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Twombly e Iqbal: il ruolo della Civil Procedure nello

scontro politico-ideologico della società statunitense

TWOMBLY E IQBAL: IL RUOLO DELLA CIVIL PROCEDURE NELLO SCONTRO


POLITICO-IDEOLOGICO DELLA SOCIETÀ STATUNITENSE
Revista de Processo | vol. 197/2011 | p. 245 - 252 | Jul / 2011
DTR\2011\1799

Antonio Gidi
Professor de Processo Civil Americano, Processo Civil Comparado e de Direito
Comparado, na Faculdade de Direito da Universidade de Houston.

Área do Direito: Processual


Resumo: Numa espécie de dialogo virtual com a autora do artigo publicado no volume
anterior. (La Suprema Corte statunitense generalizza l'onere di specificità dell'atto
introduttivo (complaint): da Twombly (2007) a Iqbal (2009), Silvana Dalla Bontà),
analisam-se neste artigo também as decisões Twombly (2007) e Iqbal (2009) da
Suprema Corte Norte Americana, só que agora, a partir de uma perspectiva
sócio-política, dando-se ênfase ao risco que se corre de analisá-lo do ângulo apenas
técnico-processual e histórico-comparativo. Com um conhecimento profundo do sistema
processual e judiciário americano e de sua complexidade social e política, se sublinha, de
um lado, a previsibilidade do teor das mencionadas decisões, no contexto da situação
política norte-americana, e, de outro lado, as significativas e preocupantes
consequências da nova tendência que se vem esboçando naquele tribunal, no sentido de
se protegerem os pobres e fracos. Espera-se que haja alteração do comportamento da
Suprema Corte Norte-Americana.

Palavras-chave: Pedidos - Especificidade - Informações assimétricas prestadas pelas


partes - Acesso a discovery - Proteção da parte pobre - Suprema Corte Norte-Americana
- Situação política e social dos Estados Unidos
Abstract: In a sort of "virtual dialogue" with the article followed by this comment, the
author investigates the Twombly (2007) and Iqbal (2009) decisions of the U.S. Supreme
Court from a socio-political perspective, highlighting the danger of carrying out, as the
previous article does, a merely technical-procedural and historical-comparative analysis.
Only an in-depth knowledge of U.S. procedural and judiciary system as well as of its
social and political complexity, highlights on the one hand, the foreseeability of the
Twombly and Iqbal decisions in the present U.S. political situation and on the other
hand, the meaningful and worrisome consequences of the U.S. Supreme Court's new
trend on the judicial protection of the poor and the weak. This unless the Supreme Court
(as the author hopes) decides to change, once more, its opinion on this matter.

Keywords: Pleading - Specificity - Information asymmetry - Access to discovery -


Protection of weaker subjects - Social and politic situation - U.S. Supreme Court
composition
Sumário:

La recente giurisprudenza federale statunitense in tema di pleading standard –


accuratamente esaminata nell’articolo cui queste righe seguono – merita senz’altro
alcune, seppur brevi considerazioni, da parte di chi, oramai da anni, vede l’ American
Civil Procedure con gli occhi non solo del comparatista ‘esterno’, ma anche di professore
della materia in una Law School statunitense. A questi occhi, infatti, il fenomeno Twiqbal
(o Iqwombly, come giocosamente – e sarcasticamente – i processualisti americani
tacciano le recenti sentenze della U.S. Supreme Court) mostra dei risvolti che ai giuristi
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stranieri – soprattutto se di Civil Law – forse possono sfuggire. -

Nel 2007, la Suprema Corte federale degli Stati Uniti, nella causa Bell Atlantic Corp. vs.
Twombly, ha drasticamente mutato anni di tradizione sulla formulazione dell’atto
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introduttivo del processo civile federale, chiedendo uno standard allegatorio di fatti più
elevato rispetto a quello fino a quel momento richiesto ai sensi delle Federal Rules of
Civil Procedure – e precisamente della lettera della FRCP 8(a)(2). Si trattava di una
antitrust class action, in cui la Corte ha finito per richiedere all’attore, ai fini
dell’ammissibilità della domanda, l’indicazione di informazioni sufficienti a rendere
plausibile la pretesa azionata. Ove tale standard non sia raggiunto, il processo deve
chiudersi, senza accesso per l’attore alla discovery. Soltanto due anni dopo, la U.S,
Supreme Court è ritornata sull’argomento con la sentenza Ashcroft vs. Iqbal, una civil
rights litigation, ribadendo quanto affermato in Twombly ed estendendolo espressamente
agli atti introduttivi di tutte le azioni civili.

Ora, per il civilian, infatti, forte è la tentazione di vedere in Twiqbal un’ “evoluzione
naturale” della procedura civile statunitense (uso persino con timore tale espressione)
verso quella di tradizione romano-germanica o inglese o, magari, fissata dagli
ALI/Unidroit Principles of Transnational Civil Procedure. Eppure, per me non è così. A mio
avviso, infatti, le sentenze Twombly e Iqbal vanno lette al di là di qualsiasi ragionamento
tecnico-scientifico. In Twiqbal, infatti, non sono le considerazioni giuridiche ad essere
veramente importanti: si tratta solo di decisioni politiche.

Inutile nasconderlo, la società nordamericana oggigiorno è estremamente divisa: da un


lato, democratici, abortisti, liberali; dall’altro, repubblicani, non-abortisti, conservatori.
Ne deriva così che in un ordinamento in cui i giudici sono a selezione eminentemente
politica (per elezione nel sistema statale; per nomina esecutiva in quello federale) e le
corti rivestono un ruolo decisivo nel cambiamento della società civile, è naturale che il
dibattito politico invada pure il diritto. E, con il diritto, la Civil Procedure, che diventa –
anch’essa – espressione dello scontro politico e, quindi, delle forze dominanti.

Da sempre, il diritto è potere, la procedura civile è potere. In nessun Paese, però, questo
è chiaro come negli Stati Uniti, dove – come ben evidenziato dall’articolo cui questa
postilla segue – la trasformazione sociale si attua preminentemente tramite l’esercizio
della funzione giurisdizionale. Si intende, pertanto, come nel contesto ‘caldo’ degli Stati
Uniti, la divisione ideologica della società colpisca anche il modo di intendere e di essere
della Civil Procedure, persino nei suoi profili squisitamente tecnici.

In questa prospettiva, per me, il fenomeno Twiqbal costituisce semplicemente una


reazione dell’ala conservatrice della società statunitense – una reazione dalle
conseguenze pratiche drammaticamente serie.

L’obiettivo dichiarato delle recenti sentenze sul pleading standard della U.S. Supreme
Court è soltanto quello di evitare la proposizione di domande giudiziali non supportate da
informazioni o prove adeguate. Se il perseguimento di un tale obiettivo può sembrare
naturale al giurista europeo, non lo è però nel contesto statunitense. Qui, infatti, la
(neo)imposizione di una domanda giudiziale già corroborata da materiale probatorio
rappresenta un revirement rivoluzionario che stravolge una tradizione giurisprudenziale
di ben ottant’anni e che può portare ad un forte sbilanciamento degli interessi sociali.

E’ noto, infatti, come a differenza che in Europa, negli Stati Uniti non esistono nè una
forte regolamentazione pubblicistica (e quella poca che c’è è vista con forte sospetto
dalla destra conservatrice intenzionata ad eliminarla del tutto), né un significativo
intervento dello Stato nella disciplina della società civile, con la conseguenza che
quest’ultima è lasciata quasi esclusivamente alle decisioni giurisdizionali delle liti. E’ per
questo che il nuovo orientamento abbracciato da Twiqbal potrebbe cambiare in modo
catastrofico l’equilibrio degli interessi sociali in gioco. A mio avviso, ove confermata, la
direzione presa da Iqwombly rischierebbe di portare allo smantellamento di qualsiasi
regolamentazione della società americana, con aperta vittoria delle grandi multinazionali
e preoccupante frustrazione della tutela dei cittadini e dei consumatori.

Invero, questa vittoria dell’ideologia conservatrice del Partito Repubblicano non é


sorprendente, né inaspettata, anzi, è il frutto di decenni di lavoro strategico dei
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repubblicani. Poiché la presidenza degli Stati Uniti da R. Regan in poi – liberali (eppur
moderati) B. Clinton e B. Obama a parte – è andata ai conservatori, i giudici delle corti
federali, in quanto nominati dall’esecutivo, sono stati giocoforza sempre più di
preferenza politica conservatrice. Di qui, la (prevedibile) giurisprudenza Twiqbal, con cui
la Suprema Corte federale (anch’ essa di composizione conservatrice: così i giudici
Roberts, Alito, Scalia e Thomas) ha cercato di evitare (al convenuto) gli altissimi costi
della discovery – e con questo il rischio di subire pesanti sentenze di condanna. L’ha
fatto impedendo l’accesso alla giustizia agli attori privi di informazioni sufficienti.

Questa non è altro che la risposta conservatrice ad anni di proteste della destra
statunitense, che lamentava (e lamenta) di dover accettare troppo spesso – per non
incorrere in costose discovery – transazioni anche a fronte di azioni invero del tutto
infondate in fatto e in diritto.

Personalmente, tali lamentale non mi hanno mai commosso. Innanzitutto, perché anche
ammesso che talvolta accada quanto i conservatori sostengono, ad oggi non si
riscontrano studi statistici sul punto seri e di vasta scala, ma solo riflessioni isolate. In
secondo luogo, perché è risaputo come – soprattutto nel sistema statunitense – ciascuna
parte spesso utilizza gli strumenti processuali come un’arma contro l’avversario. E’
proprio sulla base di questa visione ‘formalistica’ di uguaglianza tra le parti del processo
che da millenni attori poveri, senza un’educazione sufficiente per affrontare una lite, privi
della possibilità di godere di una difesa tecnica adeguata, senza alcun supporto
politico-sociale e così (incolpevolmente) mancanti di approfondite informazioni sul caso,
hanno dovuto accettare transazioni a loro sfavorevoli o, più semplicemente, rinunciare ai
loro diritti, di fronte al rischio di pagare cifre impressionanti per contrastare nel processo
una controparte più forte. Da sempre, sin da quando ero studente della Facoltà di
Giurisprudenza, mi hanno insegnato che, salvo il caso non si arrivi ad un vero abuso del
diritto o alla violazione di norme imperative o etico-professionali, le conseguenze di
‘disuguaglianze sostanziali’ tra le parti non hanno alcun peso nel processo e che il diritto
(processuale) non si deve occupare delle condizioni personali di attore e convenuto.

Stranamente, però, non appena lo scenario è cambiato e la condizione delle parti si è


invertita (il possente Golia è in svantaggio rispetto al piccolo David!), si è levata
l’indignazione – perché le povere multinazionali devono subire l’insopportabile pressione
di attori provvisti di tanto potere.

Agli occhi dell’osservatore straniero, una tale preoccupazione – per discovery troppo
costose – potrebbe sembrare politicamente neutra e persino ragionevole. Chi, infatti,
può essere contro ad una domanda giudiziale più dettagliata nelle sue allegazioni di
fatto? Si sa però che non vi è nulla di politicamente neutro in diritto, e, meno che mai
neutro, è il diritto processuale – soprattutto negli Stati Uniti. Ecco perché, a mio avviso,
Twiqbal rappresenta un vero e proprio colpo (di procedura!) dei giudici conservatori, che
con le due sentenze in commento hanno fatto una vera rivoluzione nel sistema
processuale americano.

Nel caso Twombly, i giudici federali potevano accettare la proposta del giudice Stevens di
permettere semplicemente una discovery più limitata, volta ad ottenere le informazioni
sufficienti per giungere all’ammissibilità della domanda, ma non l’hanno fatto (e Stevens
si è trovato così dissenziente). Potevano scegliere di imporre all’attore il pagamento delle
spese della discovery fino a che questa servisse a rendere la sua domanda
sufficientemente “ reasonable“, ma non hanno fatto neppure questo. Se il vero problema
fosse stato l’eccessivo costo della discovery, avrebbero accolto tali soluzioni o ne
avrebbero create altre – ben possibili – alternative. Il punto è che per la Suprema Corte
federale la questione era un’altra, ovvero quella di assicurare una protezione politica –
mediante la procedura – di una certa categoria di convenuti.

A mio avviso, la prova del nove di una tale lettura è il fatto che – come ricordato
nell’articolo cui si fa seguito – nei casi Twombly e Iqbal si versava chiaramente in ipotesi
di asimmetria informativa tra le parti, essendo impossibile per l’attore sapere
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esattamente i fatti di causa. In Twombly, ad es., (come in ogni altro caso di antitrust o di
civil rights), come potrebbe il sig. Twombly (o i suoi avvocati) sapere – senza discovery
– chi, quando e come si è incontrato segretamente per cospirare una condotta parallela
anticoncorrenziale? L’attore si trova qui vittima di un perverso circolo vizioso: perché non
ha le informazioni non può ottenere la discovery che gli serve e non può ottenere le
informazioni che gli servono perché non ha la discovery.

Di qui, la mia convinzione che con il nuovo plausible-pleading standard la U.S. Supreme
Court miri a rendere impossibile l’accesso alla giustizia a soggetti che vantino pretese
socialmente rilevanti, in particolare a quegli attori deboli (consumatori, soggetti
discriminati) che patiscono una naturale assimetria di informazioni, nonché di potere
economico-politico, contro convenuti forti (grandi imprese, Stato), Le categorie più
deboli del popolo statunitense sono state tradite da una delle più tecniche norme
processuali.

La sinistra più progressista, allo scacco, si è subito sentita impotente di fronte a questa
“rivoluzione restauratrice”. Per questo ha già avanzato alcune proposte legislative volte
ad invertire l’interpretazione “secondo Twiqbal “. Tra quelle che ho letto, una dice
espressamente – un chiaro attacco del Congresso alla Suprema Corte – che il pleading
standard deve tornare ad essere quello anteriore alle decisioni Twombly e Iqbal. Ma,
sinceramente, le possibilità di successo di una tale proposta sono pressochè nulle
nell’attuale panorama politico statunitense.

Alla luce di tali riflessioni, si capisce pertanto come il fenomeno Twiqbal sia attualmente
quello di più grande momento nella procedura civile statunitense, sollevando peraltro
importanti domande sul futuro – prova ne è la copiosa letteratura già creatasi in merito.

Confesso che tutti noi, docenti di procedura civile americana presso le Facoltà di
Giurisprudenza statunitensi, siamo, allo stato, completamente disorientati. In verità,
infatti, non è ancora chiaro quali saranno esattamente tutte le conseguenze pratiche di
questi precedenti, tanto più perché scritti, come sempre, in modo troppo vago ed oscuro.
Prevedo che per comprendere e insegnare un tema così tecnico e specifico sarà
necessario uno studio di decine e decine di decisioni, lunghe, complesse molto spesso
contraddittorie e confuse – esattamente come è accaduto con temi quali la personal
jurisdiction, subject matter jurisdiction e la Erie doctrine.

Nonostante, infatti, vari Autori abbiano cercato di sistematizzare le decisioni Twombly e


Iqbal e di fondarvi una ricostruzione teorica, il futuro appare alquanto incerto. Ne è
prova il fatto che, subito dopo l’emissione di Twombly, tanti Autori e giudici erano
convinti – e le parole della decisione lo lasciavano intendere – che il nuovo
plausible-pleading standard fosse soltanto da applicarsi eccezionalmente, ovvero nei rari
casi di antitrust o complex litigation. In fondo, questa interpretazione ben si inseriva nel
quadro dei precedenti della giurisprudenza federale. Certo, il nuovo orientamento
abbracciato non andava, a mio parere, nella giusta direzione, ma tutto sommato
costitutiva ancora il male minore. Il forte sospetto di un peggioramento, però, c’era: alla
Suprema Corte – da buon “politico” – piace dare le brutte notizie a poco o poco,
cambiare le cose gradualmente (ma inesorabilmente), senza darlo a vedere.

A breve, perció, è arrivata la sentenza Iqbal, a dimostrare che l’interpretazione più


possibilista e meno tranciante della pronuncia Twombly era del tutto sbagliata. Con Iqbal
, infatti, ogni speranza ancora nutrita è morta ed è diventato evidente che il nuovo
plausible-pleading standard è applicabile a tutti i casi di azione civile. Anzi, da lì in poi, i
problemi interpretativi sono aumentati. Se dopo Twiqbal, infatti, lo standard allegatorio
del complaint si è alzato, non è però chiaro in che cosa esso esattamente consista. La
“plausibility” del pleading iniziale, infatti, è negli occhi di chi guarda, ovvero è soggettiva.
E così, in un sistema dove i giudici sono selezionati politicamente, le loro inclinazioni
politiche sono diventate ancora più rilevanti, già nella primissima fase del procedimento.
Tanto più che lo ‘ standard Twiqbal ‘ agevola e addirittura incoraggia decisioni di mero
rito, senza arrivare al merito del caso. Grazie al plausible-pleading standard, il processo,
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così, può venir chiuso ancor prima che il convenuto abbia assolto al suo onere di
contestare la pretesa azionata dall’attore. Ancor più di ieri, quindi, la possibilità di
risolvere i conflitti sociali (e di dare loro quanto meno una regolamentazione
giurisprudenziale) è lasciata nelle mani (politiche) dei giudici. Non è un caso, d’altronde,
che migliaia di decisioni abbiano già citato Twiqbal, provocando la chiusura in rito di
processi che, solo un paio d’anni fa, si sarebbero conclusi con una decisione nel merito.

Tutti gli studiosi dicono che per vedere concretamente in che cosa consista il nuovo
standard, si dovrà guardare alle decisioni (future) delle corti federali inferiori. Io, invece,
propendo per una visione più realista. La vera risposta, per me, non verrà da lì, ma, più
drasticamente, da chi deterrà la presidenza degli Stati Uniti nel futuro e da quale diverrà
l’ideologia dominante. Se Presidenti saranno dei repubblicani ultra conservatori e, di qui,
conservatori saranno anche i giudici della Suprema Corte, delle Corti d’Appello e delle
corti federali inferiori, allora il plausible-pleading standard verrà confermato e la chiusura
dell’accesso alla giustizia diventerà via via maggiore. Se, al contrario, i futuri Presidenti
degli Stati Uniti saranno democratici più liberali, il fenomeno Twiqbal sarà spazzato via
come del tutto insensato, e, con un colpo di penna, lo sarà anche tutto quanto è stato
scritto su tale fenomeno. Ecco perché Twiqbal assume rilievo – in un’analisi socio-politica
di più ampio respiro – non tanto (o non solo) da un punto di vista tecnico-giuridico, ma
quale significativo indicatore della direzione ideologica presa dalla Suprema Corte.

Insomma, la diatriba sul pleading standard mostra – questa volta da un angolo


processuale – come la divisione ideologica negli Stati Uniti sia talmente esasperata da
impedire una soluzione moderata dei problemi sociali. Conservatori e liberali lottano per
vincere e – mi si permetta il paragone –, come nella Guerra Civile statunitense del XIX
sec., non si arresteranno se non di fronte all’annientamento dell’avversario, anche se
questo dovesse portare alla distruzione del Paese.

In questa lotta, anche i pleading sono stati occasione di scontro. E così, se il notice
pleading system delle (neo) Federal Rules of Civil Procedure era stato un’esagerata
reazione a quello, quasi caricaturale, dei fact pleading, con Twiqbal il pendolo è stato
spinto nella direzione opposta. Deliberatamente e irragionevolmente.

1 Si segnala che il presente commento é stato è stato previamente pubblicato nella


Rivista Int’l Lis (supplemento a Il Corriere giuridico) del 2010.

2 In “ dialogo“ con l’autrice dell’articolo cui questo commento segue (La Suprema Corte
statunitense generalizza l’onere di specificità dell’atto introduttivo ( complaint): da
Twombly (2007) a Iqbal (2009), Silvana Dalla Bontà, Revista de Processo. vol. 196),
l’autore indaga ragioni, contenuto ed effetti delle sentenze “Twombly” e “Iqbal” della
Suprema Corte federale degli Stati Uniti sotto un angolo visuale socio-politico, a
completamento critico della lettura più squisitamente tecnico-processuale e
storico-comparata offerta dallo contributo che precede.

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