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Filosofia e cristianesimo: L' "eclissi del senso" come eredità del XX secolo e le prospettive
della riflessione contemporanea
Author(s): Adriano Fabris
Source: Revista Portuguesa de Filosofia, T. 60, Fasc. 2, Filosofia & Cristianismo: I - Aspectos
da Questão no Século XX (Apr. - Jun., 2004), pp. 433-452
Published by: Revista Portuguesa de Filosofia
Stable URL: http://www.jstor.org/stable/40337832
Accessed: 23-04-2016 05:58 UTC
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R. P. F. I
60 • 2004
Filosofia e cristianesimo:
U«eclissi del senso» come eredita del XX secolo e le
prospettive delta riflessione contemporanea
Adriano Fabris *
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L'eredita piu in generate, dall'insieme delle esperienze storiche del Novecento risulta,
quanto al problematico rapporto tra filosofia e cristianesimo, decisamente varia
e complessa. Volendo proporne una caratterizzazione schematica, possono comunque
essere individuati soprattutto due filoni principali, due ambiti d'indagine sui quali e
bene concentrare l'attenzione. II primo riguarda cio che potremmo chiamare il
problema dc\Y eccesso del male; il secondo concerne l'intreccio di nichilismo,
indifferenza religiosa e ritorno dei fondamentalismi. Consideriamoli brevemente.
1 Si veda, per un' introduzione a questo problema, 1' ormai classico volumetto di P.
Ricoeur Le mal Un defi a la philosophie et a la theologie, Labor et Fides, Geneve 1986.
2 Sul problema filosofico e teologico rappresentato dalla Shoah rimando alia panorami-
ca complessiva contenuta nel volume di S. Benso, Pensare dopo Auschwitz. Etica filosofica
e teodicea ebraica, E.S.I., Napoli 1992.
3 Cfr. il commento a quest' affermazione contenuto in H. Arendt, Eichmann in Jerusa-
lem. A Report on the Banality of Evil, The Viking Press, New York 1963.
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legittimato in virtu della sua efficacia, vale a dire grazie alia sua capacita di
realizzare un prodotto; ma in quest' ottica, nella quale non viene introdotta una
differenza qualitativa fra i risultati, qualsiasi prodotto, considerato in quanto tale, e
in grado a sua volta di essere legittimato. Anche lo sterminio di un popolo.
Come si vede, pero, in tal modo resta aperta la questione del senso dell'agire. Sia
i meccanismi che sovrintendono all'azione, con le loro leggi, sia la sua capacita di
produrre un risultato possono semmai consentirci - qualora si ritenga di doverli
introdurre - di spiegare un'azione, non gia di darne il senso. La spiegazione fornisce
bensi cause o scopi, ma rimane sul piano dell'agire stesso, non sa trascenderlo,
ponendo piuttosto qualcosa di cui la volonta e in grado, prima o poi, di appropriarsi. D
senso invece, in virtu della sua capacita di dare orientamento, si situa su di un piano
diverso rispetto a quello su cui si colloca l'agire, e percio su di esso l'agire non puo
incidere. II senso, in altre parole, sfugge all' efficacia dell'agire: e appunto percio,
anche nei confronti di questa efficacia, noi siamo ancora spinti a domandarci ilperche4.
Insomma: davanti alia violenza incontrollabile, di fronte all'eccesso del male
noi sperimentiamo il venir meno del riferimento a una prospettiva di senso.
Tocchiamo con mano, in altre parole, la sostituzione del senso con la spiegazione,
della ricerca di una motivazione con l'indicazione della causa e del motivo.
Tornero in seguito su questo punto. Per ora mi preme sottolineare, ancora, il fatto
che una tale situazione comporta, sul piano dell'agire, il ripiegarsi di quest' ultimo
su di se, l'emergere di un'esperienza autonoma della volonta che, volendo sempre
e solo se stessa (anche quando intende raggiungere null'altro che il proprio scopo),
tutto legittima in questa prospettiva. Ne consegue il mancato riconoscimento di cio
che, dal punto di vista di un riferimento a un orizzonte di senso, appare come bene
o come male. Ne consegue, sul piano di quel circolo nell'argomentazione che lo
spiegare mette in opera, 1' indifferenza di bene e male. Fino alle estreme
conseguenze. Fino a che l'eccesso del male non rende tutto cio insopportabile, sia
per chi lo sopporta, sia anche per chi lo fa. E allora ad entrambi puo riproporsi, ben
oltre ogni volonta di spiegazione, una domanda di senso.
Come si vede anche dalla riflessione ebraica del secondo dopoguerra - dal
Buber dell'«eclissi di Dio» a Fackenheim, da Rubenstein a Levinas5 - a questa
4 Per un approfondimento della distinzione fra il livello del 'senso' e quello della 'spie-
gazione' mi permetto di rinviare al mio libro Tre domande su Dio. Un «game book» filoso-
fico, Laterza, Roma-Bari 1998.
5 Si vedano, rispettivamente, i seguenti volumi: M. Buber, Gottesfinsternis, Manesse
Verlag, Zurich 1953; E. Fackenheim, Quest for Past and Future. Essays in Jewish Theology,
Indiana University Press, Bloomington 1968; R. Rubenstein, After Auschwitz. Radical
Theology and Contemporary Judaism, Bobbs & Merrill, New York 1966; E. Levinas,
Autrement qu'etre ou au-dela de I' essence, Nijhoff, Den Haag 1978.
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6 Cfr. in special modo i testi raccolti in D. Bonhoeffer, Wider stand und Ergebung. Brief e
und Aufzeichnungen aus der Haft, Neuausgabe, hrsg. v. E. Bethge, Kaiser Verlag, Miinchen
19853.
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anche su quest' ultimo concetto trovero il modo, piu oltre, di soffermarmi. Per ora,
tuttavia, mi preme soprattutto segnalare l'apparente stranezza del quadro che ho
appena delineato.
Per un verso, nella situazione che il Novecento ci lascia in eredita, vi e il fatto
che risultano compresenti, come risposta a una medesima esperienza di crisi del
senso, due soluzioni fra loro opposte: il tentativo di prendere congedo dalla stessa
possibility che il problema del senso venga sollevato - e questo non gia in maniera
teorica, ma nella stessa pratica di quella rinuncia che finisce per manifestare
indifferenza, paradossalmente, anche nei confronti dell'assunzione della stessa
prospettiva dell' indifferenza - e il riproporsi di quella dimensione religiosa che
storicamente ha fornito all'uomo un orizzonte di senso. Ma, come gia e stato
accennato, nelle declinazioni fondamentalistiche dell' esperienza religiosa ogni
ricerca viene bloccata sul nascere, ogni domanda e immediatamente tacitata
perche, fin da subito, vi e per essa una risposta pronta. Anche per la domanda di
senso. In seno agli stessi fondamentalismi emerge cosi una peculiare forma di
indifferenza: che riguarda non solo tutto cio che eccede l'ambito dell'immediata
accettazione dei precetti divini, ma anche, in definitiva, il significato e il valore di
questi precetti stessi. Giacche ad essi va ubbidito in ogni caso.
Per l'altro verso, poi, vi e il fatto che all'emergente richiesta di senso corris-
pondono in particolare, nella riflessione contemporanea, esperienze che tendono
a trascurare o a delegittimare questa richiesta stessa. Come appunto accade
assumendo un atteggiamento indifferente nei confronti proprio della possibility che
emerga un orizzonte di senso, oppure rispetto a quel Dio che lo dovrebbe offrire
all'uomo, chiedendogli pero di essere suo partner nella costruzione di un senso del
mondo. E necessario allora approfondire il motivo profondo di questa messa tra
parentesi della problematica del senso anche quando essa s'impone come compito
per il pensiero. E questo e appunto cio che ora intendo fare.
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buon diritto, una «genealogia del nichilismo» e dei suoi esiti ultimi: quelli che
trovano neH'indifferenza religiosa, appunto, una delle loro espressioni piu radicali.
A partire da qui credo possa essere adeguatamente impostato, alia luce dell'eredita
lasciataci dal XX secolo, il problema del rapporto tra filosofia e cristianesimo. E
cio potra accadere evitando alcuni errori del passato: elaborando cioe un pensiero
che non legittimi ne il nichilismo, ne il richiamo a una religione sostanzialmente
incapace di fare i conti con esso.
Filosofare e un atto, non gia uno stato. L'attitudine alia filosofia nasce in virtu
della capacita di distanziarsi da tutto cio che nella vita quotidiana prende e
coinvolge, spingendo a un'immediata adesione. In questa propensione al distanzia-
mento trova giustificazione il carattere «teoretico» che la filosofia assume fin
dall'inizio della sua vicenda: il privilegio, reale o metaforico, del senso della vista
come modello per affrontare i problemi. Giacche si pud cogliere adeguatamente
qualche cosa, con gli occhi e con il pensiero, solo ponendosi ne troppo vicino ne
troppo lontano rispetto ad essa: solo collocandosi, appunto, alia giusta distanza.
Una tale capacita di distacco della filosofia e stata in vari modi esplicitata e
praticata gia nel mondo antico. Possiamo averne conferma considerando Timpos-
tazione di due pensatori fondamentali: Platone e Aristotele. In Platone, infatti, il
desiderio di prendere le distanze da una realta instabile, in costante movimento,
non e solo motivato dall'intenzione di elaborare un sapere saldo, fisso, eterno, sulla
cui base fondare ogni ulteriore conoscenza - e infatti allo «star sopra saldamente»
che rinvia per la sua etimologia il termine greco che dice la 'scienza': episteme -,
ma anche dall'istanza che mira, su quel fondamento, a stabilire una volta per tutte
cio che e buono, giusto, vero: onde evitare che possano nuovamente essere
perpetrate ingiustizie come quella tragicamente subita da Socrate. Ebbene:
ambedue queste esigenze, teorica e pratica, spingono allo sviluppo di una dottrina,
la dottrina delle idee, che identifica un luogo di lontananza al cui interno l'uomo
ha da sempre la sua vera collocazione e nella prospettiva del quale sia il conoscere
che l'agire acquistano il loro senso piu proprio.
II filosofo, allora, e colui che e in grado di vedere le cose del mondo a partire
da una tale lontananza: e colui, soprattutto, che sa di appartenere originariamente
a una dimensione ideale ed eterna. E tuttavia a cio si collega, quanto al
comportamento, un'ambiguita di fondo, che finisce per caratterizzare il «platonis-
mo» in tutte le sue successive versioni. Per un verso, infatti, l'assunzione di una
prospettiva ideale consente di vedere il mondo in altro modo, di interagire con gli
altri uomini sulla base di cio che non e opinabile, di trasformare la realta a partire
da cio che nella realta non trova spazio. II mondo delle idee, insomma, offre quella
dimensione bensi distaccata, ma non separata, che consente a chi ne ha fatto
esperienza di ritornare fra i fenomeni - come fa colui che, nel mito della caverna,
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trova origine quel fenomeno che, negli ultimi due secoli, e stato indicato con il
nome di 'nichilismo', se a partire da qui possono essere compresi gli ulteriori
sviluppi di questo fenomeno nei termini di un'indifferenza religiosa, bisogna allora
approfondire meglio, finalmente, i significati di queste nozioni e vedere se la
filosofia, oltre ad avere in se il germe della malattia del distacco, e in grado di
stabilire per essa anche la cura.
Infatti, come gia rilevava Aristotele nel primo libro dei suoi trattati di
Metafisica, quando il dato (to hoti: letteralmente, il «che») assume la forma
delFinquietante, dell'inabituale, di cio che puo essere nel contempo meraviglioso
e orribile, l'uomo cerca di governarlo appunto mettendolo in relazione con altro,
iscrivendolo cioe in un contesto piu ampio che definisce lo sfondo per cui il dato
e, appunto, quello che e. II «che», non piu isolato, si apre dunque al suo «per-che»
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(to dioti). E in tal modo, conoscendo il perche, abitando questa nuova dimensione,
meraviglia e sconcerto vengono meno. II saggio, insomma, non si stupisce piu di
nulla: e proprio percio e simile agli dei13.
Questo rimando ad altro, che mette in questione la mera datita del dato, puo
compiersi tuttavia secondo due direttrici: quella del senso, di nuovo, e quella della
spiegazione. Entrambe puntano a individuare il «per-che», vale a dire cio che e
responsabile dello stato di cose che ci si presenta. Ma, come abbiamo visto, 'senso'
non e 'spiegazione'. Mentre la spiegazione ha a che fare con i motivi, con le cause
- inizialmente con le quattro accezioni del causare di cui parla Aristotele nel gia
citato contesto del primo libro della Metafisica (il far si che qualcosa sia quello che
e secondo la sua materia, la sua forma, il suo movimento, il suo scopo14), poi,
sempre piu decisamente a partire dall'eta moderna, con un'idea di 'causa' come
«causa efficiente», capace di giustiflcare il movimento o la quiete di qualcosa a
partire da un impulso ad essa esterno - il senso mi da invece la motivazione. Esso
cioe mi propone un orientamento preliminare, un punto di riferimento al quale
attaccarmi, in base al quale uniformare il mio agire e il mio pensare. E tale
riferimento, a ben vedere, non e affatto spiegabile, giacche risulta di qualita diversa
rispetto a cio che a partire da esso e compreso.
Non bisogna dunque confondere la «logica» del senso con quella della spiega-
zione. II senso, lo si e gia visto, rimanda a un orizzonte irriducibile a cio che, a
partire da esso, risulta compreso e motivato. La spiegazione individua invece la
responsabilita di un evento allo stesso livello di questo evento stesso, dal momento
che vi e sempre un legame di prossimita tra la condizione e il condizionato.
Di conseguenza, se si vogliono mettere in questione - al fine di fare i conti con
esse anche annullando le soluzioni proposte - queste condizioni di possibility di
confrontarsi con il dato, questi modi di identificare un «perche» di esso, e
necessario sempre distinguere il piano della spiegazione da quello del senso. Ne
scaturiscono due prospettive a partire dalle quali cio che chiamiamo 'nichilismo'
puo essere interpretato. Giacche, anzitutto, questo fenomeno nasce storicamente
come contestazione dell' idea che vi possa essere una causa prima, un Dio supremo
produttore, ordinatore, programmatore degli eventi del mondo e delle vicende
umane. Questo Dio della spiegazione, nelle sue molteplici configurazioni storiche,
e stato appunto il Dio pensato dalla cosiddetta «teologia filosofica»15. E dunque,
nel momento in cui ci si rese conto che, da un lato, per produrre spiegazioni efficaci
non era necessario fare ricorso all'«ipotesi Dio» e, dall' altro lato, che l'assunzione
di un'entita siffatta, per via di pura ragione, risultava alquanto problematica, ci si
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Anche questa mossa, tuttavia, si rivelo ben presto insufficiente. Non si pud dare
per scontato il bisogno di senso. Si puo mettere in questione questo stesso assunto.
Ci si puo domandare, addirittura, se la posizione del problema del senso ha, in
realta, senso. Oggi, sempre piu decisamente, ci troviamo in questa situazione. In
essa s'impone una diversa accezione di nichilismo: cio che gia ho chiamato,
appunto, il nichilismo del senso.
Secondo quest'ultima prospettiva 'nichilismo' significa proprio il venir meno
della necessita di porre un'istanza di orientamento. Si delinea in tal modo Una vera
e propria «eclissi del senso». Essa puo venir compresa a partire dal fatto che, in
primo luogo, da una particolare prospettiva di senso - ovvero da quel senso che, in
quanto orizzonte e punto di riferimento, dischiude al pensiero e all'azione degli
uomini il significato del mondo - siamo in grado volta a volta di staccarci: sia per
assumere altre prospettive, sia per non assumerne, all'apparenza, nessuria affatto.
Questa, come abbiamo visto, e una possibility che rientra a pieno diritto fra quelle
costitutive dell'approccio filosofico. Proprio in virtu di essa, allora, il senso
manifesta in tutto e per tutto il proprio carattere di presupposto fattuale. II che
significa che, in tal modo, esso e e si da «senza un perche», pur essendo la fonte di
ogni «perche» (di quel «perche», piu precisamente, che e concepito nei modi della
motivazione e del coinvolgimento).
Cosi, in questo suo imporsi, il senso come origine di ogni motivazione finisce
per presentarsi, a sua volta, come qualcosa di insensato. Detto altrimenti: l'esi-
genza del senso vale e si esplicita solo aH'interno di quella dimensione significati-
va che dal senso inizialmente accolto, appunto, e dischiusa. Ma non ha efficacia al
di fuori di essa e, soprattutto, non puo nulla al livello stesso di quel senso che e alia
base di una determinata motivazione. Tale prospettiva, quindi, non la si puo
16 Cfr. soprattutto, prima delle tesi sviluppate nella Kritik der praktischen Vernunft,
quanto egli dice nello scritto del 1786 Was heifit: sich im Denken orientieren? , ora in I. Kant,
Werkausgabe, a cura di W. Weischedel, vol. V, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1977.
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19 Cfr. H. de Vries, Philosophy and the Turn to Religion, The John Hopkins University
Press, Baltimore and London 1999.
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20 Cfr. in special modo, di Alberto Caracciolo, La religione come struttura e come modo
autonomo della coscienza, II nuovo melangolo, Genova 2000, e di Luigi Pareyson, Onto-
logia della libertd. II male e la sofferenza, Einaudi, Torino 20002.
21 Di Vitiello si vedano soprattutto i volumi Cristianesimo senza redenzione, Laterza,
Roma-Bari 1995 e // Dio possibile. Esperienze di cristianesimo, Citta Nuova, Roma 2002.
22 Di Vattimo si vedano soprattutto i volumi Credere di credere, Garzanti, Milano 1996,
Inter rogazioni sul cristianesimo (insieme a P. Sequeri e G. Ruggeri), Edizioni
Lavoro/Editrice Esperienze, Roma/Fossano (CN) 2000 e Dopo la cristianita. Per un cristi-
anesimo non religioso, Garzanti, Milano 2002.
23 Cfr. soprattutto il suo libro su Dio e il divino. Confronto con il cristianesimo,
Morcelliana, Brescia 20002.
24 Fra i molti suoi scritti dedicati all'argomento voglio menzionare in special modo //
Dio assente. Lafilosofia e Vesperienza del divino, Bruno Mondadori, Milano 1997.
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enunciate nei modi dell'apofansi, di cio che vive solamente nella dinamica della
fede. Che e una dinamica di oscillazione fra cio che viene assunto, anticipatamente,
una volta per tutte e il movimento di costante revisione attraverso il quale il fedele
tenta, di volta in volta, di realizzare una tale anticipazione nella propria vita. Ecco
perche, se vengono meno sia questa applicazione, mai definitivamente compiuta,
dell'al di la nell'al di qua, sia 1' oscillazione fra la pretesa di un possesso anticipato
e la consapevolezza dell'impossibilita di esso, resta solamente il morto dato. Che
s'impone in maniera incondizionata. Insensatamente. Solo per chi e disposto a
ubbidire.
Se le cose stanno cosi, la prima strada per fare i conti con gli aspetti
d'indifferenza insiti nel filosofare consiste allora nell'adozione, da parte del
filosofare stesso, di una terapia che recupera gli elementi di coinvolgimento insiti
in un tale fenomeno. A cio s'accompagna un atteggiamento preliminare di
attenzione e di cautela, onde impedire la problematica trasformazione in uno stato
di cose di cio che, anche riguardo alle cose, risulta fonte costante e mai scontata di
coinvolgimento. Tutto cio pud essere offerto dalla filosofia per 1' opera di
autocomprensione che il cristiano pud voler attuare. Da un punto di vista filosofico
resta pero da domandarsi, in ultimo, per qual motivo un tale atteggiamento
dev'essere adottato: perche, in altre parole, bisogna far prevalere il senso
suH'insensatezza.
25 Cfr. I. Kant, Die Religion innerhalb der Grenzen der blofien Vernunft, ora in I. Kant,
Werkausgabe, a cura di W. Weischedel, vol. VIII, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1978.
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possa essere legittimamente posta anche al di fuori di una tale dimensione, come
in effetti e accaduto in alcuni dei filosofi che abbiamo incontrato precedentemente.
E soprattutto cio non vuol dire che essa non sia pur sempre possibile avanzarla.
Se il suo proporsi risulta quanto meno possibile, a maggior ragione e possibile
- e anzi, filosoficamente, appare legittimo - sollevare l'ulteriore questione che gia
abbiamo individuato: quella relativa al senso che una tale istanza di senso pud, in
effetti, avere. Detto altrimenti, possiamo essere indotti a chiederci, di nuovo, se il
problema del senso ha, in effetti, senso. Si tratta di un tema che Nietzsche, come
mostra Heidegger26, ha posto con decisione. Si tratta della questione che ci colloca
di fronte alia piu radicale possibility del nichilismo: e il nichilismo risponde
appunto che no, che la domanda sul senso non ha senso, e che percio non vale
nemmeno la pena di formularla. L'indifferenza sembra dunque presentarsi, in
definitiva, come destino inevitabile della filosofia.
Ma forse le cose non stanno necessariamente cosi. Infatti nella domanda
radicale sul senso del senso, a ben vedere, risulta certamente presupposta ed
espressa la possibility che la dimensione del senso possa essere considerata in
maniera distaccata, e che richieda in qualche modo di essere fondata, legittimata.
E cio accade solo in quanto quel che da senso viene concepito come un qualcosa
di preliminare, semplicemente come dono originario (secondo una tendenza in atto
nella fenomenologia francese contemporanea27), oppure come qualcosa che
s'impone in tutta la sua (effettiva o presunta) evidenza: come cio, in definitiva, che
offre senso ma che si offre, proprio nella sua offerta di senso, «senza un perche».
Accettando pero quest' impostazione, di nuovo, sembra che all'insensatezza del
senso non si possa affatto sfuggire. Giacche, come abbiamo visto, ne l'origine del
senso, ne il senso come tale possono presentarsi, pena il ricadere nella
contraddizione, come qualcosa di preliminarmente e semplicemente dato. Non si
tratta infatti di qualcosa di evidente e neppure di un dono che s'impone nella sua
gratuita. Ma, appunto, e proprio una tale concezione a non essere adeguata: nella
misura in cui 'senso' e manifestazione e legittimazione di se solo nel modo di un
dinamico coinvolgimento, solo per la capacita in atto, che lo contraddistingue, di
instaurare un immediato rapporto con altro. Unicamente in tal modo, percio, questa
nozione puo assolvere una funzione decisiva all'interno della riflessione filosofica:
anche e, anzi, proprio contro tutti i tentativi di fissazione dogmatica che possono
annunciarsi nei vari contesti religiosi; proprio nei confronti di quell 'irrigidimento
intransigente che, come abbiamo visto, e all'origine dei diversi fondamentalismi.
Ecco perche, volendo dare un nome concreto a questa capacita, che e propria
del senso, di giustificare se stesso coinvolgendo immediatamente cio a partire da
cui si potrebbe richiedere la sua giustificazione, si potrebbe introdurre ancora una
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volta la gia citata categoria deH'«amore»: quella, di nuovo, alia quale la filosofia
con il suo stesso nome rimanda. Non gia, tuttavia, intendendo l'amore come un
sentimento o come una tendenza - in se paradossale nelle sue configurazioni e nei
suoi esiti - al rapporto con altro. Ma concependolo appunto come fonte di
coinvolgimento aggregante, come evento che «consiste» propriamente in un tale
coinvolgimento e che di volta in volta lo realizza, nonche come dimensione nella
quale si mira a unificare, non gia a distinguere, pur salvaguardando e promovendo
le differenze. Al punto che non vi e piu spazio per l'insorgere di una nuova
domanda sul perche di un tale nesso, visto che ogni domanda e segno di una
distanza ed e produttrice, a sua volta, di distanza.
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