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I quattro storici di Atene

La storia del grande secolo di Atene ci giunta attraverso quattro fondamentali testimoni ateniesi Tucidide, Senofonte, Platone, Isocrate tre dei quali, in un modo o nellaltro, legati al socratismo. Platone e Senofonte sono stati entrambi frequentatori e ascoltatori di Socrate. Isocrate si atteggia a nuovo Socrate: non fa politica ma d consigli di politica; si presenta come perseguitato dalla citt e come socraticamente capace di contrastare questa ostilit; si presenta come nemico dei sofisti. Tutti e tre descrivono o lasciano chiaramente intendere la propria rinuncia alla politica. Platone nella Lettera settima descrive con cautela e ironia la sua unica esperienza politica ateniese allinizio del governo dei Trenta. Senofonte non ha imboccato la via della politica fino a che non andato al potere Crizia. Solo allora si impegnato, evidentemente nella illusione che la eunomia fosse rappresentata da quegli uomini; dopo di che ha dovuto impegnarsi a prendere apologeticamente le distanze dagli aspetti peggiori di quel governo sotto il quale aveva militato. Lunico che ha tentato convintamente di far politica, nella citt democratica e successivamente coi Quattrocento, stato Tucidide. Dei quattro egli dunque lunico vero storico che stato anche ostinatamente e attivamente politico.In che senso gli altri tre meritano il titolo di storici del grande secolo di Atene? Isocrate e Platone hanno disseminato nelle loro opere riferimenti al funzionamento e alla storia della citt e ai grandi politici che lavevano diretta; e Platone si divertito nel Menesseno a coniare una contro-storia grottesca di Atene. Ma Isocrate ha fatto molto di pi. Non solo ha reiteratamente trattato la storia di Atene nel Panegirico e nel Panatenaico, ma ha anche inventato un oggetto letterario nuovo, lopuscolo politico in forma di fittizia oratoria, innervato di riferimenti storici. Linvenzione di questo nuovo oggetto letterario, che dimostra che lassemblea popolare in quanto tale conta sempre meno, ha molte implicazioni: significa tra laltro che il pubblico di Isocrate un pubblico non pi soltanto cittadino. E infatti Isocrate ha esteso la sua influenza a personaggi non ateniesi: non dal suo punto di vista una forzatura rivolgersi come spontaneo consigliere a potentati esterni, dal tiranno di Siracusa al sovrano di Macedonia. E fuori di Atene ha trovato tanti dei suoi frequentatori, ad alcuni dei quali ha suggerito una pi specifica strada, per esempio spingendo verso la storiografia Teopompo di Chio e Eforo di Cuma. Che per costoro limpulso alla storiografia sia venuto da Isocrate, come Cicerone pi volte ripete sulla base di fonti che ovviamente non dichiara, stato allinizio del Novecento revocato in dubbio senza motivi seri, ma forse per il fascino che esercita, sui dotti, lipercritica. Oggi si pu serenamente dire che la notizia tradizionale nota a Cicerone non stata scossa finora da nessuna documentazione contraria. Il primo lavoro storiografico al quale Teopompo si accinge, le Elleniche, una nuova continuazione di Tucidide. Essa viene dopo quella realizzata da Senofonte al rientro in Grecia (394 a.C.) e si profila, in base ai resti di cui disponiamo, come intenzionale rettifica di quanto Senofonte aveva realizzato. Il segno pi macroscopico di tale opera di revisione-confutazione nellampiezza stessa delle Elleniche di Teopompo (undici o, secondo Diodoro, dodici libri a fronte dei due, o tre se si segue il papiro Rainer, senofontei confluiti nelle Elleniche); laltro segnale di radicale dissenso nella scelta di un diverso punto di arrivo: la rinascita di Atene dovuta a Conone (padre di Timoteo, amico di Isocrate) nonch alla Persia, ovvero il 394 contro il 404. Per parte sua Isocrate non aveva risparmiato frecciate a Senofonte nel Panegirico, dove parla di coloro che si erano resi servi di uno schiavo, cio di Lisandro, armosta ad Atene nel 404, o quando definisce rifiuti delle citt greche i Diecimila arruolatisi con Ciro. Senofonte era diventato storico per caso. Entrato in possesso del lascito tucidideo, lo aveva reso pubblico. Aveva inventato poi anchegli un oggetto letterario nuovo scrivendo lAnabasi storia memorialistica di nemmeno tre anni in sette libri, fitta di abili ricostruzioni apologetiche e solo molto pi tardi aveva intrapreso il racconto della guerra tra Sparta e la Persia condotta da Agesilao, di cui era stato egli stesso partecipe; in pratica una continuazione dellAnabasi. E infine, molto pi in l nella sua vita, aveva raccontato il conflitto spartanotebano e la crisi dellegemonia spartana sul Peloponneso. La sua principale attivit letteraria, quella alla quale intendeva legare il suo nome, era quella del filosofo socratico e anche dello scrittore tecnico. Nondimeno la sua iniziativa di mettere in circolazione lopera di Tucidide, anzich appropriarsene

come dice lantico biografo, stato lavvenimento principale nella storia della storiografia greca. Non solo ha messo in salvo la pi imponente storia politica di quella et, ma ha reso operante un modello, divenuto decisivo, al quale molto male egli stesso si adeguato. E soprattutto ha creato un caso politico-storiografico, al quale hanno reagito in varia misura, pi o meno nello stesso torno di tempo, gli altri due: Isocrate e Platone. In ballo era la interpretazione del grande secolo, della politica di Pericle, della giustizia o iniquit dellimpero e delle ragioni della sua disfatta. Isocrate ha scelto la linea di difendere le ragioni dellimpero ateniese fino allultimo (dal Panegirico al Panatenaico), Platone allopposto ha scelto la linea di ravvisare lorigine del male gi nei grandi che quellimpero avevano creato, a cominciare da Temistocle, o trasformato in tirannide, a cominciare da Pericle. La diffusione ad opera di Senofonte dellopera tucididea ha messo in moto reazioni quasi immediate. Nel suo fittizio epitafio, Lisia parafrasa cos le parole del Pericle tucidideo (abbiamo reso accessibile ogni terra e ogni mare grazie al nostro coraggio instaurando per ogni dove monumenti eterni di mali e di beni): Non vi terra, non vi mare di cui noi Ateniesi non siamo esperti: per ogni dove, chi piange le proprie sventure, con ci stesso canta un inno alle virt belliche nostre. Ed evidente qui il richiamo allusivo alle parole del Pericle tucidideo, il quale infatti subito prima ha detto che Atene non ha bisogno di un Omero che ne decanti le lodi. Le corrispondenze tra i due luoghi luno posto a conclusione, laltro al principio sono talmente fitte e puntuali (abbiamo raggiunto ogni terra e ogni mare, dovunque abbiamo lasciato tracce sia grandi che dolorose, non c bisogno di un Omero che decanti le nostre gesta / il pianto delle nostre vittime il canto che inneggia alle nostre gesta) che la volont allusiva di Lisia verso lepitafio pericleotucidideo appare assodata. Poich lepitafio oggetto di allusione da parte di Platone (Menesseno) e di Isocrate (Panegirico) nello stesso torno di tempo, quella che viene da Lisia una ulteriore conferma del fatto che lopera tucididea fu nota verso la fine degli anni 390, e che di essa lepitafio ha fatto talmente colpo da provocare ben tre reazioni da parte degli scrittori pi in vista, per diverse ragioni, nel panorama politicoculturale ateniese. Era anche per loro una delle parti pi significative, e, forse, il bilancio dellintera opera che postumamente veniva fuori e cominciava a circolare grazie a Senofonte. Lesperienza biografica e politica da cui scaturisce la storiografia ateniese aiuta a comprendere alcuni suoi caratteri dominanti. Dalla circostanza di trovarsi alla opposizione rispetto al potere democratico e dunque nella situazione di doverne ogni volta interpretare (se non smascherare) la parola politica, questi autori hanno tratto un duplice orientamento riconducibile sempre allhabitus mentale volto a separare le parole dalle cose e a vedere queste al di l e al di sotto di quelle. una visione sostanzialmente realistica delle dinamiche storiche (e, prima ancora, della politica). un impegno analitico volto a scoprire la necessit dei fatti storici (e, prima ancora, di quelli politici). Una terza caratteristica discende dalle altre due: un abito mentale revisionistico rispetto agli idla della consolidata e tradizionale narrazione della storia cittadina (lequivalente storiografico di ci che fin con lessere la patrios politeia, controverso feticcio, sul piano costituzionale). Su questo terreno Isocrate contorto: nellAreopagitico riesce a tessere contemporaneamente lelogio dellordinamento politico spartano ( 61) come ottima costituzione perch democratica e lelogio del magnifico equilibrio dimostrato dagli Ateniesi al momento della cacciata della seconda oligarchia (403), il tutto nel quadro di una proposta decisamente restauratrice come la restituzione allAreopago, abbattuto a suo tempo dalla riforma di Efialte, dei suoi poteri. Anche se influenzati da simpatie politiche o pi genericamente ideologiche, questi storici cercano di porsi nellottica dellosservatore che d a ciascuno il suo, che sa ripartire torti e ragioni, ma soprattutto che intende e sa guardare sotto i fatti. Un lascito che la storiografia moderna, umanistica, di esplicita e intenzionale ispirazione classica non ha disperso. l la loro forza. Di questo realismo fa parte lattenzione riservata al conflitto tra le classi sociali come fattore di storia. Una caratteristica, questa, che gli storici antichi non avevano motivo di nascondere, non essendovi allepoca il timore di essere redarguiti per ci. Del resto storici moderni dellantichit molto familiari con le fonti hanno desunto senza complessi, dalle fonti che cos egregiamente frequentavano, un tale importante angolo visuale. Quando un Fustel de Coulanges, nella sua Thse su Polibio (1858) apre dicendo In tutte le citt greche cerano due classi: i ricchi e i poveri, non fa che accogliere come base per la sua ricostruzione ci che Platone e

Aristotele nelle loro opere politiche e Demostene in alcune orazioni (Quarta Filippica ad esempio) pongono in primo piano. La scoperta delle cause profonde, ma decisive ancorch non sempre visibili, dei fatti storici si fonda a sua volta sul presupposto che una concatenazione necessaria di cause che non possono non avere quegli effetti, sta alla base di essi. Con Tucidide entra prepotentemente in scena la nozione di necessit storica; sin dal proemio, nelle cui frasi conclusive appare quella impegnativa dichiarazione detta in prima persona: Io ritengo che la causa verissima, ma rigorosamente non detta, dello scoppio della guerra fosse che la crescente forza degli Ateniesi, suscitando allarme negli Spartani, li costrinse alla guerra. E questidea della necessit ritorna anche nel nuovo proemio che preannunzia la riapertura del conflitto e 1inevitabilit della rottura della pace di Nicia (costretti a rompere la pace, daccapo vennero a guerra aperta). E Pericle in persona dir, nel discorso che Tucidide gli fa pronunciare subito prima dellinizio delle ostilit: Bisogna sapere che inevitabile la guerra. E Senofonte, nel diario della guerra civile, far dire a Crizia, impegnato a spiegare perch i Trenta stiano mandando a morte tanta gente dopo aver preso il potere, che inevitabile che il cambio politico, in una citt come Atene, comporti una tale ecatombe: perch Atene la citt pi popolosa della Grecia, e perch per troppo tempo stato al potere il popolo. Tucidide elabora anche la teoria che dei fatti storici si possono studiare i sintomi. Lo dice a proposito della ricostruzione del passato pi remoto, nella cosiddetta archeologia; lo dice a proposito della stretta concatenazione, dovunque si produca un conflitto, tra guerra esterna e guerra civile; e lo riafferma, quasi negli stessi termini, quando spiega il grande spazio da lui riservato ai sintomi della peste. Alla base c lidea, mutuata dalla sofistica, della sostanziale immutabilit della natura umana.

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