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IL MEDITERRANEO INTORNO ALL'800 d.C.

: SULL'ORLO DEL SECONDO CICLO COMMERCIALE Relazione sull'articolo di Chris Wickham discusso in occasione del simposio presso la Dumbarton Oaks (Maggio 2002), di Maria Elena Aureli

Il Mediterraneo, entit storico-geografica che per millenni ha costituito lo spazio-movimento in cui si sono realizzate trasformazioni storiche, non solo in senso diacronico bens anche in senso sincronico [G.Galasso], tra le pi complesse, articolate, e gravide di conseguenze nella storia dell'umanit, Mare nostrum che ha abbracciato e agglomerato intorno a s, forgiandone l'identit, una molteplicit di popoli e territori, Mediterraneo ponte che per sua stessa natura favorisce la diffusione di idee e di religione e facilita gli scambi generali [H.Pirenne], non si configura, in senso stretto, principalmente come terreno di rottura e di reale, incomponibile scontro di civilt, come susseguirsi di frontiere interne ed esterne e barriere capaci di interrompere in alcuni momenti della sua lunga storia relazioni, scambi, comunicazioni d'ogni sorta. Molto pi frequentemente, nella sua lunga storia, pi che un mare che ha diviso, esso stato un mare che ha unito. Riprendendo, infatti, suggestioni braudeliane ( Mediterraneo come complesso di mari: Non un mare ma un susseguirsi di mari. Non una civilt ma una serie di civilt accatastate le une sulle altre), esso ha rappresentato assai pi spesso, nell'arco della sua plurimillenaria storia, lo spazio per antonomasia degli incontri e delle contaminazioni, il luogo di confluenza di tendenze espansive e divergenti interessi, che si sono strettamente accompagnati e strettamente connessi con intrecci di scambi, d'influenza, di mescolanze e comunanze [S.Bono]; una realt storica dinamica e sincretica, in breve, dotata, come sottolineava gi appunto Braudel, di una straordinaria funzione integratrice e unificatrice, in cui le diverse parti, formatesi intorno alle sue sponde, non hanno mai cessato di rimanere in contatto e confrontarsi secondo un processo osmotico e di reciproca assimilazione/adattamento. Realt complessa, dunque, ma, per quanto partecipe di un destino comune, sostanzialmente non unitaria n strutturalmente omogenea (come pretendeva lo storico francese); essa anzi appare sempre pi come uno spazio d'incontro condiviso essenzialmente diversificato ed eterogeneo, uno sconfinato mare di diversit [Platone, Repubblica, 273 D 6] che si configura come complesso caleidoscopicamente frammentario di micro-regioni e di unit geografiche micro-ecologiche, straordinariamente diverse e variegate nella loro scala locale e perennemente in interazione tra di loro: un Mediterraneo in cui la connettivit [P.Horden-N.Purcell], concretizzata nelle pi diverse forme di comunicazione e interazione (commerciale-economica, politica-diplomatica, religiosaculturale, ecc.), che lega le singole realt nucleari, inserendole in una pi ampia unit ecologico-culturale mediterranea, permeabile e flessibile, non mai venuta a mancare, neanche nei momenti, al di l dei

processi di intrinseca, lenta continuit, di maggiore trasformazione e problematica affermazione di tendenze di irreversibile portata. Gi prima di Braudel, comunque, e ben addietro al punto di vista ancor pi innovativo e dinamico proposto recentemente da Horden e Purcell [The corrupting sea: a study of Mediterranean history], ad intuire e sottendere il ruolo del Mediterraneo come struttura geo-storica, in grado di conferire unit territoriale ed economica (nello specifico, in rapporto all'impero romano), c'era stato Pirenne il quale per, impostando pionieristicamente il problema dell'unita del Mediterraneo stesso e del rapporto tra Oriente e Occidente nel suo bacino tra antichit e medioevo, aveva al contrario, con un'ottica prettamente occidentale, rintracciato un momento ben preciso e determinante di rottura della tradizione antica e di tale unit mediterranea, identificato nell'affacciarsi dell'Islam alle sue sponde,come rottura tra Oriente e Occidente che priva il Mediterraneo (trasformandolo in lago musulmano, determinando lo spostamento dell'asse vitale verso l'Europa continentale) del suo ruolo di via degli scambi commerciali e delle idee; la stessa rottura di questa unit viene concepita infatti principalmente nei termini di una cessazione degli scambi commerciali, ma anche di relazioni e contatti di pi profonda intensit tra due mondi, ormai irrimediabilmente contrapposti in un vero e proprio scontro di civilt e indirizzati verso destini autonomi e totalmente differenti, con tutte le conseguenze e implicazioni ideologico-culturali che tale rottura presuppose e comport. Ed proprio a partire dalla netta confutazione della drastica affermazione pirenniana sul fattivo venir meno del commercio, scaturito da quello che viene concepito come un cambiamento significativo e irreversibile determinato dall'espansione islamica nel Mediterraneo, che prende le mosse il saggio di Chris Wickham, il quale sottolinea proprio anzitutto che dal punto di vista di uno storico economico, furono sempre esistenti forme di comunicazione nel Mediterraneo, comunicazioni commerciali (ma non solo, come gi asserito in precedenza) la cui rete viene mantenuta anche nel momento di transizione complessa e graduale del mondo mediterraneo nel passaggio dalla fine dell'impero romano al primo medioevo e alle origini dell'economia europea; tale rete di comunicazioni persiste perfino nel momento in cui il livello dei movimenti interregionali nel bacino raggiunge il punto storicamente pi basso, tra 650-780, estensiva rete di comunicazioni che viene testimoniata dalle numerose fonti scritte sopravvissute (per lo pi, lettere) ed ha tenuto insieme l'Europa, per quanto in modo tenue e flebile, in questo periodo proto-medievale, prospettando uno scenario notevolmente pi ricco, composito e dilatato di quanto sia mai stato concepito per il primo medioevo [McCormick] e delineando una lunga, conseguente esperienza mediterranea di interconnessioni e contatti economici e culturali, mai interamente scomparsi o estinti. Ponendo maggiore accento, pi che alle comunicazioni d'ogni sorta in generale, a quelle di carattere pi marcatamente economico-commerciale, in questo saggio, nello specifico, l'attenzione del Wickham si focalizza sul fornire una sorta di istantanea del Mediterraneo proprio nel momento in cui le ramificazioni dei vari processi di assestamento, rielaborazione e transizione, sviluppatisi nei secoli successivi alla caduta

dell'impero romano nel mondo mediterraneo, si avviano verso il profilarsi di una nuova sistemazione e la crisi innescatasi tra V e VII secolo gradatamente raggiunge il suo stadio terminale, portando all'esaurirsi definitivo del primo ciclo economico (avviatosi con l'impero romano, che raggiunse il suo picco nel IV sec.) ed al sorgere graduale, dopo un periodo di contrazione e di calo delle comunicazioni e degli scambi (VIII sec., periodo classificato dagli stessi Horden e Purcell come Depressione proto-medievale), di un nuovo ciclo economico (quello che si affermer nel pieno medioevo centrale) e di una rinnovata fase di spinta economica propulsiva a partire dall'800. E quindi in particolare agli scambi commerciali e ai cambiamenti avvenuti nella sfera socio-economica che il Wickham si rivolge, proponendo, attraverso un'analisi dialettica, coerente e concisa e la definizione di una cornice composita in cui vengono specificamente presi in considerazione quattro diversi casi regionali di sviluppo parallelo, un modello articolato e diversificato di come operano gli scambi economici in una congiuntura economica, come quella, non concepita necessariamente in termini arbitrari e convenzionali, intorno all'800, in cui si assiste effettivamente ad una relativa diminuzione dei movimenti interregionali di merci e persone. Cos dunque si prendono come punto di riferimento i cambiamenti avvenuti nel mondo post-romano in termini di rete degli scambi e dinamiche dei sistemi economici e quindi, in particolare, il punto d'arrivo di questa loro evoluzione; riprendendo dunque il dibattito sviluppatosi sin dal 1920 a partire dalla teorizzazione pirenniana, il commercio viene considerato come indispensabile per definire le caratteristiche e peculiarit economiche di una civilt quale quella del primo medioevo e il suo ruolo, ancor pi all'interno delle trasformazioni economiche avvenute in questo periodo, illumina proprio gli aspetti di maggior portata e pi ampio raggio di continuit ma anche di rottura della prima civilt europea, rispetto al mondo antico che la precede e all'Europa che la segue. Ancora oggi, dal 1920, lanalisi del commercio mediterraneo in particolare tra VII-VIII-IX secolo in effetti oggetto di un vivace dibattito storiografico. Numerosi studiosi, malgrado la scarsit di fonti scritte a disposizione, sinterrogano ancora sulla natura e sulla consistenza degli scambi, non solo per individuare i principali protagonisti, ma anche per determinare le attivit produttive sopravvissute alla crisi dellImpero. Uno dei nodi principali, e presumibilmente pi problematici, proprio quello di stabilire differenze e continuit dei traffici rispetto alle rotte di et antica e di individuare il momento in cui, se vera laffermazione del Pirenne (la cui teoria resta comunque un punto di riferimento irrinunciabile), inizia uninversione di tendenza rispetto al periodo precedente. Proprio ripartendo da Pirenne, ereditando in tal modo anche la visione di una stretta e imprescindibile interrelazione tra problemi economici e connotazioni culturali, che quest'ultimo aveva inaugurata nel contesto dell'interazione Oriente-Occidente nel Mediterraneo tra antichit e medioevo, Wickham infatti sostiene in maniera preponderante la rilevanza di una discussione dei parametri delle relazioni economiche proprio in virt del fatto che il contesto economico si rivela essenziale per qualsiasi comprensione corretta e dettagliata della comunicazione culturale in generale.

La sua analisi, discussa e condotta in modo pi estensivo e completo per l'intero periodo precedente all'800 nella sua summa Framing the middle ages, seppure maggiormente interessata agli aspetti pi strettamente economici e commerciali, non pretende comunque di fornire, secondo un'ispirazione marcatamente post-marxista (cui il Wickham non del tutto estraneo), un rigido modello deterministico di sviluppo economico, di carattere ciclico o semplicemente basato sul succedersi di processi di contrazioneespansione, ugualmente riscontrabile in tutto il mondo europeo e mediterraneo; al contrario, il risultato quello di elaborare un modello ideal-tipico di sviluppo economico assolutamente dinamico e diversificato, attraverso un fondamentale lavoro di sistematica comparazione dei diversi casi e scenari regionali e di analisi accurata dei singoli elementi di continuit e di cambiamento radicale, dei parallelismi e delle differenziazioni, insistendo appunto sull'accentuazione delle varie differenze regionali e dei diversi sviluppi, esperienze, modificazioni che ciascuna di esse ha vissuto. Ed proprio in queste diversit dei vari contesti regionali che pi rintracciabile la risposta alla questione della continuit o della rottura/declino nell'evoluzione del primo medioevo, fino all'800 e oltre, questione che, rigettando qualsiasi conseguente facile generalizzazione o rigida e univoca lettura, non viene ora pi riproposta in modo ideologicamente orientato nei termini di un'opposizione binaria tra due incomponibili letture delle trasformazioni del mondo post-romano, ognuna nettamente individuabile e vera di per s. Citando P.Brown (parafrasando il libro di Horden e Purcell): quello che noi siamo tentati di descrivere come declino e caduta di unintera civilt non mai propriamente la fine del mondo. Pu non essere altro che leffetto di uno slittamento regionale degli schemi di intensificazione, ovvero lo spostamento e la mutazione degli equilibri di uno tra i molti ecosistemi che si sono succeduti nella storia millenaria delle civilt mediterranee>. Relativizzando i concetti standard di prosperit o propriamente di declino (in particolare, quest'ultimo, come sostiene A.Cameron, implicherebbe automaticamente un giudizio di valore), si rivela altrettanto impossibile delineare, facendo riferimento a singoli elementi, astratti dal loro reale contesto anzich ricollocati in uno scenario pi ampio e composito (gli elementi di continuit in s stessi non negano l'esistenza di una crisi in altri elementi del sistema sociale o degli scambi economici, e viceversa), delineare un percorso totalmente continuitistico, in cui non vengano riconosciuti gli effettivi cambiamenti e le profonde modificazioni avvenuti, cos come prospettare una rottura decisiva e catastrofica che non tenga conto dell'effettiva permanenza di strutture e la lentezza e gradualit anche di processi discontinui. Partendo dal presupposto del riconoscimento delle differenze senza pretesa di uniformit, l'immagine che Wickham finisce col prospettare appunto quella inizialmente evidenziata di un Mediterraneo di microregioni e micro-ecosistemi, un mosaico di micro-economie che solo in certe circostanze storiche venivano inserite in un'economia politica e di mercato di larga scala [Paterson, Harris], una realt variegata e molteplice in cui per sono comunque individuabili, al di l del ruolo giocato dalle differenze regionali, tendenze di fondo che marcano il primo medioevo nella sua evoluzione di lungo-termine,

tendenze che portano appunto intorno all'800 all'emergere di elementi incisivi risultanti di comune riscontro, accanto al configurarsi di differenti scenari e diversi sviluppi nei vari e diversificati contesti regionali, il tutto ricomposto in un analisi d'insieme complessiva che consenta una visione del sistemamondo mediterraneo in transizione nel suo intero, secondo un approccio pi generoso ed eclettico. Inoltre, occorre anche evidenziare che a favorire l'impiantarsi di una simile cornice di studi particolarmente dinamica e orientata alla comparazione ha giocato un ruolo fondamentale e imprescindibile l'avanzamento compiuto negli ultimi decenni dall'archeologia, la quale ha abbattuto molte delle barriere culturali innalzate da dagli studi di carattere pi filologico sulla documentazione scritta, ha comportato un notevole aumento delle conoscenze sul periodo proto-medievale e, nello specifico, per quanto concerne gli scambi commerciali, si rivelata come contributo e punto di riferimento obbligatorio, vera e propria fonte storica (a supportare o delle volte anche a colmare, in caso di loro assenza, le fonti scritte), in grado di fornire, come forma di evidenza documentaria capace di far luce sui reali tipi di scambio, una base abbastanza sicura per qualsiasi tipo di teorizzazione o generalizzazione e un essenziale equipaggiamento per rispondere a tutta la serie di domande relative ad esempio agli scambi di lunga distanza o agli altri elementi costitutivi di un sistema economico. Mentre Pirenne e i suoi successori dovevano infatti basarsi su scarse fonti letterarie per le informazioni a proposito delle relazioni economiche tra oriente e occidente, questi recenti sviluppi dell'archeologia per tale fase storica, in particolare lo studio pi sistematico della ceramica (si pensi agli studi di C. Panella e A. Carandini) vanno proprio dimostrando la persistenza di un commercio mediterraneo a vasto raggio che continua almeno fino al VII secolo. E' proprio a partire da e con riferimento costante a tale tipo di documentazione, basandosi per di pi anche sui migliori studi degli ultimi decenni che si sono configurati come valide indagini economiche sul primo medioevo seguendo un approccio maggiormente archeologico [1982-83, Mohammed, Charlemagne and the origins of Europe, R.Hodges-D.Whitehouse; 2001, The origins of European economy, M.McCormick], sulla scia della rivoluzione archeologica gi operata da B. Ward-Perkins, che l'autore svolge le sue riflessioni e elabora una solida e fondata sintesi conclusiva generale. Il saggio di C.Wickham facilmente strutturabile in tre grandi sezioni, in cui lo studio delle dinamiche economiche e dell'evoluzione degli scambi commerciali nel Mediterraneo dell'800 viene condotto in senso dialettico, partendo da presupposti metodologici, passando per le micro-analisi differenziate dei singoli casi regionali considerati nei loro sviluppi paralleli, per arrivare ad una sintesi riunificatrice finale incentrata sulla comparazione e la formulazione di punti fermi generalizzati conclusivi. Anzitutto dunque le questioni metodologiche: Wickham sottopone all'attenzione del lettore tre punti di partenza per comprendere lo scambio economico, che devono rappresentare le coordinate e l'intelaiatura di riferimento in cui inserire i vari fattori/dati economici individuati e per qualsiasi tipo di osservazione e teorizzazione: in primis, i differenti tipi di scambio, in secundis, la successione di diversi cicli economici ed infine l'importanza delle economie regionali.

Per quanto riguarda gli scambi, essi non rappresentano un insieme unitario e univocamente individuabile in quanto vanno analizzati e discussi in base a due direttrici: per la relazione che essi hanno con il profitto da un lato, e per la loro scala, dall'altro. In riferimento alla relazione con la motivazione del profitto, gli scambi, secondo una distinzione antropologica di lunga data, possono essere commerciali o non-commerciali: gli scambi commerciali (generati dal desiderio di profitto), il cui teorizzatore pu essere riconosciuto K.Marx, rappresentano dunque un tipo di scambio esclusivamente mirante al profitto personale, alimentato da esistenza di produzioni e/o surplus e dalla domanda, che possono avvenire in forma diretta (produttore-consumatore) o tramite intermediari (mercanti, venditori, ecc.), che non presuppongo alcun tipo di legame personale tra le parti, tanto che possono avvenire benissimo tra nemici. Gli scambi non-commerciali possono invece a loro volta essere basati sulla reciprocit, come lo scambio di doni, che ha lo specifico e immediato scopo di stabilire o mantenere relazioni sociali tra due parti (il suo teorizzatore M.Mauss), o sul fattore redistributivo. Redistribuzione viene definito infatti, da K.Polanyi, il trasferimento diretto di beni da sottoposti o dipendenti verso i detentori di un potere politico o giuridico, i quali a loro volta riassegnano tali beni al resto della popolazione; esso, nel periodo tardo antico-protomedievale, costituito dalle varie forme di tassazione e tributi ed ha, in quanto mezzo di scambio e di movimento dei beni, la stessa importanza del commercio. Da questa schematizzazione ideal-tipica generale, sebbene esistano sempre delle aree grige e intermedie di commistione e coesistenza tra i vari tipi di scambio, si pu dunque facilmente dedurre che esistono differenti tipologie e modalit attraverso cui i beni circolano e sono trasferiti da una parte all'altra. L'altro modo di suddividere la tipologia degli scambi basato sulla scala, ovvero sulla distanza fino a cui i beni arrivano e fin da dove essi si possono ottenere. Esistono, seguendo sempre l'analisi del Wickham, tre livelli principali in cui operano gli scambi: il livello dello scambio di beni di lusso, il livello dello scambio di merci all'ingrosso e il livello dello scambio locale di piccola scala. Lo scambio dei beni di lusso, beni relativamente costosi, difficili da possedere e/o esclusivamente accessibili ai privilegiati, con lo scopo appunto di contraddistinguere un'elite politica o economica, sempre esistito, spesso anche lungo ampie estensioni geografiche; essi tuttavia sono marginali in ogni sistema economico preso nel suo intero in quanto costituiscono rari e ristretti beni di prestigio, per questo essi non possono esserne visti come rappresentativi. Per quanto le fonti scritte insistano molto su tali beni, non appare comunque possibile fondare la comprensione di un sistema economico nel suo insieme sulla base della loro accessibilit in una data societ: come afferma Wickham altrove, un intero sistema economico deriva da come il benessere che sorregge questo prestigio stato costruito. Pi importante dello scambio dei beni di lusso, e sempre esistito anch'esso in ogni societ, lo scambio locale di piccola scala, tra contadini o tra villaggi, che tender a produrre, partendo appunto dalle risorse

locali disponibili, forme di relativa specializzazione, incoraggiando a sua volta lo scambio di relative eccedenze. Ma la tipologia di scambio che permette in assoluto di determinare la scala dei sistemi economici quella dello scambio di merci all'ingrosso, maggior marcatore e guida principale alla complessit di una data economia: esso indica il movimento di beni su larga scala da una regione ad un'altra (o verso una subregione/micro-regione), che si tratti di prodotti alimentari e/o artigianali. Nel mediterraneo del primo medioevo, ci presuppone in particolare scambio di beni alimentari non deperibili (grano, vino, olio d'oliva) e di manifatture artigianali che potevano esser prodotte in grandi quantit, abbastanza economiche e quindi acquistabili dalla gran parte della popolazione (tessuti a basso costo, ceramiche, lavori in ferro/legno/cuoio). Questi rappresentano i principali prodotti di scambio in tutta la rete di scambi di larga scala nella storia mondiale fino al tardo XIX sec. Se infatti la domanda era elevata, essi potevano esser trasportati in grandi quantit ed economicamente attraverso aree molto ampie. Questo genere di scambio non permette di stabilire fino a che punto si trattasse di scambio commerciale o redistributivo ( ad esempio, merci prese come pagamenti di tasse) ma, d'altro canto, permette di rilevare la scala dei sistemi economici, come gi asserito, nella loro interezza.; esso tuttavia non sempre esistito, al contrario dello scambio di beni di lusso e di quello locale, ma, riflettendo l'evoluzione e i cambiamenti dei sistemi economici, sale e scende a seconda dei periodi. Tra tutti i tipi di prodotti che costituiscono questo tipo di scambio all'ingrosso, quelli che consentono maggiormente di delineare con chiarezza e fondatezza la scala degli scambi in grandi quantit dei beni utilitari in generale e quindi dei sistemi economici sono le ceramiche, in primis poich rappresentano il tipo di produzione umana pi comune rintracciabile negli scavi archeologici, in secundis anche perch di queste possibile stabilire con notevole precisione la provenienza, sulla base sia dello stile che della fabbricazione; esse rappresentano il marcatore principale delle produzioni artigianali di massa, indicando dunque la scala della loro produzione e distribuzione, piuttosto che le rotte di trasporto. La ceramica quindi fornisce la miglior guida alla comprensione degli elementi che costituiscono un sistema economico, ovvero alla comprensione dello stesso sistema economico in s, come stabilito precedentemente. Una volta delineate le varie tipologie di scambio, il secondo punto generale, richiamato dal Wickham prima di iniziare la sua analisi regionale differenziata, quello relativo distinzione tra 3 diversi cicli economici succedutisi nel mondo mediterraneo negli ultimi due millenni. Partendo dall'ultimo, il terzo ciclo, esso non altro che il ciclo economico moderno, dominato dall'Europa occidentale e orientato progressivamente in direzione atlantica. Il primo invece quello che vede l'impero romano come protagonista, ciclo che raggiunge il suo picco d'intensit e scala nel IV sec. in occidente e agli inizi del VI in oriente, unificando l'intero mediterraneo sul livello dello scambio di prodotti e su una scala in generale raramente uguagliata fino ad allora, in Europa come nello stesso mediterraneo, e mai per cos a lungo (il primo califfato pareggi la sua grandezza ed estensione ma il suo periodo di piena centralizzazione economica dur al massimo un

secolo, dal 770-870 ca, contro i quattro secoli e pi dell'impero romano). Esso si configurato nell'arco della sua articolata evoluzione storica come un sistema politicamente ed economicamente coerente, fortemente centralizzato e con una vocazione principalmente marittima nelle epoche di Costantino e Giustiniano, territorialmente unificato, lungo tutte le coste mediterranee e molte zone d'entroterra, da un capillare circuito di strade e da un potenziato sistema di trasporto, che ha permesso con facilit l'estendersi di urbanizzazione e romanizzazione anche nelle regioni pi interne e remote, ma soprattutto da un complesso e massiccio sistema fiscale di tassazione capace di creare una fitta rete di collegamenti e interdipendenze tra tutte le sue province. Proprio questo sistema di tassazione, basato a partire da Diocleziano sull'annona come tassa ufficiale addizionale regolare, principale fondazione dell'economia di stato romana, i cui convogli dominavano il traffico marittimo, dalle maggiori regioni produttrici di grano del mediterraneo meridionale per rifornire le capitali dell'impero, configurando dunque il ruolo fondamentale dell'apparato statale romano nello scambio e nella circolazione dei beni (quindi nel sostegno dato da esso alla crescita economica), rappresenta il motore di questo ciclo economico. Creando relazioni regionali e agendo come catalizzatore economico, tale sistema di tassazione infatti fu in grado di dare spinta allo sviluppo dei commerci, facendo dello stato (con l'eliminazione dell'intermediazione privata) il principale organizzatore del movimento dei beni su larga scala, facilitando e assicurando i trasporti e ancor pi stimolando la domanda. L'evidenza archeologica dell'annona statale (sulla base della catalogazione dei diversi tipi di ceramica tardo romana rinvenuti) d chiara e indubitabile testimonianza del fatto che molte delle eccedenze delle pi produttive regioni agricole, specialmente nel caso africano, venivano esportate come risultato dell'esazione fiscale; da ciascuna di queste regioni le navi salpavano dando vita alla pi vasta e ramificata scala di scambio di beni che sia mai stata raggiunta nel bacino del mediterraneo. Queste forme di distribuzione globale costituiscono infatti le rotte su cui poi si sarebbe impiantato il commercio. Non si trattava infatti esclusivamente di un circuito di scambi redistributivi o di indirizzo fiscale ma anche di commercio: accanto ai beni trasportati per supplire alle 3 principali spese dello stato, esercito/citt capitali/amministrazione civile, circolavano anche ceramiche pi pregiate non come merci di tassazione: quando i Vandali ruppero la spina dorsale della tassazione che sorreggeva Roma-Cartagine nel 439, ponendo fine al motore fiscale nell'occidente, ci vollero oltre due secoli perch tale ciclo economico si esaurisse. [] Allo stesso modo, nella pi complessa rete del mediterraneo orientale, il commercio continu dopo che i persiano conquistarono Alessandria nel 618 e l'embol verso Costantinopoli termin, sebbene qui il declino fu pi rapido e il 700 costituisce una data attendibile per la cessazione della maggior parte dei commerci interregionali di prodotti di massa anche in oriente, a giudicare dalle distribuzioni della ceramica. [Wickham]. In tal caso, in effetti, non si assistette ad una decommercializzazione immediata n tanto meno ad una definitiva cessazione delle produzioni: ma la fine della tassazione conseguente alla conquista vandala rese probabilmente troppo costose le esportazioni degli

altri materiali, precedentemente facilitate e sostenute dal trasporto delle derrate alimentari, quindi effettuabili ad un minor costo. Lo stato romano, comunque, riforniva principalmente di grano e olio; tutto ci che non veniva invece rifornito dallo stato era ugualmente incoraggiato e parzialmente regolato dallo stato stesso. Si pu dunque concludere che tutte le varie tipologie di scambio, durante questo ciclo economico, commerciale o non commerciale, dipendevano dagli interessi dello stato e ,in senso stretto, rappresentavano l'intelaiatura, la rete capillare che teneva l'impero insieme. Lo stato era dunque il presupposto delleconomia mercantile: venendo meno questo, inevitabilmente, leconomia mercantile si sarebbe indebolita. Cos infatti, una volta crollata la struttura politica centrale portante e iniziata la frammentazione nelle sue diverse unit regionali successive, con la conseguente cessazione dell'annona, s'innesc una crisi socioeconomica lenta ma inesorabile, che ebbe diversi impatti e conseguenze a seconda delle relazioni che ciascuna regione aveva con le strutture del sistema-mondo mediterraneo, insieme ad un processo di destrutturazione della rete degli scambi. Analizzati questi cicli economici, non resta che individuare quello di maggiore inerenza all'argomento del saggio e cui esso pi indirizzato, ovvero il secondo ciclo del commercio mediterraneo, quello del pieno medioevo centrale. Tale ciclo economico, per come viene appunto delineato dal Wickham, sembra aver avuto il suo fulcro nelle grandi citt del mondo arabo (Il Cairo, circondato dalla fertile e florida area di produzione nilotica; Damasco; ecc.) ed aver integrato le reti commerciali indirizzate verso occidente (Almeria e Siviglia), verso l'area nord-occidentale (Venezia, Genova), verso nord (Costantinopoli) e verso oriente (Baghdad, Oceano Indiano, Cina). Da qui, grazie ad una nuova concentrazione di risorse, la domanda da essa alimentata s'irradia con effetti propulsivi sull'intero continente eurasiatico e, lungi dal cessare, l'attivit economica appare stimolata dalle nuove possibilit che offre il nuovo grande mercato indo-mediterraneo politicamente saldato dalla conquista araba, come testimonia l'intensificarsi degli scambi interregionali e la ripresa del grande commercio a distanza, che recupera quasi il suo ruolo come fattore di risveglio dell'occidente. Tale ciclo economico, difficilmente inquadrabile nelle sue coordinate cronologiche e nella sua scala a causa della scarsa disponibilit di materiale documentario archeologico per il periodo, risulta comunque particolarmente attivo tra 1000 e 1350 (come testimoniano le Geniza del Cairo e successivamente i documenti degli archivi notarili italiani), dominato in un primo tempo dalla navigazione araba (XI sec.) e in seguito dalle navi italiane. E' possibile, tuttavia, individuarne i primi fermenti, le iniziali apparizioni e le condizioni in generale che portarono dunque all'emergere di una nuova fase e di un diverso sistema economico, per quanto sia un'area di discussioni ancora particolarmente controversa e dominata da numerose zone d'ombra, nei decenni intorno all'800, con una fioritura graduale, lenta ma costante, ed un progressivo allargamento della scala nei due secoli successivi, fino all'effettivo e notevole decollo visibile intorno al 1000. A differenza del primo ciclo economico, quello relativo all'impero romano, questo ciclo rappresent una rete di scambi riguardante singoli stati sovrani (lo stesso

califfato abbaside, presumibilmente la compagnie statale pi estesa all'epoca, copriva solo un terzo del mediterraneo e la sua stessa unit fiscale si frantum gi ai primi del X sec.), in cui dunque l'elemento redistributivo centralizzante di carattere fiscale negli scambi di lunga distanza non fu mai preponderante (fatta eccezione per gli organismi politici pi complessi, vasti e maggiormente organizzati all'epoca, come l'impero bizantino e il califfato fatimide). Il ristabilimento di questi scambi di lunga distanza avviene sotto il segno di una sostanziale ristrutturazione del sistema economico, secondo regole differenti: il sistemamondo mediterraneo del medioevo centrale, infatti, non ricerca in alcun modo lo stesso tipo di egemonie di prodotti di massa quali quelli strettamente alimentari trasportati dai convogli annonari dall'Africa, produzioni supportate e appunto distribuite dallo stato romano, come movimenti interregionali di carattere globale la cui scala non sar mai pi replicata nella storia del mediterraneo. Tale ciclo economico si configura infatti come peculiarmente commerciale, incentrato sui prodotti artigianali e sull'intraprendenza dei singoli mercanti, che non attendendosi pi supporto fiscale n guida paternalistica dello stato al di fuori della loro regione, sono spinti ad inventare i loro percorsi e a tracciare nuove rotte , e devono essere flessibili adattando le loro direzioni al profitto, modificando le condizioni della navigazione e delle economie, se volevano sopravvivere [McCormick]. In tal senso, esso inaugura definitivamente la nascita di un mondo nuovo, di un'economia europea propriamente detta in senso moderno. Per concludere il preambolo introduttivo sui punti fermi di base da considerare prima di un'analisi degli scambi economici, Wickham pone l'accento sulla gerarchia dei tipi di scambio sulla base della loro estensione e sull'importanza, all'interno di una visione complessiva, organica e coerente di un dato sistema economico, delle economie regionali: gli scambi di lunga percorrenza sono generalmente meno importanti rispetto al commercio interno alle singole regioni. Quest'ultima infatti costituisce la realt effettiva e il nucleo dell'attivit commerciale per gran parte delle regioni del mediterraneo. L'insistenza sui commerci di lunga distanza, alimentata da un lato dalla notevole attenzione posta nelle fonti documentarie disponibili sui beni di lusso provenienti da aree lontane e dall'altro dal fascino sempre suggestivo del romanticismo mercantilistico, che esaspera l'immagine esotica del commercio di spezie, delle galere veneziane, ecc. non corrisponde all'effettivo scenario del mediterraneo proto-medievale (gli empori come Venezia e Edessa che vivono esclusivamente di un simile commercio di beni di lusso a lunga distanza sono solo punti sulla mappa, come sostiene il Wickham , rispetto ad una realt ben pi parcellizzata e ripiegata su forme interne di produttivit e scambi locali). Lo stesso commercio di lunga distanza, non costituirebbe altro, infatti, che un allargamento del campo di azione, un estendersi in maniera propulsiva, dei movimenti di scambi intraregionali, che una volta raggiunta coerenza strutturale interna e sufficiente intensit, sfociano all'esterno dando vita a commerci di pi ampio raggio e pi vasta estensione, cosa che spiega appunto la stessa natura nucleare, o meglio, cellulare del traffico di lunga percorrenza, incentrato proprio sulla definizione di aree regionali di scambio, che inglobano pi piccole formazioni regionali con i loro rispettivi contatti e le loro confinanti zone d'influenza, collegate tra loro da queste stesse rotte di lunga distanza. La rinascita delle

grandes routes fin dal IX sec., fiorita in modo ancora pi evidente nel corso del XII sec., rappresenta solo il composito e variegato aspetto superficiale dei pi complessi, articolati, incisivi traffici e scambi che avvenivano all'interno delle regioni. Citando Horden e Purcel: Le affascinanti manifestazioni del commercio di alto prestigio devono generalmente esser guardate come crescita conseguente ed intensificazione degli ordinari modelli di redistribuzione. Dopo aver fornito, in termini metodologici, le coordinate entro cui inquadrare i diversi elementi che configurano gli scambi economici, l'interesse del Wickham si focalizza definitivamente sull'analisi microscopica e diversificata di quattro singoli casi regionali, ovvero Egitto, Siria/Palestina, nucleo egeo dell'Impero Bizantino e Italia, presi in esame e studiati autonomamente, di cui egli fornisce un rapido, complessivo e icastico quadro, ciascuno inscrivibile e ricomponibile, in fase conclusiva, in una pi ampia ed eterogenea cornice del Mediterraneo intorno all'800. Il primo caso regionale esaminato dal Wickham costituito dall'Egitto, paese erede di una tradizione storico-economica di prosperit e floridezza plurimillenaria, il cui sistema economico apparso come quello maggiormente in grado di resistere alle trasformazioni avvenute nel tra il mondo romano e il medioevo centrale e di rimanere sostanzialmente invariato o comunque, subendo minimi cambiamenti e mai battute d'arresto. Dalle tracce archeologiche (ceramiche da tavola principalmente provenienti da Assuan; produzione e commercializzazione di vino nel Medio Egitto intorno ad Ashmunayn e nella media valle del Nilo; produzioni tessili importanti sviluppate nella valle del Nilo intorno a Bahnasa e Qus per la lana, nel Delta e presso il Fayum per quanto riguarda il lino; fondamentale produzione di papiro concentrata nel Delta; ecc.) ma anche dalla ricchissima documentazione scritta egiziana, si delinea l'immagine di una realt regionale fondata su un'economia di scambi interni notevolmente stabile, complessa e diversificata, incentrata sulla fertile ricchezza dell'agricoltura nilotica e sulla facilit dei trasporti lungo l'intero asse di percorrenza del fiume da Assuan fino ad Alessandria, con una notevole specializzazione e gerarchia delle singole produzioni regionali, sub-regionali e micro-regionali: simbolo predominante di questa solida e organica strutturazione degli scambi economici, che sovrasta tutte le altre produzioni, consente una vasta gamma di attivit specializzate e costituisce la principale risorsa d'esportazione dell'Egitto, il grano, in tutte le epoche storiche (dall'impero tardo-romano sotto il controllo di Costantinopoli fino all'ultima dominazione abbaside), fulcro della tassazione egiziana. Per quanto si possa supporre che sia stata proprio la coerenza e continua persistenza di questo tipo di tassazione a conferire stabilit e spinta propulsiva ad un sistema economico cos solidamente organizzato e strutturalmente diversificato, in realt l'Egitto, erede in senso stretto di una lunghissima tradizione di elaborati e centralizzati sistemi di statalizzazione fiscale (gi prima della dominazione romana, fin dall'impiantarsi del regime ellenistico-tolemaico), tra il VII sec. e l'et ottomana, non ha mai necessitato di un sistema fiscale di base, col fine di supplire ai bisogni di altri stati, che facesse da corollario e presupposto catalizzatore, per entrare a far parte della rete di scambi e commerci

mediterranei; ci, infatti, proprio in virt del fatto che esso possedeva gi al proprio interno sufficiente coerenza e organicit per prosperare da solo, ovvero una struttura auto-sostentativa che lo esimeva da qualsiasi necessit di vincolo o contributo esterno. Alessandria rest sempre nell'arco della sua storia un emporio per lo scambio dei beni di lusso e l'intero paese, complessivamente, mantenne sempre una complessit economica nei suoi scambi commerciali interni ed un alto livello di produzione e distribuzione locale; esso rimase internamente articolato e diversificato e tendenzialmente aperto alle altre regioni, sviluppando nei secoli successivi una crescente intensificazione della specializzazione nelle manifatture di ogni tipo, senza conoscere momenti d'interruzione, che raggiunger il culmine durante medioevo centrale (come appunto documenteranno le Geniza del Cairo). Se infatti la documentazione archeologica testimonia, tra 700 e XI sec., una fase di decadenza nei porti del Delta e ancor pi un sostanziale restringimento degli scambi tra il paese e le altre regioni (cessazione delle importazioni di ceramiche da tavola tunisine e di olio cipriota e lenta evoluzione standardizzata dei tipi di ceramica generati ciascun sistema produttivo), ci non fu dovuto ad un declino o impoverimento interno del sistema economico n tanto meno ad una crisi generalizzata estendibile anche al caso egiziano, bens all'incapacit delle altre regioni mediterranee di confrontarsi alla pari col dinamismo e la stabile complessit di questo stesso sistema; erano infatti queste stesse regioni limitrofe a doversi ugualmente aprire ad un traffico interamente economico e a porsi su un paritario di livello di concorrenza per far si che si venissero a creare sistemici legami di scambio tra le realt mediterranee, processo che avrebbe richiesto ancora altri secoli per maturare definitivamente. L'Egitto fornisce cos l'ideal-tipo per comprendere come si configura in questa epoca una sostanziale continuit socio-economica. Il secondo contesto regionale analizzato dal Wickham quello pi frammentario, movimentato e ancor pi variegato di Siria e Palestina, area caratterizzata da una spiccata diversit micro-regionale e, a causa della sua stessa geografia, molto meno organica e unitaria, come insieme meno coerente nel suo intero, rispetto all'Egitto. Area di principale esportazione (presumibilmente accanto alla Tunisia) nel momento di acm del primo ciclo economico, gi sviluppatasi nel mondo tardo romano in virt della sua vocazione mercantile e della sua intraprendenza economica come maggiore regione produttrice di vino e olio (con la costa e le colline intorno ad Antiochia quali zone di concentrazione di tale produzione) ed esportatrice su vasta scala nell'intero mediterraneo orientale, essa presumibilmente rimase ancora altamente attiva, per quanto riguarda strettamente gli scambi, nell'arco del medioevo. Come rivela infatti la straordinaria e diversificata distribuzione, spesso anche attraverso sovrapposizioni cronologiche, di ceramica African Red Slip ware, Phocean slip ware e Cypriot Slip ware, dagli inizi del V a tutto il VII sec. , Siria e Palestina costituivano un'area regionale sufficientemente aperta al Mediterraneo da indicare il barometro dei commerci marittimi nel bacino per un lungo periodo di tempo. Qui tuttavia, con molta probabilit intorno al 700, l'esaurirsi definitivo del primo ciclo economico avvia un periodo di crisi lungo gran parte della costa levantina, provocando spopolamenti di citt e abbandoni rurali in alcune

zone; in contrasto, invece, l'area pi interna della regione sembra conservare prosperit e ricchezza ancora durante gli omayyadi ed anche successivamente (si pensi all'affermarsi di una nuova produzione particolarmente pregiata di ceramica, la Mafiar ware, distribuita nella valle giordana dal 750 in poi, che rivela proprio gli elementi peculiari e maggiormente sorprendenti della produzione ceramica di questo periodo in tale contesto, ovvero la sue estrema localizzazione ed il suo elevato livello qualitativo, secondo una crescente complessit), continuando la produzione di ceramiche locali anche se su una scala molto ridotta e con limitata distribuzione nel Levante (allo stesso modo della ceramica, fortemente circoscritto alla stretta sfera locale, divenne anche la produzione di vino, come indicato dalla distribuzione delle ultime anfore Late Roman 5). Ci che possibile delineare dall'analisi di questi elementi dunque il fatto che con molta probabilit la fine del sistema romano di tassazione e l'esaurirsi del primo ciclo economico in questa regione abbiano significato la fine di ogni sistematica unificazione degli scambi dell'intera area, dimostrando cos la forte dipendenza dell'area dal precedente sistema di scambio interregionale. Nonostante il breve periodo di imposizione di un sistema di prelievo fiscale da parte degli omayyadi (che tuttavia possedevano soltanto una piccola porzione dell'intera area), per la riunificazione della regione a livello economico-commerciale bisogner attendere l'opera centralizzatrice degli abbasidi che, favorendo una ristrutturazione fiscale e una ricomposizione territoriale, integreranno l'intera area nella cornice eterogenea e dilatata della nuova rete di scambi di larga scala focalizzata non pi sul Mediterraneo, bens in direzione dell'Iraq, verso Baghdad, la nuova capitale edificata nel 752; il potere propulsivo e integrativo, appunto, di questa politica di centralizzazione favorir l'assestarsi di una rinnovata tendenza di espansione della scala geografica degli scambi commerciali a partire dall'800 (e non generando un supposto e inesorabile declino economico dell'area, spostando la sede del potere politico da Damasco a Baghdad e privando la regione, gi gravemente devastata da un violento terremoto nel 746), conducendo ad un notevole incremento dei traffici di Siria/Palestina e Iraq (prime attestazioni di pregiata ceramica irachena nel Levante e di vetri policromi di Raqqa in oriente, che dai livelli pi parcellizzati e localizzati, inizia a raggiungere scale di distribuzione notevolmente pi ampie). Inoltre, come il Wickham tende a sottolineare, nonostante la frammentazione nel mosaico di variegate economie fortemente localizzate e disorganiche registrata nella regione prima dell'800, il Levante conserva abbastanza complessit interna, nei centri urbani lungo la costa come in quelli dell'entroterra, e domanda sufficiente a reagire prontamente allo stimolo offerto dalla ricentralizzazione abbaside, indirizzando tuttavia, come gi asserito, questo nuovo dinamismo economico non pi verso il Mediterraneo. Solo una volta raggiunta l'unit economica, il Levante sarebbe stato in grado di acquisire una propria complessit sotto il profilo delle strutture economiche e dunque di rispondere alle possibilit di scambio prospettate dal Mediterraneo stesso. Da questo momento comunque, il Levante mantiene un'economia locale complessa di riferimento ed una movimentata articolazione interna che permettono di accostarlo, in particolar modo per l'intensit degli scambi, all'Egitto. Infatti, di conseguenza, un primo parallelismo e un'abbozzata forma di comparazione tra diversi casi regionali pu esser cos rintracciato

dallo storico sulla scia delle ultime osservazioni: Egitto e Siria/Palestina seguono dopo l'800 uno sviluppo simile, sebbene per ragioni diverse, in quanto entrambe non fonderanno pi da questo momento la loro ricchezza e prosperit su un'eventuale apertura sul Mediterraneo. Mentre l'Egitto rimase una regione internamente integrata e compatta, il Levante rafforz il proprio assetto di complesso di micro-regioni economicamente attive ma di dimensioni particolarmente ridotte, configurandosi dunque come una collezione dal punto di vista economico di regioni, sub regioni, micro-regioni tendenzialmente prosperose. In contrapposizione, sotto alcuni aspetti, al modello di sistema economico prospettato dal caso siropalestinese, si configura invece il terzo contesto regionale preso in esame dal Wickham, ovvero quello relativo al nucleo centrale dell'impero bizantino nell'egeo. Qui, la gravissima crisi economico-politica che minacci il paese nel corso del VII sec. (invasioni persiane, perdita definitiva delle ricche province di Egitto e Siria per mano araba, con la loro successiva conquista della Tunisia, ecc.) determina sviluppi controversi, non chiaramente definibili, ed uno scenario complessivo disomogeneo. Nonostante il mondo egeo abbia fortemente risentito, e in maniera anche drastica e repentina, della rottura del sistema mediterraneo, grazie alle sue dinamiche di sviluppo interno, polarizzate intorno al ruolo centripeto di Costantinopoli, in precedenza una delle foci politiche ed economiche del sistema-mondo mediterraneo al suo apice, continu a mantenere anche se in proporzioni minime forme di comunicazione persino nell'arco del VII-VIII sec., punto pi basso raggiunto dal livello di complessit economica interna della regione stessa. L'evidenza archeologica prospettata dalle ceramiche dell'Egeo consente di delineare un sistema di scambio economico che opera su due livelli: da un lato si assiste ad un'estrema localizzazione e semplificazione della produzione ceramica, che si caratterizza come insieme di tipologie ceramiche assolutamente modeste (ceramiche dipinte di Gortina e Pseira), molto pi spesso, nel caso della penisola greca, semplicemente prodotte a mano (fenomeno che non ha paralleli nel mondo mediterraneo del primo medioevo), riflettendo una rete di scambi sostanzialmente molto semplice, ridotta su piccola scala locale, dominata da una domanda molto bassa e presumibilmente intermittente e da una ricchezza generale relativamente ridotta (elemento che indica dunque la presenza di societ altrettanto semplici e ripiegate fino ai massimi livelli su una scala sistemica locale; si tratta nel complesso di fattori di evidente crisi, non rintracciabili con la stessa intensit nei casi regionali di Egitto e Levante); dall'altro lato, invece, comunque riscontrato un mantenimento di reti di scambio molto pi ampie: la celebre Glazed White, prodotta a Costantinopoli fin dal VI sec., pu essere ancora rinvenuta tra VIII e IX sec. nelle isole meridionali ed orientali dell'Egeo (Creta, Cipro), le stesse anfore globulari Post-late Romans 2 compaiono ancora per la stessa epoca a Sparta come a Creta come a Costantinopoli e perfino in Italia, ad identificare una continuit nella rete degli scambi ( forse di vino) lungo medie distanze. Si tratta tuttavia in questo caso di un tipo di commercio, per quanto su scala leggermente pi ampia, che rimane sostanzialmente marginale rispetto al pi consueto e importante sistema di scambi locali; esso sembra privilegiare le isole e in particolare i maggiori centri politici della Grecia (oltre alla capitale Costantinopoli), la cui conservata e anzi

rinnovata importanza consente di dedurre, come sostiene J.Haldon, che lo stato bizantino detiene un ruolo cruciale nel conservare e e rilanciare l'andamento degli scambi, stato la cui struttura politico-fiscale rimasta fortemente centralizzata, fornendo cos di per s un continuo stimolo alla domanda. Dalla stridente contrapposizione sorta nella regione egea a partire dall'VIII secolo tra consistente localizzazione di produzione e distribuzione della ceramica (che pi ci si allontana dal mare pi acquisisce estrema semplicit) ed esistenza di un modesto ma altrettanto consistente traffico marittimo che include occasionalmente beni all'ingrosso e riesce ad estendersi al di fuori dell'Egeo (sufficientemente consistente da sembrare necessariamente regolarizzabile in forme legali), emerge dunque allo stesso modo una solida cornice ricompositiva fornita dal mantenimento di una strutturazione politico-fiscale centralizzata di base che tiene unito e sorregge ancora l'impero nelle sue eterogenee realt. Nel tentativo di isolare gli elementi differenti e ricomporre un quadro unitario sulla base dell'individuazione degli eventuali punti di contatto e di accostabilit, Wickham pone in comparazione questo contesto regionale con i due gi precedentemente esaminati: l'Egeo si configura sul piano microregionale come realt nettamente pi semplice di quella presente nell'ambito delle economie locali del Levante nell'800 (e ci, come gi sostenuto, a causa principalmente della profondit e gravit della crisi del VII sec.) ma rispetto a quest'ultimo, esso appare allo stesso tempo come un'unit economicoterritoriale molto pi omogenea e compatta. In effetti l'estensione geografica dei movimenti di beni, anche in minime quantit, tra Costantinopoli e Creta era molto pi vasta di quella riscontrabile in tutta la Siria fino all'introduzione del vetro policromo intorno all'800, a tal punto che la stessa Glazed White costantinopolitana pu esser ritrovata in Sicilia, con molta probabilit a che a Venezia. Ancor prima dell'emergere del ruolo dominante degli arabi nel gestire e dirigere le spinte propulsive del secondo ciclo economico, dunque, sar l'impero bizantino, in virt della sua struttura sistemica fiscale, ad incentivare e guidare una prima forma ridotta di traffico all'ingrosso lungo sostanziali distanze nel Mediterraneo, agli albori del secondi ciclo stesso. Si profila, infine, sullo sfondo l'ultimo caso regionale analizzato dal Wickham all'interno del saggio, ovvero quello dell'Italia, contesto per cui la straordinariamente ricca e ben conservata documentazione archeologica del periodo propone una cornice complessiva meno controversa e indefinibile rispetto alle altre realt regionali. Parte fondante e originariamente protagonista assoluta del sistema-mondo romano, pienamente integrata nella rete degli scambi mediterranei nell'arco di tutta la storia romana, similmente a Siria e Palestina e come esse altrettanto frammentata, la penisola italiana appare nell'800 come meno prosperosa e fiorente nella gran parte della sua estensione territoriale rispetto all'area levantina. Qui appunto, al drammatico crollo dell'autorit imperiale, segue un processo di disgregazione generale che comporta un'estrema disunit politico territoriale nella penisola (gi dopo Carlo Magno, erano identificabili sei diverse formazioni politiche principali), la quale a sua volta accelera il processo di frammentazione

economica in numerose micro-regioni, delineatosi sempre pi a livelli marcati e irreversibili in seguito alla fine del sistema statale di tassazione a partire dall'800, in tutte le regioni tranne quelle di dominio bizantino (Sicilia, Calabria). In uno scenario siffatto, scenario in cui l'archeologia ha recuperato evidenze documentarie che permettono di ricostruire un insieme di piccole reti locali di scala ridotta (Italia centrosettentrionale), di bassa domanda e scarso livello di ricchezza (ma qui lo scambio appare comunque come molto pi articolato rispetto al livello locale nell'Egeo), oltre che di produzioni ceramiche di modesta qualit, si possono riscontrare due importanti eccezioni: anzitutto Venezia, il cui ruolo strategico di crocevia dei traffici da oriente a occidente, ruolo concepito in termini quasi paradigmatici di modello per antonomasia di sviluppo economico generalizzato, nel primo medioevo, ha sempre attirato l'attenzione e la curiosit degli storici (da Pirenne a McCormick), nello specifico in virt del suo repentino e apparentemente improvviso sviluppo, a partire dall'800, attraverso lo sfruttamento della rotta adriatica, l'instaurazione di legami politici privilegiati con Costantinopoli e di connessioni commerciali con Alessandria, che l'ha condotta a trasformarsi in breve tempo nel centrale porto di commercio e di snodo del traffico di schiavi (che sottratti presumibilmente dalle zone slave-danubiane e in seguito alle guerre carolinge, venivano indirizzati a sud) e ancor pi di merci preziose (merci che da oriente per suo tramite venivano incanalate a nord in direzione francese; questo scambio di beni di lusso diverr la sua peculiarit, data anche l'invalidante, effettiva inconvenienza della sua posizione geografica a ridosso delle Alpi, che di certo non avrebbe facilitato o favorito lo sviluppo di un qualsiasi scambio all'ingrosso su vasta scala e oltre il mercato italiano), tra il mediterraneo intero e l'Europa settentrionale ; altra eccezione era sicuramente rappresentata dalla movimentata costa tirrenica meridionale, da Roma fino alla Sicilia, subregione nota gi nel tardo romano impero come luogo di residenza dei grandi senatori proprietari terrieri (la scala della cui ricchezza fondiaria sembra esser sparita ormai del tutto a partire dall'800), in cui il commercio, a livello micro-regionale e fortemente localizzato e specializzato (quasi a richiamare quello riscontrabile nell'area egea, con la sostanziale differenza che in tal caso si tratta esclusivamente di scambio commerciale tra realt statali autonome e indipendenti che mantengono ciascuna la propria singola identit, non inserite quindi in una pi ampia struttura di centralizzazione politico-fiscale statale e di redistribuzione), non ha mai cessato di esser praticato, come dimostrano la Forum ware, ceramica invetriata sviluppata a Roma nel tardo VIII secolo, rintracciabile lungo tutta l'area tirrenica nel secolo successivo, le anfore di vino napoletane, rinvenute da Roma alla Sicilia, come le altrettanto diffuse anfore calabresi e le lampade d'olio siciliane. In questa stessa sub-regione, particolare rilievo rivestono i centri urbani di commercio sorti nell'area napoletana, tra cui spicca la citt, futura repubblica marinara insieme a Venezia, di Amalfi, in cui le testimonianze archeologiche rivelano l'esistenza di una rete di scambi e relazioni commerciali gi da tempo. Il Wickham sottolinea proprio il fatto che tale realt regionale costituisca in generale l'unica nel mediterraneo occidentale a implicare trasporti di beni all'ingrosso persino su una piccola scala, il cui unico

corrispettivo marittimo pu esser rappresentato dalla rete fiscalmente sorretta dell'Egeo, per quanto poi, effettivamente, entrambi i contesti regionali appaiano come insignificanti ed estremamente ristretti in confronto alla vastit ed estrema complessit organizzativa e strutturale del traffico lungo il Nilo. In conclusione alle sue analisi micro-regionali comparativamente condotte, Wickham si premura di riassettare una cornice sintetica finale in cui comporre e accostare i singoli elementi di differenziazione/parallelismo di maggior rilievo. Ne emerge il quadro di un mediterraneo, intorno all'800, sostanzialmente tranquillo, dominato da diversi insiemi di economie regionali, con ridotti legami tra di esse e livelli notevolmente differenti di complessit economica da una parte all'altra. Nonostante esempi di scambi economici di pi ampia scala e portata, come quelli riscontrabili nella Sicilia tra VIII e IX secolo, costante crocevia per i traffici oriente-occidente (prima fortemente vincolata al sistema fiscale bizantino per il rifornimento di grano a Costantinopoli, successivamente, dopo la conquista araba dell'827, ancorata strutturalmente al nord Africa, con un continuo mantenimento nel frattempo dei rapporti commerciali col resto dell'Italia), in questa fase storica gli scambi di tipo interregionale restano sostanzialmente marginali rispetto all'assoluta preponderanza degli scambi interni, in special modo per i beni all'ingrosso: in molte parti del mediterraneo vengono cos installate reti di scambio micro-regionale, in cui le singole regioni sono tra loro collegate da un sottile traffico di beni di lusso e da continui, brevi navigazioni di cabotaggio che non conoscono mai fine. La sintesi conclusiva del Wickham conduce ad evidenziare cinque punti principali che permettono cos di schematizzare e comprendere gli elementi che, estratti da queste diverse analisi regionali, contribuiscono a delineare fin dai suoi albori lo sviluppo del secondo ciclo economico: 1.Il Mediterraneo orientale nell'800 appare sostanzialmente pi ricco ed economicamente pi complesso a livello regionale rispetto a quello occidentale, riproponendo in tal modo una situazione di eterogeneit e diversa distribuzione di prosperit che si era originata nel bacino mediterraneo molto tempo prima, fin dal 400-450 (le pi movimentate regioni dell'est risultano economicamente prosperose e sofisticate gi tra IV e VI sec., Ward-Perkins), e che rimarr tale fino almeno al XII sec.; in Oriente, le regioni del sud, arabe, si dimostrano pi ricche e composite di quelle del nord, bizantine, con l'Egitto che si configura come la pi complessa economia mediterranea e come fulcro e guida della successiva espansione economica del secondo ciclo. Tuttavia, gli scambi marittimi pi dinamici e articolati dell'epoca sono individuabili in aree non poste sotto il controllo arabo, ovvero il cuore egeo dell'impero bizantino e la costa tirrenica meridionale (aree direttamente connesse a partire da questo periodo lungo l'asse della principale rotta di comunicazione tra mediterraneo orientale ed occidentale); 2.Come gi affermato all'inizio, il secondo ciclo economico, in netta contrapposizione col primo, non era guidato da reti di controllo/redistribuzione fiscale; tuttavia all'interno delle regioni, l'esistenza di sistema di tassazione che regoli il movimento dei beni contribuisce a rendere sostanzialmente coerente e pi complessa la struttura economica della regione stessa, stimolando attraverso le necessit fiscali, una maggiore apertura al commercio interregionale ( si pensi ai casi di Egitto, Egeo bizantino, Levante

abbaside). Di tutte le principali regioni economiche, solo l'Italia fior internamente per ragioni puramente commerciali; 3.A partire dal IX secolo, i traffici di lunga distanza risorsero; ci dipese principalmente dalla concentrazione di risorse e ricchezze delle due potenti formazioni politiche sorte all'epoca, l'impero carolingio e il califfato abbaside, nessuno dei quali era rivolto o incentrato sul Mediterraneo, per quanto entrambi controllassero ampie porzioni delle regioni costiere mediterranee, focalizzati dunque entrambi su aree indipendenti, l'uno sulla regione tra Senna e Reno, l'altro sull'Iraq, in cui vennero a crearsi le condizioni per lo sviluppo di classi sociali ricche e quindi di nuova domanda. Il legame stabilito tra carolingi e abbasidi accelera il sorgere e il definitivo affermarsi del ruolo centrale di Venezia, ottimo porto per il commercio di merci preziose per i domini franchi, oltre all'intensificarsi e diversificarsi delle rotte marittime e ad una rinascita del commercio di beni di lusso su lunga distanza. I grandi fermenti e dinamismi che prendono piede nel corso del IX secolo pongono solo le basi per un commercio su pi larga scala, ma non lo definiscono n costituiscono ancora in tutti i suoi elementi strutturali; 4.Tuttavia, la ricchezza delle singole regioni nell'area mediterranea nell'800 non sembra particolarmente incentrata e focalizzata sul mediterraneo stesso come spazio di scambio marittimo (si veda ad esempio il caso dell'Egitto). Per lo sviluppo di una maggiore apertura nei confronti del commercio mediterraneo e per l'espansione di un commercio di beni all'ingrosso con l'Egitto, sarebbe stato necessario un progressivo ed intensivo sviluppo interno alle singole regioni stesse ( piuttosto che un incremento della densit della rete di scambio dei beni di lusso) che le avrebbe rese sufficientemente complesse e spinte verso dinamiche esterne, in modo da esser considerate partner commerciali alla pari dagli stessi egiziani. Pi le altre regioni avrebbero acquisito una complessit interna, pi questi avrebbero offerto nuove opportunit per scambi di beni all'ingrosso lungo ampie distanze tra di loro. Nonostante una prima forma di interrelazione interregionale individuabile nei contatti commerciali tra mari tirrenico ed Egeo, le connessioni di pi larga scala affermatesi a partire dal 1000 riguardano essenzialmente regioni del Mediterraneo meridionale, lungo l'asse Tunisia/Sicilia- Egitto (in particolare, la Tunisia, regione pi ricca del mediterraneo occidentale nel IV secolo, torna a ricoprire questa posizione grazie ai rinnovati collegamenti con la Sicilia a partire dal X secolo, trasformandosi esattamente nel tipo di regione con cui l'Egitto avrebbe potuto commerciare e competere); 5.Le reti dei maggiori scambi nel IX secolo avvengo all'interno delle regioni: il secondo ciclo economico, come gi affermato, sorger come risultato della spinta propulsiva all'esterno generata dagli incrementati sviluppi interni di numerose regioni e delle conseguenti possibilit offerte dalla progressiva specializzazione e interdipendenza regionali. Come motori e forze catalizzatrici di tali sviluppi interni, vanno individuati due fattori: la forza e capillarit della rete fiscale regionale e la domanda delle elites aristocratiche. Come afferma chiaramente il Wickham, la complessit dei sistemi economici in generale

dettata dalla ricchezza delle classi dirigenti e dalla loro capacit di sfruttare, in un mondo dominato dall'agricoltura, la classe contadina. Tutte queste conclusioni, da un lato, ci conducono a constatare, come in parte gi asserito, che , intorno all'800, nel Mediterraneo si assiste all'emergere di nuovi elementi e nuove tendenze che sono l'esito conclusivo di un lungo processo di trasformazione nell'arco dei secoli successivi al crollo dell'impero romano, trasformazione (che raggiunge complessivamente il culmine tra fine VII-inizio VIII sec., ma avviene sostanzialmente in tempi e velocit diverse a seconda dell'area regionale) avvenuta in termini principalmente di contrazione, di diminuzione dei commerci, e di graduale esaurimento degli assetti e delle spinte propulsive del primo ciclo economico, e non come esito conseguente ad un singolo episodio catastrofico ( come prospettava Pirenne, per il tardo VII sec., con l'emergere dell'Islam; la trasformazione del Mediterraneo era gi avviata ben prima della prima incursione araba, Hodges-Whitehouse), evidenziando come tra 700 e 900 le strutture e le caratteristiche delle comunicazioni e quindi dei commerci si rivelano drammaticamente mutate [McCormick]; che queste tendenze e questi primi rinnovati fermenti costituiscono i prodromi aurorali della fioritura e dello sviluppo degli scambi e dei commerci nei secoli successivi, portando a configurare l'800 come vero punto di svolta che prelude alla nascita di un'economia propriamente europea; che i fattori agenti e di stimolo all'affermarsi di tali nuove tendenze e alla generale ripresa e intensificazione degli scambi derivano dal fiorire di nuove forze interne alle varie regioni, da crescita demografica, espansione e stabilizzarsi di nuove strutture politiche, complessivamente da disparati elementi di geografia, tecnologia, cultura, politica e ricerca di profitto che avrebbero intessuto una nuova rete di connessioni, rotte, infrastrutture [McCormick]; che, in particolare, protagonisti di questa espansiva riorganizzazione del sistema economico mediterraneo-europeo (come gi asserito, culmine, non inizio, di una profonda trasformazione interna gi al mondo tardo antico) furono Venezia, nel suo ruolo emergente di punto di collegamento imprescindibile tra Oriente e Occidente e di controllo del principale mercato di schiavi, ma ancor pi gli Arabi (che in netta confutazione del Pirenne, sulla scia dell'intuizione di M.Lombard e S.Bolin, si rivelano, piuttosto che come barriera, molto pi come stimolo alla ripresa dei commerci e al configurarsi di una vera economia europea), i quali, connettendo e integrando il Mediterraneo nella pi vasta rete commerciale confluente nell'Asia centrale, incentrata intorno alla ricca Baghdad, e offrendo beni, mercati, oltre che domanda, danno impulso ad un maggiore dinamismo economico e ad una sostanziale ripresa dell'Europa, ora non pi focalizzata su un Mediterraneo come centro economico-culturale, ma maggiormente orientata in direzione sud-orientale. Dall'altro lato, nello specifico, le ultime considerazioni fatte dal Wickham, che permettono di vedere i modelli di produzione elaborati e lo scambio di merci all'ingrosso su larga scala come chiari segni di sfruttamento e di risultanti gerarchie di ricchezza (in tal caso, dunque, per il Wickham, la correlazione complessit di scambio-progressiva accumulazione di ricchezza solidamente fondata e riscontrabile), forniscono, in conclusione, un'immagine molto meno romantica e marittimo-mercantilistica dei sistemi

economici medievali, il cui elemento strutturale e predominante, di definizione della scala delle attivit e degli scambi commerciali/culturali, sembra dimostrarsi sempre pi dipendente dalla scala dell'esazione fiscale e della rendita agraria sulle classi contadine agglomerate nei centri fluviali di maggior produttivit e concentrazione del mondo mediterraneo medievale. Un'mmagine che comunque contribuisce ad illuminare di nuova luce, secondo un'ottica pi dinamica, composita, correttamente diversificata ed economicamente coerente, al di fuori di ogni forma di sapere convenzionale o teorizzazione pregiudiziale, un Mediterraneo medievale che appare ormai sempre pi dilatato nei suoi spazi e interconnesso nelle sue parti, sempre pi multiforme e frequentato, animato da miriadi di movimenti e graduali trasformazioni; proprio tutto questo ha contribuito a modellare la natura di un' economia propriamente europea, che sembra emergere cos, ai suoi albori medievali, tutt'altro che stagnante, ripiegata su se stessa, decadente, bens dotata di una straordinaria apertura, verso molteplici direzioni ed in innumerevoli forme, e di uno spiccato dinamismo nei cambiamenti che hanno condotto alla sua formazione.

Bibliografia di riferimento: -H.Pirenne, Maometto e Carlomagno, Laterza, Bari (1969) -F.Braudel, Civilt e Imperi del Mediterraneo nell'et di Filippo II, Einaudi, Torino (1973) Il Mediterraneo. Lo spazio e la storia, gli uomini e la tradizione, Bompiani, Milano (1987) -R.Hodges-D.Whitehouse, Il Mediterraneo e l'Europa nell'Alto Medioevo in R.Francovich, Archeologia e storia del Medioevo italiano Mohammed, Charlemagne and the Origins of Europe, Oxford (1983) -P.Horden-N.Purcell, The Corrupting sea. A Study of Mediterranean History, Oxford (2000) -N.Purcell, The boundless sea of unlikeness? On defining the Mediterranean in Mediterranean Historical Review, 18:2, 9-29 (2003) -M.McCormick, Origins Of the European Economy, Cambridge (2001) -C.Wickham, Framing the Early Middle Ages , Oxford (2005) -A.Cameron, Storia dell'Et Tardoantica, E.Jaca Book, Milano (1992) -C.Dawson, La nascita dell'Europa, Mondadori, Milano (1969) -P.Brown, La nascita dell'Europa Cristiana, Laterza, Bari (1995) -S.Bono, Sulla storia della regione mediterranea in Mediterranea. Ricerche storiche, n.5 (2005) -G.Galasso, Il mezzogiorno di Braudel in Mediterranea. Ricerche storiche, n.10 (2007) -E.Peters, Quid nobis cum pelago? The new Thalassology and the Economic History of Europe in The Journal of Interdisciplinary History, vol.34, n.1, Massachussetts Institute (2003) -A.A.Husain-K.E.Fleming, A Faithful sea. Religious Cultures in Mediterranean, 1200-1700 (nello specifico, l'introduzione all'opera), Oxford (2007)

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