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Charles Willeford

LA MACCHINA IN CORSIA UNDICI

Traduzione di Matteo Codignola

Adelphiana
www.adelphiana.it 30 settembre 2003

Ruben mi piace. un bravo ragazzo. Di notte lascia la porta aperta. Be, diciamo che non la chiude a chiave, la accosta (e a me una porta accostata d un lieve, inebriante senso di precariet), cos durante il giro di ispezione medici e infermieri non si accorgono di nulla. il tipo di gesto che impari ad apprezzare, in un posto come questo. Qui dentro sciocchezze del genere diventano importantissime. Intendo dire che le differenze con una clinica normale vanno molto oltre i cinquanta dollari della retta. Ruben mi d anche da accendere, quando glielo chiedo, e soprattutto non lo fa pesare. In questo molto diverso da Fred, il suo collega del turno di giorno. Fred se gli chiedi da accendere la mena talmente che ti passa la voglia. Ma non tutta colpa sua, poveretto. Lavora circa dieci volte pi di Ruben. Si occupa di tenere puliti corridoi e latrine, e accompagna fuori i pazienti pi fortunati, quelli della Terapia Occupazionale. Senza contare che durante il suo turno consumiamo tutti i pasti. Questo 2

vuol dire che gli tocca fare il giro con il carrello, raccogliere vassoi e cucchiai quando abbiamo $nito, e compagnia bella. Sta di fatto che non ho mai avuto modo di parlarci molto, con Fred, mentre con Ruben, la notte, s. Be, a dire la verit pi che altro lui parla e io ascolto, ma va bene cos. Anzi, proprio quello di cui ho bisogno qualcosa che riempia questo vuoto liquido e nero. E poi, non so perch, ma quello che mi dice Ruben certe volte mi resta impresso. Come la storia delle sigarette. La Croce Rossa americana fornisce a ogni paziente una stecca di sigarette la settimana, anche se in realt, che io sappia, ciascuno di noi pu fumare quanto vuole, non ci sono regole. Comunque a me una stecca basta e avanza. Solo che non ci passano n $ammiferi n accendini. Secondo loro se ti viene voglia di fumare devi chiamare linfermiere, fargli aprire la porta e chiedergli da accendere. E se in quel momento linfermiere occupato, aspettare. A volte Fred, oppure uno dei pazienti in semilibert loro s che hanno i $ammiferi e poi se ne vanno in giro tutto il santo giorno a fare lavoretti, la chiamano terapia mi hanno fatto aspettare talmente tanto che quando alla $ne sono arrivati manco mi ricordavo pi cosa volevo. Ma la notte tutto diverso. Di notte gli ospiti delle altre undici (uh, se solo penso a quel numero mi piglia un crampo allo stomaco) celle di questo braccio di massima sicurezza dormono il sonno del giusto. Si addormentano tutti subito dopo cena, o al massimo nel giro di unora. Tutti tranne Reddington, meglio noto come il Nonno. Il Nonno, che oc3

cupa la cella numero Quattro, soffre di incubi. E devono essere spaventosi. Al suo posto credo che non me la sentirei neppure di mettermi a letto. Per quando ho provato a parlargliene mi ha risposto di non aver mai avuto un incubo in vita sua: magari non ne ha memoria. Forse succede lo stesso anche a me, di notte ho gli incubi e quando mi sveglio non me li ricordo. Su questo punto bisogna che prima o poi faccia il terzo grado a Ruben. Comunque io vado a dormire tardi, ma per unaltra ragione e cio che tutti i pomeriggi, caschi il mondo, mi faccio una bella pennica. Siccome non partecipo alla Terapia Occupazionale non mi ci hanno voluto , quando dopo pranzo gli altri lasciano il braccio io me ne torno in cella. C un silenzio assoluto, e nulla mi impedisce di dormire. Non ho un pensiero al mondo. Del resto, la memoria me la sono giocata, a parte certi piccoli episodi isolati, insigni$canti, e comunque incomprensibili. Per mi sforzo lo stesso di ricordare qualcosa. divertente. S. Ruben mi piace. un bravo ragazzo. Dicevamo| Ah gi, le sigarette. Sai, Ruben, gli ho fatto laltra notte (s, non era stanotte, sono sicuro) sai, tutte le settimane, quando la signora in grigio passa a portare le sigarette, io cambio marca. Anche se quella della settimana prima mi piaciuta, be, non mi va di riprenderla. Ora, io mi rendo conto che fumare un lusso, per se non sbaglio chi fuma di solito $nisce per affezionarsi a una certa marca, e poi vuole sempre quella. Allora la mia domanda , ma secondo te perch noi cambiamo sempre| Perch siamo pazzi|. 4

Ruben ha aggrottato la fronte, come non capisse bene cosa gli stavo dicendo, e mi ha $ssato a lungo. un ragazzo piuttosto bello (be, se uno non chiede la luna, ecco): ha sui venticinque, ventisei anni, denti candidi e forti, e in genere abbastanza gentile, ma quando mi guarda in quel modo senza rispondere mi viene da pensare che sotto sotto non gli piaccio, e che forse una spia dei dottori. Poi per mi fa un sorrisone dei suoi, e cambio subito idea. Sai una cosa, Blake| mi ha detto con laria pi candida del mondo. Tu sei lunico picchiatello qui dentro con un briciolo di sale in zucca. Be, era unosservazione un po bizzarra, e appena ce ne siamo resi conto siamo scoppiati a ridere. No, sul serio Blake, da quello che mi hai detto si capisce che fai progressi. Per caso, ti ricordi se prima fumavi solo una certa marca| Pensaci bene. No gli ho risposto senza pensarci affatto. Ma tutto questo parlare di sigarette mi ha fatto venire una gran voglia di fumarmene una. Avresti mica da accendere|. Certo. Mi ha tirato laccendino, poi ha continuato. Dovessi mai decidere che preferisci una marca fammelo sapere. Qui non neghiamo a nessuno il diritto di fumare le sigarette che vuole. Per, vedi, il fatto che lavoro qui da due anni, ormai, ed la prima volta che qualcuno di voi affronta un argomento del genere. Cosa vorresti dire, che non sono pazzo come sembro|. Oh, no no, mettiti il cuore in pace Blake, sei suo5

nato come una campana. Si fatto una gran risata. Prendi unaltra tazza di caff| Io s. Mi ricordo piuttosto bene quella conversazione, e anche di aver fumato: quello che invece non sono assolutamente in grado di dire se Ruben tornato col caff, o se invece me ne sono andato a letto senza. Il fatto che di caff durante la notte io e lui ce ne siamo bevuti un milione ma per quanto riguarda quella notte, nebbia assoluta. Devo dire che ricordare con ordine quello che succede qui dentro mi riesce molto dif$cile. Sar perch sempre tutto uguale. Lunica differenza fra il giorno e la notte che la notte pi silenziosa (Nonno Reddington alla Quattro a parte, chiaro), mentre di mattina c parecchio movimento. La colazione, le pulizie, il giro dei dottori, e nel mio caso anche i problemi di scacchi. Eh s, al dottor Adams mica lho raccontato, ma tutte le mattine ne risolvo almeno due o tre. La mente gioca brutti scherzi, Blake mi ha detto il dottor Adams il giorno che mi ha portato la scacchiera. Dal tono, sembrava convinto che questa sconvolgente verit risultasse, alle mie orecchie, una novit assoluta. Ma in molti casi esercitare il cervello tutti i giorni anche divertendosi, sai, perch gli scacchi sono divertenti unottima terapia. Chiss, potresti anche recuperare per intero la memoria. E allimprovviso, cos ha concluso facendo schioccare quelle sue dita morbide e grassocce. Per non voglio che te ne stai tutto il tempo seduto a sforzarti di ricordare. troppo per te, ca6

pisci|. E qui mi ha passato un libretto di problemi per principianti. Ma certo che capisco, dottor Adams ho annuito gravemente. Capisco che lei un gran pezzodimmerda, e che mi tratta come un idiota. Ovvio, Blake, ovvio. Quella premura nel darmi ragione mi ha strappato un sorriso. Per risolvere questi problemi potrebbe essere un ottimo esercizio, un esercizio molto utile. Sai, quando uno ha larco plantare che gli funziona male, gli si fa prendere una cosa qualsiasi con i piedi, non so, una biglia.... Oh, io ho il cervello pieno di biglie, se per questo. Ma non del tutto, sa| ho risposto scaldandomi un po. Certo, certo ha fatto lui come sovrappensiero, voltandosi dallaltra parte. Ma io so come mettere in imbarazzo queste gatte morte di dottori. Basta guardarli dritti in quei loro occhi spenti e bovini. Insomma, almeno proverai a risolverne qualcuno, vero Blake|. Forse. Una risposta interlocutoria, lo so da me. Ma sono le uniche che capiscono, quelli l. Insomma, ad Adams non ho mai dato la soddisfazione di ammettere che risolvo tre o quattro problemi di scacchi ogni mattina. Quando mi chiede come va gli rispondo che sono l l per farcela col primo, mentre invece mi sono gi spazzolato tutto il libro almeno quattro volte o cinque| Ah, ecco Ruben col caff. Lo ha fatto forte, proprio come piace a me, con molto zucchero e tre dita di panna. Poi mi ha rac7

contato com diventato infermiere. Non che la storia mi suoni proprio nuova, lavr sentita un migliaio di volte, ma le versioni sono sempre un po diverse fra loro. Lui crede di fregarmi cambiando qualche dettaglio, ma io non sono mica fesso. Comunque stanotte si soffermato sul suo biennio di formazione, unico maschio in una classe di trentotto ragazze. Mah, secondo me passare la notte a parlarmi o meglio, a parlare da solo gli fa bene, terapeutico. Ah, Blake, salvo imprevisti tua moglie viene in visita domani. Mi avevi chiesto tu di ricordartelo. Gi domani| ho domandato schiarendomi la voce. Santo cielo come vola il tempo. Sembra ieri, e invece sono passati trenta giorni felici e spensierati. Ho scosso la testa, $ngendo di essere contrariato. Vero. Non per me, per ha risposto cupo Ruben. Dammi la tua tazza, su. Ed uscito, chiudendosi la porta alle spalle. Adesso comincio ad abituarmi a mia moglie, ma allinizio stata dura. La prima volta che venuta non avevo letteralmente idea di chi fosse. Anche ora non ricordo di averla sposata, n di avere vissuto con lei prima di trasferirmi in questa cella, dove le signore non sono ammesse. Ma devo dire che in fatto di ragazze ho un gusto fantastico. Maria unautentica bellezza. Avr venticinque anni o gi di l, e fa lattrice, come non perde occasione di ricordarmi. La prima volta che mi hanno portato in parlatorio per incontrarla ho commesso lindelicatezza di chiederle come si chiamava. scoppiata a 8

piangere, e ci sono rimasto talmente male che non ho pi commesso lo stesso errore. Adesso quando non mi ricordo il suo nome la chiamo Tesoro, o Pulcino, e questo le piace. Di solito passiamo tutta lora a parlare di cinema, addentrandoci perlopi in particolari tecnici, e lei mi fa un sacco di domande intelligenti sul mestiere dellattore. Devono averglielo suggerito i medici, nella speranza che mi aiuti a ritrovare la memoria, ma in ogni caso mi piace darle qualche consiglio. Nel campo dei sentimenti creati a tavolino sono una specie di autorit, e anche se non ricordo affatto di aver diretto le commedie, i $lm e gli spettacoli televisivi che Maria mi attribuisce, con la terminologia e gli aspetti concreti del mestiere ho una certa con$denza almeno credo. Naturalmente possibilissimo che Maria mi stia mentendo, e che lo sterminato bagaglio di nozioni cinematogra9

$che cui attingo senza sosta me lo sia fatto prima di entrare qui, leggendomi carrettate di libri sullargomento. Cos come possibile che per qualche mostruoso scherzo del destino io sia stato dotato di una specie di memoria cinematogra$ca s, proprio come quella fotogra$ca che la salvezza, o la condanna, di tanti. Non male, come double entendre : devo assolutamente parlarne a Maria domani. Sempre che me lo ricordi, ovvio. Ma se davvero Maria unattrice bisogna dire che sa il fatto suo, perch quando attacca con la storia del mio passato di regista, prima o poi $nisco per crederle. In particolare c una scena che mi torna in mente nei momenti pi strani. I colori sono vividi, i dettagli anche, eppure non riesco a crederci $no in fondo, quindi non so neppure dire se me lha raccontata Maria o se me la sono immaginata io. Sole a picco. il quinto giorno consecutivo nel deserto, e abbiamo lavorato per dodici ore senza un attimo di pausa al primo episodio di una serie che dovrebbe comprenderne altri diciannove. Ma se Red Faris non cambia atteggiamento alla svelta non arriveremo mai in fondo cio, io non ci arriver. Forse non $niremo neppure questo episodio, The Pack Rats, che secondo la mia autorevole opinione in assoluto la sceneggiatura pi fetente che abbia mai girato. Ma Red un vero fenomeno: sa tutto lui. il suo terzo anno da protagonista della serie, e a questo punto si intasca una percentuale di tutto rispetto il cinquanta per cento. Red un ex giocatore di football, un bestione di due metri che pri10

ma di vincere la lotteria di questa specie di western non era andato oltre qualche comparsata in un teatro di Pasadena. In compenso ogni volta tenta di spiegare a me come devo girare la scena. E quando gli espongo alcuni fondamentali del mestiere annuisce con aria di suf$cienza, ma intanto strizza locchio ai ragazzi della troupe, coi quali nelle ore di pausa, che potrebbe utilmente dedicare a un ripasso delle battute, gioca a poker. E cos siamo arrivati al ciak numero dodici, ovviamente sforando il budget di un bel po. Ma ogni volta Red fa qualche piccola stupidaggine che mi irrita. Lo fa apposta| Comincio a credere di s. La scena che stiamo girando assolutamente banale. In realt non ci sarebbe da andare tanto per il sottile, ma mi presa una specie di mania, giro un ciak dopo laltro e non intendo fermarmi $no a quando non avr ottenuto esattamente quello che voglio. Ci saranno cinquanta gradi allombra, ma a surriscaldare davvero latmosfera lostilit della troupe: mi odiano tutti, dal primo allultimo. E solo perch ho i cosiddetti. Fantastico! Tutto chiaro, Red|. Rivolgo un sorriso amichevole a quel mentecatto del nostro protagonista, ritto con aria petulante davanti al suo baio coperto di sudore. Senti Red, lo so che sono un rompicoglioni, ma secondo me dovremmo rifarla. Capisci, per un cowboy arrotolarsi una sigaretta il gesto pi naturale del mondo.... Ma dopo una cavalcata nel deserto non si presume che sia stanco morto, Jake| E fra parentesi, dopo il ciak numero cinquanta.... 11

Undici. Numero undici lho corretto nel mio tono pi bonario. ... lo sono davvero! Sono esausto! Davvero, intendo. Va bene, va bene. Per adesso rimonta in sella, da bravo. Decido di ignorare quel capriccio da poppante, e gli do le spalle. Forza, ragazzi, si ricomincia annuncio alla troupe, basita. Nessuno si muove di un millimetro; e nessuno mi guarda negli occhi. Cercano solo Red, io sono come trasparente. Mi volto. Red ancora l, in piedi vicino al cavallo, e non intende muoversi per tutto loro del mondo. Mi $ssa, arricciando il labbro superiore, e solo quello (un discreto raggiungimento per un attore, anche se televisivo): poi guarda verso la camera uno, mettendo in risalto la fossetta. Per oggi, ragazzi, basta cos urla con la sua voce stentorea ma tutta di petto, si sente che non ha studiato. Gli urr della troupe trentuno voci entusiaste, compresa quella di contralto della segretaria di edizione, arrochita dalle sigarette si mischiano alle vampate di calore che si levano dal deserto. Eppure, vedendo Red prodursi nel suo marchio di fabbrica, il sorriso a trentadue denti una smor$a ruf$ana pi e pi volte (sette, per la precisione) descritta, in termini adoranti, dalle rivistucole di settore , sento un brivido lungo la schiena. E appena rientriamo, aggiunge sollevando il suo smisurato braccio destro nel segno in codice tipico del football bistecche per tutti al Palm Springs. Offro io!. 12

Altra gazzarra orgiastica, seguita a ruota dal frastuono di una troupe che sbaracca in fretta e furia. Sai, Red, commento senza alzare la voce non la prima volta che qualcuno mi protesta. Ma $nora lo hanno fatto in modo, come dire, pi privato, meno crudele. Ma Jake, nessuno ti protesta! stata una settimana pesante, tutto qui. Vedrai che Danny (Danny Olmstead, il montatore) un ciak buono su undici lo recupera. E se proprio non ci riesce, be, vorr dire che tagliamo la scena. Daccordo, Jake|. Sfodera di nuovo i trentadue denti. E fa per appoggiarmi una mano caritatevole sulla spalla, ma prima che la tocchi schizzo indietro. No che non sono daccordo. Un regista deve poter decidere. Purtroppo una delle regolette del mestiere. Eddi, non piantarmi il muso. E non dirmi che non riconosco la tua autorit. Ma scusa, se ho obbedito senza $atare a tutte le idee del cavolo che ti sono venute questa settimana! E sai benissimo che nessun altro divo della televisione si sarebbe sorbito undici ciak di $la senza esplodere. Di nuovo i trentadue denti. Senti Jake, andiamo a farci una bella birra ghiacciata allo Springs. Qualche ragazza, due risate, e luned un altro giorno. Daccordo| Non ha senso farsi il sangue mar.... Ho mirato direttamente alla fossetta e lho mancata. Peccato, cerano tutti gli elementi per una scazzottata niente male. Sono pi basso di lui, vero, ma anche piuttosto ben piazzato: solo che il suo destro mi si abbattuto sulla mascella come se aves13

se un tirapugni. E questo tutto quello che ricordo. Qui la pellicola si spezza, e continua a girare da sola come impazzita claclacla, claclacla, claclacla. L per l non ci ho capito niente. Peng! Per quanto forte, un cazzotto in faccia non bastava a spiegare i polsi legati stretti nelle bende bianche anzi non li spiegava proprio. Per a letto, in quella specie di letargo, mi sentivo abbastanza al sicuro, e al caldo. I polsi non mi facevano neanche male. Sentivo af$orare i ricordi, ma li ricacciavo subito indietro. E poi dimprovviso tutto quello che era successo mi tornato alla mente, anzi lha invasa, come una marea melmosa e imbarazzante. No, non mi ero fermato con gli altri al Palm Springs. Mi ero messo al volante della mia Porsche verde acqua, e mi ero precipitato infrangendo qualsiasi limite di velocit al mio rifugio, un capanno di legno scavato nella roccia dei Verdugo Woodlands, con vista sulla nube tossica di Los Angeles. Ed eccomi l, sulla terrazza, solo, unica compagnia un bicchiere e le mie angosce: ritrovarmi fallito e senza un soldo. Avevo torto marcio. Red era stato ragionevole, e adesso non avevo scampo. Le cose stavano cos e basta, non mi restava che aspettare la telefonata di conferma. Dopo una settimana di deserto, la terrazza mi sembrava un posto fresco e ventilato. Una dozzina di enormi piante da vaso collocate in posizioni strategiche, con le loro foglie verdi e lucide, riuscivano persino a nascondere le stoppie che ricoprivano le scoscese colline verde oliva. In una specie di insensata euforia continuavo a lanciare occhiate al telefono bianco poggiato sul gran14

de tavolo rotondo. Quanti sarei riuscito a bermene prima che suonasse, uno, due, tre| In realt sono arrivato a sei, e mi ero appena seduto con il settimo quando... Parlo col piccolo Jake! era Weldon Murray, il mio agente. Willy, tesoro! Non dirmi che mi hai gi trovato una nuova serie! Sei il migliore, ma ti avviso che non intendo.... Per adesso sono riuscito a non farti protestare, Jacky. Solo che dovrai accontentarti di un contratto normale, un ottavo alla settimana. Ma valido $no a quando continua la serie con Red, che potrebbe voler dire per sempre. Per voglio prima sentire la tua versione: perch ne devi avere una, no| Se vogliono la guerra, lavranno. Ma si pu sapere perch non mi hai chiamato prima| Non sapevo che cavolo dire.... Neanchio, Willy. Immagino che per una volta nella vita non ti andr di fare penitenza, riverenza e baciamano, vero|. Assolutamente no, e comunque non servirebbe a nulla. Questa roba si trascinata per settimane. E io sono stanco, Willy, stanchissimo. Io ti voglio bene, ma temo che stavolta avrai modo di riposarti per un bel pezzo. Mi spiace, ma tre una specie di numero magico, per loro, almeno per i pezzi da novanta. E questa la terza volta che ti fai protestare in un anno. La TV non il posto adatto per i perfezionisti, piccolo. Lo so. 15

Devi capire che la TV non il cinema, e comunque anche il cinema oggi.... Willy, ti prego. Risparmiami le prediche ho detto con voce stanca. Hai sentito Maria|. No. a Londra. Almeno credo. Vuoi che la chiami io|. No, fra un po me ne occupo. Comunque grazie, Willy. Dopo aver riagganciato ho pescato dal bicchiere un aracnide con non so quante zampe, e lho lasciato l a sgambettare. Quanti uomini, mi sono domandato con una certa curiosit, sono bolliti a trentadue anni| Dovevo considerarmi in anticipo o in ritardo sulla media| Eppure non mi sentivo depresso. Non nel vero senso della parola, almeno. Non che fossi del tutto indifferente a quello che stava succedendo, ma provavo una specie di doloroso sollievo. Se dio vuole quella lotta senza senso era $nita. Titoli. Ho continuato a bere lentamente, con metodo. Fra un bicchiere e laltro lasciavo passare un po di tempo, e mi godevo il silenzio della sera e il cielo giallo sopra Glendale, l in fondo. Qualche ora, o forse solo qualche minuto dopo, me la ridacchiavo tranquillamente, battendo la casa vuota alla ricerca di un rasoio. Ora, dico, una casa da sessantacinquemila dollari, ipotecata per settantacinque, la piscina, e neanche un rasoio. Ora, dico, pu uno tagliarsi le vene col rasoio elettrico| Il telefono ha continuato a squillare tutta la notte. Scocciatori e simpatizzanti, alternati. Alla $ne lho trovato, il ra16

soio. Era vecchio e arrugginito, usato, ma poteva andare. Era nascosto in un vecchio beauty-case scozzese di mia moglie. Una volta la vecchia lama aveva probabilmente perlustrato le sue lunghe gambe alla ricerca della peluria pi resistente. Mi venuto di nuovo da ridere. Il fatto che stavo passando la lama su una saponetta nuova, con estrema attenzione. Non volevo rischiare di tagliarmi le dita che dovevano reggere la lama, sarebbe stato dolorosissimo. Gi, peccato che stessi per tagliarmi le vene, e che quelle precauzioni a ben vedere fossero un po ridicole. La clinica era un caldo ventre bianco. Cera una veranda in fondo alla corsia, e nella sala da pranzo i pasti venivano serviti con assoluta puntualit. Andavo daccordo con tutti gli altri pazienti, diciotto per la precisione una compagnia affascinante, e molto eterogenea , e mi sarebbe piaciuto molto rimanermene per sempre, intontito, in quel posto cos accogliente. Il mio migliore amico era Dave Tucker, un attore che qualche mese prima era stato (letteralmente) posseduto dal demonio. Stava recitando nella parte di Daniel in una ripresa estiva del Diavolo e Daniel Webster, solo che a un certo punto il diavolo, quello vero, si era impossessato di lui. Purtroppo il nostro dottore, un essere del tutto privo di immaginazione, non credeva che il demonio si nascondesse davvero sotto le spoglie di David, e quindi si ri$utava di esorcizzarlo. Vedi J.B., il suo lato peggiore mi ha detto una volta David grattandosi furiosamente sotto il pigiama sto continuo prurito. Si agita talmente che mi 17

prude dappertutto, ma non che grattandomi riesco a beccarlo. Povero Dave. Io gli credevo, naturalmente. Perch mai uno dovrebbe mentire su una cosa del genere| Eppure di tanto in tanto mi veniva da prenderlo un po in giro. Il tuo caso un effetto collaterale del Metodo Stanislavskij e di tutte quelle balle sullimmedesimazione. Ma ti sarebbe potuta andare peggio, sai. Ah s| Tipo|. Non so, pensa se ti fosse successa una cosa del genere mentre recitavi in Dumbo lelefantino volante . Muovi mi ha risposto, parecchio seccato e graf$andosi il petto. Tocca a te, muovi. E abbiamo ripreso la nostra partita a scacchi nella veranda invasa dal sole. Adesso mi rendo conto che stato un errore affezionarsi a Dave. In questi posti non ti devi affezionare a nessuno. E infatti quando qualche giorno dopo il diavolo si del tutto impadronito di lui stato orribile. Stavamo di nuovo giocando a scacchi, tra una sigaretta e laltra, senza dire nulla. Di colpo Dave si messo a bisbigliare il mio nome, con unaria al tempo stesso spasmodica e impostata: Jake, vai a chiamare il dottore, chiama qualcuno, presto! Ha acceso il riscaldamento!. Ho alzato lo sguardo dalla scacchiera, e sono rimasto interdetto. La bella faccia di Dave era paonazza. Sembrava la copertina di un disco di musica hawayana. E non una stilla di sudore. Evidentemente il diavolo lo aveva colto di sorpresa, senza neanche dargli il tempo di sudare. 18

Mi sono lanciato alla ricerca disperata di un dottore, urlando come un pazzo. E un minuto e mezzo dopo, due al massimo, sono tornato col dottor Fellerman ma Dave era morto. Il diavolo gli aveva bollito il sangue ed era scappato via. Non ho avuto una banale crisi isterica, ho proprio dato fuori di matto, e ho detto a Fellerman quello che pensavo di lui (cio non molto), anche se devo ammettere che non era stata tutta colpa sua. Era solo una questione di tempo, prima o poi il diavolo Dave se lo sarebbe portato via comunque. Quello che mi ha fatto uscire di testa era che fosse successo cos in fretta. Poi ho avuto una lunga, disperata crisi di pianto. Dopo la storia di Dave mi sono tenuto in disparte. Niente pi amici. No grazie. Molto semplicemente, non sarei stato in grado di sopportare altre ferite come quella, e per fortuna me ne rendevo conto. Per essere perfetta, un pozzo nero e fondo, una depressione va nutrita, coccolata. Una pietra dopo laltra, bisogna tirare su un muro formidabile, che non lasci entrare o uscire nulla. Ogni mattone di quel muro deve essere pazientemente intagliato nella roccia ignea, e ogni strato deposto con la massima attenzione, talmente vicino agli altri da non dovere neppure usare la malta. Prima di ritirarmi nel mio giardino segreto, al riparo di quelle mura prima di Dave , stavo imboccando il cammino della redenzione. Mi ero docilmente sottoposto a quelle fesserie di test psicologici, orali e scritti; mi ero lasciato bucherellare il cranio dagli aghetti che avrebbero dovuto registra19

re le mie onde cerebrali; e, anche se con scarso entusiasmo, avevo partecipato alle terapie di gruppo della Corsia Quattordici che peraltro si tenevano nella Corsia Undici tutti i luned, mercoled e venerd, alle undici in punto, sotto la presidenza congiunta dei dottori Fellerman e Mullinare. A parte i dottori (che osservavano e ascoltavano senza mai intervenire), eravamo in quattro: Tommy Amato, un ragazzo di diciassette anni $glio di un attore famosissimo, e che tutte le notti faceva pip a letto; Randolph Hicks, un ex direttore dalbergo andatosi volontariamente a schiantare in macchina, episodio che gli aveva lasciato un cranio parecchio malconcio e un lancinante mal di testa che gli faceva strizzare gli occhi in continuazione; Marvin Morris, un cantante pop che proprio come me aveva tentato invano il suicidio, e poi, naturalmente, cero io. Non ho mai capito bene cosa si aspettassero da noi, durante quelle riunioni trisettimanali. I dottori non $atavano; se ne rimanevano impassibili sulle loro seggioline pieghevoli di metallo, come civette occhialute colte di sorpresa dalla luce diurna. Quanto a noi, a noi malati, avremmo dovuto parlare dei nostri problemi credo che lidea fosse pi o meno questa. Ma latmosfera che regnava in quella lurida corsia dalle pareti grigie non sembrava la pi adatta a sciogliere la lingua: era troppo deprimente. I primi cinque minuti di ogni seduta interamente dedicati allo schiarimento delle rispettive secchissime, rattrappite gole trascorrevano in un imbarazzo pressoch assoluto. La Corsia Undici, in 20

realt, era unala abbandonata, che rientrava in servizio solo per le terapie di gruppo, non essendoci in tutto lospedale un altro spazio disponibile: e l sedevamo pi o meno in semicerchio, fumando una sigaretta dopo laltra. Era dif$cile distogliere lo sguardo dai sei materassi vuoti ognuno dei quali coperto da un putrido lenzuolo bianco appoggiati sul pavimento vicino alla porta. La macchina per lelettroshock era su un tavolo grigio in un angolo, a poca distanza da un lettino di gomma imbottita. Se tutto avveniva la mattina presto, i corpi esanimi venivano deposti sul lettino $no a quando i pazienti non riprendevano conoscenza. E a quel punto, ancora in stato confusionale, venivano accompagnati a fare colazione. No, decisamente non era il posto pi adatto a discutere i problemi della psiche. Una legge federale vieta espressamente di fotografare i picchiatelli in gabbia, ma la commedia che andava in scena durante alcune di quelle sedute avrebbe meritato una ripresa $lmata. Ne sarebbe venuto fuori uno spettacolo straziante, da far piangere come un vitello anche lomone pi rude. Me la immagino benissimo quella roba in mano ad Albert McCleery. Ne sarebbe andato pazzo, e lavrebbe subito inserita nella sua serie televisiva con il solito montaggio serrato, saltabeccando da un primo piano allaltro. Quando il silenzio e la tensione diventavano insopportabili, si faceva avanti il giovane Tommy. Stanotte ho fatto pip a letto. Cos, piatto. Ora che i medici erano riusciti a convincerlo delle ori21

gini psicosomatiche del suo disturbo, Tony non era pi in imbarazzo, anche perch sperava che in un modo o nellaltro noi, essendo pi grandi, lo avremmo aiutato. E in effetti eravamo dispostissimi a farlo non fosse altro che per gratitudine, proprio perch era sempre lui a rompere per primo il muro di silenzio. Scusa, hai provato a tenere i piedi in alto| gli chiedeva ad esempio Marvin, ansioso di rendersi utile. Certo, stanotte ci ho messo anche sotto tre cuscini, ma non servito a nulla. A quel punto la seduta poteva considerarsi cominciata, e una volta cominciata, era pi facile parlare che starsene l a guardarsi nelle palle degli occhi. Cos ci mettevamo a chiacchierare di $lm, della Bardot, della Russia, di bridge, dei romanzi in edizione tascabile, della qualit del vitto che ci ammannivano, e poi di tasse, del traf$co a Los Angeles, e delle telefonate intercontinentali, che a quanto pare non sarebbero passate pi dal centralino: insomma, di tutto. Tranne che dei nostri problemi personali, naturalmente. Con questo, a Tommy nessuno faceva mai mancare un nuovo suggerimento per il suo problemino senza peraltro ottenere alcun risultato. I due dottori non prendevano mai appunti, non facevano commenti o proposte, non si azzardavano neppure a interrompere la conversazione. Di quel silenzio gli eravamo grati, e facevamo il possibile per intrattenerli con le nostre chiacchiere, in modo che potessero trascorrere insieme a noi unora tutto sommato piacevole. Forse, 22

chiss, quelle sedute facevano bene soprattutto a loro. Non lo so, so solo che dopo Dave mi sono semplicemente ri$utato di sottopormi ancora a quella forma di tortura mentale. E senza fornire spiegazioni. La Corsia Quattordici era aperta, e allinterno dellospedale godevamo di una certa libert di movimento. La sera, nella sala comune, proiettavano un $lm in sedici millimetri. Avevamo a disposizione una biblioteca, una televisione (nella veranda), e persino un bar, dove tra una chiamata a mensa e laltra volendo ci si poteva bere un caff, e persino mangiare un panino. Tutte attivit piuttosto frivole, cui personalmente ho rinunciato, preferendo passare la giornata sullatroce seggiolina metallica che avevo accanto al letto. Consumavo regolarmente i miei tre pasti al giorno, nel senso che quando veniva il turno della nostra corsia mi mettevo in coda con gli altri, ma subito dopo tornavo alla mia sedia. La sera andavo a letto dopo cena, e precipitavo in un sonno di morte, che in genere durava $no alle sei e mezzo. Lasciato a me stesso avrei anche potuto dormire ininterrottamente, ma durante il giorno non era permesso rimanere a letto. E siccome sulla sedia non riuscivo nemmeno ad appisolarmi, allora leggevo, mi fermavo a riflettere, e poi ricominciavo a leggere. Sempre lo stesso libro, Vita nel silenzio, di Thomas Merton. Quei racconti di vita monastica mi entusiasmavano. La mia passione erano i Cartusiani, con i loro romitaggi inaccessibili. Mi sembravano geniali. Ero sicuro che avessero trovato la risposta alle comples23

sit della vita, e sapere che non sarei mai potuto diventare uno di loro mi faceva disperare. S, lo strano impasto di orgoglio e umilt tipico di quei santuomini era al di fuori della mia portata. I Cartusiani erano convinti che se in vita fossero riusciti a essere abbastanza umili, morendo avrebbero visto Dio. Un tipo di vanit particolarmente ingenuo, non c dubbio, ma anche talmente innocente, e toccante, che a volte mi venivano le lacrime agli occhi. Per sapevo benissimo che Dio non si sarebbe mai scomodato per un rottame come me. Tuttavia cera unaltra strada, e adesso che il tempo per pensare non mi mancava anzi, ne avevo pi di quanto ne avessi mai avuto in tutta la mia vita lidea di questa s$da impossibile mi attraeva sempre di pi. Raggiungere la vetta della piramide non era cos dif$cile, e in fondo cero gi riuscito almeno tre volte: ma la base, sempre pi larga, quella era tutto un altro discorso. Quanti maschi americani hanno scientemente diretto i loro sforzi a toccare davvero il fondo, aprendosi tenacemente la strada $no allabisso dellanimo umano| Se fossi riuscito a raggiungerlo, quel fondo oltre il quale non c pi nulla, e se ci fossi riuscito senza aiuto esterno, be... se non altro come aspirazione era originale, oltre che atroce, no| Ma come riuscirci, come| Per trovare la soluzione un essere intelligente potrebbe rompersi la testa per anni. Un mattino, per, le mie meditazioni sono state interrotte dal dottor Fellerman, che mi si avvicinato di soppiatto e mi ha toccato sulla spalla. Vole24

va sapere se ero disposto ad andare in studio da lui un paio di volte alla settimana, per una chiacchierata a quattrocchi. Ho un buco il gioved, e un altro il luned. Se vuoi te li tengo. Li tenga per qualcun altro gli ho risposto freddamente. Io non ho niente da dirle. Ma insomma, senza essere n invitato n gradito si era permesso di disturbarmi, e proprio mentre stavo arrivando a un punto decisivo. Lho fulminato con lo sguardo, per fargli capire bene $no a che punto ce lavessi con lui. Fellerman era un tipo alto, dallaria cadaverica, con il petto scavato. Aveva una faccia stanca, segnata: era evidente che lavorava troppo. Col suo camice bianco svolazzante, che gli arrivava al ginocchio, le spalle curve, la testolina stretta piegata da una parte, sembrava proprio un meccanico che sente il motore che picchia in testa, ma non sa dove mettere le mani. E di riprendere col gruppo non se ne parla, vero|. Vero. Ma se per caso mi venisse in mente una soluzione valida al problema di Tommy, giuro che me la segno e gliela passo a mensa ho aggiunto con tutto il sarcasmo di cui ero capace. Quindi mi sono alzato, gli ho dato le spalle, e sono andato a sedermi con la faccia contro il muro, mettendo cos $ne al nostro sgradevolissimo colloquio. Questa breve discussione si svolta un luned pomeriggio. Il mercoled mattina, subito dopo colazione, uno degli infermieri, Luchessi, mi ha detto che il dottor Fellerman mi aspettava in studio da 25

lui. Ora, ogni ricoverato in manicomio ha il privilegio di poter litigare con i medici, ma nessuno sarebbe cos pazzo da mettersi a discutere con un infermiere. Quindi ho seguito Luchessi da Fellerman senza fare storie. Dunque, Blake, ha detto Fellerman andando subito al sodo ho deciso di sottoporti a nove brevi sedute di elettroshock. Una frase come scolpita nella pietra. La mano destra, che stava portando la sigaretta alle labbra, mi si fermata a mezzaria. Ho sentito i capelli rizzarsi sulla nuca e sugli avambracci mi venuta una pelle doca alta cos. Ero spaventato, certo, ma soprattutto stupito. Davanti agli occhi mi passata limmagine stomachevole dei sei materassi della Corsia Undici, ognuno coperto dal suo lenzuolo bianco. E lapparecchietto per lelettroshock, che col coperchio chiuso mi aveva sempre ricordato un grammofono portatile da quattro soldi, adesso era solo il simbolo sinistro foderato in pelle di una morte improvvisa e orribile. No ho grugnito scuotendo la testa. Non dice sul serio, vero|. Fellerman ha fatto spallucce. Ecco, non mi lasci altra scelta. Tu non ti aiuti, Blake. Non vuoi sentir parlare di terapia, n di gruppo n individuale. E continui a credere che sia stato il diavolo a uccidere il tuo amico Tucker, vero| Lapoplessia ce la siamo inventata noi, no|. Non gli ho neanche risposto. Era una trappola, ma mica ci sono cascato. 26

Non di alcun segno di miglioramento. Lelettroshock ti aiuter, vedrai. Con la depressione si pu imparare a convivere ho detto disperato. Con la morte no. Non la butterei sul patetico. No, eh| Quante persone sopravvivono al trattamento|. Oh, la percentuale degli incidenti mortali talmente bassa da poter essere considerata irrilevante. Per me rilevante eccome. Me la dice, per favore|. Mah, cos a memoria non la so. Ci sar un incidente su tre, quattromila casi al massimo. E visto che lei vuol farmene nove di $la la percentuale aumenta, non crede|. Blake, non pensi che se ci fosse davvero pericolo adesso tentava di avere una voce rassicurante lasceremmo perdere| Tu sei di sana e robusta costituzione, magari dovresti buttare gi qualche chilo, ma insomma non rischi nulla. E comunque per attenuare le convulsioni ti far somministrare un po di curaro. Cos ti rilassi. Un veleno| Perfetto, cos se sopravvivo alla scossa mi fa fuori il curaro! Bellidea!. Ti assicuro che non hai nessuna ragione di preoccuparti. Comincerei domattina. Ricordati di non fare colazione. E se ri$uto|. Non vuoi sentirti meglio|. No, se signi$ca fare un elettroshock non voglio. Guarda che non sentirai assolutamente nulla. 27

La questione non il dolore, che non voglio perdere la memoria. I miei ricordi non saranno un granch, ma non mi rimane altro, e li voglio, li voglio tutti. La perdita di memoria molto lieve, e comunque solo temporanea.... Daccordo, allora diciamo che ri$uto di sottopormi al trattamento. Punto e basta. La sigaretta mi ha scottato le dita, e lho spenta nel portacenere di Fellerman. Era un teschio di ceramica bianca, e costituiva una prova piuttosto evidente, anche se forse superflua, del sadismo tipico degli psichiatri. Non sta a te scegliere mi ha detto molto gentilmente. Adesso mi spaventa, dottore.... Non hai ragione di spaventarti. Tua moglie ha gi $rmato le carte, quindi.... Non le credo!. Per vero. Ma non farla pi grossa di quello che . Se tutto va bene, e nulla lo esclude, potrebbe non esserci bisogno di nove sedute. A volte ne ba28

stano sei, e ti ritrovi a casa senza neppure rendertene conto. Ma io non voglio ritrovarmi a casa ho quasi singhiozzato. Le lacrime che non riuscivo pi a trattenere mi solcavano il volto. Io voglio una cosa sola, da sempre, essere lasciato in pace. Dopodich, frignando come un bambino con la faccia nascosta nella manica, mi sono trascinato fuori senza neanche vedere dove andavo, e Luchessi mi ha riportato in corsia. Ripensandoci a mente fredda molto pi fredda mi sono reso conto che le mie conoscenze sullelettroshock erano in realt di seconda mano, dal momento che me le aveva fornite, nel corso delle nostre lunghe e oziose chiacchierate nella veranda, un altro paziente, Nathan Wanless. Delle sue esperienze il povero Nathan mi aveva parlato nel modo pi piatto possibile. Eppure senza peraltro averne lintenzione aveva $nito per instillarmi il terrore di quella macchinetta. Non niente di che, Blake mi aveva detto. Il tono era normalissimo, ma lo sguardo mi sembrava un po perso e allepoca Nate era solo alla terza seduta. La prima volta ho chiesto di passare davanti a tutti perch sai, ecco, avevo un po strizza, dunque pi rapidamente la facevamo $nita meglio era. Mi sono arrampicato sul tavolo nella Corsia Undici e quattro infermieri cera anche Luchessi mi hanno tolto accappatoio e pigiama. Uno mi bloccava i piedi. Sai, quando la scossa ti passa nel cervello hai come una convulsione, e se non ti tengono stretto potresti romperti la schie29

na. Si spezzerebbe come uno stecchino. Comunque, il dottor Fellerman mi ha messo la cinghia sulla testa. Serve a reggere gli elettrodi al cromo che ti appoggiano sulle tempie. Poi ti in$lano una cinghia di gomma in bocca, la mordi, ed fatta. Che signi$ca fatta| ho chiesto, per niente tranquillizzato. Signi$ca, vvvum, fatta. Vvvum|. Vvvum. Non ho sentito niente. Quando ho riaperto gli occhi ero coricato su un materasso a guardare il sof$tto. Sai quei mate.... Lo so, lo so. Ma come ti sentivi| Quando non eri in te, hai fatto strani sogni, o roba del genere|. Ma no, ho sentito un vvvum e basta. Un minuto prima ero sveglio, e me la facevo sotto $ssando il dottor Fellerman, un minuto dopo ero sul materasso, e guardavo il sof$tto. tutto abbastanza strano. E appena si accorgono che sei sveglio, gli infermieri ti mandano nella Corsia Dieci a mangiarti le uova strapazzate. La Corsia Dieci quella chiusa a chiave, sai. Lo so, lo so. Ma non che pu $nire qui, Nate. Secondo me la fai un po troppo facile. Ma facile, Blake. La seconda volta me ne sono stato un po a guardare gli altri, per capire come funzionava. Appena gli elettrodi sono a posto Fellerman gira le manopole. Non pu usare pi di centodieci volt, perch limpianto non reggerebbe. E comunque non perde mai di vista lago. Ago| Quale ago|. Quello del contatore. Penso che la macchina ven30

ga programmata prima, ma siccome non mi sembra che abbia un reostato, il dottore controlla con lago. Quando ha somministrato la quantit giusta spegne. Ed tutto $nito. Parlami del paziente. Che tipo di convulsioni ha|. Dif$cile capirlo, con tutta quella gente intorno. Per direi che una macchina molto umana, tutto sommato. Credo che la sedia elettrica funzioni pi o meno allo stesso modo. Ci mettono sopra il poveraccio, girano linterruttore e vvvum, fatta. Certo, in quel caso ti devono legare alla sedia ha aggiunto Nate, pensieroso perch la scossa molto pi forte. Qui ha ridacchiato. Secondo me si spacca la schiena lo stesso, ma che importa, tanto morto, no|. Ecco, Nate, ho commentato con un brivido se penso a queste due macchine, non vedo proprio cosabbiano in comune. Di umano, poi.... Perch no| Nessuna delle due fa male. Un vvvum, ed tutto $nito, solo che dallelettroshock ti risvegli, dalla sedia elettrica no almeno non in questo lercio mondo. Nate Wanless non pi dei nostri. A quanto pare lelettroshock nel suo caso servito, forse gli ha cancellato la depressione, sta di fatto che lo hanno dimesso. Ma dopo le prime sedute aveva unespressione preoccupata, e confusa. Non ricordava neanche pi come mai fosse $nito in ospedale, per non parlare di tutto quello che gli era successo l dentro. Prima che uscisse ho avuto modo di parlargli parecchie volte, e a parte i vuoti di memoria, dei quali peraltro sembrava non importargli nulla, era 31

perfettamente normale e ragionevole. Uno qualunque appunto. N agitato n depresso. Sembrava solo non importargli un $co secco del passato o del futuro, e si era bevuto quello che gli aveva detto il dottor Fellerman, e cio che prima o poi la memoria gli sarebbe tornata. Io no che non ci avevo creduto, neppure per un porco di secondo. Mi sudavano le mani, e avevo la gola secca. Per la prima volta in vita mia provavo paura. Non parlo della paura comune, quella mi era abbastanza familiare. Nei mesi solo tre, per grazia di Dio passati in Corea avevo avuto paura di perdere un braccio, o una gamba, o un occhio. Altre volte avevo avuto paura di crollare. E poi del successo, e del fallimento. E conoscevo bene anche un timore segreto, di quelli che non si confessano a nessuno, neppure a se stessi, se non in certi momenti. Parlo del terrore senza nome del dopo. S, dopo la morte. Cosa succede, dopo la morte| Esiste un altro mondo| E se s, come faremo ad affrontare il castigo per come ci siamo comportati in questo| Ma sono paure infantili, persino un po super$ciali, in confronto alla pi spaventosa di tutte, quella del destino pi atroce che possa capitarci su questa terra: diventare un vegetale. possibile immaginare di peggio| Quello che ci resta, a $ne partita, sono i ricordi, e la capacit di ridere della nostra follia, o della nostra stupidit. Altrimenti siamo un pino, una margherita, una rapa, unalga. Esseri che di giorno vivono solo grazie alla fotosintesi, mentre di notte, 32

nelle loro lunghe notti, si liberano dellanidride carbonica. Ero ancora abbastanza giovane, e di fronte allalternativa secca fra la vita e la morte, ad esempio, avrei anche potuto scegliere la seconda, in qualunque momento e forse addirittura simulando un coraggio e un distacco che non avevo: non lo so. Ma bastava che andassi alla $nestra e guardassi fuori, verso i prati verdissimi dellospedale, per vederli subito, quei tre o quattro vegetali umani seduti al sole sulle panchine, a qualunque ora. Erano quasi tutti vecchi, creature candide e inoffensive. Col bel tempo li lasciavano rimanere fuori anche tutto il giorno. Tanto non davano noia a nessuno. Non pensavano, non ricordavano nulla, neanche i loro nomi. Quanto a ridere, non sapevano neppure pi cosa signi$casse. Erano piante. Vegetali, appunto. I pazienti psichiatrici in genere vivono vite straordinariamente lunghe, e io avevo solo trentadue anni. E portavo su di me la maledizione comune a chiunque, regista o attore, voglia farsi strada nel mondo dello spettacolo: sapevo mettermi nei panni di un altro. Empatia, si chiama. Grazie a quel dono riuscivo a immaginarmi benissimo il mio futuro, sia a breve sia a lungo termine: sarei stato Blake il Vegetale, seduto al sole un anno dopo laltro $no a diventare un bavoso, tremebondo ottantenne, anzi novantenne, che ogni giorno insegnava ai $ccanaso di cui era circondato qualcosa in pi sulla geriatria. Di Blake lArrogante, lunico essere umano in tutta Hollywood a non avere mai chiesto nulla a nessuno, non ci sarebbe pi stata traccia. Ma avevo dal33

la mia unimmaginazione fredda e logica, che poteva trasformarmi in Blake lAbietto, Blake lo Straccione, Blake il Verme. E allora va bene, se il dottor Fellerman voleva vedermi strisciare, avrei strisciato. Se voleva umiliarmi, se pretendeva che gli lavassi i piedi, glieli avrei lavati, li avrei anche spalmati di unguenti. Il terrore gelido che mi rimestava i visceri era molto vicino al panico, e cera pochissimo tempo. Secondo lorologio sul tavolo di Luchessi erano le undici e quaranta. Fra venti minuti Fellerman sarebbe uscito dallospedale, e prima di allora dovevo assolutamente riuscire a vederlo. Lindomani mattina sarebbe stato troppo tardi; prima mi avrebbero iniettato nelle vene il curaro fatto venire dal Sudamerica, poi, con la loro macchina, mi avrebbero spappolato il cervello. Cercando di tenere a bada la tensione, mi sono avvicinato alla scrivania di Luchessi. Poteva anche ricordarmi che oggi c la terapia in Corsia Undici gli ho detto con un sorriso da qui a l. Veramente credevo che non ci andassi pi. Non sembrava insospettito, tant vero che si subito messo a riempire il modulo per lammissione alla seduta. In effetti avevo deciso cos, ma poi ho scelto di riprendere, a partire da oggi. Per questo il dottore ha voluto vedermi, stamattina. Comunque mi sa che sei in ritardo mi ha detto allungandomi il modulo con aria corrucciata. E non certo colpa mia. mia, mia, lo so. Me ne sono semplicemente 34

dimenticato. E forse davvero troppo tardi, ma se non faccio almeno il gesto il dottor Fellerman dir che non mi impegno. Sa com fatto. Certo, certo. Per datti una mossa. Dunque ho lasciato la corsia con le carte in regola, e se per caso qualcuno del personale mi avesse fermato in corridoio gli avrei subito mostrato il modulo. Quando sono arrivato in Corsia Undici la seduta era appena $nita. Tommy stava uscendo dalla stanza, era il primo. Gli ho fatto un cenno un po distratto, tanto perch non gli venisse voglia di attaccare bottone, ho scansato altri tre pazienti e sono entrato. Il dottor Fellerman e il dottor Mullinare erano ancora seduti sulle loro sedie di metallo in fondo alla corsia stendendo il referto della seduta, o almeno credo. Ho esitato un attimo cercando in tutti i modi di non guardare a destra, verso la macchina e il lettino subito accanto. Ehi, salve Blake ha detto Mullinare tutto garrulo. un pezzo che non ci si vede. (Un vero fessacchiotto, sto Mullinare, va detto). Buongiorno, dottor Mullinare ho trillato a mia volta. Mi spiace moltissimo disturbare lorsignori, ma volevo conferire un attimo col dottor Fellerman. E mi sono avvicinato, sforzandomi di mantenere unandatura eretta. Non c problema, Blake, tanto abbiamo $nito ha detto Fellerman, strizzando locchio a Mullinare. Chiamami stasera, Kevin, cos ci mettiamo daccordo. Perfetto gli ha risposto laltro appoggiandomi sul35

la spalla la sua mano grassoccia e sudata. Ci manchi molto alle nostre riunioncine, Blake. Anche voi mi siete mancati, dottore ho mentito. Ma forse adesso il dottor Fellerman mi lascer riprendere. Mullinare non ha commentato. uscito e si chiuso la porta alle spalle. Mi sono passato la lingua sulle labbra inaridite, cercando di capire da dove cominciare. Il silenzio degli psichiatri studiato, provato per anni riesce sempre a mettere i pazienti sulla difensiva. Non ti chiedono quasi mai niente, a meno che non lo facciano con quei loro occhi nei quali, in apparenza, non c neppure una scintilla di curiosit. Ma di solito per$no i loro occhi, al riparo delle lenti, hanno qualcosa di innaturale, di distorto. E Fellerman, con le sue spalle ossute, la sua testolina tutta piegata da una parte, mi guardava dal basso in alto senza fornirmi nemmeno un appiglio. Come pu un uomo, un essere umano, affrontare una macchina del genere| Ecco, signore, io spererei proprio e qui ho sentito la mancanza di un cappello da contadino, da potermi cavare di testa nellatto stesso di rivolgermi a lui, in segno di rispetto che potesse tornare sulla sua decisione. Non mi sono comportato bene, me ne rendo conto. E me ne scuso, me ne scuso dal profondo del cuore. Ha ragione, se voglio fare qualche progresso bisogna che collabori $no in fondo con lei e con gli altri dottori. E voglio che lei sappia, dottor Fellerman, che sono pronto a voltare pagina. Sarei felice di riprendere la terapia di gruppo. E anche di venire in studio da lei, se non 36

ha cambiato idea. Sa, qui ho abbozzato un sorriso appena mi sono reso conto che a volte questa mia testaccia dura proprio non funziona, e che col mio atteggiamento irremovibile stavo solo nuocendo a me stesso, mi sono subito sentito meglio. S, signore, e questa la verit. Sono gi molto meno depresso di stamattina, quando ci siamo parlati!. Ho provato a fare una risatina, ma mi venuto fuori solo un gorgoglio. Lallegria simulata, coatta, ha sempre un suono orrendo, straziante. E soprattutto, signore, ho tentato di proseguire sono certo che dal mio nuovo atteggiamento trarranno vantaggio anche gli altri pazienti. Sul serio. Proprio qui fuori ho trovato Tommy, e solo a vederlo mi si spezzato il cuore. Mi sono reso conto di quanto sia stato egoista, di quanto abbia pensato sempre e solo a me stesso. Certo lei si ricorder di come mi comportavo col gruppo. Parlavo moltissimo, quanto gli altri se non di pi. La mia testa funziona, dottor Fellerman, e se mi ci metto posso scommettere quello che vuole che trovo una soluzione al problemino di Tommy. Ma certo! Se rinunciamo allelettroshock prendo carta e matita e comincio a lavorarci immediatamente. Lo so che adesso che sono qui pu sembrare strano, ma al liceo ero un drago in $loso$a, e soprattutto in logica. E scommetto, signore, (qui per un attimo ho pensato di in$orettare il mio monologo con unaltra risatina ma poi ho lasciato perdere, sentivo che non sarei stato credibile) che insieme al problema di Tommy riuscir a risolvere anche il mio. Da quel poco che so di Freud naturalmente non 37

pretendo di essere al suo livello, come potrei, lei lo ha studiato alla perfezione, ed un dottore bravissimo si pu considerare un primo passo, no| Intendo dire, quando un paziente comincia a pensare a quello che sentono gli altri, invece che a se stesso, un progresso, non vero| Mah, forse no. Quello che mi premeva dirle che non mi sento assolutamente pi depresso. Non come prima, almeno. Lelettroshock pu funzionare in alcuni casi, ovvio, ma nel mio non ce n alcun bisogno. Vede, di certe cose a me non va di parlare davanti agli altri. Ma quando saremo soli, io e lei, le dir tutto, proprio tutto. Siccome stava arrivando il momento delle con$denze, ho ritenuto appropriato un abbassamento di voce. Sul sesso, ad esempio. Per voi psichiatri fondamentale, no| Be, forse ricorda che sono stato sposato con Maria Chavez, lattrice. Vede, quando ci siamo sposati eravamo molto, molto innamorati, e a letto facevamo cose inimmaginabili. Ora capisco che lei abbia solo voglia di andare a pranzo, ma quando saremo soli le racconter tutto, nei minimi dettagli. Anzi guardi, per essere sicuro di non tralasciarne neanche uno prender qualche appunto prima. Sa, dopo tutti questi anni di cinema sono piuttosto bravo a raccontare. E vedr che sentendomi parlare del nostro amore le sembrer di essere stato l con noi. Far tutto quello che vuole, tutto, tutto, ma per favore, per favore, per favore.... Qui lispirazione mi ha abbandonato, e ho dovuto fermarmi. Il dottor Fellerman mi aveva ascoltato 38

impassibile. Nulla di quello che avevo detto (o che avrei potuto dire) sembrava in grado di impressionarlo. E cos, che vergogna, mi sono buttato in ginocchio e ho baciato quelle sue scarpe nere, grosse, un po antiquate coi calzini bianchi. Avrei voluto anche piangere, ma non cera verso di spremere mezza lacrima. Ero furioso. Senza una leva emotiva, una qualsiasi, non avrei mai strappato un accenno di simpatia a quel sasso umano, a quella macchina. Alzati, Blake. Tirati su. Sissignore. Mi sono messo frettolosamente in piedi. Mi riprender nel gruppo, vero| Niente elettroshock, vero|. Si alzato anche lui, stirando le lunghe braccia mentre sbadigliava. Avete letto bene, sbadigliava. No Blake, rimango della mia idea. Lelettroshock ti far benissimo. E senza degnarmi di uno sguardo si diretto alla porta. Ma non aveva fatto tre passi che gli sono saltato addosso, e prima che potesse gridare gli ho cacciato le dita nel collo. Ha provato a lottare, ma non aveva nessuna possibilit. Gli ho fatto lo sgambetto e sono rotolato a terra con lui. Tenevo in una morsa quel suo collo di tartaruga, e ho continuato a stringerlo. Le dita mi facevano talmente male che non le sentivo quasi pi. Adesso Fellerman era tutto molle, e quando sono stato sicuro che non recitava lho trascinato sul lettino. Poi ho strappato qualche striscia di lenzuolo da uno dei materassi e lho usata per legarlo, pi stretto che potevo. Quando ho cominciato a cacciargli in bocca le salviette che 39

avevo preso dallaltro tavolo, lui si come scosso, e ha aperto gli occhi. Senza quei suoi occhiali spessi, che gli erano caduti durante la nostra scena di lotta improvvisata, i grandi occhi scuri di Fellerman $nalmente esprimevano qualcosa, specie nel momento in cui le mie dita come impazzite gli hanno assicurato la fascia elastica alla testa, e gli elettrodi cromati alle tempie. La macchina per lelettroshock semplice, ovvia, impersonale. Ho in$lato la spina nella presa, ho girato le due manopole di plastica verso destra, $no in fondo, e le ho lasciate l. Lago del contatore, molto sensibile, ha sbattuto contro il polo rosso talmente forte che si quasi piegato. Per un po ha continuato a vibrare, poi rimasto come inchiodato. Le convulsioni di Fellerman erano raccapriccianti, tanto che ho dovuto voltarmi, perch la vista di quel corpo lungo e ossuto che si contorceva sotto le scosse mi era quasi insopportabile. Ho acceso una sigaretta e sono uscito. E mentre correvo lungo il corridoio (tutti gli altri si stavano mettendo in coda per la mensa) esaminavo alcuni proble-

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mi tecnici che leventuale ripresa di quella scena avrebbe comportato. Certo se li avessi risolti sarebbe venuto fuori qualcosa di spaventevole. La musica di sottofondo era essenziale. In genere quando un uomo ingoia sei o sette aspirine si usa una specie di tintinnio per far capire che gli stanno ronzando le orecchie. Bene, forse in questo caso sarebbe bastato prendere quel suono e ampli$carlo per ottenere una colonna sonora ideale. Ma la scena andava girata alla perfezione alla minima caduta il pubblico, nervoso e imbarazzato, avrebbe sicuramente cominciato a ridere. E poi bisognava scegliere un punto di vista. Ma quale, quello di Fellerman o il mio| Era un tipo di scena che non si poteva lasciare allocchio imparziale della cinepresa, assolutamente no. Mi hanno trasferito quasi subito in manicomio, ma di elettroshock non si pi parlato. Hanno preferito linsulina. Tutte le notti, alle tre, mi svegliavano, mi trascinavano lungo il corridoio (io urlavo e scalciavo, ma era inutile) $no a una stanza dove mi legavano al letto e mi facevano unendovena. E cos, secondo loro, mi disintegravano la mente. I sogni che si fanno sotto insulina sono un po troppo realistici, ma ormai ho visto cos tanti orrori che ho smesso di combatterli. E quando ho smesso di combatterli, smessa anche la cura. Il mio spirito non morto, ma loro non lo sanno, per Dio!. .... Tutto bene, Blake|. Dalla voce, Ruben sembra preoccupato sul serio. Che succede|. Tutto bene, Ruben. Ogni tanto mi scappa quella 41

risata, lo so, per non posso farci niente. Mi spiace. Dopotutto se non fossi pazzo non passerei il tempo in un manicomio criminale, non credi|. Stai un po buono, Blake, non voglio che svegliamo Nonno Reddington, daccordo|. Ha chiuso la porta. E stavolta lha chiusa davvero. Ruben mi piace proprio. un bravo ragazzo. Ma bisogna che stia pi attento a quello che faccio, e soprattutto a quella risata selvaggia, da pazzo. Fino a quando tengo la bocca chiusa e faccio tutto quello che mi dicono di fare (entro certi limiti) potr restarmene qui. Dubito che mi processeranno mai per lomicidio del dottor Fellerman, ma dovessero accorgersi che la memoria mi tornata, mi sbatterebbero fuori in un lampo, e non voglio. Prima devo toccare veramente il fondo, quello duro, di roccia. E devo ricordarmi anche unaltra cosa, che la lotta per avere diritto a una cella singola come la mia sempre pi dura... Sempre pi... Sempre...

1961 charles willeford

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