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La storia non si limita ad essere una narrazione: materia che obbedisce, talvolta un pocapricciosamente, a specifiche leggi, simili a quelle

e della meccanica dei fluidi. Potremmo quasi postulare lesistenza di una meccanica della storia, divisa anchessa in storiostatica e storiodinamica: e il suo campo danalisi sono i fenomeni. In un concetto: lumanit produce energia, e questa energia serve a dinamizzare i processi storici, ad accelerarli, a comprimerli, a bloccarli. Una delle espressioni pi evidenti di questa forza, che attraversa il cammino delluomo e che, per cos dire, lo accompagna, determinata dal movimento: gli uomini si muovono, i popoli si spostano, gli eserciti avanzano o indietreggiano. Credo non vi sia manifestazione pi chiara del movimento umano, per rappresentare la meccanica della storia. Tutti i fenomeni durevoli del nostro passato, nessuno escluso, traggono origine da qualche invasione, migrazione o colonizzazione. Basterebbe sfogliare un qualsiasi manuale scolastico, per constatare come la formuletta poco sopra enunciata trovi costante applicazione: tutte le migrazioni, grandi e piccole, dagli indoeuropei, ai germani, dagli arabi, ai padri pellegrini e dalla Compagnia delle Indie fino ai Neocons statunitensi, rappresentano la dimensione fenomenica della storiodinamica. Perch cos, e non altrimenti, che le cose umane cambiano, si evolvono, avanzano o regrediscono: con qualcuno che si muove da un luogo allaltro, e che, quale che sia il motivo del suo spostamento, modifica il luogo in cui si reca; crea, insomma, un nuovo filone della storia: inventa una nuova diramazione del grande fiume. Questo rende quanto mai interessante il campo dindagine scelto da questo numero di Storia Verit: un campo complesso, certamente, ma irrinunciabile per chi voglia giungere alla radice della storia, all storico. Com nostro costume, proveremo, in questa sede, a fornire alla storiodinamica una sorta di canone, evidenziandone gli aspetti pi generali, sempre tenendo presente la vastit della materia e le necessit tiranniche della sintesi. Spetter ai colleghi, che affrontano nelle pagine successive le pi specifiche particolarit del fenomeno, rendere quanto pi completo possibile il quadro, che, in questa sede, viene solamente abbozzato. Tanto per cominciare, opportuno chiarire quali sono i principali motivi di questo movimento di popoli, che ha portato vere e proprie ondate di marea ad abbattersi sui cinque continenti, modificandone laspetto antropico, geofisico e politico. Va da s che, con il progredire della civilt umana, le ragioni specifiche di queste migrazioni sono cambiate: se, un tempo, si poteva pensare a popoli seminomadi in cerca di cibo, oggi dobbiamo adeguare il volto dei fenomeni alla moderna economia. Tuttavia, le linee generali di questi meccanismi storiodinamici sono ancora sorprendentemente simili al passato: questo ci permette di identificarne le differenti categorie con una discreta approssimazione. Tanto per cominciare, la prima distinzione che opportuno indicare quella tra movimenti spontanei e volontari. Nel caso di movimenti spontanei, nuclei pi o meno consistenti di individui traslocano da un sito allaltro, spinti dalla necessit degli eventi, in una forma di nomadismo ristretto e

controllato: lesaurimento delle materie prime, dei pascoli, dei terreni di caccia o delle risorse agricole sono, di solito, il motore di questi spostamenti, che sono tipici del passato remoto, ma che esistono ancora oggi, sotto altre forme, come, ad esempio, quella dellimmigrazione clandestina in Europa. Il fatto che siano fenomeni spontanei non sta, naturalmente, ad indicare una mancanza di consapevolezza da parte di chi si sposta, quanto lassenza di una precisa volont organizzativa dello spostamento: in sostanza, di un comandante, di un capo, di una classe dirigente, che stabilisca il dove, il come e il quando, del flusso umano. Ben diverso , invece, il caso di una migrazione volontaria: essa pu, certamente, derivare da problemi di sopravvivenza, ma, essendo decisa dallalto, allinterno di una precisa visione della geopolitica, sia pure, talvolta, in termini assai primitivi, prevede sempre una forte coscienza del s, da parte di chi migra. E, insomma, sovente, espressione di una volont di potenza: della ricerca di un Lebensraum, di uno spazio vitale. Si collocano in questo contesto le grandi invasioni della storia: lOrda dOro, lespansione islamica, il colonialismo e cos via. Viceversa, non va ascritto a questa categoria il fenomeno migratorio che, normalmente, viene associato, gi onomasticamente, allidea di invasione: le cosiddette invasioni barbariche, che, soltanto in Italia, vengono chiamate cos, mentre, altrove, si parla, molto pi correttamente, di migrazioni. Daltra parte, lo stesso concetto di barbari (oi brbaroi erano coloro la cui lingua risultava incomprensibile ai greci antichi) sottintende due importanti concetti: quello dellesclusione e quello della superiorit culturale, che sono ancora oggi alla base del concetto di imperialismo. I barbari erano degli estranei alla civilt romana o, almeno, come tali erano visti dagli intellettuali che se li videro arrivare in casa: ma non erano sempre e solo delle orde feroci di saccheggiatori. Molti di loro si trovavano gi da secoli entro i confini del Limes e volevano semplicemente vivere in territori meno aspri e poveri, altri vennero sospinti, esattamente come le onde di unalta marea, verso occidente e verso mezzogiorno, da trib pi povere, pi aggressive o pi disperate, che premevano ad Est. Insomma, non esistette un Gengis Khan germanico, ma soltanto dei capitrib, pi o meno potenti e pi o meno coscienti, che si trovarono, quasi inconsapevolmente, ad abbattere il pi grande impero della storia occidentale. Rientrano nella categoria delle migrazioni volontarie soprattutto le colonizzazioni: la colonia la manifestazione tipica non di una situazione di disagio demografico o economico, ma dellesatto contrario. Nellantica Grecia, le poleis dotate di mezzi, in esubero demografico e convinte della propria necessit storica di espansione, inviavano gli ecisti a fondare citt: queste rimanevano legate alla metropoli (ossia alla citt-madre) da un rapporto ambiguo, che diventava, via via, sempre pi pleonastico, con lingrandirsi ed arricchirsi della colonia. Basti pensare al rapporto, sempre pi labile, tra Corinto, citt dalla grande storia coloniale, e le citt corinzie della Sicilia e della Magna Grecia. Ebbero carattere simile le colonizzazioni moderne: pi di ordine religioso-militare furono quelle dei secoli XVI e XVII, pi strettamente economiche e commerciali le successive. Daltronde, questo rispecchia i cambiamenti del mondo che le

produsse: una societ aristocratica e teocratica, che si trasform, in quei secoli, in una societ mercantile. Oggi, la migrazione volontaria non rappresenta praticamente pi un fenomeno antropologico: ci che migra, che invade e che colonizza il sistema stesso, non gli attori di quel sistema. Si possono creare colonie, protettorati , e addirittura tirannie, rimanendo seduti alla propria scrivania: il possesso del territorio non ha pi il significato di un tempo, sostituito dal possesso del controllo. Oggi, lecista manovra un mouse, non il timone di una trireme. La seconda distinzione che si deve applicare al fenomeno migratorio riguarda lo scontro di civilt e le conseguenze che esso comporta per il territorio che ne teatro: in definitiva, in alcuni casi, la migrazione , semplicemente, stata unoccupazione di territori semideserti, oppure laffermazione di una civilt pi avanzata ai danni di una societ enormemente pi primitiva, almeno in termini tradizionali. In questi casi, il trauma registrato dagli storici stato inferiore, rispetto a quando un popolo ha invaso il territorio di un altro popolo, di livello culturale elevato. La spiegazione semplice: gli storici, solitamente, appartenevano al popolo dei vincitori e alla cultura egemone. La vulgata non labbiamo certamente inventata noi, nel XX secolo. Sicch, la narrazione della conquista ha sempre minimizzato o cancellato il punto di vista dei conquistati. Ben diverso il caso del crollo di civilt evolute. Lo shock della caduta dellImpero romano riecheggia in mille anni di letteratura, e non il caso di ricordarlo con troppe parole, in questa sede. Lo stesso avvenne per le grandi invasioni asiatiche, in India come in Cina. Ancora oggi, le vestigia degli imperi precolombiani ci suscitano un misto di ammirazione e di compassione per quei popoli straordinari, anche se, in fondo in fondo, tendiamo ad attribuire la loro caduta ad una sorta di nemesi storica: al fatto che, dentro di noi, riteniamo sempre la nostra civilt dotata di un destino imperiale, che agli altri non compete. Gott mit uns, insomma. Il mio timore che gli eventi prossimi venturi rappresenteranno un brusco risveglio per i sogni di gloria occidentali, e che ci ritroveremo ben presto dalla stessa parte dei Maya e degli Aztechi: che quella degli sconfitti. Un ultima considerazione di questa sezione del mio intervento devessere obbligatoriamente dedicata al fenomeno migratorio pi volontario e, al contempo, ipocritamente morale, della storia recente: lo sterminio dei nativi americani. Questo rapido fenomeno espansivo, che vide, nel corso di poco pi di due secoli, la totale cancellazione di un popolo dal continente in cui risiedeva, ha subito una rimozione pressoch totale, al punto che, ancora oggi, parliamo di genocidio indiano, ma non abbiamo alcuna visione geografica del problema. Quella operata dai coloni bianchi ai danni degli indigeni americani fu uninvasione progressiva: unoccupazione a corrente alternata, quasi sempre mascherata da trattative diplomatiche, i cui risultati vennero sempre disattesi dalle amministrazioni statunitensi. In pratica, la tecnica di espansione territoriale degli Usa fu simile alla politica estera hitleriana degli anni Trenta, tranne per il fatto che essa fu molto pi diluita nel tempo. I vari governi statunitensi

stipularono con i capi delle grandi trib indiane via via tutta una serie di trattati territoriali, che vennero, sistematicamente, infranti, quando la necessit storica (il solito Lebensraum) sembrava imporlo: lingordigia pareva non avere limite, finch, di fatto, i nativi scomparvero nelle riserve. In questo caso, possiamo parlare di invasione legale, perch una brutale politica imperialista si afferm pi con i cavilli della legge che con le armi. In generale, in questo come negli altri casi, il territorio invaso ha assunto i connotati tipici dellinvasore, con la pressoch totale cancellazione di una preesistente cultura, percepita come primitiva e selvaggia. Si pensi, a tal proposito, alla mitologia negativa che, spesso, il colonizzatore ha costruito sulle vere o presunte atrocit cerimoniali dei colonizzati, allo scopo di accreditare la propria conquista, anche da un punto di vista morale. Si tratta di un sotterfugio psicologico estremamente comune, in questi casi. A titolo di esempio, si pu fare riferimento alla scusa ridicola addotta dagli Italiani, quando invasero la Libia, nel 1911, e che si ripet per lEtiopia, nel 1935: paradossalmente, saremmo andati a fare la guerra allImpero ottomano o a quello del Negus per liberarne i sudditi dalla schiavit e non per sostituire una dominazione con unaltra, di pari qualit. Resta da dire, infine, di quelle migrazioni, spesso coatte, che si limitarono a civilizzare dei luoghi pressoch disabitati: le grandi deportazioni coloniali, per esempio, come quella Australiana (lintero continente, allora, contava pi o meno 500.000 aborigeni, che subirono una sorte analoga a quella dei nativi americani), a partire dalla fine del XVIII secolo, oppure lespansione, pi o meno analoga, di Livorno, dopo le leggi livornine tra la fine del XVI e linizio del XVII secolo. Si tratta di espansioni volontarie, interpretate, per, in maniera meno aggressiva del solito e con una sostanziale idea di umanizzazione di territori poco adatti alla sopravvivenza. Un ultimo, significativo, esempio di questo genere di atteggiamento fu quello dei coloni ebrei nei territori che, oggi, rappresentano lo stato di Israele: se trascuriamo il terribile contenzioso con i Palestinesi, questi coloni trasformarono radicalmente il territorio, dandogli una precisa impronta occidentale. Il terzo ed ultimo tema da tener presente, quando si tratti di fenomeni migratori, riguarda laspetto pi strettamente epistemologico di questi movimenti di popoli. La prima considerazione si riferisce alla percezione che ciascun popolo ha di s e dellaltro: alcune migrazioni riguardarono popolazioni sostanzialmente affini, come gli Angli, i Sassoni e , poi, i Normanni, nellantica Britannia. Altre migrazioni riguardarono popolazioni assai diverse tra loro e, tuttavia, geograficamente contigue e con frequenti contatti: lespansione giapponese nel sudest asiatico, quella araba in Nordafrica, quella Turca nei Balcani, fanno parte di questa casistica. Vi sono, poi, invasioni e colonizzazioni operate da civilt del tutto estranee a quelle oggetto del loro interesse: gli Spagnoli in America Latina, i Moghul in India (che, nonostante il nome, che richiamava i Mongoli di Tamerlano, erano Turchi) o i Britannici in Africa. Vi sono, infine, migrazioni dettate semplicemente dal fluire della storia: popoli che esauriscono la propria vitalit e che vengono soppiantati da altre stirpi, pi giovani ed aggressive, ma

sostanzialmente inclini a vivificare, semplicemente, la preesistente civilt. Ne sono un esempio chiaro le dinastie egizie o, ancor pi, le civilt mesopotamiche, che si succedettero nel territorio tra i due fiumi, nellarco di tre millenni. Da un punto di vista culturale, queste migrazioni diedero origine a fenomeni alquanto diversi. Il pi interessante , certamente, il sincretismo: vale a dire quella fusione di elementi religiosi, culturali e sociali, che d vita ad una civilt nuova e composita, per quanto, quasi sempre, caratterizzata dal predominio dellelemento nuovo su quello antico. Lesempio pi affascinante di sincretismo rappresentato dalla civilt greca antica, in cui gli elementi ctoni e matriarcali preindoeuropei si fusero con la cultura indoeuropea, olimpica e patriarcale, dando vita ad una straordinaria esplosione culturale: memoria formidabile di questa fusione rappresentata dalla tragedia greca, che, spesso, ne rappresenta, simbolicamente, le tappe, come chiarissimo nella trilogia eschilea dellOrestea. Il secondo caso quello, gi citato della rimozione culturale: una civilt egemone, invadendo un territorio, ne cancella la precedente cultura, operando, quasi sempre, una sorta di giustificazionismo ante litteram del proprio operato. Per solito, il motore principale di questa rimozione di matrice religiosa o, quantomeno, superstiziosa. Lo sterminio degli indigeni latinoamericani pu perfettamente rientrare in questa casistica: le numerose cronache della conquista lo testimoniamo abbondantemente. Ma anche fenomeni minori, in termini quantitativi, come la crociata del 1209 contro gli eretici catari, possono essere un valido esempio di questo meccanismo culturale: ti perseguito e ti uccido, perch sei un miscredente, ma poi mi prendo le tue terre e ci metto chi mi pare. Quando dovr raccontare come andata, naturalmente, dir che stata volont di quel Dio che era stato offeso dalleresia. Ancora oggi, la politica statunitense del Big Stick, sia pure in versione ammodernata, risente di questa ideologia puritano-commerciale. Paradossalmente, qualcosa di simile avvenuto proprio in quellex-Jugoslavia in cui gli Usa sono intervenuti, a difesa dei diritti umani. Va da s che si tratti di un semplice gioco di specchi, in cui lumanitarismo e, anzi, lumanit, non entra per nulla. Il terzo caso quello in cui linvasore non si neppure dato pensiero dellesistenza o meno di una qualche civilt preesistente, dividendo le societ umane in evolute e primitive: nel corso dei secoli XVIII e XIX, questo concetto ha assunto una sfumatura vagamente compassionevole (i negri sono un po come bambini sostiene ancora oggi il Dr. Valberg, che vanta numerosi accoliti in rete) che lha reso meno indigesto e, certamente, pi ipocrita. In realt, storicamente del tutto normale che, quando si incontrino (o, meglio, si scontrino) civilt che abbiano raggiunto uno stadio di evoluzione, soprattutto tecnologica e commerciale, enormemente diverso, la pi evoluta tenda a percepire laltra come non-civilt, e a sopprimerla. Questo, culturalmente, corrisponde, a un dipresso, al caso pratico in cui una migrazione occupi un territorio deserto: come se, da un punto di vista culturale, in quel territorio non ci fosse nessuno. Quindi, questo fenomeno non necessita di rimozioni n di giustificazioni: linvasione perfetta. Il colonialismo setteottocentesco funzion esattamente a questo modo: le dame vittoriane erano

dispostissime a commuoversi per le terribili condizioni di vita dei bambini Zulu, ma non sarebbero mai state sfiorate dallidea che quella zulu fosse una civilt culturale e che le giubbe rosse la stessero cancellando dalla faccia della terra. Karl Marx scrisse che le idee dominanti sono quelle della classe dominante: il filosofo tedesco aveva una visione limitata della storia, perch la leggeva soltanto in chiave materialistica, come uno scontro di interessi economici e di classi sociali. Per, il ragionamento corretto: oggi potremmo dire che le idee dominanti, nella storia umana, sono sempre state quelle del Dominante. Intendendo con Dominante, un popolo, una civilt, una cultura, un sistema e, perch no, una classe sociale, che abbia prevalso su di un altro popolo, unaltra civilt e cos via. Prova ne sia che mai nessuno, stante lenorme prestigio della cultura greca, si chiesto cosa ne sia stato di quelle popolazioni che risiedevano nei territori colonizzati dai Greci, prima del loro arrivo: come se non fossero mai esistite. In definitiva, dunque, la prima legge della storiodinamica che: ogni movimento di popoli genera energia e questa energia genera storia. La seconda legge, invece recita che: la storiografia sempre lespressione del Dominante, tranne che dopo un adeguato periodo di decantazione, in seguito al quale, la storiografia pu essere anche revisione storica. La terza legge, che riguarda da presso la materia di questa breve monografia, invece, postula che: stante un movimento di popoli, la storia di questo movimento verr sempre scritta dal popolo che si sposta, piuttosto che da quello che ne subisca lo spostamento. Buona parte della letteratura medievale smentisce clamorosamente questo postulato, ma ci pare leccezione che conferma la regola. Daltronde: tu non vedrai nessuna cosa al mondo, maggior di Roma

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