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LA MOTIVAZIONE ALLA PRATICA SPORTIVA TIPI DI MOTIVAZIONE Molteplici sono le ragioni in base alle quali si opta per una

pratica sportiva: si sceglie uno sport per irrobustire il corpo, perch uno sport che piace, perch quello praticato dai genitori, perch ci viene proposto da qualcuno. Prima ancora per di arrivare alla scelta dello sport da praticare necessario che si attivi nellindividuo qualcosa che lo indirizzi e lo spinga verso la pratica sportiva. Reuchlin (1957) intende col termine motivazione linsieme dei fattori che promuovono lattivit del soggetto, orientandola verso certe mete e consentendole di prolungarsi qualora tali mete non vengano raggiunte immediatamente. Appare evidente che non esiste una ma molteplici motivazioni allattivit sportiva e si pu affermare che la motivazione si riferisce allinterazione dinamica tra i bisogni dellindividuo e gli stimoli offerti dallambiente. Per Carron il termine motivazione rappresenta le ragioni per cui determinate azioni sono preferite ad altre, sono messe in atto con energia ed entusiasmo e portate avanti con impegno. Terrini e Occhini (1997) sottolineano che lo sport unattivit praticata per libera scelta che si articola in tre momenti: La scelta: che prevede che il soggetto passi attraverso una valutazione degli elementi favorevoli e contrari alla pratica sportiva e prenda in considerazione tutte le alternative possibili La decisione di praticare sport come risultato di questa valutazione Lattuazione, ossia latto concreto della pratica sportiva come conseguenza della scelta e della decisione presa. Solo un individuo motivato avr la costanza di allenarsi due o tre volte alla settimana. Questo individuo ha scelto di fare sport in base ad una valutazione di costi e benefici e ha trovato sufficienti motivi che lo spingono a fare sport. Alcuni motivi sono innati, connessi a bisogni biologici fondamentali delluomo; si tratta dei cosiddetti bisogni o motivi primari, contrapposti invece a quelli secondari che sono il prodotto di apprendimento. I termini primario e secondario trasmettono lidea di una gerarchia relativa ai bisogni, che possono essere messi in sequenza e ordinati, come nella scala di Maslow, dove a salire dal basso si trovano i bisogni fisiologici, i bisogni di sicurezza, i bisogni di appartenenza, i bisogni di stima e i bisogni di auto-realizzazione. Secondo Maslow, mentre i bisogni alla base della piramide, una volta soddisfatti scompaiono, quelli al vertice continuano anche quando vengono soddisfatti (bisogni di crescita). Secondo Antonelli e Salvini (1987), lo sport un gioco con finalit agonistiche, per cui in campo sportivo le motivazioni primarie si riducono essenzialmente a due elementi: gioco e agonismo. Il gioco unattivit praticata da tutte le persone, a tutte le et e in tutte le culture. Lattivit ludica persegue finalit biologiche, in quanto ristabilisce lequilibrio psico-dinamico scaricando attraverso il movimento il surplus energetico accumulato dal soggetto (Antonelli, Salvini). Sempre in riferimento al gioco, Caillois identifica quattro tipologie: 1. agon, giochi basati sulla competizione sia fisica sia intellettuale 2. alea, tipologia che comprende giochi in cui le leggi del caso sono determinanti 3. mimicry, giochi che si caratterizzano per limitazione e il cambio di ruoli 4. ilinx, i cosiddetti giochi di vertigine, in cui si sospende lequilibrio corporeo Questi aspetti possono essere trasportati allo sport in generale, il quale per sua natura competitivo, a volte sottost alle leggi del caso, in certi schemi dazione ricorda limitazione di movimenti appresi e in alcuni casi sospende lequilibrio percettivo.

Antonelli e Salvini distinguono i giochi in simbolici, regolamentari, desercizio e creativi e indicano sei caratteristiche che fanno del gioco unattivit sperimentata a livello cosciente che coinvolge tutte le componenti psicofisiche dellindividuo: 1. libert: lattivit ludica il risultato di una scelta dellindividuo 2. incertezza: essendo legato al caso, il gioco soddisfa la mutevolezza delle emozioni 3. improduttivit: il gioco non sottost alle leggi utilitaristiche 4. regolamentazione: il gioco ha le sue regole 5. simulazione: il gioco esula dalla dimensione reale 6. autenticit: il gioco viene integrato nellesperienza della vita di tutti i giorni Ma il gioco intrinsecamente competitivo, oppure sono le regole imposte a renderlo tale? Lesaltazione del confronto viene spesso enfatizzata dalla famiglia, dalla scuola e dai mezzi di comunicazione di massa. In questo modo i bambini entrano nella logica della prestazione senza accorgersene, la assimilano e la interiorizzano come fosse naturale. In ogni caso, lo sport non pu prescindere dallelemento agonistico, e il confronto con la natura, con gli altri e con se stesso unesigenza spontanea delluomo. Antonelli e Salvini precisano che alla base dellagonismo si colloca lAGGRESSIVITA. Secondo Terreni e Occhini (1997), lo sport pu costituire uno degli strumenti preventivi del disagio giovanile. Infatti, se si considera che la maggior parte dei comportamenti aggressivi autodiretti o eterodiretti commessa da persone di et compresa tra i 18 e i 25 anni, lo sport pu costituire innanzitutto un valido strumento per indirizzare le pulsioni aggressive in modo innocuo e socialmente accettabile. Secondariamente, lo sport offre ai giovani unoccasione educativa che si affianca a quella familiare e scolastica. Lallenatore svolge il ruolo di tramite tra il mondo delladolescenza e il mondo adulto. Inoltre, il gruppo dei pari offre ai giovani atleti modelli di comportamento e permette un confronto diretto con persone con cui condividere valori e idee. Lo sport aiuta dunque a incanalare laggressivit nei binari di comportamenti regolamentati e socialmente approvati; inoltre, laggressivit espressa durante lattivit sportiva produttiva. Gioco e agonismo sono senza dubbio le motivazioni principali alla base della pratica sportiva. Tuttavia, in aggiunta, si riscontrano delle motivazioni secondarie, il cui peso e significato variano in base alla personalit dellatleta (Tamorri, 1999). Le motivazioni secondarie allo sport sono raggruppate in quattro categorie da Antonelli e Salvini: FATTORI PSICO-BIOLOGICI, che hanno origine dalla costituzione dellindividuo e sono divisi in: o Omeostatici o finalizzati al ripristino dellequilibrio neuro-dinamico grazie alla scarica motoria, o Auto-plastici o finalizzati al processo di crescita somatica e/o di maturazione nervosa; FATTORI PSICOLOGICI, determinati dal carattere dellatleta che cerca di colmare attraverso la pratica sportiva esigenze di vario tipo: o affettive o di comunicazione o di emulazione di modelli o di individuazione e conferma della propria identit o proiettive di situazioni diverse che si creano contemporaneamente allinterno del gruppo sportivo o catartiche o di liberazione di pulsioni libidiche e aggressive o etiche ed estetiche di tendenza alla perfezione FATTORI SOCIO-CULTURALI, che esprimono: o il bisogno di affiliazione, di appartenenza ad un gruppo sociale o il bisogno di approvazione sociale, di sentirsi gratificati e accettati

o il bisogno di affermazione e autorealizzazione o il desiderio di raggiungere lo status socio-economico rappresentato dalla remunerazione dellatleta professionista o la possibilit di elevazione attraverso lo sport FATTORI PSICO-PATOLOGICI che possono essere prevenuti e curati attraverso lo sport; si tratta: o del sentimento di inferiorit o del narcisismo o del desiderio di potenza che lo sport pu assecondare e/o ridimensionare

FATT Per alcuni il successo equivale ad una prestazione che sfrutta appieno le abilit dellatleta, per altri ad ORI unFATT confronto vittorioso con un avversario. Nel primo caso ci si focalizza sulla competenza, nel CONT ORI secondo sul risultato. ESTU DI Nicholls (1992) considera questi due orientamenti come dimensioni indipendenti e li definisce ALI: DIFFE rispettivamente orientamento al compito (competenze) e al s (risultato). I due orientamenti possono STRU RENZ essere presenti in varia misura in uno stesso individuo. Duda e Nicholls fanno notare che TTUR attivit A lorientamento al compito in relazione positiva con la percezione dello sport come A INDIV divertente, mentre lorientamento al s riduce linteresse intrinseco per lattivit sportiva. DELL IDUAL Lorientamento al compito sostiene limpegno dellatleta e mantiene linteresse intrinseco di E E: questultimo per lattivit sportiva (Cei, 1998). RICO MATU La teoria della valutazione cognitiva (Deci, 1975; Cei, Ryan, 1985; Frederick, Ryan, 1995) considera MPEN la RITA motivazione intrinseca come lespressione dei bisogni dellindividuo e lo stimolo per i SE, COGN comportamenti che trasmettono un senso di competenza e auto-determinazione. Il soggetto trasmette a STILE autoseITIVA, rinforzi positivi. Secondo questa teoria, la motivazione intrinseca alla base di attivit stesso DELL MATU determinate ed autonome e i rinforzi esterni tendenti a ridurre lelemento dellauto-determinazione ALLE RITA incidono negativamente sulla motivazione intrinseca. Le situazioni di sfida contribuiscono ad NATO FISIC alimentare la motivazione intrinseca che aumenta grazie a tutti i rinforzi che sottolineano la A, competenza. Limpatto di qualsiasi tipo di feed-back ambientale dipende dal significatoRE, attribuitogli DISCI GENE dal soggetto. RE, Weiss e Chaumeton (1992) partono dalla distinzione tra motivazione intrinseca PLINA ed estrinseca, SPOR SALIE sviluppando un approccio integrato agli orientamenti motivazionali nello sport. Lorientamento TIVA, NZA motivazionale caratterizzato da due sottoelementi: lorientamento intrinseco, o padronanza, e quello FATT DEL estrinseco, o risultato. Il primo enfatizza il processo della partecipazione e considera lo sviluppo delle ORI SUCC competenze, laffiliazione (connessa al processo di entrata in un gruppo), lobiettivo fitness (come SOCIO ESSO diventare pi forti, restare in forma) e il divertimento condiviso per il fatto di partecipare allattivit NELL sportiva. Lorientamento estrinseco focalizza lattenzione sul risultato della partecipazione e CULT O considera i vantaggi connessi alla vittoria, il guadagno in termini di status sociale o di riconoscimento URALI SPOR ottenuto, lacquisizione di ricompense e la ricerca di approvazione sociale. T

COMPORTAMENTO MOTIVATO

EMOZIONI

PERCEZIONE DI COMPETENZA E CONTROLLO

SVILUPPO DI UN SISTEMA DI RICOMPENSE E DI UNO STANDARD DI OBIETTIVI (criteri interni VS esterni)

FEED-BACK E RINFORZO DA PARTE DI ADULTI E PARI

RISULTATI DELLA PRESTAZIONE (SUCCESSO E FALLIMENTO)

TENTATIVI DI RAGGIUNGERE PADRONANZA (DIFFICOLTA DEL COMPITO)

ORIENTAMENTO MOTIVAZIONALE INTRINSECO ESTRINSECO (PADRONANZA), (RISULTATO), COMPETENZA,AFF APPROVAZIONE ILIAZIONE, SOCIALE, FITNESS, RICOMPENSE, DIVERTIMENTO STATUS, VITTORIE

Gli sforzi messi in atto per aumentare la padronanza, unitamente alla difficolt del compito variano secondo lorientamento degli individui. Quelli orientati alla padronanza tendono a scegliere in modo adeguato attivit stimolanti e che permettono di mettere in mostra le proprie capacit; si tratta di attivit difficili ma realizzabili. Al contrario, i soggetti maggiormente orientati al risultato sceglieranno o compiti molto semplici, per massimizzare la dimostrazione della loro abilit, o compiti molto difficili per evitare di mostrare basse abilit: scegliere unattivit difficile infatti aumenta il rischio di mostrarsi inadeguati e non allaltezza della scelta compiuta e giustifica quindi il fallimento. I risultati della prestazione vanno considerati in funzione non solo della vittoria o della sconfitta, ma anche delle percezioni individuali di successo o fallimento. I soggetti orientati alla padronanza

focalizzano la loro attenzione sui miglioramenti mostrati nelle prestazioni rispetto a standard precedenti. I soggetti motivati dal risultato, al contrario, definiscono successo e fallimento in base allesito della competizione, in relazione soprattutto alla prestazione degli altri. Questo modello sottolinea limportanza del feed-back e del rinforzo. I giovani sportivi possono essere influenzati, ad esempio, da comportamenti di approvazione o disapprovazione di compagni, genitori o allenatori rispetto ai tentativi messi in atto. Vanno considerati in questa ottica lelogio di comportamenti desiderabili, la critica a errori contingenti nonch il tipo di attribuzione causale per prestazioni di successo o insuccesso. Anche lo sviluppo del sistema di ricompense e dello standard di obiettivit basato sul generale orientamento dei soggetti. Coloro che sono orientati alla padronanza cercano stimoli ottimali e svilupperanno un sistema di ricompense e un modello di obiettivi basati su criteri interni. I soggetti orientati al risultato svilupperanno un sistema di ricompense e obiettivi basati su criteri esterni. Weiss e Chaumeton prendono poi in considerazione le percezioni di competenza e di controllo, le emozioni e il comportamento motivato. Se per competenza sintende la capacit percepita di un soggetto di avere successo in un compito e per controllo la responsabilit del proprio successo attribuita a s (controllo interno) e agli altri (controllo esterno), allora la percezione di competenza e controllo frutto della storia dei successi e fallimenti di ciascuno, tanto quanto delle caratteristiche dei feed-back e dei rinforzi provenienti dagli altri significativi. Gli individui che utilizzano soprattutto criteri interni per valutare la competenza e che hanno obiettivi di padronanza avranno unalta percezione della competenza e un controllo interno; quelli che fanno uso di criteri esterni per giudicare le loro abilit e che perseguono obiettivi definiti esternamente avranno una bassa percezione della competenza e un locus di controllo percepito esterno. Anche lo stato emotivo influenza il comportamento motivato e la prestazione: uno stato emozionale connotato positivamente perch caratterizzato da divertimento, felicit, orgoglio, eccitazione e piacere, mantiene e aumenta la motivazione e i suoi successivi tentativi di padronanza; al contrario, uno stato negativo, caratterizzato da ansia, imbarazzo, vergogna, tristezza e disappunto, attenua la motivazione e il desiderio di partecipazione. Gli individui intrinsecamente orientati sperimenteranno pi facilmente uno stato emotivo positivo; i soggetti orientati estrinsecamente avranno probabilmente uno stato emotivo positivo solo vincendo e saranno pi esposti allansia. Il comportamento motivato si esprime nella persistenza della pratica sportiva e nellabbandono della stessa. Gli individui orientati alla padronanza tenderanno a rimanere nello sport. Gli individui orientati invece al risultato continueranno lattivit sportiva finch hanno successo e finch riescono a mantenere unalta percezione della loro abilit. A questi elementi vanno aggiunti anche fattori relativi alle differenze individuali nonch fattori contestuali. Sono da considerare fattori individuali: la maturit cognitiva, in quanto legata a una crescente considerazione per le abilit espresse nellanalizzare i risultati del comportamento; la maturit fisica che influisce sul risultato sia di per s, sia per le aspettative create negli latri significativi; il genere, che motiverebbe ad esempio i maschi a essere pi orientati al risultato e le femmine alla padronanza; limportanza attribuita allaver successo in campo fisico che, se elevato, influirebbe sui cambiamenti della percezione di s conseguenti a prestazioni di successo o di insuccesso; I fattori contestuali sono: le strutture di ricompensa che possono determinare diverse strutture competitive; lorientamento o lo stile dellallenatore, che pu modificare la percezione di s e il comportamento motivato degli atleti a seconda che si basi sul controllo o sullinformazione; le differenze dovute al tipo di sport che attirerebbe di pi certi soggetti piuttosto che altri; i fattori socio-culturali come razza, etnia e classe sociale.

LA MOTIVAZIONE NEL CONTESTO SPORTIVO E IL RUOLO DELLALLENATORE Carron propone un modello:


FATTORI PERSONALI Soggetti al controllo dellallen atore Motivazi one incentiva nte Analisi del risultato Interesse intrinsec o Aspettati ve dellallen atore Fiducia in se stessi Non soggetti al controllo dellalle natore Ansia Attenzio ne Motivazi one al successo

FATTORI SITUAZIONALI Soggetti al controllo dellallen atore: ricompen se goalsetting allename nti rinforzi comporta mento dellallen atore Non soggetti al controllo dellallen atore Spettato ri Concorr enti Clima del gruppo

MOTIVAZIONE INDIVIDUALE

FATTORI SITUAZIONALI SOGGETTI AL CONTROLLO DELLALLENATORE Per quanto riguarda i fattori ambientali, occorre distinguere la situazione oggettiva dalle percezioni soggettive. Solo alcuni degli aspetti situazionali, sia oggettivi che soggettivi, possono essere influenzati dallallenatore. I fattori motivazionali a disposizione dellallenatore sono le ricompense, le tecniche di goal-setting, la variet delle sedute di allenamento, il rinforzo sociale e i comportamenti specifici dellallenatore stesso. Il discorso delle ricompense si allaccia direttamente alle teorie classiche dellapprendimento: lallenatore pu indurre, modificare oppure eliminare comportamenti specifici degli atleti concedendo o negando loro ricompense. La definizione degli obiettivi (goal-setting) incide sulla motivazione degli individui e contribuisce allefficienza della loro prestazione. Carron (1984) individua alcuni principi generali: 1. gli obiettivi specifici, difficili da raggiungere e che rappresentano una sfida realistica sono pi efficaci rispetto a obiettivi specifici e semplici da raggiungere, a obiettivi irraggiungibili o allassenza di obiettivi; 2. gli individui devono possedere sufficienti abilit per poter raggiungere gli obiettivi prefissati; 3. gli obiettivi definiti in termini specifici, quantitativi e comportamentali sono pi efficaci di vaghe intenzioni; 4. nel caso di obiettivi a lungo termine utile prevedere obiettivi intermedi; 5. perch gli obiettivi contribuiscano al miglioramento della prestazione, necessario il feedback, anche attraverso le ricompense (materiali e non) e la competizione interpersonale. Sono quattro i meccanismi motivazionali attivati dal goal-setting:

direzionamento di attenzione e azione (chiedere ad un atleta di presentarsi allinizio della stagione agonistica in buona forma non equivale a porre delle condizioni precise, come definire il limite massimo del peso corporeo o dei limiti atletici da rispettare); mobilitazione di energia (latleta che vuole corrispondere allo standard richiesto per linizio della stagione si impegna per raggiungerlo allenandosi e controllando la propria alimentazione); persistenza, direzione di attenzione e azione pratica per un periodo prolungato nel tempo (latleta si allena e controlla la propria alimentazione per un certo periodo per raggiungere lobiettivo); motivazione allo sviluppo di una strategia individuale (latleta sa che la propria persistenza avr successo solo se accompagnata da un piano di lavoro dettagliato ed effettivamente rispettato). Perch la monotonia non rischi di prevalere sulla motivazione lallenatore deve fare in modo di tenere vivo linteresse degli atleti. Egli pu rendere stimolanti gli allenamenti introducendo sempre elementi nuovi e variando la routine oppure prestare attenzione particolare e personale ai singoli atleti, trasmettendo loro la percezione di essere importanti. Lattenzione dellallenatore verso gli atleti si esprime anche attraverso i rinforzi sia positivi che negativi, comunicati a livello verbale e a livello non verbale, che trasmettono uninformazione di tipo valutativo nei confronti degli atleti. Il comportamento dellallenatore centrato sul rapporto con la squadra o con i singoli componenti, sulla trasmissione di istruzioni tecniche e sul rinforzo positivo, contribuisce a tenere viva e ad alimentare la motivazione degli atleti (Chelladurai e Saleh, 1978, 1980). Un rinforzo SOCIALE pu venire anche da figure diverse dallallenatore, come i genitori, compagni, dirigenti, pubblico, stampa. FATTORI PERSONALI SOGGETTI AL CONTROLLO DELLALLENATORE Lallenatore pu influire su alcuni fattori che motivano personalmente latleta. Alderman e Wood (1976) individuano sette esperienze incentivanti tipiche della pratica sportiva: indipendenza o possibilit di fare qualcosa senza laiuto di terzi; potere o controllo sulle altre persone; affiliazione o possibilit di fare amicizia; stress o ricerca delleccitazione; eccellenza o possibilit di padroneggiare unattivit; aggressione o intimidazione nei confronti di altri; successo o ricerca di prestigio e status sociale. Conoscere le motivazioni e i bisogni dei propri atleti consente allallenatore di contribuire a soddisfarli tenendo conto delle varie esigenze di successo, affiliazione, di tenersi in forma, di scaricare la tensione. Un secondo fattore personale che lallenatore pu influenzare la modalit utilizzata dallatleta per analizzare i risultati che ottiene. Carron propone una spiegazione di come la conoscenza incide sulle aspettative e sul comportamento dellatleta.

EVENTO

RISULTATO SUCCESSO/INSU CCESSO

ORGOGLIO/VERG OGNA ASPETTATIVE FUTURE

ANALISI POSTEVENTO

MOTIVAZIONE PER PARTECIPAZIONE FUTURA

ATTRIBUZIONE SPIEGAZIONE

Un qualsiasi evento produce un determinato risultato che pu essere interpretato in termini di successo o di insuccesso. Lindividuo analizza levento alla luce delle proprie esperienze pregresse e della situazione esterna e attribuisce il risultato a cause esterne e/o interne. In base allattribuzione il soggetto si sente soddisfatto o insoddisfatto, prova orgoglio o vergogna e sviluppa aspettative di successo per il futuro. Il processo di attribuzione e le convinzioni che ne seguono influenzano dunque la motivazione per la partecipazione ad un successivo evento. Lallenatore pu intervenire durante la fase di attribuzione di causa tenendo conto che un atleta che non si sente responsabile degli insuccessi agonistici tender in genere a mantenere un buon livello di motivazione; pu altres influenzare la fase di interpretazione dei risultati, facendo passare il messaggio che una sconfitta non deve necessariamente essere vissuta come un insuccesso. Circa la distinzione fatta tra motivazioni intrinseche ed estrinseche, secondo Carron i rinforzi estrinseci tendono ad aumentare linteresse intrinseco o la partecipazione ad unattivit per la pura gioia di partecipare. Nello sport questo vale per quei rinforzi che aumentano nellatleta la consapevolezza delle proprie capacit, il livello di autostima e la sensazione di raggiungere e controllare gli obiettivi prefissati ed soprattutto lallenatore a disporre di rinforzi positivi di questo tipo. Lallenatore sviluppa inevitabilmente delle aspettative in merito alle abilit degli atleti; tali aspettative influenzano il rapporto tra lallenatore e il singolo atleta e, di conseguenza, la motivazione e la prestazione di questultimo. Inoltre, le aspettative che lallenatore matura nei confronti degli atleti, il rapporto che instaura a livello interpersonale, i rinforzi e i segnali che lallenatore trasmette vanno ad incidere sulla fiducia che latleta ha in se stesso. FATTORI SITUAZIONALI NON SOGGETTI AL CONTROLLO DELLALLENATORE Secondo Carron, la situazione sportiva pu avere effetti motivanti o demotivanti su cui lallenatore non pu influire. Un fattore importante la numerosit degli spettatori presenti e del tifo. Un secondo fattore costituito dalla presenza di un concorrente che implica per definizione una situazione competitiva. Ci determina la percezione che latleta ha delle proprie abilit e le possibilit di vittoria in rapporto allavversario; importanti inoltre sono le esperienze pregresse dellatleta rispetto a situazioni analoghe.

Anche le caratteristiche del gruppo sportivo o della squadra in senso stretto possono avere un effetto pi o meno motivante; la somiglianza tra i membri di un gruppo pu risultare sia stimolante sia demotivante per il gruppo considerato nel suo insieme, cos come pure per i singoli atleti. Anche i fattori personali degli atleti presentano alcuni aspetti su cui lallenatore non ha possibilit di agire; la personalit degli atleti incide sullefficacia delle tecniche insegnate dallallenatore. I tre pi importanti tratti di personalit sono lansia, la capacit attentiva e la motivazione al successo (Carron). Da sottolineare che lansia relativa alla competizione sportiva tende a diminuire con let e lesperienza degli atleti (Griffin, 1972; Gould, Horn, Spreeman, 1983). Passer (1981) individua sei elementi variabili che influiscono sullo stato di stress che una competizione provoca: 1. disciplina sportiva (gli sport individuali producono pi stress); 2. importanza della gara; 3. risultato 4. livello di autostima (indirettamente proporzionale allo stress); 5. aspettative di successo (indirettamente proporzionali allo stress); 6. livello congenito di ansia (direttamente proporzionale allo stress). La competizione sportiva tende ad aumentare la tensione, circostanza questa che influenza sia lattenzione sia la capacit di concentrazione. Entrambe incidono, a loro volta, sulla prestazione. MOTIVAZIONE AL SUCCESSO Il contesto sportivo, soprattutto se riferito allagonismo, essenzialmente orientato alla riuscita, al successo, allachievement (Carron, 1980; LeUnes, Nation, 2002). Sia per gli sportivi individuali sia per quelli di squadra, la prestazione degli atleti misurata e confrontata a uno standard di eccellenza che pu essere personale (una prestazione precedente), normativa (un grado di difficolt) e/o ambientale (un antagonista). Secondo Atkinson e Carron lorientamento ad impegnarsi in un compito di riuscita e lorientamento ad evitare questo impegno sono due disposizioni caratteriali indipendenti ed entrambe presenti nellindividuo. La motivazione di un soggetto a impegnarsi in unattivit che prevede la possibilit di un successo in alternativa ad un fallimento viene definita tendenza ad affrontare un compito di riuscita (Ts). Questa tendenza dipende da tre fattori: 1) lintensit dellorientamento individuale o la motivazione ad impegnarsi in un compito di riuscita (Ms); 2) la probabilit di successo che il soggetto prevede di avere (Ps); 3) il valore che il soggetto attribuisce a questo successo (Is). La formula : Ts = Ms x Ps x Is Gli ultimi due fattori sono inversamente proporzionali; Is = I - Ps La tendenza ad evitare il fallimento connesso al compito (Taf) deriva da tre fattori: 1) lintensit dellorientamento individuale o della motivazione ad evitare di impegnarsi in compiti di riuscita (Maf); 2) la probabilit di fallimento (Pf); 3) il valore che il soggetto attribuisce a questo insuccesso (If), cio lincentivo ad evitare il fallimento. La formula : Taf = Maf x Pf x If Gli ultimi due fattori sono inversamente proporzionali; pi il compito difficile, meno un fallimento comporter vergogna o dispiacere If = - (I Pf); in questo caso si mette il segno meno perch If sempre un valore negativo. Le due tendenze ad affrontare e ad evitare il compito di riuscita, sono sempre entrambe presenti quando un individuo si trova in una situazione di riuscita. Per ottenere la risultante, cio leffettiva motivazione, occorre fare la differenza tra la tendenza positiva ad impegnarsi nel compito e quella negativa ad evitarlo.

Tr = Ts + (- Taf) Da questa formula se ne pu derivare una seconda che permette di calcolare il variare della motivazione alla riuscita al variare dellorientamento individuale ad affrontare/evitare i compiti di riuscita, della probabilit di successo/fallimento e con essa del valore attribuito al successo/fallimento. Tr = (Ms Maf) x (Ps x Is) Cei (1998) riporta alcune conclusioni: gli atleti maschi che presentano un elevato orientamento al successo e una limitata paura dellinsuccesso ottengono i risultati migliori in gara, mentre un ridotto desiderio di successo e una forte paura dellinsuccesso sono tipici di atleti che rendono meglio in allenamento rispetto alle competizioni agonistiche; gli atleti che esprimono un elevato desiderio di successo forniscono complessivamente prestazioni migliori rispetto a chi ha una bassa attesa di successo. LA MOTIVAZIONE NELLA SQUADRA E IL FENOMENO DELLA PIGRIZIA SOCIALE La motivazione del gruppo deriva direttamente dalla somma delle motivazioni, dei bisogni e delle aspirazioni individuali dei membri della squadra ? Zander (1982) sostiene che non esattamente cos perch gli individui non hanno solo obiettivi personali, ma perseguono anche obiettivi di gruppo.

Obiettivo dellindividuo per il gruppo

Obiettivo del gruppo per se stesso

Obiettivo dellindividuo per se stesso

Obiettivo del gruppo per lindividuo

Il gruppo ha motivazioni proprie che non derivano necessariamente dalla somma delle motivazioni individuali dei suoi membri. Zander (1971) ha sviluppato un modello simile a quello di Atkinson per studiare la motivazione alla riuscita nel gruppo. Zander fa riferimento alla tendenza a raggiungere un successo di gruppo (Tgs) e alla tendenza ad evitare un fallimento di gruppo (Tgaf). Dalla differenza tra queste tendenze risulta la tendenza alla azione del gruppo. Rg = Tgs - Tgaf I fattori che determinano la tendenza al successo del gruppo sono tre: 1) il desiderio di ottenere un successo di gruppo (Dgs); 2) la probabilit del successo di gruppo (Pgs); 3) il valore attribuito al successo di gruppo (Igs). I tre fattori si combinano nel prodotto: Tgs = Dgs x Pgs x Igs

Parimenti, la tendenza ad evitare il fallimento di gruppo dipende da tre fattori: 1) il desiderio di evitare un fallimento di gruppo (Dgaf); 2) la probabilit del fallimento di gruppo (Pgf); 3) il valore attribuito al fallimento del gruppo (Igf). Il prodotto dellinterazione : Tgaf = Dgaf x Pgf x Igf Ringelmann faceva notare che le persone si applicano al massimo quando lavorano da sole e la prestazione individuale media diminuisce allaumentare delle dimensioni del gruppo. Stroebe e Frey (1982) attribuiscono il cosiddetto effetto Ringelmann ad almeno due tipi di perdite: coordinazione e motivazione. Le perdite di coordinazione sono dovute ad unorganizzazione non ottimale delle risorse. Le perdite di motivazione sono spiegate da Janssen (1995) attraverso due fenomeni di pigrizia sociale (social loafing). Il primo, indicato con il nome di effetto Nassauer, si esprime con la riduzione del proprio sforzo da parte di alcuni membri del gruppo quando il contributo individuale allo svolgimento del compito comune non identificabile. E lanonimato tanto pi probabile quanto pi il gruppo numeroso. Quando gli altri membri si accorgono di questo comportamento riducono a loro volta la propria motivazione e il proprio contributo per non fare la figura dei merli e cos la prestazione si livella verso il basso. Questo secondo fenomeno chiamato effetto merlo. Carron (1988) fa notare, anchegli, che allaumentare della dimensione del team la motivazione individuale diminuisce. Lautore individua quattro fattori che contribuiscono a creare la pigrizia sociale, i primi due studiati da Harkins, Latan e Williams (1980) e gli altri due da Orbell e Dawes (1981). 1. La spiegazione basata sulla strategia dellallocazione parte dal presupposto che i soggetti siano motivati sempre a lavorare con impegno. Tuttavia essi si sforzano al massimo quando la loro prestazione individuale perch in questo caso traggono personalmente i benefici maggiori. 2. Un secondo fattore che alimenta la pigrizia sociale la strategia del minimo impegno. Gli individui cercano di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. 3. Leffetto free-rider; i membri del gruppo diminuiscono il proprio impegno quando sentono che il loro contributo non indispensabile allo svolgimento di un compito. Pi il gruppo numeroso, pi i membri credono che la capacit e competenza degli altri siano sufficienti. 4. Leffetto sucker. I membri di un gruppo non si impegnano a fondo per paura di permettere un free-rider ai compagni che non partecipano allo svolgimento del compito. Gli individui non si sforzano al massimo per paura di apparire dei gonzi che lavorano anche per gli altri. Al contrario, la pigrizia sociale minima quando lapporto individuale pu essere controllato ed considerato indispensabile e/o comparabile allapporto dei compagni. SPORT INDIVIDUALI , SPORT DI SQUADRA E BISOGNO DI CHIUSURA COGNITIVA Anche se negli sport individuali lallenamento spesso svolto con altri o in gruppo, il risultato della gara dipende esclusivamente dalla prestazione del singolo atleta ed attribuibile soltanto a lui. Ma praticare uno sport individuale non significa fare sport da soli e non fare parte di un gruppo; soltanto assumersi pienamente la responsabilit e le conseguenze del risultato ottenuto durante le gare. Mantovani (1994) distingue gli sport individuali dagli sport di squadra sottolineando che nei primi il soggetto compete da solo con uno o pi avversari, mentre nei secondi lindividuo parte di una squadra che gareggia con unaltra squadra. Tassi (1993) distingue fra sport fianco a fianco e sport faccia a faccia. Nel primo caso lavversario distante, in quanto non si riscontra materialmente alcuna interferenza dellazione dellatleta con quella del suo antagonista; negli sport faccia a faccia lavversario vicino, dal momento che lazione dellatleta si lega direttamente a quella del suo concorrente, modificandola ed essendone

modificata. In funzione dellintensit dellinterazione, gli sport fianco a fianco si possono distinguere in paralleli e differiti: nei primi, come nella corsa o nel ciclismo, la prestazione di un concorrente contemporanea a quella di un altro; nei secondi, come nello sci o nella ginnastica artistica, lesecuzione di ciascun atleta successiva a quella degli altri. Gli sport faccia a faccia si possono differenziare in mediati e di contatto: nei primi, come nella pallavolo o nel tennis, linterazione tra gli avversari non diretta ma si realizza attraverso un mezzo, solitamente la palla; i secondi, come il pugilato o la pallacanestro, prevedono linterazione diretta e si risolvono in un vero e proprio contatto fisico. Tassi (1993) divide gli sport in giochi e discipline. INDIVIDUALI
Disciplina (ginnastica artistica, corsa veloce)

DI SQUADRA
Disciplina-gioco (nuoto sincronizzato,ciclismo)

FIANCO A FIANCO

Disciplina-gioco (tennis, pugilato)

Gioco (pallavolo, calcio)

FACCIA A FACCIA

In ambito sportivo, il riferimento a disciplina richiamo lattenzione su attivit motorie da eseguire in modo molto preciso in base a schemi rigidamente predefiniti, mentre parlare di gioco porta a pensare ad attivit motorie che si svolgono con infinite variazioni possibili dettate dallo specifico movimento, entro un limite formato dalle regole proprie di tali attivit. Tassi colloca gli sport individuali fianco a fianco sul polo della disciplina e quelli di squadra faccia a faccia sul polo del gioco, lasciando al centro del continuum sia le attivit sportive individuali faccia a faccia sia quelle di squadra fianco a fianco. In generale gli sport di squadra tendono a valorizzare maggiormente laspetto del gioco, mentre gli sport individuali sottolineano ed enfatizzano la parte disciplinare. TIPI DI SQUADRA Carron e Chelladurai (1979) ci forniscono uno schema

DISCIPLINE SPORTIVE

INDIPENDENTI

DIPENDENTI

coattive

Reattivo proattive

interattive

Questi autori rielaborano criticamente la distinzione dicotomica tra discipline interattive e coattive suggerita da Landers e Luschen (1974) sulla base dellopposizione tra i concetti faccia a faccia e coattivo proposta da Allport (1924) e suddividono le discipline lungo due dimensioni relative al grado di interdipendenza allinterno della squadra. Ne risulta una prima distinzione tra discipline sportive indipendenti e dipendenti; e unulteriore articolazione della seconda classe in tre categorie: dipendenza coattiva, reattivo-proattiva e interattiva. Nelle discipline indipendenti non richiesta alcuna attivit coordinata. Nelle discipline dipendenti si hanno le seguenti distinzioni: Nelle discipline coattive dipendenti i singoli atleti svolgono contemporaneamente una stessa attivit, coordinata da ununica persona secondo uno schema fisso e sempre uguale, come per il canottaggio. Nelle discipline reattivo-proattive le attivit dei singoli atleti si osservano in una sequenza data: ne sono un esempio il caso del lanciatore e del battitore nel baseball; chi completa lazione dipende da qualcun altro che la inizia. Nelle discipline a dipendenza interattiva i componenti di una squadra dipendono luno dallaltro per le varie attivit che svolgono e per il gioco in se stesso, dal momento che ognuno pu prendere uniniziativa a seconda della situazione (nel calcio). LA SQUADRA SPORTIVA E LE SUE CARATTERISTICHE La squadra sportiva pu essere considerata un esempio particolare di gruppo, il cui scopo legato allattivit sportiva svolta dai membri. Le caratteristiche fondamentali vengono cos riassunti da Baumann (1998): unit sociale, scopo comune, interazione, dimensione, posizioni, distribuzione dei ruoli, norme, sentimento del noi. UNITA SOCIALE, SCOPO COMUNE E INTERAZIONE Una squadra sportiva si distingue non solo dagli altri gruppi in generale, ma anche da tutte le altre squadre. Tale distintivit sottolineata dallabbigliamento uniforme e da un nome o soprannome particolare. Questo aumenta il senso di appartenenza e il sentimento del noi. Lo scopo sportivo agonistico comune il perno attorno al quale gravitano tutte le altre caratteristiche della squadra. La stabilit del gruppo dipende dalla disponibilit dei singoli a sacrificare i loro interessi personali per gli obiettivi collettivi. Se le aspirazioni dei singoli sono troppo lontane dallo scopo comune, la squadra rischia di perdere di vista i suoi obiettivi e di sfaldarsi. Anche nello sport i processi interattivi comprendono i rapporti tra i membri di una stessa squadra (relazioni intra-gruppo) e quelli tra squadre (relazioni inter-gruppi). Allinterno di una squadra i componenti possono sviluppare cooperazione o antagonismo. Come sostiene Cei (1998), lottimale collaborare allinterno della squadra e tenere verso lesterno un atteggiamento competitivo, essere cio tutti uniti contro lavversario (sinergia allinterno e competitivit allesterno). La cooperazione

interna risulta incrinata ogni qual volta: alcuni atleti infrangono le regole tecniche o di altra natura, ci sono lamentele da parte di atleti non protagonisti a proposito della competizione, gli atleti esprimono critiche sullallenatore e/o sui compagni con persone esterne al gruppo, si litiga in campo, si attribuiscono ai compagni le cause delle sconfitte. Behm (1996) afferma che la concorrenza tra i compagni della squadra parte integrante dello sport agonistico ma resta spesso latente finch i confronti con altre squadre hanno esito vittorioso e sono fonte di soddisfazione. Vengono individuati cinque tipi di concorrenza: Concorrenza per un posto da titolare; Concorrenza per la gerarchia interna alla squadra e per il prestigio; Concorrenza per laffetto e la simpatia dellallenatore e dei compagni di squadra; Concorrenza per eventuali premi materiali e gratificazioni psicologiche; Concorrenza verso lesterno. Per relazioni intergruppi sintende il rapporto con le squadre avversarie. Nello sport non agonistico la cooperazione tra avversari frequente. Il tipo di interazione che si sviluppa tra avversari nello sport dipende essenzialmente dal fatto che si persegua come scopo lagonismo o il divertimento (Alfermann, 1993). DIMENSIONE, POSIZIONI E RUOLI Secondo Widmeyer, Brawley e Carron (1990) non chiaro se il termine dimensione nello sport vada riferito al numero di atleti che sono in azione sul campo da gioco contemporaneamente oppure alla formazione schierata oppure a tutti gli atleti che partecipano agli allenamenti. La coesione pu essere misurata dal Group Environment Questionnaire (GEQ). Il livello di prestazione delle squadre molto piccole inferiore rispetto alle squadre intermedie, ma non alle squadre allargate. Le squadre di dimensioni intermedie sembrano essere le pi coese dal punto di vista sociale e le pi efficaci in campo. Nelle squadre meno numerose facile trovarsi daccordo sugli obiettivi e sui metodi da seguire, ma mancano le risorse per raggiungere gli scopi prefissati. Alcuni autori osservano una relazione inversa tra il numero di giocatori e variabili come divertimento, coesione, partecipazione o senso di responsabilit. In pratica, quanto pi le unit di azione sono piccole, tanto pi i componenti valutano positivamente le esperienze che vivono. In accordo con Carron (1988) si deve rilevare che le risorse di cui una squadra dispone non sono collegate direttamente alla prestazione collettiva e che occorre considerare, oltre allambiente esterno e alla situazione, anche fattori intergruppo quali la cooperazione, lantagonismo, la coesione, il conflitto, la comunicazione, la leadership. In ogni squadra si possono distinguere diverse posizioni, direttamente connesse allattivit sportiva. Nel calcio, per esempio, ci sono portiere, difensori, centrocampisti, attaccanti. Alcuni ruoli legati ai singoli individui e non allo svolgimento del gioco possono cristallizzarsi: il capitano, il veterano, il nuovo arrivato. I ruoli pi gratificanti e pi importanti per lo svolgimento del compito conferiscono potere e prestigio a chi li ricopre e questo vale sia dentro sia fuori del campo di gioco. Nel calcio, ad esempio, la posizione del numero dieci pi prestigiosa. A proposito del capitano, Prunelli (2000) stila un interessante decalogo per definire questa figura e sottolinea limportanza del suo doppio ruolo per la vita della squadra: Pensa per te e per gli altri e non sentirsi sminuito se devi metterti a disposizione dei compagni. Cerca di essere tranquillo ed equilibrato, trasmetti sicurezza, rivolgiti allarbrito nelle dovute maniere. Intervieni a sostegno di un compagno in difficolt o incapace di sottostare alle regole del gruppo. Mostrati propositivo. Non defilarti se non sei in giornata, se lavversario pi forte o se il risultato compromesso. Se occorre, fai le veci dellallenatore: assumi responsabilit. Prendi decisioni.

Nei momenti di difficolt della squadra sforzati di essere creativo e coraggioso, diffondi ottimismo. Tieni conto delle esigenze e dei problemi di ogni compagno. Armonizza i rapporti allinterno dello spogliatoio. Diventa leader, ma proponiti in modo tale che ogni componente del gruppo, in determinate situazioni, sia leader a propria volta. Fai in modo di essere credibile senza aver bisogno del sostegno dellallenatore. Il problema del conflitto per la posizione collegato a doppio filo alla tematica della dimensione della squadra. In primo luogo, non tutti gli atleti che prendono parte agli allenamenti possono essere schierati in occasione delle gare. Inoltre, solo una parte degli atleti schierati titolare, gli altri devono restare in panchina. Scoppiano allora i conflitti per il posto, sia in squadra sia da titolare. Alfermann (1993) fa notare che linterazione nella squadra sportiva si basa sia sullo svolgimento del compito sia sulla dimensione sociale. NORME, SANZIONI E SENTIMENTO DEL NOI Si pu affermare con Baumann (1998) che gli atleti della squadra si trovano tutti daccordo sulle norme che regolano il comportamento individuale e collettivo e chi non rispetta le regole soggetto a sanzioni. Le regole nello sport possono avere carattere formale o informale. Nel primo caso si tratta di regole ufficiali. Le norme informali, invece, sono degli schemi di orientamento che gli atleti apprendono attraverso lappartenenza alla squadra e interiorizzano con il tempo, come la professionalit negli allenamenti, nelle partite e nellalimentazione. Secondo Eberspacher (1982), oltre alle norme interne al gruppo che concorrono a determinare le aspettative reciproche degli atleti di una squadra, vi sono anche le norme imposte dallesterno, a riprova del fatto che le squadre sono inserite in un sistema sociale. Se anche uno solo degli atleti non rispetta gli impegni presi, lo sforzo di tutti gli latri pu risultare vano. I componenti di una squadra nutrono inoltre aspettative reciproche per quanto riguarda il comportamento in campo nei confronti degli arbitri. Infine gli atleti si aspettano solidariet reciproca quando devono confrontarsi con lesterno, con lallenatore o il direttivo. Nel caso del mancato rispetto delle regole formali sono gli arbitri a punire i giocatori. Quando invece i giocatori disattendono le aspettative dellallenatore, questi pu reagire con richiami verbali oppure effettuare modifiche nella formazione base e nello schieramento. I giocatori stessi tendono ad escludere dalle interazioni interpersonali i compagni di squadra che non rispettano le norme di gruppo. Squadra si diventa nel corso di un processo che porta allo sviluppo di un senso di appartenenza, indicato spesso con i termini di sentimento di noi, spirito di squadra, anima del gruppo o coesione. Questo processo scaturisce dallintegrazione dei singoli atleti nello schema dei ruoli, dallinterazione tra i componenti della squadra, dalladattamento al sistema normativo e, soprattutto, dalladesione allo scopo comune. Questo senso di appartenenza si esprime attraverso una divisa della squadra e labbigliamento uniforme al di fuori delle gare agonistiche, oppure attraverso piccoli rituali come la mascotte tenuta in panchina (Syer, 1986). Il clima della squadra esprime larmonia interna, le percezioni dei singoli atleti in merito alle condizioni e alle relazioni che intercorrono tra i membri ed predittivo della coesione, il motivo per il quale latleta si sente di far parte della squadra (Hodge, 1995). UN MODELLO PER LO STUDIO DELLA SQUADRA SPORTIVA Il modello viene tratto da Carron (1988).

Caratteristiche dei membri

Ambiente di gruppo

VARIABILI INPUT ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Struttura del gruppo

VARIABILI INTERVENIENTI

Coesione del gruppo

Processi di gruppo

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------VARIABILI OUTPUT

Prodotti di gruppo

Prodotti individuali

Il modello considera le strutture e i processi di gruppo nonch la coesione, al fine di individuare le principali conseguenze del team sportivo sia sui singoli atleti sia sulla squadra considerata nel suo insieme. Per quanto riguarda le variabili input, Carron analizza lambiente di gruppo soffermandosi sul compito che la squadra deve affrontare, sulla dimensione del gruppo e sulla territorialit in cui si trova ad agire. Insieme alla coesione e ai processi di gruppi (motivazione, interazione, comunicazione, cooperazione e competizione), gli aspetti strutturali come lo sviluppo del gruppo, le posizioni, i ruoli, le norme e la leadership rappresentano le variabili intervenienti. IL BISOGNO DI CHIUSURA COGNITIVA Il bisogno di chiusura cognitiva, postulato da Kruglanski (1989) allinterno della sua teoria dellepistemologia ingenua, rappresenta una dimensione disposizionale e si riferisce al desiderio dellindividuo di ottenere una risposta certa ad un quesito/problema e allavversione per lambiguit. Si tratta di una tendenza a cercare e difendere una qualsiasi risposta certa, piuttosto che un tipo particolare di risposta congruente con gli interessi del soggetto stesso. Pur essendo motivazione e cognizione due sistemi distinti, essi sono intrecciati, dal momento che ogni motivazione riveste aspetti cognitivi e ogni cognizione presenta elementi motivazionali. La teoria

dellepistemologia ingenua intende proporre una prospettiva nuova che unisca i diversi modelli di attribuzione causale proposti dalla psicologia sociale, considerandoli come casi specifici di un quadro pi ampio, percorrendo la strada della social cognition. La dizione ingenua suggerisce una continuit tra senso comune e scienza, continuit che si delinea nel fatto che tutta lattivit epistemica per certi versi ingenua. I suoi elementi principali sono: Lelemento del contenuto, riferito a tutti i tipi di proposizioni e ipotesi formulabili da parte degli individui; Lelemento logico, utilizzato per lapprovazione o il rifiuto delle credenze a partire dalla rilevante presenza di unevidenza; Lelemento motivazionale, che attiva il processo e stabilisce le basi per le relazioni affettive e cognitive dellindividuo, atte a valicare e/o invalidare linformazione. Le parti componenti tale ipotesi sono disponibili nella nostra memoria e accessibili nel momento in cui essa costruita; a ci si aggiunge la motivazione che un individuo ha per generare idee su un certo argomento, dal momento che nessuna attivit epistemica pu avere luogo senza una piccola quantit di motivazione.

CHIUSURA COGNITIVA

RICERCA

ELUSIONE

SPECIFICA

NON SPECIFICA

SPECIFICA

NON SPECIFICA

Lindividuo riguardo a un certo argomento pu desiderare di ottenere una chiusura cognitiva oppure di mantenere la mente aperta ad altre informazioni, evitando tale chiusura. In pratica, la motivazione verso la chiusura varia lungo un continuum i cui poli sono, da un lato, un forte bisogno di chiusura e, dallaltro, un forte bisogno di evitarla: gli effetti della motivazione sono monofonici lungo questo continuum. La chiusura desiderata o evitata pu essere di tipo particolare, ovvero specifica secondo qualche criterio, oppure di qualsiasi genere, purch conduca alla chiusura o alla sua assenza. Nella formulazione di Kruglanski la chiusura non universalmente desiderata, nel senso che pu essere ritenuta o meno necessaria, a seconda delle circostanze e dei soggetti coinvolti. In sintesi, il bisogno di chiusura cognitiva rappresenta contemporaneamente una dimensione stabile delle differenze individuali e uno stato evocabile situazionalmente. Le motivazioni epistemiche regolano la tendenza al congelamento o allo scongelamento delle sequenze conoscitive. Inizialmente sono state concettualizzate come tre spinte indipendenti, cio bisogno di strutturazione, timore di invalidit e preferenza per le conclusioni desiderabili; Kruglanski

riassume queste motivazioni nel bisogno di chiusura cognitiva lungo le due dimensioni bipolari che si combinano dando luogo a quattro tipi di bisogni di chiusura cognitiva: 1. Il bisogno di chiusura non specifica esprime il desiderio di una risposta definitiva su un dato argomento, una qualunque risposta purch ponga termine alla confusione e allambiguit. Un simile bisogno pu dare il via a unintensa attivit epistemica che si fermer non appena sar avanzata una qualche ipotesi plausibile supportata dallevidenza; in questo senso si dice che il bisogno di chiusura non specifica promuove il congelamento epistemico. 2. Il bisogno di chiusura specifica si riferisce al desiderio di una risposta particolare alle proprie domande, risposta relazionata con una qualche propriet dei suoi contenuti come elementi lusinghieri o desiderabili. Se il bisogno di chiusura non specifica promuove il congelamento epistemico, quello di chiusura specifica conduce al congelamento oppure allo scongelamento a seconda del fatto che la conoscenza corrente sia o meno congruente con i particolare desideri dellindividuo. 3. Il bisogno di evitare la chiusura non specifica ha a che fare con le situazioni nelle quali un giudizio non determinato, vago, valutato o desiderato; quindi, considerando lesito finale perseguito, lopposto del bisogno di chiusura non specifica. Nei casi in cui dare un giudizio errato pu risultare costoso, la mancanza di chiusura pu essere valutata positivamente e in questo senso il bisogno di evitare la chiusura pu dare luogo ad unintensa attivit epistemica volta a mantenere aperto lorizzonte delle possibili informazioni e generalmente promuove lo scongelamento epistemico. 4. Il bisogno di evitare la chiusura specifica spesso dettato dal fatto che certe chiusure, certe risposte, possiedono caratteristiche non desiderabili per lindividuo. In certi casi conduce al congelamento epistemico, in altri allo scongelamento, sempre a seconda della situazione cercata dallindividuo rispetto a quella in cui egli si trova. Lindividuo parte da una premessa che unisce una data evidenza con date ipotesi e procede ad inferire lipotesi a partire dallevidenza; naturalmente, una stessa evidenza pu essere connessa con pi ipotesi tra loro alternative. Le condizioni motivazionali sottostanti alla struttura, o schema, della conoscenza possono modificarla, accrescendo o diminuendo le possibilit di riconoscere leventuale inconsistenza della struttura stessa, che sar cos mantenuta o abbandonata. Gli individui validano le proprie ipotesi secondo una logica soggettiva, le cui premesse condizionali usate come base per le diverse conclusioni sono socialmente costruite. Lerrore logico pu trovare ordine e spiegazione nella cornice offerta dallepistemologia ingenua. Il bisogno di chiusura cognitiva quindi il desiderio di una conoscenza definita su qualche argomento, desiderio basato sulla percezione di vantaggi e svantaggi che possono derivare da una chiusura o dalla sua assenza in una determinata situazione (Pierro, 1995). La conoscenza pu essere desiderata perch porta informazioni positive riguardo a un dato fatto, oppure perch porta una qualche informazione definita, in situazioni in cui una simile informazione richiesta per un qualche proposito. Nel primo caso si attiver un bisogno di chiusura specifica, che implica la desiderabilit di una risposta particolare a una domanda, nel secondo caso un bisogno di chiusura non specifica, che sottintende la desiderabilit di qualunque risposta purch definita. Un beneficio dovuto alla chiusura rappresentato dallabilit nel prendere una decisione o nellagire in tempo per un certo scopo, per cui la mancanza di tempo far aumentare il bisogno di chiusura; al contrario, si avr una diminuzione del bisogno di chiusura nelle situazioni in cui il timore di mostrarsi non efficaci nel dare un giudizio far apparire pi attraente unanalisi pi ampia delle informazioni a disposizione. Altre condizioni nelle quali il bisogno di chiusura si eleva sono dettate dalle difficolt inerenti al trattamento delle informazioni, che diviene pi pesante e quindi pi costoso nel caso di uno stato affaticato dellindividuo o in un ambiente rumoroso. Il bisogno invece di evitare la chiusura pu derivare dal divertimento o dallinteresse legati al compito, cio da attivit piacevoli che la chiusura porterebbe a finire.

Infine, ci sono anche differenze individuali stabili, disposizionali, nel grado di valutazione della chiusura Per Pierro (1995) il bisogno di chiusura cognitiva non va considerato in termini di presenza/assenza quanto piuttosto in termini di un continuum che va da un estremo caratterizzato da impazienza cognitiva, impulsivit, tendenza a prendere decisioni non giustificate, rigidit di pensiero e riluttanza a considerare soluzioni alternative ad un altro caratterizzato da esperienza soggettiva di incertezza, indisponibilit ad impegnarsi esplicitamente unopinione definitiva, sospensione di giudizio, frequente proposta di soluzioni alternative. Il posizionamento lungo questo continuum dipende sia da caratteristiche individuali, disposizionali, sia da fattori situazionali quali il rumore ambientale, il tempo a disposizione, laffaticamento mentale, la monotonia del compito (Webster, 1993). In generale, il bisogno di chiusura pu provocare la tendenza allurgenza e alla permanenza. La prima si riferisce allinclinazione ad afferrare la chiusura velocemente; la seconda tendenza relativa al desiderio di perpetuare la chiusura, seguendo la duplice istanza di preservare, o congelare, la conoscenza passata e di salvaguardare la conoscenza futura. Queste due tendenze si basano sullassunto che per gli individui con alto bisogno di chiusura lassenza di chiusura sia un dato negativo e si ripercuotono sullelaborazione delle informazioni e, indirettamente, sui fenomeni sociali dei quali lelaborazione delle informazioni parte (Webster, Kruglanski, 1998). Gli individui con un alto bisogno di chiusura tendono a formulare i propri giudizi sulla base di suggerimenti provenienti da dati preesistenti piuttosto che su informazioni successive. Nelle persone con un elevato bisogno di chiusura esiste la preferenza disposizionale ad unirsi e associarsi con persone con mentalit simile, nonch il sentimento positivo nei confronti di che, nel gruppo, facilita il consenso. Gli individui in questione cercano di preservare le proprie credenze per il futuro. Per misurare la dimensione disposizionale del bisogno di chiusura cognitiva Webster e Kruglanski (1994) hanno costruito una scala del bisogno di chiusura cognitiva: NEED FOR CLOSURE SCALE, composta da 42 item. Si identificano 5 dimensioni principali: bisogno di ordine e di strutturazione, intolleranza allambiguit, decisionalit, bisogno di prevedibilit, chiusura mentale. Per alcuni autori gli atleti che praticano sport individuali presentano un bisogno di chiusura cognitiva pi accentuato rispetto a chi pratica sport di squadra. Sembra che gli sport di squadra possiedono caratteristiche in sintonia con la forma mentis dei soggetti con basso bisogno di chiusura cognitiva pi di quanto avvenga per gli sport individuali. Shah, Kruglanski e Thompson (1998) hanno trovato che il bisogno di chiusura cognitiva aumenta lattrazione degli individui nei confronti del proprio gruppo o dei suoi membri in misura maggiore rispetto ad altri gruppi o ai loro membri, con un effetto di discriminazione in favore del proprio gruppo (ingroup). emersa una relazione positiva fra il bisogno di chiusura cognitiva e: Self estreme collettiva Similarit percepita nei confronti di un membro del proprio gruppo Accettazione da parte di un membro delle credenze e atteggiamenti dei componenti il gruppo. Questo costrutto disposizionale pu influenzare il tipo di relazioni che un soggetto sviluppa nei confronti di membri del proprio gruppo o di altri gruppi. Ma pu anche succedere il contrario: una forte identificazione al proprio gruppo pu aumentare un generale desiderio di chiusura cognitiva. PROCESSI DI GRUPPO E COESIONE NELLA SQUADRA SPORTIVA La squadra sportiva pu essere definita un piccolo gruppo orientato al compito e alla prestazione, i cui membri sono interdipendenti, vogliono raggiungere un fine condiviso e sviluppano unidentit collettiva. Si pu far riferimento ad una squadra come a un gruppo di persone che svolgono insieme delle attivit per raggiungere un obiettivo comune (Giovannini, 1993). Interdipendenza, scopo comune e identit di gruppo si perseguono attraverso la divisione

dei compiti (strutturazione orizzontale e distribuzione dei ruoli) e del potere (strutturazione verticale e gerarchia di status) e attraverso modalit di comportamento e comunicazione armonizzate. LA COESIONE NEL PICCOLO GRUPPO E NELLA SQUADRA Il termine coesione ha origine dal latino cohaesus, participio passato di cohaerere, tra i cui significati c quello di essere unito, congiunto, strettamente legato, connesso. Lewin introduce nella letterature psicologica il concetto di group cohesiveness, distinguendo tra due categorie di processi di gruppo, quelli relativi al raggiungimento di scopi comuni e quelli riferiti allo sviluppo e al mantenimento del gruppo considerato nel suo insieme. Nellottica di Lewin, Festinger, Schachter e Back (1950) definiscono la coesione come il campo totale delle forze che agiscono sui membri per farli rimanere nel gruppo, individuando due componenti del campo di forze in azione: lattrattiva del gruppo e la valenza positiva delle relazioni interpersonali al suo interno, e la capacit del gruppo di soddisfare i bisogni individuali dei membri. Gross e Martin suggeriscono una definizione alternativa della coesione, in termini di resistenza del gruppo alle forze disgreganti, di tendenza dei membri a restare insieme, uniti gli uni agli altri. Carron (1988) sostiene che per capire e poter studiare la coesione necessario conoscere gli obiettivi del gruppo, nonch le ragioni della sua esistenza cui sono strettamente connessi il suo sviluppo e il suo mantenimento; la coesione pu essere vista come un processo dinamico che si riflette nella tendenza dei membri di un gruppo a stare insieme e rimanere uniti al fine di raggiungere i propri scopi e obiettivi. Carron trova nella teoria dellidentit sociale di Tajfel e nella teoria della categorizzazione del s di Turner due contributi essenziali. Widmeyer, Brawley e Carron (1985) propongono una classificazione delle variabili considerate importanti per lo sviluppo della coesione: 1. caratteristiche dei membri del gruppo, relative alle somiglianze di personalit, atteggiamenti, background sociale, prestazioni, al senso di responsabilit ed impegno verso il gruppo, alla tendenza allapertura, alla soddisfazione per la dimensione sociale del gruppo e per la dimensione legata al compito, alla disponibilit a fare sacrifici personali per raggiungere lo scopo comune; 2. caratteristiche del gruppo, che comprendono la dimensione, la prossimit fisica e funzionale, le interazioni intergruppo, il consenso sulla gerarchia e sulla connotazione dei ruoli, la leadership democratica e centrata sul gruppo, la chiarezza e la condivisione degli scopi del gruppo e dei modi per raggiungerli, la struttura equa delle ricompense, latmosfera del gruppo, lapprezzamento delle prestazioni dei membri da parte del leader, linterdipendenza tra i ruoli, la chiarezza dei ruoli; 3. situazioni vissute dal gruppo, riferite a variabili quali la minaccia da parte di una forza esterna, la competizione intergruppi, un fallimento condiviso, il successo del gruppo. De Nicol, Movilla e Segalini (1994) suddividono i fattori che concorrono a determinare la coesione di gruppo in estrinseci (controllo sociale, dipendenza gerarchica o funzionale da entit pi ampie, somiglianza socio-culturale tra i membri), socio-operativi (interesse per gli obiettivi comuni, forza attrattiva allazione comune, spirito di gruppo, affinit interpersonali, soddisfazione individuale) e socio-emotivi (articolazione e distribuzione dei ruoli, leadership, impegno personale). Gli autori individuano anche quattro cause disgreganti: aggressioni interpersonali, abbandoni (defezioni), disorganizzazione, mancanza di senso di appartenenza. Widmeyer, Brawley e Carron (1985) individuano la seguente articolazione delle conseguenze della coesione: 1. conseguenze per i membri: aumento dellautostima, del senso di sicurezza, della familiarit con gli altri membri, dellaccettazione e della fiducia reciproche, della soddisfazione, della lealt e della conformit verso il gruppo, della capacit di resistere alle pressioni, dello sforzo per raggiungere gli obiettivi comuni, diminuzione dellansia, diminuzione della tendenza a

sfruttare gli altri membri, diminuzione dellassenteismo, diminuzione della resistenza al cambiamento. 2. conseguenze per il gruppo: aumento dellinterazione e della comunicazione intergruppo, della partecipazione, della coordinazione degli sforzi, della disponibilit a fare sacrifici per il gruppo, della persistenza dei compiti, della conformit, dellaccettazione degli scopi comuni, della chiarezza e dellaccettazione dei ruoli, del consenso sulla gerarchia e della connotazione dei ruoli, della stabilit, diminuzione del turn-over e mantenimento del sentimento di appartenenza. 3. conseguenze per i prodotti del gruppo, in particolare per la prestazione. Si nota come alcune variabili si ritrovano sia tra gli antecedenti sia tra le conseguenze della coesione perch, essendo la coesione un processo dinamico e non statico, ragionevole considerare la continua interazione con le altre variabili che caratterizzano il gruppo. Nel caso della squadra sportiva pi corretto parlare di legami circolari tra le variabili piuttosto che cercare rapporti di causalit tra la coesione e le caratteristiche ad essa connesse, sia strutturali che procedurali. Non pu esserci qualcosa come un gruppo non coeso; una contraddizione in termini. Se un gruppo esiste, in qualche misura coeso. Questa affermazione di Donnelly, Carron e Chelladurai (1978) vale anche per la squadra sportiva. Limportanza dei gruppetti aumenta nei momenti delicati e impegnativi come una gara importante o una fase di crisi interna, momenti questi in cui i sottogruppi si caratterizzano per un alto grado di unit interna e si distinguono chiaramente tra loro. La vicinanza fisica favorisce la coesione grazie ad una maggiore prossimit e ai frequenti scambi comunicativi. Anche la comunicazione, sia con lesterno sia allinterno della squadra, incide sulla coesione. Nel primo caso si parla di permeabilit e si osserva un rapporto inverso con la coesione: una squadra isolata risulta pi coesa (utilit del ritiro sportivo). Lo scambio di informazioni e le interazioni tra gli atleti di una stessa squadra sono in relazione diretta con la coesione. Inoltre, una divisione molto articolata dei ruoli, legati sia alla posizione sia alla persona, favorisce allinterno della squadra lo sviluppo della coesione. La coesione di un gruppo non una caratteristica statica, bens un processo dinamico, connesso alle relazioni interpersonali allinterno del gruppo. Mazzali (1995) intende la coesione in termini di forza di aggregazione tra i membri e sottolinea che questo concetto non esprime n staticit n omogeneit. In una squadra la coesione si manifesta attraverso diversi fattori affettivi, sociali e operativi. Disponibilit sociale, intesa come disponibilit a dare senza ricevere e ad accettare gli altri per come sono. Scopo comune, cio confluenza delle energie verso il raggiungimento dellobiettivo condiviso Comunicazione, ossia possibilit di esprimersi liberamente, senza per questo offendersi reciprocamente. Conoscenza, impegno per conoscere gli altri e disponibilit a farsi conoscere dagli altri, senza voler nascondere la propria personalit. Reciprocit nelle interazioni. Soddisfazione sia dei bisogni individuali sia degli obiettivi della squadra. Auto-governo, nel senso di capacit di stabilire regole interne e nei confronti dellavversario. Interdipendenza, basata sulla reciprocit delle interazioni. Esperienza comune, cio condivisione di situazioni ed esperienze, indipendentemente dal background socioculturale, disponibilit a soffrire e gioire assieme, perdere e vincere assieme. Divertimento condiviso, durante la fatica fisica dellallenamento, senza diminuire limpegno. Carron insiste sul fatto che la coesione si sviluppa e si articola lungo due dimensioni: il raggiungimento degli scopi e degli obiettivi comuni prefissati e la soddisfazione dei bisogni e dei desideri sociali dei componenti. Del resto anche la definizione della coesione di Festinger prevede due tipi di forze in azione:

Lattrattivit, data da relazioni soddisfacenti e appaganti, dallattrazione interpersonale, dai legami di amicizia allinterno del gruppo; Il controllo dei mezzi, degli scopi e obiettivi che si possono raggiungere grazie allappartenenza al gruppo.
FATTORI LEGATI ALLAMBIENTE

FATTORI LEGATI ALLA PERSONA

FATTORI LEGATI ALLA LEADERSHIP

FATTORI LEGATI ALLA SQUADRA

COESIONE RELATIVA AL COMPITO COESIONE SOCIALE

RISULTATI DI GRUPPO

RISULTATI INDIVIDUALI

Nello schema lambiente rappresenta la categoria pi generale, remota e nel contempo meno importante, mentre la squadra il fattore pi specifico, diretto e rilevante. Per quanto riguarda lambiente Carron indica le responsabilit contrattuali e lorientamento organizzativo: nel primo caso si tratta delle regole di appartenenza e/o trasferimento degli atleti e degli obblighi contrattuali di professionisti o dilettanti. Nella maggior parte dei casi gli atleti non possono entrare e uscire dalla squadra liberamente. Il secondo fattore ambientale si riferisce al fatto che le squadre sono diverse tra loro per scopi comuni, strategie, et, appartenenza di genere, anzianit degli atleti, e ci contribuisce alla coesione sociale e a quella relativa al compito. Carron, poi, aggiunge al suo modello tre variabili ambientali: 1. le pressioni normative a livello sociale che spingono le persone che entrano a far parte di una squadra a non abbandonare gli impegni presi; 2. la vicinanza fisica nello spogliatoio e sul campo, che favoriscono la comunicazione, lamicizia e la coesione; 3. la dimensione del gruppo, che incide sullo sviluppo della coesione.

La seconda categoria di fattori che contribuiscono alla coesione nella squadra sportiva riferita alle persone. Un dato di fatto che i maschi sono pi orientati alla competizione agonistica, per cui dovrebbero sviluppare un pi alto grado di coesione relativa al compito, mentre tra le femmine dovrebbe essere pi forte la coesione sociale. Per quanto riguarda la soddisfazione, Martens e Peterson (1971) sostengono che la coesione, prestazione e soddisfazione sono legate in modo circolare: la coesione favorisce la prestazione e il successo; il successo, a sua volta, produce soddisfazione individuale; questultima, infine, aumenta la coesione. Riprendendo quanto esposto da Cartwright (1968) riguardo ai gruppi in genere, Williams e Hacker (1982) ipotizzano, invece, la direzione opposta della circolarit: la coesione contribuisce alla soddisfazione, la quale favorisce il successo nelle prestazioni da cui deriva, a sua volta, un aumento della coesione. La terza grande fonte di influenza deriva dalla leadership, dove per leader si intende soprattutto lallenatore. I fattori pi studiati sono il comportamento del leader, lo stile decisionale e relazionale, la relazione interpersonale tra allenatore e atleti e la relazione tra allenatore e squadra. Lultima categoria di fattori che contribuiscono alla coesione riguarda specificatamente la squadra. Carron concentra lattenzione su cinque fattori relativi alla squadra: successo e prestazioni, sia a breve che a lungo termine; condivisione di esperienze negative come insuccesso, frustrazione e minacce dallesterno; comunicazione e scambio aperto di idee ed opinioni; permeabilit; struttura di gruppo della squadra. Per quanto riguarda il fenomeno della condivisione di esperienze negative, Turner ipotizza una spiegazione in termini di categorizzazione sociale e conformit forzata: quando le persone si sentono coinvolte e impegnate nei confronti del gruppo, unesperienza negativa e la minaccia esterna possono aumentare la coesione, il senso di appartenenza e linteriorizzazione delle regole. Le categorie citate non sono indipendenti tra di loro ma si collegano in una realt complessa che pu favorire la coesione nella squadra sportiva, grazie allo sviluppo tra gli atleti di unidentit, di una struttura, di obiettivi comuni e di motivazioni collettive. Tra le variabili out-put si ritrovano anche elementi visti come input, a riprova della natura circolare della relazione tra i diversi fattori in gioco. Per quanto riguarda la squadra, Carron prende in considerazione prestazioni, stabilit, interazione e comunicazione, deformazione dei giudizi a favore dellin-group e sostiene che: 1. tra coesione e prestazione o successo c una relazione complessa; 2. la stabilit di una squadra si pu dedurre osservando il turn-over, lassenteismo e la puntualit degli atleti; 3. interazione e comunicazione si trovano in relazione circolare con la coesione: se i membri di una squadra hanno la possibilit di interagire e comunicare lun con laltro frequentemente, la squadra pi coesa, cosa che favorisce, a sua volta, interazione e comunicazione; 4. la percezione che gli atleti hanno della propria squadra risente della coesione, la quale favorisce la tendenza allauto-inganno e alla sopravvalutazione dellin-group. Per i singoli individui che compongono la squadra la coesione e la presenza di compagni che offrono supporto hanno un impatto, oltre che sulla prestazione, anche sugli stati psicologici (autostima, sentimenti di fiducia e sicurezza, apertura al cambiamento e riduzione dellansia), sulla chiarezza, laccettazione e lo svolgimento dei ruoli, sul rispetto delle norme e sulla soddisfazione personale. Inoltre, la coesione sembra favorire lassunzione di responsabilit da parte dei singoli e diminuire la tendenza ad attribuire agli altri, sia allinterno che allesterno della squadra, gli insuccessi e i problemi. Il meccanismo di attribuzione diventa meno egocentrico.

AMBIENTE RESPONSABILITA CONTRATTUALI ORIENTAMENTO ORGANIZZATIVO PRESSIONI NORMATIVE DIMENSIONI

PERSONA CARATTERISTICHE SOCIODEMOGRAFICHE SODDISFAZIONE ORIENTAMENTI INDIVIDUALI

LEADERSHIP COMPORTAMENTO STILE DECISIONALE RAPPORTO ALLENATORE ATLETA RAPPORTO ALLENATORE - SQUADRA

SQUADRA ORIENTAMENTO DI GRUPPO NORME DI PRODUTTIVITA STABILITA DESIDERIO DI SUCCESSO COLLETTIVO CAPACITA TECNICHE NATURA DEL COMPITO SUCCESSO E PRESTAZIONE CONDIVISIONE DI ESPERIENZE NEGATIVE COMUNICAZIONE PERMEABILITA STRUTTURA

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------COESIONE RELATIVA AL COMPITO COESIONE SOCIALE

RISULTATI DI GRUPPO: PRESTAZIONE STABILITA INTERAZIONE COMUNICAZIONE BIAS IN FAVORE Nella squadra sportiva la coesione prestazioneDELLINGROUP e allenatore.

legata a filo doppio

RISULTATI INDIVIDUALI PRESTAZIONE STATI PSICOLOGICI SODDISFAZIONE CHIAREZZA DEI RUOLI a quattroRISPETTO allenamento, spogliatoio, variabili: DELLE NORME ASSUNZIONE DI RESPONSABILITA

ALLENAMENTO E SPOGLIATOIO Durante gli allenamenti lallenatore a guidare la squadra e a decidere quali posizioni vanno a ricoprire i singoli atleti. Alla gerarchia per anzianit, personalit e capacit tecniche si affianca una sub-struttura caratterizzata da regole implicite, che determina le interazioni allinterno della squadra. Nello spogliatoio lallenatore non presente e pertanto viene a cadere la rete di interazioni sociali, i rapporti sono personali e basati sullamicizia e sulla simpatia, anche se la gerarchia pu esercitare delle influenze e possono osservarsi, talvolta, riti di iniziazione ed episodi di cosiddetto nonnismo. La sub-struttura dei rapporti interpersonali durante la gara rispecchia chiaramente, oltre alle posizioni e ai ruoli, simpatie e antipatie; da qui deriva la sub-struttura percettiva, ossia lintesa dei compagni che si trovano vicini in campo, che alla base del pensiero collettivo di squadra. Infatti, la vittoria in partita non dipende da un singolo giocatore ma da un collettivo con una buona intesa, dal momento che non si sprecano energie e i movimenti sono coordinati e reciproci.

Mazzali (1995) indica alcuni ruoli che non sono ufficiali ma che si delineano allinterno della squadra, come il leader occulto che non si riferisce allallenatore ma agli atleti stessi. Spesso il ruolo del leader svolto dal capitano e/o dai veterani della squadra. Esistono poi altri ruoli: il vice, il mistico, il gregario, loutsider, il sindacalista, il capro espiatorio, il buffone, il leader impostore. Questultimo la persona che cerca il potere personale allinterno della squadra per appagare un bisogno represso e morboso di affermazione. Per raggiungere i propri scopi il leader impostore semina zizzania, manipola i compagni e situazioni e non esita a sacrificare la squadra considerata nel suo insieme come gruppo. Questi ruoli sono intesi come tipi ideali, classificazioni che si incontrano e si addicono in misura maggiore o minore ai componenti di una squadra. Un singolo atleta pu anche mettere in atto comportamenti tipici di ruoli diversi e i vari ruoli possono essere svolti da pi persone. PRESTAZIONE La prestazione della squadra il risultato misurabile del modo in cui gli atleti lavorano insieme. Widmeyer, Carron e Brawley (1993) suggeriscono di condurre unanalisi a partire da tre livelli gerarchici: esiste una relazione tra coesione e prestazione nello sport ? quando e a quali condizioni si verificano e sintensificano la relazione tra coesione e prestazioni ? come si spiega il fatto che in alcuni casi coesione e prestazione sono in relazione e in altri casi no ? Questi autori portano a riprova dellesistenza del legame tra coesione e prestazione una lista di 30 ricerche sullargomento, 24 delle quali individuano una relazione positiva, 5 una relazione negativa e solo 1 non rileva alcun legame. Meding (1989) fornisce un elenco di ricerche sullargomento e trova che 21 su 27, pari ad oltre il 75%, sono a favore della relazione positiva. Queste ricerche considerano la prestazione quanto il risultato o successo agonistico, che dipende anche da altre variabili. Landers e Luschen (1974) riprendono la distinzione di Steiner tra compiti divisibili e unitari e sostengono che il legame tra coesione e prestazione dipende dal tipo di compito. Nel caso di compiti unitari non c alcuna forma di divisione del lavoro e lassenza di interdipendenza tra gli atleti pu portare ad un aumento della competizione interna che si ripercuote positivamente sulle singole prestazioni individuali, cio sulla prestazione collettiva. Nelle discipline che prevedono la divisione dei compiti, come il calcio, la competizione interna e la mancanza di coesione sono in relazione inversa con la prestazione. In accordo con questo punto di vista, alcuni autori (Carron, Chelladurai, Widmeyer, Williams) affermano che nelle discipline interattive (caratterizzate da compiti divisibili) coesione e successo sono in relazione pi stretta rispetto alle discipline coattive (caratterizzate invece da compiti unitari). Guiccardi, Staffa e Meleddu (2001) indicano sia il tipo di compito sia la struttura del gruppo; che il successo agonistico migliori la coesione del gruppo risaputo da tutti gli allenatori. Allo stesso modo noto che un buon spogliatoio fondamentale per ottenere prestazioni superiori. Anche per la coesione nello sport importante disporre di una misura accurata. Il primo strumento messo a punto stato lo SPORT COHESIVNESS QUESTIONNAIRE (SCQ) di Martens, Landers e Loy (1972). Si tratta di un questionario formato da sette item, relativi a tre dimensioni della coesione: 1. la relazione tra lindividuo e gli altri atleti della squadra; 2. le relazioni tra lindividuo e la squadra considerata nel suo complesso; 3. la valutazione della squadra. Questo strumento, nonostante il largo impiego, ha un grosso limite: le sue propriet psicometriche non sono state provate; non ci sono test che ne documentino la consistenza interna, lattendibilit e la validit. Yukelson, Weinberg e Jackson (1984) svilupparono il MULTIDIMENSIONAL SPORT COHESION INSTRUMENT (MASCI) partendo allidea che la coesione faccia riferimento a fattori collegati sia al

raggiungimento degli obiettivi comuni sia al mantenimento di buoni rapporti interpersonali. I 41 item iniziali, legati al compito e alle relazioni intergruppo, derivano da altri strumenti per misurare la coesione, da definizioni teoriche della coesione, da ricerche pertinenti nellambito della psicologia industriale. Il loro un approccio multidimensionale alla coesione nello sport e identificano 4 fattori della coesione: 1. qualit del lavoro di gruppo, concernente il livello di collaborazione tra i membri della squadra; 2. attrazione verso il gruppo, in riferimento al grado in cui lappartenenza alla squadra soddisfa gli individui; 3. unit di propositi; 4. apprezzamento dei ruoli. Widmeyer, Brawley e Carron (1985) svilupparono il GROUP ENVIRONMENT QUESTIONNAIRE (GEQ), individuando tre punti essenziali: 1. la necessit di operare una distinzione tra lindividuo e il gruppo; 2. la necessit di distinguere tra le questioni relative allo svolgimento del compito e le questioni relative ai rapporti sociali; 3. le percezioni dei membri del gruppo. Greve, Whelan e Meyers (2000) precisano che la coesione sociale riflette la desiderabilit sociale dellappartenenza al gruppo, mentre la coesione relativa al compito riferita al ruolo strumentale che la partecipazione alle attivit del gruppo svolge nel raggiungimento di un obiettivo. IL RUOLO DELLALLENATORE Lallenatore il leader istituzionale della squadra sportiva. La sua funzione principale certo quella di riconoscere e utilizzare tutte le risorse a disposizione e usare saggiamente il tempo per portare gli atleti ai massimi livelli di prestazione. Questultima il risultato di una serie complessa di fattori interagenti tra loro quali labilit tecnica e le caratteristiche fisiche e psicologiche degli atleti, il contesto nel quale si svolge la gara, il rapporto atleti allenatore, lequilibrio emozionale che questo rapporto genera nel singolo atleta, nella squadra e nellallenatore. Antonelli e Salvini (1987) affermano che lallenatore deve darsi una serie di obiettivi generali, il cui raggiungimento richiede da parte sua non solo doti organizzative e competenza tecnica, ma anche requisiti di personalit. Lallenatore pu scegliere uno o pi tra i seguenti obiettivi: sviluppare gli atleti sul piano fisico, tecnico, psicologico e sociale; soddisfare i loro bisogni; formare atleti con mentalit vincente; vincere; rendere piacevole e divertente sia il momento dellallenamento sia quello della gara; creare e gestire il gruppo in quanto squadra. Stabiliti gli obiettivi da perseguire, lallenatore dovrebbe individuare: gli strumenti adatti per raggiungerli (ad esempio, modalit di insegnamento, tecniche di allenamento, gesti e movimenti dimostrativi, sostegno alla motivazione); la tipologia delle risorse umane disponibili per intraprendere le attivit orientate agli obiettivi (latleta, la squadra, se stesso nelle varie funzioni che assume); le strategie pi idonee per evitare gli ostacoli insiti nel contesto entro il quale opera. Allenare significa assumere contemporaneamente le funzioni di educatore/formatore, di tecnico/organizzatore e di leader; la capacit di passare da una funzione allaltra scegliendo di volta in volta il ruolo pi adatto determina il patrimonio professionale pi prezioso per lallenatore. COMPITI DELLALLENATORE In quanto educatore lallenatore ha il compito di formare atleti maturi fisicamente e psicologicamente, il pi completi sul piano tecnico. In ogni seduta di allenamento egli cercher di sviluppare e

migliorare le abilit cognitive coinvolte nel processo di elaborazione dellinformazione (percezione, memoria e attenzione), di selezione della risposta (il gesto che diventa azione automatica) e di automatizzazione (liberare la mente dal controllo del gesto per indirizzarla verso lanalisi della situazione). La funzione di docente quindi la caratteristica pi importante del ruolo dellallenatore. Egli favorisce lacquisizione di abilit quali lattenzione verso il proprio corpo e verso lesterno, lanalisi e la valutazione della situazione, la selezione, la decisione sul gesto tattico da adottare. Per un allenatore importante che gli atleti conoscano bene la tecnica e poich non pu gareggiare al posto loro, egli deve preparare sia il singolo sia la squadra a prendere proprie decisioni usando proprie valutazioni. La mancanza di autonomia sempre un dato negativo. Un allenatore interverr, pertanto, per ridurre qualsiasi forma di dipendenza per portare gli atleti a pensare oltre che ad agire da soli. Se resi pi autonomi gli atleti sono maggiormente in grado di riconoscere e controllare i sintomi generatori dello stress. Fra i compiti dellallenatore vi quello di occuparsi della motivazione, intesa come molla soggettiva delle pulsioni. Senza motivazione non vi apprendimento e non vi neppure partecipazione. Per tenere alta la motivazione occorre indicare per ogni allenamento le mete da raggiungere, variare spesso gli allenamenti e gli esercizi in uno stesso allenamento, creare brevi momenti di competizione, non dilungarsi in spiegazioni monotone, far si che ogni atleta migliori, provando piacere, non rimproverare duramente gli atleti o esprimere valutazioni negative per gli errori commessi, sottolineare gli elementi positivi e far leva su questi. utile e necessario un accordo allenatore atleta allinizio di ogni stagione sportiva: lallenatore si informa circa gli obiettivi di ogni atleta e a sua volta espone le proprie aspettative nei suoi confronti, costruendo cos insieme un patto condiviso sugli obiettivi. OBIETTIVI E RESPONSABILITA Lallenatore definisce una serie di obiettivi a lungo, medio e breve termine per la squadra e per ogni atleta. Egli predispone una sequenza temporale degli obiettivi a breve termine da raggiungere nei singoli allenamenti, con la consapevolezza che difficolt contingenti, quali ad esempio malattie o infortuni, possono costringerlo a modificare quanto previsto. Programma inoltre lacquisizione e laffinamento dei gesti tecnici, dei fondamentali di squadra e degli schemi tattici, studia la preparazione di ogni atleta e predispone allenamenti individualizzati rispettando le caratteristiche metaboliche, costituzionali, cardio-circolatori e respiratori dei singoli. Inoltre, decide la formazione da schierare in campo, le posizioni che i singoli atleti ricoprono, nonch le sanzioni da applicare nei confronti di chi non rispetta le regole. Peterson, Bauer e Tiburzio (1987) riassumono in nove punti le responsabilit dellallenatore: 1. sviluppare il senso di appartenenza, attraverso lutilizzo del pronome noi; 2. fissare obiettivi comuni, chiari, realistici e condivisi; 3. definire per ogni atleta un ruolo e specificarne mansioni e responsabilit, al fine di consentirgli di fare riferimento ad un codice di comportamento; 4. utilizzare il rinforzo positivo ed evitare punizioni e sanzioni che aumentano inutilmente la paura dellerrore: esse riducono la motivazione, lautostima e la possibilit di apprendimento, incutono timore e portano al rifiuto dellallenatore; 5. favorire la partecipazione; 6. trattare tutti allo stesso modo senza favoritismi; 7. premiare i comportamenti altruistici e i sacrifici; 8. smorzare i comportamenti individualistici; 9. promuovere occasioni per stare insieme anche al di l di allenamenti e gare. Da questo si evince lesigenza di possedere sul piano relazionale e comunicativo un set di abilit e di competenze indispensabili per svolgere adeguatamente il ruolo di allenatore. Luso adeguato dei ruoli comunicativi in funzione degli obiettivi che si intende raggiungere indispensabile. Lallenatore deve utilizzare la psicologia dello sport nello svolgimento del proprio ruolo (Brewer, 2000).

LEADERSHIP E POTERE Ci che caratterizza veramente il leader il fatto di poter influenzare gli altri membri del gruppo pi di quanto essi possano essere influenzati. I membri del gruppo hanno quantit di potere e prestigio diversi che danno origine a gerarchie di status nella maggior parte dei casi. Queste differenziazioni di status sono strettamente connesse ai processi di confronto sociale attraverso il quale i membri possono valutare le loro capacit; tali confronti concorrono a influenzare non solo le reciproche auto ed etero-percezioni, ma anche i comportamenti effettivamente messi in atto. I rapporti di dominanza sottomissione vanno considerati come uno degli aspetti strutturali della vita di gruppo. French e Raven (1959) considerano il potere sociale in termini di influenza esercitata da un agente sociale X su una persona Y che la riconosce come tale. Il potere di X su Y pu derivare da diverse fonti o basi e pu essere pi o meno diffuso o circoscritto a determinate aree. Solitamente un rapporto di potere poggia su pi basi: il potere di ricompensa: X pu influenzare Y perch in grado di promettergli ricompense materiali e/o simboliche; il potere coercitivo: la capacit di influenza di X deriva dalla sua possibilit, riconosciuta da Y, di infliggere sanzioni o negare ricompense; il potere legittimo: ad X conferito potere perch Y ha interiorizzato dei valori che affermano che X ha un diritto legittimo di influenzare Y; il potere di esempio o di riferimento: Y si sente o vorrebbe essere simile a X, di conseguenza modifica i propri atteggiamenti e comportamenti e anche le proprie convinzioni per assomigliare a X. Y pu anche non essere consapevole dellinfluenza esercitata da X. Il potere dellesperto o di competenza: Y soggetto allinfluenza di X perch lo ritiene competente ed esperto. Emerson (1962) definisce il potere collegandolo al concetto di dipendenza e afferma che alla base delle relazioni di potere-dipendenza c uno scambio sbilanciato o asimmetrico di risorse. Il potere di X su Y uguale alla dipendenza di Y da X, e questo potere aumenta quando Y: Non pu offrire in cambio nessuna risorsa interessante per X; Non ha fonti alternative per procurarsi la risorsa che X in grado di offrire; Non dispone di alcun potere coercitivo; La risorsa gli indispensabile. Per Turner (1991) il leader colui che, nel gruppo, esercita maggiore influenza, mostrando pi iniziativa, occupando una posizione pi alta nella gerarchia e pi centrale nella rete di comunicazione del gruppo. Le pi recenti concettualizzazioni considerano il potere e linfluenza come processi alternativi di modificazione del comportamento degli individui. LA LEADERSHIP Hersey e Blanchard (1988) definiscono la leadership come quel processo volta ad influenzare le attivit di un individuo o di un gruppo che si impegna per il conseguimento di obiettivi in una determinata situazione. Per Becciu e Colasanti (1997) si possono individuare tre fasi (non da intendersi strettamente in senso cronologico) di studio del fenomeno della leadership. Una prima fase centrata sui tratti di personalit e sugli stili; una seconda fase di studi che si sviluppa in seguito allincapacit delle teorie centrate sul leader di spiegare determinate variabili soprattutto ambientali; infine la fase dei modelli transazionali nella quale sono presi unitamente in considerazione gli elementi centrali delle due fasi precedenti, cio leader, gruppo e contesto. Anche Trentini (1997) individua tre grandi scuole di pensiero: un approccio basato sui tratti di personalit, uno basato sugli stili e uno basato sulla contingenza (orientamenti funzionalisti). Stogdill (1974) analizza oltre 150 ricerche sullargomento scoprendo che anche i tratti pi ricorrenti, come lintelligenza, la sicurezza di s o la socievolezza, non riescono a dare ragione della leadership.

I tratti pi tipici di un leader sono infatti altri, ad esempio la propensione alla responsabilit, la tendenza a prendere liniziativa, la capacit di assorbire lo stress e di tollerare la frustrazione, labilit nellinfluenzare gli altri, la fiducia in se stesso, loriginalit nellaffrontare i problemi, la tenacia nel perseguire gli obiettivi. Hollander (1985) sostiene che tutte le definizioni riconoscono limplicazione di un processo di influenza tra leader e seguaci, ma non individuano un insieme di tratti di personalit che differenzia il leader dagli altri. Lidea del grande uomo e del leader naturale appaiono teorie molto suggestive ma inadeguate a spiegare la leadership. Per Bales e Slater (1955) due sono le funzioni essenziali per il leader: quella di assicurare un clima armonioso mostrando considerazione nei confronti dei membri (leader socio-emozionale) e quella di realizzare il compito assegnato al gruppo focalizzando lattenzione sulle idee migliori e organizzando il lavoro di gruppo (leader centrato sul compito). Lewin, Lippitt e White (1939) hanno individuato tre stili di leadership: 1. Stile autoritario: il leader esercita un alto grado di controllo sui membri del gruppo ed facile che in questa situazione si crei aggressivit, manifestata direttamente o repressa attraverso una passiva sottomissione, verso il responsabile del gruppo e verso i membri in assenza momentanea del leader; di fronte alle difficolt il gruppo tende alla disgregazione; generalmente, la produttivit migliora, ma a scapito della soddisfazione dei membri che si trovano in una condizione di massimo ordine, minima libert e minima interazione amichevole; 2. Stile democratico: il gruppo condotto in modo partecipativo e responsabilizzante; in questa situazione, lamicizia forte e in caso di difficolt il gruppo serra i ranghi; limpegno elevato anche in assenza del responsabile e la produttivit, pur non essendo massima, costante e di buona qualit; lordine non particolarmente elevato, ma linterazione tra i membri massima; 3. Stile laissez-faire: il leader si disinteressa dei componenti del gruppo, che spesso ovviano a questa situazione creando e lasciando che emergano tra loro leader spontanei che si sostituiscano a quello ufficiale; la produttivit del gruppo scarsa sia da un punto di vista quantitativo sia qualitativo e in pratica in questa condizione si rilevano tutti gli aspetti negativi delle altre due condizioni. Lapproccio situazionista sostiene che i comportamenti del leader vengono determinati dal compito e dal contesto in cui si svolgono le attivit. Per Scilligo (1973) la leadership una funzione delle condizioni in cui si trova il gruppo, come pure dei valori e degli atteggiamenti che caratterizzano i membri del gruppo. Quello che viene messo in rilievo non sono i tratti di personalit, ma il tipo di attivit richiesto dal gruppo per raggiungere i suoi scopi e il modo col quale i membri del gruppo partecipano alle attivit dirette al raggiungimento delle mete del gruppo. La leadership considerata efficace non per le caratteristiche del leader, ma per la situazione specifica in cui il gruppo e il leader si trovano. Non esiste il leader ottimale in assoluto, dal momento che egli caratterizzer il suo stile diversamente a seconda della specifica situazione. Il modello della contingenza proposto da Fiedler (1964) recita che lefficienza del gruppo dipende da unintegrazione ottimale tra situazione nella quale il gruppo si trova e stile della leadership. Lidea di base interazionista, secondo la quale lefficacia della leadership legata alla corrispondenza fra stile del leader e il suo controllo della situazione. Secondo Fiedler esistono due stili di leader, quello orientato al compito, che ha come scopo principale il raggiungimento degli obiettivi del gruppo, e quello orientato alla relazione, che si preoccupa soprattutto di mantenere buone relazioni allinterno del gruppo. Lefficacia dei due tipi di leadership varia di tre fattori situazionali: latmosfera del gruppo o qualit dei rapporti tra il leader e i membri, il livello di strutturazione del compito e il potere del leader. La leadership orientata verso il compito pi efficace in situazioni molto favorevoli o sfavorevoli per il leader, mentre la leadership socio-emozionale pi adatta in situazioni intermedie. Quando il leader benvoluto dal gruppo, non viene messa in discussione la sua autorit e il compito ben definito, egli non deve preoccuparsi del morale e pu concentrarsi sul compito. Allestremo

opposto, quando il leader non ben accettato, dispone di poco potere e il compito ambiguo, egli non in grado di intervenire sul morale ma forse pu limitare i problemi legati al compito dedicando ad esso la propria attenzione. Nelle situazioni intermedie, invece, lorientamento socio-emozionale pu aumentare la motivazione del gruppo e, con essa, la produttivit. Il successo delluno o dellaltro stile dipende dunque dalla situazione: se il leader ha basso o elevato controllo situazionale sar pi efficace lo stile orientato al compito, se ha incerto controllo situazionale avr maggiore gioco quello orientato alla relazione. Hollander propone una teoria basata sui modelli transazionali. In essi la leadership si costituisce sul principio massimo guadagno con il minimo costo adottato da ciascun membro del gruppo (Gergen e Gergen 1986) SODDISFAZIONE E PRODUTTIVITA Sono da considerare VARIABILI STRUTTURALI, come le abilit e caratteristiche di personalit dei singoli atleti, le gerarchie di status esistenti, le reti di comunicazione, la grandezza del gruppo degli atleti e della squadra, il livello di omogeneit o eterogeneit che li caratterizza. Un secondo gruppo di variabili costituito dalle CARATTERISTICHE DEL COMPITO che i singoli o il gruppo si trovano ad affrontare. Inoltre, vi sono VARIABILI AMBIENTALI o contestuali; appartengono a questa categoria le caratteristiche dellambiente fisico in cui si svolgono le attivit, la posizione dei singoli e della squadra dentro lorganizzazione di appartenenza e le relazioni con altri atleti e altri gruppi. Questi tre gruppi di variabili influiscono sui risultati della prestazione attraverso una classe di variabili intermedie rappresentate dagli stili di leadership dellallenatore, dalla variazione delle norme di gruppo, dai livelli di motivazione al compito dei singoli e del gruppo, dalla coesione, dalla distribuzione delle informazioni, dai canali di comunicazione utilizzati, dalla partecipazione. Tutte questi elementi di solito non possono essere considerati indipendentemente gli uni dagli altri, ma interdipendenti. Variabili strutturali Variabili relative al compito Variabili ambientali

Abilit e caratteristiche di personalit dei singoli atleti Gerarchie di status esistenti Reti di comunicazione Grandezza del gruppo e della squadra Omogeneit o eterogeneit degli atleti

Tipo di compito Difficolt del compito (in allenamento o in gara) Esigenze della situazione Tempo disponibile per allenarsi

Caratteristiche dellambiente fisico Posizione dei singoli e della squadra dentro lorganizzazione Relazioni con altri atleti o altri gruppi

Processi emergenti

Stili di leadership dellallenatore Variazione delle norme di gruppo Livelli di motivazione al compito Coesione Distribuzione delle informazioni Livelli di partecipazione

Risultati

PRODUTTIVITA SODDISFAZIONE

LA LEADERSHIP IN CAMPO SPORTIVO Secondo Haroux (1953) allallenatore spetta il ruolo di leader, assieme a quello di tecnico, educatore e organizzatore-animatore. Lallenatore deve essere il centro di unit e coesione per il gruppo, rappresentare un modello, creare uno stato danimo sereno, assumendosi il peso della responsabilit; occuparsi delle funzioni esecutive decidendo programma, sua attuazione e sua esecuzione, rappresentare il gruppo, e tenere sotto controllo le relazioni interpersonali dei membri. Secondo Ulatowski (1979), lallenatore deve: 1. preparare la lezione in modo da tenere vivo linteresse degli atleti; 2. insegnare agli atleti le condizioni di lavoro che permettono di ottenere risultati ottimali; 3. permettere allatleta diventato esperto di partecipare alla pianificazione dellallenamento; 4. indicare agli atleti come risolvere da soli i problemi relativi alla pratica sportiva; 5. controllare che la seduta di allenamento sia sempre interessante; 6. mostrare che il controllo del lavoro non costituisce solo un mezzo di valutazione, ma anche unutile base di lavoro per una migliore pianificazione del futuro. Per analizzare i rapporti interni fra allenatore e atleti Chelladurai (1978) ha messo a punto un modello multidimensionale per lo studio della leadership dellallenatore nel contesto sportivo. Lautore indica come conseguenze del comportamento del leader sia la prestazione della squadra sia la soddisfazione degli atleti. Chelladurai prende in considerazione, ad un tempo, le caratteristiche situazionali, i tratti personali e il comportamento del leader. ANTECEDENTI COMPORTAMENTO DEL LEADER CONSEGUENZE

CARATTERISTICHE SITUAZIONALI

COMPORTAMENTO RICHIESTO

CARATTERISTICHE DEL LEADER

COMPORTAMENTO EFFETTIVO

PRESTAZIONE SODDISFAZIONE

CARATTERISTICHE DEGLI ATLETI

COMPORTAMENTO PREFERITO

Il comportamento dellallenatore si trova in stretto rapporto con la prestazione e la soddisfazione. Anche se il modello parla di antecedenti e conseguenze, le frecce che collegano il comportamento dellallenatore con la prestazione e la soddisfazione sono bidirezionali, a riprova dellinfluenza reciproca tra le variabili. Il comportamento dellallenatore, in quanto leader della squadra, gli stili decisionali che utilizza, le caratteristiche della situazione e degli atleti determinano anche il rapporto dellallenatore con la squadra considerata nel suo insieme e con i singoli atleti. Secondo Chelladurai e Carron (1981), questo comportamento si pu meglio definire facendo riferimento a cinque dimensioni o stili principali: allenamento e istruzione: il comportamento dellallenatore mira al miglioramento delle prestazioni puntando sullallenamento, fornendo istruzioni sulle abilit, sulle tecniche e sulle strategie tattiche, chiarendo i ruoli allinterno della squadra e strutturando e organizzando le attivit degli atleti; comportamento democratico: lallenatore prevede e permette la partecipazione degli atleti alle decisioni relative agli scopi comuni, ai metodi per raggiungerli, alle strategie e alle tecniche di gioco; comportamento autocratico: lallenatore agisce in maniera indipendente, prende decisioni autonome e sottolinea la propria autorit personale; sostegno sociale: lallenatore si preoccupa del benessere degli atleti presi individualmente, del clima di gruppo e intrattiene relazioni interpersonali amichevoli con gli atleti; feed-back positivo: lallenatore ricompensa e rassicura gli atleti attraverso il riconoscimento e la conferma delle loro prestazioni. Chelladurai e Haggerty (1978) collocando lo stile decisionale dellallenatore lungo un continuum che va dallassenza di partecipazione (stile autocratico) alla delega delle decisioni ad uno o pi atleti (stile delegante). Tra questi estremi trovano posto lo stile consultivo, che prevede che lallenatore senta

lopinione degli atleti e poi decida autonomamente, e lo stile di gruppo, in cui le decisioni sono prese dallallenatore insieme ad un numero variabile di atleti. Un allenatore pu adottare di volta in volta comportamenti e stile decisionale ritenuti pi adeguati. Chelladurai e Saleh (1978, 1980) hanno sviluppato un questionario specifico per lo sport (la LEADERSHIP SCALE FOR SPORT LSS), composta di cinque gruppi di item relativi al comportamento dellallenatore: allenamento e istruzioni, gli stili decisionali autocratico e democratico, infine le due tendenze motivazionali al supporto sociale e al feed-back positivo. Chelladurai e Carron (1983) sostengono che con laumento dellet e/o dellesperienza maturata, gli atleti apprezzano maggiormente il sostegno sociale e il comportamento autocratico dellallenatore. Per quanto riguarda il genere, Chelladurai e Saleh (1978) giungono alla conclusione che gli atleti maschi preferiscono un allenatore con uno stile comportamentale autocratico e cercano nel loro allenatore pi supporto sociale rispetto alle femmine che invece prediligono un allenatore democratico. Anche la disciplina sportiva, o il tipo di sport, influisce sulle preferenze degli atleti. Terry e Howe (1984) hanno riscontrato che gli atleti praticanti sport che richiedono uninterazione diretta tra i membri del gruppo sportivo prediligono un allenatore autocratico, mentre negli sport che non prevedono interdipendenza diretta tra gli atleti pi marcata la preferenza per un allenatore democratico. Sia le caratteristiche degli atleti sia i fattori situazionali incidono sulle preferenze degli atleti per il comportamento del loro allenatore e sullefficienza di questultimo. Il comportamento dellallenatore giudicato soddisfacente quando latleta o gli atleti lo considerano adatto alla situazione e alle proprie esigenze individuali (Wurth, 1999). Le discrepanze nella valutazione degli atleti e degli allenatori sembrano pi marcate nel caso di allenatori maschi (Salminen, Liukkonen, 1996). Horne e Carron (1985) hanno dimostrato che quanto pi il comportamento dellallenatore supera le aspettative degli atleti per quanto riguarda le istruzioni, il sostegno sociale e il feed-back positivo, tanto pi questi ultimi saranno contenti dello stile di leadership adottato dal coach. Smoll e Smith (1989) analizzano i processi cognitivi e affettivi che intercorrono tra il comportamento dellallenatore e la reazione dellatleta.

VARIABILI INDIVIDUALI DELLALLENATORE

VARIABILI INDIVIDUALI DELLATLETA

COMPORTAMENTO DELLALLENATORE

PERCEZIONI E RICORDI DELLATLETA

REAZIONE VALUTATIVA DELLATLETA

PERCEZIONI DELLALLENATORE IN MERITO ALLE ATTITUDINI DELLATLETA

FATTORI SITUAZIONALI

1. Fattori situazionali: disciplina sportiva, livello agonistico o contesto (allenamento VS gara), successi o insuccessi antecedenti, rendimento, attrattivit di gruppo. 2. Variabili individuali a. Dellallenatore: obiettivi, intenzioni comportamentali, strumenti usati in base alla probabilit percepita di ottenere un dato risultato e al valore ad esso attribuito, percezione delle norme di allenamento e concezione del proprio ruolo, inferenze sulle motivazioni degli atleti, livello di auto-monitoraggio, genere; b. Dellatleta: et, genere, percezione delle norme di allenamento, valenza attribuita al comportamento dellallenatore, motivazione al successo in ambito sportivo, ansia da competizione, autostima generica e relativa allaspetto strettamente sportivo. 3. Percezione dellallenatore in merito alle attitudini degli atleti. In una ricerca DellAnna (1990) ha riscontrato che i giocatori considerano un buon allenatore colui che li capisce nei momenti di difficolt, che astuto in gara, che favorisce laffiatamento allinterno della squadra, che fa sentire importanti tutti i giocatori, che dialoga con loro, che tiene unito lo spogliatoio, che pretende il massimo da ognuno e carica gli atleti prima della partita. Il profilo dellallenatore ideale fa riferimento a una persona che vicina al giocatore dal punto di vista umano e che si caratterizza sostanzialmente come leader democratico. Merlo (1988), nella sua ricerca sul bisogno di chiusura in ambito sportivo, ha rilevato che gli allenatori considerano caratteristiche comportamentali importanti per lo svolgimento del proprio lavoro: favorire laffiatamento tra gli atleti, stabilire norme di comportamento, sostenere la motivazione, far acquistare abilit, far rispettare le regole morali e insegnare le tecniche e le tattiche di gioco. La sfera socio-affettiva ritenuta pi importante rispetto allaspetto strettamente tecnico. La maggiore difficolt che un coach incontra, a detta degli allenatori intervistati da Merlo, sono i problemi scolastici, di lavoro o familiari degli atleti, lintervento dei genitori, la gestione degli atleti che credono di non avere pi bisogno di direttive, il reclutamento dei giovani, la difficolt a formare il gruppo a causa di elementi che pensano solo a se stessi, lassenteismo durante gli allenamenti e la gestione degli atleti con un carattere forte. Per quanto riguarda i comportamenti scelti per definire un buon allenatore, gli allenatori intervistati da Merlo indicano al primo posto la capacit di sfruttare le abilit psicologiche e tecniche degli atleti; al secondo posto ex equo la capacit di fare sentire importanti tutti gli atleti, di caricarli prima della gara, di dialogare con loro, di pretendere il massimo da loro e di favorire laffiatamento. Tutte le risposte si riferiscono alla sfera socio-emozionale della leadership dellallenatore.

Per chi pratica uno sport individuale sono importanti soprattutto la comprensione da parte dellallenatore, la variet degli allenamenti e laffiatamento, mentre per chi gioca in una squadra sono centrali laffiatamento, la carica data dallallenatore prima della partita, la sicurezza e lastuzia con cui egli guida il gruppo durante le gare. Gardner e al. (1996) evidenziano la relazione tra coesione e percezione del comportamento dellallenatore; in particolare, gli allenatori che ottengono punteggi alti sulle dimensioni dellallenamento e delle istruzioni, del comportamento democratico, del sostegno sociale e del feedback positivo e punteggi bassi per il comportamento autocratico, si trovano ad allenare giocatori che ritengono coesa la propria squadra. Per DellAnna ci che serve ai ragazzi un allenatore che adatti s i propri comportamenti e il proprio stile di leadership alla situazione, ma mantenga con gli atleti un rapporto interpersonale improntato sulle competenze e le abilit che vuole loro trasmettere. ADOLESCENZA E AGONISMO SPORTIVO Palmonari (1997) intende ladolescenza come quel periodo di vita che si situa tra la fanciullezza e la cosiddetta et adulta, periodo caratterizzato da cambiamenti radicali per quanto riguarda il corpo, la mente, nonch i comportamenti; tali cambiamenti sono estremamente rilevanti perch riguardano rispettivamente la maturazione biologica, lo sviluppo cognitivo, i rapporti con gli altri e i valori sociali. Speltini (1997) sottolinea che con pubert e adolescenza si fa riferimento a due processi differenti dello sviluppo individuale: con pubert si indica il passaggio dalla condizione fisiologica del bambino a quella delladulto (la maturazione biologica); con adolescenza si indica il passaggio dallo status sociale del bambino a quello delladulto. Le trasformazioni somatiche e puberali sono caratterizzate da modificazioni concernenti lo sviluppo sessuale, lo sviluppo morfologico e lo scatto di crescita, che consiste in un aumento del ritmo di sviluppo di peso e altezza e che implica tutte le strutture scheletriche e muscolari, nonch le trasformazioni organiche. Lincremento della forza muscolare produce effetti psicologici ce sono allorigine di un comportamento pi energico e pi esuberante e di una maggiore fiducia in se stessi. Per Palmonari lelaborazione di una nuova immagine del proprio corpo uno dei primi compiti di sviluppo che ladolescente deve affrontare. Il cambiamento fisico ha infatti luogo nei primi anni del periodo adolescenziale e il rapido sviluppo del corpo nella pubert pu spiegare il sentimento di insoddisfazione rispetto al proprio aspetto e la goffaggine tipica dei preadolescenti. Il pensiero delladolescente caratterizzato dalla logica preposizionale: la logica delle operazioni concrete tipica del bambino generalizzata e integrata con un insieme di combinazioni in un sistema di operazioni per cui ladolescente in grado di comprendere ed elaborare concetti e teorie astratti e ideali (Piaget). Havighurst (1952) parla di compiti di sviluppo: un compito di sviluppo un compito che si presenta in un dato periodo della vita di un soggetto e che se viene risolto in modo positivo conduce alla felicit e al successo nellaffrontare i problemi successivi, mentre il fallimento nella risoluzione porta allinfelicit, alla disapprovazione sociale e a difficolt di fronte a compiti seguenti. Alcuni di tali compiti sono determinati biologicamente, come imparare a camminare, altri sono determinati dalle pressioni sociali. Inoltre, i compiti di sviluppo sono suddivisi in ricorrenti e non ricorrenti: i primi si manifestano per un lungo periodo di tempo, se non per tutta la vita, invariati nel loro contenuto, i secondi vengono affrontati in modo definitivo a una certa et rispetto alla quale sono specifici. In linea generale il compito di sviluppo delladolescente la ricerca di indipendenza; pi in particolare: Instaurare relazioni nuove e pi mature con coetanei di entrambi i sessi; Acquistare un ruolo sociale femminile o maschile; Accettare il proprio corpo ed usarlo in modo efficace; Conseguire indipendenza emotiva dai genitori e da altri adulti; Raggiungere la sicurezza di indipendenza economica; Orientarsi verso e preparasi per unoccupazione o professione; Sviluppare competenze intellettuali e conoscenze necessarie per la competenza sociale;

Desiderare ed acquistare un comportamento socialmente responsabile; Acquistare un sistema di valori ed una coscienza etica come guida al proprio comportamento. Secondo Polmonari restano fenomeni universali delladolescenza: 1. i compiti di sviluppo in rapporto con lesperienza della pubert ed il risveglio delle pulsioni sessuali; 2. i compiti di sviluppo in rapporto con lallargamento degli interessi personali e sociali e con lacquisizione del pensiero ipotetico-dedduttivo; 3. i compiti di sviluppo in rapporto con la problematica dellidentit (o della riorganizzazione del concetto di s). Si notano in questi periodi mutamenti significativi nellatteggiamento delle persone che circondano il soggetto, nella posizione di questo allinterno del gruppo sociale, nel ruolo che egli si trova a ricoprire. Da ci lesitazione, la goffaggine, le contraddizioni delladolescente che da un lato si trova a fronteggiare se stesso nel processo di trasformazione; dallaltro deve misurarsi con situazioni che non conosceva. Ladolescente tende a ripiegarsi su se stesso e nel contempo cerca invece di attrarre su di s lattenzione, dal momento che la sua personalit in fieri lo pone sullo stesso piano degli adulti. Da qui la tendenza a voler superare e sbalordire tutti e trasformare il mondo. Tali cambiamenti pervasivi e diffusi sono fonte di preoccupazioni e di ansie. Trovarsi di fronte a modelli diversi, spesso in contraddizione con quelli osservati in famiglia, decidere di effettuare esperienze non conosciute in precedenza che comportano una presa di rischio, sono ulteriori esempi dellimpegno richiesto alladolescente per definire la realt quotidiana, per rapportarsi ad essa e per ridefinirla. Il gruppo dei coetanei Ci si riferisce alladolescenza come al periodo nel quale ha luogo la socializzazione secondaria, cio quellinsieme di pratiche che conducono allacquisizione di conoscenze relative ai ruoli e alle posizioni sociali che gli individui rivestono nella societ. Il gruppo amicale vissuto come sostegno strumentale ed emotivo in grado di incidere nella costruzione della propria visibilit sociale e i coetanei svolgono sicuramente un ruolo importante in questo processo, diventando loggetto pi prossimo di identificazione, a scapito delle relazioni con i genitori. Con i genitori sinstaura spesso un rapporto conflittuale, dal momento che essi rappresentano un forte legame con linfanzia dalla quale ladolescente desidera allontanarsi. Le nuove figure significative costituiranno dei modelli di imitazione e di identificazione. Come sottolinea Carugati (1995), tre grandi temi caratterizzano la cultura dei coetanei: 1. la partecipazione alla vita sociale, per la quale il gruppo una metafora importante; 2. il tentativo di affrontare incertezze, paure, conflitti della vita quotidiana; 3. lopposizione e la messa in discussione delle regole e dellautorit degli adulti. Ecco allora che assume un importanza decisiva il gruppo sportivo. Secondo Palmonari e Sarchielli (1997), ladolescenza pu essere vista come cambiamento nellappartenenza a categorie sociali; come il passaggio ad una posizione nuova, pi o meno sconosciuta, sul piano cognitivo; come momento di attenzione per un corpo che cambia molto rapidamente; come periodo di estrema plasticit mentale, dovuta al cambiamento; come allargamento del proprio spazio di vita; come situazione simile a quella dell uomo marginale, rinchiusa tra due mondi. Da qui i caratteristici comportamenti di instabilit emotiva e sensibilit. Lo sport nella fase adolescenziale Lattivit sportiva pu essere utilizzata dalladolescente per favorire la costruzione della struttura corporea o per migliorarla sul piano delle capacit motorie, o per trovare rassicurazioni ed uscire in questo modo da una forte sensazione di inadeguatezza; inoltre, lattivit sportiva consente di prendere coscienza della nuova identit corporea.

Sul piano dello sviluppo cognitivo si assiste ad una forte carica intellettuale sviluppata in senso critico e ad un elevato entusiasmo per esperienze molto diverse; il senso critico in campo sportivo si manifester come vaglio delle tecniche di allenamento, delle strategie di gara, dei rapporti con li allenatori, mentre lapertura a esperienze diverse trover soddisfazione nella pratica delle varie discipline. Berti considera lattivit sportiva rischiosa come un nuovo rito di passaggio. La societ moderna diversamente dalle societ tradizionali non offre al giovane riti di iniziazione istituzionalizzati; i riti di passaggio erano una prova di coraggio ed erano connotati da un forte senso dellavventura. Questi elementi sarebbero rintracciabili nella pratica di sport a rischio ed per questo che la partecipazione a sport estremi, quali alpinismo, free-climbing, deltaplano potrebbero connotarsi come un rito di iniziazione. Se si considera il piano socio-affettivo e relazionale, si rileva limportanza assunta dallo sport: la figura dellallenatore pu assumere il ruolo di guida che si attua ascoltando, consigliando, valorizzando e apprezzando ladolescente. Inoltre, la presenza di altri adolescenti nel gruppo di allenamento o nella squadra favorir laltro elemento caratterizzante ladolescenza: la ricerca del gruppo e del proprio simile. Proprio nel gruppo facile trovare il proprio simile, lamico del cuore in cui specchiarsi e riconoscersi: in questo caso vi linteresse reciproco a conoscere se stessi, offrendosi lun laltro conferma circa la propria personalit e la propria identit. Lapprodo al club sportivo pu essere un utile mezzo per conoscere questa nuova identit grazie anche alla maggiore autonomia di cui si pu godere. Infine, essere parte di un gruppo un momento essenziale di socializzazione per ladolescente. Come sostiene Speltini (1991): per gli adolescenti, lesperienza socializzante dello sport pu significare il sentimento di accettazione e di integrazione al gruppo. Per ladolescente il gruppo sportivo pu rappresentare unoccasione privilegiata di azione collettiva, in cui la competizione ammessa anche se sublimata dalle regole del gioco. I comportamenti intergruppi favoriscono sia i sentimenti di antagonismo nei confronti degli avversari sia la coesione al gruppo di appartenenza. Ladesione ai gruppi formali subisce un forte calo nel passaggio dalla prima alla piena adolescenza. Lattivit sportiva attrae gli adolescenti essendo unoccasione per esprimersi attraverso il movimento, accompagnata da una situazione di incontro sociale e di operativit di gruppo. Nel periodo delladolescenza lo sport, facendo uscire gli adolescenti dal pericolo dellisolamento per mezzo di attivit operative e ludiche e offrendo la possibilit di misurare le proprie capacit di autocontrollo, di sfidare gli ostacoli, di confrontarsi serenamente con i propri limiti, non solo elemento importante per la costruzione del s, ma pu anche divenire momento di prevenzione rispetto allassunzione di comportamenti patologici. In sintesi la pratica dello sport utile alladolescente sotto diversi aspetti: risponde allesigenza di divertimento e offre loccasione di utilizzare una grande carica di energia; permette di scaricare la tensione dovuta allo stato di stress; insegna a conoscere il proprio corpo; indirizza verso la gestione dello spirito di competizione incanalandolo verso obiettivi precisi e migliora cos anche la tenacia nel perseguire le mete poste; favorisce lo sviluppo dellintuito e delle capacit cognitive; soddisfa il bisogno di autonomia dalla famiglia consentendo nel contempo di mantenere un rapporto di dipendenza. Il rituale sportivo come unit strutturale Lattivit sportiva in et adolescenziale assume le dimensioni di un rito con caratteristiche educative che concorrono a ridefinire gli obiettivi intrinseci dellattivit sportiva stessa. Mantegazza (1999) propone di utilizzare coppie di sostantivi opposti: Gruppo VS singolo: nelle discipline cosiddette di squadra la funzione socializzatrice dello sport pi evidente. Nello sport il concetto di gruppo diventa sinonimo di squadra, di noi.

Accoglienza VS espulsione: nei gruppi sportivi i nuovi arrivati sono spesso accolti con riti di iniziazione, che hanno lo scopo di sottolineare linferiorit dei nuovi membri e le regole collettive cui essi devono sottostare per essere ammessi a pieno titolo. Lallontanamento del singolo dal gruppo comporta sempre la perdita dellidentit collettiva acquisita con la partecipazione al gruppo. Le cause dellallontanamento possono essere: una scelta volontaria del singolo, una decisione presa dallallenatore o dalla societ per motivi disciplinari oppure di selezione. Lespulsione per motivi disciplinari ha una funzione educativa, mentre lespulsione per motivi di selezione pu trasmettere un senso di fallimento alladolescente. Differenziazione VS omologazione: lassegnazione dei ruoli e dei posti nello spogliatoio costituisce elemento importante per la differenziazione mentre labbigliamento comune e le divise sottolineano lunit e tendono a omologare i membri. Lequilibrio tra differenziazione intra-gruppo e omologazione nei confronti dellout-group rilevante per il senso di identificazione collettiva e individuale delladolescente. Regola VS trasgressione: ogni disciplina sportiva ha le sue regole formali, regole che vietano determinati comportamenti e ne prescrivono altri, con una prassi che prevede sanzioni per le trasgressioni. Ci sono, poi, le regole informali o non scritte, cio i codici di comportamento interni al gruppo. Anche per le trasgressioni a queste regole implicite esistono sanzioni. Gli adolescenti imparano a confrontarsi con un sistema di compiti da svolgere, altri da evitare e conseguenze da affrontare in caso di trasgressione. Fantasia VS realt: lo sport contribuisce allidealizzazione di s degli adolescenti. Vittoria VS sconfitta: a livello giovanile importante distinguere il successo sportivo dalla vittoria; il ragazzo che gareggia rendendo al massimo delle proprie possibilit deve vivere la gara come un successo. compito dellallenatore trasmettergli questa sensazione. Corpo VS organismo: lo sport conferisce allatleta il senso del proprio limite dal punto di vista fisico e il corpo sottoposto a sforzi per spostare questo limite. Ma prima o poi arriva il momento in cui il fisico non ce la fa pi il momento di diminuire lintensit degli allenamenti. Gesto VS prestazione: il gesto tecnico calcolabile, programmabile e ripetibile mentre la prestazione soggettiva non computabile. Gli schemi e linsistenza sulla tecnica di gioco devono lasciare spazio allinventiva e al genio dellatleta adolescente.

Allinterno del pianta sport lagonismo assume sempre pi rilievo. Porro (1989) si chiede se sia lecito propagandare lo sport per gli adolescenti come una risposta alla domanda di senso della societ giovanile, se non si afferma contemporaneamente il valore in s, vale a dire non strumentale, n puramente accessorio, delleducazione della corporeit. Non infondato temere che lesaltazione retorica della pratica agonistica generi aspettative esagerate e ricadute nella frustrazione o in insidie di doping. Agonismo e sviluppo Fino a quale limiti si pu spingere lallenamento, soprattutto in giovane et, e quali conseguenze potrebbe avere un eventuale superamento di questi limiti? Ogni singolo caso andrebbe considerato nella sua specificit, in quanto non c una regola o una metodologia che preservi sistematicamente da errori. La pratica agonistica, inoltre, ad altissimi livelli da parte di atleti giovanissimi un fenomeno molto recente.

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