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TUTELA DEI DIRITTI UMANI IN EUROPA

Sintesi integrate valide per i corsisti della.a. 2008/2009 dei seguenti testi: - Appunti del corso - Slide delle lezioni - Materiale integrativo dei docenti

PARTE I
La tutela dei diritti fondamentali nello spazio giuridico europeo

GIUSEPPE CATALDI CENNI INTRODUTTIVI SULLA TUTELA DEI DIRITTI UMANI E DELLE LIBERT FONDAMENTALI IN EUROPA. Le origini della tutela dei diritti umani. La Costituzione italiana a fondamento della struttura democratica e del rispetto dei diritti umani in Italia. Nello stesso anno della sua entrata in vigore (1948) viene proclamata dallONU la Dichiarazione universale dei diritti dellUomo. I principi fondamentali tutelati in questi documenti si basano sul rispetto dei diritti individuali e la loro tutela rispetto a forze esterne. una conquista che deriva dalla cultura occidentale, in contrasto con i principio ad es. del socialismo o del confucianesimo dove la tutela conferita a una classe o a un clan o a una famiglia piuttosto che a un individuo. Le radici dellidea dellimportanza dellindividuo vanno rintracciato nella cultura giudaico-cristiana. Le costituzioni hanno rappresentato i mattoni della tutela dei diritti fondamentali, a partire dai Bill of Rights inglesi nel XVIII sec. e con la Dichiarazione universale durante la Rivoluzione francese. Tali documenti si basavano sul concetto di freedom of, libert dal potere dispotico dello Stato. Le costituzioni nascono come carte garantiste, elenco delle libert che vanno garantite agli individui. La Costituzione italiana si fonda sul catalogo dei diritti ma anche sulla governance, ossia il funzionamento dello Stato e la distribuzione dei poteri. Essa trae spunto dalla Costituzione di Weimar, forse troppo avanzata per lepoca, bastata sul bicameralismo; la differenza che la clausola di deroga di Weimar, che consentiva una temporanea dittatura in casi eccezionali, e che fu sfruttata da Hitler, non stata recepita dalla Costituzione italiana. In caso di stato demergenza, la Costituzione pu demandare a unaltra istituzione (il Consiglio dEuropa) la garanzia dei diritti umani secondo lart. 15 CEDU. Lart. 117.1 della Costituzione prevede il rispetto della prevalenza della normativa comunitaria su quella interna. Il Trattato UE non equiparato a costituzione, perch recepito con legge ordinaria, ma la prevalenza di tale normativa ad essere costituzionalizzata. Diritto alla vita. Il primo e fondamentale diritto nellambito dei diritti umani quello alla vita. Il Granducato di Toscana fu il primo Stato ad abolire la pena di morte, il Vaticano tra gli ultimi. In Europa oggi stata abolita del tutto e lEuropa riuscita a far approvare dallONU la moratoria al riguardo, che pur avendo solo contenuto esortativo ha avuto un importante impatto politico. Lart. 27 della Costituzione aboliva in Italia la pena di morte. Successivamente lItalia ha ratificato tutte le convenzioni e i protocolli internazionali al riguardo. Nel 1995 la Corte Costituzionale ha inoltre sancito il divieto di estradizione sulla base del principio del miglior trattamento: non diventa perci possibile estradare criminali in paesi dove si applica la pena di morte anche se in cambio della certezza della non applicazione della pena di morte per quello specifico soggetto. La garanzia assoluta e non sottoponibile a deroghe o discrezionalit anche remote. Il caso era di un cittadino americano che aveva ucciso un agente delle tasse e si appell, ottenendo ragione, contro lestradizione in America pur in presenza di assicurazioni date dal governo americano che nel caso in oggetto non sarebbe stata applicata la pena di morte. 2

Dichiarazione universale dei diritti dellUomo. La Dichiarazione del 1948 adottata dallONU costituisce la matrice sia delle CEDU (1950) che della Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea (2000). Non possiede forza cogente e non stata approvata allunanimit, ma ci nonostante ha avuto sempre enorme influenza sulle costituzioni degli altri paesi, su altre convenzioni ONU ed internazionali. La Dichiarazione elenca perlopi diritti di libert civili sulla base della tradizione anglosassone, perci fu criticata da chi chiedeva diritti economici e sociali, detti di seconda generazione in Occidente ma considerati fondamentali per paesi in via di sviluppo come la Cina. La terza generazione dei diritti fondamentali riguarda il diritto alla pace, allambiente, i diritti sessuali (riconosciuti dalla Carta UE del 2000 insieme alla tutela di handicappati, al divieto di discriminazione sulla base dellet, al divieto delleugenetica). GIOVANNI CARLO BRUNO LA CONVENZIONE EUROPEA PER LA SALVAGUARDIA DEI DIRITTI UMANI E DELLE LIBERT FONDAMENTALI. Nascita della CEDU. La Convenzione europea dei diritti dellUomo (CEDU) uno strumento vivente nelle mani dei popoli europei. Conclusa nel 1950, due anni dopo la Dichiarazione ONU dei diritti umani, a differenza di questa (strumento solo politico) una convenzione giuridicamente vincolante. Il Consiglio dEuropa, nato a Londra nel 1949, si pone da subito come obiettivo lo sviluppo delle libert fondamentali e dei diritti umani, non solo sul piano formale ma anche su quello sostanziale. Il Consiglio resta unorganizzazione internazionale classica che agisce solo attraverso accordi internazionali ed composto da: Assemblea consultiva: auto-proclamatasi, nella met degli anni 70, assemblea parlamentare, con deputati nazionali che vi partecipano tramite delega Comitato dei ministri: composto dai ministri degli esteri dei singoli paesi. Segretariato generale. Allindomani della sua nomina, lAssemblea consultiva si divide in due posizioni riguardo la materia della tutela dei diritti umani: 1. Integrazione dei diritti umani dei vari Stati membri in un solo corpus giuridico. 2. Convenzione internazionale sui diritti umani che sia una convenzione internazionale classica ma con degli strumenti tali da impedire agli Stati firmatari di sostenere la preminenza del diritto interno su quello della Convenzione. La seconda fazione, inizialmente minoritaria, ha la meglio. Nasce una Corte per elaborare la giurisprudenza in materia di diritti umani, sottoponendo cos tutti gli Stati firmatari al controllo sovranazionale garantito da una Corte indipendente. Lindividuo viene investito del potere si ricorrere alla Corte singolarmente, diventando portatore di diritti. Struttura della CEDU. Ai sensi del protocollo 11, fino al 2002 la CEDU possiede due organi di controllo: Corte Commissione di diritti umani. Il nuovo protocollo elimina la commissione lasciando solo la Corte. attualmente in fase di ratifica il protocollo 14 per la semplificazione della procedura di ricorso, che limita per il diritto di accesso alla Corte. La CEDU tutela due ordini di diritti: 1. Nocciolo duro: diritto alla vita (art. 2), divieto di tortura (art. 3), divieto di schiavit (art. 4.1), nessuna pena senza legge (art. 7). Questi articoli godono di una tutela rafforzata perch non sono derogabili nemmeno in tempi di guerra o di emergenza. 3

Due protocolli successivi hanno bandito la pena di morte in tempo di guerra e di parte dallart. 2 e dalle costituzioni dei paesi contraenti. 2. Diritti garantiti: numerosi altri diritti tutelati nella CEDU e nei suoi 14 protocolli addizionali. Si tratta di diritti civili e politici (di prima generazione), pi facilmente applicabile perch non costano allo Stato rispetto ai diritti economici e sociali (di seconda generazione). La teoria delle generazioni di diritti stata comunque rifiutata dalla CEDU che li pone tutti sullo stesso piano e tutela i diritti economici e sociali tramite la protezione indiretta garantita da uninterpretazione estensiva dei principi della Convenzione. Negli ultimi anni la CEDU ha incontrato delle difficolt nel suo compito di protezione dei diritti, in primis a causa dellintervento internazionale degli Stati membri. La CEDU tutela i diritti umani nelle situazioni di conflitto nel corso di interventi militari ma non da parte di organizzazioni internazionali: se un esercito dellONU viola i diritti umani, chi ne risponde? LONU o i singoli Stati membri che di fatto compongono i reggimenti delle Nazioni Unite? Nel 2007 una decisione della Corte ha sostenuto che spetta allONU tutelare i diritti fondamentali per cui la questione di sua competenza. Eccezione e riserve della CEDU. 1. Riserve: in base allart. 57, gli Stati possono porre riserve al momento della ratifica ma non riserve generiche o talmente ampie da andare contro i principi sostanziali della CEDU. La Corte tutela la CEDU dalle riserve poste dagli Stai in sede di ratifica. 2. Deroghe: in base allart. 15, le deroghe alla CEDU possono essere poste dagli Stati solo in caso di guerra o di altro pericolo pubblico, con leccezione dei diritti del nocciolo duro. Non solo la Corte a vigilare sulle deroghe, ma anche gli atri Stati: ad es. nel 2002 il governo britannico approv lAnti-Terrorism Act con ampi poteri di polizia; gli altri Stati contraenti si mobilitarono per limitare questa deroga eccessiva e alla fine la Camera dei Lord ha bocciato la richiesta di deroga alla CEDU concernente lart. 5 e altri minori. 3. Margine di apprezzamento: negli artt. 8-11, secondo comma di ciascuno, c laffermazione per cui la Corte tutela il diritto dei singoli Stati di porre limitazioni ai diritti ivi espressi allinterno di un margine comunque ristretto. 4. Divieto dellabuso del diritto: secondo lart. 17, i diritti tutelati dalla CEDU non sono assoluti in alcuni casi. Per esempio la libert di espressione: la diffusione di idee negazionista, che violano le stesse libert fondamentali della Convenzione, vietata. Sentenze della CEDU. Le sentenze della Corte sono vincolanti per gli Stati contraenti, come previsto dallart. 46 secondo il quale lo Stato ha lobbligo di conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversie in cui parte. Il carattere dichiarativo delle sentenze della Corte fa s che esse impongano solo allo Stato di conformarsi ad esse, lasciando allordinamento nazionale libera scelta riguardo i mezzi da utilizzare per dare esecuzione a tale obbligo, che possono essere: Leggi ordinarie. Ordinanze amministrative. Modifiche giurisprudenziali. In caso di inerzia dello Stato, il giudice interno pu agire da legislatore supplente dando attuazione alle sentenze CEDU. LItalia ha a suo carico numerose sentenze contro le lungaggini giudiziarie dei processi e la mancanza di un adeguato indennizzo in tal senso (giusto processo). Con la legge Pinto del 2001 il cittadino che ha subito danno dalle lungaggini processuali in violazione dellart. 6.1 CEDU ha diritto a un risarcimento da parte 4

dello Stato italiano. Qualora una violazione venga reiterata, tra laltro, lindennizzo non basta: la violazione va soppressa. Il numero di sentenze non applicate comunque molto basso. Le sentenze tutelano anche i diritti di cittadini stranieri nel momento in cui sono sottoposti al diritto degli Stati contraenti (art. 1). Norme CEDU e ordinamento interno. Il problema dei rapporti tra CEDU e ordinamento interno italiano stato oggetto di due sentenze della Corte Costituzionale dellottobre 2007. Alla base delle sentenze c lanalisi dellart. 117 Cost. secondo il quale Stato e Regioni devono esercitare il potere legislativo nel rispetto dellordinamento comunitario e degli obblighi internazionali. Sulla base di questo articolo, la Cassazione non aveva esitato a disapplicare direttamente il diritto interno in contrasto con la CEDU, andando addirittura al di l di un principio quasi inderogabile come quello dellintangibilit del giudicato penale (se infatti la sentenza definitiva viola una disposizione della CEDU, la sentenza va annullata). Diverso il caso dellapplicazione, a tale proposito, dellart. 11 della Costituzione che prevede tra laltro che lItalia consente alle limitazioni di sovranit necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni. Le norme CEDU non godono della protezione ex art. 11 in quanto, a differenza del diritto comunitario, non sarebbe individuabile alcuna limitazione della sovranit nazionale derivate dalle norme CEDU. In realt ci non risponde del tutto al vero in quanto qualunque adesione a un trattato internazionale (com la CEDU) comporta una limitazione di sovranit; per il diritto comunitario si parla invece di cessione di sovranit, che una cosa diversa. Secondo la Corte Costituzionale, in ultima analisi le norme CEDU possiedono un rango intermedio tra legge ordinarie e rango costituzionale: il rango cio di norma interposta, che dipende dalla circostanza che con lart. 117 si pu effettuare un rinvio mobile alle norme CEDU ogni qualvolta sia necessario. Il rango superiore delle norme della Convenzione rispetto alle leggi ordinarie interne era gi stato ribadito in una sentenza della Cassazione del 1993 (Caso Medrano). La Corte Costituzionale discute qui anche del rapporto tra CEDU e norme costituzionali, affermando lesigenza che le norme convenzionali siano sottoposte a verifica di compatibilit con le norme costituzionali. Bisogna cio verificare che le norme convenzioni garantiscano una tutela dei diritti fondamentali almeno equivalente al livello garantito dalla Costituzione italiana. piuttosto improbabilmente, di norma, che la CEDU imponga uno standard pi limitato dei diritti rispetto allordinamento interno, e anzi per la Convenzione vige il principio di sussidiariet in base al quale la tutela dei diritti ivi sanciti passa prima per lordinamento dei singoli Stati e solo secondariamente per lintervento della Corte di Strasburgo. Con le due sentenze del 2007, la Corte Costituzione ribadisce che il giudice interno non pu disapplicare autonomamente la norma interna in contrasto con quella internazionale, ma sempre rinviare la questione al vaglio costituzionale alla luce dellart. 117. Precedentemente la disapplicazione era automaticamente eseguita dal giudice interno, in virt di una diretta applicabilit della la norma convenzionale che contenga il modello di un atto interno completo nei suoi elementi essenziali. VINCENZO GUIZZI LA NASCITA E LEVOLUZIONE DELLUNIONE EUROPEA: LA STRUTTURA ISTITUZIONALE E LE POLITICHE. Il processo di integrazione europea. Il 9 maggio 1950 il ministro degli esteri francese Robert Schuman, ispirato dal connazionale europeista Jean Monnet, propone di mettere in comune le risorse di Francia e Germania (miniere di ferro e carbone), i due paesi la cui guerra fratricida aveva distrutto lEuropa. Ad essi si associano subito il Benelux e lItalia. Lobiettivo formare un mercato comune del carbone e dellacciaio (CECA), ma quest 5

organizzazione sovranazionale non sar come le altre: fin dalla sua nascita ottiene un potere legislativo ed esecutivo. Le due strutture fondamentali sono: Assemblea Parlamentare. Corte di Giustizia. Il processo di integrazione subisce un breve arresto dopo che la Francia di De Gaulle affossa il progetto di una Comunit europea di Difesa (CED), troppo prematuro per poter riuscire. Il rilancio avviene grazie al ministro degli esteri italiano Gaetano Martino che organizza a Messina un importante vertice nel 1955. Suo frutto listituzione dellEuratom, che pone sotto ununica sovrintendenza lo sviluppo pacifico dellenergia atomica tra i 6 paesi fondatori. Due anni dopo, a Roma, di nuovo i 6 paesi fondatori firmano un Trattato che dar vita a una Comunit Economica Europea (CEE), con lintento di coordinare le loro politiche economiche e commerciali, giungere allunione doganale, creare un unico grande mercato europeo e, in prospettiva, ununica moneta. La CEE si struttura in 3 grandi organi: 1. Commissione: detiene il potere di iniziativa legislativa e il potere esecutivo. 2. Consiglio: detiene il potere co-legislativo e di indirizzo politico. 3. Parlamento: detiene il potere co-legislativo e consultivo. Inizialmente la CEE e lEuratom mantengono istituzioni separate: una Commissione CEE ed Euratom divise, due diversi Consigli dei Ministri, con il comune per lAssemblea parlamentare e la Corte di Giustizia. Nel 1965 il Trattato sulla fusione degli esecutivi risolve il problema conferendo alla Commissione e al Consiglio CEE i pieni poteri sullEuratom. Allinizio il Parlamento, formato dai delegati dei singoli parlamenti nazionali, non possiede poteri legislativi e le decisioni sono tutte in mano al Consiglio e alla Commissione. Si comincia perci a parlare di deficit democratico dellEuropa, che tuttavia gi nei primi anni di nascita diventa una grande potenza economica e comincia ad allargarsi a nuovi paesi membri. Per laccesso alla Comunit europea vengono stabiliti due requisiti: Essere un paese europeo. Rispettare i principi democratici. Dopo il Vertice dellAja del 1969, in cui tra laltro si conferiscono nuovi poteri al Parlamento in materia di controllo del bilancio europeo, si d il via libera al primo allargamento: nel 1973 entrano Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca. Al Vertice di Parigi del 1974 lidea occasionale dei vertici europei viene formalizzata e si decide convocare ogni sei mesi un vertice, il Consiglio europeo, che differisce dal Consiglio dei ministri perch composto dai capi di stato e di governo dei paesi membri. A Parigi si d il via libera allelezione diretta dal Parlamento, che avviene per la prima volta nel 1979. Gli anni 70 sono gli anni della forte instabilit economico-monetaria prodotta dalla fine del sistema di Bretton Woods, che convince i paesi europei a velocizzare il processo di integrazione economica, attraverso la creazione di basi di convergenza a livello monetaria: lo SME, il sistema monetario europeo, il cui fine quello di contenere i tassi di oscillazione delle valute europee allinterno di limiti stringenti. Lo SME getta i pilastri dellintegrazione monetaria che si concluder nel 1999 con lintroduzione dellEuro. Nel 1987 viene approvato lAtto unico europeo, che mette insieme il processo dintegrazione economico e politico in una norma giuridica (art. 30); vengono inoltre elaborate alcune soluzioni giuridiche per il processo decisionale: Norma sui poteri impliciti: possibilit dintervenire su alcune politiche laddove il trattato non labbia esplicitamente espresso. Parere conforme: per ladesione di nuovi paesi alla Comunit necessario il parere vincolante del Parlamento. Procedura di cooperazione: se il Parlamento non approva una proposta di legge del Consiglio, obbligatorio che il Consiglio adotti tale legge allunanimit. 6

una svolta importante per lintegrazione europea, che da integrazione negativa diventa da quel momento integrazione positiva: se la prima si limitava a rimuovere gli ostacoli al commercio e alla libera concorrenza (barriere e dazi doganali ecc.), lintegrazione positiva inizia a costruire un assetto legislativo e regolamentare comune a livello europeo, non elimina ma costruisce. Il processo di integrazione subisce cos una significativa accelerazione con il primo Libro Bianco del 1985 nel quale si annuncia la volont di completare la realizzazione del mercato interno entro la fine del secolo. Ma sar solo la caduta del Muro di Berlino nel 1989 e la conseguente unificazione della Germania che dar limpulso definitivo. Nel 1992 viene firmato il Trattato di Maastricht da parte dei paesi membri che intanto sono diventati 15. Nasce lUnione europea con una struttura a tre pilastri: 1. Mercato unico e integrazione economica.
2. Politica estera e di sicurezza comune. 3. Affari interni e giustizia.

Levoluzione dei Trattati prosegue negli anni successivi; nel 1997 viene firmato il Trattato di Amsterdam, che introduce significative modifiche nei tre pilastri; nel 2000 il Trattato di Nizza si rivela per un pasticcio e pone un serio freno al processo di integrazione, salvato solo da dune punti:

Adozione della Carta dei Diritti fondamentali, elaborata da una Convenzione apposita composta da parlamentari europei e nazionali, membri del Consiglio e della Commissione europea. Pur non essendo un atto giuridico vincolante, la Carta elenca per la prima volta i diritti fondamentali dellUnione europea, e la Corte di Giustizia afferma che una violazione di uno di questi diritti pu portare un cittadino europeo a ricorrere alla Corte (giustiziabilit). Successivo Vertice di Laeken, lo stesso anno, che riconosce lesigenza di accrescere legittimit democratica e trasparenza e decide di convocare una Convenzione, sul modello di quella che ha redatto la Carta dei Diritti, con il compito di dare al processo dintegrazione (nel frattempo giunto a compimento sul piano economico con leuro) una svolta politica, riformando e semplificando i vari Trattati.

Il lavoro della Convenzione diventa ben presto una sorta di lavoro costituente, che porta allelaborazione di una bozza chiamata Trattato che adotta una Costituzione per lEuropa. Liter si conclude nel 2004 quando a Roma i paesi membri intanto saliti a 25 con lingresso dei paesi dellEuropa centro-orientale firmano Costituzione, la cui entrata in vigore per subordinata alla ratifica dei vari paesi. Dopo alcuni referendum positivi, nel 2005 la Francia e lOlanda votano no alla Costituzione. la fine del progetto costituzionale. Dopo un lungo periodo di riflessione, nel 2007 in occasione dei 50 anni della Comunit europea una dichiarazione, nota come la Dichiarazione di Berlino, rilancia il processo di riforma dei trattati: la Costituzione messa in soffitta, ma i suoi contenuti basilari sono riversati in un trattato nuovo che va a modificare i due fondamentali, quello del 57 di Roma e quello del 92 di Maastricht. Approvato a Lisbona, il nuovo trattato (perci definito Trattato di Lisbona) entra in vigore dopo le dovute ratifiche e un doppio referendum in Irlanda (che prima boccia e poi approva il testo) il 1 dicembre 2009. La Costituzione e il Trattato di Lisbona. La Costituzione europea, o meglio il Trattato che adotta una Costituzione per lEuropa, conteneva 448 articoli in quattro parti: 1. Disposizioni istituzionali generali. 7

2. Carta dei diritti fondamentali. 3. Politiche comunitarie e funzionamento degli organi. 4. Disposizioni generali e finali. Si aggiungevano ad essi 36 protocolli, 2 allegati e 50 dichiarazioni. Le modifiche apportate dalla Costituzione al processo comunitario erano diverse e significative: Eliminazione dei 3 pilastri, assorbiti nellUnione europea complessiva. Possibilit di cooperazione struttura per difesa e politica estera. Possibilit di istituire una Procura europea. Possibilit di recesso per gli Stati non intenzionati a restare nellUnione. Personalit giuridica allUnione. Istituzionalizzazione del Consiglio europeo, prima solo consesso informale. Presidente eletto dellUnione europea, non pi a rotazione semestrale. Ministro degli Esteri europeo al contempo vicepresidente della Commissione. Riduzione dei componenti della Commissione da 27 a 2/3 dei paesi membri, con rotazione. Poteri legislativi al Parlamento, potenziandone lattuale ruolo di co-legislatore e attribuendogli piena funzione di bilancio. Modifica degli atti normativi: leggi e leggi-quadro sostituivano regolamenti e direttive comunitarie. Potenziamento del ruolo dei Parlamenti nazionali. Iniziativa di legge popolare: un milione di cittadini dellUnione di un numero significativo di paesi pu chiedere che lUnione legiferi su un tema particolare. Delimitazione delle competenze dellUnione con una chiara precisazione. La bocciatura della Costituzione da parte di Francia e Olanda mise fine a tutto questo processo. La Dichiarazione 30 del testo sosteneva che, in caso di mancata ratifica di uno o pi Stati, e con la ratifica dei 4/5 dei membri, la questione venisse deferita al Consiglio europeo. Fu in effetti questultimo, nel giugno 2005, a invitare gli Stati membri a un periodo di riflessione conclusosi il 25 marzo 2007 con la Dichiarazione di Berlino. Il rilancio del processo di riforma dei Trattati fu affidato alla presidenza di turno portoghese che redasse una bozza di trattato approvato dalla Conferenza intergovernativa il 13 dicembre 2007, e sottoposto alla ratifica. Tutti i governi hanno provveduto a ratifica parlamentare con leccezione dellIrlanda, che ha bocciato il referendum nel 2008. Lanno successivo, date al popolo irlandese garanzie sufficienti, stato indetto un nuovo referendum che ha approvato il testo, entrato in vigore il 1 dicembre 2009. Esso contiene 7 articoli e numerosi protocolli e dichiarazioni che vanno a modificare i due Trattati istitutivi: Trattato sullUnione europea: quello di Maastricht Trattato sul funzionamento dellUnione europea: cos ridenominato il Trattato CE di Roma. I due nuovi Trattati cos modificati recepiscono le innovazioni gi sopra riportate introdotte con la Costituzione affossata, con le seguenti differenze: Cancellazione dei riferimenti ai simboli: bandiera, inno, moneta. Cancellazione dei nuovi nomen iuris: legge e legge-quadro tornano a essere regolamento e direttiva. Stralciata la Carta dei diritti, che tuttavia assume con il nuovo art. 6 valore vincolante. Sistema di voto a doppia maggioranza: il Consiglio approva con il voto favorevole del 55% degli Stati rappresentanti almeno il 65% della popolazione UE. Tale sistema entra in vigore in via sperimentale nel novembre 2014 e in via definitiva il 1 aprile 2017. Fino ad allora si applica il compromesso di Ioannina: una minoranza di blocco pu imporre che la votazione sia fatta allunanimit. 8

Nuova denominazione della Corte, che diventa Corte di giustizia dellUnione europea e assume quindi competenze per lex 3 pilastro (giustizia e polizia). Sostituzione del Ministro degli Esteri europeo con un Alto rappresentante per la politica estera, con uguali competenze stabilite dalla ex Costituzione.

Struttura istituzionale dellUnione europea. Per istituzione comunitaria sintende un organo che esercita la funzione costituzionale della produzione del diritto comunitario derivato, ossia che emana le norme che costituiscono il diritto comunitario in forza di quanto previsto dai Trattati istitutivi. Secondo lart. 7 CE le istituzioni comunitarie sono: Consiglio dellUnione europea Commissione Parlamento europeo Corte di giustizia Corte dei conti A parte, pur essendo comunque fondamentali, sono gli organi quali il Consiglio europeo e la BCE. Il Consiglio europeo un organo politico nato in modo informale nel corso del tempo che istituzionalizza la prassi delle riunioni al vertice tra i capi di governo dellallora Comunit economica europea; ha un compito di impulso politico e definizione degli orientamenti politici generali. Esso deve presentare una relazione al Parlamento europeo al termine di ogni riunione e un resoconto annuale dei risultati conseguiti dallUE. Il Consiglio dellUnione europea, chiamato spesso solo Consiglio o Consiglio dei Ministri, non va confuso col precedente. Esso, secondo lart. 203, composto dai rappresentanti di tutti gli Stati membri col rango di ministri nei rispettivi paesi in funzione della materia trattata. Il COREPER, Comitato dei rappresentati permanenti degli Stati membri, un organismo autonomo che lavora per in funzione del Consiglio col compito di prepararne i lavori sul piano tecnico e politico coordinando lazione delle commissioni tecniche che preparano le attivit normative del Consiglio e agendo da filtro politico in quanto composto da membri degli organi diplomatici dei singoli paesi. Il COREPER I riunisce i rappresentanti permanenti aggiunti e prepara le discussioni di tipo pi tecnico, mentre il COREPER II riunisce i rappresentanti permanenti veri e propri e discute di questioni pi politiche. Le funzioni del Consiglio sono: Funzione legislativa. Esso dispone del pi ampio potere di formazione delle norme comunitarie (art. 202) attraverso ladozione di direttive e regolamenti comunitari. Esso adotta altres atti normativi anche in quelle materie di cui lUE non ha attribuzione ma in cui, ai sensi dellart. 308, lazione dellUnione essenziale per il raggiungimento di uno dei suoi scopi fondamentali. Le deliberazioni sono a maggioranza semplice per le questioni di procedura, mentre per il resto prevale la maggioranza qualificata: ogni Stato membro dispone di un determinato numero di voti ponderato sulla base di diversi criteri. I voti di ciascuno Stato sono sanciti nellart. 205. Autorizzazione alla negoziazione di accordi internazionali, negoziazione che porta avanti e conclude la Commissione. Deliberazione come consesso intergovernativo e non come istituzione comunitaria. In questo caso la composizione quella dei singoli capi di Stato o di governo. In tale forma il Consiglio designa il presidente della Commissione e i membri della Corte di giustizia. La Commissione europea composta da 27 membri - uno per Stato - ed un organo di individui, in quanto i membri non rappresentano i rispettivi Stati dappartenenza ma

agiscono in modo indipendente. Il mandato di ciascun commissario di 5 anni, rinnovabile. Ciascun commissario responsabile di un determinato settore di attivit (relazioni esterne, competitivit, pesca e agricoltura ecc.) e adotta misure specifiche in tale settore, bench lazione della Commissione resti comunque collegiale. La Commissione ha una natura detta tricefala in quanto ha funzioni legislative, esecutive e di controllo: 1. Potere legislativo. Tutti gli atti normativi comunitari adottati dal Consiglio sono proposti dalla Commissione che ha lesclusiva in termini di iniziativa (sebbene il Consiglio e il Parlamento possano sollecitarla a legiferare in un determinato ambito). La proposta legislativa viene esaminata prima da un servizio giuridico e da commissioni di esperti, quindi sono consultati gli organi di categoria interessati e a volte le parti sociali. Quindi viene sottoposta ad approvazione collegiale di tutta la Commissione. 2. Potere esecutivo. Alla Commissione spetta lesecuzione dei trattati e dellintero diritto comunitario mettendo in atto le norme e garantendone losservanza. La Commissione mette in atto un procedimento dinfrazione verso quegli Stati membri che violino norme comunitarie. La Commissione adotta le misure necessarie per porre in essere le norme, anche se questo potere pu essere limitato da una prassi, nota come comitatologia. In base a tale prassi, il Consiglio nomina comitati consultivi, di gestione e di regolamentazione formati da esperti tecnici e rappresentanti della Commissione; prima delladozione di un atto esecutivo, la Commissione quindi tenuta a consultare i comitati e laddove essi diano un parare negativo la Commissione pu adottare misure urgenti che il Consiglio libero per di modificare o revocare entro 3 mesi. Tale prassi non prevista dai Trattati sarebbe in linea con lart. 202 che prevede una maggiore azione del Consiglio in tema di potere di esecuzione della Commissione. 3. Potere di controllo. Principalmente, la Commissione ha poteri ispettivi in materia di concorrenza e dumping, sugli aiutati statali alle imprese e in generale sulla disciplina di imprese pubbliche o private a cui gli Stati membri hanno attribuito diritti speciali o esclusivi. Il Parlamento europeo composto da 785 europarlamentari che rappresentano i popoli dellUnione europea. Il mandato di ciascuna legislatura di cinque anni. I deputati sono eletti su base nazionale ma siedono in Parlamento allinterno di gruppi politici europei (Partito Popolare Europeo, Partito Socialista Europeo, Sinistra europea, Democratici per lEuropa). Le funzioni del Parlamento (art. 192) sono: 1. Potere di controllo verso lattivit della Commissione: il Parlamento approva la nomina del presidente della Commissione e dellintero collegio. Il Parlamento esamina relazioni annuali che la Commissione tenuta a inviargli e interroga i singoli commissari su questioni politiche. Infine, il Parlamento pu a maggioranza di due terzi sfiduciare la Commissione che cos costretta alle dimissioni. 2. Potere legislativo condiviso: il Parlamento pu sollecitare la Commissione a elaborare un progetto legislativo su una determina materia. Pi importante certamente lattuale potere di codecisione normativo, in base al quale (art. 249) il Parlamento oggi condivide col Consiglio il potere di adottare gli atti comunitari (la procedura sar esaminata successivamente). Infine, il Parlamento approva gli accordi internazionali stipulati dalla Commissione su mandato del Consiglio. La Corte dei conti composta da un cittadino per Stato membro designato tra personalit che hanno maturato esperienza negli organi di controllo nazionali. La funzione della Corte dei Conti quella del controllo del bilancio comunitario, attraverso lesame di tutte le entrate e le spese dellUnione e dei suoi organi. La Corte pu istituire sezioni interne competenti per alcune materie specifiche. 10

Altri organi dellUnione europea sono: Comitato economico e sociale (CES): organo consultativo composto da rappresentati di categoria della societ civile, ossia imprenditori, agricoltori, professionisti, commercianti, artigiani, associazioni dei consumatori. I membri del CES hanno titolo di consiglieri e sono suddivisi in 1) datori di lavoro; 2) lavoratori dipendenti; 3) attivit diverse. Il mandato di 4 anni. Il CES va consultato obbligatoriamente dalla Commissione, Consiglio e Parlamento in determinati casi; esso ha facolt di formulare pareri di propria iniziativa. Comitato delle regioni: organo consultivo regolato composto da rappresentanti di entit regionali o locali che ricoprano incarichi di responsabilit su mandato elettorale locale. Va consultato obbligatoriamente dalle istituzioni per le questioni di politica regionale e pu formulare pareri di propria iniziativa. I pareri e le politiche generali del Comitato sono decise nelle cinque sessioni plenarie che si tengono durante lanno. Banca centrale europea (BCE): responsabile della politica monetaria dei Paesi aderenti alla moneta unica (euro). Il suo comitato esecutivo composto da un Presidente e cinque membri nominati dal Consiglio europeo su raccomandazione del Consiglio e consultazione del Parlamento. Il consiglio direttivo comprende i membri del comitato esecutivo e i governatori delle banche centrali. Mediatore europeo: un organo individuale, una sorta di difensore civico comunitario, che difende gli interessi dei cittadini nei confronti delle azioni delle istituzioni europee. Riceve le denunce delle persone fisiche e giuridiche relativamente ai casi di cattiva amministrazioni delle istituzioni. Su queste basi esso pu svolgere indagini che, se riscontrano effettive problematiche, si traducono in una nota allautorit interessata. Essa entro 3 mesi comunica il proprio punto di vista e il Mediatore invia una relazione al Parlamento europeo e allistituzione interessata. VINCENZO GUIZZI LORDINAMENTO GIURIDICO: IL RUOLO DELLA CORTE DI GIUSTIZIA. Corte di giustizia e Tribunale di primo grado. La Corte composta da un giudice per Stato membro (oggi 27) e da 8 avvocati generali. Essi sono nominati su base nazionale ma non rappresentano i rispettivi paesi e agiscono autonomamente. Il mandato di 6 anni, rinnovabile. Giudici e avvocati sono scelti tra coloro che nei singoli paesi hanno esercitato le pi alte funzioni giurisdizionali e tra noti esperti di diritto. Il Presidente della Corte nominato tra i giudici della Corte con mandato di 3 anni. Dirige lattivit della Corte, designa i giudici relatori per ogni causa e presiede le udienze plenarie. Lavvocato generale (simile al procuratore italiano) presenta pubbliche conclusioni scritte e motivate sulle singole cause in cui richiesta tale conclusione. Il Cancelliere nominato dalla Corte con mandato di 6 anni. Esso riveste le funzioni dei tradizionali cancellieri giuridici (ricezione e trasmissione di atti) e coordina lattivit amministrativa e finanziaria della Corte. I giudici si riuniscono nel gran plenum che ludienza plenaria, o in grandi sezioni da 11 giudici e pi generalmente in sezioni da 5 o da 3 (sempre dispari). Le funzioni della Corte sono: 1. Controllo giurisdizionale sullinterpretazione del diritto comunitario e sulla legittimit degli atti normativi adottati dalle istituzioni rispetto ai trattati. 2. Pronunciamento sui ricorsi presentati da Stati membri e singoli verso norme comunitarie. 11

Il Tribunale di primo grado composto da almeno un giudice per Stato membro, nominati con le stesse modalit della Corte. Il Tribunale, istituito nel 1988, si occupava precedentemente delle sole questioni in materia di concorrenza ed invece competente oggi per tutti i ricorsi diretti presentati da persone fisiche o giuridiche in qualsiasi materia. Le sentenze emesse dal Tribunale possono essere impugnate davanti alla Corte in secondo grado per soli motivi di diritto. Il Tribunale pu decidere anche con un giudice unico. Le camere giurisdizionali previste a Nizza sono competenti a deliberare in primo grado su ricorsi in materie specifiche. Oggi esiste solo il Tribunale della funzione pubblica dellUnione europea che emana sentenze su ricorsi presentati da impiegati delle istituzioni comunitarie contro le istituzioni stesse. costituito da sette giudici con un mandato di 6 anni. Controllo giurisdizionale diretto. Il controllo giurisdizionale che la Corte di Giustizia e il Tribunale di I grado eseguono di due tipi: Controllo diretto sul diritto comunitario attraverso i ricorsi diretti dei singoli o degli Stati membri. Controllo indiretto attraverso il rinvio pregiudiziale, cio linvio degli atti di un processo nazionale da parte del giudice interno al giudice della Corte comunitaria. Il controllo diretto sulla validit di un atto comunitario materia riservata alla Corte di giustizia e al Tribunale e si esplica attraverso diversi sistemi: 1. Azione di annullamento: un atto comunitario pu essere impugnato da un singolo o da uno Stato membro di fronte ai giudici comunitari se lo si ritiene invalido perch viziato. I vizi di annullamento che possono essere fatti valere dal ricorrente sono i seguenti: o Incompetenza: lincompetenza relativa quella per cui latto stato adottato da unistituzione che non aveva competenza a farlo, mentre lincompetenza assoluta sussiste se lintera Comunit europea ha deliberato su una materia non di sua competenza. o Violazione delle forme sostanziali: sono violazioni di questo tipo il difetto di motivazione, la mancata consultazione di un organo comunitario laddove previsto obbligatoriamente, la mancanza o lerrata individuazione della base giuridica di un atto. o Violazione di legge: violazione di norme del Trattato o di diritto comunitario derivato, nonch di norme intenzionali convenzionali e consuetudinarie e di quei principi generali di diritto riconosciuti dalla giurisprudenza della Corte. o Sviamento di potere: avviene allorquando listituzione comunitaria che adotta latto abbia esercito il suo potere e la sua discrezionalit per conseguire un fine diverso da quello per cui il potere gli stato conferito. Lo sviamento di procedura avviene allorquando una procedura sia utilizzata per un fine diverso da quello per cui essa stata prevista. Il ricorso non ha effetto sospensivo, tranne nei casi previsti dallart. 242 per sospensione in via cautelare (in cui sussista lirreparabilit del danno che latto provocherebbe). Se il giudizio della Corte positivo, latto si dichiara annullato, ossia latto nullo e non avvenuto. Come tale lannullamento produce effetti ex tunc, cio retroattivo e annulla tutte le situazioni giuridiche pervenute dal momento dellentrata in vigore dellatto annullato. La Corte ha, per i soli regolamenti, facolt di conferire effetti ex nunc allannullamento o addirittura di garantire gli effetti dellatto annullato finch lamministrazione non ne promulgher uno sostitutivo. 2. Azione in carenza: ricorso presentato contro lillegittima inattivit di unistituzione comunitaria. Allorch Consiglio, Commissione, Parlamento e Banca centrale si 12

astengano dal pronunciarsi su una questione in violazione dellobbligo prescritto dal Trattato, scatta lazione in carenza. 3. Eccezione di invalidit: una eccezione incidentale. In pratica le parti possono farvi ricorso solo se durante una procedura giurisdizionale gi avviata per altri motivi di fronte alla Corte venga sostenuta linapplicabilit di un atto per gli stessi vizi di annullamento dellart. 230. Se leccezione di invalidit accolta, latto non annullato ma inapplicato: non pu quindi essere applicato nella situazione particolare, ma resta pianamente in vigore in via generale. 4. Azione di responsabilit extracontrattuale: unistituzione comunitaria attraverso una sua azione dolosa provoca un danno da risarcire. La fattispecie classica quella del risarcimento richiesto verso il pregiudizio provocato da un atto comunitario considerato illegittimo. Lazione di responsabilit extracontrattuale non sostituisce quella di annullamento o di rinvio o eccezione pregiudiziale: latto contestato con questa procedura non infatti n annullato ne considerato invalido, ma solo illegittimo in via incidentale, ossia nella fattispecie considerata. Impugnazione di sentenze del Tribunale. Negli ultimi anni il Tribunale di primo grado ha assunto sempre pi competenze. Oggi lorgano giurisdizionale a cui vanno presentati tutti i ricorsi diretti di persone fisiche o giuridiche ed prevista la possibilit che tutte le azioni di ricorso (anche degli Stati, quindi) siano trattate in primo grado dal Tribunale fatta eccezione per i rinvii pregiudiziali. In realt anche prevista, ma ancora non attuata, una norma del Trattato che prevede di devolvere al Tribunale anche i rinvii pregiudiziali per quelle questioni i cui ricorsi diretti saranno devoluti alle camere giurisdizionali. Tutte le sentenze del Tribunale sono impugnabili in secondo grado entro 2 mesi dal pronunciamento. Stati e istituzioni comunitarie possono impugnare qualsiasi sentenza anche se non le riguardino, fatta eccezione per le controversie dei funzionari. Limpugnabilit tuttavia limitata alle sole questioni di diritto, cio a eventuali errori giuridici della prima sentenza, che devono essere chiaramente indicati (bench la Corte possa anche dufficio rilevare degli errori se questi non sono motivati). Non si tratta quindi di un giudizio dappello in cui si riconsiderano di nuovo tutti i fatti, ma un giudizio di cassazione e gli errori censurabili sono: Incompetenza del Tribunale. Vizi di procedura. Violazione del diritto comunitario. Eccessiva durata della procedura del Tribunale. La Corte pu dichiarare irricevibile limpugnazione della sentenza con una semplice ordinanza, sentito lavvocato generale. La Corte pu respingere il ricorso anche se sussistano effettivamente dei vizi ma la sentenza sia oggettivamente fondata. Se invece la Corte accoglie limpugnazione, la sentenza di accoglimento comporta lannullamento della pronuncia del Tribunale. Rinvio pregiudiziale. Previsto dallart. 234, il rinvio pregiudiziale un meccanismo di tutela giurisdizionale non diretta ma derivata. Esso prevede che il giudice nazionale, nel corso di un contenzioso che investe questioni di diritto comunitario, possa chiedere alla Corte di giustizia di pronunciarsi su tale questione se ritiene che il chiarimento sia necessario per la sua soluzione. Esistono due casi di rinvio: Rinvio pregiudiziale dinterpretazione col quale il giudice nazionale chiede alla Corte quale sia la corretta interpretazione e quindi la portata di una norma comunitaria. Rinvio pregiudiziale di validit col quale il giudice chiede alla Corte se la norma comunitaria sia valida ed efficace. 13

Loggetto del rinvio pregiudiziale molto ampio. Per il rinvio dinterpretazione in oggetto tutto il sistema giuridico comunitario convenzionale e derivato, ivi inclusi accordi stipulati dalla Comunit con Stati terzi e principi generali del diritto comunitario. Per il rinvio di validit sono oggetto di rinvio gli atti delle istituzioni comunitarie, ossia tutti gli atti impugnabili col ricorso diretto considerando quindi anche gli stessi vizi rilevanti ai fini dellazione di annullamento. Effetti della sentenza pregiudiziale. Gli effetti della sentenza pregiudiziale sono diversi a seconda del tipo di rinvio: Sentenza interpretativa (risposta a un rinvio interpretativo): essa vincola naturalmente il giudice a quo che ha effettuato il rinvio nella soluzione del caso. La sentenza pu altres essere considerata al di fuori della fattispecie perch si basa su punti di diritto e perci va tenuta in considerazione dallintera giurisprudenza. Ci non esclude la possibilit che qualsiasi giudice, anche lo stesso di prima, possa effettuare un ulteriore rinvio: o per sollecitare un ripensamento della Corte sulla base di nuovi elementi, o per avere dei chiarimenti sulla sentenza. Sentenza di validit (risposta a un rinvio di validit): leffetto della validit dellatto comunitario strettamente limitato al caso in questione. Da ci deriva che in un momento successivo e per motivi diversi la legittimit possa nuovamente essere contestata con rinvio. Leffetto dellinvalidit dellatto viceversa lo stesso che per la procedura di annullamento e latto invalido dunque annullato. Lefficacia temporale della sentenza, sia essa interpretativa o di invalidit, ex tunc e quindi retroattiva. La sua efficacia si estende quindi a tutti i rapporti non esauriti sorti dal momento in cui latto stato adottato, e quindi precedentemente alla sentenza. La Corte ha tuttavia facolt di limitare lefficacia in modo ex nunc laddove sussistano esigenze di certezza del diritto, ossia le stesse condizioni per cui una sentenza di annullamento ex art. 230 definita non retroattiva. Procedura giurisdizionale. Tutti i procedimenti di fronte al Tribunale e alla Corte sono regolati da: Norme del Trattato. Protocollo sullo Statuto della Corte. Regolamenti interni di procedura. Prima della decisione, il procedimento prevede una fase scritta e una fase orale. Naturalmente il tipo di procedura diverso a seconda del tipo di azione giurisdizionale: 1. Azioni dirette: ricorsi per annullamento, carenza, responsabilit extracontrattuale sono attivati tramite un ricorso da presentarsi entro il termine stabilito (2 mesi dalla pubblicazione della norma per lannullamento). Il ricorso inviato alla Cancelleria per raccomandata. Il cancelliere provvede alle traduzioni e alla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, oltre a notificare il ricorso alla controparte. Questultima pu presentare una replica e una controreplica nel termine di un mese. Stati membri e istituzioni comunitarie possono intervenire in tutte le procedure attivate con ricorso, sia per sostenere la domanda di ricorso che per contestarla. Le persone fisiche o giuridiche possono farlo a condizione di essere direttamente interessate alla decisione impugnata. 2. Rinvii pregiudiziali: la procedura inizia di fronte al giudice nazionale con la sospensione del procedimento attivato dinanzi ad esso e il rinvio degli atti alla Corte di giustizia. Insieme agli atti, il giudice invia alla Corte i quesiti dinterpretazione o di validit sui quali la Corte deve pronunciarsi. La cancelleria trasmette il tutto alle parti e alla Commissione e altre istituzioni comunitarie interessate, nonch a tutti gli Stati membri (e non membri se si tratta di una messa in discussione di un accordo 14

tra Comunit e Stati terzi). Tutti questi soggetti possono presentare entro 2 mesi osservazioni scritte e partecipare alludienza manifestando oralmente la propria posizione. Nella fase orale di unudienza si ha la relazione del giudice relatore, laudizione degli agenti, consulenti, avvocati, testimoni, periti e infine le conclusioni dellavvocato generale. A questo punto il giudice relatore, sentito lavvocato generale, deposita una relazione dudienza che riassume la questione, il quadro normativo e la posizione delle parti. Il Tribunale o la Corte decidono quindi in base a tale relazione se si necessita di un supplemento di istruttoria, unintegrazione della documentazione o altro. Si fissa quindi la data delludienza e la composizione del collegio; se non si decide di procedere alludienza, si fissa la data in cui lavvocato generale presenter le proprie conclusioni. Durante ludienza i difensori delle parti e gli intervenienti espongono i propri pareri a integrazione di quelli espressi in forma scritta, rispondendo alle domande del collegio e dellavvocato generale. La fase orale termine con la lettura durante ludienza pubblica della conclusioni dellavvocato generale. Ci avviene solitamente poche settimane dopo ludienza di discussione. Questa la procedura regolamentare. Esistono procedure accelerate sia per i ricorsi che per i rinvii. VINCENZO GUIZZI LEVOLUZIONE DELLA TUTELA DEI DIRITTI UMANI NELLUNIONE EUROPEA E I RAPPORTI CON IL SISTEMA CEDU. Levoluzione dei diritti umani nei Trattati UE. Inizialmente nei trattati istitutivi non cera alcun riferimento alla tutela dei diritti fondamentali. Lart. 12 del Trattato CEE di Roma recepiva il principio di uguaglianza sostenendo il divieto di discriminazione fondato sulla nazionalit. In realt questa e altre norme del Trattato si riferiscono specificamente a discriminazioni nellambito del mercato comune, e cio riguardo la libera circolazione di merci e servizi e la libert di stabilimento. Il Trattato CEE non ha per mai previsto norme riguardanti lobbligo del rispetto dei diritti umani fondamentali, a parte lart. 13 col quale conferisce al Consiglio il compito di prendere provvedimenti contro discriminazione di razza, etnia, religione, ideologia, handicap, et, tendenze sessuali (ma sempre in ambito di libera circolazione).Nella Dichiarazione comune del 1977, il Parlamento, il Consiglio e la Commissione si impegnavano a rispettare i diritti fondamentali garantiti dalle costituzioni degli Stati membri e della CEDU. Pur essendo non vincolante giuridicamente, la Dichiarazione stata un pilastro fondamentale che ha portato poi nel 1992, a Maastricht, allelaborazione dellart. 6.2 dove il contenuto della Dichiarazione venne recepito normativamente. Con il Trattato di Maastricht, lart. 6.1 ha per la prima volta elencato i principi su cui si fonda lUnione: Libert; Democrazia; Rispetto dei diritti delluomo e libert fondamentali; Stato di diritto. A questi si aggiungeva un importante documento ratificato nel 1989 da 11 dei 12 paesi membri (con leccezione della Gran Bretagna, che lo ratificher nel 1998): la Carta dei diritti sociali dei lavoratori. Tale Carta, voluta fortemente dal presidente della Commissione europea Jacques Delors, poneva fine alla contraddizione pericolosa di un mercato comune senza garanzie sociali: i lavoratori europei sarebbero stati in tal modo tutelati nei loro diritti a livello comunitario oltre che nazionale Su queste basi nel 2000 a Nizza il Consiglio europeo adott la Carta dei Diritti Fondamentali dellUnione europea proclamata solennemente poi da Parlamento, Commissione e Consiglio nel 2000 e dagli 15

Stati membri nel 2007. In essa si rintracciano tutti quei diritti fondamentali tutelati dalla Corte fino ad allora, e pur non essendo giuridicamente vincolante stata usata come metro di giudizio dalla Corte nelle successive sentenze. I rapporti tra Unione europea e CEDU. Con la sentenza Rutili (1975), la Corte riconosceva e applicava alcuni degli articoli della Convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti dellUomo (CEDU) riconoscendoli come parte della struttura giuridica comunitaria. La Corte ha poi soprattutto applicato gli artt. 6 e 13 della CEDU concernenti la tutela giurisdizionale piena ed effettiva che si concretizza in due diversi principi fondamentali: 1. Principio di equivalenza: la tutela dei diritti provenienti da norme comunitarie deve essere almeno pari a quella prevista dalle norme nazionali. 2. Principio di effettivit: lesercizio da parte del singolo dei diritti derivanti da norme comunitarie non deve essere ostacolato o reso gravoso dal sistema giurisdizionale interno. Riguardo lipotesi di unadesione della Comunit come istituzione alla CEDU, la Commissione e il Consiglio hanno per anni lavorato a questo scopo: la Commissione prima pubblic in un Bollettino uno studio sullargomento, e nel 1979 prepar un memorandum sulladesione della CEE alla CEDU. La Commissione sosteneva che ladesione fosse il miglior modo di garantire il rispetto dei diritti fondamentali, pur riconoscendo la necessit di elaborare una propria carte dei diritti, come poi accadr. Nel 1990 la Commissione present una comunicazione sullo stesso argomento, ma il Consiglio decise di investire la Corte della questione attraverso la richiesta di un parere. La Corte in tale parere afferm che ladesione alla CEDU comporterebbe una modifica sostanziale dellattuale regime comunitario in difesa dei diritti fondamentali e linserimento della Comunit in un sistema istituzionale distinto. Due fattori che minerebbero gravemente lautonomia giurisdizionale comunitaria e avrebbero rilevanza costituzionale tale da uscire dal dettato dei Trattati. Sarebbe perci necessaria una modifica di tali trattati per poter effettuare ladesione. Levoluzione dei diritti umani nella giurisprudenza della Corte. La tutela dei diritti fondamentali, da parte della Corte di Giustizia europea, ha inizialmente riguardato solo i diritti inseriti nel Trattato CEE tra cui appunto quello di non discriminazione nel mercato comunitario. Con la sentenza Cassis di Dijon (120/1978) viene sancito il principio del mutuo riconoscimento in base al quale se una merce prodotta in uno Stato membro pu circolare in tutti gli Stati membri. Estendendo lapplicazione del mutuo riconoscimento anche ai lavoratori, sono state successivamente approvate due direttive per lequiparazione dei titoli di studio e professionali. La Corte tuttavia ha sempre cercato di interpretare in maniera estensiva il divieto di discriminazione presente nel Trattato CEE attraverso il senso tradizionale, ossia il divieto di trattare in modo diverso situazioni simili e di non trattare in modo identico situazione diverse. La Corte ha quindi cercato sempre di garantire unuguaglianza sostanziale e non solo formale, sanzionando discriminazioni non solo esplicite ma anche indirette o dissimulate (es. sanzionando la diversa retribuzione del part-time in quanto sono le donne generalmente a scegliere questa forma di lavoro). Tuttavia, a parte questo principio sancito dal Trattato, fin dagli anni 50 la Corte sostenne che non le spettava emettere sentenze riguardo il rispetto di diritti fondamentali come sanciti dalle rispettive costituzioni nazionali ma solo garantire il rispetto del diritto comunitario: tale era il senso della sentenza Stork (1959), con la quale la Corte si dichiarava incompetente a trattare una questione riguardante la violazione, da parte degli organi comunitari, di un diritto fondamentale tutelato dalla costituzione di uno Stato membro. Ci condusse la Corte Costituzione italiana e la Corte tedesca a elaborare la 16

teoria dei controlimiti: la superiorit del diritto comunitario sul diritto interno sarebbe venuta meno laddove una norma comunitaria avesse inciso sul rispetto dei diritti fondamentali delluomo. Naturalmente tale teoria non mai stata applicata, ma a seguito di queste enunciazioni delle corti costituzionali la Corte di giustizia cominci a interessarsi dei diritti fondamentali per evitare che venissero posti vincoli alla superiorit sempre e comunque delle norme comunitarie. Con una sentenza del 1969 la Corte sostenne che nel caso in cui una legge comunitaria o nazionale violasse i diritti fondamentali, tale legge pu essere impugnata di fronte alla Corte. Il cambio di rotta definitivo avvenne con la sentenza Nold (1974), nella quale la Corte sostenne che i diritti fondamentali costituiscono parte integrante dei principi generali del diritto, di cui la Corte garantisce losservanza; nel garantire la tutela di tali diritti essa tenuta ad ispirarsi alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e non potrebbe, quindi, ammettere provvedimenti incompatibili con i diritti fondamentali riconosciuti e garantiti dalla costituzione di tali Stati. Con la sentenza Wachauf (1989) la Corte sostenne che i diritti umani fondamentali vincolano sia gli Stati membri che le istituzioni comunitarie. Terrorismo e tutela dei diritti umani. A partire dal 2001, quando la questione del terrorismo internazionale ha cominciato a diventare particolarmente rilevante, il Consiglio di Sicurezza dellONU ha adottato risoluzioni riguardanti individui che si presuppone siano dei terroristi. Le risoluzioni congelano le risorse economiche di tali individui attraverso dei comitati che indagano per identificare lappartenenza dei soggetti a organizzazioni terroristiche. Gli Stati europei hanno delegato questo compito allUnione europea: il congelamento delle risorse di individui sospettati di terrorismo e inseriti in una blacklist da un apposito comitato sanzionatorio deve essere compiuto dallUnione in quanto potrebbe altrimenti essere compromessa la libera circolazione dei capitali, fondamento della Comunit europea. Con un regolamento CE la questione stata regolamentata: entro 12 mesi dal congelamento dei beni, necessaria una motivazione a giustifica dellatto e riguardo il fine che sintende perseguire (in tal caso, la lotta al terrorismo). La realizzazione di tale blacklist stata disposta tramite posizioni comuni, atti politici disposti in base alle norme del secondo e terzo pilastro UE. Per questo fatto, il soggetto inserito nella blacklist non ha possibilit di difendersi e di ottenere la cancellazione della sua inclusione in lista, in quanto i Trattati non prevedono alcuna possibilit di contestare direttamente le posizioni comuni. Gli unici atti che il sospettato terrorista pu impugnare sono solo le decisioni (contestabili ai sensi dellart. 230 CE, ricorso in annullamento) di congelamento dei beni, che per trovano la loro giustificazione proprio nellinserimento nella blacklist. Il Tribunale di primo grado ha per sempre respinto i ricorsi di questi individui sostenendo che il regolamento un atto dovuto perch dava attuazione a una risoluzione in materia adottata dalle Nazioni Unite. Sintercorre in una violazione solo se si agito contro un soggetto non segnalato direttamente dal comitato sanzionatorio ma da uno Stato che ha solo proposto il nome al comitato. La Corte di Giustizia, alla quale ci si rivolti in ricorso alla sentenza del Tribunale, ha per annullato il regolamento nelle parti in cui venivano lesi i diritti del ricorrente: nella sua sentenza la Corte ha sostenuto che linserimento di individui nella blacklist pu essere anche fatta a giusta ragione, ma non deve ledere i diritti di tali soggetti a ricorrere alla Corte o al Tribunale, ossia il diritto al giusto processo che resto uno dei diritti fondamentali tutelati in ambito UE. In una serie di sentenze, tuttavia, la Corte CEDU ha per confermato quanto sostenuto dal Tribunale di primo grado dellUE. VINCENZO GUIZZI I RAPPORTI TRA ORDINAMENTO COMUNITARIO E ORDINAMENTO NAZIONALE.

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Applicazione del diritto comunitario negli Stati membri. Il sistema di adattamento delle norme comunitarie al diritto interno diverso a seconda se si tratti di norme primarie o derivate. 1. Per le norme primarie provenienti dai Trattati, si applica lo stesso principio di adattamento di qualsiasi norma di trattati internazionali. Va cio usata la procedura costituzionale ad hoc che in Italia prevede la legge di autorizzazione alla ratifica e lordine di esecuzione del Trattato. 2. Per le norme derivate non c una procedura di adattamento costituzionale ma a seconda del tipo di norme c una diretta applicazione o lemanazione di leggi o atti nazionali per la realizzazione dei fini previsti dalle norme comunitarie. Le norme di diritto derivato (art. 249) si distinguono in Atti vincolanti: i. Regolamenti: equivalenti alle leggi ordinarie nazionali, hanno portata generale ossia si rivolgono a soggetti non delimitati e a categorie astratte e soprattutto riguardano situazioni oggettive (e non soggettive). obbligatorio in tutti i suoi elementi, il che vuol dire che gli Stati non possono formulare opposizioni o riserve allatto, ed direttamente applicabile. ii. Direttive: vincolano lo Stato membro a cui si rivolgono al solo raggiungimento dellobiettivo fissato, mentre data allo Stato piena discrezionalit riguardo i mezzi da utilizzare per conseguire tale fine. Leffetto obbligatorio della direttiva appunto lobbligo di risultato: se gli Stati non conseguono tale obiettivo nel termine stabilito dalla direttiva, essi diventano oggetti di procedure dinfrazione a meno che non abbiano chiesto e ottenuto una proroga allUnione. Gli Stati sono inoltre tenuti a risarcire i singoli per gli eventuali danni derivanti dalla mancata attuazione. iii. Decisioni: equivalenti agli atti amministrativi nazionali, si rivolgono a destinatari specifici definiti nel testo, siano essi Stati o persone fisiche o giuridiche. Una decisione tale anche se si applica a tutti gli Stati membri, purch mantenga il suo carattere individuale. Anche questo atto obbligatorio in tutti i suoi elementi. Quando la decisione impone lobbligo di pagamento a singoli, essa un titolo esecutivo che va fatto valere dagli Stati membri attraverso la procedura nazionale ad hoc. Atti non vincolanti: i. Raccomandazioni: invitano i destinatari (gli Stati) a conformarsi a un determinato comportamento. ii. Pareri: rendono noto pubblicamente il punto di vista di unistituzione comunitaria su una questione particolare. Diverso quindi il tipo di adattamento a seconda della norma. Lattuazione delle direttive comunitarie in Italia sempre stata materia dolente a causa dei ripetuti ritardi del loro recepimento. Ci ha comportato per lItalia lessere oggetto di diverse procedure dinfrazione. Nel 1989 la legge La Pergola introduceva uno strumento noto come legge comunitaria annuale tramite la quale ogni anno il Parlamento approvava tutte le disposizioni di applicazione del diritto comunitario. La complessit della procedura ha per comportato, nei quindici anni di funzionamento, diversi problemi. Perci nel 2005 stata abrogata la legge La Pergola e sostituita con la legge per gli affari comunitari (Legge Buttiglione) con lo stesso obiettivo della precedente ma un funzionamento semplificato. Essa istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri il Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE), convocato e presieduto dal 18

Presidente del Consiglio dei Ministri o dal Ministero per le politiche comunitarie. A esso partecipato il Ministro degli affari esteri, quello degli affari regionali ei rispettivi ministri competenti per le materie oggetto dei provvedimenti. Effetto diretto delle norme comunitarie. Leffetto diretto di una norma comunitaria stabilito dal Trattato per i soli regolamenti. In pratica la norma crea diritti ed obblighi direttamente sui singoli senza che lo Stato debba esercitare una funzione di adattamento legislativa. Il singolo pu quindi far valere gli eventuali diritti di fronte al giudice nazionale direttamente appena il regolamento entra in vigore, e lamministrazione interna pu immediatamente far s che il singolo adempia agli obblighi previsti. In dottrina si discute della differenza tra effetto diretto e applicabilit diretta: in sostanza lapplicabilit diretta si avrebbe per i soli regolamenti, mentre leffetto diretto una qualit di cui godono tutte le norme di qualsiasi tipo di atto che non necessitano di applicazione da parte dello Stato. Tale nozione non ripresa da tutta la giurisprudenza, e si parla in maniera indistinta di effetto diretto per indicare i due casi. Dunque leffetto diretto non proprio solo dei regolamenti ma vale per tutte le norme sufficientemente chiare e precise la cui applicazione non richiede ulteriori atti comunitari o nazionali di esecuzione o integrativi. Nella sentenza Van Gend en Loos (1963) la Corte ha affermato che, al di l del nomen iuris ossia del tipo di atto (regolamento, direttiva, decisione e anche pareri e raccomandazioni), i diritti di una norma comunitaria chiara e precisa possono fatti valere dal singolo direttamente di fronte al giudice. Quindi oggi pacifico che anche le decisioni sono provviste di effetto diretto, mentre restano problemi riguardo le direttive. La Corte ha attribuito anche ad essere effetto diretto ma solo per quelle norme che per entrare in vigore non necessitano di alcun atto delle autorit nazionali. Il problema si pone comunque solo per quelle direttive non attuate in tempo o non correttamente attuate dagli Stati membri. La giurisprudenza ha ribadito leffetto diretto delle direttive in quanto gli obblighi da esse previste per lo Stato perderebbero efficacia se il loro contenuto non venisse fatto valere direttamente dai singoli. Si parla di intento sanzionatorio delleffetto diretto proprio a tale riguardo: in pratica la possibilit dei singoli di adire al giudice contro linadempienza dello Stato membro un incentivo affinch tale Stato non si crogioli nellinerzia dellapplicazione di una direttiva. Nel caso delle direttive, comunque, si parla di effetto diretto verticale: in pratica i diritti provenienti dalla direttiva possono essere fatti valere direttamente dal singolo solo nei confronti dello Stato (dal basso verso lalto, insomma, ed unilateralmente perch evidentemente lo Stato non pu imporre al singolo il rispetto di un obbligo di una direttiva che lui stesso non ha ancora trasposto). Solo dopo la corretta trasposizione, la direttiva provocher un effetto orizzontale, ossia i suoi diritti saranno fatti valere dal singolo contro altre persone fisiche o giuridiche. Non mancano per alcune sentenze in cui stato attribuito effetto diretto orizzontale a una direttiva (es. sulla direttiva che prevede la parit uomo-donna sullaccesso e le condizioni di lavoro). Leffetto diretto delle direttive non trasposte si evince anche nel fatto che secondo la Corte il giudice nazionale e lamministrazione interna devono interpretare il proprio diritto nazionale alla luce dei diritti e degli obblighi posti dalla direttiva, anche se non ancora trasposta (interpretazione conforme). Qualora si riscontri una palese e insanabile contraddizione tra norma interna e direttiva comunitaria, il giudice laddove riscontri leffetto diretto della direttiva deve provvedere a disapplicare la norma nazionale anche se la direttiva non stata ancora trasposta. Per quanto concerne le norme prive di effetto diretto, per le direttive non trasposte il singolo potr riaversi sullo Stato solo attraverso linterpretazione conforme, mentre la Commissione naturalmente porr in essere una procedura di infrazione verso lo Stato inadempiente.

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Primato del diritto comunitario sul diritto interno. Le norme comunitarie godono di superiorit sulle norme interne contrastanti. Ci vale sia per le norme interne precedenti allanaloga norma comunitaria sullo stesso tema che per quelle successive. Per il primo caso (norma precedente), vale il normale principio lex posterior derogat priori per cui la legge precedente viene abrogata. Diverso il secondo caso in quanto se si applicasse il principio di cui sopra, una norma nazionale posteriore a quella comunitaria abrogherebbe questultima. Nel 1964 la Corte Costituzionale italiana sostenne che, poich la giurisprudenza italiana si adeguava a quella comunitaria con la sola legge di esecuzione del trattato, effettivamente valeva in principio dellabrogazione da parte della norma posteriore essendo leggi interne e comunitarie poste sullo stesso livello. La Corte di giustizia nella sentenza Costa sullo stesso problema afferm lesatto contrario: la Comunit europea ha un ordinamento giuridico proprio e leggi interne successive in contrapposizione con quelle comunitarie minerebbero luniformit e lefficacia del diritto comunitario in tutto il territorio europeo e violerebbero lart. 249. Perci la legge nazionale posteriore priva di efficacia e la norma comunitaria prevale in virt di una forza propria che non deriva affatto dalle legge di esecuzione del Trattato CE. Tra il 1973 e il 1975 la Corte Costituzione italiana si adegu solo parzialmente a questa interpretazione (sentenze Frontini e Industrie Chimiche). Essa afferm s che ordinamento nazionale e comunitario sono tra loro distinti ma sostenne che un eventuale norma interna incompatibile con quella comunitaria andrebbe abrogata in quanto incostituzionale ai sensi dellart. 11 della Costituzione che la Corte individuava come fondamento della ricezione interna del diritto comunitario. In pratica nasceva un lungo processo per cui la norma interna incompatibile doveva essere posta allattenzione della Corte Costituzionale in una procedura di incostituzionalit. La Corte di giustizia rispose con la sentenza Simmenthal del 1978. Un giudice italiano chiese alla Corte comunitaria se il procedimento di incostituzionalit previsto dalla Corte Costituzionale non fosse in contravvenzione con lordinamento comunitario nella misura in cui tradiva la diretta applicazione delle norme CE. La Corte di giustizia ribad il principio delleffetto diretto e sostenne che norme interne successive incompatibili non si formano validamente. Questo principio di totale superiorit del diritto comunitario stato infine recepito anche dalla Corte Costituzionale nostrana nel 1984 con la sentenza Granital sostenendo non linvalidit o lannullamento della successiva norma interna contrapposta, ma la sua disapplicazione. La questione di incostituzionalit non solo non doveva pi essere posta, ma sarebbe stata considerata inammissibile dalla Corte Costituzionale. La stessa Corte ha per fatte salve due possibilit: Conflitto con i principi fondamentali della Costituzione e dei diritti inalienabili. Conflitto con i principi fondamentali del Trattato comunitario. In questi due casi la Corte si riserva di esaminare la questione avviando una procedura di incostituzionalit o di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. Sono stati altres considerati inammissibili referendum abrogativi di norme comunitarie. La sentenza Simmenthal stata riconfermata nel 1990 con lanaloga sentenza Factortame in cui la Corte si limitata a ribadire quanto precedentemente sostenuto. Oggi lordinamento costituzionale italiano ha ribadito la superiorit del diritto comunitario con la riforma costituzionale del Titolo V (2001) allorquando allart. 117 ha previsto che la potest legislativa interna esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti dallordinamento comunitario. Politiche comunitarie. In base allart. 5 CE il principio di attribuzione, la Comunit interviene nei settori che non sono di sua esclusiva competenza solo se e nella misura in 20

cui gli obiettivi dell azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono essere realizzati meglio a livello comunitario. Con lart. 308 la Comunit ha potuto gradualmente ampliare le proprie competenze attraverso la dottrina dei poteri impliciti, con nuove politiche successivamente incorporate nei Trattati. Le politiche comunitarie sono:

Politica commerciale: una delle poche politiche esplicitamente menzionate nel Trattato, di competenza esclusiva dellUnione. Politica della libera concorrenza. Politica sociale: partita dei sessi, non solo salariale ma anche sociale. Politica dei trasporti: si sviluppare a partire dagli anni 80 ma riceve impulso dopo Maastricht e il Libro Bianco del 2001. Politica ambientale: prevista dal 1987, diventa poi una politica di prevenzione. Politica di coesione economica e sociale.

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PARTE II
Israele, uno stato ebraico democratico: la tutela delle libert fondamentali tra principi costituzionali e valori religiosi
STEFANIA DAZZETTI LE RAGIONI STORICHE DELLA FONDAZIONE DELLO STATO DI ISRAELE. Le origini del sionismo. Israele si autodefinisce Stato ebraico e democratico nella Dichiarazione di Indipendenza del 1948, e nelle leggi del 1992 sulle libert fondamentali. Si tratta di una etnocrazia perch per i padri del sionismo Israele non va considerata la patria dellebraismo come religione ma il luogo dove il popolo ebreo pu vivere seguendo la cultura ebraica, non necessariamente coincidente con la religione (che resta per un forte elemento di identit). Se la Dichiarazione di Indipendenza del 14 maggio 1948, le ragioni storiche della nascita di Israele sono pi remote. Dal 1881 si susseguono sei ondate migratorie (Aliyot) di ebrei, soprattutto dallEuropa centrale e settentrionale. Dopo il 1948 le ondate migratorie continuano fono agli anni 90, quando si verifica una grande immigrazione spartiacque della Russia. Nuclei ebrei si trasferirono gi nei primi anni del XIX secolo in Terrasanta, fondando piccole comunit legate alla terra e ai luoghi sacri originari dellebraismo. LImpero ottomano concedeva autonomia religiosa a queste comunit. Nel 1881 unondata di antisemitismo (pogrom) in Russia costringe circa 2030.000 ebrei a emigrare nella Terra Promessa sotto la direzione di un movimento noto come gli Amanti di Sion, primo nucleo del sionismo. Il movimento cerca di convincere i circa 2 milioni di ebrei russi emigrati in America a trasferirsi in Palestina, acquistando e coltivando la terra al fine di creare una societ ebraica. Nel loro linguaggio la Palestina non la Terra Promessa, ma la terra ancestrale. Il sionismo politico, ben diversamente, unideologia di stampo nazionalista ispirata allidea della nazionalizzazione delle masse che si diffonde nei primi decenni del XX secolo. Lorigine del sionismo politico nella Rivoluzione francese, allorquando, venendo meno il regime delle interdizioni e riconoscendo a tutti i diritti civili e politici, anche gli ebrei vennero ammessi a una vita integrata con il resto della societ. Si diffuse cos il problema dellassimilazionismo degli ebrei, il timore di una perdita di identit etnica che gli ideali universalistici della Rivoluzione invece propongono. Il Primo congresso sionista mondiale si tiene a Basilea nel 1897 e sancisce linizio ufficiale del sionismo politico. Lanno prima Theodor Herzl, considerato il padre del sionismo politico, scrive Der Judenstaat, sorta di manifesto del sionismo redatto sullonda emotiva dellAffaire Dreyfus. Il titolo vuol dire lo Stato degli Ebrei, non Stato ebraico, identificando tre assunti di base: 1. Rifiuto dellassimilazione come risposta alla discriminazione degli ebrei. 2. Ineluttabilit dellantisemitismo considerato un fenomeno destinato a proseguire nei secoli. 3. Costruzione di uno Stato indipendente riconosciuto dalle grandi potenze internazionali come unica soluzione al problema ebraico. Nella visione di Herzl non era tanto importante dove tale Stato nascesse, ma che nascesse: la scelta del territorio non cade infatti subito sulla Palestina; Herzl propose in effetti al sultano turco la cessione della Palestina in cambio del ripaga mento del debito pubblico dellImpero ottomano, ma questi rifiut proponendo prima la Mesopotamia, poi lAnatolia e infine la Siria. Successivamente Cipro prima e lUganda poi divennero le 22

ipotesi pi verosimili, ma queste vennero osteggiate dagli ebrei dellEuropa orientale nel corso di un congresso. Con la morte di Herzl si torn a parlare della Palestina, e i suoi successori lavorarono contemporaneamente sul fronte diplomatico e sulla penetrazione ebraica in Palestina, che divenne la meta dei migranti. La politica di colonizzazione comincia a farsi strada in quegli anni, con lacquisto di terre da parte degli immigrati ebrei, senza che il sultano turco limitasse il fenomeno. Nel 1907 nasce intanto il sionismo sintetico di Chain Weizmann: biochimico di fama internazionale, grazie al suo prestigio intess una serie di relazioni con llite britannica. La sua attivit condusse nel 1917 alla Dichiarazione di Balfour, una lettera del ministro degli esteri britannico al banchiere sionista Lord Rotschild. Si trattava di una dichiarazione di simpatia del governo britannico verso il progetto palestinese, sostenendo la piena cooperazione inglese a tal fine. Viene riconosciuto per la prima volta il diritto degli ebrei a costruire una nazione (focolare domestico), senza per arrecare pregiudizio ai diritti delle comunit non ebraiche in Palestina e senza danneggiare i diritti civili e politici degli ebrei allestero. Infatti la maggioranza delle comunit ebree in America ed Europa occidentale non aveva intenzione di partecipare al progetto sionista, e desiderava fosse chiaro che la nascita di uno Stato ebraico non significasse lobbligo di trasferimento di tutti gli ebrei nel mondo. Verso lo Stato di Israele. Il primo insediamento ebraico organizzato in Palestina si chiamava Yshuv. Furono istituiti lUfficio, la Commissione e lEsecutivo sionista per coordinare le attivit di trasferimento e colonizzazione, mentre nel frattempo i primi ebrei in Palestina presero a organizzarsi democraticamente. Le prime elezioni si tennero nel 1920 (sistema proporzionale con scrutinio di lista) per listituzione dei seguenti organi: Assemblea dei delegati (315 membri): simile alla Knesset attuale, aveva competenza in materia di bilancio e diritto di voto dei membri del Consiglio. Consiglio nazionale ebraico (36 membri): aveva competenza amministrative e fiscali. Eletto dallAssemblea. Consulta rabbinica palestinese: formata da personalit religiose (rabbini) e da membri laici. Presieduta da 2 rabbini e divina in due correnti, una nata nellEuropa orientale e una in Spagna. Nel 1920 la lingua ebraica assunta come lingua nazionale. Lebraico moderno lelemento unificante dello Stato, nato da una modernizzazione dellebraico antico della Bibbia nel XIX secolo. Quello stesso anno, alla Conferenza di San Remo, la Societ delle Nazioni conferisce il mandato amministrativo della Palestina alla Gran Bretagna. Il ministro delle colonie britannico Winston Churchill nel 1922 fissa in un Libro Bianco il numero preciso di arrivi di ebrei in Palestina, non oltre 75.000 ebrei in 5 anni. Il limite derivava dal problema della scarsit di risorse disponibili, ma gli ebrei non lo accettarono di buon grado soprattutto durante le persecuzioni nazi-fasciste degli anni 30. Contro il progetto sionista nel 1937 avvenne la grande rivolta araba, provocata dalla riduzione della terra. Per risolvere il problema, quellanno il governo britannico nomin una commissione dinchiesta che redasse il Rapporto Peel, il quale prevedeva la spartizione della Palestina in 2 Stati: Israele e Palestina. Gerusalemme e Betlemme sarebbero state poste sotto tutela internazionale; il rapporto prevedeva inoltre lo scambio di popolazione tra le varie zone per garantire lomogeneit etnica (200.000 arabi da trasferire nella zona palestinese contro circa 20.000 ebrei). Il piano non fu accettato dagli arabi, mentre Ben Gurion (futuro primo ministro di Israele) lo approv. Con la fine della Seconda guerra mondiale i trasferimenti ebrei in Palestina, pur aumentando, furono limitati fermamente dal governo britannico attraverso lintercettazione delle navi clandestine e la chiusura dei passeggeri in campi di internamento fuori dalla Palestina (tra questi anche i reduci dei campi di concentramento). Come risposta i nazionalisti ebrei iniziarono diversi attentati contro gli inglesi, che convinsero Londra nel 1947 ad abbandonare il mandato. Subentr 23

quindi la gestione dellUNSCOP, commissione speciale dellONU sulla Palestina, che decise un piano in tre punti: 1. Ritiro britannico. 2. Divisione in due Stati. 3. Internazionalizzazione di Gerusalemme. Il 29 novembre 1947 la Risoluzione ONU conseguente (181) fu votata dallAssemblea e approvata con 33 voti a favore, 13 contrari, 10 astenuti. Si sosteneva il progetto di due Stati separati, con ripartizioni territoriali diverse da quelle stabilite dal Rapporto Peel, e lobbligo di tenere elezioni democratiche nei due Stati per la nomina di unAssemblea costituente entro lanno successivo (1948). Israele accett la risoluzione e nel 1948 diede vita allo Stato di Israele; gli arabi la rifiutarono. Il giorno successivo alla dichiarazione dindipendenza di Israele, gli eserciti di Egitto, Giordania, Siria, Libano e Iraq attaccarono Israele. La prima guerra arabo-israealiana si concluse nel 1949 con larmistizio voluto dallONU. I confini cambiarono: lo Stato palestinese si riduceva perch gli ebrei avevano conquistato nuove zone. Se la proposta UNSCOP prevedeva il 62% della Palestina a Israele, lONU aveva ridotto la percentuale a un equo 55%, mentre i confini armistiziali Israele otteneva l80% della Palestina. Forma istituzionale e organizzazione dei poteri. Con la fine della guerra, il Consiglio nazionale in Israele assumeva funzioni legislative provvisorie, e lEsecutivo nazionale il potere esecutivo provvisorio. Israele terr le elezioni per lAssemblea costituente il 25 gennaio 1949. La Knesset, lassemblea costituente (150 membri), assume il potere legislativo rinunciando al progetto di redazione di una costituzione. Infatti la componente religiosa ebraica spingeva per ladozione della Torah, la legge divina, mentre la maggioranza ebraica puntava a una costituzione laica. La Risoluzione Harari punt a un processo progressivo e graduale, fondato sulle basic laws, le leggi fondamentali assimilabili per molti versi al modello britannico. La societ ebraica di tipo orizzontale, non esistono gerarchie ecclesiastiche. Lesercizio della democrazia una costante nelle societ ebraiche (anche nellItalia fascista, dove le comunit ebraiche continuavano a governarsi come enti autarchici con elezioni democratiche aperte anche alle donne). STEFANIA DAZZETTI LORDINAMENTO COSTITUZIONALE E LE FONTI. La Dichiarazione di Indipendenza. A partire dalla mezzanotte del 14 maggio 1948 entra in vigore la Dichiarazione dIndipendenza dello Stato di Israele. A proclamarla il Consiglio del Popolo ebraico, parte del partito sionista, che decide cos di dare unilaterale attuazione alla risoluzione ONU 181. Con la Dichiarazione vengono poste le basi del diritto del popolo ebraico alla fondazione del suo Stato, considerato un diritto naturale degli ebrei. La Dichiarazione non comunque un documento giuridico, ma un atto politico con significato giuridico. La giurisprudenza di Israele attribuisce a tale Dichiarazione una duplice valenza: Sul piano interno latto di fondazione dello Stato ebraico. Sul piano internazionale un appello allONU affinch accetti Israele come membro delle Nazioni Unite. Secondo la dottrina giuridica nella Dichiarazione dIndipendenza si distinguono 4 parti: 1. Introduzione sulle vicende e sulle aspirazioni del popolo ebraico (la fondazione di uno Stato nella Eretz Israel, la tradizionale terra dIsraele in Palestina). 2. Proclamazione di uno Stato ebraico (Stato di Israele) e avvio di un periodo di transizione verso lAssemblea Costituente entro il 1 ottobre 1948. 3. Dichiarazione di principi a cui lo Stato dovr conformarsi. 24

4. Dichiarazione e appelli rivolti alle Nazioni Unite, agli abitanti arabi dello Stato, ai Paesi arabi, agli ebrei della diaspora per la collaborazione nella fondazione di Israele. La dottrina ha sempre escluso la possibilit di attribuire alla Dichiarazione il valore di una norma costituzionale, come tale dotata di rango superiore alle leggi della Knesset. piuttosto un documento che possiede unautorit politica e morale riconosciuta, riguardo soprattutto il carattere ebraico e democratico dello Stato dIsraele. Le si attribuisce dunque un valore interpretativo, ossia un documento alla luce del quale interpretare le leggi e le norme giuridiche da parte dei giudici.

La legislazione della transizione. Concluse le vicende della prima guerra araboisraeliana, la situazione politica di Israele ancora provvisoria e si struttura in tre organi:

Assemblea costituente: eletta a suffragio universale, si riunisce per la prima volta il 25 gennaio 1949 con il compito di redigere la Costituzione. Consiglio provvisorio: detentore della funzione legislativa in via provvisoria, composto da 38 membri del Consiglio del Popolo. Governo provvisorio: detentore della funzione esecutiva in via provvisoria, composto da 15 membri del Consiglio del Popolo.

La difficolt di convivenza tra lAssemblea costituente e il Consiglio provvisorio convincono questultima a proclamare il proprio auto-scioglimento affidando tutti i poteri legislativi allAssemblea. Da provvisoria, lAssemblea decide di proclamarsi permanente e abbandona il primo progetto quello di redigere la costituzione diventando il Parlamento nazionale (150 membri). Il 19 febbraio 1949 la Knesset emana la legge di transizione, definita piccola costituzione: essa legittima la decisione dellAssemblea di diventare permanente e assumere la funzione legislativa in quanto:

Legittima il Comitato provvisorio quale primo governo costituzionale. Disciplina prerogative e funzionamento delle istituzioni di seguito elecante:
o o o

Presidenza dello Stato. Governo. Knesset.

Nel 1950 la Knesset emana la legge del ritorno, tramite la quale viene disciplinato il principio secondo cui tutti gli ebrei sono ammessi in Israele. La legge segue la prima parte della Dichiarazione dIndipendenza che gi ribadiva questo concetto (tutti gli ebrei nel mondo sono potenziali cittadini dello Stato dIsraele). Nello stesso anno viene deciso che la Costituzione sar composta capitolo dopo capitolo, attraverso delle leggi fondamentali che ne costituiscano lossatura. A redigere le leggi fondamentali viene preposta unapposita Commissione, che al termine dei lavori sottopone alla Knesset il testo della legge. Nasce cos lidea di un processo costituente progressivo, ossia una Costituzione redatta nel tempo capitolo dopo capitolo, a tappe. Diversi sono i motivi che spiegano la mancata adozione da parte di Israele di una carta costituzionale tradizionale:

Lemergenza bellica. 25

Il carattere cosmopolita della popolazione ebraica, proveniente dalle pi diverse parti del mondo e quindi amalgama di ordinamenti giuridici diversi. Volont politica di ottenere una estensione dei diritti e delle libert a tutti i cittadini, anche arabi. Difficolt di armonizzazione delle diverse correnti, tra laici e religiosi, tra i diversi gruppi nazionali e politici.

Le leggi fondamentali. Tra il 1958 e il 1994 vengono approvata dalla Knesset una serie di leggi dette fondamentali (Basic Laws): fondamentale sulla Knesset (1958). fondamentale sulle terre demaniali (1960). fondamentale sul Presidente dello Stato (1964). fondamentale sul Governo (1968, 1992). fondamentale sul bilancio (1975). fondamentale sullesercito di difesa di Israele (1975). fondamentale su Gerusalemme, capitale di Israele (1975). fondamentale sul potere giudiziario (1984). fondamentale sul controllore dello Stato (1986). Legge fondamentale sulla libert di occupazione (1992, 1994). Legge fondamentale sulla dignit e libert della persona (1992). Il problema di assegnare a queste leggi un valore giuridico superiore, di tipo costituzionale, ha a lungo contraddistinto la disputa giurisprudenziale israeliana nei decenni. Una delle questioni riguarda il potere costituente: esso era stato affidato dal popolo allAssemblea costituente, che tuttavia rinunci alla redazione di una Costituzione. Il potere costituente, secondo alcuni giuristi, non trasmissibile. Tuttavia, con la piccola costituzione, lAssemblea proclamatasi prima Knesset trasfer tutti i poteri della prima istituzione alla seconda (uguale nella composizione), e con la legge del 1951 stabil che la seconda Knesset (II legislatura) assumesse gli stessi poteri e funzioni della prima. Da ci deriva il potere costituente delle successive legislature che negli anni hanno prodotto le leggi fondamentali, riconosciuto dalla Corte suprema (sentenza Barack, 1995). Le Leggi fondamentali sono di rango costituzionale, secondo la Corte, per: Nomen iuris: essendo definite Leggi fondamentali e non semplicemente leggi. Ratione materiae: andando a legiferare su principi generali e riconoscimento di diritti fondamentali. Altri sistemi giuridici. Alle leggi fondamentali e alla Dichiarazione dIndipendenza come basi giuridiche dellordinamento israeliano si aggiungono, inoltre, diversi elementi che provengono da un retroterra giuridico vario: Torah: linsieme delle leggi tradizionali ebraiche, un totale di 613 precetti (positivi e negativi) considerato il diritto vivente, e oggi parte del diritto dello Stato ebraico. I precetti della Torah sono validi per il matrimonio e il divorzio tra ebrei in Israele. Millet: sistema di derivazione ottomana, tramite il quale le comunit religiose hanno il permesso di applicare i propri statuti a determinati ambiti (come il diritto di famiglia). Common Law: il sistema di diritto britannico ereditato dal mandato coloniale della Gran Bretagna. 26
1. Legge 2. Legge 3. Legge 4. Legge 5. Legge 6. Legge 7. Legge 8. Legge 9. Legge 10. 11.

STEFANIA DAZZETTI DEMOCRAZIA E LIBERT FONDAMENTALI IN ISRAELE. Lassenza di una costituzione. Nel 1950 con la Risoluzione Harari lo Stato di Israele rinuncia al progetto di redigere una costituzione, optando per un processo costituente progressivo attraverso ladozione di leggi fondamentali. In questo senso un ruolo chiave quello rappresentato dalla Corte Suprema e dalla sua giurisprudenza. Il Judicial Bill of Rights il prodotto della lunga attivit della Corte che inizia nel 1953 e si conclude idealmente nel 1992 con ladozione di una serie di diritti espressamente sanciti. Anche in assenza di una costituzione, i diritti sanciti dalla Corte nel corso dei decenni assumono un valore primario nellordinamento israeliano, a partire dal 1953 con la Sentenza Kal HaAm contro il Ministero degli Interni. Il caso derivava dalla soppressione di due giornali israeliani avendo essi criticato i rapporti intercorrenti tra Israele e USA. Bench il ministero potesse effettivamente esercitare quel potere, la Corte annull il provvedimento per difendere la libert di stampa e di espressione, pur non essendo questo un principio espressamente sancito. La Corte sostenne che uno Stato non pu definirsi democratico se non rispetto il principio di espressione. Tale sentenza apr la strada al riconoscimento dei diritti fondamentali da parte della giurisprudenza. Nella dottrina giuridica israeliana i diritti fondamentali si configurano come soft legal principles, ossia: Legali perch: o Il governo pu limitarli solo se stabilito dalle legge. o Sono considerati principi guida nellinterpretazione delle leggi. o Lamministrazione deve considerarli fondamentali quando esercita la propria discrezionalit amministrativa. Soft perch tali principi non limitano il potere legislativo della Knesset. Per quanto i diritti sanciti dal diritto internazionale abbiano sempre trovato un riconoscimento giurisprudenziale in Israele, nella parassi si sempre effettuato un bilanciamento tra diritti fondamentali e altri tipi di interesse (balancing test), nellatto di decidere quale dei due far prevalere, con estremo pragmatismo. Diversi anni fa il primo ministro Barak annunci che una Costituzione sarebbe stata approvata entro il 2000, composta da una serie di capitoli costituiti dalle Leggi fondamentali approvate; la Legge fondamentale sulle fonti del diritto, la cui approvazione conferirebbe carattere costituzionale alle Leggi fondamentali stabilendo una volta e per sempre la gerarchia delle fonti in Israele, giace tuttavia in commissione affari costituzionali insieme ad altre bozze di leggi fondamentali. La XII Legislatura della Knesset. La XII Legislatura del parlamento israeliano opera dal 1988 al 1992. Il deputato Rubinstein presenta in questa legislatura una proposta di legge da suddividere in due parti: 1. Proposta di legge fondamentale sui diritti della persona; 2. Proposta di legge fondamentale sulla libert di occupazione. Lo spacchettamento di ununica legge fondamentale in due fu proposto per superare il veto dei partiti religiosi ultraortodossi sulla questione dei diritti della persone. Nel 1992 sono cos approvate le due leggi fondamentali di Israele. Per la giurisprudenza fu una rivoluzione, ma alla Knesset le votazioni avvennero in un clima di indifferenza (nellassenteismo generale la prima legge pass con 24 voti di maggioranza, la seconda con 32). Dopo il 1992 la Corte Suprema acquisisce la possibilit di annullamento di una legge ordinaria in caso di violazione dei principi fondamentali codificati in queste due leggi di tipo costituzionale, fermo restando il balancing test che si applica comunque. 27

Caratteri e contenuti delle leggi fondamentali del 1992. Le due leggi fondamentali nel 1992 hanno caratteri e contenuti diversi: Libert di occupazione: protegge il diritto di ogni cittadino a intraprendere qualsiasi tipo di lavoro, professione o iniziativa economica. Il diritto conferito al cittadino ma anche al residente e sancisce il divieto dello Stato a imporre limitazioni, fatto salvo il diritto dello Stato a regolamentare tramite licenza o leggi contro il monopolio. Dignit e libert umana: comprende una serie di diritti quali il diritto alla vita, al corpo e alla dignit (artt. 2 e 4) e secondo alcuni anche il diritto a morire (eutanasia); il diritto di propriet (art. 3); il diritto alla libert personale (art. 5); il diritto di uscita e di entrata in Israele (art. 6); il diritto alla privacy e allintimit (art. 7). Per la prima Legge, quella sulla libert di occupazione, viene garantito (art. 7) uno status superiore alle leggi ordinarie: eventuali emendamenti debbono introdurci con leggi di pari rango approvate a maggioranza assoluta. Questo procedimento sar utilizzato nel 1994 allorquando una nuova Legge fondamentale sulla stessa materia sostituir quella di due anni prima. Le due leggi possiedono anche una serie di clausole, ossia gli articoli introduttivi o generali alle leggi stesse, che dettano i principi comuni a tutte le libert fondamentali sancite nelle leggi. Le clausole sono: 1. Clausola dei principi: linterpretazione dei principi sanciti nelle leggi devessere fatta alla luce di quanto previsto dalla Dichiarazione dIndipendenza di Israele. 2. Clausola programmatica: il proposito delle leggi fondamentali quello di codificare i valori dello Stato di Israele come Stato ebraico e democratico. 3. Clausola generale di limitazione: presente in entrambe le leggi, definisce le condizioni di limitazione del diritto fondamentale da parte dello Stato. La limitazione devessere posta da una legge del Parlamento, che sia conforme ai valori dello Stato, che sia adottata per uno scopo idoneo e che sia necessaria. 4. Clausola derogatoria: ex art. 8 possibile attenuare il livello di protezione conferito alle due Leggi fondamentali, poich anche se una legge della Knesset non soddisfa i criteri della clausola di limitazione, essa pu comunque essere adottata in deroga della Legge fondamentale purch votata a maggioranza assoluta e con un tempo massimo di validit di 4 anni. 5. Clausola di irretroattivit: valida per la sola Legge sulla libert e dignit umana, impedisce labrogazione di leggi ordinarie precedenti alla sua entrata in vigore, le quali pur in contrasto con il contenuto della Legge fondamentale non sono sottoposta a giudizio di costituzionalit. Ci fa s che, in pratica, non esista in Israele una tutela assoluta dei principi sanciti nelle Leggi fondamentali. STEFANIA DAZZETTI I DIRITTI DELLA PERSONA NELLE LEGGI FONDAMENTALI E NEI TERRITORI OCCUPATI. Diritti non espressamente sanciti. Lopposizione dei partiti religiosi ebraici imped, nellatto dellapprovazione della Legge fondamentale sulla dignit della persona, il riconoscimento di principio quali la libert di religione, i diritti di coscienza e libert di espressione, di uguaglianza ecc. Tuttavia molti di questi diritti, pur non espressamente sanciti (ossia non codificati), sono riconosciuti dalla giurisprudenza israeliana: 28

Principio di eguaglianza: non stato codificato anche se si discusse di inserirlo nella Legge fondamentale sulla dignit umana, ma la proposta fu osteggiata dai gruppi religiosi ultraortodossi. Libert di espressione e di associazione: non stato codificato ma la citata sentenza della Corte Suprema del 1953 ha sancito che senza il suo rispetto uno Stato non pu considerarsi democratico. Diritto a un giusto processo: pur non codificato, una serie di diritti ad esso legati sono comunque rispettati e tutelati dalle Leggi fondamentali. Diritto dellautonomia della persona e libert contrattuale: viene riconosciuto il diritto a testare, ossia a fare testamento. Libert di coscienza e libert religiosa: la terza parte della Dichiarazione di Indipendenza prevede questa libert tra i suoi principi. Libert di circolazione: riconosciuta solo come diritto di entrata e di uscita da Israele anche se pu essere vietato, con provvedimenti demergenza, labbandono del paese per alcuni soggetti. La dottrina ritiene che una base comune per tutti questi principi sia rintracciabile nella clausola dei principi comune alle due Leggi fondamentali. Il quesito dunque se i diritti previsti nelle Leggi fondamentali siano parte di una lista chiusa o suscettibili di ampliamenti e aggiunte. Se cos fosse, sarebbero tutelati come fondamentali quei diritti che derivano dallessenza della dignit e della libert umana. Leguaglianza in una etnodemocrazia. Nel 1950 viene emanata dalla Knesset la Legge sul ritorno. Essa prevedeva il diritto per tutti gli ebrei di far ritorno in Israele, il che vuol dire che tutti gli ebrei nel mondo sono potenziali cittadini dello Stato di Israele. Nel 1970 la legge viene modificata andando a coinvolgere il problema di chi potesse o meno definirsi ebreo; da ci deriva levidente problema delle discriminazione della minoranza araba in Israele. Agli arabi rimasti entro i confini stato garantito il diritto di cittadinanza. Gi nella Dichiarazione di Indipendenza era stato inserito un appello agli arabi per la cooperazione nella costruzione dello Stato di Israele, e nella Bibbia scritto che ebrei e arabi in Palestina avevano una sola legge. Ci non toglie che le discriminazioni siano ancora numerose: Esonero dal servizio militare: gli ebrei devono prestare servizio di leva obbligatoriamente, per 3 anni gli uomini e 22 mesi le donne; gli arabi cittadini israeliani non possono entrare nellesercito, mentre i beduini musulmani sono obbligati. Per i cattolici il servizio di leva volontario. Non equa ripartizione delle risorse: poich la Knesset non determina gli standard per i servizi pubblici, gli arabi soffrono di un deficit di qualit nellistruzione, edilizia e altri servizi pubblici rispetto agli ebrei. Distribuzione delle terre: la discriminazione nellassegnazione della terra a vantaggio degli ebrei stata ufficialmente vietata in una sentenza della Corte Suprema del 2000 (caso Kaadan). Diritti della persona nei territori occupati. Con la seconda Intifada, il governo israeliano ha avviato la pratica delle eliminazioni mirate, attraverso bombardamenti considerati chirurgici contro obiettivi militari sensibili (leader estremisti). La Corte suprema israeliana in una sentenza del dicembre 2006 si pronunciata riguardo la legittimit di questa pratica, laddove in un precedente procedimento aveva concluso per lassenza di competenze al riguardo. Il primo problema riguarda leventuale esistenza, nei Territori, di un conflitto armato senza il quale non possibile applicare il diritto internazionale umanitario. Per Israele si tratterebbe di armed conflict short of war, termine non previsto dal diritto internazionale e che descriverebbe una situazione in cui la forza bellica di uno 29

Stato viene diretta contro organizzazione terroristiche. In tal modo sarebbe applicabile il pi discrezionale diritto di guerra, evitando lapplicazione del diritto umanitario laddove lazione anti-terroristica fosse inquadrata nellottica del mantenimento dellordine pubblico. Per trattarsi di conflitto armato, tuttavia, bisogna ricondurre il conflitto a due ipotesi: 1. Conflitto armato internazionale: presuppone lesistenza di un confronto tra Stati, o il caso previsto dallart. 1.4 del Primo Protocollo di Ginevra (combattenti contro dominazione coloniale, occupazioni straniere e regimi razzisti), che per in questo caso non applicabile per la mancata ratifica del Protocollo da parte di Israele (non si tratta infatti di norma consuetudinaria). 2. Conflitto armato non internazionale: presuppone lesistenza di scontri tra forze armate governative e insorti, oppure tra diversi gruppi armati organizzati, quindi conflitti allinterno di un solo Stato. Secondo la Corte, nella fattispecie applicabile il primo caso ma senza sostenere la posizione con articolate motivazioni. In verit lo status giuridico dei Territori palestinesi talmente nebuloso che difficile giungere a conclusioni in materia. Un altro problema riguarda lo status degli individui soggetti alle eliminazioni mirate, che Israele inquadra nella nozione di unlawful combatants, che sfuggono alle categorie tradizionali di combattenti e civili. Tale individuo pu quindi essere considerato legittimo oggetto di violenza bellica senza che ad esso vada attribuito, in caso di cattura, lo status di prigioniero di guerra o le tutele applicabili ai civili secondo il diritto internazionale. La Corte ha rifiutato questa definizione che non esiste, e ha inquadrato i terroristi nella categoria dei civili. Come tali essi possono essere oggetto di violenza bellica solo se: Partecipano direttamente alle ostilit (come del resto previsto dallart. 51.3 del Primo Protocollo di Ginevra, che per non considera lattacco a obiettivi civili come spesso accade nei casi di terrorismo come invece fa qui la Corte). i. Partecipazione diretta: impiego di armi contro la parte avversa, raccolta di informazioni che possono essere usate in modo ostile, trasporto di combattenti o munizioni, realizzazione di armamenti, attivit di reclutamento, comando degli attacchi e pianificazione, attivit di scudo umano volontario. ii. Partecipazione indiretta: vendita di beni o medicine alle parti combattenti, predisposizione di analisi strategiche, sostegno alla parte in causa (anche di carattere logistico e finanziario), attivit di propaganda. Esistono informazioni dettagliate sullidentit e lattivit del civile oggetto dellattacco. Non possibile adottare misure quali cattura e procedimenti penali contro il soggetto. Si effettua uninchiesta ex post sulle circostanze dellattacco. In caso di errore si provveda al risarcimento dei familiari della vittima Vige la regola della proporzionalit. In sostanza la Corte sostiene la liceit della prassi delle eliminazioni mirate nel quadro del diritto internazionale e di quello umanitario, anche se non giustifica le proprie posizioni con motivazioni giuridiche articolate ma sembra piuttosto voler disciplinare ponendo rigidi paletti le future azioni dellesercito israeliano in tal senso. STEFANIA DAZZETTI LA TUTELA DELLA LIBERT RELIGIOSA. 30

Garanzie a tutela della libert religiosa. In Israele la questione religiosa e della tutela della libert in questo campo molto rilevante. Diverse sono comunque le garanzie di tutela della libert religiose presenti nella giurisprudenza: Dichiarazione di Indipendenza (1948). Legge fondamentale sulla dignit e libert della persona (1992). La base della tolleranza religiosa in Israele va per fatta risalire alla legislazione del mandato britannico e in particolare al sistema del millet, definito compiutamente da Ben Gurion e dai leader del partito sionista in una lettera al leader ortodosso ebreo. Il sistema consiste nella concessione di autonomia da parte dello Stato dIsraele alle comunit religiose (14 quelle riconosciute) in materia di matrimonio, divorzio, affidamento figli. Il sistema del milet risale il periodo ottomano, posto a garanzia della pluralit religiosa. Le confessioni riconosciute in Israele vedono riconosciute la possibilit di celebrare matrimoni nel proprio rito e notificarle alle autorit civili competenti, nonch la piena giurisdizione in materia di statuto personale. Si pu perci definire Israele un regime multiconfessionale differenziato: Multi-confessionale (o pluri-confessionale) perch riserva uno spazio al pluralismo religioso. Differenziato perch la confessione ebraica mantiene una posizione privilegiata rispetto alle altre. La superiorit dellebraismo in Israele dipende sia dal fatto che nel paese sussiste una rete capillare di consigli religiosi (che coprono i bisogni religiosi delle comunit ebraiche locali), e perch la confessione ebraica (insieme a quella musulmana e drusa) possiede tribunali istituti per legge dallo Stato. I tribunali rabbinici sono stati istituiti con una legge della Knesset del 1953. La legge stabilisce che: Matrimoni e divorzi di ebrei sono di competenza dei tribunali rabbinici, per quanto concerne ebrei sia cittadini che residenti in Israele. Divorzi e matrimoni di ebrei si effettuano sulla base della Torah, la legge rabbinica. Nel tutelare la libert religiosa viene ribadito il primato del gruppo sul singolo, poich al gruppo (comunit confessionale) che vengono riconosciute le libert religiose, di cui il singolo gode in quanto membro del gruppo. Il sistema giuridico ebraico. Israele pu essere definito un modello di secolarizzazione incompiuta, a causa della supremazia che al di l delle tutele alla libert religiosa riveste il tema confessionale, particolarmente evidente nella disciplina del matrimonio e del divorzio. Il sistema giuridico di tipi rabbinico vigente in Israele definito halakhah ed incorporato nellordinamento dello Stato attraverso una forma di incorporazione per riferimento. In sostanza, le norme rabbiniche non sono riconosciute in Israele come valide sic et simpliciter, ma devono essere riconosciute e recepite da una legge dello Stato. Ci garantisce che la legge halachica sia interamente incorporata nel diritto dello Stato, e che la Corte suprema possa di conseguenza- esercitare un controllo sulle decisioni dei tribunali rabbinici. Importante infatti il tema delle motivazioni dellamministrazione: in un paese laico lamministrazione pubblica deve prendere decisioni sulla base della legge, e non viene influenzato da tematiche religiose. Ci invece capita spesso in Israele. La Corte suprema ha sanzionato alcuni di questi comportanti, riguardanti soprattutto la normativa in tema di alimentazione che spesso privilegia il cibo confezionato secondo gli standard rabbinici. Viene tuttavia riconosciuta ai tribunali rabbinici lesclusivit in tema di diritto di famiglio, che si esplica in una rigida limitazione della capacit matrimoniale. Un ebreo non pu sposare un non ebreo. Un cohen (discendente della casta dei sacerdoti pi puri) non pu sposare una divorziata. 31

Un ebreo non pu sposare un mamzer (ebreo nato da una relazione concubina). In Israele non esiste il matrimonio civile, bench la Corte Suprema abbia riconosciuto lefficacia civile dei matrimoni privati o dei matrimoni civili conclusi allestero; per matrimoni privati sintende un matrimonio contratto tra le categorie sopra citate (vietati dallhalakhah) celebrati senza la presenza del rabbino. Tali matrimoni sono validi solo se contratti fuori dallo Stato di Israele. Gli ebrei che applicano questa soluzione non sono riconosciuti come tali dai rabbini (ebraismo riformato o progressivo). Riguardo la disciplina del divorzio, nel periodo biblico esso si configurava come atto di ripudio, mentre oggi latto di divorzio (ghet) pu provenire solo dal marito verso la moglie, e se questa rifiuta di firmare il ghet, il tribunale pu intervenire e dichiarare comunque valido il divorzio, mentre se il marito si rifiuta di presentare il ghet allora il matrimonio non viene concesso. Le aduno sono le donne sposate ma separate di fatto, impossibilitate a risposarsi perch il marito non concede il ghet. Solo nel 1996 una legge sul diritto alla sepoltura civile alternativa permette la creazione di cimiteri civili. STEFANIA DAZZETTI LE PROSPETTIVE DELLA TUTELA DEI DIRITTI FONDAMENTALI IN ISRAELE. I Quattro Israele. Dal punto di vista geopolitico, Israele stato distinto da Wtodek Goldkorn in quattro parti: 1. La Riva dei Filistei. Fascia costiera in cui la popolazione si concentra nelle aree metropolitane di Tel Aviv e Haifa. Comprende la maggioranza della popolazione israeliana, di tipo cosmopolita, con uno stile di vita occidentale e laico. Tel Aviv una metropoli dominata dallhi-tech e dallo stile americano, mentre Haifa una metropoli socialista e fortemente laica. Gli abitanti della Riva di Filistei votano pi a sinistra che a destra. 2. Le Porte del Paradiso. I centri dove domina lortodossia ebraica, retta dalle leggi della Torah. Sono tali alcuni quartieri di Gerusalemme, lenclave di Bnei Brak a Tel Aviv, la citt di Zfat in Galilea. Non sono sionisti ma ritengono che lunit di Israele sia compito del Messia. Sono esentati dal servizio militare, non guardano la tv, i maschi sono dediti allo studio della Torah a scapito del lavoro (sono perci molto poveri). 3. Regno di David. I coloni della Giudea, circa 170 mila la maggioranza dei quali in Cisgiordania e circa 6mila a Gaza. Religiosi, ma non ortodossi. Fanatici della difesa e delle forze armate. 4. Guardiani della Patria. I palestinesi cittadini di Israele, circa 1 milione la maggioranza dei quali musulmana (127mila cristiani). A questi si aggiungono circa 100mila drusi, che non si considerano palestinesi e che, a differenza dei musulmani, sono obbligati al servizio di leva. Vivono soprattutto in Galilea e nel triangolo alle porte di Tel Aviv. Le Cinque Trib. Dal punto di vista demografico, Israele stato distinto da Bernard Avishai in cinque trib: 1. Sionisti laburisti europei: discendenti delle prime ondate migratorie europee, risiedenti a Tel Aviv e Haifa, nonch del quartiere Bakaa di Gerusalemme. Dallelevato grado di istruzione e cosmopoliti, sostenitori del processo di pace. 2. Mizrahim: discendenti dei maghrebini israeliani, principalmente marocchini, schierati a destra e contrari al processo di pace per il timore dei cambiamenti: essendo perlopi indigenti, si equiparano ai palestinesi e non vogliono che questi abbiano sconti. Auspicano uno Stato religioso e paternalistico.

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3. Ortodossi: le comunit ebraiche ultraortodosse, il cui tasso di crescita demografica il doppio della media nazionale. Godono della protezione dello Stato, che garantisce un sussidio di disoccupazione e servizi gratuiti a chi decide di dedicarsi allo studio della Torah. Auspicano uno Stato integralmente ebraico senza posto per i gentili. 4. Arabi israeliani: sottoposti a discriminazione allinterno di Israele, hanno un reddito pro-capite che la met di quello degli ebrei, sono perlopi esclusi dalla pubblica amministrazione e dalle imprese israeliane. Non possono prestare servizio nellesercito. 5. Russi: la principale minoranza dopo gli ebrei. Non amano lortodossia ebraica, preferiscono il modello di tipo occidentale. Pur impregnati di valori liberali, hanno una propensione per lautoritarismo politico e una forte paura dellantisemitismo. Il ruolo-chiave che queste due ultime trib stanno giocando in anni recenti nel percorso politico e sociale di Israele merita di essere considerato pi in dettaglio. I russi in Israele. Per russi sintendono in generale tutti gli ebrei immigrati dai paesi dellex URSS a partire dagli anni 70 in due ondate migratorie: 1. Periodo Breznev: nel periodo 1972-1979 circa 137mila giunsero in Israele, il grosso si trasfer perlopi in America. 2. Periodo Gorbacev: nel periodo 1990-2000 circa 860mila sono giunti in Israele, quasi il 15% della popolazione di allora. Oggi un quinto della popolazione israeliana di origini russe. Si tratta in maggioranza di persone altamente qualificate: del totale di immigrati russi in Israele l11% sono ingegneri, il 2,3% medici e dentisti, il 4,9% docenti, il 2,2% artisti e letterati. Ci non ha per favorito la piena integrazione, a causa di una diversit sostanziale dagli altri gruppi socio-culturali. Il rapporto con la prima patria russa vivo e prospero, fatto di relazioni personali e professionali, e lebraismo gioca una parte poco rilevante nel profilo identitario dei russi israeliani (alcune decine di migliaia hanno anche mantenuto la cittadinanza russa). Un problema quello legato alla religione: la maggior parte degli ebrei russi sono laici e secolarizzati, essendo formatisi nellURSS dellateismo di Stato. Propendono perci per un Israele laico, e non si sentono a loro agio con alcune tradizioni come la rigida osservanza del sabato o lassenza di matrimoni civili. Il loro impatto politico perci fondamentale: dopo aver sostenuto i laburisti nel 1992, a partire dal 1996 si sono presentati con propri partiti: Israel haaliya: guidato da Nathan Sharensky, ex dissidente prigioniero dei gulag, il primo partito degli ebrei russi, ministro degli interni nel governo Barak. Nostra casa Israele: guidato da Avigdor Liberman, in precedenza stretto collaboratore di Netanyahu, schierato sulle posizione della destra nazionalista. Scelta democratica: nato da una scissione interna al precedente partito, sostiene la coalizione di sinistra. Il ruolo dei partiti russi tale che nessuna delle due fazioni politiche laburisti e conservatori pu vincere le elezioni senza lappoggio dei voti russi. Il loro atteggiamento per ondivago: se da una parte vogliono uno Stato pi laico, quindi vicino alle posizioni della sinistra, dallaltra sono oltranzisti riguardo il processo di pace e non desiderano cedere altri territori ai palestinesi. Gli arabi in Israele. Gli arabi israeliani costituiscono circa un quinto della popolazione di Israele. Allepoca della fondazione dello Stato, nel 1948, l84% degli arabi prese la via dellesilio mentre circa 150mila decisero di restare pur sottoponendosi alloccupazione da parte di Israele. La Dichiarazione di Indipendenza, del resto, simpegnava a garantire il rispetto dei diritti di tutte le comunit presenti in Israele, e ci favor la speranza degli arabi 33

di ottenere lautodeterminazione. Le cose andarono diversamente: lesproprio delle terre agricole degli arabi da parte del governo, la sparizione di ben 450 insediamenti arabi su 550, la discriminazione nei servizi pubblici hanno aumentato la frustrazione degli arabi di cittadinanza israeliana. Il loro tasso di natalit ha fatto s che dagli iniziali 150mila salissero a circa 1milione su una popolazione complessiva di sei. La maggior parte di essi vive in tre aree precise: Galilea del Nord. Piccolo triangolo (ai confini di Tel Aviv e Cisgiordania). Negev del Nord. Fino al 1966 gli arabi israeliani sono vissuti sotto legge militare e soggetti a permessi speciali per gli spostamenti interni. Successivamente hanno beneficiato di maggior integra zie, con la possibilit di spostarsi liberamente grazie alla carta didentit israeliana (sulla quale comunque impressa letnia di appartenenza) e fondare partiti politici propri. Il voto arabo influisce sulle elezioni, e senza di esso i laburisti non possono salire al governo. Gli scioperi della comunit araba israeliana allindomani della seconda Intifada hanno tuttavia portato a una recrudescenza delle discriminazioni, con brutali repressioni da parte della polizia (e diverse vittime). La destra nazionalista teme soprattutto la bomba demografica araba che potrebbe minacciare la maggioranza etnica ebrea nel paese. A tale proposito forti preoccupazioni hanno destato due documenti promossi dalle comunit arabe in Israele negli ultimi anni: 1. La visione futura degli arabi-palestinesi in Israele (dicembre 2006): pubblicato sotto gli auspici delle commissioni politiche rappresentanti del popolo arabo in Israele, propone che allinsieme dei cittadini arabi nel paese venga riconosciuto lo status di minoranza nazionale indigena, in quanto tale investita di diritti collettivi previsti dalle convenzioni internazionali, e soprattutto del diritto di dare vita e propri organi e istituzioni riconosciute. 2. La Costituzione democratica (marzo 2007): redatto da un gruppo di avvocati e giuristi arabi dIsraele, si tratta di un vero e proprio abbozzo di Costituzione. Prevede che Israele rinunci al suo carattere ebraico per trasformarsi in uno Stato bilingue e multiculturale, permettendo ad ebrei e arabi di godere di pari diritti. I due documenti hanno provocato furibonde repliche dai rappresentanti politici (tra cui lallora premier Olmert), dalle forze militari (che vedono negli arabi dIsraele una minaccia strategica per il paese), dai giornali di destra e dai gruppi religiosi ebraici. Gli ambienti culturali si sono dimostrati pi favorevoli alla discussione, senza comunque prendere in seria considerazione le proposte presentate.

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PARTE III
Lautodeterminazione del popolo palestinese e la questione della tutela dei diritti umani in Cisgiordiania, Gaza e Gerusalemme est

Federica Vincenzetti LA QUESTIONE PALESTINESE DINANZI AGLI ORGANI POLITICI DELLONU. Le origini della questione palestinese. La questione palestinese pu essere fatta risalire al 1947, allorquando la Gran Bretagna, depositaria del mandato di amministrazione nei confronti della Palestina da parte della Societ delle Nazioni, chiede la convocazione di una sessione speciale dellAssemblea generale dellONU (appena nata) appunto sulla questione palestinese. Una sessione speciale pu essere convocata entro 24 da un determinato avvenimento nel caso in cui il Consiglio di sicurezza non disponga dei voti sufficienti per risolvere il problema. La risposta dellAssemblea generale fu la risoluzione 181, votata a maggioranza (con lastensione della Gran Bretagna, ritenendola inapplicabile): essa prevedeva la spartizione della Palestina in due Stati, uno ebraico e uno palestinese, con una terza zona (Gerusalemme) sottoposta a regime internazionale. La Gran Bretagna annuncia di rinunciare unilateralmente al vecchio mandato e nel 1948 gli ebrei proclamano lindipendenza dello Stato di Israele. Sia Israele che le nazioni arabe si dichiarano daccordo nel rifiutare quanto previsto dalla risoluzione 181, essendo entrambe le parti intenzionate al controllo totale del territorio. Scoppia la prima guerra arabo-israeliana, che il Consiglio di Sicurezza definisce una minaccia alla pace. Ci consente un intervento diplomatico dellONU, che ottiene due tregue: Prima tregua ONU: giugno-luglio 1948, con un cessate il fuoco sorvegliato dal mediatore internazionale Folke Bernadotte. Seconda tregua ONU: luglio-ottobre 1948, seguita allassassinio di Bernadotte. La Corte Internazionale di Giustizia diede parere favorevole alla richiesta di risarcimento danni da parte dellONU a Israele per la mancata protezione garantita a Bernadotte. Nel dicembre 1948 lAssemblea generale approva cos la risoluzione 194 che, in 15 articoli, prevedeva: 1. Listituzione di una Commissione di conciliazione dellONU composta da 3 Stati membri dellONU per la definizione pacifica delle controversie tra Israele e palestinesi. 2. Il libero accesso dei luoghi sacri e Gerusalemme, da porre sotto il controllo dellONU e da smilitarizzare. 3. Il diritto dei rifugiati palestinesi di tornare nelle proprie case e vivere in pace con i propri vicini, senza condizioni; o di non tornare, ottenendo quindi un indennizzo per le propriet perdute in Palestina. Le parti coinvolte nella risoluzione non fanno tuttavia alcun passo avanti per la sua applicazione, lasciandola cos lettera morta. Lampliamento dei confini di Israele. Nel 1949 Israele firma una serie di armistizi separati rispettivamente con Egitto, Libano, Transgiordania e Siria: in questo modo il governo israeliano pu definire concretamente i propri confini, che nel 1949 comprendono il 78% della ex Palestina sotto mandato britannico, il 50% in pi di quanto prevedeva per il 35

futuro Stato ebreo la risoluzione 188. La Green Line (Linea Verde) il nome con cui diventa nota la linea di cessate-il-fuoco che separa Israele dagli Stati confinanti. La Striscia di Gaza resta sotto occupazione dellEgitto, la Cisgiordania sotto occupazione della Transgiordania. Nel 1956 la Crisi di Suez, provocata dalla decisione dellEgitto di nazionalizzare il Canale di Suez, diede fuoco alle polveri tra Israele ed Egitto i cui rapporti erano andati nel frattempo deteriorandosi a causa del boicottaggio egiziano verso Israele e delle incursioni dei feddayin in territorio ebreo. Mentre lazione militare franco-britannica subisce la condanna dellONU e viene rapidamente ritirata per il timore di un intervento sovietico, Israele interviene militarmente contro lEgitto conquistando il porto di Eliat e costringendo gli egiziani alla resa. La missione UNEF I degli osservatori ONU si posiziona ai confini dellEgitto, nel Sinai, evacuato lanno dopo dagli israeliani che accettano lintervento di peace-keeping dei caschi blu. Il 5 giugno 1967, paventando un attacco congiunto, Israele lancia un attacco preventivo che d avvio alla Guerra dei Sei Giorni: laviazione di Egitto, Siria e Giordania viene totalmente rasa al suolo e le forze di terra nemiche, prive della copertura aerea, sono decimate. Israele occupa quindi: Sinai e Striscia di Gaza strappate allEgitto. Cisgiordania (inclusa Gerusalemme) strappata alla Giordania. Alture del Golan strappate alla Siria. Insieme, questi territori vengono definiti Territori Occupati. Israele progetta una annessione definitiva dei Territori, favorendo la nascita di colonie agricole (i kibbutz) allo scopo di presidiare il territorio occupato in Cisgiordania. Il Consiglio di Sicurezza reagisce prontamente con la risoluzione 242 che impone il ritiro di Israele dai Territori Occupati, in cambio per del suo riconoscimento da parte degli Stati arabi confinanti: la cosiddetta politica di pace in cambio di territori, da allora ispiratrice di quasi tutti i tentativi di soluzione della questione. La risoluzione non comunque vincolante a causa del veto americano, e si scontra con una contraddizione tra la versione inglese e francese: nella prima non si capiva se Israele dovesse ritirarsi da tutti i Territori, mentre quella francese specificava in questa direzione. La Convenzione di Vienna, che prevede di trovare una soluzione conciliativa tenendo conto degli scopi del trattato, non ha mai reso possibile conseguire un compromesso. Israele, Egitto e Giordania vi aderiscono mentre lOLP, che rappresenta il popolo palestinese, la rifiuta, insieme alla Siria. La situazione di stallo negli anni seguenti convince Egitto e Siria a organizzare congiuntamente un attacco a sorpresa contro Israele, lanciato il giorno della festa ebrea del Kippur, il 6 ottobre 1973, perci nota come Guerra del Kippur (o IV guerra arabo-israaeliana). Israele perde il controllo del canale di Suez e della penisola del Sinai, ma si riprende grazie alle sue unit corazzate guidate da Ariel Sharon e mette in crisi gli avversari. Lintervento dei caschi blu dellONU (missione UNEF II) pone fine al conflitto con lo spiegamento di una forza-cuscinetto tra Israele e Libano. Cinque anni dopo gli Stati Uniti portano a termine il negoziato conclusosi con gli Accordi di Camp David (1978), tramite i quali Israele restituisce allEgitto la penisola del Sinai in cambio del riconoscimento egiziano di Israele. I tentativi di normalizzazione. Nel 1980 Israele dichiara Gerusalemme unificata come unica capitale, annettendosi quindi nel 1981 le alture del Golan facenti parte dei Territori Occupati. Con loperazione Pace in Galilea, nel 1982 Israele invade il Libano entrando nella capitale Beirut con lintenzione di distrugge lOLP. Lorganizzazione palestinese costretta a trasferirsi in Tunisia, rendendo i confini settentrionali israeliani liberi da insediamenti palestinesi. La reazione dellONU si concretizza in una Commissione di indagine allo scopo di investigare sui metodi coercitivi messi in atto da Israele contro i palestinesi; laccusa di violazione dei diritti umani. Nel 1987 la violenza si scatena in tutto il paese con il moto popolare dellIntifada, una sollevazione fatta di scioperi e disobbedienza civile contro loccupazione israeliana dei Territori che provoca tuttavia 36

numerose vittime. In quellanno nasce a Gaza, infatti, il movimento di Hamas, unorganizzazione che diversamente dallOLP ricorre a tecniche di lotta terroristica contro Israele, erodendo il consenso dellOLP. A differenza dellOLP, sempre rimasta su posizioni laiche, Hamas si connota per la sua ideologia islamica integralista. Come reazione e per riprendere credibilit, lorgano legislativo dellOLP emana nel 1988, da Algeri, la Dichiarazione dello Stato di Palestina che proclama la Palestina stato indipendente. una mera dichiarazione formale visto che nei fatti la Palestina resta priva di reale sovranit sul proprio territorio e di riconoscimento da parte dellONU. Tuttavia ci fa s che la rappresentanza dellOLP allAssemblea generale (con lo status di osservatore dal 1974) venga rinominata Palestina, consentendo la sua partecipazione ai dibattiti dellAssemblea pur senza diritto di voto. Gi dal 1976 lOLP poteva inoltre partecipare ai dibattiti del Consiglio di Sicurezza pur senza diritto di voto. LAssemblea generale ha definito lOLP la sola rappresentante legittima del popolo palestinese. Con gli Accordi di Oslo (1993), lOLP e Israele si accordano per consentire la nascita di una Autorit Nazionale Palestinese (ANP) a cui affidare i diritti dei palestinesi allautogoverno nella Striscia di Gaza e in Cisgiordiania. Con le lettere di mutuo riconoscimento, Israele riconosceva lOLP come legittimo rappresentante del popolo palestinese e lOLP in cambio riconosceva il diritto allesistenza di Israele e la rinuncia alla lotta e al terrorismo. Nel 1994, quindi, lesercito israeliano si ritira dalla Striscia di Gaza che passa sotto la gestione dellOLP, mentre Israele e Giordania firmano un trattato di pace definitivo. Lesplodere della Seconda Intifada nel 2000 d inizio a una nuova drammatica fase di violenze, con laumento degli attentati terroristici in Israele da parte dei kamikaze di Hamas e altre organizzazioni. Nel 2002 Israele inizia i lavori per la realizzazione di un Muro che divida lo Stato ebreo dai Territori palestinesi. Un tentativo di rilancio dei negoziati avviene nel 2003 con ladozione della Road Map for Peace voluta dal Quartetto per il Medio Oriente (USA, Russia, Unione europea e ONU). In essa si ribadisce il vecchio principio della risoluzione 188 con la nascita di due Stati indipendenti Israele e Palestina e si definisce una serie di tre fasi per la realizzazione dellobiettivo. Sotto il governo Sharon e Olmert, tuttavia, inizia una serie di operazioni militari per la distruzione delle forze terroristiche nei Territori: Operazione Arcobaleno (2004): distruzione dei tunnel sotterranei di collegamento tra Gaza e lEgitto, tramite i quali vengono fatte passare le armi per la resistenza palestinese. Operazione Piogge estive (2006): invasione israeliana della Striscia di Gaza e del Libano in reazione alla cattura di un soldato israeliano e ai lanci di missili; lo scopo di smantellare le forze di Hamas ed Hezbollah. Operazione Inverno caldo (2008): nuova invasione della Striscia di Gaza in reazione ai lanci di razzi dai territori verso Israele. Uccisione di obiettivi considerati sensibili. Operazione Piombo fuso (2009): ulteriore invasione della Striscia in risposta ai lanci di razzi, con lobiettivo di infliggere un nuovo duro colpo ad Hamas e destabilizzare il suo controllo nei Territori palestinesi. Il problema delle operazioni militari israeliana sta nel fatto che non esiste un reale diritto di uno Stato ad attaccare un altro Stato per reagire a un attacco di terrorismo. Innanzitutto non esiste una definizione accettata di terrorismo in ambito ONU, perch molti Paesi del terzo mondo non volevano cos porre limiti allazione dei propri movimenti di liberazione che per altri potevano essere etichettati come movimenti terroristici. difficile soprattutto trovare un elemento che leghi un movimento terroristico a uno Stato particolare: ci fu possibile nel 2001 con gli attacchi in America perch Al-Qaeda era protetta dal governo talebano dellAfghanistan. Ma ci non giustifica lintervento in Libano nel 2006, che non soltanto fu sproporzionato nella reazione a un desiderio di legittima difesa, ma soprattutto 37

non si limit ad attaccare le forze di Hezbollah nel sud del Libano, che si sottraggono al controllo del governo di Beirut, ma attacc lintero paese che pure non aveva legami politici n di protezione verso le forze terroristiche Hezbollah. Gli organi politici dellONU nella questione palestinese. Il ruolo degli organi politici dellONU Consiglio di sicurezza, Assemblea generale, Human Rights Council nella questione palestinese non mai stato particolarmente incisivo. 1. Consiglio di sicurezza: tutte le risoluzioni adottate dal Cds si fondano sugli artt. 33 e ss. riguardo la funzione conciliativa del Consiglio, ignorando i pi incisivi poteri per il mantenimento della pace previsti dagli artt. 39 e ss. Ci a causa del diritto di veto e del valore che ha lastensione di un membro permanente come gli USA, che in tal modo pu impedire ladozione di atti pi vincolanti. Inoltre sussiste il problema del doppio veto: poich, in base allart. 27, la maggioranza per le questioni di procedura di 9 voti mentre per le questioni sostanziali di 9 inclusi obbligatoriamente i membri permanenti, con il doppio veto un membro permanente pu decidere che una questione procedurale sia dichiarata questione sostanziale, di fatto rendendo il suo consenso obbligatorio non solo per latto da adottare ma per la questione stessa materia dellatto. 2. Assemblea generale: lattivit dellAg sulla questione palestinese si esplicata in diverse modalit: a. Direttamente inerenti lo scontro bellico: es. misure per il cessate-il-fuoco b. Attinenti allo scontro bellico: es. rifugiati, diritti umani. c. Funzione di sicurezza collettiva: es. invio di missioni di pace. d. Affermazioni di principio: es. diritto allautodeterminazione. e. Mediazione tra le parti. Resta il problema della natura giuridica delle numerose risoluzioni adottate negli anni dallAg, e il problema delle competenze tra Ag e Cds nel campo del mantenimento della pace. Infatti lart. 11 impone che lAg non possa occuparsi di questione che la Carta ONU affida allesclusiva competenza del Cds, e l art. 12, pur spesso derogato, vieta allAg di occuparsi di una questione di sicurezza internazionale se su di essa sta gi deliberando il Cds. 3. Human Rights Council: la sua attivit in merito alla questione palestinese ha prodotto diverse risoluzioni adottate in occasione degli attacchi israeliani nella Striscia di Gaza, le pi recenti delle quali sono la ris. A/HRC/RES/S-9/1 del 12 gennaio 2009 e la ris. A/HRC/RES/10/21 del 26 marzo 2009, nelle quali la Commissione chiede lavvio di indagini per investigare su possibili crimini di guerra e violazioni dei diritti umani compiuti dallesercito di Israele contro il popolo palestinese. Gemma Andreone LAUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI E LA QUESTIONE PALESTINESE. Lorigine del principio di autodeterminazione. Sancito con la Rivoluzione francese come principio universale contro lannessione dei territori senza il consenso popolare, fu trasformato nella versione attuale da Woodrow Wilson nel 1917, che lo defin come principio-guida del diritto internazionale del primo dopoguerra. NellUnione sovietica, Lenin elabor il principio di autodeterminazione in chiave anti-colonialista. La Societ delle Nazioni recep il principio nellart. 22 sui mandati coloniali, che nella categoria dei mandati di tipo A avevano il fine di garantire sul lungo periodo lindipendenza del territorio amministrato. Nella Carta ONU il principio di autodeterminazione sancito in due parti: Art. 1.2 in cui lautodeterminazione citata tra i fini istituzionali dellONU. 38

Art. 55 dove il principio assume connotazione pi economica. Gi nella Carta al principio fu garantito carattere di universalit (tutti i popoli hanno diritto allautodeterminazione), mentre solo la prassi giuridica lo rese poi vincolante. Eppure anche nella Carta si trova una contraddizione in merito alluniversalit del principio, in quanto negli artt. 73 e 76 riguardo il sistema coloniale (il primo riguardo i territorio non autonomi, il secondo sui territori in amministrazione fiduciaria) non viene prevista lindipendenza dei territori ancora sottoposti a dominio coloniale, riconoscendo uno statusquo che di fatto fu superato solo dalla prassi, con i movimenti di liberazione che a partire dal 1960 portarono al crollo del colonialismo. Sar quindi lAssemblea generale, reinterpretando i due articoli, a conferire al principio di autodeterminazione il carattere di una norma consuetudinaria attraverso diverse dichiarazioni: Dichiarazione sullIndipendenza dei Popoli Coloniali (1960): pur non avendo carattere vincolante, afferma la necessit di applicare il principio in tutte le situazione di dominazione coloniale. La Dichiarazione produce effetti non giuridici ma politici, andando a incidere sulla volont degli Stati coloniali di concedere lindipendenza a quasi tutte le proprie colonie proprio in seguito alla Dichiarazione. Dichiarazione sulla Sovranit Permanente sulle Ricchezze Naturali (1962): lega lautodeterminazione politica allautodeterminazione economica, sostenendo il principio per cui ogni popolo ha diritto alla sovranit esclusiva sulle ricchezze naturali del proprio territorio. Patti sui diritti del 1966: lart.1, in comune a entrambi i Patti, ribadisce il principio di autodeterminazione sul piano politico, sociale ed economico. Risoluzione sulle Relazioni Amichevoli e la Cooperazione tra Stati (1970): in essa si afferma che non sono solo i popoli soggetti a colonialismo a poter ottenere lautodeterminazione, ma anche quelli sottoposti a discriminazione razzista (regime di apartheid) o religiosa. Il contenuto di questa Risoluzione fu confermato nel 1974 nella Risoluzione sullAggressione. Pareri della Corte Internazionale di Giutizia (CIG): nel 1971 la CIG emise un parere sullautodeterminazione della Namibia, sottoposta a dominio coloniale illegale del Sudafrica, e nel 1974 sullautodeterminazione del Sahara occidentale sottoposto a dominazione illegale del Marocco. In merito ai pareri della CIG, questi fungeranno da base giuridica nel 1995 durante la crisi di Timor Est allorquando il Portogallo si appell alla CIG affinch proclamare illegittimo laccordo stipulato tra Australia e Indonesia per lo sfruttamento delle risorse della piattaforma continentale di Timor Est. Il Portogallo, precedente amministratore di Timor Est, si era visto sottrarre il controllo dallIndonesia che invase e occup il paese illegittimamente e si appell contro il fatto che lAustralia avesse riconosciuto il diritto dellIndonesia a disporre delle risorse di Timor. La CIG non entr nel merito della questione sostenendo che il ricorso fosse irricevibile mancando il consenso dellaltra parte interessata, lIndonesia, a sottoporsi a giudizio della Corte. Tuttavia anche in quel caso la CIG riconobbe la validit di norma consuetudinaria del principio e i suoi due elementi caratterizzanti: Norma erga omnes: valida per tutti i soggetti di diritto internazionale indiscriminatamente. Norma di ius cogens: norma inderogabile dai normali trattati e da norme consuetudinarie che non siano ugualmente cogenti. Sempre sullo stesso tema, un parere del consigliere giuridico del Cds sul Sahara occidentale riconobbe il diritto del Marocco a dare autorizzazioni a societ multinazionali di fare trivellazioni nelle acque del Sahara occidentale ai fini di ricerca e sfruttamento delle risorse naturali: rifacendosi ai pareri CIG e alle sentenze precedenti, si sostenne infatti la 39

legittimit dello Stato coloniale o straniero nel gestire le risorse naturali dello Stato dominato a patto di riconoscere linteresse della popolazione sottoposta a dominazione. Le conseguenze giuridiche del principio di autodeterminazione. Essenzialmente il principio di autodeterminazione produce le seguenti conseguenze giuridiche sul diritto internazionale: Liceit allappoggio fornito a movimenti di liberazione: tutti gli Stati possono appoggiare, senza per inviare proprie truppe armate, movimenti rivoluzionari e di liberazione atti a garantire lautodeterminazione di un popolo. Divieto di aiuto a Stati oppressori: uno Stato terzo non pu dare aiuto di nessun tipo a uno Stato che esercita illegittima oppressione su una popolazione che ha diritto allautodeterminazione, pena la condanna. Divieto di ricorso alla forza contro i movimenti di liberazione: n lo Stato oppressore n Stati terzi possono ricorrere alluso della forza contro i movimenti di liberazione tesi a ottenere lautodeterminazione. Diritto di ricorso alla forza dei movimenti di liberazione: in deroga al divieto di uso della forza nelle relazioni tra Stati sancito dallONU, i movimenti di liberazione posso farne ricorso contro lo Stato oppressore per ottenere lautodeterminazione. Divieto di titoli giuridici sui territori acquisiti illegalmente: su un territorio o Stato acquisito da un altro Stato in violazione del principio di autodeterminazione e/o di divieto delluso della forza, non possono essere vatti valere internazionale titoli giuridici come la cessione di sovranit, il dominio coloniale, lassenza di sovranit. Nullit dei trattati sul trasferimento dei territori senza consenso: quei trattati internazionali che deliberano sulla cessione dei territori tra Stati in violazione del consenso delle popolazioni interessate sono nulli per il diritto internazionale. Dovere di misure sanzionatorie degli Stati contro illeciti: se uno Stato occupa illegittimamente un territorio o Stato terzo in violazione dellautodeterminazione, gli altri Stati ONU hanno il dovere di attuare contro di esso misure sanzionatorie e di disconoscere ogni effetto extraterritoriale di atti di governo in applicazione nel territorio occupato da parte di uno Stato illegittimamente occupante. Irretroattivit: il principio di autodeterminazione non pu avere effetti per situazioni precedenti alla formazione della norma. Lautodeterminazione un principio che si coordina con il principio di integrit territoriale: alcuni popoli, infatti, hanno chiesto lautodeterminazione dal proprio Stato di appartenenza (es. i curdi o il Biafra), ma lONU ha sempre respinto le richieste in quanto si trattava di minoranze i cui diritti sono tutelati con una diversa giurisprudenza. Nel caso delle isole Falkland/Malvinas, lArgentina chiese lannessione delle isole per ragioni di integrit territoriale nonostante la maggioranza della popolazione fosse di origine britannica. I cittadini delle isole sancirono la loro volont di restare legati alla madrepatria britannica con referendum, di fatto sostenendo di non desiderare lautodeterminazione. Il caso palestinese. Le risoluzioni ONU prevedono lesistenza di uno Stato palestinese, di fatto sostenendo il diritto allautodeterminazione del popolo palestinese. Nella Societ delle Nazioni la Palestina rientrava tra i mandati di tipo A, quei territori cio a cui andava concessa lindipendenza prima degli altri. Ma lafflusso di ebrei negli anni seguenti scombussol la situazione palestinese, il cui popolo si ridusse alla met degli abitanti complessivi della Palestina. La Gran Bretagna rimise cos il suo mandato allONU senza adempiere allobbligo di conferire lindipendenza, delegando la questione allONU che prov a risolverla con la risoluzione 181. Quando, nel 1948, con la prima guerra araboisraealiana, il neonato Stato dIsraele si annett diversi territori palestinesi, il principio di 40

autodeterminazione non si era ancora affermato nel suo valore attuale. Solo nel 1967 lONU riconosce lesistenza dei profughi palestinesi, e dunque il diritto allesistenza dei palestinesi come popolo allinterno di una propria nazionale. Bisogna aspettare il 1974 per leggere nella risoluzione dellAssemblea generale, laffermazione formale del diritto dei palestinesi allautodeterminazione. La Conferenza di Madrid (1991) apre lepoca dei negoziati di pace, ottenendo un primo accordo internazionale (Washington 1993) tra Israele e OLP. Si tratta di un accordo quadro in cui si ribadisce il diritto allautodeterminazione della Palestina in cambio del riconoscimento di Israele da parte dellOLP. Da allora e fino ad oggi i tentativi di dirimere la questione palestinese si sono svolti sempre nellambito della diplomazia multilaterale piuttosto che in quello del diritto internazionale. Adele Del Guercio LA TUTELA DEI DIRITTI DEI RIFUGIATI PALESTINESI E IL RUOLO DELLUNRWA. Nel trattare la questione dei rifugiati palestinesi a partire dal 1948, le Nazioni Unite hanno seguito due diversi approcci: Approccio politico: trovare una soluzione definitiva e condivisa. Approccio pragmatico: fornire assistenza pratica ai rifugiati. Lapproccio politico. La base del cosiddetto approccio politico la risoluzione 194 dellAssemblea generale ONU (dicembre 1948), nella quale al par. 11 viene sancito il diritto al ritorno in patria dei rifugiati, per vivere in pace nelle proprie case, laddove essi decidano in tal senso; o altrimenti il diritto a un indennizzo pecuniario per la perdita della propria residenza e delle propriet, laddove il rifugiato decida di non rientrare in patria. Lattuazione del par. 11 viene demandata a una Commissione di conciliazione (UNCCP) composta da rappresentanti di Turchia, Francia e USA. Il suo ruolo era prevalentemente politico, teso a trovare una soluzione alla questione dei rifugiati palestinesi che preveda laccettazione da parte di Israele di quanto stabilito dalla ris. 194. Gli sforzi dellUNCCP portano Israele ad accettare lammissione di 8000 palestinesi per ricongiungimento familiare sul proprio territorio, concedendo anche la propria disponibilit ad ammetterne altri 100.000. Quando lONU chiede di ampliare questultimo numero, tuttavia, Israele ritira la propria disponibilit. Il compito dellUNCCP da quel momento si limiter a raccogliere informazioni sulle propriet dei palestinesi in territorio israeliano, al fine perlomeno di indennizzare quei rifugiati non intenzionati a ritornare in patria. Il diritto al ritorno, sancito per la prima volta nella ris. 194 viene ribadito pi di un centinaio di volte dallAssemblea generale nei propri documenti. La ris. 194 si occupa esclusivamente dei rifugiati divenuti tali dopo la prima guerra arabo-israeliana del 1948. Altre due risoluzioni sono andate a definire la situazione dei rifugiati post-1967, quando i palestinesi furono costretti ad abbandonare Cisgiordania, Striscia di Gaza e Gerusalemme est: Ris. 237 del Consiglio di Sicurezza (1967), approvata allunanimit subito dopo la guerra, nella quale si chiedeva a Israele di facilitare il rientro dei rifugiati postconflitto nelle proprie abitazioni. Ris. 52/59 dellAssemblea generale (1997), nella quale si ribadisce il diritto di tutte le persone costrette a lasciare le proprie case in seguito al conflitto del 1967 a rientrare in patria. Lapproccio pragmatico. La base del cosiddetto approccio pragmatico la risoluzione 302 dellAssemblea generale ONU (dicembre 1949), che istituisce la United Nations Relief and Works Agency for Palestines Refugees in the Near Est (UNRWA), organismo temporaneo divenuto operativo il 1 maggio 1950 e il cui mandato stato di volta in volta 41

rinnovato dallAg, lultima volta fino al 30 giugno 2011. LUNRWA unagenzia dedicata esclusivamente allassistenza dei rifugiati palestinesi, che per essere tali devono rispettare alcune condizioni: Aver avuto residenza in Palestina tra il giugno 1946 e il maggio 1948. Avere, in seguito al primo conflitto arabo-israealiano, perso sia labitazione che i mezzi di sussistenza. Aver trovato rifugio in un paese dove lUNRWA fornisce soccorso. Oppure siano discendenti diretti in linea paterna di coloro che rispettano le prime tre condizioni. Per ottenere assistenza, il rifugiato palestinese deve essere registrato presso lagenzia; se nel 1950 il numero di rifugiati registrati era di 914.000, oggi di 4,6 milioni. Lambito di competenza dellURNWA viene infatti ampliato dopo il conflitto del 1967, poich viene rigettata la teoria seconda la quale i palestinesi espulsi dai Territori vadano considerati sfollati e applica anche a questi la definizione di rifugiati. I rifugiati vivono: Per 1/3 nei 58 campi allestiti dallUNRWA in Libano, Giordania, Siria, West Bank e Striscia di Gaza. Per 2/3 nei pressi delle citt degli Stati che li hanno accolti. I campi per i rifugiati sono comunque sottoposti alla sovranit dello Stato in cui sono situati. LUNRWA si limita a fornire i proprie servizi e gestire le infrastrutture. Campi non registrati formalmente ricevono comunque i servizi rientranti nel mandato dellagenzia. Tutti sono dotati di presidi sanitari, scuole, centri di raccolta e distribuzione dei viveri. I servizi forniti dallUNRWA si dividono in: Servizi sociali: fornitura di cibo e piccoli sussidi per gli indigenti. Assistenza sanitaria: tramite i 134 presidi sanitari distribuiti nei campi. Istruzione: assorbe la met del budget complessivo dellagenzia e i 2/3 dello staff. Microcredito: fornitura di microcrediti a coloro che vogliono avviare unattivit in proprio o comprare una casa. Aiuto emergenziale: assistenza in momenti di crisi tramite fornitura di cibo, tende e aiuto medico. Programmi speciali: realizzati negli anni 90, tra cui la costruzione dellOspedale europeo nella Striscia di Gaza finanziato con contributi UE e il trasferimento a Rafah dei rifugiati palestinesi del Canada. La risoluzione 513 dellAssemblea generale (1952), riprendendo una proposta dellUNRWA, permette ai rifugiati palestinesi di cercare di ottenere linserimento socioeconomico nello Stato ospitante senza che ci sia in contrasto con il suo diritto inalienabile al ritorno. Pur avvalendosi dellaiuto di altre agenzie ONU, lUNRWA si distingue da queste e soprattutto dallUNHCR (lagenzia per i rifugiati in generale) perch si occupa dei solo rifugiati palestinesi registrati, mentre lUNHCR pu s occuparsi dei rifugiati palestinesi ma solo di quelli che non rientrano nei criteri definitori sopra menzionati, ad es. quelli che si trovano allestero. In tal senso lart. 1D della Convenzione di Ginevra esclude la sua applicazione a quelle persone che fruiscono di assistenza o protezione da parte di unagenzia diversa dallUNHCR, nella fattispecie quindi i rifugiati palestinesi; solo nel momento in cui questa protezione speciale cessa, allora la Convenzione di Ginevra pu effettivamente applicarsi anche a questi soggetti. Possibili soluzioni politiche alla questione dei rifugiati palestinesi. La posizione delle parti in causa nella decennale questione diversa: Paesi arabi: ritengono Israele responsabile dellespulsione dei palestinesi, e sostengono la necessit del ritorno dei rifugiati in patria e della restituzione delle

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loro propriet. Tuttavia inizialmente si rifiutano di fare la loro parte non volendo legittimare loperato di Israele e dellONU sancito nella ris. 181. Organizzazione per la Liberazione della Palestina: si pone come referente unico dei rifugiati palestinesi e lega la questione a quella sul diritto di autodeterminazione dei popoli. Diversa anche la posizione assunta dai diversi paesi nei riguardi della condizione dei rifugiati: Paesi arabi: non hanno conferito uno status giuridico definito ai rifugiati, che restano titolari solo di concessioni e non di diritti, quindi revocabili. Solo la Giordania ha concesso loro la cittadinanza (1950), per gli altri paesi sono apolidi. I paesi arabi non hanno peraltro ratificato la Convenzione di Ginevra. Paesi occidentali: mantengono prassi differenti nei loro confronti. Un primo passo nella ricerca di soluzioni politiche al problema viene fatto con il Processo di Madrid (1993), dove viene istituito un gruppo di lavoro sulla questione dei rifugiati palestinesi sotto la responsabilit del Canada e la partecipazione, tra gli altri, di Israele, Palestina, Giordania ed Egitto. I palestinesi propongono il riconoscimento del diritto al ritorno, gli israeliani propongono di migliorare la situazione dei rifugiati nei paesi di accoglienza. Nel 1997 la Lega Araba boicotta il processo di Madrid, e la seconda intifada nel 2000 sospende i lavori. Con gli Accordi di Oslo (1993), una dichiarazione comunque non vincolante, si istituisce nel 1995 un Comitato sui profughi, formato dai palestinesi di Giordania, Egitto e Gaza. Negli accordi di Oslo il riferimento giuridico non nella ris. 194, per cui il diritto al ritorno e alla restituzione della propriet messo in secondo piano a favore del principio politico di pace in cambio di terre (ris. 242 e 348). Al Summit di Camp David (luglio 2000) viene istituita una sottocommissione dedicata alla questione dei rifugiati, ma le parti in causa si dividono: Posizione palestinese: Israele deve riconoscere il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi, creando un fondo destinato alla maggioranza dei profughi che decideranno di restare nei paesi di accoglienza, finanziato interamente da Israele. Posizione israeliana: riconosce un diritto al ritorno verso i soli Territori palestinesi, e chiede un fondo di compensazione finanziato dalla comunit internazionale. Israele accetter di accogliere solo alcune migliaia di persone per ricongiungimento familiare. Posizione americana: chiede il riconoscimento del diritto di ritorno ma riconosce lesigenza di Israele a limitare il numero di ingressi. Il fondo di compensazione sarebbe internazionale, con Israele tra i principali finanziatori. Nel dicembre 2000 il presidente Clinton presenta le sue personali proposte (Clinton Parameters) per risolvere la questione palestinese, sostenendo la soluzione dei due Stati, e proponendo due alternative sui rifugiati: 1. Entrambe le parti riconoscano il diritto dei rifugiati palestinesi a tornare nella regione storica della Palestina pre-1948. 2. Entrambe le parti concedano il diritto dei rifugiati a re-insediarsi in cinque mete possibili: Futuro Stato di Palestina. Aree di Israele trasferite alla Palestina, Stati di accoglienza. Stati terzi. Israele. In questottica il ritorno nella Striscia di Gaza e nella West Bank viene considerato un diritto imprescindibile per i rifugiati palestinesi.

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Da una parte Israele accetta le proposte come base di partenza, precisando che non avrebbe per riconosciuto alcun diritto al ritorno, dallaltra i palestinesi le respingono sostenendo che esse siano sbilanciate a favore di Israele. Il negoziato politico riprende con i negoziati di Taba (gennaio 2001), dove i Clinton Parameters vengono ripresi: Israele propone un fondo di compensazione finanziato da principalmente da stesso, laccoglienza di un numero di rifugiati tra 25.000 e 40.000 sulla base del ricongiungimento familiare, lindennizzo per coloro che vorranno restare nei Paesi di accoglienza. I negoziati falliscono dopo che il mese successivo lelezione di Sharon in Israele apre la Seconda Intifada. Si deve aspettare la Roadmap (aprile 2003) per giungere a una nuova proposta di soluzione suggerita dal Quartetto (USA, UE, Russia e ONU) in tre fasi entro il 2005. La Roadmap parte da quanto sostenuto alla Conferenza di Madrid e dal principio politico land for peace, affermando la necessit di giungere a una soluzione condivisa, equa e realistica riguardo il problema dei rifugiati. Con lAccordo di Ginevra (dicembre 2003), israeliani e palestinesi si accordano in maniera non ufficiale su diversi punti e allart. 7, dedicato ai rifugiati, sostengono listituzione di una Commissione internazionale che imponga ai rifugiati palestinesi, entro 2 anni, una scelta tra alcune opzioni: 1. Ritorno in territorio israeliano entro la Linea Verde o nei Territori palestinesi. 2. Recarsi in un Paese terzo. 3. Recarsi in Israele. 4. Restare nel Paese di residenza. Un fondo internazionale garantirebbe la compensazione ai rifugiati per il loro status e la perdita delle loro propriet, mentre la Commissione dovrebbe dirimere entro 5 anni tutti i casi dubbi previo ricorso. Al termine di tale periodo di tempo, non si accetterebbero pi ricorsi e lUNRWA verrebbe sciolto. Il diritto al ritorno nellordinamento internazionale. Diversi documentati adottati a livello universale in materia di diritti umani possono essere considerati basi giuridiche del diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi. Nella Dichiarazione universale dei diritti umani (art. 13), il comma 1 sostiene il diritto di ciascuno alla libert di movimento e di residenza in uno Stato, il comma 2 sostiene il diritto di ciascuno a lasciare qualsiasi paese (incluso il proprio) e ritornarvi liberamente. Nel Patto sui diritti civili e politici (art. 12) i comma 1-2 ribadiscono quanto affermato nellart. 13 della Dichiarazione, specificando al comma 3 che tali diritti non possono essere sottoposti ad alcuna restrizione, e al comma 4 che nessuno pu essere arbitrariamente privato del diritto di entrare nel proprio paese. Nel General Comment n. 27 (1999) del Comitato per i diritti umani sullinterpretazione dellart. 12, si afferma che quando in tale articolo si legge il proprio paese non bisogna considerare solo il paese di cui si possiede la nazionalit, ma il paese in cui si possiedono legami e interessi tali da non potersi lindividuo considerare un vero e proprio straniero: il caso degli abitanti di un paese incorporato o trasferito in un altro Stato di cui viene negata la nazionalit. A livello regionale i documenti in cui viene previsto il diritto al ritorno sono: Protocollo n. 4 Convenzione Europea sui Diritti Umani (CEDU) allart. 3.2. Convenzione americana sui diritti umani allart. 22.5. Carta africana sui diritti delluomo e dei popoli (1981) allart. 12.2 Carta araba dei diritti umani (1994) allart. 22. Gi nel Rapporto del mediatore ONU per la Palestina, Folke Bernadotte, del 1948 si sosteneva che il diritto dei rifugiati arabi a ritornare nelle proprie case in territorio sotto controllo israeliano doveva essere affermato dalle Nazioni Unite, cos come il diritto allindennizzo. La ris. 194 riprese quelle osservazione e rappresenta ancora oggi la fonte primaria del diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi, non possedendo tuttavia valore giuridicamente vincolante. 44

Nicola Napoletano LA QUESTIONE DEL MURO ISRAELIANO NEI TERRITORI OCCUPATI DAI PALESTINESI. La questione del Muro palestinese occupa lattenzione del diritto internazionale soprattutto tra il 2003 e il 2004. Le posizioni delle parti sono diverse: Posizione israeliana: il Muro serve per controllare i passaggi dei palestinesi dai Territori, ponendo un freno agli attentati; assume un ruolo di legittima difesa. Posizione palestinese: il Muro ha tagliato a met villaggi abitati prevalentemente da palestinesi, attraversando fondi agricoli e distruggendo raccolti, limitando il diritto di propriet perch in alcune parti limitrofe al Muro vige un divieto di circolazione. Inoltre i palestinesi temono che il Muro potrebbe diventare il futuro confine tra Israele e un ipotetico Stato palestinese. Il confine tracciato dal Muro si discosta nettamente dalla precedente linea verde, definita dallarmistizio della guerra del 1967, che pure resta una linea provvisoria in attesa della formazione di uno Stato palestinese definito. Il Muro penetra nel territorio palestinese ad est della linea verde per diversi chilometri, proteggendo le colonie israeliane dallarrivo di terroristi a est ma permettendo ai coloni israeliani di muoversi verso ovest. Ricorsi contro la requisizione. I palestinesi sono soggetti alla requisizione dei propri territori da parte di Israele per realizzare la costruzione del muro. Sebbene la requisizione a fini di difesa sia prevista dal diritto internazionale, essa deve corrispondere a unurgente esigenza e rispettare il principio di proporzionalit. Labitante palestinese soggetto a requisizione pu fare ricorso dinanzi a un giudice, che il comitato di appello costituito dalle forze di difesa israeliane, in sostanza gli stessi occupanti del territorio. Ci spiega perch i ricorsi non hanno mai avuto esito positivo; essendo Israele uno stato di diritto, esiste tuttavia la possibilit di ricorrere alla Corte suprema che funziona come alta corte di giustizia. In due casi, entrambi del 2004, la Corte suprema ha dato ragione ai ricorrenti. Nel primo, presentato dai palestinesi del villaggio di Beit Sourik, la Corte suprema ha affrontato due quesiti alla base del ricorso: 1. La collocazione del Muro rappresenta un tentativo di annessione di un territorio sotto occupazione? La Corte riconosce che in Cisgiordiania in atto unoccupazione militare, per cui essendo Israele uno Stato occupante ad esso si applica tutto il diritto internazionale che incombe su uno Stato occupante: la quarta convenzione di Ginevra sulla protezione dei civili in guerra, ma solo se il rappresentante di Israele dinanzi alla corte lo ritiene opportuno; la quarta convenzione dellAja, che pur non ratificata da Israele rientra nel diritto consuetudinario valido erga omnes. 2. Il Muro implica una violazione dei diritti umani? Bench venga riconosciuta la validit della requisizione attuata dal comandante delle truppe israeliane nei Territori occupati, in quanto egli agisce per conto del governo occupante, la Corte sostiene che il Muro non corrisponde a una misura proporzionale come legittima difesa, in quanto landamento del Muro non tiene conto di un bilanciamento tra le esigenze dei diritti degli abitanti palestinesi e lesigenza di difesa di Israele. La Corte dichiara quindi illegittime le ordinanze di requisizione per la costruzione del Muro, pur non individuando un percorso da seguire n che esso debba coincidere con la linea verde. Nel settembre 2005 un secondo ricorso promosso dagli abitanti di cinque villaggi palestinesi inclusi nel perimetro del Muro pone come motivazione la limitazione alla libera circolazione provocata dal Muro e soprattutto limpossibilit di accedere a servizi

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essenziali quali scuole e ospedali. Anche qui la Corte si pronuncia per lillegittimit del Muro in quanto il suo tracciato non segue il criterio di proporzionalit. Il ruolo della Corte Internazionale di Giustizia Tra i due casi intercorre nel frattempo la fondamentale pronuncia della Corte Internazionale di Giustizia (CIG) (luglio 2004) su tale questione. La Corte suprema israeliana, nel secondo ricorso, pur potendo tenere in considerazione tale pronuncia, ne ignora diversi passaggi criticando anzi la sentenza nelle sue motivazioni in quanto ignorerebbe il diritto alla legittima difesa di Israele e il contraddittorio tra le parti, che in realt non doveva tenersi perch la CIG non doveva dirimere una controversia, ma pronunciare un parere richiesto dallAssemblea generale ONU. Si tratta della competenza consultiva della CIG, che si esercita quando un organo dellONU chiede alla Corte di dare un suo giudizio su una questione giuridica la cui soluzione sia necessaria affinch lorgano possa esercitare le sue competenze. I pareri della CIG non sono vincolanti, nemmeno per lorgano che li richiede, ma godono di forte autorevolezza per la natura universale della Corte, lindipendenza dei giudici (che provengono da ordinamenti diversi) e il potere contenzioso che possiede la Corte. Sebbene si sostenga che la CIG in determinati casi troppo politicizzati (come quello del Muro) si debba astenere dal pronunciarsi, il numero di giudici 15 che devono accordarsi sulla questione fa s che necessariamente la pronuncia derivi da un ambiente neutrale. Con la pronuncia del 9 luglio 2004 la CIG sostiene lillegittimit del Muro alla luce del diritto internazionale, sancendo quanto segue: Israele deve cessare i lavori, smantellare il muro, abrogare tutti i provvedimenti adottati in materia, garantire la riparazione dei danni ai soggetti interessati. Stati terzi non devono riconoscere la situazione illegittima venuta a crearsi, n aiutare Israele affinch tale situazioni continui a esistere. Stati firmatari della 4 convenzione di Ginevra devono fare in modo che Israele agisca in maniera conforme agli obblighi derivanti da questa convenzione (protezione dei civili in tempo di guerra). Sulla base della sentenza CIG, lAssemblea generale adotta una risoluzione il 20 luglio 2004 dichiarandosi daccordo con la Corte e ribadendo gli obblighi che gravano su Israele e sugli altri Stati. La risoluzione viene adottata con una maggioranza di 150 voti, con 6 contrari (Israele, USA, Micronesia, Isole Marshall, Palau) e alcuni astenuti. Conflitto di competenze tra Assemblea e Consiglio di sicurezza. Bench la Carta ONU consenta allAssemblea di chiedere un parere alla CIG, lart. 12.1 prevede che lAG non possa occuparsi di questione di cui si stia gi occupando il Consiglio di sicurezza, a meno che questo non lo richieda espressamente. Il CDS stava in effetti occupandosi della questione, ma era bloccata dal veto degli Stati Uniti. Ci non vuol dire che il CDS si stesse completamente disinteressando alla questione, per cui lart. 12.1 in teoria resterebbe vincolante. La CIG in proposito ha per riesumato la risoluzione 377 dellAG (1950), nota come Uniting for Peace, adottata per fare in modo che, in caso di stallo del CDS a causa di veti reciproci, lAG possa assumere le stesse competenze del CDS. Questa risoluzione stata spesso utilizzata dagli Stati occidentali per far s che lAG potesse esprimersi su una questione bloccata in CDS. In realt tale risoluzione fu criticata per illegittimit, essendo in violazione della Carta: non si possono infatti attribuire allAG competenze su questione quali forze di pace e missioni allestero, di competenza riservata al CDS, soltanto perch il Consiglio non riesce a esprimersi. Va detto per che lart. 24 attribuisce s le competenze in tema di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale al CDS, ma questo titolare primario, non esclusivo, di tali competenze. La CIG ha cos potuto dirimere il problema del conflitto di competenze. Secondo lart. 95 della Carta, la CIG pu dare pareri unicamente su questioni giuridiche. Molti hanno ritenuto che la 46

questione del Muro fosse politica piuttosto che giuridica, bench la CIG non abbia una dottrina in tal senso ma solo una prassi in base alla quale essa si occupa della questione di cui investita a meno che non vi siano ragioni rilevanti per non farlo (che per non sono esplicitate). stato inoltre sostenuto che un parere sul Muro sarebbe assomigliato pi a una soluzione di controversia tra due Stati che a un vero e proprio parere consultivo. Ci non risponde al vero in quanto la Palestina non a tuttoggi uno Stato, per cui non potrebbe essere soggetto di controversia dinanzi alla CIG. Il Muro e il diritto internazionale umanitario. Nella questione del Muro, come ha sostenuto anche la CIG, si vengono a creare dei problemi di violazione del diritto internazionale umanitario: Limitazione alla circolazione: allinterno della closed area (area chiusa) compresa tra il Muro e la linea verde i non-residenti non possono entrare se non speciali permessi e solo i coloni israeliani possono muoversi liberamente nellarea. Divieto dellacquisizione di territorio con la forza: invece luso della forza che ha permesso a Israele di acquisire il controllo dei Territori palestinesi. Lart. 2 della quarta convenzione di Ginevra definisce occupazione illegittima di un territorio loccupazione totale o parziale anche se essa non incontra resistenza militare e/o una delle due parti non riconosce lo stato di guerra (Israele). Violazione del principio di autodeterminazione: Israele non riconosce al popolo palestinese il diritto allautodeterminazione. Violazione dei Patti del 1966: la CIG sostiene che il Muro violi il diritto alla vita, alla propriet privata, al lavoro, allistruzione, tutti diritti sanciti dai due Patti sui diritti civili e politici e sui diritti sociali ed economici. Lart. 4 del primo Patto riconosce la derogabilit di tali diritti, a esclusione di quelli fondamentali (es. diritto alla vita), in condizioni straordinarie, ma che vanno comunicate dallo Stato in questione alle altre parti contraenti tramite il Segretario generale. Violazione del principio di proporzionalit della legittima difesa: pur sancita dallart. 51 della Carta, il diritto di legittima difesa una deroga al divieto delluso della forza e pu essere fatto valere in caso di un attacco armato gi sferrato da un altro Stato. Non vale tuttavia per attacchi portati da soggetti non statali, come i terroristi o le organizzazioni quali Hamas. vero comunque che recenti risoluzioni del CDS hanno legittimato lattacco USA in Afghanistan come legittima difesa pur essendo lattacco portato da terroristi internazionali. Andrea Caligiuri ESTRADIZIONE, ESPULSIONE E TUTELA DEI DIRITTI UMANI. Distinzioni terminologiche. La confusione tra termini del linguaggio giuridico quali estradizione, espulsione, consegna piuttosto comune. Estradizione: un procedimento con cui lo Stato invia nel territorio di un altro Stato su espressa richiesta di questultimo un soggetto che lo Stato richiedente vuole perseguire avendo violato norme interne o internazionali. La procedura viene regolata da accordi bilaterali e trattati multilaterali, come quello in vigore per tutti i paesi del Consiglio dEuropa. Pu interessare sia stranieri che cittadini, anche se in alcuni paesi lestradizione dei propri cittadini non permessa da norme di rango costituzionale; negli accordi internazionali lo Stato di cui il reo cittadino pu impegnarsi a processarlo. Consegna: un procedimento simile allestradizione ma senza le garanzie conferite da un trattato di estradizione. Si effettua tra autorit di polizia senza lintervento di unautorit giudiziaria. 47

Espulsione: un procedimento con cui lo Stato invita uno straniero ad abbandonare il territorio statale in quanto persona non gradita. Il diritto allespulsione regolato da ogni singolo Stato a propria discrezione, ma il dritto internazionale generale afferma che lo Stato non pu espellere i propri cittadini. Il diritto consuetudinario non pone altri vincoli, ma la sottoscrizione di diversi trattati internazionali ha fatto s che venisse vietata lespulsione collettiva o di massa: un gruppo di persone identificate sulla base di nazionalit, etnia, religione non pu essere soggetto a espulsione generalizzata; lo Stato deve esaminare ogni singolo caso e lespulsione valida solo se il provvedimento preso in relazione a ogni singolo soggetto. Espulsione plurima: da non confondere con lespulsione collettiva, il cui divieto previsto dallart. 4 del IV Protocollo CEDU, si tratta di unespulsione riguardante diverse persone sottoposte a provvedimento con la stessa giustificazione. Differisce dallespulsione collettiva perch gli individui sono destinatari di singoli provvedimenti di espulsione, che per hanno le stesse motivazione e sono contestuali. Tuttavia, ponendo rivolgersi a membri di una specifica etnia o religione, i provvedimenti di espulsione plurima possono essere un modo per aggirare il divieto di espulsione collettiva. Estradizione mascherata: procedura con cui lo Stato espelle uno straniero inviandolo in un altro Stato nella piena consapevolezza che in questultimo lo straniero sar sottoposto a pena detentiva o procedimento giudiziario. unestradizione mascherata anche lespulsione di uno straniero da parte di uno Stato verso un altro Stato, ma che durante il trasferimento prevede lo scalo dello straniero in uno Stato terzo e viene qui catturato perch da sottoporre in tale paese a pena o procedimento giudiziario.

Garanzie in materia di estradizione. I trattati bilaterali o multilaterali che regolano lestradizione tra gli Stati firmatari contengono diverse clausole di garanzia: Clausola di non discriminazione: il soggetto da estradare non va sottoposto a procedimento giudiziario per motivi religiosi, nazionali, etnici, linguistici. Il soggetto deve godere degli stessi diritti di cui godono i cittadini dello Stato richiedente lestradizione. Se lo Stato richiedente desidera lestradizione per motivi di discriminazione, lo Stato ospitante si pu rifiutare di effettuarla. Divieto di estradizione per reati politici: ogni Stato individua come reati politici i reati che desidera a sua discrezione. Se la richiesta di estradizione riguarda uno di questi reati, lo Stato pu rifiutarla (es. divieto della Francia di Mitterand allestradizione per reati di terrorismo politico). Principio di specialit: lestradizione pu avvenire solo se lo Stato richiedente simpegni a non processare il soggetto per reati diversi da quelli presenti nella domanda di estradizione. Doppia motivazione: lestradizione pu avvenire solo se il reato per cui il soggetto sar perseguito previsto dagli ordinamenti giuridici di entrambi gli Stati (ospitante e richiedente). Ne bis in idem: un soggetto non pu essere sottoposto a processo per lo stesso reato per il quale gi stato processato nel territorio dello Stato ospitante (e magari ha anche gi scontato la pena). Garanzie in materia di espulsione. Le norme di alcuni trattati internazionali prevedono garanzie in materia di espulsione: Principio di non respingimento: previsto dallart. 33 della Convenzione di Ginevra sui Rifugiati, secondo cui lespulsione illecita qualora avvenga verso i confini di 48

uno Stato in cui il soggetto rischierebbe la propria incolumit per questioni di discriminazione. La norma ha assunto carattere consuetudinario, perch contenuta in altre convenzioni come quella sul Divieto di Tortura dellONU e dellUE. Possibilit di ricorso: previsto dal Prot. VIII art. 1 CEDU, secondo cui il provvedimento di espulsione va adottato sulla base di una norma di legge. Il soggetto a espulsione deve avere la possibilit di ricorrere contro il provvedimento, per cui si deve individuare lautorit competente a cui presentare il ricorso. La Corte CEDU ha affermato che il soggetto a provvedimento di espulsione non va sottoposto al diritto al giusto processo. Vige perci un regime differenziato: pu esserci solo una procedura amministrativa, ad es. non necessariamente bisogna appellarsi a un giudice ordinario. Lo stesso principio stato applicato per le estradizioni. Deroga: un soggetto pu essere espulso in deroga alle garanzie procedurali qualora tale espulsione sia necessaria per ordine pubblico o per ragioni di sicurezza nazionale. Diritto alla vita: se un provvedimento di espulsione o estradizione viola il diritto alla vita familiare, pu essere sospeso. Lo Stato pu tuttavia limitare questo diritto.

Questioni riguardo il non respingimento. Il principio di non respingimento verso paesi che violano i diritti fondamentali sancito dalla CEDU, anche se in alcuni casi va incontro a dubbia interpretazione. In un caso del 2004 uno straniero viene espulso della Gran Bretagna verso lIran; essendo omosessuale, il diritto di famiglia in Iran gli impedisce di avere famiglia. Lo straniero presenta ricorso presso la CEDU ma questa dichiara che lespulsione non illegittima perch la Convenzione si applica solo allinterno del territorio europeo e non pu considerare lordinamento del diritto di famiglia in Stati terzi. Questo ragionamento non si applica in caso di tortura, anche se il soggetto deve dimostrare di correre un pericolo reale e personale nel caso di rientro nel proprio paese. Lonere della prova spetta al ricorrente che deve presentare documenti come quelli compilati da organizzazioni per i diritti umani (ONU, Cri, Amnesty) comprovanti il reale status interno del paese di destinazione. Le assicurazioni diplomatiche a tale riguardo possono essere fatte valere: ad es. in Tunisia i rapporti internazionali dimostrano che la tortura resta una pratica diffusa, e uno Stato non pu perci estradarvi uno straniero. Tuttavia il problema pu essere aggirato procurandosi delle assicurazioni diplomatiche, ossia dichiarazioni tramite le quali lo Stato di destinazione garantisce per quel singolo caso la non applicazione di tortura o tratta mite disumani o degradanti. Spesso si tratta di accordi in forma semplificata stipulati tra i due governi. Queste assicurazioni sono sempre pi prese in considerazione dalla CEDU per decidere sui ricorsi, anche se la Corte non ha accettato le assicurazioni in quanto tali come garanzia essendo a volte generiche, o fornite da autorit di polizia e non da governi. La Corte esegue sempre prima a priori una propria verifica sullo status dei diritti umani nel paese di destinazione, e se riscontra violazioni allora non ci sono assicurazioni diplomatiche che tengano. Possono essere applicate misure cautelari nei confronti di individui ricorrenti sottoposti a misure di estradizione o espulsione, ma ci previsto solo dal regolamento interno della Corte CEDU e non dalla Convenzione stessa. Sentenze CEDU riguardanti lItalia. Vengono prese in considerazione tre sentenze in cui la Corte CEDU di Strasburgo ha condannato lItalia per violazione del principio di non respingimento. 49

Sentenza Saadi c. Italia (28 febbraio 2008). La CEDU condanna lItalia, la quale aveva adottato un provvedimento di espulsione nei confronti di un tunisino per prevenzione del terrorismo. Fondandosi su informazioni provenienti da Ong indipendenti, la Corte ha ritenuto che lespulsione del ricorrente in Tunisia lo avrebbe esposto a rischio di tortura e trattamenti inumani o degradanti. La Corte respinge anche laffermazione del terzo interveniente, il Regno Unito, che sostiene la derogabilit del principio di non respingimento nel caso di minaccia grave per la sicurezza statale. Sentenza O. c. Italia (29 marzo 2009). Riprendendo la sentenza Saadi, la Corte afferma che lespulsione di cittadini tunisini in patria, dove rischiano di essere sottoposti a tortura e trattamenti inumani e degradanti in violazione dellart. 3 CEDU, non pu avvenire sulla base di garanzie diplomatiche. Le assicurazioni diplomatiche date dalla Tunisia allItalia contrastano con quando sostenuto da Ong indipendenti sulla situazione dei sospetti di terrorismo nel paese e perci non consentono lespulsione o lestradizione verso la Tunisia. Sentenza Ben Khemais c. Italia (24 febbraio 2009). Il ricorrente, tunisino, era stato espulso in Tunisia dallItalia pur avendo fatto ricorso alla CEDU ex art. 34, in violazione perci della richiesta della Corte di sospendere lespulsione fino al pronunciamento della sentenza. LItalia stata di nuovo condannata (come nei precedenti casi) per violazione dellart. 3 e, in questo caso, anche dellart. 34 sul diritto di ricorso davanti alla CEDU.

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PARTE IV
La dimensione economica, sociale e ambientale della tutela dei diritti umani

VALENTINA ROSSI DIRITTI UMANI E PROTEZIONE DELLAMBIENTE NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELLUOMO. Levoluzione del diritto allambiente. Nella Carta ONU del 1945 e nella Convenzione CEDU del 1950 non ci sono accenni al diritto delluomo allambiente, n alcun riferimento a nozioni di ambiente perch allepoca lesigenza di inserire questo tema nel catalogo dei diritti non era sentita. Una prima affermazione in tal senso risale alla Conferenza di Stoccolma (1972) sullambiente umano, in cui viene adottata una dichiarazione di principi che riconosce lambiente (umano e naturale) come necessario per il benessere e il godimento dei diritti umani basilari. La protezione ambientale rientra perci allinterno del diritto alla vita, perch senza un ambiente sano e protetto non c benessere. Questo principio viene ribadito sia nella Dichiarazione dellAja sullambiente (1989) sia nella Risoluzione 45/94 dellAssemblea generale dellONU (1990) in cui si ribadisce la necessit di assicurare un ambiente sano per il benessere degli individui. Nella Dichiarazione di Rio de Janeiro (1992) su ambiente e sviluppo dellONU si fa un passo avanti: pur non inserendo il diritto allambiente tra i diritti umani, viene riconosciuto un diritto strumentale per la protezione dellambiente. Il Principio 10 elenca gli strumenti tramite i quali i cittadini possono essere coinvolti nelle questioni della protezione ambientale: Condivisione di informazioni. Partecipazione ai processi decisionali. Accesso a procedimenti giudiziari e amministrativi. La Convenzione di Aarhus (1998) in Danimarca, organizzata dallUNECE (United Nations Economic Commission for Europe), riconosce per la prima volta ai singoli il diritto allambiente come principio di diritto internazionale: i singoli possono ricorrere contro le amministrazioni pubbliche che intendono avviare programmi che possono danneggiare lambiente. Lultimo passo finora fatto risale alla Risoluzione 60/2005 dellAssemblea generale ONU, frutto del lavoro attivo della Commissione sui Diritti umani, che sostiene la coincidenza di ambiente e diritti umani nellambito dello sviluppo sostenibile: la protezione dellambiente e uno sviluppo sostenibile possono contribuire al benessere umano e, potenzialmente, al godimento dei diritti umani. Viene perci incoraggiata limplementazione dei principi di Rio, tra cui soprattutto il 10. Restano tuttavia ancora lontane le posizioni dei diversi attori internazionali sulla fusione tra diritti umani e diritti ambientali, che possono essere cos sintetizzate:

Greening: bisogna semplicemente rendere verdi i diritti umani oggi riconosciuti, per cui la protezione ambientale solo strumentale al godimento dei diritti umani. Diritto allambiente: riconosciuto come un diritto con valore proprio e assoluto. PVS: per i paesi in via di sviluppo la protezione ambientale un rallentamento allo sviluppo, e il suo eventuale riconoscimento come diritto fondamentale perci osteggiato. 52

Protezione ambientale nellambito CEDU. Nellambito della protezione ambientale in Europa, un primo passo da parte del Consiglio dEuropa fu compiuto con la Conferenza europea sulla protezione dellambiente (1970) nella quale si sostenne lesigenza dellindividuo ad essere protetto dal degrado ambientale. Nella raccomandazione 1431 (1999), lAssemblea parlamentare inizia a discutere sulla fattibilit di un emendamento o protocollo addizionale alla CEDU concernente il diritto allambiente. Il Consiglio dei ministri ritiene per che i tempi non siano ancora maturi per inserire il tema dellambiente nella Convenzione. Nel rapporto Ambiente e Diritti Umani dellAssemblea parlamentare di poco successivo, si sostiene che i tempi siano ormai maturi per estendere i diritti umani alle violazione legate al degrado ambientale. Viene proposto un protocollo addizionale per i diritti procedurali individuali nei confronti della protezione dellambiente recependo quando stabilito con la Convenzione di Aarhus. Il Consiglio dei ministri, in risposta, si limita a redigere un manuale sui diritti umani e lambiente che cristallizza loperato della Corte CEDU, codificando in un solo testo i principi sul tema dellambiente finora affermati dalla giurisprudenza di Strasburgo. Il ruolo della Corte resta quindi centrale: anche se non ancora stata autorizzata dal testo della CEDU a tutelare il diritto allambiente come diritto a se stante, la sua interpretazione estensiva del testo convenzionale si esplicato in due modalit:
1. Diritto garantito: la tutela dellambiente un valore protetto dalla CEDU, in quanto

componente di alcuni diritti garantiti.


2. Scopo legittimo: la tutela dellambiente pu essere usato come scopo legittimo

tale da giustificare una limitazione dei diritti garantiti dalla CEDU. La Corte ha inquadrato le questioni ambientali, non presenti nella Convenzione, sulla base di alcuni articoli precisi:

Art. 8: diritto al rispetto della vita privata e familiare. Art. 10: libert di espressione. Art. 6: diritto a un equo processo. Art. 2: diritto alla vita. Art. 1 Prot. 1: protezione della propriet.

Nella tutela del diritto allambiente valgono sempre e comunque due principi fondamentali che garantiscono la ricevibilit del ricorso alla Corte:
1. Sussidiariet: la tutela dellambiente un principio che deve essere tutelato prima

dallo Stato membro e solo in difetto di questo, dalla Corte.


2. Qualit di vittima: il ricorrente deve dimostrare di essere direttamente interessato

dalla lesione.

Lambiente e lart. 8. Lart. 8, che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare, il fondamento privilegiato dalla Corte per il riconoscimento dellindividuo alla tutela verso situazioni di degrado ambientale. Come per tutti gli artt. 8-11, questo diritto limitato alla 53

condizioni previste dal comma 2 (clausola di limitazione), che garantisce possibili ingerenze dello Stato nel godimento del diritto tutelato alle condizioni:
1. Previste dalla legge. 2. Necessarie in una societ democratica (prevalente necessit sociale). 3. Perseguimento di uno scopo legittimo.

Questo cosiddetto margine di apprezzamento che la CEDU garantisce allo Stato comunque discrezionale e variabile. Lequilibrio tra il diritto dellart. 8 e il margine di apprezzamento garantito allo Stato, alla luce della tutela dellambiente, si evince da diversi casi in cui il degrado ambientale si traduce (o meno) in interferenze nel godimento della vita privata e familiare:

Inquinamento acustico: trattato nella sentenza Powell e Rayner c. Regno Unito (1990): i due ricorrenti abitavano nei pressi dellaeroporto di Heathrow lamentando il danno alla loro vita privata causato dal rumore degli aerei e della vicina autostrada. In questo caso prevalsa la necessit sociale dello Stato rappresentata dal servizio pubblico svolto dallaeroporto. Nel caso Moreno Gomez c. Spagna (2004), invece, la ricorrente lamentava il disturbo dei vicini locali notturni; lo Stato spagnolo le aveva dato ragione ma continuava a emettere licenze per i locali, cosicch la Corte ha dato ragione alla ricorrente per omissione dintervento da parte dello Stato spagnolo nella tutela dellart. 8. Emissioni maleodoranti ed inquinanti: trattato nella sentenza Lopez Ostra c. Spagna (1994): la ricorrente lamentava il danno prodotto dalle emissioni di un vicino stabilimento per il trattamento dei rifiuti, ottenendo ragione per il mancato intervento riparatore dello Stato. Inquinamento connesso ad attivit industriali: trattato nella sentenza Guerra e altri c. Italia (1998): i ricorrenti lamentavano il danno provocato da unindustria chimica a pochi chilometri dalle loro residenze, a Manfredonia (un caso di intossicazione collettiva da mercurio). Lo Stato italiano fu condannato per non aver messo fine alla produzione di materiali inquinanti da parte dellindustria.

Per accettare i ricorsi ex art. 8 in materia di tutela ambientale devono comunque verificarsi, come la Corte ha stabilito con la sua giurisprudenza, diverse condizioni:

Effetto dannoso diretto sulla vita privata o familiare del ricorrente, in quanto scopo della CEDU non la protezione dellambiente in quanto tale n della collettivit del suo complesso ma di singoli individui (sentenza Kyratos c. Grecia). Certo grado di gravit: il degrado ambientale deve essere di un certo livello, come dimostrato nella sentenza Taskin c. Turchia, miniera doro con inquinamento connesso ad attivit industriali e grave danno alla salute dei ricorrenti. Benessere tutelabile: non comunque necessario che i danni alla salute siano gi prodotti al momento del ricorso, in quanto il benessere della vita privata o familiare va tutelato in via prioritaria (caso Lopez Ostra c. Spagna gi citato). Obblighi positivi dello Stato: non sempre sufficiente che lo Stato si limiti a rispettare la sfera privata e familiare dellindividuo (obbligo negativo, astensione da 54

ingerenze), ma deve in alcuni casi rispettare lobbligo positivo di adottare misure necessarie a garanzia del rispetto di quel diritto: lobbligo di adottare misure di regolamentazione e controllo (per cui lo Stato condannato per responsabilit omissiva nel caso Moreno Gomez), obbligo di rendere accessibili le informazioni sui rischi connessi a particolari attivit (Guerra c. Italia).

Principio di proporzionalit: deve essere rispettato lequo bilanciamento tra interessi individuali e interessi della collettivit nel suo insieme (come dimostra il caso Powell e Rayner c. Regno Unito). La Corte verifica che in questo caso sia rispettato:
o o

Aspetto sostanziale: che il margine di apprezzamento dello Stato sia legittimamente rispettato. Aspetto procedurale: che lo Stato abbia rispettato lobbligo obbligo di effettuare studi per conoscere gli effetti sulla persona, di rendere gli studi pubblici ed accessibili ai cittadini, di garantire la possibilit di ricorso per cittadini interessati.

La Corte stabilisce che solo in circostanze di manifesto errore di apprezzamento, la Corte proceder a una valutazione del merito della decisione.

Lambiente e gli altri articoli. Con riferimento alla tutela ambientale, la Corte ha spesso interpretato in tal senso altri articoli:

Art. 10 tutela il diritto alla libert dopinione, che include il diritto a ricevere e comunicare informazioni senza ingerenza da parte delle autorit. Riconoscendo lesistenza, in materia ambientale, di un forte interesse pubblico a che cittadini e gruppi partecipino al dibattito pubblico, la Corte ha riconosciuto il diritto a divulgare informazioni in materia di tutela ambientale tra i membri della societ civile, riconoscendo il ruolo di public watchdog delle associazioni ambientaliste. Art. 6 tutela il diritto a un equo processo e offre quindi anche la garanzia della possibilit di contestare la legalit dei provvedimenti adottati dallautorit pubblica. Nel caso in cui lautorit pubblica viola alcuni diritti riconosciuti dalla CEDU e connessi al danno ambientale, come il diritto allintegrit fisica o il diritto al godimento della propriet, devessere data possibilit alla vittima di adire alle corti nazionali. Nel caso Zander c. Svezia (1993) linquinamento delle acque di una propriet provocato dallattivit industriale provocava un danno al diritto di godimento della propriet non adeguatamente tutelato dal governo svedese, che convinceva la Corte a cui il ricorrente aveva adito a invocare la lesione, tra laltro, dellart. 6. Lart. 6 comunque invocabile solo in difesa di uno specifico diritto che sia tutelato anche dalla legislazione interna dello Stato del ricorrente, come la Corte stabilit nel caso Okyay c. Turchia (2007) pronunciandosi per lirricevibilit poich il diritto a vivere in un ambiente sano non era previsto dalla Turchia. Devessere inoltre dimostrato da parte dei ricorrenti di essere personalmente esposti a un pericolo serio, preciso e imminente, come sostenne la Corte nel caso Blamer-Schafroth c. Svizzera, riguardante il ricorso contro il rinnovo allautorizzazione di impianti nucleari limitrofi alle residenze dei ricorrenti: i meccanismi di tutela processuali emergono chiaramente solo a danno prodotto, senn il processo non pu iniziare. 55

Art. 2 tutela il diritto alla vita e si esplica anche attraverso alcuni obblighi positivi quali lobbligo dello Stato di adottare le misure necessarie alla tutela della vita delle persone poste sotto la sua giurisdizione nel caso di attivit pericolose gestire da autorit pubbliche o private. Lo Stato deve mettere in atto misure preventive volte a impedire la violazione del diritto alla vita a causa dellesercizio di tali attivit pericolose e garantire un efficace sistema repressivo che assicuri che la lesione del diritto sia perseguita e sanzionata nellordinamento interno. Cos ci si espresse nella sentenza Oneryildiz c. Turchia (2004), in cui lesplosione di uno stabilimento per il trattamento dei rifiuti uccise 34 persone, e lo Stato fu condannato per non aver preso misure preventive e condannato gli esecutori della strage.

La tutela dellambiente come limite allesercizio dei diritti. Come si detto, la tutela dellambiente da parte della CEDU non si esplica solo nellapplicazione estensiva di alcuni diritti garantiti ma anche nella limitazione dellesercizio di tali diritti come dimostrano alcuni esempi:

Art. 8: nella sentenza Chapman c. Regno Unito (2001) la Corte non diede ragione al ricorrente, che chiedeva il diritto di costruire sul proprio terreno come tutelato dallart. 8, perch lo Stato aveva ragione a limitare quel diritto in quanto la costruzione avrebbe danneggiato lambiente (interesse legittimo dello Stato). Art. 1 prot. 1: nella sentenza Fredin c. Svezia il diritto a costruire una casa in un terreno di propriet del ricorrente in base a questarticolo sulla protezione della propriet era stato limitato, e con ragione secondo la Corte, dal governo svedese perch la casa sarebbe stata costruita in una zona di pregio naturalistico (equo bilanciamento).

MARCO FASCIGLIONE LA RESPONSABILIT DELLE SOCIET MULTINAZIONALI PER LA VIOLAZIONE DEI DIRITTI FONDAMENTALI NELLUNIONE EUROPEA.

Le origini del fenomeno. Negli ultimi anni, il processo di globalizzazione delleconomia e dei mercati ha favorito unestrema competizione tra gli Stati per attirare gli investimenti delle multinazionali; a tale fine essi spesso abbassano gli standard legislativi domestici, generalmente in due modalit:

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1. Creando le EPZ (Export Processing Zones), ossia zone franche dove le imprese

godono di benefici di favore (fiscali, legislativi ecc.) rispetto alle altre aree del paese.
2. Applicando le clausole di stabilizzazione nei contratti tra Stato e imprese, in base

alla quali il governo si impegna ad applicare la situazione giuridica presente al momento della stipula del contratto senza che le successive modifiche legislative nello Stato in questione producano effetti sullimpresa contraente. Il diritto internazionale, nellandare a trattare le conseguenze poste da queste imprese, deve affrontare in via preliminare la cosiddetta questione del corporate veil (velo societario) che impedisce una corretta identificazione dellimpresa come soggetto giuridico. Il corporate veil consiste nella frammentazione dellimpresa in una pluralit di societ collegate tra diversi tipi di vincoli associativi (holding), allo scopo di diversificare i rischi e limitare la responsabilit della casa madre nelle azioni delle singole imprese. Per il diritto privato, infatti, ogni societ gode di tre elementi:

Autonomia contrattuale. Diritto di propriet. Responsabilit limitata.

Per risolvere questo problema giuridico stata innanzitutto precisata la definizione di multinazionale e transnazionale che la seguente:

Multinazionale: impresa che assume tante nazionalit quante sono le nazioni in cui lente giuridico opera. Transnazionale: impresa divisa in molteplici societ ciascuna delle quali ha una propria nazionalit distinta da quelle delle altre componenti del gruppo.

Nel 2003 la Sottocommissione ONU sui diritti umani elabora un Progetto di norme sulle responsabilit in tema di diritti umani delle societ transnazionali che per la prima volta adotta a livello di diritto internazionale la definizione di societ transnazionale quale entit economica che opera in pi di un paese quale che sia la sua forma legale. In questo modo viene aggirato il problema della diversa responsabilit legale delle varie societ, che si riconduce sempre allimpresa madre.

La tutela a livello internazionale. Le imprese, e soprattutto le societ multinazionali, si sono sempre poste al di fuori del diritto internazionale e, di conseguenza, della sfera della tutela dei diritti umani. La concezione tradizionale dei diritti umani sostiene che questi vadano considerati come sistemi a tutela del privato nei confronti della sfera pubblica, quindi a limitazione delle ingerenze dei governi intesi come poteri forti. Tuttavia, gi al Tribunale di Norimberga nellimmediato dopoguerra furono condannate diverse imprese complici del nazismo (Flick, Frauch, Krupp): bench le azioni penali fossero rivolte ai singoli, in quel caso ai dirigenti, spesso nelle sentenze ci si riferiva allimpresa come soggetto giuridico unitario. Nel preambolo della Dichiarazione universale si legge inoltre che ogni individuo e organo della societ, quindi anche le imprese, deve promuovere il rispetto di questi diritti fondamentali. LAssemblea generale, nella Risoluzione 453/144 del 1999, sostiene che la responsabilit primaria della violazione di diritti fondamentali ricade sugli Stati ma che anche individui, gruppi, istituzioni e ONG hanno responsabilit nella 57

salvaguardia dei diritti umani. Levoluzione incorsa negli ultimi decenni ha cambiato le carte in tavole, tanto che oggi le stesse imprese multinazionali sono in alcuni casi ben pi potenti di molti governi, e quindi anchessi poteri forti nel senso pieno del termine. La loro azione incide sulle politiche di pi Stati, su cittadini di diverse parti del mondo, e anche sul rispetto dei diritti umani. Gli strumenti validi a livello di diritto internazionale si distinguono in:
1. soft laws presenti in alcune convenzioni la cui portata non giuridicamente

vincolante (perci soft):


a. Linee guida per le imprese multinazionali adottate dallOCSE nel 1976. b. Dichiarazione Tripartita sulle imprese multinazionali e la politica

sociale adottata dallILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) nel 1977.


2. Convenzioni internazionali sul lavoro: trattati che, a differenza di quelli

tradizionali, si rivolgono espressamente alle imprese:


a. Convenzione sul diritto di contrattazione collettiva (1949) che allart. 1

prevede che i lavoratori devono godere di protezione adeguata contro la discriminazione anti-sindacali da parte delle imprese.
3. Obblighi internazionali su ambiente e corruzione: a. Chi inquina paga: principio consuetudinario di diritto internazionale che si

applica alle imprese la cui azione provoca danni ambientali e alla salute delle persone.
b. Convenzioni OCSE e ONU sulla lotta alla corruzione che prevedono

precisi obblighi di condotta nei confronti delle imprese e che in caso di illecito prevedono una responsabilit di tipo sia civile che penale (duplice regime di responsabilit). In via indiretta, la salvaguardia dei diritti umani dalle violazione derivanti dalle operazioni economiche del settore privato pu essere effettuata ponendo sugli Stati degli obblighi nei confronti delle imprese site sul proprio territorio. Ci avviene in due modi:
1. Imputazione allo Stato della condotta illecita dellimpresa: il Progetto di articoli

sulla responsabilit degli Stati adottato nel 2001 dallAssemblea generale copre le condotte di quegli enti privati che operano funzioni statali di governo tramite privatizzazione. Per la condotta illecita queste imprese (artt. 5 e ss.) attribuita allo Stato la responsabilit, essendo gli enti posti o sotto la direzione o il controllo dello Stato, o che agiscono sotto le sue istruzioni, o che comunque esercitano elementi di funzioni pubbliche governative.
2. Teoria degli obblighi positivi: lo Stato responsabile allorch viola lobbligo di

proteggere o di rimediare agli atti delle imprese private che violano le norme internazionali sui diritti umani. Questa teoria stata esplicitata dalla CEDU e dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, ed un rintracciabile anche nel principio consuetudinario secondo cui lo Stato deve esercitare la due diligence (dovuta diligenza) nella prevenzione e repressione delle violazioni private delle norme convenzionali.

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La tutela a livello nazionale. Diversi ordinamenti nazionali prevedono norme che vanno a sanzionare il comportamento di imprese multinazionali che violano i diritti umani, confermando che lattuazione effettiva delle norme di diritto internazionale passa sempre in via preferenziale per lazione dei giudici nazionali

Ordinamento americano: lAlien Tort Claims Act (ATCA), adottato fin dal 1789, offriva nella sua formulazione originale la possibilit di appellarsi alle corti americane da parte dei cittadini stranieri che avessero subito particolari lesioni sul suolo americano. Nella sua versione attuale, lATCA prevede che le corti americane abbiano giurisdizione sulle violazioni di diritto internazionale perpetrate da soggetti internazionali, anche contro persone che non siano cittadini americani, e anche compiute non sul suolo americano. Lunica condizione necessaria che la parte convenuta in giudizio sia fisicamente presente sul suo americano (ma non sia necessariamente cittadino americano o residente). Dopo la prima sentenza Unocal, i tribunali americani hanno applicato lATCA contro le violazioni ai diritti umani perpetrate da imprese multinazionali allestero. Ordinamento britannico: le corti interne sostengono che sulle imprese multinazionali aventi la propria sede in Gran Bretagna sussista lobbligo di adottare particolari standard di cura riguardo la tutela della salute pubblica e la sicurezza dei lavoratori quando le imprese operano allestero. Le stesse garanzie valide sul territorio britannico (standard) vanno applicate allestero. Non possibile declinare la giurisdizione se laltro foro pi conveniente non garantisce il rispetto dei diritti fondamentali derivanti dai trattati come la CEDU. Ordinamento italiano: con il D.L. 231/2001 stata introdotte una responsabilit degli enti privati per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato che, pur formalmente definita come amministrativa, una responsabilit che viene fatta valere secondo schemi penalistici. Ordinamento francese: nel 1991 una riforma del codice penale introduce il principio della responsabilit penale anche per le imprese, e nel 1994 viene introdotta nel codice la possibilit di incriminare le persone giuridiche anche per crimini contro lumanit. Ordinamento belga: nel 1999 il parlamento belga adotta la Legge sulla produzione responsabile, che introduce un processo di certificazione tramite marchi per le imprese, che riconosce il rispetto dei diritti umani nel processo produttivo. Nel 2007 viene inoltre adottata una legge che vieta il finanziamento delle societ produttrici di mine antiuomo o di bombe a grappolo. La legge introduce la responsabilit penale per le istituzioni finanziarie che investono in societ produttrici di queste armi.

La tutela a livello comunitario. Anche lordinamento comunitario si sta adeguando al tentativo di adottare qualcosa di simile allATCA. La Convenzione di Burxelles (1968) sulla giurisdizione e il reciproco riconoscimento in materia civile e commerciale consente agli individui, qualunque sia la loro nazionalit e domicilio, che hanno subito danni dalle attivit extraterritoriali di imprese multinazionali domiciliate in uno Stato membro, la possibilit di adire ai tribunali interni degli Stati membri. un principio identico allATCA che stenta tuttavia a essere riconosciuto negli ordinamenti interni dellUnione. Il Regolamento 44/2001 allart. 2 si applica a tutte le aziende aventi casa madre in Europea e attribuisce allo Stato membro dove la multinazionale ha sede la giurisdizione in materia civile, 59

superando anche leccezione del forum non conveniens: in pratica tra il tribunale dello Stato membro e il tribunale del PVS in cui la multinazionale ha commesso la violazione, che garantisce una pena minore (perci pi conveniente), va sempre preferito il tribunale dello Stato membro nonostante quanto previsto dal diritto consuetudinario. Un altro aspetto limpulso dato alla corporate sociale responsability (CSR) attraverso lazione di due diversi soggetti:

Consiglio dEuropa: nella Convenzione sulla protezione dellambiente, il Consiglio stimola gli Stati membri ad adottare leggi che sanzionino le condotte lesive nei confronti dellambiente da parte delle imprese, le quali sono responsabili in quanto imprese e non solo a livello civile e amministrativo, ma a livello penale. Unione europea: nel 1994 il Parlamento approva la Risoluzione Sanjon per lintroduzione di clausole sociali negli accordi internazionali, seguita da una successiva risoluzione del 1999 per ladozione di un Codice di condotta per le aziende europee operanti nei PVS. Nel 2001 il Libro Verde sulla CSR della Commissione europea lancia come obiettivo la promozione della responsabilit sociale delle aziende. Il Parlamento, pur riconoscendo la definizione di CSR data dalla Commissione, rifiuta lapproccio puramente volontaristico delle soluzioni suggerite e sostiene la necessit di un monitoraggio indipendente a cui sottoporre le multinazionali europee.

Infine, la responsabilit delle imprese multinazionali in Europa viene fatta valere anche a livello di diritto penale: nel 1998 il Consiglio dEuropa ha adottato una Convenzione sulla protezione dellambiente che allart. 9 impone lapplicazione del diritto penale per le imprese inquinanti (principio chi inquina paga). LUnione ha adottato un uguale sistema con la Decisione Quadro del 2005 per la repressione dellinquinamento provocato dalle navi e unanaloga Direttiva, che applica anche a questi soggetti il diritto penale.

Lautoregolamentazione. Tradizionalmente la questione dellimpatto delle attivit del settore privato sui diritti umani viene risolto in termini di autoregolamentazione e approccio volontario: le imprese adottano un cosiddetto codice di condotta che regola la loro responsabilit sociale nei confronti della societ, o altri strumenti come certificazioni sociali dei prodotti, clausole sociali nellassegnazione di appalti pubblici ecc. In tal modo si garantisce ai consumatori che il prodotto sia stato fabbricato senza violare i diritti dei lavoratori, senza impiegare manodopera minorile, senza causare inquinamento ecc. Questi strumenti hanno in comune il fatto che la loro eventuale violazione non viene sanzionata a livello giuridico, ma a livello economico: si tratta infatti di incentivi di mercato, la cui mancata osservanza comporta in genere un calo delle preferenze da parte del pubblico e quindi delle vendite, eventualit che ogni impresa desidera evitare pi di ogni altra cosa andando a incidere direttamente sul suo scopo primario, il margine di profitto, e che quindi agisce da deterrente pi incisivo di qualsiasi pena a livello giuridico.

MAURA MARCHEGIANI GLI ACCORDI COMUNITARI DI RIAMMISSIONE E LA TUTELA DEI DIRITTI UMANI.

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Accordi di riammissione. Gli accordi di riammissione sono uno degli strumenti adottati dallUnione europea per contrastare lemigrazione illegale, sia essa clandestina o irregolare. Consistono in trattati bilaterali o multilaterali tra Stati, che hanno per oggetto la richiesta da parte dello Stato ospite (richiedente) a uno Stato dorigine (richiesto) della riammissione, da parte di questultimo, dello straniero residente nello Stato ospite che risulta cittadino o comunque persona con legami di fatto nello Stato dorigine. Vige, per il diritto consuetudinario, un obbligo di riammissione dei propri cittadini da parte di uno Stato, come corollario del pi noto diritto di espulsione degli stranieri. Levoluzione di questa prassi nellambito comunitario risale a una prima raccomandazione del Consiglio (1994) affinch venissero armonizzate le normative degli Stati membri in merito, adottando un accordo di riammissione standard tra Stato membro e Stato terzo (extra-UE). Al Consiglio di Tampere (1999) il Consiglio europeo invitata il Consiglio UE a negoziare con gli Stati terzi accordi di riammissione oppure a inserire specifiche clausole, dette clausole di riammissione, allinterno di accordi di pi ampio respiro con i paesi terzi, come quelli stipulati con i paesi del Partenariato euro-mediterraneo. Tale clausola impegna lo Stato terzo a negoziare con il Paese UE che ne faccia richiesta un accordo di riammissione bilaterale, definito accordo misto perch interessa la Comunit, lo Stato membro e lo Stato terzo. Il Trattato di Amsterdam, entrato in vigore il 1 maggio 1999, aggiungeva al Trattato CE lart. 36 in base al quale entro cinque anni lUnione europea doveva deliberare misure standard di riammissione per tutti gli Stati membri. Tale misure non sono ancora state adottate, mentre dal 2002 lUnione europea ha cominciato a firmare accordi di riammissione a livello di comunit (il primo con Hong Kong). Caratteristiche degli accordi di riammissione. Gli accordi di riammissione prevedono, in genere, alcune caratteristiche aggiuntive: Estensione del principio di riammissione: lo Stato dorigine deve riammettere non solo i propri cittadini, ma anche tutti i soggetti che hanno legami di fatto o di diritto con lo Stato dorigine. Possibilit di riammissione in transito: lo Stato riammettente si assume anche limpegno ad ammettere sul proprio territorio un individuo che sia oggetto di allontanamento e in transito perch desinato a un altro Stato. Lo Stato pu tuttavia rifiutarsi per motivi discrezionali, per cui non garantisce il rispetto delle vite degli espulsi verso uno Stato in cui c rischio di tortura, violando un principio che a livello europeo garantito dallart. 3 CEDU. disumani o degradanti. Clausola di salvaguardia: inserita negli accordi di riammissione comunitari sostiene che, a parit di accordi bilaterali e comunitari, quelli comunitari prevalgono perch si presume che diano una maggiore garanzia sul rispetto dei diritti umani. Accade per che in alcuni casi avvenga il contrario. Procedura accelerata: nel caso in cui il soggetto venga bloccato al confine mentre cerca di entrare nel Paese che ha concluso con un altro laccordo di riammissione, possibile richiede questa procedura che consente di risolvere le pratiche burocratiche in 2 giorni lavorativi. Ci per non garantisce che venga assicurato lo status del soggetto che potrebbe godere del diritto dasilo e in generale viola il rispetto del non-refoulement. In alcuni casi la procedura accelerata ha permesso vere e proprie espulsioni collettive. Soluzioni al problema dei diritti umani. Nel 2008 una direttiva comunitaria sul rimpatrio dei cittadini di Stati terzi irregolarmente risiedenti in uno Stato membro ha garantito maggiori tutele in materia di rispetto dei diritti umani: 61

Prevalenza del rimpatrio volontario sul rimpatrio coatto, che devessere considerato sempre una soluzione di ultima istanza. Principio di non refoulement (non respingimento): prima di negoziare un accordo di riammissione devessere presa in considerazione la situazione politica e la tutela dei diritti umani vigente nel paese terzo, vigendo lobbligo di non poter trasferire rifugiati o richiedenti asilo nel paese in cui verrebbero sottoposti a trattamenti. Tutela sul piano giurisdizionale dello straniero rimpatriato, che non prevista dagli accordi di riammissione. In precedenza uno degli strumenti utilizzati per garantire la protezione dei diritti del rimpatriato era la protezione diplomatica, che garantiva la tutela diplomatica da parte dello Stato membro dellUE nello Stato in cui il soggetto era riammesso, laddove sussistesse una violazione o il rischio di una violazione dei diritti umani. DORIANA VITIELLO LA TUTELA DEI DIRITTI SOCIALI IN EUROPA. La codificazione dei diritti sociali, un problema che viene a crearsi nelle Carte costituzionali del II dopoguerra. I diritti sociali nellordinamento italiano. Per quanto riguarda lordinamento italiano, i diritti sociali emergono verso la fine del XIX secolo, quando in atto la trasformazione da Stato liberale a Stato sociale (1880 - 1930). Se lo Stato liberale una forma di Stato che si pone come obiettivo la tutela delle libert o diritti inviolabili dei cittadini, attraverso una Carta Costituzionale che riconosce e garantisce i diritti fondamentali e sottopone la sovranit dello Stato ad una ripartizione dei poteri, lo Stato sociale un sistema di norme con il quale lo Stato cerca di eliminare le diseguaglianze sociali ed economiche fra i cittadini. C unulteriore differenza tra le libert negative, presenti nello Stato liberale, e quelle positive che, insieme con le prime, sono presenti nello Stato sociale (luomo sia singolo che parte del gruppo, ecco perch oltre ad esser negative, sono anche libert positive: viene chiesto allo Stato di agire, dare autorizzazioni, ecc): La libert negativa il diritto di non subire coercizione, non impone agli altri di fare alcunch, ma solo di astenersi dal fare qualcosa La libert positiva il diritto di avere qualcosa, impone agli altri di fare qualcosa, e cio un diritto sul lavoro altrui. Nella Costituzione Italiana del 1948, i diritti sociali non trovano un catalogo preciso (collocazione sistemica) in modo da determinare la loro consistenza costituzionale. Tra gli anni 60 e gli anni 70, c comunque un rifiuto del riconoscimento del valore dei diritti sociali come costituzionali e quindi fondamentali dellordinamento giuridico. Oggi, tale dottrina negazionista largamente superata. Nellambito costituzionale, i diritti sociali come diritti delluomo con rilevanza sociale sono riconducibili alla Parte I sui Diritti e doveri dei cittadini: Titolo I sui Rapporti civili; Titolo II sui Rapporti etico - sociali; Titolo III sui Rapporti economici; Titolo IV sui Rapporti politici. Titolare del diritto sociale lindividuo come parte di una formazione sociale (famiglia, scuola, lavoro, etc.) che costituisce lo Stato, mentre il destinatario lindividuo sottoprotetto o escluso rispetto alla formazione sociale stessa, quindi impossibilitato a godere dei diritti riconosciuti. Lobiettivo proprio quello di rilevare lo stato dinferiorit dellindividuo rispetto alla formazione sociale e disporre le forme di garanzia per il suo 62

accesso, al pari di tutti gli altri soggetti che vi appartengono. I diritti sociali si esplicano in una prestazione positiva da parte dei pubblici poteri (concetto di cittadinanza), che si basa sul concetto di uguaglianza (non formale, ma sostanziale). Art. 3.2: compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libert e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Le norme costituzionali sui diritti sociali (artt. 29 e ss.) esprimono limpegno della Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico- sociale (disuguaglianza di fatto per alcuni soggetti rispetto ad altri) al pieno godimento delle libert e della pari dignit sociale. Queste norme stabiliscono obblighi in capo al legislatore in rispetto della democrazia pluralistica: laspetto partecipativo apre la strada ai diritti sociali che sono espressione del pluralismo, quindi sono anchessi diritti fondamentali (pertanto inviolabili), ponendo un limite al legislatore (ha piena discrezionalit solo sul come e quando grado di attuazione dei diritti sociali nellottica del bilanciamento con la soddisfazione degli altri diritti delluomo, tenendo presente le esigenze globali di bilancio -, mentre vincolato sul se e sul che cosa). Lart. 3.2, sancendo il compito della Repubblica ad assicurare una garanzia minima dei diritti sociali, va letto insieme con lart, 2 che delinea un impegno attivo dello Stato: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili delluomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalit, e richiede ladempimento dei doveri inderogabili di solidariet politica, economica e sociale. Tale impegno comporta, daltro canto, un costo (tasse) che viene solidarizzato, cio distribuito tra i membri della societ in virt del principio di solidariet: c, dunque, un circuito tra cittadinanza e garanzia dei diritti sociali. Onde evitare unottica ristagnante dellart. 2, bisogna riconsiderarlo come clausola a fattispecie aperta, estendendo, cio, la garanzia di tale articolo anche a nuovi diritti sociali emersi con levoluzione della societ (garanzia e riconoscimento del progresso). Un esempio il diritto allambiente salubre: art. 32.1 La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettivit, e garantisce cure gratuite agli indigenti, letto nellottica dellart. 2. Lart. 118 della Costituzione Italiana, allultimo comma, formalizza il principio di sussidiariet orizzontale come principio costituzionale: Stato, Regioni, Citt metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attivit di interesse generale, sulla base del principio di sussidiariet. Riguarda quindi lautodeterminazione dei cittadini nella gestione dellattuazione dei diritti sociali ai cittadini singoli o organizzati (ci in seguito alla modifica del Titolo V del 2001). Lattivit di natura pubblica, svolta nellinteresse generale, per rispondere alle esigenze di tutti, e non a scopo di lucro. Si tratta dellapplicazione, in Italia, del welfare mix, un modello di assistenza sociale basato sulla collaborazione / interdipendenza tra Stato e terzo settore. I poteri pubblici finanziano il terzo settore in cambio dellerogazione di servizi socio-assistenziali; il terzo settore, inoltre, assume la risposta della gestione dei servizi: ci implica la partecipazione del terzo settore alla programmazione delle politiche sociali. I diritti sociali nellordinamento comunitario. I diritti sociali possono esser considerati come uno strumento di realizzazione della politica sociale europea. Gi lart. 6 del Trattato sullUnione Europea apre la strada ai diritti delluomo nellUE stessa: L'Unione si fonda sui principi di libert, democrazia, rispetto dei diritti dell'uomo e delle libert fondamentali, e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri. Lart. 136 CE (Cap. I, Disposizioni sociali, Titolo XI, Parte III sulle Politiche sociali), ne , invece, il punto di partenza e formalizza lingresso dei diritti sociali. Esso introdotto con il Trattato di Amsterdam (in vigore dal 1999) e prevede che: 1. La Comunit e gli Stati membri, tenuti presenti i diritti sociali fondamentali, quali quelli definiti nella Carta sociale europea del 1961 e nella Carta comunitaria dei 63

diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989 (anche la Carta di Nizza del 2000, con i suoi parametri di legittimit), hanno come obiettivi la promozione delloccupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e duraturo e la lotta contro lemarginazione . Viene fatto un rinvio ai diritti sociali, definiti come fondamentali, dunque come principi generali dellordinamento comunitario; strumenti di azione concorrente per realizzare obiettivi di politica sociale. 2. A tal fine, la Comunit e gli Stati membri mettono in atto misure che tengono conto della diversit delle prassi nazionali, in particolare nelle relazioni contrattuali, e della necessit di mantenere la competitivit dell'economia della Comunit. Viene esplicato il fine ultimo. 3. Essi ritengono che una tale evoluzione risulter sia dal funzionamento del mercato comune, che favorir l'armonizzarsi dei sistemi sociali, sia dalle procedure previste dal presente trattato e dal ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative. E lapproccio funzionalista, per cui i diritti sociali che entrano nellordinamento comunitario sono inscindibilmente legati al mercato comune, I destinatari sono i lavoratori, essendo gli obiettivi di tale articolo correlati al cittadino lavoratore. Lapproccio funzionalista, daltro canto, favorir lazione comunitaria, mediante larmonizzazione dei sistemi sociali nelle diverse nazioni, attraverso quanto disciplinato dallart. 137 CE che prevede che, per conseguire gli obiettivi dellart. 136, la Comunit sostiene e completa lazione degli Stati mediante ladozione di direttive comunitarie per uniformare il diritto degli Stati membri. Lart. 136 riconosce, come si letto, vincolo giuridico ad alcune convenzioni fondamentali che sono: Carta sociale europea (1961), un trattato internazionale in seno al Consiglio dEuropa, riveduta nel 1996 ed entrata in vigore nel 1999. Essa prevede: o Catalogo dei diritti; o Misure di armonizzazione; o Misure di controllo. Per leffettivit dei diritti, necessaria lintermediazione degli Stati nel quadro delle misure di attuazione delineate nella Carta, quali obblighi rivolti agli Stati e dei relativi strumenti di controllo sulladempimento (la Carta non prevede un meccanismo di tutela dei diritti basato sul ricorso individuale dinanzi ad un giudice). I destinatari dei diritti sono i lavoratori ed i loro familiari dello Stato destinatario, ma anche gli stranieri che risiedono e lavorano abitualmente nel territorio dello Stato membro. Diritti quali quello al lavoro, alla sicurezza sociale, rappresentano il nucleo duro dei diritti inderogabili Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori (1989), una dichiarazione solenne di natura politica in seno alla Comunit Europea che non comporta obblighi per gli Stati membri della CE. Per leffettivit dei diritti, lattuazione su base volontaria. I destinatari dei diritti sono i lavoratori migranti (cittadini-lavoratori degli Stati membri della CE che si spostano allinterno del territorio comunitario). Carta di Nizza (Carta dei diritti fondamentali dellUE) del 2000 stata proclamata il dalle istituzioni europee come dichiarazione solenne prima di natura vincolante, proclamata di nuovo nel 2007 dagli Stati membri e dotata con il Trattato di Lisbona di natura giuridicamente vincolante. Il titolare dei diritti lindividuo e non pi solo il cittadino di uno Stato membro. 64

Per quanto riguarda lambito di applicazione dei diritti e la portata dei diritti garantiti, si consideri che valgono due diversi tipi di clausole: Clausola verticale (art. 51): anche per i diritti sociali vale il principio di sussidiariet, per cui lUnione e gli Stati membri, ciascuno secondo le proprie competenze, attua i diritti previsti dallordinamento comunitario, intesi come diritti programmatici. Clausola orizzontale (art. 52): in caso di corrispondenza tra i diritti della Carta e quelli della CEDU, vale linterpretazione di quelli della CEDU, anche se lUnione pu dare una garanzia maggiore, essendo quella della CEDU una garanzia minima. Diversamente, la Corte di Giustizia sancisce il principio della protezione equivalente nella sentenza Bosphorus c. Irlanda (2005) la Corte sosteneva che in caso di corrispondenza tra diritti CEDU e la Carta, la Corte verificher se sono comparabili in ordine di garanzia e contenuto. Fino a prova contraria, non c violazione della CEDU (tutela fino a prova contraria), supponendo che non labbia violata (comparabilit di contenuto e forme di garanzia, non identicit).

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