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La Nascita Una brezza fredda e lamentosa, come il recitare i nomi degli angeli, mi carezzava il volto e mi scompigliava i capelli.

Mi asciugai il sudore che imperlava la mia fronte e tornai a spingere puntando i piedi e inarcando il busto. Il pesante sarcofago di pietra consunta e grigia non accennava a spostarsi n a barcollare. Era incrostato da chiss quanti millenni di muschi, edere velenose e radici friabili. Sentivo lo sguardo beffardo delle Fate aleggiare alle mie spalle come stiletti nella mia schiena. Non avrei ceduto. Non avrebbero vinto! Rocce di ogni forma e dimensione ondeggiavano nel cielo buio e privo di stelle. Una pioggia finissima e obliqua rendeva il terreno scivoloso e lerba sembrava avvinghiare con dita sottili le mie caviglie. Sbuffai e imprecai. Nessun uomo, mi dissi, o spirito o dio pu fermarmi in questo momento! Un suono, come di flauto, stridulo e dissonante si accese nel nero orizzonte che mi circondava. Era insistente, pressante, costante. Non mi permise di concentrarmi nello sforzo Aprii gli occhi nella semi oscurit di un pomeriggio piovoso. Gocce minute battevano leggere sulle imposte socchiuse del mio studiolo. In giornate come quella comprendevo quanto limmane accozzaglia di libri, talismani, ciondoli e strumenti vari rendesse la mia casa piuttosto inquietante. Il ronzio di sottofondo, al quale ero assuefatto da molto tempo, mi indic la presenza del mio personal. Da due giorni ormai computava senza sosta i complessi calcoli per determinare la data e il luogo dell Incontro. In molti sogni avevo ricevuto indicazioni precise ma non lasciai nulla al caso. Lo schermo era prevalentemente nero e mostrava solo alcune cifre scritte in un bianco lattiginoso. Controllai le coordinate. Mancavano ancora una decina di giorni allincontro e avevo tutto il tempo di prepararmi. Spensi il computer con la bonomia con cui si da un giorno di riposo al proprio fedele maggiordomo. Scesi al primo piano, attraversai la minuscola cucina e mi diressi nella stanza del Cerchio. Un paio di ore di meditazione, mi consigliai ad alta voce, mi avrebbero di certo fatto bene. Notai, non senza una certa impressione, che iniziavo a parlare da solo. La cosa non mi stupiva in s. Mi stupiva la consapevolezza della solitudine che il mio compito imponeva, secoli di solitudine.

Mi chiesi se anche i miei predecessori avessero avuto la stessa sensazione. Mi apparve avvolta in una nebbia bassa e strana. Da principio avvertii solo un vago disegno ripetuto, come pietre di pavimentazione decorate o come un immenso mosaico. Man mano che i miei occhi si abituavano alla penombra potevo osservare le case dai muri di mattoni rossi che coronavano una piazza. Al centro svettava una fontana maestosa composta da figure geometriche inquietanti e candide come il ghiaccio battuto dal sole. Lacqua scrosciava limpida ricadendo e disperdendosi in una miriade di rivoli scintillanti nei meandri delle assurde intersezioni. Dove avevo gi visto quella scena? Nei miei sogni? Nelle mie vite precedenti? Nel momento in cui la fusione sarebbe stata completa avrei saputo ancora distinguere i ricordi? Decisi di immergermi dove nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di seguirmi e mi sedetti nel Cerchio. Nei giorni seguenti mi limitai a meditare, a digiunare e a preparare le valigie per il viaggio. Partenza, viaggio, arrivo, tutto si svolse come direttamente assistito dagli dei. Arrivai nel luogo indicatomi senza intoppi e decisi di compiere un breve sopralluogo. La piazza era esattamente come la ricordavo. Ma la ricordavo? La gente mi circondava. Li percepivo come figure non stabili, non reali. Asincrone. Si muovevano lentamente, stancamente. Si trascinavano al limite di un limbo. Forse il mio stesso io fluttuava tra la realt solida e la variabilit delleternit. Mi sedetti sul bordo della fontana. Alcuni spruzzi di acqua gelida colpirono il mio volto. Lo scroscio dellacqua era ad un tempo unico e molteplice, formato da numerose armoniche. Una ragazza dal maglione rosso mi sorrise, ricambiai. Ormai era il momento. Un buio innaturale pervase lintero mio campo visivo. Strutture che sfidavano limmaginazione fuoriuscirono dal terreno contorcendosi come megaliti viventi. Su ognuna di esse riconoscevo milioni di simboli incisi, scolpiti e dipinti. Era un tempio antico come il tempo stesso, significativo per me e tutti i miei predecessori, ma immaginario e irraggiungibile per chiunque altro. Dinnanzi a me si addensavano nebbie con adunche protuberanze ed escrescenze. Erano i guardiani di quel luogo senza tempo.

Non li temevo. Una voce triplice e risonante si fece udire da ogni dove. Sei pronto? chiese. Lo sono. risposi con convinzione. Mi apparve la loro immagine dolce e evanescente. Lunghissimi capelli nero corvino ondeggiavano nellaria e vesti indefinite si dissolvevano nella nebbia cos come i loro volti. Erano splendide e affettuose cos come dovrebbero essere le Fate dei sogni ma le loro espressioni, cos avvenenti, mi apparivano maligne e tenebrose. In quelli che ormai erano i miei ricordi conoscevo le loro azioni, i loro pensieri, i loro scopi e una parte di me si ribellava e voleva gridare in faccia alle Fate la mia rabbia. Ma non potevo. Un accordo antico come luniverso legava i miei predecessori al loro volere e me con essi. Posi a malincuore un ginocchio a terra e attesi linvestitura. Sol si avvicin con passo leggero spandendo nellaria petali di fiori profumati. Parl dolcemente, e con essa le altre due, in un unico coro. Siamo Sol, la Vita. Ti abbiamo scelto fin dal principio per proteggere gli esseri che vivono nel tempo. Sei pronto a questo?. Lo sono. Il peso di quella domanda mi colp allo stomaco ma non avevo varcato le Soglie Proibite per spaventarmi cos facilmente. Sol si ritrasse intanto che sua sorella Pan si fece avanti. Spine di rovi si stendevano sotto i suoi piedi graziosi costellandoli di punture vermiglie. Noi siamo Pan, la Morte. Sei pronto a stendere il velo grigio del nulla su chi ostacola il nostro cammino? Lo sono! Un brivido corse lungo la schiena facendomi esitare. Pan si ritir umilmente mentre, con le mani giunte in grembo e con un passo tanto leggero da non manifestarsi, avanz Anm. Mi guard a lungo con gli occhi neri e lucenti. Noi siamo Anm, lo Spirito del Mondo. Leggiamo nei tuoi occhi il lampo dellodio. Il nostro agire ha un fine superiore e giusto. Sei pronto a perseguirlo senza domande?

Mi guard con un sorriso bonario e carico di gentilezza. Lo odiavo. Da millenni ormai le Fate ricattavano la mia stirpe per agire nel mondo del Tempo e lodio di centinaia e centinaia di Custodi, viventi nella mia mente, non poteva essere a loro celato. Mi limitai a rispondere secondo il rito. Lo sono! Il mio Io era stato educato nel corso degli anni per assolvere a quel compito. Ogni mia esperienza, ogni avvenimento della mia vita era stato modellato allo scopo di generare un Custode. Un prescelto delle Fate. Per quanto volessi ribellarmi e distruggere tutto quel reame statico, sapevo di non poter far altro nella vita e oltre. Le Fate avanzarono. Anm, al centro, toccava gli oggetti che Sol a sinistra e Pan a destra reggevano con le dita sottili e aggraziate. Tra le mani di Sol vi era una maschera di metallo, cos lucida da riflettere pi e pi volte le mani e le vesti della Fata come un magma policromo. Solo due tasselli triangolari, allaltezza degli occhi, interrompevano la superba perfezione di quelloggetto. Pan reggeva due stiletti dargento dalle lame sottilissime, lunghe, perfette. Mi porsero gli oggetti con solennit mentre Anm infondeva in essi, e in me, il potere dei Reami senza Tempo. Ormai il rito era compiuto e con esso il mio destino. Mi congedarono recitando un salmo pi antico delluomo e del mondo. Le Fate sparirono in un soffio, il tempio si ritrasse in un silenzio completo. Dur un attimo. Un battito di ciglia. La ragazza dal maglione rosso mi guard con perplessit. Non so valutare quali espressioni percorsero il mio viso durante il colloquio. So, per certo, che un sorriso obliquo sfigur la mia abituale impassibilit. I miei occhi lampeggiarono di millenaria follia mentre il viso delle Fate si dissolveva nel volto meno grazioso, ma pi umano, della mia interlocutrice. Sorrise di nuovo e parl muovendo appena le labbra, era vagamente divertita : Stai bene? Aveva in mano alcuni libri e fascicoli. Sono solo un po stanco. Grazie. risposi.

Mi sentivo ancora stordito dallesperienza appena vissuta e avevo un aspetto febbricitante. Scusami ma devo andare. le dissi alzandomi. Osserv il mio incedere mentre mi allontanavo verso larco a sesto acuto che fungeva da uscita verso i vicoli del centro storico. Non la vidi, la percepii. Il potere degli Antichi fluiva nel mio corpo. Ero ebbro. Tornai alle mie occupazioni quotidiane, monotone forse ma rassicuranti. Ora potevo vedere ben al di l del visibile e anche la stanza, che da sempre era il mio rifugio, diventava piena di effluvi, presenze, passaggi e altro di cui non voglio narrare. Un senso di malinconia mi pervase. Coscientemente avevo accettato quel ruolo eppure, come il suicida guarda il vuoto sotto di s, ero anche cosciente che non avrei mai pi potuto essere un uomo qualunque e ignorare i mondi oltre le Soglie. Nei giorni a seguire mi abituai alla mia nuova condizione, alle visioni e agli incubi. Eppure quando giunse la chiamata, mi colse impreparato. Ero impegnato nel calcolo di un portale che mi sembrava piuttosto debole quando udii il campanello suonare. Scesi con calma e aprii la porta. Il sole del tardo pomeriggio mi accec per un attimo e fui costretto a stringere gli occhi. Cerano due donne e un uomo vestiti piuttosto elegantemente. Non feci in tempo a pronunciare le solite frasi per allontanare i questuanti quando un brivido mi scosse completamente. La realt intorno a me era mutata, rallentando, deformandosi. Parlarono in sincrono con voci che non appartenevano ai loro corpi. Gli occhi erano spenti e fissavano il vuoto, dondolavano lentamente. Abbiamo visto e abbiamo sentito. Candele sono state accese, voci stanno cantando. I loro riti noi non approviamo. Vai e ferma il loro salmodiare. Va e compi il tuo dovere Custode. Noi abbiamo parlato. Con leco di quelle parole nelle orecchie chiusi la porta sgarbatamente. Udii gli epiteti che mi vennero scagliati dagli inconsapevoli emissari ma non ci badai. Un abisso senza fine si estendeva in verticale irregolarmente sotto i miei piedi. In esso figure indistinguibili si contorcevano e grugnivano. Invocavano in mille lingue mostrando i loro arti scarni e

deformi. Osservavo la scena colmo di disgusto e vertigine. Un senso di colpevolezza invase il mio animo. Io avevo causato tutto quel dolore. Io ero il fautore di tanta disperazione. Provavo il desiderio di affogare tutte le mie colpe, in quel mare di anime torturate. Quali colpe mi chiesi? C forse colpa nelleseguire ci che la propria natura impone? Si sente colpevole il lupo che azzanna il coniglio? Si sente colpevole la gazzella per non aver corso abbastanza? Mi destai pieno di interrogativi. La sveglia sul comodino mostrava, con segni sanguigni, la tarda ora della notte. Era il momento di agire. Ero la spada fiammeggiante della punizione, ero lo schiaffo del padre, ero il chirurgo che recideva larto malato. Entrai nella sala del Cerchio. Sul pavimento della stanza perfettamente cubica era posta una struttura circolare di rame e bronzo. Era cos complessa da descrivere lintero universo eppure semplice per chi sapeva leggerne la simbologia. Rappresentava il Cosmo e le sue Soglie, lo Spazio e il Tempo. Rappresentava ogni punto di questo mondo e ogni suo momento. Mi posizionai al centro della struttura come ero solito fare quando dovevo immergermi nella meditazione. Non esitai. Inspirai profondamente tanto da sentirmi leggero. Bagliori come di fiamma, come spiriti inquieti, eruttarono da ogni simbolo del Cerchio man mano che avvicinavo la mano destra, aperta, a coprirmi il volto. Fu un istante interminabile. Non so se sar capace di descrivere le sensazioni intensissime che provai. Era come vivere tutto il tempo in un unico momento, come un vortice. Quando tolsi la mano il mio volto era coperto dalla maschera di metallo del Custode. Sentivo una strana forza, una strana determinazione che mi era normalmente estranea. Sentivo il rumore del mio respiro incupito dallo schermo metallico e percepivo il mio essere reso pi minaccioso, pi inquietante. Tracciai con le mani i Segni, come a scrivere nellaria i miei desideri. In un istante mi trovai nascosto dalle ombre proiettate da una balconata che correva tutto intorno ad un enorme capannone abbandonato. Dai finestroni opachi, posti molti metri sopra di me, proveniva una luce diafana. Echi ritmici rimbombavano da una parete allaltra del magazzino. Dal lato opposto potevo vedere chiaramente, alla luce di molte candele, figure aggraziate danzare in circolo con movimenti a tratti sinuosi a tratti rigidi come burattini.

Una voce, rauca e polverosa, prese il sopravvento sulle altre e chiam una lunga serie di nomi di angeli e di demoni invocandone i favori e la protezione. Percepivo la presenza degli spiriti intorno al cerchio mentre lentit invocata non era ancora presente. Una miriade di fluidi erano ansiosi di insinuarsi in uno spiraglio per passare nella nostra realt. Forse erano defunti inquieti, forse elementali. Non aveva importanza. Non avrebbero dovuto entrare, questo era il volere delle Tre. Quando mossi il primo passo fuori dalle ombre ebbi limpressione di aver compiuto quel gesto milioni di volte. Il mio corpo si muoveva quasi automaticamente con la pratica di secoli e secoli. Mi notarono solo quando fui a pochi metri da loro. Le giovani danzatrici seminude fuggirono in varie direzioni cercando riparo, piangendo, gridando in preda al panico. Evidentemente mi avevano riconosciuto. Chi non conosce lira del Custode? Chi tra gli stregoni non cerca da sempre riparo dai miei occhi? I tre celebranti bardati riccamente di paramenti dorati rimasero impietriti. I due uomini ai lati della sacerdotessa accennarono qualche pallido sortilegio e qualche scongiuro poi, disarmati, tentarono di darsi alla fuga ma si arrestarono ansimanti al mio comando. Non sapevano forse che sono invincibile? Lanziana strega mi fissava piena di sgomento e rabbia, per lei ero un demone intruso, lostacolo da superare per compiere qualsiasi prodigio. Non poteva sapere che, dietro la maschera del Custode, dietro lentit verso la quale si lanciavano scongiuri e si tracciavano circoli, si celava in realt un semplice uomo. Tesi le braccia verso lesterno con i palmi aperti. Nelle mani si materializzarono gli stiletti richiamati dalle mie parole. Li affondai simmetricamente nello sterno dei due celebranti ai lati. Le lame affondarono senza nessuna difficolt portando una morte silenziosa e istantanea, giusta. Mentre compivo quella triste operazione fissavo negli occhi la sacerdotessa. Aveva i capelli bianchi e il volto percorso da minute rughe. Vedendo la mia determinazione mi sfid con fierezza. In altre occasioni avrei ammirato la sua forza e la sua brama di conoscenza. Estrassi gli stiletti. Produssero un suono cristallino come diapason celestiale. Puntai le lame verso la gola della celebrante. Vidi il mio volto, coperto e policromo, riflettersi nelle sue pupille umide di rabbia. Affondai le lame nelle tenere carni della

donna. Spir in un gorgoglio sommesso. Chiusi gli occhi per qualche istante. Portai i pugnali, in verticale, di fronte a me e pronunciai la frase prescritta nella lingua antica. Un vento evocato dal nulla spense le candele e mi indic che le Fate avevano approvato il mio gesto e si stavano appropriando degli spiriti colpevoli dei celebranti. Le danzatrici erano fuggite approfittando delle ombre e delle casse sparse per il magazzino, non cera bisogno di eliminare anche loro. Le porte metalliche del capannone sbattevano ritmicamente in balia del vento. Il mio compito era finito. Camminai lentamente nella penombra, chiamai una Soglia e la attraversai. Ora che la furia di giustizia si era spenta avevo la morte nel cuore. Non avrei mai potuto tornare indietro. Ora non pi. Nel buio degli eoni che ora la mia dimora, osservo vivide le immagini del mio passato. Quella fu la prima volta. Nel Destino c sempre una nota ironica, una connotazione faceta. Non ho potuto scegliere quale fosse la via da dare alla mia vita e ora, dopo tanto tempo, vengo giudicato per colpe non volontariamente commesse. Avrei dovuto rifiutare? Essere pi forte? Ma come ci si pu opporre al Destino? Fin dalla notte dei tempi io e tutti quelli come me, siamo stati forgiati per un compito specifico da volont eterne e impietose. La nostra unica colpa stata di non poter scegliere. Ora sono stanco di ricordare spegner la mente per concedermi un po di riposo e immergermi negli incubi che da sempre mi sono compagni ed amici. Ora lasciami andare. Potrai evocarmi in futuro per conoscere altro di me se lo vorrai. Lardore di conoscere che leggo nei tuoi occhi mi intenerisce e mi spaventa. Forse dovrei impedirti di addentrarti in certi misteri. Ma chi sono io per oppormi al Destino?

Come in cielo, cos in terra Tutto ci che mi rimane un abbraccio. Una mano che sfiora appena la spalla, e gli occhi pieni di un azzurro stupore. Quella breve notte colm il mio animo di consapevolezza quanto solo pochissimi saggi osano assaporare, eppure non posso ripensare a quei giorni fugaci senza che la tristezza offuschi la perfetta calma di cui sono padrona. Scavavamo sulla collina nord: un settore di sterpaglie e campi coltivati a foraggio, appena fuori dalla periferia della frenetica metropoli nera e oro. Si trattava di un semplice rilevamento: qualche casa colonica, qualche coccio, niente di pi. Non si trattava nemmeno di un vero e proprio scavo archeologico ma di una banale tesina "sul campo" del primo anno accademico. Ero molto spaesata in quei giorni ed irritata. Di indole chiusa e altera, non trovavo interessanti i miei compagni e preferivo svolgere le mie ricerche in perfetta solitudine. Ci eravamo trasferite da poco, io e mia madre, in un villino bianco di legno e mattoni. La mamma aveva caldeggiato fortemente il nostro trasferimento perch luniversit che frequentavo prima era poco prestigiosa e male organizzata, restrittiva per le mie capacit. Il destino, a volte, gioca strani e meravigliosi scherzi. Osservavo, dallalto di una collinetta, la zona degli scavi e notai una specie di corridoio erboso, una guida verde scuro, la quale indicava un recinto o una parete di qualche vecchia casa. Annotavo distrattamente quellinformazione su un taccuino per poi riportarla, opportunamente ornata di dotte considerazioni nella tesina, quando mi raggiunse una voce. Che fai? chiese. Mi voltai infastidita da tanta sfacciata stupidit. Possibile che non capisse le mie intenzioni? Rilevamenti. risposi seccata. Avevo di fronte un uomo dallaspetto banale, lineamenti cos comuni e mediocri che non avrebbero sostato a lungo nella memoria, capelli arruffati e una tuta da meccanico sporca derba. Questo lo so. mi tratt come se non avessi capito la domanda, era sereno, maledettamente, fastidiosamente tranquillo.

Allora perch lo domandi? Che vuoi? Ho da fare! Appunto. Cosa fai?" ripet. "Cosa stai facendo, stai lasciando fare o pensi di fare? Sei normale? lo insultai. Il fastidio iniziale divenne vera e propria intolleranza. Mi ero imbattuta in uno zotico sotto dotato, figlio di qualche fattore nelle vicinanze, che aveva pensato bene di importunare proprio me. Il sorriso che mi dedic fu come un taglio netto, una coltellata nel bel mezzo del suo volto. Ebbi limpressione che qualcosa non andasse nella realt. Sbattei le palpebre. Quando il senso di vertigine mi abbandon, udii finalmente le sue parole sussurrate. Gli antichi egizi dicevano: spesso ci che appare non e ci che , meglio che non appaia. Gir i tacchi e se ne and da dove era venuto. Classificai quelle sensazioni come effetto del troppo sole e mi ripromisi di non frequentare pi quel luogo. A certa gente non dovrebbe essere permesso di circolare, mi dissi, dovrebbero metterli in qualche istituto. Il resto della giornata scorse monotono e indisponente: il solito mediocre pranzo alla mensa, il vocio di centinaia di inconcludenti creature, gli approcci fintamente spavaldi di adolescenti in eccedenza ormonale. Tante vite, ai miei occhi, patetiche e scoraggianti. Tornai a casa accolta dal silenzioso qualunquismo del vicinato rispettabilmente borghese. La mamma trascorreva la maggior parte del tempo nella sua vestaglia rossa, maledicendo gli editori senza scrupoli che le avevano bruciato la carriera, e beccando di tanto in tanto sulla tastiera degli incipit che si spegnevano immancabilmente nella carenza di ispirazione. Per qualche anno era stata sulla cresta dellonda, splendendo nellolimpo degli autori, poi si era dissolta nel nulla, e ora odiava tutto e tutti, in quanto non ammiratori delle sue opere. Tutti, ovviamente, tranne il frutto del suo seno, per la quale nutriva un gigantesco, sognante, amore materno. Come andata oggi cara? chinguett vedendomi. Il solito mamma. appoggiai lo zaino con cura nell'armadietto dell'ingresso. Deve essere penoso per te condividere le tue doti con una manica di decerebrati! comment comprensivamente.

Non risposi, non cera nulla da rispondere del resto. Non avevo mai avuto difficolt in nessun campo e, con il giusto apporto di studio e impegno, si poteva arrivare ovunque. Non capivo come mai tanta gente riuscisse a parcheggiarsi all'universit. Mi diressi verso la mia piccola stanza ancora sotto sopra per il trasloco. Pensa che ho tentato di comunicare con la vicina di casa." continu la mamma seguendomi. "Una tipa disgustosa, senza un briciolo di intelligenza. Solo casa, marito, dolcetti dietetici e reality. Una vera piaga sociale! continu per un bel pezzo. Dalla finestra che dava sulla strada lo vidi arrivare con la sicurezza di un lattaio, e la curiosit di un turista. Suon al campanello, aspett fischiettando, parl con mia madre che lo guardava come se avesse in bocca il pi aspro dei limoni. Aveva chiesto ai vicini se qualche villico, come diceva lei, fosse disposto a compiere qualche lavoretto nel nostro appartamento, e aiutare due povere donzelle indifese. Evidentemente i vicini le consigliarono di rivolgersi alluomo che viveva solo sulla collina. Curioso, nessuno lo chiamava per nome, e nessuno lo descriveva con pi di un dettaglio o due. Lidea di averlo per casa mi riempiva di repulsione e di un senso indefinito di pesantezza nel petto, come se mi aspettassi da lui qualche gesto inconsulto. Era una sorta di angoscia proveniente dal fondo anonimo dei suoi occhi, dal vuoto cosmico che percepivo al di l del suo volto. Per ogni evenienza mi barrai in camera con la scusa della tesina. Trascorsero un paio di giorni e non parl mai. Lavorava tranquillo: spostava mobili, verniciava steccati, svitava e avvitava e non prestava mai attenzione ai nostri discorsi, o alle frecciatine sarcastiche di mia madre, e ai resoconti volutamente annoiati delle mie giornate. Terminammo di cenare, quella sera, cullati da una fresca brezza dalla veranda; oltre la collina, nellazzurro cupo di un cielo prossimo al tramonto, la linea spezzata della grande citt ricamava lorizzonte di un merletto nero impreziosito doro. Rimasi a guardarlo a lungo, come se quell'immagine dovesse svelarmi un segreto, come se potesse farmi ricordare quanto sognato nel dormiveglia.

In breve riordinammo la cucina e mi ritirai per leggere un trattato di psicologia il quale, probabilmente, sarebbe stata la mia seconda laurea. Lo incrociai nel corridoio, era cos discreto che ci eravamo quasi dimenticate di lui. Trasportava un grosso sacco nero pieno di cianfrusaglie da buttare. Fammi passare. ordinai. Perch? la sua voce nascondeva una rivelazione, tentennai. Perch devo andare in camera. risposi cantilenando per mascherare con l'insofferenza quel senso di angoscia. E perch devi andare in camera? continu. Lo guardai, mentre sprofondavo in una voragine di stupore, perch non mi stava prendendo in giro, sembrava pi sul punto di rimproverarmi per qualcosa. Devo studiare, leggere, conoscere! Sai cosa vuol dire? E tu? chiese di rimando con la sua voce abissale. Ebbi di nuovo una forte sensazione di vertigine: nella mia mente milioni di voci bisbigliavano nel buio, e cantavano qualche mistero antico come il tempo. Mi hai scocciato! Sei deficiente! Spostati o ti prendo a sberle! Lo spinsi di lato senza guardarlo negli occhi, e corsi in camera stringendo il mio libro come uno scudo. Lui non si mosse, non si volt, ma qualcosa mi raggiunse alle spalle tendendomi un agguato, poco prima che le sue parole mi investissero come uno schiaffo. Come puoi avere la presunzione di conoscere, se non sai rispondere a delle semplici domande? Quando ti verranno posti i veri quesiti scapperai? Quando tenderanno le loro mani al cielo, saprai rispondere alle loro suppliche? Boccheggiai, voltandomi risoluta, chiesi sprezzante: E tu li conosci i veri quesiti? Conosci le risposte? Mi inchiod con lo sguardo, nulla sul suo volto indefinito tradiva una sola briciola di iracondia, le sue labbra sottili quasi non si mossero. Se solo sapessi guardare nellOnda vedresti ci che . La tua mente strariperebbe di risposte pi di quanto la tua bocca possa pronunciare le domande. Onda.

Quella parola si materializz nella mia mente come una galassia luccicante di stelle, come un vortice ribollente, come folle ondeggianti in preghiera, come tutto ci che , che era e sar nei secoli... Quando hai finito col sacco puoi andare a casa. Ecco tieni questi per il disturbo. Mia madre era spuntata, svolazzante e vaporosa, interrompendo la nostra conversazione. Tornai con i piedi per terra. Lui sembrava contento e imbarazzato, con la mano nei capelli, mentre riceveva quei pochi spiccioli. La sua immagine era tornata goffa e piatta, ma ormai non riuscivo pi a classificarlo. Lo guardai andarsene nella semi oscurit della nostra ordinatissima via secondaria. Quella notte non chiusi occhio. Non riuscivo a immaginare per quale motivo avessi quelle forti sensazioni quando mi trovavo in sua presenza, eppure una spiegazione doveva esserci. Una spiegazione razionale, logica e, soprattutto, rassicurante. Ammetto di averlo evitato per non so quanto tempo. Consegnai la tesina, mangiai alla mensa, sostenni esami e completai larredamento della mia piccola stanza, ma ogni cosa ormai era senza sapore. Non vi era pi solidit nelle cose, non c'era pi sostanza nei volti e nelle parole di chi avevo intorno; nemmeno disprezzo, superbia, fastidio. Vedevo ogni cosa attraverso un filtro opaco che risuonava del colore delle sue iridi (ancora non ricordo quale sia) e udivo ogni suono come un'armonica delle sue parole. Un bel pomeriggio di sole, distesa sul mio letto, chiusi il libro di psicologia e decisi che dovevo affrontare quelluomo. Non mi importava l'origine di tanta suggestione, o il significato che, via via, le andavo affibbiando, dovevo affrontare le mie paure e superarle. In quel momento mi accorsi che lui non cera pi. Chiesi a mia madre che fine avesse fatto. (Da quanto avevo smesso di chiamarla mamma?) Gli ho dato qualche altro spicciolo e lho mandato via. Tutti i lavori pesanti sono terminati, e ci far bene trascorrere un po di tempo io e te a sistemare la nostra bella casetta. La vidi. Fu come aprire la porta di legno vetusto di un giardino segreto.

La vidi per quel che era: una povera donna sola e impaurita. Mi sembr magra e decadente, una foglia nel vento impetuoso, incapace di difendersi, incapace di reagire. Ebbi paura, cosa mi aveva fatto quello sconosciuto? Biascicai delle scuse e tornai di corsa sulla collina, cercai nel luogo dove lo avevo incontrato la prima volta, ma trovai solo erba ondeggiante e piccoli fiori gialli. Il cielo blu, in ununica pennellata, mi sovrastava come se avessero tolto il velo che copre il mondo e io, vulnerabile, ero un pesce alla ricerca di un rifugio. L'universo era sempre stato cos grande? Lorizzonte sembrava non avere limiti: intorno a me le colline pezzate di campi coltivati, oltre, paesi e villaggi, grandi metropoli indaffarate, montagne imponenti, rocce sagge, acque narranti storie pi antiche delluomo e animali in ogni regno. Ancora. Capanne e palafitte e uomini, dalle scimmie allo spazio e oltre, in sentieri di mente e energia. Barcollai sopraffatta da tutto ci che . Avrei voluto gridare o impazzire pur di non dover sostenere tanta consapevolezza nel mio petto, fino ad allora, arido e indifferente. Caddi in ginocchio, e poi allindietro, e mi ritrovai sprofondata nellerba a contatto, per la prima volta, con la terra stessa; la Terra Vera. Pensai di essere stata drogata, pensai di essere impazzita. In quel momento il cielo mut, come il sangue nellacqua: nuvole tempestose di un cupo rosso vorticarono in un cielo di pece, nero come mai lo era stato nella notte pi buia. Mi manc il respiro, mi sentii soffocare da quella visione, da una vivida allucinazione, e gridai finalmente fino che la mia voce divenne un sibilo roco. Poi vidi le stelle: milioni di volti luminosi, nuvole luminescenti dal bianco allazzurro, al rosa, all'oro e mi sentii calma e cosciente. Non preoccuparti, mi disse. E' successo a tutti noi. Ora alzati, voglio mostrarti una cosa. Mi alzai leggera, mi trovavo di nuovo sulla collina ma ormai era buio. Chiss per quanto tempo ero rimasta distesa sullerba, da quanto tempo lui era l con me.

Quante domande vero? chiese sorridente. Lo guardai esterrefatta, ma non avevo pi timore di lui, forse avevo gi compreso. Potevo vedere la via pulita e ordinata con i suoi i villini bianchi, tutti uguali e civili, tuffarsi gi dalla collina e correre verso la grande citt nera e oro. Perch proprio io? chiesi. Perch ce ne deve essere sempre uno per vegliare su tutto. fece un gesto ampio con la mano e lorizzonte si rivel a me dipanandosi su un canovaccio: c'era la storia del mondo, in quel gesto, e la vedevo per la prima volta. Ora guarda. Mi cinse le spalle con un braccio, un gesto lento e caldo, paterno: cercava di prepararmi allultima visione. Fui rapita, trasportata da un vento alle mie spalle. Il cielo immenso si apr come le onde in uno stagno mentre al centro si accendeva la pi intensa delle luci. Il mondo, allesterno del nostro tempo, bruciava come tutte le stelle insieme tanto che il cuore caldo della galassia era solo una scintilla di quella forza. Un getto di luce, di energia, scese dal cratere nel cielo, una cascata di zaffiri scintillanti, di lucciole fatate in una notte magica, e deflu attorcigliandosi verso la grande citt, verso la terra che lo accolse aprendo le sue membra. Mi aspettavo di vedere la citt dissolversi nella catastrofe celeste, eppure essa non si accorgeva del miracolo. La terra era un oceano di luce blu, brulicante di vita: ogni singola vita riluceva sotto la sua superficie. Lenorme tuffo dal cielo alz una corona di onde, montagne di acqua viva, che si espansero alla velocit del fulmine, investendo e sovrastando ogni cosa, ruggendo e bisbigliando poich in esse esistevano vita e morte, forza e dolcezza, essere e divenire. Vedi? bisbigli al mio orecchio. Il Drago del Cielo malato, e chiede aiuto alla Madre Terra dalla quale risorger, come fece nella notte dei tempi. Londa si plac. Il cielo si chiuse come se nulla fosse mai accaduto e la citt indaffarata dorm al caldo delle sue luci. Perch questo dono? sussurrai piena d'amore.

Non un dono." rispose con amarezza. "Ma uno ci deve essere sempre, e per me giunto il tempo di andare. Cosa dovr dire? lo strinsi a me, non volevo che se ne andasse, ma gi le voci mi avvisavano che sarebbe svanito. Non c nulla da dire. Cosa far? Te lo diranno, lo saprai. Stavo per replicare, tergiversavo, ma mi precedette posando la sua mano sulle mie labbra; parl pianissimo o, forse, non parl affatto: E stato bello conoscerti. In un battito di ciglia non era pi l. Nessuna luce, nessun suono, nulla, solo un incredibile senso di vuoto. Potrei raccontarvi altro. Spiegarvi il senso di molte cose, e mostrarvi ogni singola meraviglia, ma non spetta a me questo passo e voi non capireste. Ci sono cose che devono essere scoperte nellintimo di una giornata di sole, nel gelo di un vento dinverno, negli occhi dei gatti, nel ritmo incessante del mare. Potrei anche dirvi chi egli fosse, o quale fosse il suo compito, o chi lo ha mandato e cosa successo a me dopo, ma non servirebbe: dimenticherete questa storia come ne avete ascoltate e dimenticate altre, e sar bello per voi poter sognare di mondi inesistenti.

Eden Chi sono? Era impossibile, in quel viscido calore, il solo immaginare una sostanza corporea per i miei pensieri. Non avevo ricordi, n immagini di me stesso; non un dettaglio, non una sensazione tattile del mio corpo. Galleggiavo in un limbo, in un liquido caldo e vischioso: acque cristalline ma immote, statiche. Non so dire per quanto tempo rimasi in quella condizione, aspettando che qualcosa emergesse dal profondo, o che io stesso risalissi alle soglie di una coscienza attiva. Cos rimanevo immobile: una pallida volont, un ricordo di un ricordo di un essere vivente che si aggrappava con rabbia ad un comando: io devo proteggerli. Non potevo credere che la mia esistenza fosse solo un continuo domandare delle mie origini; non potevo accettare linutilit del mio pensare e decisi, terrorizzato, di sacrificare ogni energia pur di avvistare allorizzonte il senso di me. Fu cos che riemersi. Fu dolce e semplice eppure distruttivo come un cataclisma per il mio equilibrio. I bagliori di cristallo della superficie, immobili e lucenti, si avvicinarono lentamente, abbagliandomi di luminescenza, avvolgendomi, riempiendo la mia attenzione. Li attraversai e rimasi sospeso tra di essi. Il cielo mi sovrastava, immenso e opprimente: una cupola vorticante di rossi e neri. Nubi vermiglie, o nere come la pece, si miscelavano inesorabilmente e contrastavano con limmobilit innaturale delloceano in cui galleggiavo. La superficie dellacqua era increspata di piccole onde lucenti, graziose e perfette, ma ferme in un singolo istante. Compresi di essere in un limbo: un punto in cui il tempo, al suo stato puro e caotico, incontrava la perfezione dellimmota eternit. Lorizzonte, rosso e frastagliato, mi circondava fin dove potevo guardare e ben oltre potessi immaginare. Ero libero eppure imprigionato nellinfinita monotonia. Mi guardai intorno scoraggiato: la mia battaglia per la conoscenza era persa prima ancora di cominciare? Non potevo arrendermi

perch un grido potente si levava dal vano oscuro che era la mia mente: io devo proteggerli. Qualcosa esplose in me, unenergia inimmaginabile emerse da recessi insondabili del mio passato, fui colmo di potenza. Inconsciamente chiamai a me forze da quel profondo abisso che era il cielo; forze che mi ubbidirono come mastini fedeli. Dalla tempesta perenne chiamai a me una goccia, una singola fiammeggiante goccia di tempo, e la scagliai al centro di quel mare di stasi. Le acque cristalline vorticarono, ribollirono, poich avevo piantato nellordine assoluto una semente di caos primordiale e da questo stavo traendo una creazione, un appiglio. Le minuscole onde allorizzonte ruotarono a velocit incredibili, si mischiarono in spuma bianchissima, si gonfiarono in montagne di zaffiro e ricaddero tonanti sulla superficie delloceano schiantandomi i sensi e la volont. Stagliato nel cielo senza pace sorse un picco di roccia color del ferro, circondato da una corona di onde titaniche, cos alto da perdersi minuscolo nelle nubi di carbone. Quando il rombo assordante della creazione plac il suo grido, il picco arrest la sua ascesa e le onde spumeggianti, come elaborati merletti, si bloccarono ad ornarne la base per leternit. Stremato da quello sforzo osservai il parto della mia volont e fui affranto dallo sconforto: mi aspettavo una meta, ma avevo trovato solo un dubbioso inizio. Decisi di non arrendermi, cercavo una risposta ad una questione presente in ogni angolo della mia mente: io devo proteggerli. Mi avvicinai alla base del picco e questo colm il mio orizzonte tanta era la sua vastit. Su di esso figure, simboli di conchiglie minuscole, cerchi e spirali antiche di eoni. Antenne, forse, zampe, fossili di animali impressi nella roccia che mi apprestavo a scalare. Salii, arrancai, aggrappandomi a quelle raffigurazioni di carcasse, alla pietra fredda, a quella costellazione di vite passate, sfruttando solo la mia determinazione, la mia intuizione. Finalmente mi issai su di un altopiano di forma circolare coperto da un tappeto di ideale erba verde, soffice e profumata. Pi o meno al centro vi era una sporgenza, come un guscio di tartaruga, sulla

quale si apriva una grotta scura. Lingresso era coperto da una pioggia di minuscoli fiori viola e riparata dallombra di un albero dalle foglie grandi e smeraldine. Osservai curioso le venature ramificate di quelle foglie, la morbidezza dellerba, la perfezione frattale dei minuscoli fiori. Mi attardavo con il preciso scopo di non esplorare oltre laltopiano, avevo il timore di non essere approdato a nulla e fui di nuovo travolto dalla paura. Una piccola parte di me si chiedeva se avessi potuto comandare di nuovo la roccia degli eoni di sprofondare nel nulla. Chi si mette sulle tracce della conoscenza scopre, ben presto, di non essere il cacciatore ma la preda della sapienza; cos fui investito da una nuova rivelazione, semplice e letale. Guardi sempre quelle foglie. disse. La mia anima trem fin nel profondo e, se non fosse stato per la mia determinazione, si sarebbe dissolta nel breve spazio di quellaltopiano. Mi voltai. Sulla soglia della caverna, emersa dallalcova buia, stava una creatura per me incomprensibile. Era come una luce, un raggio di luce, e aveva membra esili e un volto dagli occhi grandi e curiosi modellato su un vago concetto di materia. Mi persi nella bellezza della sua curiosa felicit. Il vedere qualcuno al di fuori di me risvegli dei ricordi. Venivo da un mondo che non era loceano cristallino. Non appartenevo a questo reame ma lo avevo frequentato perch lo conoscevo bene. Nell altro mondo vi erano creature come me, molte altre, ma vivevano lontano e non potevano raggiungermi perch non sapevano nemmeno della mia esistenza. La vera scoperta fu lesistenza del tempo. Lo avevo sperimentato, mi scorreva intorno, misurava instancabile ogni istante della mia vita. Questo sempre stato il mio albero preferito, il pi bello di tutti! continu la creatura, senza badare al mio turbamento. Come puoi dirlo? Ne hai mai visti altri? chiesi. Sei sempre cos razionale. qualcosa di molto simile ad un sorriso si disegn sul suo volto imprecisato. Una cascata gelida di ricordi mi fece trasalire. Ora ricordavo emozioni: risa, pianto, sconforto, speranza. Quelli come me,

nellaltro mondo, le assaporavano ogni istante ma io ne rimasi tramortito come se le vedessi tutte insieme per la prima volta. Sei sempre cos silenzioso, sempre alla ricerca di qualcosa. Io sono sempre molto sola qui. comment imbronciandosi. Da quanto tempo sei qui? Da sempre. rispose perplessa. Che domanda sciocca avevo fatto, il tempo esisteva solo nella mia mente, solo io ero a conoscenza della sua inesorabilit. La mia creazione, fatta di oceano perfetto, era eterna e ogni istante, ogni emozione, erano per sempre. Cosa fai qui? le chiesi sovrappensiero. Guardo il mare, tocco lalbero e raccolgo i fiori viola. Mi sedetti sul ciglio dellaltopiano, rimirando la trama perfetta delloceano, mentre meditavo sulle mie azioni. La creatura, che ora mi si era seduta di fianco, lavevo creata io stesso. Nel preciso istante in cui il tempo, catturato dal cielo caotico,aveva lambito leternit del mare, avevo involontariamente modellato della materia sulla base della mia risonanza, dei miei ricordi. Ora un essere a me affine viveva per sempre in quel niente a perdita docchio. Divenni insofferente verso quel luogo, che prima mi era indifferente nelloblio. Qualcosa mi chiamava verso un esterno imponderabile nel quale dovevo assolvere un compito: devi proteggerli, devi proteggerli, non smetteva mai. Sentii di aver commesso un grave errore nella mia spietata caccia alla conoscenza, e ora ne pagavo le conseguenze sotto forma di uno strisciante rimorso. Come potevo chiederle di accettare la sua esistenza? Come potevo impedirle di porgermi la domanda definitiva? Sei sempre cos pensieroso quando siedi li. Io ti conosco da sempre ma non sono mai riuscita a capire dove volgi lo sguardo. E come se non fossi mai disposto ad accettare ci che vedi. Ogni volta che ti faccio questa domanda non mi rispondi, sono sempre molto delusa. Mi dispiace ma non riesco a spiegartelo. ammisi con un filo di voce.

Mi sento sempre molto stupida. chin il suo capo fatto di luce e si affievol. No, non sei stupida." risposi con calore. "Sono io lo stupido, sono io che non so spiegarti dove sto guardando! Dici sempre cos ma non ci hai mai provato. mi rimprover. Aveva ragione. Nellintera sua esistenza, che durava un attimo per me, non avevo mai tentato di spiegarle. La guardai fisso nellevanescente ovale del suo volto e tentai di affrontare quellardua, catastrofica, ordalia. Puoi immaginare che non esista un sempre? pronunciai quelle parole con la morte nel cuore, sapevo dove quella spirale mi avrebbe condotto. Non rispose. Immagina che esista qualcosa che inizia e finisce, qualcosa che ha un prima e un dopo. continuai. Si alz, percepivo un forte scoramento, avevo commesso lennesimo errore, lennesima presunzione e avevo rovinato lesistenza di un essere perfetto. Centinaia di voci si accesero nella mia mente, non era la prima volta che ritenevo opportuno comunicare lincomunicabile e, puntualmente, condannavo unesistenza ad una degradante disillusione; alla coscienza di non poter mai raggiungere ci che si anela, di non capire mai la lingua in cui era vergato il libro del sapere. Si allontan da me, si abbracci allalbero, il concetto di morte apparve sferzante nella mia anima e io la anelai pur di non vedere ci che stava accadendo. Conoscevo quello sguardo, la vacuit degli occhi curiosi, il disincanto di chi varca la soglia. Ho capito. sussurr a s stessa. Tu sei sempre stato diverso da me. Ora so che non sapr mai e che non potremo mai essere uguali. Sono sempre triste, sono sempre sola. si strinse ancor di pi, divenne piccola e fioca. Avrei voluto spiegarle che non era lei ad essere diversa ma io, non era la sua esistenza ad essere senza scopo ma la mia. Non cera nulla oltre il mio sguardo, solo ricordi di tempi inventati, lontani, immagini senza corpo nella mia mente malata. Lei era reale e

senziente, vera e meravigliosa, innocente ed eternamente felice. Solo la mia presunzione, la mia egoistica determinazione, lavevano coinvolta in una caccia spietata. Troppo debole per fuggire, troppo fragile per combattere. Ricordai il pianto e il dolore, ricordai di aver fatto del male a molte persone, ma mai avevo corrotto cos inutilmente unesistenza innocente in s. Mi sentii malvagio e sporco, un traditore e un assassino. Quellangolo paradisiaco fuori dal tempo era divenuto linferno della limitatezza ed era stata tutta colpa mia. Mi accorsi con orrore di una verit disarmante: chi vive nel tempo spera sempre in un modo per tornare indietro, per ingannare il vettore e seguirne il percorso a ritroso, ma per la mia creatura fuori dal tempo lo sconforto divenne sempre e per sempre. Forse quella era la punizione inflittami da altri abitanti del tempo, la perenne visione del male che si era provocato, linevitabile condanna a provocare sofferenza e a vivere in essa senza il conforto della rabbia o della lamentela, senza altri colpevoli se non s stessi. Dovevo salvarla per salvarmi, dovevo proteggerla da ci che avrebbe potuto nuocerle. Perch mi hai fatto?" chiese sprezzante all'improvviso. "Perch mi hai fatto senza la possibilit di capire? Perch mi rinchiudi in questo spazio e mi illudi che ne esista altro? Impazzisco al solo pensarci, eppure non riesco mai a darmi pace. Questo mondo sempre minuscolo, sempre ristretto, i miei pensieri saranno sempre lontani da ci che sei tu! Sei da sempre malvagio e io ti odio, e odio tutto questo! Non sapevo cosa sarebbe successo..." balbettai. Guarda che cosa sono! grid, e la sua voce tagli le nuvole e scosse loceano . Non posso fuggire, non posso nascondermi dalle domande. Non posso capirti e non posso sfuggirti ma so che c molto da sapere! Io sono inutile, non ti servo! Perch sono qui? Non avevo il coraggio di guardarla. Il raggio di luce di rara bellezza si era affievolito, brillava appena dellenergia necessaria ad esistere ma solo io ne percepivo il cambiamento per lei era sempre stato cos. Questo pensiero mi scaravent nella pi nera disperazione. Avevo di nuovo fallito il mio compito di proteggere chi non pu capire.

Io devo proteggerli, io devo proteggerli. Era una nenia funebre. E stato tutto un errore... bisbigliai. Mi hai creato fragile e stupida e non ti prendi mai la responsabilit della mia salvaguardia. Sono orfana di un padre cattivo! Quelle parole aprirono tutte le porte dei ricordi e mi sorpresero come un pugno nello stomaco. Avevo una missione da compiere, un compito cos gravoso e eccezionale che nessuno dei miei simili poteva immaginare. Io ero il custode della loro realt e stavo mancando al mio compito. Mi librai distinto sopra il picco; ormai le catene dellatemporalit non potevano pi trattenermi poich avevo la mia piena coscienza. Le voci dei miei predecessori avevano ripreso a parlare nella mia anima e mi spingevano a correre pi rapido di ogni velocit. Non mi voltai indietro, se cos si pu dire, non avevo il coraggio di parlarle di nuovo. Mi avrebbe chiesto loblio, la dimenticanza, ma ci che era stato fatto non si poteva pi cambiare. La sua intelligenza risonava nellOnda, l'energia da cui tutto proviene, e gi aveva modificato il corso di mille altre armoniche e mille altre storie. Non potevo permettermi un altro gesto irresponsabile. La abbandonai al suo invariabile destino, ma una parte di me rimase in quel luogo per sempre. *** Tornai alla realt nel momento in cui lavevo lasciata. Ora tutto mi era chiaro, la mia memoria era completa: io ero il prescelto dalle Fate. Ero leletto in grado di viaggiare nella realt super sensibile e in grado di piegare ogni creatura alla mia volont. Io ero il Custode: colui che protegge questo mondo. Ricordavo la mia vita precedente e il motivo per cui mi ero ritrovato nel limbo. Un titano era comparso nella nostra realt, affamato e devastante. Era emerso dai reami caotici dellOnda, da una dimensione senza tempo e senza coscienza. Comparve strappando il continuum con un solo gesto e, famelico, si era avventato sul tempo per assorbirne la smisurata energia. Ben presto avrebbe inglobato tutto, annientando la trama stessa della realt. Accorsi nel luogo dove il titano si era manifestato, vicino ad un centro commerciale tutto vetro e cemento. La bestia distorceva la materia sbriciolando lo

scorrere degli eventi man mano che si nutriva. La gente, ignara della causa, fuggiva e gridava come una mandria impazzita travolgendo chi rimaneva indietro. Loro non potevano vedere il titano ma solo percepirne gli effetti. Le vetrine dei negozi esplosero in miriadi di frammenti adamantini, i palazzi ondeggiarono, la terra rugg dal profondo spaccandosi, e le automobili vorticarono nel cielo. Londa durto invest i passanti trasformandoli in marionette dinoccolate, in macabri fantocci. Nel vedere quello sfacelo mi sentii inutile e impotente. La gente che avevo giurato di proteggere era in balia di un male che non poteva comprendere. Limmensa colonna di furia immateriale scuoteva la realt per cibarsi della sua pi intima essenza. Potevo scorgere sacche di tempo viaggiare a ritroso, accelerare nel futuro, e finire immancabilmente risucchiate nel cuore della creatura. Percepivo la realt disfarsi e perdere la sua trama. Lordito dello spazio-tempo scorreva flessuoso sfasciando il meraviglioso disegno di ogni cosa. Concentrai la mia volont, rendendo la mente un tuttuno con lOnda, e cercai negli infiniti universi lenergia necessaria a scagliare la creatura oltre le barriere dei Reami di Calore e ricucire lo strappo del continuum. Ma il titano fu pi rapido di me. Nella sua famelica razzia stava accumulando coscienza e fece in tempo ad accorgersi della mia pericolosit. Una sua appendice vibr e mi invest come una mareggiata di materia primordiale. Il mio corpo venne scagliato attraverso le pareti solide delle costruzioni schiacciandosi. La mia anima infranse il muro della realt e, sfrecciando come una cometa, lasci dietro di s la mia coscienza che si disperdeva nelle armoniche dellOnda. Sarebbe stata la fine. Cercai di resistere e, man mano che perdevo me stesso, costringevo i pochi brandelli di coscienza a salmodiare un canto disperato: io devo proteggerli... ***

Ero sveglio. Ero tornato nella realt, nel tempo. Annusai lodore della polvere, il sapore secco del cemento. Sentivo lo stomaco torcersi in conati di vomito e la testa schiacciata da una trave di metallo. Aprii gli occhi in un buio crepuscolare, tossendo pi volte, e sentii nel mio corpo un mosaico di sofferenza; le mie ossa si erano sbriciolate sotto il peso delle macerie. Le fitte della mia carne a brandelli mi annebbiavano la mente, ma era la rabbia a sostenermi e la vendetta. Leternit nel limbo era durata pochi istanti nel nostro mondo, ma il dolore ancora era vivo in me, il rimorso mi aveva tolto parte della mia gi esile serenit. Ricombinai la materia del mio corpo e mi alzai dalle macerie. Ero furente. Tremavo di rabbia incontenibile, mentre il titano continuava la sua corsa distruttrice convinto di avermi eliminato. Stringhe di materia si attorcigliavano intorno al suo corpo irreale e gli avrebbero presto conferito una forma in questo mondo, e gli uomini che avevo giurato di proteggere avrebbero visto ci che non dovrebbe essere mai mostrato. Portai la mano al volto richiamando la maschera dei custodi e mi scagliai su di lui come una punizione divina. Ero fuoco e tempesta, un lampo accecante di energia ultraterrena. Infransi il suo corpo larvale per raggiungere la particella che lo aveva generato nellaltrove e che lo teneva in vita. Con un grido rabbioso afferrai il suo cuore di nulla e, reggendolo saldamente, lo scagliai con forza in una soglia aperta verso la stasi. Aveva assaggiato la vita e il potere e ora anchesso avrebbe conosciuto la stasi e la limitatezza. Come la mia adorata figlia, si sarebbe crogiolato nella disperazione dellirraggiungibile. *** Mi allontanai stordito, affranto, disidratato di ogni gioia. Un minuscolo tocco della mia mente fece esplodere delle tubature sotterranee. Avrei dato ai superstiti, e al resto dellumanit, un motivo meno assurdo per giustificare la morte di tanti ignari passanti. Mi sentivo in colpa. Ben presto lodio per il titano si trasform in odio per me stesso e la mia presunzione.

Quando tornai nella mia anonima dimora, mentre osservavo come sempre la quotidianit attraverso le fenditure impolverate delle mie persiane, ebbi voglia di piangere. Non era la consapevolezza di non essere stato in grado di agire i pi in fretta, n la coscienza della mia fallibilit. Il dolore proveniva tutto dalla mia amata creatura nel suo piccolo, limitato, paradiso. Creata inconsapevolmente da me e, al tempo stesso, maledetta a rimanere eternamente rinchiusa e insoddisfatta. Ebbi voglia di piangere, ma non ci riuscii. Espiavo in quel modo la colpa di cui nessuno dovrebbe mai macchiarsi: creare senza amare.

Diritti e doveri Boati. Tonfi cos frequenti e numerosi da somigliare ad uno scroscio d'acqua: milioni di pelli tese, tronchi cavi, e legni percossi con sacrale maniacalit. I reami di follia che sono costretto ad osservare e descrivere, minano la lucidit della mia mente, ormai non pi impavida e ferma come in giovent. Vedo le cime di alberi vetusti, malsani, contorcersi sotto l'azione del vento irrequieto. Chiuso nella stanza spoglia e candida, cos simile ad una cella ormai, posso solo immaginare chi siano gli artefici di una tale, orrida, cacofonia. Il battere fortissimo supera in intensit l'uragano, che trasporta e tortura immense nubi nere e gravide. La mia mente partorisce mostri ormai, forse ricordi di un epoca passata, che vivono al di l della foresta morente e scherniscono questo povero vecchio prigioniero. Di tanto in tanto li vedo muoversi, strisciare sul terreno scuro e appiccicoso, avanzare in processione, per venire a porgermi omaggio in forma di offesa e derisione. Sento le loro risa, il loro grugnire, oltre la pesante porta di metallo rugginoso. Per non impazzire completamente scrivo. Ho terminato le pergamene. Ora scrivo su ogni cosa. Le pareti della mia cella sono ricoperte di resoconti minuti delle mie giornate interminabili. Perfino la Morte, la bianca signora che tanto a lungo ho servito e venerato, mi deride battendo incessantemente al di l della foresta senza nome. Incubi. Erano cos frequenti e vividi che non potevo pi considerarli frutto della mia immaginazione. Nella mia vita ben poche volte mi sono potuto appellare ai rassicuranti parti della mente, e da quasi una settimana l'immagine del vecchio pazzo, chiuso nella cella di un ospedale, mi perseguitava ogni volta che cercavo di riposare gli occhi.

Ad onor del vero non posso definire quelle visioni come incubi. Non erano spaventose, n inquietanti. Provavo pena per il canuto scrittore, provavo rabbia. Una rabbia intensa, devastante, come di chi si vede sottratta ogni gioia, ogni libert. In realt non osavo fare raffronti tra la condizione del vecchio e la mia. Forse, in un angolo lontano della mia mente, rifiutavo il compito che avevo abbracciato con tanto fervore? Il vocio dei miei predecessori, incessante ed echeggiante, non mi aiutava nel comprendere l'origine della mia frustrazione. Di cosa potevo lamentarmi? Avevo raggiunto ci che anelavo dal primo giorno della mia esistenza terrena: conoscenza sopra ogni limite, potere assoluto, la Verit primordiale. Eppure la libert di cui godevo, mi apparve molto relativa e provai una remota tristezza: chi si poteva definire davvero libero? Spesso la libert semplice ignoranza. Perfino chi abbandona ogni cosa, per mortificare le proprie carni e liberare lo spirito, diventa schiavo della fede e delle pratiche. Chi si abbandona ai piaceri immediati, chi non cerca altro se non il proprio godimento, diventa succube delle sue presunte esigenze. Io, che con un gesto avrei potuto alterare ogni particella del reale, io ero forse il meno libero di tutti. I passanti, che osservavo invidioso dalle imposte oblique e impolverate delle mie finestre, non potevano definirsi liberi. Se solo avessi voluto avrei potuto spazzar via le loro anime, condannarli alla follia delle Terre senza Tempo, abbandonarli nelle spire di avidit dei loro stessi simili. Non erano liberi, eppure si sentivano tali. Io non potevo dire la stessa cosa di me. Il vincolo che mi legava alle Fate, pi antico del pi antico dei miei antenati, mi toglieva la libert di ignorare la Verit, di credere nelle piccole cose, di appagarmi di uno spiraglio di sole, di godere della brezza che si leva improvvisa. Il vincolo, il Patto, mi permetteva di vedere con chiarezza ci che davvero il mondo: niente di pi di una vibrazione dell'Onda, una conseguenza di una catena di eventi fragili e fondamentalmente senza scopo; ma donava ai miei adorati passanti l'illusione di essere privi di legami.

Qualcuno che vegli su di loro ci deve sempre essere, e quel qualcuno ero io. Una sottile ansia e un subdolo dubbio, uniti alle visioni angosciose dello scrivano, mi avevano reso particolarmente nervoso. Evitai con cura di avere contatti umani, non che solitamente fossero numerosi. Chiusi le imposte per rimanere al buio. Per un Custode il concetto di luce e buio, giorno e notte, sono solo sfumature di colore, ma cercai di calmarmi e di sfruttare solo gli occhi per vedere la mobilia scura e impolverata della mia casa. Rimasi nello studio per tutto il giorno, riempiendo il silenzio con il ticchettare furioso dei tasti del mio personal, nel tentativo di calcolare l'istante esatto in cui una nuova Soglia si sarebbe aperta, causando chiss quali perturbazioni fisiche e metafisiche. Nellignoranza abissale che i pi saggi tra gli uomini osavano chiamare sapienza, cerano sempre nuovi temerari che sognavano, speravano, di poter dominare la materia senza davvero comprendere l'ordine delle cose. Quanti sforzi e quanti millenni erano stati necessari solo per permettermi di increspare appena lOnda e ottenere un mutamento nei mondi temporali! Come potevano solo sperare di manipolare la realt con parole vuote e gesti senza sostanza? Come potevano non comprendere che il Tempo e la Materia si sarebbero ribellati, come una tempesta, solo per l'orrore che provano dinanzi al mutamento? In quei momenti il compito per cui ero stato scelto mi appariva pi che mai giusto e la furia che soffiavo nella mia anima nel giustiziare chi si era macchiato di troppa sfrontatezza non aveva nulla di eccessivo ai miei occhi. Era proprio per impedire ai Reami del Tempo di sfaldarsi sotto le azioni incoscienti dei pi ambiziosi, che le Fate mi avevano scelto e donato gli strumenti dell'Arte. Nei rari momenti, per, nei quali smettevo di inserire dati e ascoltavo il brusio dei miei antenati, sospettavo che il motivo per cui le Fate mi avevano eletto a Custode non fosse cos nobile. La questione non mi dava tregua: milioni di ipotesi si accavallano, luna all altra, senza che riuscissi a metterne a fuoco una plausibile. Cera un senso di sconfitta e di pericolo sempre presente nel loro parlare; un avviso gridato dai miei predecessori fin dal primo istante in cui la loro coscienza si era proiettata nella mia, un avvertimento che mi invitava ad aprire gli occhi.

Quando la soglia si apr io ero l. Immobile nelle ombre, i pugnali sottili come laria stretti in mano, il volto coperto dalla terribile maschera che era sudario e armatura del Custode; la maschera che in mille occasioni aveva gettato nel panico chi si avventura nel mondo ultrasensibile, il simulacro del quale gli stregoni bisbigliavano a bassa voce, per timore che il suo stesso nome potesse gettare su di loro una mutilante maledizione. Ma non avvertivo intelletti in grado di riverberare nell'Onda, che avessi commesso qualche errore nei miei calcoli? Non apparsi, fulmineo e feroce come mio costume, ma mi limitai a guardare. In qualche modo i miei antenati guidavano i miei occhi, voltavano la mia testa e indicavano in silenzio. In una stanza bigia, sospesa in un angolo di un alto palazzo di cemento e ferro, una ragazza dagli occhi tristi annaspava nel mare melmoso della sua solitudine. Voleva morire e, ritagliando simboli sulla carne dei suoi avambracci, aveva imbrattato il tappeto di rozzi cerchi concentrici invocando lavvento di chiss quale ultraterrena entit con lo scopo di augurare la stessa sua fine al genere umano. Quei fanciulleschi rituali non avrebbero smosso la pi innocua delle creature al di l del Tempo, ma luomo ha in s un grande potere che non conosce: un solo istante, un brevissimo momento di sincronia scaturito dal baratro della sua disperazione, e lOnda della materia si era turbata, sconvolgendo le leggi che gli uomini credono immutabili. La donna era rimasta incosciente su un liso divano marrone, madida di sudore e sudiciume. Le ferite che si era inflitta lavevano fatta svenire e il suo respiro era un canto di morte; un'agonia che sarebbe durata per delle ore. Uscii dalle ombre non visto e scacciai i pugnali e la maschera: che senso aveva fare del teatro se non si ha un pubblico a guardare? Saldai la soglia con un gesto distratto della mano, era una piccola e innocua falla che si sarebbe richiusa da sola poich lOnda ha orrore dei mutamenti. Ma non mi era permesso essere clemente. La legge delle Fate era inequivocabile, vergata nei caratteri antichi sulle rocce amaranto della scaglia sull'abisso dove esse si mostrano a chi sa cercarle. La legge delle Fate era implacabile: nessuno, nei reami del Tempo, pu avventurarsi nell'ultrasensibile; la pena la morte e la condanna dell'anima a non esistere pi. I miei antenati tacevano.

Osservai quel gracile corpo steso per terra, la sua testa tonda, i capelli biondi e rasati. Avrei dovuto conficcare le mie lame perfette in quella schiena gracile? In quella carne che gi stava soffrendo per la sua incapacit di vivere, e sbracciava non per chiedere aiuto, ma solo per far sapere al resto del mondo che lei era l. Sarebbe stato sufficiente che me ne andassi: lei sarebbe morta a breve, la soglia era chiusa, le Fate mi avrebbero rimproverato ma lo scopo era stato raggiunto e il continuum della realt non era stato intaccato. I miei antenati guardavano dalle ombre della mia coscienza. Presi la ragazza tra le braccia. Era leggera, come se il suo corpo fosse di soffice seta ripiegata, e fredda, fredda come le notti nebbiose. Attraversai lo spazio in un soffio, mentre la realt scorreva indifferente come lacqua di un ruscello intorno a me. Cosa stavo facendo? Raggiunsi la mia piccola dimora, adagiai la donna sul mio letto badando a non far urtare le sue membra esili e ossute. Imposi le mani sul suo corpo e costrinsi la vita a non fuggire da lei. Non so cosa mi spinse a farlo. In passato avevo giustiziato pi di una persona senza il minimo indugio, non era la capacit di uccidere che mi faceva difetto. Intere congreghe di stregoni e adoratori invasati degli Dei Ulteriori conobbero il gelido abbraccio delle mie lame, senza che la pi pallida ombra di rimorso agitasse i miei sonni. Eppure quella volta non ne fui capace: quella donna non bramava il potere sugli uomini; non cercava la fine del mondo, non voleva sovvertire lordine delle cose. Non era altro che una bambina innamorata delle stelle, con solo un fiammifero per sognare, e comera dolce il suo respiro, comera bella la sua pelle candida e tatuata. Una sensazione di oppressione mi costrinse a sedere. La stanza gonfi le sue mura ed esplose in una nuvola di particelle iridescenti. Alla velocit della luce attraversarono lorizzonte e mi lasciarono nel fluorescente livore dellOnda. Le Tre Fate comparvero, terribili e splendide nelle loro vesti virginali, i volti identicamente adirati, gli occhi verdissimi dardeggianti di rabbia.

Le loro voci erano tuono e tempesta. Hai osato trasgredire la tua consegna, hai tradito la fiducia delle Fate! Noi siamo deluse, noi rinunciamo ai tuoi servigi e malediciamo il tuo essere e la tua mente. Ti condanniamo all'oblio. Spalancai la bocca. Il vento impetuoso dellOnda mi impediva di parlare, ma in quellistante compresi le parole che i miei predecessori gridavano incessantemente. Mi avvertivano della freddezza delle fate, della loro indifferenza nei confronti della vita, della loro determinazione inarrestabile. Volevano punirmi per aver avuto misericordia di una vita umana. Ogni mio antenato conosceva questa verit e aveva cercato di mettermi in guardia: esse non amavano il tempo e la vita, non vogliono proteggerla! I loro piani andavano al di l perfino della mia sovrannaturale coscienza e reprimevano senza piet chi osava deviare dai loro dettati. Il vecchio scrittore, condannato in una realt folle, in un tempo statico senza speranza, altri non era che uno sventurato prescelto che aveva osato contraddire la volont delle Fate. Mi aspettava un destino simile. Il turbinare dellOnda impazzita, scossa dallira delle Tre, lacerava la mia vibrazione e mi procurava un dolore echeggiante ben al di l di ogni umana sopportazione, e la concentrazione necessaria a mantenermi coeso ormai era un filo sottile, prossimo a condannarmi al nulla. I tre volti, meravigliosi, splendenti e duri come acciaio, gridavano il loro ineluttabile intento. Improvvisamente il silenzio. Vidi il volto del vecchio scrivano rugoso. Gli occhi lucidi di una febbre mai spenta, le minuscole miniature sui muri, la scrittura perfetta: unico interesse in una realt che non scorre. Mi guard. La sua espressione divenne speranza, paura, coraggio e vendetta; mi aveva attirato mentre lOnda vibrava, lunico istante in cui la cella perdeva un po della sua solidit, per trasmettermi una verit che mi abbagli nella sua semplicit. Non lo ringraziai, non ne ebbi il tempo, per i suoi occhi velati compresero ci che stavo per fare e ne furono illuminati. Agii in fretta, prima che la mia condizione si stabilizzasse, sfruttai il paradosso, feci ci che non si sarebbero mai aspettate.

Fuggii dalla loro morsa, concentrando la mia volont in un solo punto, e scappai nellunico luogo in cui non avrebbero mai potuto toccarmi: la mia casa dalle persiane sulla strada, i miei amati passanti, la mia realt fatta di tempo e lunghe ore in solitudine. Tornai e non era accaduto nulla, lei era sul letto e dormiva piano, io ero seduto e fluttuavo tra l'estasi della vittoria e il terrore della vendetta. Ci che lessi nella stanza del vecchio mi diede la comprensione necessaria per tentare un piano cos rischioso eppure cos elementare. Barcollai alzandomi, ero sconvolto e fuori dalla mia abituale compostezza. Ferite profonde nella mia mente avrebbero impiegato secoli per rimarginare: lodio delle fate avvelen la mia anima e i miei occhi condannandomi a notti insonni, ad incubi mostruosi. Ma ero libero. Sarebbero venuti giorni di guerra, che nessuno mai avrebbe potuto vedere, ma aprivano cos tante trame nelle possibilit da giustificare ogni istante di dolore, ogni fatica. La piccola figura sul mio letto si svegli, e un po di quel malessere, di quei tetri pensieri, scomparve. I suoi occhi tristi si girarono verso di me, sorrise. Non avevo bisogno di parlare con lei. La mia mente parlava alla sua.

***

Manderanno altri emissari a cercarmi. Forse proprio in questo istante la voce suadente delle Tre sta corrompendo la volont di qualcuno, promettendogli potere sopra ogni cosa, e tacendo sui doveri dolorosi che questo compito porta con s. Ora osservo le persone, gli ignari passanti che mai conosceranno le conseguenze del mio agire, e una mano esile, dalle dita fredde mi cinge le spalle. La mia fanciulla dagli occhi tristi ora abita con me. Si abbraccia alle mie spalle cercando calore dal mio corpo devastato

dalla febbre. Le bacio le punte delle dita, e mi sento osservato e vulnerabile. Le Fate mi spiano, controllano ogni mio movimento, ma le parole e la saggezza del vecchio recluso mi danno la forza di proteggere il mio piccolo mondo dagli occhi tristi. Esse temono il tempo. Fine

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