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Marx, Impero imperialismo

di ANTONIO NEGRI Questo intervento stato fatto in francese al Congresso Marx Internazionale IV, nel settembre 2004 a Parigi. Questa la prima traduzione italiana. Ho ripreso questo intervento perch mi sembra utile nel discutere contro le tentazioni nazionaliste (in realt solo populiste) che cominciano a nascere e a presentarsi nel dibattito delle sinistre riformiste in questa fase di crisi. Quanta nostalgia piccolo-borghese per un nulla di possibilit e di scopo! Abbasso lideologia! La mia impressione, quando sono emerse le prime polemiche attorno al concetto di Empire, stata che il rifiuto teorico di questo concetto (in quanto nuova figura della sovranit allinterno e al di sopra della mondializzazione dei mercati) non fosse pertinente. Il concetto di Impero, in s, come ordine nella e sulla globalizzazione dei mercati, infatti in qualche modo evidente. Quelli che rigettano il concetto di Impero in nome dellimportanza delle antiche categorie dellimperialismo lo fanno piuttosto perch rifiutano politicamente quel primo concetto: essi vedono infatti nella figura e nella presenza dello Stato-nazione la condizione essenziale dellagire politico. Essi rifiutano, per cos dire, il concetto di Impero per s, considerandolo insufficiente a fronte dellurgenza della lotta e dellorganizzazione, che essi non possono concepire al di fuori del terreno costituzionale dello Stato moderno. Il problema, dunque, appare quando noi sosteniamo che proprio su un terreno politico ed organizzativo che oggi necessario andare al di l dello Stato-nazione. [Per procedere sul terreno teorico, vorrei tuttavia sottolineare che una delle rare critiche che siano state sviluppate sul tema dellImpero in s (quelle di Jacques Bidet, che sostiene che questo concetto oltrepasserebbe e mistificherebbe quella tradizione dellanalisi marxista che stabilisce, da una parte, la struttura del potere e dello sfruttamento capitalista e, dallaltra parte, il sistema-mondo, articolato nella gerarchia della dipendenza), stata successivamente presa in conto in Multitude. Presa in considerazione ma anche trasformata per non appiattirla sulle vecchie figure dellimperialismo: comunque le conclusioni di Jacques Bidet, quando non tendano a sopravalutare la mediazione statale, sono in realit accettabili sul terreno politico, vale a dire sul terreno dellImpero per s, come vedremo in seguito. Devo dunque difendere il concetto di Impero e rilanciare le tematiche politiche (che riprendono e sussumono le tematiche teoriche) qui presentate. Per farlo vorrei qui riprendere lanalisi a partire dallidentificazione della crisi dello Stato-nazione, non semplicemente per insistere su essa ma soprattutto per illustrare i problemi che essa pone per la costituzione del mercato mondiale e della sovranit imperiale. 1. Il primo momento di critica lo si pu affermare sul terreno della critica delleconomia politica. In realt, a partire dalla crisi dellorganizzazione internazionale del lavoro che si comincia a cogliere il superamento del concetto (e della realt) dello Stato-nazione. Non penso naturalmente ai soli effetti, o meglio alla sola effettivit politica, del regime mondiale degli scambi, alla crisi dei parametri monetari, economici e culturali che permettevano il controllo dello Stato-nazione sullo sviluppo: parlo di una dimensione pi profonda, essenziale, vale a dire del mutamento radicale della forma della valorizzazione e dei dispositivi di sfruttamento. Oggi, la forma della valorizzazione modificata dallegemonia tendenziale ma sempre pi effettiva del lavoro immateriale (intellettuale, razionale, linguistico, affettivo, ecc.) sopra e dentro il processo produttivo. Il nuovo processo di valorizzazione non pu pi essere contenuto dentro spazi territorialmente chiusi. dominato dalla mobilit dei fattori produttivi e delle forze di produzione. Esige inoltre ununiversale

libert di comunicazione. Appare cos un nuovo tableau conomique. Esso rappresenta una nuova figura di relazioni e di scambi fra settori produttivi; esso assicura la preminenza dei fattori sociali sui fattori imprenditoriali (o puramente industriali); mostra che i processi finanziari occupano una funzione predominante in rapporto allinvestimento diretto; esprime lenorme potenza dellindustria della comunicazione; manifesta la mobilit ormai irresistibile delle multinazionali produttrici di merci e di servizi, ecc.. Insomma, il tableau conomique nuovo ed dominato dalle forze che hanno saputo interpretare il General Intellect produttivo. Il tableau conomique del General Intellect ci fa saltare al di l dello Stato-nazione. [Ed del tutto irrilevante che la nostra concezione sia accusata, dal punto di vista doxografico, di essere uninterprezione troppo estensiva delle tematiche marxiane: quel che ci importa che questo nostro discorso (e questo momento critico) siano politicamente efficaci nella tradizione del metodo marxista, cio storicamente incisivi e determinati.] In secondo luogo, anche i dispositivi dello sfruttamento sono completamente modificati. La legge del valore (e dunque del plusvalore), considerata secondo la definizione elementare che ne d Marx, divenuta inefficace salvo, forse, in settori marginali dello sviluppo. Lo sfruttamento si configura come espropriazione dei valori della cooperazione e della circolazione produttiva, come appropriazione capitalista delleccedenza innovatrice del lavoro immateriale nellorganizzazione sociale del lavoro, come captazione del comune. [Invito il lettore a ripercorrere, a proposito di questi concetti, lanalisi marxiana della rendita fondiaria e le pagine sullestrazione di plusvalore nellindustria dei trasporti: qui si trovano anticipazioni fondamentali delle nostre ipotesi.] I dispositivi dello sfruttamento sociale si presentano ormai secondo lestensione e la comprensione dello spazio globale. Lo Stato-nazione assolutamente inefficace a fronte di quella forma cellulare fondamentale, ed alle metastasi, dello sfruttamento che si sviluppano immediatamente su scala mondiale. Questo significa che ogni forma dellinsubordinazione, di lotta contro il lavoro salariato, che ogni ribellione quandessa si rivolge contro lo sfruttamento, riconoscendone la nuova natura deve essere capace di riconoscersi come moltitudine. Ecco in effetti che cos la moltitudine: il riconoscimento della singolarit delle nuove forme di produzione di valore, e quindi dello sfruttamento sociale che ne deriva, cos come il superamento della dimensione ristretta del concetto di classe operaia nellorganizzazione della rivoluzione. Lo Stato moderno la forma politica specifica dello sfruttamento capitalistico nello spazio-nazione. Questa determinazione statuale non tiene pi a fronte dellinsubordinazione che si d nelle condizioni attuali della valorizzazione e dello sfruttamento. Parlare di Stato-nazione e di imperialismo senza periodizzarne la figura e la durata diviene molto pericoloso quasi reazionario. 2. Il secondo elemento della crisi dello Stato-nazione pu essere identificato a livello della teoria marxiana della crisi. Anche a questo proposito, lo spazio-tempo dello Stato-nazione manifesta la sua insufficienza per la spiegazione critica della figura attuale della crisi economico-politica. in realt evidente che, dei tre tipi di crisi capitalista studiate da Marx crisi legata ad una sproporzione nel seno della produzione (sotto-produzione, sovrapproduzione); crisi di circolazione; crisi legata allabbassamento tendenziale del tasso di profitto , le due prime certamente, ma molto probabilmente anche la terza, rappresentano il tipo di crisi al quale rispondevano misure efficaci di controllo keynesiano e post-keynesiano: tutto ci si progressivamente sviluppato fuori dal terreno dello Stato-nazione, a livello mondiale (dagli accordi di Bretton Woods in poi). Inoltre, le ultime gradi crisi hanno definitivamente fatto saltare i vecchi modelli della dipendenza imperialista (e/o coloniale), ed hanno costantemente riqualificato lintegrazione globale, talvolta presentandola come interdipendenza. Dagli anni trenta, dal New Deal, la crisi divenuta una crisi controllata (e/o provocata dentro unarticolazione di intervento economico e di comando politico poste fra struttura dello sfruttamento e sistema gerarchico mondiale per riprendere lo schema di Bidet). Ma qui che

interviene la modificazione qualitativa. Se, in realt, il processo di regolazione economica della crisi stato condotto con tecniche sempre pi efficaci e sofisticate (dalla disciplina al controllo, dal keynesismo al monetarismo, ecc.), esso stato, per ci stesso, portato ed istallato sempre di pi sul terreno biopolitico. Ed dunque sul terreno del biopolitico che la crisi deve essere oggi identificata e definita. Se vero che le sproporzioni e i blocchi della circolazione non potevano pi determinare degli effetti disastrosi e che si trovano ora controllati in anticipo, se la caduta del tasso di profitto continuamente controbilanciata e/o compensata da un aumento della produttivit del lavoro, allora gli altri temi dellidentificazione della crisi e le proposte di lotta dentro la crisi debbono essere essi stessi rapportati a queste nuove dimensioni. Ritroviamo qui la tematica proposta pi sopra a proposito della riconfigurazione dellorganizzazione del lavoro e della riformulazione della teoria dello sfruttamento. La crisi, oggi, si presenta essenzialmente come difficolt di controllare le nuove forze sociali della produzione, tanto per quanto riguarda la loro potenza che si estende alla vita sociale, quanto perch la loro espressione quella delleccedenza produttiva, della ricerca della libert politica e culturale, dellidentificazione di valori comuni. Quando la produzione diviene biopolitica, che vuol dire che essa investe tutti gli aspetti della vita; quando il potere diviene biopolitico e cio quando esso attraverso imperativamente (e tenta di configurare cos) tutti i movimenti sociali e le forme di vita che producono valore, allora la crisi si definisce, dal punto di vista capitalistico, non solamente come difficolt e ostacoli, pi o meno marginali, della produzione e/o della circolazione, ma come il prodotto di un insieme di resistenze che nascono dallattivit produttiva, sempre eccedente, delle moltitudini. Ed precisamente su questo terreno che il neoliberalismo fallito, quando esso ha mantenuto (meglio, accentuato) il vecchio modello di controllo, senza rendersi conto che la composizione della forza-lavoro si era completamente modificata. Leccedenza produttiva (che ha come base tecnica il lavoro immateriale e come sbocco politico lattivit costituente delle moltitudini) non pu pi essere racchiusa nelle forme e nei processi di controllo che i metodi scientifici di organizzazione del capitalismo moderno avevano costruito sulla base del lavoro massificato e fordista. a fronte di questa realt che deve essere posto il problema dello Stato nazionale moderno. Limperialismo stato lespansione dei capitalismi nazionali, dei capitalismi nazionali strutturati da sistemi di produzione, di controllo e di sovranit assolutamente tradizionali. Quando la mobilit e la flessibilit dei lavoratori, le immigrazioni interne ed internazionali e la produzione eccedente di valore da parte delle moltitudini entrano in gioco, se lo Stato-nazione si trova in difficolt, quelle proiezioni imperialiste lo conducono al disastro. La polemica di Empire rivolta contro lo Statonazione, nella misura in cui essa fa risaltare un tessuto politico-economico nel quale la lotta di classe ha introdotto elementi irriducibili (eccedenza, mobilit, nuova gestione operaia del tempo e dellinnovazione produttiva) dentro la vecchia forma dello Stato. La crisi dunque concerne il contesto sociale nel suo insieme. La crisi si presenta come una mancanza di controllo sugli eventi produttivi e politici, perch questi non possono pi essere controllati: nel contesto biopolitico, gli eventi sono in realt imprevedibili, crisi inattese, genesi radicali Lenin ci ha offerto, dal punto di vista dellanalisi della crisi, delle anticipazioni teoriche infinitamente pi utili (oggi, nel postmoderno) di quanto non abbiano mai potuto fare gli economisti della cattedra, fossero austriaci o sovietici. Lo Stato-nazione e limperialismo sono del tutto disarmati a fronte di quella potenza e di quellimprevedibilit dei movimenti moltitudinari. Sviluppare oggi una teoria della crisi inserire lanalisi e agire allinterno stesso dei parametri del nuovo tableau conomique. Tutte le grandi esperienze di crisi economica nellultimo mezzo secolo si sono sviluppare secondo una complessit biopolitica di riferimento che le hanno rese ogni volta sempre pi massicciamente offensive. Se noi consideriamo le cose dal punto di vista tradizionale sullimperialismo, noi dovremmo ridurre le crisi ad un processo di produzione della dipendenza. Ora, si pu certamente ancora produrre della dipendenza, ma questa dipendenza presenter una figura di resistenza, immediatamente interna alle strutture ed alle dinamiche del biopotere, contro i tentativi imperialisti per neutralizzare le lotte e di ricostruire a questo scopo, gabbie adeguate (nuove nazioni, ad

esempio, e non certo un caso). La teoria dellimperialismo (e della sovranit dello Stato-nazione) non fallisce dunque solamente attorno alla complessit delle relazioni e delle connessioni mondiali che non riesce a comprendere, ma anche attorno a fenomeni strutturali profondi e sul rifiuto inflessibile dello sfruttamento da parte delle moltitudini (o piuttosto da parte delle singolarit divenute comune). Del resto, ci sono, legate al concetto dellimperialismo (ed ancor pi a quello di colonialismo), delle produzioni di immaginario che si collegano ad una specie di darwinismo economico o politico costruito e nutrito dallo Stato-nazione. Lidea avanzata da Bush di nation building costituisce (dopo lapogeo nazista della costellazione nazionalista) lultimo esempio di questa concezione. Che il ricorso ad elementi di identit locale e talvolta fino a sindromi nazionaliste permetta di resistere ai progetti dellimperialismo non autorizza ad assimilare tale resistenza ai vecchi modelli di lotta anticoloniale ed antimperialista. Di fatto, nella struttura attuale biopolitica della resistenza, lidea stessa di modernit (oltre a quella di Stato-nazione) che viene messa in discussione. Che un altro mondo sia possibile, significa che le dimensioni nazionali ed imperialiste del progetto di dominazione sono in crisi. Il progetto moderno, come dispositivo di dominio e di razionalit strumentale del capitalismo nello spazio-nazione, residua piuttosto uno spazio al sabotaggio della modernit e per un disegno di costruzione globale del comune (dopo, oltre il moderno). 3. Da questa fragilit della struttura capitalistica del potere, dallinseparabilit delle dimensioni superficiali e strutturali, economiche e politiche dello Stato-nazione (e della conseguente categoria dellimperialismo) deriva la crisi pi importante e pi determinante per la definizione dello Statonazione e dellimperialismo: la crisi della sovranit. Come abbiamo visto, la teoria della sovranit rinvia ad un principio logico che vede lanima della sovranit nella riduzione allunit e la sua costruzione adeguata nella costruzione dellidea di un popolo. Non sar difficile riconoscere che, in questo quadro, la sovranit non poteva presentarsi altrimenti che come un elemento mistico, irrazionale, frutto di una logica di decisione autoritaria: lo nella storia del pensiero politico occidentale fin dallinizio. Questa influenza estremamente profonda. Nella stessa opera di Marx, il concetto di sovranit, bench sia ricollocato allinterno dellanalisi dei modi di produzione, non riesce tuttavia ad essere analizzato secondo quella nuova logica: anche in Marx (ed in generale in tutte le teoria che considerano la sovranit in termini di monopolio del potere, in termini di dittatura) c una sottovalutazione delloperazione metafisica di riduzione alluno della moltitudine e/o delluniverso globale delle singolarit. Ora, quello che appare evidente a questo punto della nostra esposizione, che questa reductio ad unum della sovranit non pi possibile. Quando il biopotere sussume il mondo globale come sua categoria, o come prodotto di immaginazione trascendentale; quando esso penetra il globo con dispositivi pi o meno immanenti ed ordinativi, allora contraddizione e crisi si aprono sullinterno tessuto biopolitico. Attraverso le politiche di controllo della crisi, fossero esse anche solo budgetarie o welfariste, la sussunzione della societ nel capitale data, ma nello stesso tempo vi si trovano dentro questa sussunzione la presenza e la trasformazione adeguate del rifiuto e della resistenza. Non dunque un caso se la guerra oggi non pi la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra oggi, nel postmoderno, divenuta la base stessa della politica e di ogni governance possibile. Questa centralit della guerra dipende tanto dalla crisi della legge di valore (dunque dalla dismisura dello sfruttamento) quanto dalla nuova capacit che possiede la forza lavoro di produrre valore, in una maniera che eccede il sapere strumentale e il controllo politico capitalista. Il concetto di sovranit (come fissazione e ipostasi delluno) non arriva pi a racchiudere nella sua sfera di controllo le dinamiche moltitudinarie della produzione. Leccedenza del lavoro, ovvero la produzione di s che il lavoro vivo ha gi cominciato ad affermare in forme moltitudinarie (solo modo, daltra parte, di creazione di ricchezza), riqualificando il concetto di crisi (introducendolo allinterno della relazione biopolitica), aprono immediatamente il problema (cio ad una nuova definizione) del concetto di sovranit. La sovranit non pi capace di presentarsi come uno.

Meglio: solo la guerra pu imporre distruttivamente il dispositivo unitario. Gi nelle teorie politiche degli epigoni della modernit (Schmitt, Benjamin, Derrida, Agamben) la guerra funziona come ultimo dispositivo unitario della sovranit e dunque come essenziale fondamento del potere politico (e, nella prospettiva biopolitica, della legalit stessa). Leccezione divenuta la regola. Oltre alla crisi dellidea di sovranit nello Stato-nazione, alla crisi per cosi dire esterna alla sua struttura vale a dire riferita allimpossibilit di fissare in maniera unilaterale il valore degli scambi e quindi la moneta, la misura della forza e dunque il dispositivo imperialista, la forma della comunicazione e dunque lautonomia ideologica , si assiste oggi ad una crisi assolutamente nuova, interna e consustanziale allo Stato-nazione: una crisi di legittimazione che pu essere solo risolta da una sovradeterminazione bellica. La sovranit si presenta come una vittoria distruttrice. Ma quando sia cos, lidea stessa della sovranit che scompare, meglio, essa si presenta come una dualit sempre irrisolta, come una tensione sempre esplosiva. Virtualmente, luno si diviso in due. Sar utile, a questo punto, riprendere il discorso dal punto di vista dellanalisi di classe, vale a dire a partire dai temi dellorganizzazione, del programma, e dunque dal progetto di rivoluzione. Non qui il luogo per introdurre questi temi. Sia sufficiente insistere sul fatto che limperialismo (in qualsiasi forma si presenti, quale espressione ed estensione del potere dello Stato-nazione) non solo non resiste come concetto quando sia confrontato allinsieme dei rapporti politici e geopolitici, non solamente non si sostiene nel confronto con le nuove regole che il sistema di biopotere propone sullorizzonte imperiale, ma va in crisi nelle sue stesse fondamenta. Quando esso assume la guerra come sola forza (e solo concetto) che condiziona e sovradetermina linsieme dei rapporti di cittadinanza, lImpero non rappresenta semplicemente un nuovo ordine esteso quanto il mercato mondiale rappresenta una forza distruttrice, destituente i rapporti interni allo Stato-nazione. Lalternativa tra imperialismi e Impero non cosa che concerne solo questioni relative al mercato globale: essa concerne soprattutto, e prima di tutto, i rapporti interni agli Stati-nazione, e dunque le regole stesse della cittadinanza. Oggi noi viviamo certo un interregno, fra la fine della modernit e lapertura della postmodernit, fra lestinzione dello Stato-nazione e la fondazione dellImpero. Mille contraddizioni attraversano questo periodo e nessuno pu opporre Stato-nazione e Impero come se si trattasse di figure opposte per natura. Nellinterregno, il capitale gioca piuttosto la compenetrazione di queste due figure e talora si illude sullevoluzione delluna nellaltra: la dialettica per il capitale funziona sempre, e cos allaffermazione dello Stato-nazione segue la negazione dellinterregno, poi la sua necessaria sublimazione nellImpero. Ma la dialettica una cosa che riguarda solo il capitale. Noi dobbiamo di contro giocare la tendenza materiale della lotta di classe, quella che organizza nellegemonia del lavoro vivo, nellinterregno, nel tempo che resta, le condizioni per lo scontro a livello di Impero. qui che il concetto di moltitudine diviene la matrice fondamentale di nuove figure della lotta di classe.

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