acqua, sostanze nutritive o CO2, questultimo fornito da una centrale elettrica o da fonti stazionarie simili. Perci le microalghe possono operare pi vicino al potenziale massimo della fotosintesi e, quindi, le loro colture intensive sono solitamente pi produttive di quelle delle piante superiori. Bench dati attendibili su colture massive algali operate su larga scala siano scarsi e in molti casi la produttivit sia limitata da altri fattori rispetto a quelli precedentemente menzionati (quali temperature sub-ottimali, instabilit delle colture, insufficiente miscelazione, eccessiva formazione di O2, ecc.), le produttivit massime ottenibili attraverso coltivazioni che utilizzano la luce solare possono essere stimate tra 50 e 70 t di biomassa organica secca per ettaro per anno (t/ha a). Bench tali valori siano circa 10 volte superiori a quanto si ottiene per il raccolto cerealicolo negli Stati Uniti, in realt non sono molto pi alti di quanto gi ottenuto con la coltura pi produttiva in assoluto, la canna da zucchero, basata sulla produzione di biomassa dallintera pianta (canna e foglie) in climi tropicali. Peraltro, questo rendimento rappresenta al massimo tra l1 e il 2% dellefficienza di conversione dellenergia solare totale, a seconda della localizzazione. Si tratta di una produttivit modesta se confrontata con quella massima del 10% che pu essere prevista basandosi su quanto ottenuto in laboratorio. Quando la velocit di fotosintesi (misurata come assorbimento di CO2 o produzione di O2) a opera delle colture di microalghe viene misurata in laboratorio in funzione dellintensit luminosa in esperimenti a breve termine con coltivazioni diluite, si nota un aumento lineare della velocit a basse intensit di luce, seguita per da un suo rapido rallentamento allaumentare dellintensit

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luminosa oltre il 10-20% della luce solare piena. Come detto prima, a basse intensit di luce e quando tutti gli altri fattori sono sotto controllo, la fotosintesi effettivamente piuttosto efficiente, avvicinandosi alla conversione teorica del 10% da luce solare a energia di biomassa (calcolata assumendo che il 45% della radiazione solare sia nella parte di spettro visibile o fotosinteticamente attivo). Ma a intensit di luce maggiore, la fotosintesi diminuisce la sua efficienza, e a intensit che corrispondono alla luce solare piena, le efficienze rilevate in misure a breve termine o anche in studi con colture di laboratorio continue a lungo termine, scendono al 2-3% nella conversione da luce a biomassa. Ci in linea con quanto osservato nelle colture intensive allaperto, qualora si considerino la respirazione (soprattutto le perdite notturne) e altri limiti pi o meno inevitabili delle coltivazioni allaperto (temperatura, concentrazioni di O2, riflessione delle superfici, ecc.). Questa caduta di efficienza a intensit di luce elevate, il cosiddetto effetto di saturazione della luce, si osserva anche con le piante superiori, ma pi pronunciato con le colture di microalghe ed il maggior responsabile delle produttivit pi basse del previsto osservate con queste piante acquatiche. La spiegazione delleffetto di saturazione della luce si trova nella struttura dellapparato fotosintetico: lenergia luminosa (fotoni) viene catturata da un assortimento di cosiddetti pigmenti antenna o captatori di luce, principalmente la clorofilla nelle piante superiori e nelle alghe verdi e altri pigmenti nelle alghe verdi-azzurre (cianobatteri), nelle alghe brune (diatomee) e nelle alghe rosse (v. ancora fig. 1). Lenergia fotonica catturata da questi pigmenti antenna viene poi trasferita alle clorofille del cosiddetto centro di reazione, dove lenergia fotonica convertita in energia chimica durante un processo a due fotosistemi. In primo luogo, il fotosistema II scinde lacqua (producendo O2) e gli elettroni sono trasferiti al fotosistema I, dove lenergia fotonica addizionale genera un forte agente riducente (la ferredoxina ridotta) ed energia metabolica (ATP). Questi sono poi utilizzati in una serie di reazioni enzimatiche di buio per fissare il CO2 nei carboidrati. I carboidrati vengono poi utilizzati per sintetizzare proteine, lipidi, acidi nucleici e tutti i componenti cellulari, determinando crescita e moltiplicazione delle cellule microalgali. In questo processo, tanto maggiore il numero di pigmenti antenna, quanti pi fotoni possono essere catturati dalle cellule a basse intensit di luce. Tuttavia, a intensit di luce elevate, lalto numero di tali pigmenti fa s che vengano assorbiti pi fotoni di quanti ne possano poi essere processati dai centri di reazione; questo eccesso di energia viene perso rapidamente, sotto forma di calore, o riemesso sotto forma di fluorescenza. Poich le cellule microalgali, in natura e soprattutto nei sistemi colturali intensivi, si spostano frequentemente da zone molto

illuminate ad altre poco illuminate e viceversa, non riescono ad aggiustare continuamente il loro contenuto di pigmenti antenna in modo ottimale, consentendo una pi efficiente conversione di energia solare. La strategia evolutiva migliore per le microalghe consistita nelladattarsi alle basse intensit di luce, il che si traduce sempre nellavere un elevato numero di pigmenti antenna, anche se, a maggiori intensit luminose, ci comporta uno spreco di fotoni. Semplificando, le cellule microalgali sono evolutivamente progettate per crescere con maggior efficienza a bassi livelli di luminosit dato che non fa grande differenza per le singole cellule (le unit di selezione evolutiva) lessere inefficienti in piena luce perch la luce sprecata non sarebbe comunque utilizzata. In altre parole, le singole cellule che si trovano alla superficie della vasca, esposte alla luce solare piena, non vengono penalizzate per lo spreco di fotoni, pur riducendo lilluminazione delle coorti sottostanti. Queste stesse cellule, tuttavia, hanno bisogno di catturare ogni fotone disponibile quando si trovano sul fondo della coltura dove saranno oscurate dalle cellule che si trovano sopra di loro. In effetti, si potrebbe anche argomentare che quelle in superficie traggano beneficio dal fatto di oscurare quelle sotto di loro, in quanto riducono in questo modo la crescita di cellule competitrici. Inoltre, quando le cellule si spostano nella colonna dacqua dalle zone a maggior intensit luminosa verso quelle a minor intensit, qualsiasi intervallo di tempo impiegato ad adattarsi alla mutata intensit di luce viene sottratto alla crescita. In breve, le pressioni evolutive e la selezione hanno favorito fortemente un complesso di pigmenti antenna relativamente ampi negli apparati fiotosintetici delle microalghe, e questo il principale fattore da considerare per la produttivit relativamente bassa delle colture intensive algali, confrontata al loro potenziale. Questo spiega la bassa produttivit delle colture intensive di alghe a elevata densit (questultima caratteristica necessaria alla cattura di tutta la luce solare), in cui le cellule algali, con le grandi dimensioni delle loro antenne, catturano la maggior parte della luce solare in corrispondenza o vicino alla superficie della coltura, ma utilizzano solo una piccola frazione dei fotoni catturati sprecando il resto oscurando le cellule sottostanti. Inoltre, elevate intensit di luce (uguali o vicine alla luce solare piena) risultano effettivamente inibenti e persino dannose per le cellule con antenne di grandi dimensioni, determinando il fenomeno della fotoinibizione, che si manifesta come una diminuzione nella velocit di fotosintesi durante lesposizione delle cellule a elevate intensit luminose. Questo effetto realmente riduce la produttivit complessiva (vale a dire lefficienza) delle colture intensive di alghe anche pi di quanto ci si aspetterebbe dal solo effetto di saturazione della luce. In effetti, cellule algali esposte a elevate intensit di luce per

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periodi lunghi riducono le dimensioni delle loro antenne per evitare tali effetti inibitori, ma quando arrivano a farlo, il loro apparato fotosintetico gi stato danneggiato. In breve, la riduzione delle dimensioni dellantenna risultante dalla fotoinibizione subordinata, nelle singole cellule, alla massimizzazione delle sue dimensioni che risulta dalleffetto di saturazione della luce. Riassumendo, grazie alla maggiore ampiezza delle antenne dellapparato fotosintetico delle microalghe, la produttivit delle colture intensive di alghe esposte alla luce circa soltanto da un terzo a un quarto di quanto ci si aspetterebbe dagli esperimenti di laboratorio condotti a bassa intensit di luce. Nel corso degli anni sono state proposte diverse soluzioni per superare questo limite fondamentale alla produttivit: agitare frequentemente le colture algali in modo che tutte le cellule si trovino spesso esposte al sole (effetto luce intermittente); disperdere la luce solare nella coltura mediante prismi o, pi recentemente, mediante fibre ottiche; usare colonne verticali o pannelli che non ricevano la luce solare piena come avviene in una vasca orizzontale; selezionare alghe con un basso contenuto di pigmenti antenna che non presentano leffetto di saturazione della luce. Ciascuno di questi approcci stato oggetto di numerosi studi nel corso degli anni, come illustrato di seguito. Agitazione rapida delle colture algali. Lagitazione rapida pu essere usata per portare le cellule dentro e fuori le zone di luce in modo che i fotoni siano assorbiti alla velocit con cui potranno successivamente essere usati nelle reazioni di buio (il trasferimento pi critico di elettroni tra i due fotosistemi). Questo consente di eliminare gli effetti di saturazione della luce e di fotoinibizione. Sfortunatamente la costante di tempo coinvolta, solo pochi millisecondi a elevata intensit luminosa seguiti da un periodo molto pi lungo al buio (effetto luce intermittente per la prima volta descritto dettagliatamente da Kok, 1953), richiede unagitazione cos veloce che la necessit energetica diventerebbe proibitiva in ogni processo pratico. Bench nel corso degli ultimi cinquantanni siano state effettuate molte ricerche sugli effetti delle fluttuazioni di luce, periodicit, modulazione, agitazione (sia organizzata sia casuale) ecc., i limiti pratici della coltura algale intensiva non permettono luso di unagitazione rapida per superare la saturazione della luce. Gli effetti benefici spesso citati dellagitazione rapida sulla produttivit delle colture intensive possono essere attribuiti a effetti secondari, quali la riduzione della tensione di O2, piuttosto che al superamento delleffetto di saturazione della luce (Weissman et al., 1988). Dispersione della luce solare tramite prismi o fibre ottiche. I bioreattori a fibre ottiche o altri sistemi (prismi, ecc.) che disperdono la luce nelle colture algali

richiedono specchi concentratori per catturare la luce solare che devono essere grandi quanto i fotobioreattori stessi. Questi specchi avrebbero un costo altamente proibitivo, cos come il costo e i significativi problemi (per esempio il fouling) inerenti a un sistema cos complesso, rende questo approccio completamente inattuabile (v. par. 9.4.3). Uso di colonne verticali o pannelli. I fotobioreattori verticali, bench molto pi economici dei fotobioreattori a fibre ottiche, sono ancora troppo costosi rispetto ai pi semplici sistemi di coltura intensiva (per esempio vasche), e in ogni caso troppo costosi per qualsiasi applicazione nella riduzione dei gas serra. Per esempio, per massimizzare lefficienza di conversione solare con sistemi verticali, sarebbe necessario che larea del fotobioreattore sia almeno di 3 m2 per ogni m2 di terreno (per consentire unintercettazione pi efficiente di tutta la luce solare). Ceppi algali a basso contenuto di pigmento antenna. Le alghe con un contenuto di pigmenti antenna ridotto, come spiegato in precedenza, hanno uno svantaggio competitivo e quindi levoluzione le ha selezionate negativamente. Per questo non ci si aspetta di trovarle in natura e infatti non esistono (Kok, 1973). Tuttavia, come si gi detto, le microalghe possono adattare le dimensioni delle loro antenne in risposta alle condizioni ambientali ed ora possibile creare in laboratorio quello che la natura ha evitato: mediante lutilizzo delle biotecnologie si possono creare ceppi microalgali con un contenuto di pigmenti antenna permanentemente ridotto. Tali ceppi, anche se non sono competitivi in natura, avranno produttivit maggiori nelle condizioni controllate delle colture intensive. Questa stata proposta come la strategia pi promettente per ottenere produttivit elevate a basso costo (Benemann, 1989; Benemann e Oswald, 1996) e ha portato a investimenti nel settore di ricerca e sviluppo, sia in Giappone sia negli Stati Uniti, finalizzati alla selezione di ceppi a basso contenuto di pigmenti antenna (Nakajima e Ueda, 1997 e 2000; Neidhardt et al., 1998; Polle et al., 2000). Va sottolineato che ceppi mutanti con contenuto ridotto di pigmenti antenna dovrebbero essere in grado di superare contemporaneamente sia leffetto di saturazione della luce sia quello di fotoinibizione, visto che entrambi sono dovuti allelevato contenuto di pigmenti antenna dei ceppi microalgali naturali. La ricerca per selezionare e produrre ceppi con contenuto ridotto di pigmenti antenna che possano essere coltivati intensivamente viene ora proseguita da uno specifico progetto nellambito del Microalgae Network (Polle et al., 2005). Lo scopo immediato di questa ricerca consiste nellottenere una produttivit doppia rispetto a quella attuale con unefficienza di conversione solare continuativa di circa il 3-5%, corrispondente a una produttivit di 100-150 t/ha a (a seconda della collocazione

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geografica e della composizione della biomassa algale). Una produttivit di questo ordine di grandezza quella adeguata per poter applicare questi sistemi alla riduzione dei gas serra. In una fase successiva, dovrebbe essere possibile ottenere anche produttivit superiori con vasche per colture intensive di alghe allaperto. Queste alte produttivit riducono limpatto sul territorio e migliorano leconomia del processo, due fattori fondamentali nelle applicazioni per la riduzione dei gas serra. Bench di fondamentale importanza, saturazione della luce e fotoinibizione non sono gli unici fenomeni che riducono ben al di sotto del massimo teorico la produttivit di una coltura intensiva di alghe. La respirazione un altro fattore importante, come verr brevemente discusso in seguito, e anchessa dovr essere presa in considerazione nelle future applicazioni biotecnologiche per sviluppare ceppi migliorati. In conclusione, per ottenere unelevata produttivit in colture intensive di microalghe realizzate allaperto ancora necessaria parecchia attivit di ricerca e sviluppo. Tuttavia, sono ormai disponibili gli strumenti biotecnologici per realizzare questo obiettivo e si pu quindi realisticamente prevedere di ottenere produttivit molto maggiori.

9.4.3 Sistemi di coltivazione di microalghe e cattura di CO2


Anche prima di aver realizzato questi obiettivi di alta produttivit, bisogna chiedersi come coltivare in modo intensivo le microalghe e catturare il CO2 dai gas di combustione derivati da centrali elettriche a bassi costi. Fondamentalmente sono stati presi in considerazione due approcci differenti: le colture in vasche allaperto e quelle in fotobioreattori chiusi. Anche le vasche ovviamente possono essere considerate dei fotobioreattori, ma qui si preferisce usare questo termine per indicare in modo specifico sistemi chiusi, in cui non vi sia scambio diretto di gas con latmosfera come nelle vasche allaperto.
Vasche allaperto

Le vasche per colture allaperto possono essere di diversa foggia. La pi semplice una vasca in cui le microalghe crescono essenzialmente come fanno in natura, sospese nella colonna dacqua e rimescolate solo dal vento. Bench molto usati nel trattamento delle acque reflue (fig. 2D) e anche in alcuni sistemi di produzione commerciale di microalghe, tali tipi di vasche non verranno ulteriormente presi in considerazione in questa sede perch presentano una produttivit molto bassa. Ci dovuto almeno in parte alla carenza di CO2, in quanto questi sistemi non ne prevedono lapporto aggiuntivo dallesterno. Per ottenere unomogenea distribuzione del CO2 necessaria la presenza di un meccanismo di agitazione della vasca.

Uno dei primi sistemi allaperto, con agitazione, per la coltura intensiva di alghe stata una vasca a struttura circolare sviluppata in Giappone 50 anni fa per coltivare intensivamente Chlorella (Tamiya, 1957) e usata dagli anni Sessanta per la sua produzione commerciale (fig. 2A). Lo svantaggio principale di questo tipo di vasca la sua limitata dimensione: a causa dellagitazione non uniforme dovuta al meccanismo di spinta a perno centrale, non pu superare 1.000 m2. Inoltre, questo sistema di agitazione costoso sia nella costruzione sia nelloperativit. In breve, il problema dellagitazione e quello idraulico sono i principali fattori limitanti per la costruzione su larga scala di questi sistemi produttivi. Agli inizi degli anni Cinquanta venne studiata per la prima volta in California la vasca aperta raceway (chiamata anche vasca ad alta velocit) applicata al trattamento di acque reflue. L agitazione era ottenuta mediante una pompa di ricircolazione (Oswald e Golueke, 1960). A partire dai primi anni Sessanta, tali sistemi furono installati in diverse vasche per il trattamento di acque reflue in California (v. ancora fig. 2D), bench fossero usati anche altri sistemi di agitazione (per esempio, la pompa di Archimede). Negli stessi anni in Germania vennero introdotte le ruote a pale (paddle wheel) per agitare piccole vasche raceway per colture intensive di alghe e successivamente per sistemi pilota di trattamento di acque reflue (Benemann et al., 1980). Da allora questo assetto il pi diffuso nellindustria delle microalghe. Questo tipo di vasche viene usato estesamente nella produzione commerciale di Spirulina e Dunaliella, le principali specie di alghe attualmente prodotte su scala commerciale, e viene applicato anche nel trattamento di acque reflue (v. ancora figg. 2B e 2D). Le vasche raceway agitate con ruote a pale sono poco profonde (solitamente laltezza del mezzo acquoso va da 20 a 30 cm) e una singola vasca pu facilmente essere ampliata fino a diverse migliaia di metri quadrati e plausibilmente fino a diversi ettari. Per vasche grandi occorrono ruote a pale grandi, per le quali pu sembrare necessario un elevato apporto di energia. Tuttavia ci non vero poich fintanto che le velocit di agitazione sono mantenute nellintervallo di 20-30 cm/s, il consumo di energia per lagitazione modesto. Tuttavia, unagitazione pi lenta potrebbe determinare la sedimentazione delle alghe, cos come un insufficiente rifornimento di CO2. Poich gli input denergia aumentano in funzione del cubo della velocit di flusso, agitazioni pi rapide consumerebbero troppa energia. Nei sistemi commerciali il CO2 viene fornito alle vasche da fonti concentrate anche se, almeno in un caso, limpianto per la produzione di microalghe stato associato a una centrale elettrica di piccole dimensioni. I due problemi principali sono come trasferire il CO2 nella coltura in vasca e come impedire la perdita di CO2 dalle vasche associata alla fuoriuscita di gas

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nellatmosfera. Il trasferimento di CO2 ottimizzato facendo gorgogliare il gas attraverso il liquido in un pozzetto posto poco a valle della ruota a pale. Per i gas di combustione da centrale elettrica, tipicamente all8-13% di CO2, necessario trasferire grandi quantit di gas e per massimizzare lassorbimento del CO2 e ridurre il calo di pressione in corrispondenza dellorifizio il pozzetto funziona meglio se viene operato controcorrente. Poich le bolle salgono ad una velocit di 30 cm/s, simile alla velocit di flusso del liquido nella vasca, affinch il trasferimento sia efficiente il pozzetto non deve essere troppo profondo. Dovrebbe essere possibile unefficienza di trasferimento dell80-90% per i gas di combustione e una superiore al 90% se viene usato CO2 puro. Una volta trasferito nella coltura in vasca, il CO2, sotto forma di CO2 disciolto e acido carbonico (che in equilibrio con lalcalinit del carbonato), tender a fuoriuscire nellatmosfera dato che la sua concentrazione maggiore nella vasca rispetto a quella esterna. I coefficienti di degassamento per le vasche possono essere calcolati e sono stati anche misurati, ma dipendono da molti fattori tra cui il coefficiente di scabrezza del fondo, le velocit di agitazione, la profondit, il pH, lalcalinit ed eventualmente dalla coltura algale. Si possono contenere le perdite al di sotto del 10%, ma ci richiede operazioni entro specifici intervalli di pH, alcalinit, velocit di agitazione, ecc. L energia richiesta per pompare i gas di combustione nelle vasche di alghe limita la distanza consentita tra la centrale elettrica e le vasche stesse, che devono essere collocate in prossimit luna alle altre. Va poi sottolineato, riguardo ai gas di combustione delle centrali elettriche, che il CO2 usato dalle colture di microalghe solo durante le ore diurne e che in estate utilizzato molto di pi che in inverno, il che riduce lutilizzazione massima annuale di CO2 a circa un terzo, ossia considerevolmente meno, di quanto in complesso prodotto da una centrale elettrica a carico base stazionario. Un elemento fondamentale la capacit delle microalghe di crescere utilizzando direttamente il gas di combustione emesso da una centrale elettrica. La concentrazione di CO2 (CO2 disciolto acido carbonico) a cui le cellule algali sono effettivamente esposte nelle vasche relativamente bassa, al massimo al livello di quella dei gas di combustione (equivalente a meno del 10% di CO2 in fase gassosa) e inoltre solo limitatamente nel tempo, perch il CO2 viene consumato mano a mano che le alghe crescono nelle vasche. Inoltre, leffetto del CO2 sulle microalghe modulato dal pH che dipende dallalcalinit e dalle concentrazioni di biossido di carbonio. In sintesi, non c necessit di alghe che tollerino elevate concentrazioni di CO2, che possano crescere in presenza di CO2 puro (100%) o in condizioni di acidit (basso pH). Nel corso degli anni passati (a partire dagli anni Cinquanta) numerose ricerche, per lo pi condotte in

laboratorio (Olaizola, 2003 e bibliografia inclusa) ma anche, in misura minore, in colture allaperto (Matsumoto et al., 1995; Pedroni et al., 2004) hanno dimostrato che possibile coltivare efficacemente le microalghe utilizzando direttamente i gas di combustione. La possibilit di eliminare insieme al CO2 contaminanti aggiuntivi dai gas di combustione di centrali elettriche, in particolare NOx e SOx, costituisce unopportunit per integrare lo smaltimento di questi gas con la produzione di microalghe. Nelle quantit in cui sono effettivamente assorbiti (in funzione dei coefficienti di trasferimento di massa del sistema di trasferimento del gas di combustione), questi contaminanti reagiscono in acqua producendo acidi diluiti che vengono neutralizzati dallalcalinit del mezzo di coltura. Nel caso degli NOx , sia NO sia NO2 vengono utilizzati dalle microalghe (Negoro et al., 1993; Nagase et al., 2001) senza alcun cambiamento netto di alcalinit. Tuttavia gli NOx forniscono solo una piccola percentuale dellazoto necessario alle alghe. La neutralizzazione degli SOx potrebbe essere un problema nel caso in cui le concentrazioni siano elevate, il riutilizzo dellacqua massiccio e lalcalinit un fattore limitante, rendendo necessaria laggiunta di una base (per es. NaOH o altra equivalente) alle vasche, procedura utilizzata anche in un convenzionale processo di smaltimento dei gas di combustione. La scarsa quantit di questi contaminanti rispetto al CO2 fa si che non rappresentino un grosso problema, tuttavia il potenziale delle colture microalgali di contribuire a smaltire i gas di combustione degno di essere considerato. Un altro fattore da considerare lO2 prodotto dalle colture di microalghe che si accumula nelle vasche a concentrazioni di molto superiori rispetto a quelle di saturazione dellaria e che si dovrebbe disperdere nellatmosfera per evitarne laccumulo e il conseguente effetto inibitorio. Ci si potrebbe ottenere mediante una stazione di sfiato a monte della ruota a pale e precedente alla stazione di carbonatazione. Durante la notte le colture di alghe respirano e utilizzano tutto lO2 disciolto e leventuale altro O2 trasferito dallatmosfera. Entrambi i fattori, alta concentrazione di O2 durante il giorno e respirazione di notte, determinano una perdita potenzialmente significativa nella produzione giornaliera, ma sono stati abbastanza trascurati negli studi sulla coltivazione intensiva di alghe e richiedono ulteriori approfondimenti. Il rifornimento, il trasferimento e lutilizzo di CO2 da gas di combustione sono elementi importanti nei costi complessivi di un processo di abbattimento dei gas serra basato su microalghe. Unalternativa sarebbe catturare il CO2 dai gas di combustione e concentrarlo in CO2 puro al 100%, per poi rifornire la vasca di coltivazione. Ci costerebbe decisamente meno che utilizzare il CO2 dei gas di combustione, per via dei costi inferiori delle tubazioni e delle strutture di trasferimento. Inoltre, consentirebbe di

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immagazzinare CO2 durante la notte per poi utilizzarlo durante il giorno, con un incremento del fattore di utilizzazione complessivo. Tuttavia, anche considerando il costo di concentrare il CO2 dalle centrali elettriche, nella maggior parte delle situazioni si continua a preferire lutilizzo diretto dei gas di combustione. Bench i problemi relativi a rifornimento, trasferimento e utilizzo del CO2 siano complessi e sia necessario ulteriore lavoro, la conclusione raggiunta in base ai dati sperimentali, allanalisi teorica e ai calcoli ingegneristici che il rifornimento di CO2 dal gas di combustione alle vasche allaperto e il suo utilizzo non rappresenta un limite per le colture intensive di microalghe bench questi fattori riducano specifiche opzioni realizzative (Benemann et al., 1982; Weissman e Goebel, 1987). Un altro importante elemento nella progettazione strutturale ed economica delle colture in vasche allaperto il rivestimento delle vasche stesse che serve a impedire perdite dacqua per percolazione, contaminazione della falda idrica, sospensione di detriti e consente la pulizia delle vasche. La maggior parte delle vasche per la produzione commerciale di microalghe rivestita in plastica o in cemento. Tuttavia, gran parte di quelle per il trattamento di acque reflue rivestita solo da argilla a basso costo, come lo sono le poche vasche di grandi dimensioni per la produzione di Spirulina. Un lavoro sperimentale che ha messo a confronto vasche rivestite in argilla con quelle rivestite in plastica (Weissman e Tillett, 1989) suggerisce che non vi sia molta differenza in prestazioni tra queste due opzioni, soprattutto per quanto riguarda la produttivit, e che si potrebbero far funzionare vasche non rivestite con le velocit di miscelazione suggerite sopra (vale a dire da 20 a 30 cm/s circa). Per labbattimento di gas serra e la produzione di energia sono necessarie vasche a basso costo rivestite in argilla, perch il rivestimento in plastica, nella maggior parte dei casi, risulterebbe troppo oneroso, a meno di non combinarlo con il trattamento di acque reflue o con la produzione di coprodotti che abbiano un valore commerciale superiore a quello dei combustibili. Per far progredire lo sviluppo di tecnologie per la mitigazione dei gas serra basate sullutilizzo di colture intensive di microalghe, le future ricerche devono prevedere la realizzazione di vasche di ampie dimensioni (superiori a 1 ha) rivestite in argilla. Il costo capitale delle vasche ad alta velocit con agitazione mediante ruote a pale e rivestimento in argilla pu essere stimato, molto approssimativamente, in 100.000 $/ha per sistemi su vasta scala (superiori a 100 ettari), comprendendo infrastrutture generali (acqua, energia e rifornimento di CO2 per limpianto), raccolta della biomassa e processamento. Questa stima si basa su molti presupposti favorevoli legati al sito e su una produttivit media annua di 30 g/m2 d (110 t/ha a). Si tratta di un costo capitale iniziale oltre un ordine di

grandezza pi alto di quelli da affrontare per lagricoltura o la silvicoltura tradizionali, anche per i sistemi che necessitano irrigazione. Perci, neppure alte produttivit riescono a recuperare investimenti di capitale cos elevati. Anche i costi operativi per energia, nutrienti, mantenimento e gestione, compresi la raccolta e il processamento delle alghe (v. oltre), sono pi elevati per le colture di microalghe che per le tipiche colture di piante da raccolto o di alberi. Perci, complessivamente, laspetto economico della produzione di microalghe con questo tipo di vasche allaperto non risulta molto vantaggioso in confronto ad altri processi biomassa-biocombustibili (v. par. 9.4.6). Tuttavia, le microalghe possono essere coltivate utilizzando terreni, acque e altre risorse, compreso il CO2 dei gas di combustione di centrali elettriche, che non sono adatti per lagricoltura o la silvicoltura convenzionali. Paradossalmente, lutilizzo di acqua da parte delle vasche di microalghe in realt inferiore a quello per lagricoltura con piante superiori, in cui il consumo dacqua, a causa dellevapotraspirazione, in funzione diretta della produttivit. La biomassa di microalghe pu inoltre essere convertita in combustibili liquidi e gassosi pi facilmente della maggior parte di biomassa ottenuta da piante superiori. Al momento, lapplicazione a breve termine pi plausibile delle microalghe nella riduzione dei gas serra in combinazione con il trattamento di acque reflue o con applicazioni ambientali similari (v. par. 9.4.5). Uno dei principali svantaggi delle vasche allaperto che la coltura di alghe pu venire facilmente contaminata da specie algali invasive, animali che si nutrono di alghe e infezioni biologiche di vario tipo (batteri, protozoi, ecc.) il che provoca la perdita della coltura. Proprio questo tipo di eventi ha limitato fino a poco tempo fa la coltura intensiva di microalghe in vasche allaperto a poche specie, in particolare Spirulina e Dunaliella. Queste alghe possono essere facilmente mantenute in vasche allaperto come colture continue perch il loro terreno di coltura contiene elevate quantit di bicarbonato o di sale che sfavoriscono la crescita della maggior parte delle altre alghe o di microrganismi. Tuttavia, un mezzo cos selettivo riduce anche la produttivit di tali sistemi, rispetto a coltivazioni in mare o in acqua dolce. Altre microalghe coltivate a fini commerciali in vasche allaperto, soprattutto Chlorella e Haematococcus, richiedono quantit relativamente grandi di inoculo iniziale prodotto in condizioni controllate in fotobioreattori chiusi. La quantit di produzione di inoculo richiesta un fattore chiave, ma sembra non presentare un limitazione rilevante (Benemann, 2004).
Fotobioreattori chiusi

Esistono fotobioreattori chiusi di molte forme, in particolare tubolari e a lamina piana. I fotobioreattori chiusi sono caratterizzati dallimpedire lo scambio diretto di

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SOSTENIBILIT

gas con latmosfera e questa definizione include le vasche coperte, anche se ventilate. Queste vasche coperte sono state usate a scopo commerciale per coltivare Chlorella e Spirulina sia in impianti di grandi dimensioni sia per far partire le colture iniziali in localit in cui le temperature erano troppo basse per consentire un rapido inizio della produzione in primavera. Come gi detto, sono pochi i motivi per impiegare vasche raceway coperte o altri fotobioreattori chiusi nelle colture intensive di alghe al fine di ridurre i gas serra, se non quando si vogliano produrre gli inoculi. I fotobioreattori chiusi, in particolare i sistemi tubulari ma anche quelli a lamina piana e altri modelli, sono recentemente molto utilizzati nelle applicazioni commerciali per lottenimento di prodotti ad alto valore aggiunto a partire dalle microalghe. In particolare, il carotenoide astaxantina (un agente colorante somministrato in acquacoltura nellallevamento di salmoni), sintetizzato dalla microalga Haematococcus pluvialis (fig. 2C). Di fatto, i fotobioreattori chiusi sono stati lelemento dinteresse principale della maggior parte delle attivit di ricerca e sviluppo sulle microalghe negli ultimi due decenni. Sono stati studiati applicati alla riduzione dei gas serra durante gli anni Novanta in Giappone (Maeda et al., 1995; Usui e Ikenouchi, 1997) e pi recentemente negli Stati Uniti (Bayless et al., 2001; Olaizola, 2003). L importanza principale dei fotobioreattori chiusi rappresentata dalla loro supposta capacit di garantire produttivit molto pi alte di quelle che si ottengono in vasca aperta. Tuttavia non sono molti gli studi che hanno messo direttamente a confronto le performance dei fotobioreattori chiusi con quelle delle vasche allaperto. Recentemente, una sperimentazione di questo tipo stata condotta nel centro ricerche di Monterotondo (Roma) di EniTecnologie con fotobioreattori tubulari che operavano allesterno a fianco di vasche aperte utilizzando un gas di combustione simulato (Pedroni et al., 2004). Nel complesso, entrambi i sistemi hanno mostrato produttivit simili, espresse in grammi di biomassa secca prodotta per m2 di superficie al giorno. Infatti, non esistono ragioni teoriche o pratiche convincenti per cui vasche aperte e fotobioreattori chiusi non debbano avere le stesse produttivit se fatti funzionare nelle stesse condizioni. Una differenza costituita dalla temperatura che durante il giorno pi alta nei sistemi chiusi di quanto non sia nelle vasche aperte. Tuttavia, questo pu rappresentare tanto un problema quanto un vantaggio, poich necessario procedere al raffreddamento dei fotobioreattori nelle ore diurne mentre nelle vasche aperte il raffreddamento per evaporazione che limita le temperature (eccetto che nelle zone eccezionalmente umide). Unaltra possibile differenza che dai fotobioreattori chiusi c meno fuoriuscita, e quindi meno perdita, di CO2, ma ci comporta anche un accumulo molto maggiore di O2 con inibizione della crescita algale. Lo

scambio di gas il fattore limitante nella progettazione e nel funzionamento di questi sistemi chiusi (Weissman et al., 1988) e proprio uninsufficiente capacit di scambio gassoso stata la probabile causa del fallimento di diverse iniziative commerciali che utilizzavano i fotobioreattori per produzione di Spirulina e Dunaliella. Il limite maggiore dei fotobioreattori chiusi comunque il loro elevato costo capitale e operativo. La porzione in vetro (ovvero la copertura trasparente) rappresenta spesso solo una piccola parte del costo capitale complessivo, mentre il grosso dovuto alle dimensioni unitarie relativamente piccole di tali sistemi, che possono raggiungere al massimo solo poche centinaia di metri quadrati, risultando quindi pi piccole di oltre due ordini di grandezza rispetto alle dimensioni massime delle vasche allaperto. Ci significa che le apparecchiature di agitazione, gli scambiatori di gas, il rifornimento di nutrienti, i sistemi di raccolta e quelli di controllo devono essere tutti replicati e fatti funzionare centinaia di volte elevando i costi rispetto a un sistema costituito da ununica vasca allaperto. Il raffreddamento e la pulizia dei fotobioreattori chiusi rappresentano ulteriori e notevoli fattori di costo. I costi pi bassi pubblicati per i fotobioreattori sono nellordine dei 50 $/m2 (Tredici, 1999), circa dieci volte maggiori di quelli per le vasche allaperto (escludendo la raccolta della biomassa). Tuttavia, queste previsioni non considerano molte componenti importanti per cui le stime per i sistemi commerciali sono risultate molto pi elevate, generalmente ben oltre 100 $/m2. In breve, in considerazione della mancanza di particolari vantaggi, dei molti limiti e, cosa pi importante, dei loro costi elevati (oltre dieci volte maggiori di quelli delle vasche allaperto), i fotobioreattori chiusi non sono utilizzabili per la produzione di biocarburanti da microalghe e per la riduzione dei gas serra e neanche per il trattamento di acque reflue. La concentrazione pi alta di biomassa algale nei fotobioreattori chiusi, rispetto alle vasche allaperto, riduce i costi di raccolta della biomassa (v. par. 9.4.4), ma questo ripaga solo in piccola parte i costi (di capitale e totali) molto pi alti dei fotobioreattori chiusi rispetto a quelli delle vasche allaperto. Un vantaggio dei fotobioreattori chiusi in realt esiste: essi consentono la coltivazione di ceppi algali che non sarebbero coltivabili in vasche allaperto a causa di specie invasive o del sopravvento di altre specie di microalghe o di organismi che si cibano di alghe. Tuttavia, anche in questo caso il vantaggio dei fotobioreattori chiusi rispetto alle vasche allaperto inferiore a quanto si pensi generalmente: bench la contaminazione possa essere ritardata, prima o poi tali sistemi vengono contaminati da alghe invasive, rotiferi o altri organismi indesiderati. Per liberarsi da tali invasori necessario ripulire e riavviare il sistema, il che non sempre efficace e in generale pi complicato di quanto sia nelle vasche allaperto.

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I fotobioreattori chiusi per possono avere, e avranno, un ruolo importante nelle tecnologie per diminuire i gas serra: la produzione dellinoculo microalgale richiesto per le colture operate in vasche allaperto su larga scala. Nei siti di produzione di questi inoculi, i fotobioreattori chiusi non verranno fatti funzionare per ottenere la massima produttivit, ma per massimizzare la velocit di crescita, in modo da consentire la rapida formazione della coltura in condizioni che minimizzino la contaminazione. Labbondante preparazione di inoculi prodotti in condizioni controllate sarebbe un passaggio molto critico qualora si dovessero coltivare ceppi algali migliorati geneticamente, come quelli con un contenuto ridotto di pigmento antenna (v. sopra). Tali ceppi risulterebbero particolarmente suscettibili alla contaminazione e al sopravvento da parte di ceppi selvatici di microalghe e di altri fattori biologici. La crescita di un inoculo di questo tipo di ceppi, per sistemi di vasche allaperto su vasta scala, verrebbe effettuata in una successione di fotobioreattori chiusi di grandezza crescente e a costo per unit darea e complessit tecnica decrescenti: partendo dalle colture in laboratorio e procedendo aumentando progressivamente le dimensioni di circa dieci volte, da piccoli (da 1 a 10 m2) fotobioreattori chiusi e sterili, fino a fotobioreattori chiusi sempre pi grandi (da 100 a 1.000 m2 fino anche a 10.000 m2), ma progressivamente meno costosi (al m2). I pi grandi saranno vasche raceway rivestite internamente e probabilmente coperte, che producono linoculo finale usato poi per avviare le grandi vasche non rivestite allaperto, precedentemente descritte. Considerando che per una coltura di laboratorio sono necessari da sei a nove stadi di incremento (da circa 20 a 30 generazioni, ovvero da due a tre settimane di crescita), la produzione di un tale inoculo rappresenterebbe il 5% o meno dei costi di produzione totali. La produzione dellinoculo basata su una serie di fotobioreattori chiusi diverr una componente fondamentale nello sviluppo di sistemi di coltura intensiva di alghe per ridurre i gas serra che facciano uso di vasche allaperto, di ceppi di alghe geneticamente migliorati per alta produttivit e altre caratteristiche desiderabili. Va sottolineato che i fotobioreattori chiusi vengono spesso promossi come una tecnologia per la riduzione dei gas serra a prescindere. In Giappone, negli anni Novanta stato condotto un imponente programma di ricerca e sviluppo per ridurre i gas serra che ha coinvolto oltre due dozzine di laboratori industriali ed costato molte centinaia di milioni di dollari. Il suo principale obiettivo era lo sviluppo di fotobioreattori chiusi per la cattura di CO2 da centrali elettriche (Usui e Ikenouchi, 1997). In particolare, questo programma puntava allutilizzo di fotobioreattori a fibre ottiche, che erano state proposte come soluzione al problema della saturazione della luce (Karube et al., 1992). Tuttavia, come si notato in precedenza, questi sistemi richiedono lutilizzo di grandi

specchi concentratori, estremamente costosi, per catturare lenergia luminosa e trasferirla alle fibre ottiche, oltre a comportare altri problemi. Un progetto simile stato condotto recentemente negli Stati Uniti (Bayless et al., 2001) e ha anche ricevuto unaccoglienza favorevole sui giornali di divulgazione scientifica (Di Justo, 2005), essendo poi attuato con finalit commerciali per la cattura di CO2 e la produzione di oli algali. Ciononostante, tali tecnologie non sono applicabili alla riduzione dei gas serra. Anche i pi semplici fotobioreattori tubulari, bench molto pi economici di quelli a fibre ottiche, costano sempre pi delle vasche aperte di oltre un ordine di grandezza e non possono, come gi detto, essere presi in considerazione per applicazioni tese a ridurre i gas serra se non per la produzione di inoculi. Ciononostante, diverse industrie private negli Stati Uniti sono impegnate in attivit di ricerca e sviluppo in questo settore (Olaizola, 2003). Unimpresa di recente istituzione, affiliata al Massachusetts Institute of Technology (MIT), sta dimostrando lutilizzo, nei pressi di una piccola centrale elettrica nel campus del MIT, di fotobioreattori di vetro a forma triangolare con colonna a bolle (Vunjack-Novakovic et al., 2005. Sono progettati per catturare gli NOx e SOx, unitamente al CO2, dai gas di combustione di una centrale elettrica allo scopo di produrre oli algali che possono essere convertiti in biodiesel. In questi reattori con colonna a bolle, tuttavia, i coefficienti di trasferimento di massa sono troppo bassi e/o le richieste energetiche sono troppo alte (Miyamoto et al., 1988; Nagase et al., 2001) per tale applicazione, anche volendo ignorare gli aspetti economici decisamente sfavorevoli e lenorme numero di fotobioreattori che sarebbe necessario installare in pratica. In conclusione, i fotobioreattori chiusi hanno un ruolo importante, quasi critico, nelle applicazioni delle tecnologie con microalghe per la riduzione dei gas serra a produzione dellinoculo, in particolare per i ceppi di alghe selezionati per lelevata produttivit e altre caratteristiche favorevoli. Tuttavia, sono decisamente troppo costosi per quanto riguarda il costo sia capitale sia operativo, anche nelle condizioni pi favorevoli e non forniscono alcun vantaggio decisivo rispetto alle vasche allaperto. Dal momento che lutilizzo dei fotobioreattori non pu essere considerato lapproccio principale alla diminuzione dei gas serra mediante microalghe, nel resto di questo lavoro verranno prese in considerazione solo le colture in vasche allaperto.

9.4.4 Raccolta delle microalghe e conversione in carburanti


Raccolta della biomassa microalgale

La coltivazione di ceppi microalgali ad alta produttivit in vasche allaperto utilizzando CO2 da gas di com-

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SOSTENIBILIT

bustione provenienti da centrali elettriche o fonti simili solo il primo passo in un processo di riduzione dei gas serra. La biomassa algale deve essere poi raccolta e convertita in un carburante rinnovabile, il cui utilizzo possa sostituire i carburanti fossili (v. ancora fig. 3). La raccolta delle microalghe, cio la concentrazione delle microscopiche cellule algali dalle soluzioni diluite contenute nelle vasche di coltura intensiva, rappresenta un passaggio fondamentale e un limite nei processi di produzione. Solitamente, la concentrazione della biomassa microalgale nelle vasche allaperto solo di poche centinaia di milligrammi per litro di biomassa secca e anche le colture con produttivit molto elevata sono ben al di sotto di 1 g/l. La biomassa deve quindi essere concentrata di oltre 100 volte per raggiungere una densit sufficiente (almeno 50 g/l di biomassa e preferibilmente 100 g/l o oltre) a consentire il suo successivo processamento e conversione a biocombustibile. Negli anni sono stati sviluppati tre tipi principali di tecniche che verranno brevemente descritti di seguito: la centrifugazione, la filtrazione e la flocculazione, questultima seguita da sedimentazione o da flottazione ad aria disciolta. Sono stati studiati anche molti altri approcci, come le separazioni magnetiche ad alto gradiente o lo sfruttamento della capacit di nuotare di alcune alghe, che per non si sono rivelati praticabili e pertanto non verranno ulteriormente esaminati. La centrifugazione pu essere utilizzata per la maggior parte dei tipi di alghe bench sia sconsigliabile per quelle con cellule molto fragili, come Dunaliella. Il problema principale sono i costi molto alti, sia dacquisto sia operativi, delle centrifughe, ben oltre i 1.000 $/t (massa secca), troppo elevati per qualsiasi processo di riduzione dei gas serra e anche per lo smaltimento delle acque reflue. La centrifugazione pu essere presa in considerazione in un passaggio di raccolta secondario o finale al fine di aumentare le concentrazioni della biomassa, per esempio, da 10-20 g/l a 100-200 g/l (massa secca) che, richiedendo il trattamento di una quantit molto pi piccola di liquido, riduce i costi quasi in proporzione. Tale concentrazione secondaria stata proposta in diversi studi di ingegneria economica, possibilmente in associazione allestrazione di oli da biomasse algali con concentrazioni di olio particolarmente elevate (Benemann e Oswald, 1996). La filtrazione viene usata in campo commerciale per raccogliere Spirulina, una specie microalgale filamentosa e questo processo risulta relativamente a basso costo usando i cosiddetti microfiltri: filtri rotanti con un controlavaggio, filtri inclinati o vibrofiltri. In ogni caso, la filtrazione limitata a tipi di microalghe filamentose o che producono colonie di dimensioni tali da venir trattenute da filtri con pori superiori a 20 mm, mentre le microalghe unicellulari o che formano colonie pi piccole (solitamente di dimensioni inferiori a 20 mm) non

possono essere raccolte efficacemente con questi metodi. Infatti filtri con maglie pi strette impediscono il flusso dellacqua e si intasano rapidamente. La filtrazione richiede spesso anche un passaggio di concentrazione secondario, quale una filtropressa o una centrifugazione, prima dellulteriore processamento della biomassa. La filtrazione mediante menbrane (per es., cross-flow filtration) unaltra possibilit vantaggiosa in alcune applicazioni, ma troppo costosa per quelle di riduzione di gas serra. La flocculazione chimica, utilizzando calce, allume, cloruro di ferro e/o polielettroliti, il metodo pi generale e diffuso per raccogliere le microalghe, applicabile alla maggior parte dei ceppi. Essa sfrutta la carica negativa delle pareti cellulari che viene neutralizzata dallagente flocculante consentendo la formazione di grandi fiocchi che poi vengono recuperati per sedimentazione o per flottazione ad aria disciolta. Questultima opzione quella generalmente preferita perch, anche se un po pi costosa, produce una biomassa pi concentrata. La raccolta con flocculanti chimici usata in numerosi impianti di smaltimento delle acque reflue e in quelli di produzione commerciale di Dunaliella. Tali processi sono, tuttavia, ancora piuttosto costosi, sia per i flocculanti sia per loperativit, e non sarebbero applicabili in processi di riduzione dei gas serra a basso costo. Inoltre, il flocculante chimico pu interferire nel processamento della biomassa, nella digestione anaerobica o nel riciclaggio dei nutrienti. Molte microalghe, forse la maggior parte, sono in grado di bioflocculare. Questo fenomeno consiste nellaggregazione spontanea delle cellule algali in grandi fiocchi che si depositano poi abbastanza rapidamente (in base alla legge di Stokes, secondo cui la velocit di caduta in funzione del cubo del diametro del fiocco). Sfortunatamente, il processo di bioflocculazione non ancora ben conosciuto: dipende dalla produzione, da parte delle cellule algali, di polimeri che fanno aggregare le cellule tra loro. Che cosa inneschi il fenomeno della bioflocculazione non chiaro, ma viene spesso osservato in laboratorio, in natura e anche nelle vasche di trattamento delle acque reflue. Diversi fattori entrano in gioco: la specie di alga, persino il ceppo, e le condizioni ambientali; la scarsit di azoto e di altri nutrienti, infatti, favorevole alla bioflocculazione. Mancano tuttavia informazioni e studi specifici. In uno studio condotto sul lungo periodo in vasche di trattamento di acque reflue su scala pilota, sono state utilizzate due vasche ad alta velocit di 1.000 m2 e la coltura algale, dominata da Micractinium sp. (fig. 1A), veniva rimossa dalle vasche e lasciata riposare per 24 ore. A quel punto pi del 90% delle cellule di almeno una delle due vasche era andato incontro a flocculazione spontanea (Benemann et al., 1980). Tuttavia, questo studio non ha mai avuto seguito e sono necessarie ulteriori ricerche per poter trasformare

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questo fenomeno in una tecnologia affidabile ed efficace. La bioflocculazione seguita dalla sedimentazione per gravit (come operato nel processo a fanghi attivi nei convenzionali sistemi di trattamento delle acque reflue) certamente lopzione di raccolta a pi basso costo e rappresenta il sistema preferenziale applicabile ai processi di riduzione dei gas serra con microalghe. Costituisce pertanto il riferimento per la maggior parte delle analisi tecno-economiche in questo campo (Benemann e Oswald, 1996), anche se non ancora stata applicata in pratica. In conclusione, la raccolta della biomassa microalgale a basso costo resta una grande sfida per il settore di ricerca e sviluppo. Senza questa tecnologia non possibile raggiungere lobiettivo di applicare questi sistemi biologici nella riduzione dei gas serra e neppure al trattamento delle acque reflue. Tuttavia, esiste sufficiente esperienza per suggerire che la bioflocculazione, magari in combinazione con la centrifugazione, possa raggiungere gli obiettivi di costo per la riduzione dei gas serra. L ulteriore studio e lo sviluppo di questo processo rimangono un requisito fondamentale, unitamente alla produttivit e alla coltivazione controllata di specifiche specie algali, nello sviluppo di una tecnologia per produrre le microalghe che risulti pratica e a basso costo.
Conversione della biomassa algale in carburanti

Il passaggio finale in un processo di riduzione dei gas serra basato sulle microalghe la conversione della biomassa raccolta a carburante (v. ancora fig. 3). Questo forse il passaggio meno difficile, almeno rispetto alle difficolt pi rilevanti collegate alla produzione di biomassa concentrata (vale a dire con un minimo di massa solida tra il 5 e il 10%), di elevata produttivit e a basso costo. Lalto contenuto dacqua della biomassa raccolta rende impraticabile lessiccazione o qualsiasi processo di conversione termochimica (per esempio, combustione, gassificazione, pirolisi). L essiccazione al sole possibile in teoria, ma richiederebbe notevoli estensioni di terreno in pi (circa il 5-10% dellarea della vasca), il rivestimento in plastica dei letti in essiccazione e attrezzature particolari che in pratica non risulterebbero economiche. Aspetto ancora pi critico lelevato contenuto di azoto della biomassa algale che depone a sfavore di qualsiasi processamento termochimico, visto che ne risulterebbe uninaccettabile produzione di NOx e, cosa pi importante, la perdita di questa risorsa nutritiva essenziale. Quindi, bench in alcuni progetti sia stato suggerito luso della biomassa di microalghe come combustibile solido, anche come diretto sostituto del carbone (Matsumoto et al., 1995), questa opzione non viene ritenuta n pratica n realizzabile. E neppure lo quella di sottoporre a pirolisi la biomassa algale per produrre olio combustibile. Quindi, i processi di conversione a combustibile della biomassa microalgale si basano su

processi biologici, in particolare fermentazioni per produrre metano o etanolo o il metabolismo delle alghe stesse per ottenere oli e idrocarburi, utilizzabili nella conversione a biodiesel e per sviluppare idrogeno. Queste possibilit verranno discusse qui di seguito. Sono state condotte molte ricerche finalizzate alla produzione di metano (in realt biogas con una composizione di circa 50:50 CH4:CO2) dalla biomassa algale. Queste attivit sono soprattutto in relazione al lavoro sul trattamento di acque reflue usando le microalghe dal momento che la fermentazione per produrre metano (digestione anaerobica) una tecnologia ampiamente praticata in quel campo ed anche un mezzo potenzialmente a basso costo e con rendimenti elevati per recuperare energia dalla biomassa. La digestione anaerobica dei fanghi di acque reflue, sia quelli primari (acque di scarico sedimentate) sia quelli secondari (fanghi attivi sedimentati) viene effettuata negli impianti di trattamento in grandi contenitori dacciaio o di cemento. Di solito, questi vengono mantenuti sotto agitazione mediante ricircolo di liquido o di gas, riscaldati a temperature mesofiliche (30-40 C) o termofiliche (50-65 C), con un carico solido solitamente tra il 5 e il 10% e velocit idraulica di diluizione da 15 a 25 giorni. Si tratta di una tecnologia consolidata basata sulla naturale decomposizione anaerobica della biomassa. Tuttavia, nella digestione anaerobica della biomassa microalgale, appaiono evidenti due importanti questioni: molte microalghe, in particolare quelle verdi come Scenedesmus o Micractinium, che generalmente dominano nelle vasche ad alta velocit di trattamento delle acque reflue, sono piuttosto resistenti alle fermentazioni anaerobiche, il che implica basse rese e/o richiede tempi di fermentazione pi lunghi; lelevato contenuto di azoto della massa microalgale, solitamente l8-10% del peso secco della materia organica, produce livelli molto alti di ammoniaca nel fermentatore, che provocano alla fine linibizione del processo e, quindi, bassi rendimenti in termini di metano prodotto, anche allungando i tempi di fermentazione. Questi due fattori possono essere affrontati con strategie combinate di pretrattamento della biomassa (per esempio, trattamento termico), tempi di fermentazione pi lunghi, adattamento della popolazione batterica a elevati livelli di ammoniaca e codigestione con biomassa contenente livelli di azoto inferiori. Le fermentazioni pi lunghe richiedono fermentatori meno costosi e a questo scopo i reattori di terracotta coperti e rivestiti in plastica, gi utilizzati nella digestione del concime animale, appaiono economici ed efficienti dal momento che il basso costo per unit di volume consente una ritenzione pi lunga della biomassa. Un approccio complementare consiste nel coltivare biomassa algale a minor contenuto di azoto, che consente una maggiore digeribilit e un minor effetto

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inibente dellammoniaca. Daltra parte, i cianobatteri come Spirulina, o le specie che fissano lazoto, vengono facilmente fermentati a gas metano anche se, come gi sottolineato, il loro elevato contenuto in azoto causa inibizione da ammoniaca. Come gi dichiarato, a ci si pu ovviare aggiungendo rifiuti a basso tenore di azoto (rifiuti alimentari o residui agricoli), facendo adattare le colture batteriche, o, di nuovo, coltivando biomassa a basso tenore dazoto. In conclusione, la produzione di metano dalla biomassa di microalghe tecnicamente ed economicamente fattibile, ma richiede ancora un certo investimento nel settore della ricerca e sviluppo per migliorarne le rese e lefficienza complessiva. Rispetto alla digestione anaerobica, ben poco lavoro stato fatto sulle fermentazioni a etanolo della biomassa algale. La ragione che le fermentazioni a etanolo, solitamente ottenute con il lievito, sono limitate a zuccheri, amidi e carboidrati simili facilmente fermentabili. Tipicamente le microalghe contengono solo il 20% circa o meno di tali carboidrati, presenti sotto forma di amido nelle alghe verdi e di glicogeno nei cianobatteri. Affinch la produzione di etanolo sia praticabile, necessaria una biomassa algale con un alto contenuto in carboidrati fermentabili, preferibilmente superiore al 60% del peso secco. Questo accumulo cos elevato di amido o di glicogeno si osserva solo in condizioni di limitazione di azoto, in cui la crescita cellulare ridotta e buona parte, o anche la maggior parte, del CO2 fissato fotosinteticamente immagazzinato sotto forma di riserve. Il problema quindi se sia possibile ottimizzare un alto contenuto in carboidrati con unelevata produttivit (ovvero fissazione di CO2) sfruttando la limitazione di azoto. In sintesi, da esperimenti di laboratorio condotti con colture batch per brevi periodi sembra che una riduzione del contenuto di azoto fino al 50% non riduca necessariamente la produttivit in modo significativo. Infatti, poich uno dei primi effetti della limitazione di azoto la riduzione del contenuto di pigmento (come risulta evidente dallo scolorimento delle cellule), in condizioni di limitazione di azoto pu anche essere possibile un aumento della produttivit (si veda la discussione precedente sulla relazione tra pigmenti antenna e produttivit). Queste osservazioni devono ancora essere dimostrate e applicate alle colture operate in vasca allaperto. In conclusione, la limitazione di azoto uno strumento fondamentale nella produzione di biomassa algale con elevato contenuto di carboidrati (o di oli, v. oltre) e nel possibile miglioramento delle modalit per raccoglierla e digerirla, come detto precedentemente. Gli altri principali combustibili ottenibili dalle microalghe sono quelli che le alghe possono produrre da s: oli, sia vegetali sia idrocarburi, quanto idrogeno. La produzione di idrogeno stata trattata dettagliatamente in altra sede (v. cap. 4.3) e non sar quindi ulteriormente discussa. La produzione di oli e idrocarburi combustibili a opera

delle microalghe stata un importante obiettivo delle attivit di ricerca e sviluppo, in particolare nellambito dellAquatic Species Program sponsorizzato dal Department of Energy statunitense nel periodo 1980-95 (Sheehan et al., 1998). L interesse in questo campo risale agli anni Quaranta, quando si osserv che in condizioni particolari di limitazione di azoto alcune alghe verdi presentavano un contenuto molto alto di oli vegetali (trigliceridi) superiore al 50%, e talvolta anche all80%, del peso secco totale della biomassa. Anche se alcuni dei valori pi alti possono non essere credibili, certamente alcuni ceppi algali, soprattutto tra le alghe verdi e le diatomee, accumulano grandi quantitativi di trigliceridi di riserva, cos come altre specie, o talvolta anche ceppi della stessa specie, accumulano amido. Come nel caso della produzione di carboidrati, laspetto centrale la relazione tra accumulo di oli e produttivit. Anche qui, possibile ottenere una produttivit relativamente alta in laboratorio, ma solo in colture non continue (Tillett e Benemann, 1987) e lottenimento di questi risultati con colture intensive resta ancora da dimostrare. Inoltre, importante sottolineare che limmagazzinamento di carboidrati metabolicamente pi efficiente dellimmagazzinamento di trigliceridi e quindi preferibile. Tuttavia, la scelta tra alghe ricche in carboidrati fermentabili (per fermentazioni a etanolo) o in oli vegetali (per la conversione a biodiesel) secondaria ai problemi di produttivit, controllo delle colture e raccolta della biomassa. In ogni caso, entrambe le opzioni richiedono notevoli investimenti nel settore di ricerca e sviluppo. Recentemente, le microalche sono state accreditate come fonti di olio ad alto rendimento, in grado di produrre centinaia di barili di biodiesel per ettaro allanno (Huntley e Redalje, 2006). Tuttavia queste affermazioni devono essere ridimensionate essendo basate su errate proiezioni di produttivit ipotetiche, e anche teoriche (per es., Benemann e Oswald, 1996). Assommando tali errori, nel citare studi poco credili e nel presentare analogie false con attivit commerciali fallite, e inoltre proponendo i fotobioreattori come componenti maggiori o anche prevalenti in tali processi (Vunjak-Novakovic et al., 2005), si giunge facilmente a sostenere che la produzione algale di biodiesel prossima alla convenienza economica. Cos, malgrado le molte attivit commerciali in questo campo, tutte ammantate di grande secretezza ma in attesa di stupefacenti riduzioni dei costi e alti rendimenti, la produzione di biodiesel algale, al di fuori delle applicazioni per il trattamento delle acque reflue, richiede ancora un grande sforzo di lungo termine in ricerca e sviluppo, la cui riuscita non poi cos certa. Uninteressante possibilit per la produzione di olio da parte delle microalghe costituita dallalga verde Botryococcus braunii, una specie che anche in normali condizioni di crescita (vale a dire senza limitazioni di

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azoto) contiene fino al 50% in peso di idrocarburi puri (da 26 a 40 C circa e qualche insaturazione), una potenziale fonte di combustibili e lubrificanti particolari (Metzger e Largeau, 2005). Infatti, le fioriture naturali di queste alghe, che arrivavano a riva, in Australia venivano gi usate un secolo fa come combustibile. Alcuni depositi di oli contengono idrocarburi derivati da molecole prodotte da queste alghe. Ceppi raccolti in luoghi diversi appartengono a tipi differenti, ciascuno caratterizzato dal suo corredo di molecole che sono state ampiamente studiate negli ultimi due decenni. Resta un mistero il perch questa specie produca, nellambito del suo normale metabolismo, quantit cos elevate di idrocarburi che non vengono utilizzati come riserva di energia o di carbonio. La coltura intensiva di queste alghe stata proposta per la produzione su larga scala di combustibile rinnovabile (Benemann e Oswald, 1996), come quella immaginata dallAquatic Species Program statunitense. Eppure, i progressi nella coltura intensiva di B. braunii sono stati esigui se non nulli, soprattutto a causa della crescita molto lenta di queste specie, con tipici tassi di raddoppio da 3 a 7 giorni (rispetto a quelli di alcune ore di molte altre alghe). plausibile che la ragione delle velocit di crescita lente sia la notevole quota di energia metabolica destinata alla produzione di idrocarburi in gran quantit. Ci rende questa microalga non competitiva nelle colture intensive allaperto, dato che altre specie, non altrettanto gravate da tale carico metabolico, crescono molto pi in fretta, prevalendo presto nella vasca. Tuttavia, questo non impedisce necessariamente lutilizzo di B. braunii in colture intensive per la riduzione dei gas serra. Come si fatto notare in precedenza, si pu ricorrere ai fotobioreattori chiusi per produrre linoculo necessario per le colture intensive in vasche allaperto anche per ceppi che non siano molto competitivi fra quelli di tipo selvatico. Inoltre, una velocit di crescita massima bassa non necessariamente correlata a una bassa produttivit in vasche a elevata densit di alghe in cui la velocit di crescita determinata dalla velocit di diluizione idraulica imposta, e non alla relativa velocit massima di divisione cellulare. La coltura intensiva di B. braunii costituisce un obiettivo a lungo termine della tecnologia che utilizza le microalghe per la produzione di combustibili rinnovabili e la riduzione dei gas serra. In ogni caso, la sola produzione di combustibili rinnovabili dalla biomassa algale non si giustifica economicamente, almeno nellimmediato futuro, anche considerando i benefici derivanti dalla riduzione dei gas serra associati a tali processi e il recente aumento di costo dei combustibili fossili: la biomassa ottenuta da piante superiori molto pi economica. Infatti, la biomassa lignocellulosica disponibile a molto meno di 100 $/t e amido o zuccheri costano poco pi di 100 $/t mentre nella migliore delle ipotesi, nel breve o medio termine (vale a dire meno di 20 anni), la biomassa algale

continuer a costare molto di pi, prima della conversione a combustibili. Perci la produzione di combustibili rinnovabili dalle microalghe deve essere associata ad altri servizi ambientali quali coprocessi di trattamento delle acque reflue, o coproduzione di altri prodotti, come di seguito discusso.

9.4.5 Processi multiuso con microalghe per la riduzione dei gas serra
Trattamento di acque reflue urbane e utilizzo del CO2

Negli Stati Uniti e in molte altre nazioni le acque reflue urbane sono spesso trattate con le cosiddette vasche di ossidazione. Si tratta di vasche relativamente profonde (meno di 60 cm), che non vengono agitate meccanicamente. Negli Stati Uniti, in effetti, il numero di impianti di trattamento delle acque reflue che utilizzano tali vasche con microalghe superiore a quello degli impianti che utilizzano qualsiasi altra tecnologia. Tuttavia, la maggior parte di questi sistemi, se non tutti, sono di piccole dimensioni, tipicamente servono solo poche migliaia, o anche solo alcune centinaia, di persone e nellinsieme trattano soltanto una piccola frazione del totale delle acque reflue urbane. In queste vasche si effettua sia il processo primario di trattamento (decantazione dei materiali solidi) sia quello secondario (riduzione del fabbisogno biologico di O2, Biological O2 Demand, BOD). La funzione principale delle microalghe la produzione dellO2 disciolto necessario ai batteri per decomporre i rifiuti organici. Nei trattamenti convenzionali di acque reflue, come i sistemi a fanghi attivi, a questo scopo si inietta aria nei rifiuti con dispendi energetici e costi significativi (circa 1 kWh di elettricit per chilo di O2 trasferito). Approssimativamente, 1 kg di O2 equivale a 1 kg di biomassa algale che produce, attraverso la digestione anaerobica, tanto combustibile rinnovabile quanto ne consuma il processo convenzionale a fanghi attivi. Semplificando, si pu dire che il trattamento di acque reflue con microalghe produce la stessa quantit di combustibile rinnovabile di quella che un trattamento convenzionale di acque reflue consuma in combustibile fossile, con potenziale doppio di riduzione di gas serra: evitando luso di combustibili fossili e producendo combustibile rinnovabile che sostituisce combustibili fossili. I processi avanzati per il trattamento delle acque reflue utilizzano vasche raceway con agitazione ad alta velocit che producono molta pi biomassa algale per area unitaria e quindi anche pi O2 rispetto alle vasche convenzionali, consentendo in tal modo carichi maggiori (volume di acque reflue preso in carico per ettaro al giorno). Comunque, in entrambi i casi (vasche di ossidazione o vasche ad alta velocit), il fattore fondamentale resta

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il costo elevato della raccolta della biomassa algale mediante flocculazione chimica, come gi detto in precedenza. La raccolta mediante bioflocculazione sarebbe preferibile per via dei costi contenuti, ma ci richieder molto probabilmente lo sviluppo di tecniche per la coltura intensiva di specifici ceppi algali che siano in grado di bioflocculare bene nelle vasche per il trattamento di acque reflue, anche nel caso di vasche dossidazione ad alta velocit di scarico. Tale tecnica, finora ancora intentata, costituisce oggetto di ricerca futura. Inoltre, in queste vasche per il trattamento di acque reflue la produttivit limitata dalla mancanza di CO2 che per il momento non utilizzato in tali processi. Ci rappresenta unaltra opportunit per ulteriori sviluppi tecnologici. Dopo leliminazione dei solidi in sospensione e del BOD, leliminazione dei nutrienti (soprattutto N e P) per raggiungere il livello di trattamento terziario rappresenta sia una grande necessit sia anche una notevole potenzialit per le tecnologie che utilizzano le microalghe nel trattamento delle acque reflue. Questo perch la rimozione delle sostanze nutritive con le tecnologie convenzionali molto costosa, e ad alto consumo energetico, mentre le microalghe possono eliminare i nutrienti a costi aggiuntivi relativamente bassi rispetto al solo trattamento secondario. Pertanto, la rimozione dei nutrienti richiede il rifornimento di CO2 la cui carenza, a dire il vero, limita gi il trattamento secondario. L aggiunta di CO2 migliorerebbe decisamente il processo di coltivazione algale nel trattamento delle acque reflue aumentando sia la produttivit sia laffidabilit del processo, consentendo la coltivazione di ceppi algali specifici e selezionati e, plausibilmente, unefficace raccolta della biomassa attraverso la bioflocculazione. Poich le alghe verrebbero fatte crescere al limite di azoto presente nelle acque reflue, verrebbe prodotta una biomassa algale relativamente povera in azoto che permetterebbe anche leliminazione di tutto il fosforo presente nelle acque reflue. Come discusso precedentemente, questa biomassa sarebbe inoltre ricca in carboidrati o forse anche in oli. Se questa biomassa fosse sottoposta a digestione anaerobica (fermentazioni a metano) e se il biogas prodotto fosse usato per generare elettricit, il gas di combustione fornirebbe tutto il CO2 necessario, dal momento che le acque reflue contengono quantit di carbonio sufficienti a compensare eventuali perdite. Infatti, tale quantit di carbonio accessibile in tipiche acque reflue provenienti da un simile processo tanto da consentire anche lesportazione di considerevoli volumi di biocombustibili, come biocombustibili liquidi (per es., biodiesel o etanolo). I due fattori principali da tener presente in questi processi sono la variabilit stagionale, in particolare della produttivit, che incide sulla performance del trattamento delle acque reflue, la variabilit in nutrienti nelle acque reflue, cio la quantit di azoto e fosforo, e il loro rapporto reciproco. I livelli di azoto e fosforo nella biomassa

algale possono variare significativamente, pi di tre volte per il fosforo (dallo 0,4 all1,2%) e solo un po meno per lazoto (dal 4 al 10%), con possibili rapporti N:P stimati variare da circa 4 a oltre 20 volte. Questo lintervallo di valori di azoto e fosforo nella biomassa e dei rapporti reciproci che si ritiene consentano alte produttivit, ma resta da determinare sperimentalmente quale sia lintervallo effettivo. In ogni caso, un requisito importante di questi processi di trattamento delle acque reflue per eliminare i nutrienti che consentono notevoli adattamenti sia alle variazioni stagionali della produttivit sia alla composizione delle acque reflue. Nel trattamento delle acque reflue con aggiunta di CO2 sopra descritto i prodotti che si ottengono in uscita sono acqua rigenerata, biogas (metano) combustibile, eventualmente biodiesel o etanolo, e residui del fermentatore anaerobico. Questi ultimi possono essere utilizzati come fertilizzanti per terreni agricoli bench, se classificati come fanghi di depurazione, negli Stati Uniti non avrebbero i requisiti per essere considerati biofertilizzanti organici, il che invece ne determinerebbe un prezzo migliore. Le acque reflue urbane, a causa della loro variabilit e della potenziale presenza di contaminanti tossici, non consentono la produzione di coprodotti aggiuntivi, quali mangimi o biopolimeri. Ciononostante, si reputa che gli aspetti economici del trattamento delle acque reflue urbane mediante luso di vasche ad alta velocit siano favorevoli anche in confronto ai processi secondari convenzionali (vale a dire i fanghi attivi) e che possano essere ancor pi vantaggiosi per il trattamento terziario (rimozione dei nutrienti; Eisenberg et al., 1981; Green et al., 1994). Comunque, devono ancora essere effettuati studi dettagliati sui costi ingegneristici per siti specifici allo scopo di quantificare lentit di questi vantaggi. Inoltre, sono necessarie attivit di ricerca e sviluppo per dimostrare leffettiva possibilit di ottenere il trattamento terziario con un processo basato sulle microalghe che sia al contempo economico e ad alta produttivit. Il processo di trattamento delle acque reflue fertilizzato da CO2 utilizzando vasche ad alta velocit consentirebbe di raggiungere il trattamento terziario con un impatto molto minore (in termini di necessit di terreno) rispetto alle attuali tecnologie a vasche convenzionali, che raggiungono al massimo solo i livelli di trattamento secondario. Con questi sistemi si potrebbero generare rese energetiche nette in uscita e un residuo ricco in nutrienti adatto come fertilizzante. Lo sviluppo di un tale processo rappresenta una delle maggiori priorit in questo settore.
Trattamento di acque reflue agricolo-industriali e riciclaggio dei nutrienti

Questi processi sono simili al trattamento delle acque reflue urbane descritto in precedenza: consistono infatti

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nella coltivazione di microalghe in acque reflue agricole e industriali aventi un contenuto in nutrienti (N, P, ecc.) sufficiente a consentire il trattamento secondario (rimozione di BOD) e il trattamento terziario (rimozione dei nutrienti). La differenza principale la natura dei rifiuti che rispetto alle acque reflue urbane sono generalmente pi definiti, meno variabili e meno soggetti alla presenza di contaminanti tossici. Le acque reflue agricole hanno inoltre una marcata stagionalit, sono spesso in quantit inferiore e sono pi disperse di quelle urbane. Inoltre il loro trattamento non sempre una priorit. Tuttavia, con lintensificazione dellagricoltura (in particolare allevamenti suini e impianti lattiero-caseari su vasta scala che producono grandi volumi di rifiuti liquidi relativamente diluiti), il trattamento delle acque reflue delle stalle diventato un problema importante e unopportunit per applicare le tecnologie che utilizzano le microalghe per la rimozione dei nutrienti. Unapplicazione correlata il trattamento delle acque reflue in acquacoltura. Per esempio, nel Sud degli Stati Uniti diverse decine di migliaia di ettari di vasche di pesce gatto producono grandi quantit di rifiuti che vengono trattati in situ mediante intensa aerazione meccanica. Dal momento che questi sistemi di acquacoltura utilizzano gi vasche per allevare il pesce, le vasche con alghe per il trattamento dei rifiuti costituiscono unaggiunta relativamente semplice. Un processo di questo tipo (Partitioned Aquaculture System), che utilizza vasche raceway con miscelazione mediante ruote a pale, stato sviluppato alla Clemson University, South Carolina (USA), per il trattamento e il ricircolo dellacqua proveniente dalle vasche dei pesci (Brune et al., 2003a). In questo processo, la densa coltura algale prodotta nelle vasche raceway viene indirizzata verso i recinti che contengono i pesci in modo da farle portare via i rifiuti e contemporaneamente fornire O2 per i pesci. Questi a loro volta favoriscono, tramite la filtrazione branchiale, la flocculazione delle alghe e ne permettono la facile raccolta per sedimentazione. La mitigazione dei gas serra correlata al processo algale potrebbe maturare a seguito del consumo evitato di energia degli aeratori di superficie attualmente usati in questo tipo di industria e inoltre per lottenimento di biogas dalla biomassa algale raccolta. Questa pu anche essere utilizzata per ridurre la quantit di mangime da dare ai pesci, migliorando ulteriormente leconomia del processo ma anche il bilancio dei gas serra, in quanto la produzione convenzionale dei mangimi per animali d luogo a notevoli emissioni di tali gas. Un processo simile attualmente oggetto di studio allo scopo di eliminare i nutrienti nel Salton Sea, in California (v. oltre). Potenzialit anche maggiori dei rifiuti dellacquacoltura le hanno i rifiuti animali, in particolare quelli provenienti da allevamenti di suini e da caseifici, alcuni dei quali producono correnti di rifiuti equivalenti, in

termini di BOD e contenuto in nutrienti, a quelle generate da piccole cittadine. La permanenza di tali rifiuti in acqua e sul terreno sempre pi ristretta per il rischio di contaminazione delle falde idriche. Daltra parte, il loro spostamento dal sito di generazione impraticabile data la loro natura diluita. Le vasche di microalghe possono essere utili per eliminare i nutrienti da queste acque reflue e per concentrarli in una biomassa che pu poi essere trasportata in un sito pi distante per applicazioni sul terreno, mentre al contempo si genera biocarburante e si abbattono le emissioni di gas serra. Come nel caso delle acque reflue urbane, anche il trattamento delle acque reflue di origine animale limitato dalla disponibilit di CO2. Il rifornimento di CO2 incrementerebbe sia la produttivit algale, sia lefficacia del trattamento, consentendo probabilmente il controllo delle specie algali e la raccolta mediante bioflocculazione. Il controllo sulle specie algali permetterebbe inoltre di utilizzare la biomassa come mangime per gli animali, il che migliora leconomia di questi processi altrimenti meno vantaggiosi di quelli per il trattamento delle acque reflue urbane. Le alghe essiccate verrebbero usate come mangime di alta qualit per i polli, le alghe umide come nutrimento per i suini, mentre le alghe sotto forma di pellet possono acquisire valore quando addizionate ad alimenti per i ruminanti e utilizzati in acquacoltura. La pratica fattibilit di questo processo rimane tuttavia da dimostrare.
Produzione di biofertilizzanti

Una delle principali fonti di emissione di gas serra al mondo la produzione di fertilizzanti azotati che utilizza combustibili fossili mediante il processo di HaberBosch. Negli Stati Uniti, dove a questo scopo si usa gas naturale, vengono emessi oltre 3 kg di CO2 per ogni kg di fertilizzante azotato prodotto (West e Marland, 2002). In alcune nazioni, per esempio la Cina, come combustibile fossile si usa il carbone e le emissioni sono di conseguenza molto pi alte. Bench i fertilizzanti fosfati richiedano poco combustibile fossile per lestrazione e la successiva produzione, il trasporto pu determinare emissioni totali pari a circa 1 kg di CO2/kg di fosforo consegnato allazienda agricola. Dato che nella biomassa algale N e P hanno un contenuto rispettivamente del 10 e dell1%, ci equivale ad abbattere circa 0,3 kg di CO2/kg di biomassa algale se lazoto e il fosforo di questa biomassa vengono riutilizzati in agricoltura. In confronto, la biomassa di microalghe (tipicamente al 45% di C) potrebbe abbattere circa 0,6 kg di CO2 se venisse convertita a biogas e usata come combustibile rinnovabile in sostituzione del gas naturale fossile. Recuperando e utilizzando tali quantitativi di fertilizzanti nella biomassa di microalghe si potrebbe aumentare la riduzione dei gas serra del 50% o pi. Inoltre, il valore economico di questi nutrienti e i benefici ambientali del loro recupero sarebbero equiparabili o superiori a quelli dei

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biocarburanti. Perci, il riutilizzo dei nutrienti dai processi di trattamento delle acque reflue di origine urbana o agricola sopra descritti rappresenta un obiettivo centrale per qualsiasi processo di abbattimento dei gas serra che utilizzi le microalghe. Il problema fare arrivare questi nutrienti alle colture, dopo la fermentazione a metano. Assumendo che vi sia un 10% di carica solida nel fermentatore anaerobico, il contenuto in azoto nelleffluente solo l1% in peso (la maggior parte di esso sotto forma di ammoniaca) e il rimanente per circa il 95% acqua. Ci limita le possibili distanze di trasporto e richiede di integrare quanto pi da vicino il trattamento delle acque reflue con le pratiche agricole. I sistemi di irrigazione offrono un metodo rapido per la distribuzione di questi fertilizzanti. Ovviamente, la concentrazione di azoto negli effluenti del fermentatore diverse centinaia di volte pi alta che nelle acque reflue municipali, e anche oltre dieci volte che in alcune acque reflue di origine animale, il che trasforma i processi di trattamento mediante microalghe in un efficiente meccanismo di concentrazione e recupero dei nutrienti. Laggiunta di CO2 in questi processi rende lazoto il successivo nutriente limitante e assicura che lazoto, o almeno la sua frazione biologicamente disponibile, sia di fatto completamente eliminato ottenendo unacqua rigenerata di elevata qualit. Il miliardo e pi di metri cubi di acque di scolo di origine agricola che annualmente si riversa nel Salton Sea, nella California meridionale rappresenta un esempio pratico di applicazione su vasta scala delle vasche di microalghe nel recupero di nutrienti. Queste acque reflue contengono circa 1.000 t di fosforo (sotto forma di fosfati) e dieci volte tanto di azoto (per lo pi nitrati). Leliminazione dei nutrienti da queste acque di scolo mediante colture di microalghe eviterebbe leutrofizzazione del Salton Sea, producendo circa 100.000 t di biomassa algale. Assumendo una produttivit annua di circa 100 t di biomassa secca/ha (lobiettivo del Network), sarebbero necessari circa 1.000 ettari di vasche. Tale processo appare economicamente fattibile, poich acqua, nutrienti e terreno sono gratuiti e le condizioni climatiche sono favorevoli (Benemann et al., 2002; Brune et al., 2003b). Si potrebbero prendere in considerazione altre opportunit per sistemi di recupero di nutrienti su vasta scala, ma in genere tali sistemi sono di dimensioni pi modeste, al massimo da alcune decine a qualche centinaio di ettari. In alcuni casi, leliminazione del fosforo limitata dallazoto presente nelle acque reflue. I cianobatteri eterocistici azoto-fissatori, quali Anabaena e Nostoc possono essere in alcuni casi utilizzati nello stadio finale di ripulitura per eliminare il fosforo (Weissman et al., 1978). Questi cianobatteri sono anche stati proposti nella produzione di fertilizzanti (Benemann et al., 1980). Hanno una produttivit di circa un terzo inferiore rispetto alle colture che non fissano lazoto per via dellelevata

energia metabolica richiesta per questa reazione. Dati i livelli di emissione di CO2 liberati durante la produzione di fertilizzanti azotati sintetici (discussi prima), la fissazione di azoto per produrre fertilizzanti e la fissazione di CO2 per produrre carburanti sono pi o meno equivalenti dal punto di vista dellabbattimento dei gas serra. Gli aspetti economici relativi a questi processi di fissazione dellazoto devono ancora essere valutati, ma il recente interesse per lagricoltura biologica, che crea la domanda di fertilizzanti biologici a prezzi favorevoli, li rende di particolare interesse nellimmediato futuro. I costi in rapida ascesa dei fertilizzanti sintetici, che riflettono il prezzo in aumento dei combustibili fossili, rendono tali approcci interessanti anche nel lungo termine. Come gi sottolineato in precedenza, la natura filamentosa dei cianobatteri eterocistici consente di raccoglierli facilmente mediante filtrazione. In teoria, la produzione di microalghe fissatrici di azoto come fertilizzanti potrebbe quindi risultare davvero a basso costo, in particolare per lagricoltura irrigua e per le risaie, dove terreno, acqua e nutrienti sono gi disponibili ed solo necessaria una fonte di CO2. stato stimato che un ettaro di vasche algali potrebbe produrre fertilizzante azotato sufficiente per oltre 25 ettari coltivati a riso o a mais, oltre che a produrre biocarburanti per lagricoltura o per uso locale. La biomassa microalgale in grado di fissare azoto, cresciuta in vasche ad alta velocit, pu anche essere applicata direttamente ai campi irrigati o, applicazione forse pi promettente, come abbondante inoculo alle risaie dove ci si pu aspettare che le microalghe si moltiplichino diverse volte in situ e producano abbondante fertilizzante azotato. Ci consentirebbe un rapporto dimensionale tra risaia e vasca agale di oltre 100. Questa tecnologia deve ancora essere sviluppata, ma in teoria piuttosto promettente. In passato si tentato di inoculare dei campi di riso con cianobatteri azoto-fissatori, ma con scarso successo. Tuttavia, in quei casi le alghe venivano fatte crescere a distanza, essiccate e inoculate nei campi di riso solo in piccole quantit. Il processo proposto molto diverso: prevede la produzione sul posto di biomassa algale in quantit relativamente abbondanti che consentono un massiccio inoculo di risaie con colture in attiva crescita. In conclusione, il recupero e il riutilizzo di fertilizzante, e persino la sua produzione de novo, potrebbero diventare una delle principali applicazioni pratiche delle microalghe a livello globale e contribuire significativamente alla riduzione dei gas serra. Le applicazioni pi immediate sarebbero probabilmente nella produzione di fertilizzanti di qualit per lagricoltura biologica nei paesi sviluppati e nella fertilizzazione delle risaie in quelli in via di sviluppo. A lungo termine, i fertilizzanti da microalghe potrebbero svolgere un ruolo importante nel ciclo globale dellazoto, che deve cambiare da processo a senso

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unico che utilizza fertilizzanti sintetici, basati sui combustibili fossili, a un processo di riciclo di azoto e fosforo e di fissazione biologica dellazoto.
Biopolimeri e altri coprodotti

Nei processi sopra descritti, i biocarburanti, il trattamento delle acque reflue, lacqua rigenerata, i biofertilizzanti e in qualche modo i mangimi per animali sono i prodotti e i coprodotti da cui deriva la riduzione dei gas serra. Unaltra alternativa per ottenere la mitigazione dei gas serra di combinare la produzione di biocarburanti mediante microalghe con coprodotti ad ampio mercato ed elevato valore economico (superiore a quello dei biocarburanti). Questo approccio comparabile allidea di bioraffineria per convertire amido e zuccheri, ottenuti da raccolti convenzionali, in prodotti che includono carburanti (per esempio, etanolo), mangimi e coprodotti di valore elevato quali lacido polilattico, utilizzato per produrre un polimero biodegradabile. Ovviamente, va riconosciuto che i processi con microalghe non sono in grado di competere con quelli basati sulla conversione di zucchero o amido di piante a buon mercato, soprattutto canna e mais. Quindi lutilizzo di microalghe deve generare coprodotti di valore elevato ottenuti dalle alghe tramite il loro stesso metabolismo, evitando il processamento e i passaggi fermentativi piuttosto costosi di una bioraffineria. Laltro requisito che questi coprodotti devono avere mercati sufficientemente ampi da determinare una riduzione significativa dei gas serra. Tali prodotti non comprendono quelli forniti dalle microalghe per la nutrizione umana come i carotenoidi, il principale risultato della corrente tecnologia commerciale microalgale. Possibili coprodotti sono le bioplastiche, soprattutto i polimeri di PHA (poliidrossialcanoato), gi prodotti commercialmente mediante fermentazioni batteriche e che fungono da composti di riserva in molti batteri, tra cui i cianobatteri (Asada et al., 1999). I cianobatteri contengono fino al 10% di PHB (poliidrossibutirrato) e dovrebbe essere possibile produrre cianobatteri in quantitativi molto maggiori e dotati di catene laterali modificate, pi adatte per bioplastiche funzionali. Sono gi stati citati precedentemente gli idrocarburi prodotti da B. braunii che potrebbero essere frazionati per dare lubrificanti di elevato valore, oltre al combustibile. Altri prodotti delle microalghe con un mercato considerevole sono i polisaccaridi usati come agenti flocculanti, emulsionanti o gelificanti da utilizzare in campo alimentare o industriale che vengono gi prodotti su vasta scala dalle alghe marine. Ne sono un esempio le carragenine, prodotte anche da microalghe rosse, che sono state brevettate negli anni settanta per il recupero terziario di oli (Savins, 1978). La sostituzione dei biopolimeri sintetici con prodotti derivati dalle microalghe potrebbe determinare una certa riduzione dei gas serra. Tuttavia, il principale beneficio di questi coprodotti sarebbe il miglioramento

delleconomia complessiva di questi processi. Infatti, le bioplastiche e i polisaccaridi funzionali sarebbero stimati 1.000 $/t rispetto ai circa 100 $/t per la produzione di combustibile. Se anche una modesta frazione, per esempio il 20%, della biomassa algale rappresentasse il prodotto a pi elevato valore, ci giustificherebbe la produzione di biomassa algale, con biocombustibili ottenuti dalla biomassa residua. In questa discussione si assunto implicitamente che la produzione della biomassa microalgale finalizzata esclusivamente alla generazione di biocarburanti non risulti economicamente competitiva e pertanto sia necessario associare applicazioni economicamente pi convenienti come il trattamento di acque reflue o la produzione di mangimi, di biofertilizzanti o di biopolimeri. Ovviamente, tali processi multifunzionali restringerebbero la dimensione, lo scopo e le potenzialit complessive di riduzione dei gas serra da parte dei processi basati sulle microalghe. Pertanto, questo assunto di base viene trattato nella sezione seguente.

9.4.6 Aspetti economici e tematiche di ricerca e sviluppo


stata precedentemente fatta una panoramica (v. par. 9.4.3) degli aspetti critici relativi allingegneria dei sistemi a vasche ad alta velocit agitati con ruote a pale, applicati alla produzione di biomassa microalgale. Si affermato che il costo capitale e quello operativo di tali sistemi sarebbero proibitivi per la sola produzione di biocarburanti, con costi capitali stimati pari, o superiori, a 100.000 $/ha in base a precedenti analisi di costo (questi valori sono stati rivisti, aggiornati e ampliati pi recentemente da Benemann e Oswald, 1996, e i costi in dollari sono stati aumentati di 1,4 punti per portarli al valore del dollaro nel 2005). Ci supera di ben dieci volte i costi tipicamente riscontrati in agricoltura. In questo caso si trattava di un sistema a vasche non rivestite, su vasta scala, che produceva biomassa per ottenere oli (trigliceridi) utilizzando per il CO2 gas di combustione ottenuto da una centrale elettrica e la bioflocculazione per la raccolta della biomassa seguita da centrifugazioni per estrarre gli oli. Era stata assunta una produttivit di 110 t/ha a per una biomassa con un molto elevato (60%) contenuto in oli (equivalente a circa 150 t/ha a per una biomassa di composizione normale e a circa 200 t/ha a per una biomassa ricca in carboidrati). Questa la massima produttivit che pu ragionevolmente essere immaginata per un processo con microalghe basato sulle tecnologie disponibili e rientra in un fattore di circa due rispetto al massimo teorico. Assumendo un costo capitale minimo del 20% allanno, comprensivo di tasse e assicurazioni ma non della manutenzione, si ottiene un costo capitale di circa 100 $/t

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per una biomassa ricca in carboidrati e quasi due volte tanto per una biomassa ricca in oli. I costi operativi sono stati stimati pari a circa 15.000 $/ha (sempre considerando linflazione, unitamente a un piccolo credito per il metano che un sottoprodotto derivato dalla digestione dei residui dopo lestrazione degli oli). Ci porta i costi per barile di olio algale grezzo estratto (prima di trasformarlo in biodiesel, adatto come combustibile veicolare) a circa 100 $/bbl o, se si utilizza amido, a circa 200 $/t di amido. Per quanto alti, questi costi non sono eccessivi alla luce degli attuali prezzi dellenergia e dei plausibili prezzi agricoli futuri. Queste stime sono ottimistiche e basate su molte assunzioni favorevoli, e piuttosto incerte. In ogni caso, lo sviluppo a lungo termine dei sistemi di produzione di microalghe specificamente, o esclusivamente, per biocarburanti richiederebbe un lungo periodo di ricerca e sviluppo e di esperienza in applicazioni in scala reale. Tali applicazioni possono essere rappresentate dal trattamento di acque reflue precedentemente descritto e possibilmente dalla coproduzione di prodotti ad alto valore. Anche per raggiungere questi obiettivi a breve termine sono necessari notevoli investimenti nel settore ricerca e sviluppo, come gi detto in precedenza e qui di seguito riassunto. Va notato che sostanzialmente le stesse tematiche di ricerca e sviluppo sono comuni a tutti i processi di riduzione delle emissioni sopra descritti (v. par. 9.4.5). Questi processi utilizzano lo stesso fondamentale processo di produzione: vasche ad alta velocit (raceway), agitate con ruote a pale, fertilizzate con CO2 (proveniente dai gas di combustione) abbinati a processi a basso costo per la raccolta della biomassa algale (bioflocculazione o filtrazione) e la sua conversione a biocarburante (digestione anaerobica, estrazione degli oli, ecc.). Tutti condividono le stesse criticit teoriche e pratiche di ricerca e sviluppo: selezione e mantenimento dei ceppi, massimizzazione della produttivit allaperto, raccolta a basso costo della biomassa e processamento in biocarburanti e recupero di coprodotti. Inoltre, richiedono approfondimento ed esperienza gli aspetti ingegneristici, comuni a tutti, di costruzione e operativit delle vasche grandi (superiori a 1 ha) non rivestite che vanno correlati alleconomia del processo e alle potenzialit di mitigazione dei gas serra. I limiti attuali sono dovuti al fatto che per questi processi multifunzionali sono stati effettuati solo pochi studi ingegneristici e di analisi economica che prevedano la quantificazione del loro potenziale e dei loro benefici in termini di riduzione dei gas serra. Questo potenziale risulter limitato dalla disponibilit di terreno, acqua, infrastrutture e altri fattori. Anche questi aspetti relativi alle risorse richiedono ulteriori approfondimenti. I processi generali di riduzione delle emissioni discussi in precedenza differiscono soprattutto per quanto riguarda le loro fonti di acqua e nutrienti e per i loro prodotti

finali, in termini di biocarburanti e altri coprodotti (fertilizzanti, mangimi, acqua rigenerata, biopolimeri, ecc.). La rigenerazione dellacqua merita particolare attenzione, in quanto costituisce un prodotto finale di valore. Per quanto concerne i biocarburanti, il metano (biogas) probabilmente la scelta preferenziale tra i combustibili prodotti dai processi di trattamento delle acque reflue urbane e della maggior parte di quelle agricole. Tuttavia, dalla biomassa microalgale si possono ottenere altri biocarburanti, in particolare etanolo e biodiesel, che in alcuni casi possono essere preferibili in particolare perch come combustibili veicolari hanno maggior valore rispetto al biogas. Comunque, lo stesso biogas pu essere ripulito (eliminando H2S e CO2) e compresso per essere utilizzato come combustibile veicolare. L idrogeno costituisce unopportunit a lungo termine (v. cap. 4.3). In ogni caso, esistono diverse possibilit per convertire la biomassa microalgale a biocarburante. La sfida maggiore rispetto alla produzione di biocarburanti che la produzione di biomassa iniziale sia economicamente fattibile. Per tutti i processi su vasta scala di produzione di microalghe a basso costo le tematiche fondamentali di ricerca e sviluppo sono la capacit di coltivare, con produttivit elevate, ceppi algali selezionati in grandi vasche allaperto e di raccogliere poi la biomassa a costi contenuti. Il controllo delle specie algali dovrebbe plausibilmente permettere di controllarne la produttivit e la raccolta, il che rappresenta pertanto il prerequisito fondamentale per ciascuno di questi processi, e tutte le precedenti tematiche devono essere considerate insieme. L unica modalit pratica per ottenere la coltivazione di massa di ceppi selezionati attraverso luso di ceppi che si possano far crescere rapidamente in fotobioreattori chiusi di scala crescente (e complessit decrescente) per la produzione di quantit relativamente grandi di biomassa impiegata per inoculare le vasche di produzione. Pertanto unattivit fondamentale di ricerca e sviluppo relativa allisolamento, selezione e mantenimento di ceppi algali adatti per essere coltivati intensivamente in modo duraturo in vasche allaperto. Tali ceppi dovrebbero possedere caratteristiche di rapidit di crescita (per la fase di produzione dellinoculo), di elevata produttivit (nelle vasche di produzione), di facilit di raccolta e di generazione di coprodotti allettanti dalla conversione della biomassa. molto improbabile che in natura si trovino cotanti ceppi e infatti, come notato precedentemente, e paradossalmente, i ceppi ad alta produttivit dovrebbero essere controselezionati dalla selezione naturale. Pertanto devono essere generati in laboratorio. Tuttavia, la coltivazione prolungata in laboratorio pu risultare adattativa alle condizioni di laboratorio e far perdere le caratteristiche che rendono il ceppo idoneo alla coltura esterna; tale eventualit pu essere scongiurata limitando il numero di generazioni algali mantenute in

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laboratorio (Polle et al., 2004). Va sottolineato che in questi processi di riduzione delle emissioni possono essere utilizzati sia ceppi di microalghe dacqua dolce che dacqua salmastra o salata (marina). I miglioramenti genetici dovrebbero essere ottenuti, per quanto possibile, con le classiche tecniche di mutagenesi e selezione, evitando cos il problema di rilasciare nellambiente organismi geneticamente modificati. Tuttavia, in futuro, lutilizzo delle moderne biotecnologie in campo genetico sar inevitabile, per cui dovranno essere contemplate in qualsiasi progetto di ricerca e sviluppo. In breve, la selezione, il mantenimento e il miglioramento genetico delle specie algali per colture intensive a elevata produttivit rappresentano il focus primario delle attivit di ricerca e sviluppo in questo campo. Questo tipo di attivit non pu essere condotta solo in laboratorio, ma deve essere strettamente coordinata con quella relativa alle colture intensive operate allaperto. Le attivit di ricerca e sviluppo in corso sotto il patrocinio del Network precedentemente citato sono improntate esattamente su questa logica: coordinamento e integrazione tra le attivit di laboratorio e quelle di campo, focalizzando gli sforzi sulle tematiche chiave, che includono in particolare il miglioramento genetico per lalta produttivit.

9.4.7 Potenzialit di mitigazione dei gas serra mediante processi che utilizzano microalghe
Lelemento fondamentale nellanalisi dei processi che utilizzano microalghe per labbattimento dei gas serra la loro potenzialit nel ridurre globalmente le emissioni di CO2 di origine fossile. Molte tecnologie sono al momento in competizione per prevalere tra le soluzioni proposte a tale problema, alcune promettendo di ridurre molto, se non la maggior parte, dellenorme quantit di CO2 fossile che si prevede verr emesso nellatmosfera da una popolazione umana sempre pi numerosa e opulenta. Di fronte alla riduzione di emissioni di CO2 dellordine dei trilioni di tonnellate che si prevede sia richiesta entro questo secolo per stabilizzarne la concentrazione nellatmosfera, ci si chiede se sia utile sviluppare tecnologie che si presume ridurranno le emissioni di CO2 fossile attese in percentuali piuttosto ridotte. Si prevede che la sequestrazione negli oceani e quella geologica abbiano ciascuna sufficiente capacit di immagazzinamento per contenere, teoricamente, tutto il CO2 derivante dalla combustione dei combustibili fossili perdurante in un futuro indefinito. Alcune tecnologie per energie rinnovabili, per esempio quella eolica e quella fotovoltaica, sono pronte a diventare fonti primarie di energia. Le celle a combustibile a idrogeno promettono di incrementare molto lefficienza di utilizzazione

dellenergia e di consentire il proseguimento del trasporto veicolare personale di massa non regimentato. I biocarburanti bioetanolo, biodiesel e biometano potrebbero tutti generare notevoli quantit di energia rinnovabile, sia in singole nazioni sia considerando un aggregato globale. Quindi, forse, bisognerebbe rivolgere lattenzione verso queste tecnologie di sequestrazione del carbonio su vasta scala e verso i processi di produzione di biocarburanti gi disponibili, piuttosto che su opzioni a piccola scala, come il trattamento delle acque reflue, o di lungo termine a grande scala ma ad alto rischio, come la produzione di biodiesel algale. In ogni caso tutte queste tecnologie, per quanto promettenti, devono ancora essere considerate incerte. Per esempio, dieci anni fa la sequestrazione negli oceani del CO2 emesso da centrali elettriche venne ampiamente pubblicizzata come una soluzione al problema complessivo della riduzione delle emissioni. Tuttavia, i principali progetti in questo settore non vennero approvati a causa dellopposizione da parte di gruppi ambientalisti o di altri gruppi di interesse e quindi anche la ricerca sulle tecnologie di sequestrazione in oceano si trova ora in grande ritardo. La sequestrazione geologica rappresenta oggi il principale focus dellinteresse nellambito delle tecnologie per la riduzione dei gas serra sulla base dellenorme quantit di spazio geologico di immagazzinamento potenzialmente disponibile e dellesperienza acquisita sulle formazioni geologiche e sulle tecnologie relative. Comunque, solo gli scenari pi ottimistici prevedono la riduzione di una frazione pi che modesta del CO2 fossile totale globalmente richiesto. Le tecnologie per le energie rinnovabili, bench promettenti, non possono plausibilmente colmare la necessit di tutte le altre possibili e potenziali fonti di carburanti e di riduzione dei gas serra. Oltre alle enormi quantit di CO2 coinvolte, il fatto che le sue fonti siano cos diverse e geograficamente distribuite implica che non praticamente possibile adottare ununica tecnologia in ogni situazione. In breve, su scala globale, o anche solamente regionale, sar necessario disporre di un portfolio di opzioni che comprendono tutte quelle fin qui citate, di modesta o ampia potenzialit, da utilizzarsi singolarmente o in combinazione. La fotosintesi certamente alla base di molti metodi per la cattura, limmagazzinamento e lutilizzazione del CO2. La biofissazione del CO2 mediante microalghe solo uno dei molti sistemi basati sulla fotosintesi che saranno presi in considerazione per la riduzione delle emissioni. Altri, quali i raccolti annuali (fieno, frumento, canna da zucchero), gli alberi (pioppi, sicomori, eucalipti) e le piante acquatiche (alghe marine, piante palustri), per citarne alcuni, potrebbero anche contribuire allabbattimento dei gas serra mediante la produzione di biocarburanti, essendo anche pi importanti delle microalghe.

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In questa competizione, le tecnologie con microalghe presentano diverse caratteristiche promettenti e uniche. Innanzitutto, come detto prima, offrono la possibilit di ottenere produttivit molto alte. Le microalghe sono probabilmente i convertitori biologici solari pi efficienti ed probabile che i continui sforzi di ricerca e sviluppo riusciranno ampiamente a garantire una produttivit anche maggiore in applicazioni pratiche. Un altro vantaggio delle microalghe il loro brevissimo tempo di generazione (un giorno o meno) in coltura intensiva. Ci ha diverse implicazioni in termini di rapida ripartenza dopo un fallimento (solo una settimana circa) e di produzione di inoculo. Il fallimento di un raccolto di piante superiori pu costare la produzione di un anno, se il raccolto annuale, o la perdita della produzione di oltre un decennio, se si tratta di una foresta. Le attivit sulle microalghe consentono rapidi progressi di ricerca e sviluppo rispetto al ritmo molto pi lento necessario per piante a raccolto annuale o per gli alberi. Le misure di produttivit che richiederebbero anni o decenni con le piante superiori, con le microalghe possono essere effettuate in qualche mese. Inoltre, lambiente piuttosto uniforme e controllato delle vasche consente di trasferire rapidamente eventuali scoperte da una localit allaltra, cosa non altrettanto facile con le piante superiori. La singola caratteristica che sembra rendere le microalghe particolarmente adatte per labbattimento dei gas serra la loro capacit di utilizzare direttamente il CO2 in uscita dalle centrali elettriche. Bisogna riconoscere, tuttavia, che allo scopo di ridurre i gas serra non fa differenza se il CO2 viene catturato dallatmosfera o da una centrale elettrica, o da rifiuti, in quanto la produzione di biocarburanti, e quindi il loro utilizzo in sostituzione dei carburanti fossili, che di fatto determina la mitigazione dei gas serra. Comunque, la cattura diretta del gas di combustione da una centrale elettrica permette produttivit maggiori e, fattore altrettanto critico, unefficienza nellutilizzo dellacqua molto maggiore rispetto alle piante superiori. Forse lattributo pi importante delle microalghe nelle tecnologie per abbattere i gas serra dato dalla possibilit di generare dalla loro biomassa dei biocombustibili rinnovabili e di combinare servizi ambientali quali il trattamento di acque reflue, il riciclaggio dei nutrienti, nonch la produzione di fertilizzanti azotati e altri coprodotti e servizi. Va riconosciuto che la maggior parte, se non tutti, i processi biologici per labbattimento dei gas serra multifunzionale, con vari vantaggi ambientali ed economici associati e che la riduzione dei gas serra pu ben essere considerata il minore dei vari benefici economici. Ci vero probabilmente tanto per i processi microalgali quanto, per esempio, per laccumulo del carbonio nel terreno (Metting et al., 2001). I molteplici vantaggi ambientali di un migliore trattamento delle acque reflue assicurano che tutte le attivit

correnti di ricerca e sviluppo porteranno a qualche risultato pratico, almeno nel breve termine (5-10 anni), nella riduzione dei gas serra. Nel medio periodo (10-15 anni), dovrebbe essere possibile produrre biopolimeri, lubrificanti e mangimi di alto valore come coprodotti della produzione di biocarburanti tramite microalghe. A lungo termine, lobiettivo quello di sviluppare una tecnologia di produzione di biomassa con microalghe che abbia costi abbastanza bassi e produttivit abbastanza elevate da consentire la produzione di carburanti rinnovabili come principale, persino esclusivo, fine economico dellintero processo. Bench realizzabile in teoria, in pratica sar necessario risolvere molti problemi e questioni, come ampiamente discusso in precedenza, e quindi meglio premunirsi da ogni previsione sul raggiungimento di tale obiettivo e su quanto grande possa essere limpatto di tale tecnologia. Seppure con tali cautele, necessario quantificare almeno a grandi linee il contributo, su scala globale, delle tecnologie con microalghe nellabbattimento dei gas serra. L assunto fondamentale fatto in questa sede che un obiettivo realistico delle attivit di ricerca e sviluppo sia il raggiungimento e la realizzazione, in tempi mediobrevi, di una produttivit della biomassa un po al di sopra di 100 t/ha a (corrispondente a una media giornaliera di circa 30 g/m2 d) in colture intensive di alghe operate su scala annuale. Inoltre, si pu stimare, molto grossolanamente, che il biocarburante prodotto da 1 t di biomassa algale possa abbattere circa 1 t di CO2 (stima basata sul carburante prodotto). Quindi, sarebbero necessari 5 milioni di ettari di vasche algali per abbattere 0,5 Gt di CO2, corrispondenti a circa l1% del totale dei gas serra che in futuro si prevede sar necessario mitigare ogni anno in base allassunto che le attuali emissioni di combustibili fossili raddoppieranno in uno scenario invariato rispetto allattuale. Nel contesto globale, non si tratta di unenorme estensione di terreno, almeno in confronto ad altre tecnologie solari o rinnovabili e di riduzione delle emissioni, soprattutto ad altri sistemi di produzione con biomasse. Una tale superficie, 5 milioni di ettari, sarebbe grosso modo in linea con le necessit per il trattamento delle acque reflue urbane per lintera popolazione umana (considerando lazoto come nutriente limitante). In realt, solo una piccola proporzione della popolazione umana sarebbe plausibilmente servita da tali tecnologie a causa del clima, della disponibilit di terreno e di altre limitazioni. Daltra parte, il trattamento dei rifiuti zootecnici ha una potenzialit pratica maggiore, dal punto di vista economico, rispetto a quello delle acque reflue urbane, cos come la coproduzione di prodotti quali fertilizzanti e mangimi. Una recente analisi ha calcolato il potenziale globale di reflui urbani e animali (bovini e suini) per la riduzione di gas serra basata su colture microalgali in circa 0,1 Gt di CO2 fossile evitata annualmente.

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Tale potenziale rappresenta circa l1% delle riduzioni di emissioni richieste nel breve e nel medio termine per contribuire a stabilizzare le emissioni di gas serra. Si tratta di una previsione ragionevole e realistica per le tecnologie a microalghe, anche senza dover ricorrere a processi che producano solo biocarburanti, che sembra essere sufficiente a giustificare il supporto di significative attivit di ricerca e sviluppo a favore delle tecnologie di biofissazione con microalghe. Una tale previsione implica unespansione di questa tecnologia di diverse migliaia di volte a partire dai soli 1.000 ettari circa delle vasche ad alta velocit agitate con ruote a pale che funzionano attualmente in tutto il mondo. Tuttavia, considerando che solo 25 anni fa non un singolo ettaro di questi sistemi veniva utilizzato per applicazioni pratiche, possibile prevedere una rapida adozione di questa tecnologia qualora fosse in grado di fornire reali servizi alla societ e agli individui. Infine, la prospettiva qui presentata si basa su vasche per la produzione di microalghe associate a una centrale elettrica convenzionale, ovvero di ampie dimensioni, alimentata a combustibile fossile in modo da utilizzare i gas di combustione prodotti dalla centrale stessa. Tuttavia, una prospettiva altrettanto valida, e forse anche migliore, quella di una piccola centrale elettrica associata a vasche di alghe, in altri termini, una centrale elettrica progettata per servire limpianto algale. Forse ancora pi appropriato il modello in cui entrambe le attivit sono parte di un unico sistema distribuito sul territorio per la fornitura di energia e di altri servizi ambientali, tra cui acqua, cibo e materiali. chiaro che una considerevole domanda di produzione di elettricit mediante centrali elettriche centralizzate (per esempio, alimentate a carbone) e di produzione di biomassa algale non risultano effettivamente compatibili. La prospettiva di realizzare migliaia, o anche decine di migliaia, di ettari di vasche algali localizzate nei pressi di grandi centrali elettriche alimentate a carbone o a gas naturale sembra limitata. Negli Stati Uniti, dopo aver considerato sia le limitazioni geografiche sia la disponibilit di terreno nei pressi delle grandi centrali elettriche, ne rimane solo una manciata di dimensioni medio-grandi che possono plausibilmente essere identificate come adatte a ospitare sistemi algali su vasta scala (superiori a 1.000 ha; Benemann e Oswald, 1996). Tuttavia, esiste una potenzialit molto maggiore per centrali elettriche di pi modeste dimensioni, mentre le potenzialit pi grandi sarebbero per sistemi integrati di generazione di elettricit che utilizzano una moltiplicit di carburanti e rifiuti e che integrano i processi di produzione algale quale componente aggiuntiva, seppure importante. Bench la prospettiva di associare le vasche algali con le centrali elettriche continui a essere valida, necessita dessere ampliata ulteriormente con lassociazione di centrali elettriche e sistemi di biofissazione algale che abbiano

una maggiore gamma di dimensioni e applicazioni rispetto a quanto fatto finora. In conclusione, improbabile che la biofissazione con microalghe fornisca una tecnologia centralizzata, semplice e a buon mercato potenzialmente capace di abbattere molte Gt di gas serra in modo da consentire allindustria petrolifera di continuare a operare secondo il modello cosiddetto business as usual. Le microalghe possono svolgere un ruolo nella grande sfida in cui tutti dobbiamo urgentemente impegnarci: il tentativo di sviluppare e utilizzare tutte le possibili fonti energetiche rinnovabili, sia per le loro potenzialit di abbattimento dei gas serra sia per la loro capacit di sostituire i sempre pi scarsi combustibili fossili liquidi e gassosi. Devono essere effettuate analisi comparative e valutazioni fondate sul buon senso per privilegiare, tra le opzioni tecnologiche in concorrenza e i progetti proposti, ci che appare pi ragionevole, senza limitare eccessivamente la ricerca di alternative. La tecnologia delle microalghe, fornisce molti esempi passati e odierni, anche se non lunica, di tematica di ricerca e sviluppo che include molte ipotesi poco plausibili e attivit male indirizzate. Questi esempi portano a grandi sprechi di denaro e, aspetto forse pi dannoso, hanno messo in dubbio, e potrebbero farlo ancora, liniziativa in toto. Il Microalgae Network stato istituito proprio per correggere e prevenire, per quanto possibile, questi errori e per costituire un forum di esperti con una visione comune su quali siano i processi di biofissazione con microalghe pi promettenti e praticabili per ridurre i gas serra e le attivit di ricerca e sviluppo necessarie per attuarli.

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John R. Benemann
International Network on Biofixation of CO2 and Greenhouse Gas Abatement with Microalgae Walnut Creek, California, USA

Paola Pedroni
Eni-Divisione E&P San Donato Milanese, Milano, Italia

VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILIT

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