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Revista Portuguesa de Filosofia

Filosofia e cristianesimo: L' "eclissi del senso" come eredità del XX secolo e le prospettive
della riflessione contemporanea
Author(s): Adriano Fabris
Source: Revista Portuguesa de Filosofia, T. 60, Fasc. 2, Filosofia & Cristianismo: I - Aspectos
da Questão no Século XX (Apr. - Jun., 2004), pp. 433-452
Published by: Revista Portuguesa de Filosofia
Stable URL: http://www.jstor.org/stable/40337832
Accessed: 23-04-2016 05:58 UTC

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R. P. F. I
60 • 2004

Filosofia e cristianesimo:
U«eclissi del senso» come eredita del XX secolo e le
prospettive delta riflessione contemporanea

Adriano Fabris *

Resumo: No presente ensaio trata-se da relacdo entre filosofia e cristianismo no seculo XX


a partir da consideragdo de uma problemdtica comum a estas experiencias: o eclipse
do sentido, ou seja, a perda de referenda a um horizonte a partir do qual o ser humano
pode orientar-se na vida. Esta problemdtica, diferentemente declinada nas formas do
excesso do mal, do niilismo e da indiferenga religiosa, e uma das herangas com que hoje
tanto a filosofia como o cristianismo tern de se debater. O presente artigo reconstroi
uma ugenealogia filosofica " da atitude de indiferenga e oferece deste fenomeno uma
andlise articulada. A partir daqui apresentam-se duas solugoes possiveis, capazes de
unir ainda filosofia e cristianismo e que estdo emposigdo de favorecer novas formas de
co-implicagdo entre Deus, homem e mundo: a referenda aos aspectos upositivos " da
indiferenga e a atengdo a esfera do emocional, na qual as motivagdes tern ainda espago.

Palavras-Chave: Acgao; Amor; Aristoteles; Caracciolo, A.; Criagao; Cristianismo;


Deus; Filosofia; Fundamentalismo; Indiferenga; Mal; Natoli, S.; Niilismo; Pareyson,
L.; Platao; Religiao; Ruggenini, Mr, Sentido; Teodiceia; Teologia; Vattimo, G.;
Violencia; Vitiello, V
Abstract: The present essay deals with the relation between philosophy and Christianity
in the 20th Century in relation to the eclipse of meaning, i.e., the lack of a horizon that
constitutes a point of reference by which one might orient his/her life. This problematic,
affected differently by excesses of evil, nihilism, and religious indifference in the last
century, is at the heart of the debate. In view of this, the present article offers a
"philosophical genealogy" of the attitude of indifference. On the basis of an analysis of
this phenomenon, it proposes two possible solutions that might bring philosophy and
Christianity together by reformulating the ways that God, man, and the world may be
seen as co-implicated and by considering how this indifference can have positive
aspects.
Key Words: Action; Aristotle; Caracciolo, A.; Christianity; Creation; Evil; Fundamenta-
lism; God; Indifference; Love; Meaning; Natoli, S.; Nihilism; Pareyson, L.;
Philosophy; Plato; Religion; Ruggenini, M.; Theodicy; Theology; Vattimo, G.;
Violence; Vitiello, V

* Universita di Pisa (Pisa, Italia).

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434 Adriano Fabris

1. Introduzione: due aspetti dell'eredita del XX secolo

che alia riflessione contemporanea viene consegnata dal pensiero e,

L'eredita piu in generate, dall'insieme delle esperienze storiche del Novecento risulta,
quanto al problematico rapporto tra filosofia e cristianesimo, decisamente varia
e complessa. Volendo proporne una caratterizzazione schematica, possono comunque
essere individuati soprattutto due filoni principali, due ambiti d'indagine sui quali e
bene concentrare l'attenzione. II primo riguarda cio che potremmo chiamare il
problema dc\Y eccesso del male; il secondo concerne l'intreccio di nichilismo,
indifferenza religiosa e ritorno dei fondamentalismi. Consideriamoli brevemente.

2. II problema dell'eccesso del male

Da un punto di vista piu propriamente morale e religioso, la questione che e


emersa con maggiore urgenza nel Novecento, assolutamente scandalosa per le
forme in cui storicamente si e presentata, e data dall'imporsi di una violenza
incontrollabile e insensata, dall'esperienza di un male che nelle sue diverse confi-
gurazioni e vissuto e, talvolta, accettato quale elemento costitutivo del processo
storico1. Un tale scandalo - che si propone non solamente nella prospettiva della
teologia, ma anche e soprattutto dal punto di vista dell'indagine filosofica - ha
trovato la sua realizzazione piu dirompente, che ha assunto un carattere di simbolo,
nell'evento della Shoah2.

Filosoficamente questo evento si puo configurare come l'esito ultimo di un


processo antico, che conduce alia piena autonomia dell'agire rispetto a ogni
possibile indicazione e orientamento che lo possano guidare. Si puo sostenere,
forse, che la volonta non e piu disposta a coordinarsi con il pensiero, come accadeva
nella morale greca e nelle sue successive trasformazioni. O meglio si puo dire, piu
precisamente, che una residua traccia di orientamento, la possibility di individuare
un senso, ancora, alia mia azione, tale da orientare la volonta nelle sue scelte, viene
semmai trovato o nel meccanismo stesso di quell' agire che e ormai fine a se stesso,
cioe nelle sue leggi interne - per cui quello che si fa, lo si fa per ubbidire a
disposizioni superiori, come dichiara Eichmann di fronte alia corte che lo giudica3,
ovvero per non arrestare il dispositivo globale in cui 1' azione s'inserisce -, oppure
nei risultati a cui questo agire conduce, nei prodotti che esso e in grado di
realizzare. Si delinea cosi un singolare circolo nell'argomentazione: 1' agire viene

1 Si veda, per un' introduzione a questo problema, 1' ormai classico volumetto di P.
Ricoeur Le mal Un defi a la philosophie et a la theologie, Labor et Fides, Geneve 1986.
2 Sul problema filosofico e teologico rappresentato dalla Shoah rimando alia panorami-
ca complessiva contenuta nel volume di S. Benso, Pensare dopo Auschwitz. Etica filosofica
e teodicea ebraica, E.S.I., Napoli 1992.
3 Cfr. il commento a quest' affermazione contenuto in H. Arendt, Eichmann in Jerusa-
lem. A Report on the Banality of Evil, The Viking Press, New York 1963.

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legittimato in virtu della sua efficacia, vale a dire grazie alia sua capacita di
realizzare un prodotto; ma in quest' ottica, nella quale non viene introdotta una
differenza qualitativa fra i risultati, qualsiasi prodotto, considerato in quanto tale, e
in grado a sua volta di essere legittimato. Anche lo sterminio di un popolo.
Come si vede, pero, in tal modo resta aperta la questione del senso dell'agire. Sia
i meccanismi che sovrintendono all'azione, con le loro leggi, sia la sua capacita di
produrre un risultato possono semmai consentirci - qualora si ritenga di doverli
introdurre - di spiegare un'azione, non gia di darne il senso. La spiegazione fornisce
bensi cause o scopi, ma rimane sul piano dell'agire stesso, non sa trascenderlo,
ponendo piuttosto qualcosa di cui la volonta e in grado, prima o poi, di appropriarsi. D
senso invece, in virtu della sua capacita di dare orientamento, si situa su di un piano
diverso rispetto a quello su cui si colloca l'agire, e percio su di esso l'agire non puo
incidere. II senso, in altre parole, sfugge all' efficacia dell'agire: e appunto percio,
anche nei confronti di questa efficacia, noi siamo ancora spinti a domandarci ilperche4.
Insomma: davanti alia violenza incontrollabile, di fronte all'eccesso del male
noi sperimentiamo il venir meno del riferimento a una prospettiva di senso.
Tocchiamo con mano, in altre parole, la sostituzione del senso con la spiegazione,
della ricerca di una motivazione con l'indicazione della causa e del motivo.
Tornero in seguito su questo punto. Per ora mi preme sottolineare, ancora, il fatto
che una tale situazione comporta, sul piano dell'agire, il ripiegarsi di quest' ultimo
su di se, l'emergere di un'esperienza autonoma della volonta che, volendo sempre
e solo se stessa (anche quando intende raggiungere null'altro che il proprio scopo),
tutto legittima in questa prospettiva. Ne consegue il mancato riconoscimento di cio
che, dal punto di vista di un riferimento a un orizzonte di senso, appare come bene
o come male. Ne consegue, sul piano di quel circolo nell'argomentazione che lo
spiegare mette in opera, 1' indifferenza di bene e male. Fino alle estreme
conseguenze. Fino a che l'eccesso del male non rende tutto cio insopportabile, sia
per chi lo sopporta, sia anche per chi lo fa. E allora ad entrambi puo riproporsi, ben
oltre ogni volonta di spiegazione, una domanda di senso.

3. Nichilismo, indifferenza religiosa, fondamentalismi

Come si vede anche dalla riflessione ebraica del secondo dopoguerra - dal
Buber dell'«eclissi di Dio» a Fackenheim, da Rubenstein a Levinas5 - a questa

4 Per un approfondimento della distinzione fra il livello del 'senso' e quello della 'spie-
gazione' mi permetto di rinviare al mio libro Tre domande su Dio. Un «game book» filoso-
fico, Laterza, Roma-Bari 1998.
5 Si vedano, rispettivamente, i seguenti volumi: M. Buber, Gottesfinsternis, Manesse
Verlag, Zurich 1953; E. Fackenheim, Quest for Past and Future. Essays in Jewish Theology,
Indiana University Press, Bloomington 1968; R. Rubenstein, After Auschwitz. Radical
Theology and Contemporary Judaism, Bobbs & Merrill, New York 1966; E. Levinas,
Autrement qu'etre ou au-dela de I' essence, Nijhoff, Den Haag 1978.

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domanda si e cercato di rispondere prendendo sempre piu le distanze da quel Dio


della spiegazione che le vicende della metafisica ci avevano consegnato. Anche a
rischio di pensare, magari al cospetto di questo stesso Dio, il tema dell'assenza di
Dio. Si tratta di un elemento che accomuna tali riflessioni a quelle che, in ambito
cristiano, sono state sviluppate anzitutto da Bonhoeffer e, poi, dalle varie «teologie
della secolarizzazione»6.

Al di la di questo lavoro, in vario modo fmalizzato a «purificare» l'idea di Dio


dalle compromissioni con un modello di agire di cui l'uomo tecnologico si era
rivelato il miglior interprete, emergeva pero la necessita di pensare e di vivere
autenticamente un «Dio del senso»: un Dio, cioe, che non solamente sia in grado
di fornire senso al pensare e al fare deH'uomo, ma che risulti esso stesso, in primo
luogo, sensato. L' ultimo scorcio del XX secolo ha visto pero elaborate, rispetto a
quest' esigenza, due tentativi radicali di soluzione, che, pur cercando di fare i conti
con essa, finiscono tuttavia per condurre a esiti paradossali. II primo di questi
tentativi consiste direttamente nella rinuncia a porre la stessa questione del senso:
una rinuncia non esplicitata, che non e frutto di una scelta consapevole, ma che
viene - per cosi dire - assorbita dallo stesso disinteresse nei confronti di tutto che
la prospettiva dell'insensatezza, tendenzialmente, porta con se. Emerge qui, per
quanto riguarda piu specificamente il tema del divino, quel fenomeno, oggi giunto
a piena maturazione, che vede la trasformazione progressiva del nichilismo in
indifferenza religiosa. La seconda tendenza, solo all'apparenza in contrasto con la
precedente, e data da un ritorno del religioso, soprattutto in forme assolute e
intransigenti. AH'interno di esse la prospettiva del divino non solo assume
nuovamente le forme di un Dio della spiegazione, ma lo stesso Dio che pud dare
senso s'impone e viene accolto in maniera assolutamente insensata. E cid che
av viene all'interno delle varie tendenze a carattere fondamentalistico che oggi
s'impongono nei piu diversi ambiti religiosi7.
Approfondiro piu avanti i differenti significati dell'espressione 'indifferenza
religiosa': un fenomeno che rappresenta l'esito finale di quel processo, iniziato
nell' ultimo scorcio del Settecento, che conosciamo con il nome di 'nichilismo'8. E

6 Cfr. in special modo i testi raccolti in D. Bonhoeffer, Wider stand und Ergebung. Brief e
und Aufzeichnungen aus der Haft, Neuausgabe, hrsg. v. E. Bethge, Kaiser Verlag, Miinchen
19853.

7 Per un approfondimento di questa tematica e, in particolare, per una giustificazione, in


prospettiva sociologica, dell' opportunity di declinare al plurale del termine 'fondamental-
ismo' si veda il volume di M. Riesebrodt, Die Ruckkehr der Religionen. Fundamentalismus
und der »Kampfder Kulturen«, Beck, Miinchen 200 1_.
8 II primo documento in cui questa prospettiva e espressa in maniera consapevole si ha
in un testo di Johann Paul Friedrich Richter, meglio conosciuto con il nome di Jean Paul: un
autore al quale, peraltro, si deve il conio dello stesso termine 'nichilismo'. Si tratta della
Rede des todten Christus von Weltgebdude herab, dafi kein Gott sei, un testo contenuto nei
romanzo Siebenkds, pubblicato nei 1796.

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anche su quest' ultimo concetto trovero il modo, piu oltre, di soffermarmi. Per ora,
tuttavia, mi preme soprattutto segnalare l'apparente stranezza del quadro che ho
appena delineato.
Per un verso, nella situazione che il Novecento ci lascia in eredita, vi e il fatto
che risultano compresenti, come risposta a una medesima esperienza di crisi del
senso, due soluzioni fra loro opposte: il tentativo di prendere congedo dalla stessa
possibility che il problema del senso venga sollevato - e questo non gia in maniera
teorica, ma nella stessa pratica di quella rinuncia che finisce per manifestare
indifferenza, paradossalmente, anche nei confronti dell'assunzione della stessa
prospettiva dell' indifferenza - e il riproporsi di quella dimensione religiosa che
storicamente ha fornito all'uomo un orizzonte di senso. Ma, come gia e stato
accennato, nelle declinazioni fondamentalistiche dell' esperienza religiosa ogni
ricerca viene bloccata sul nascere, ogni domanda e immediatamente tacitata
perche, fin da subito, vi e per essa una risposta pronta. Anche per la domanda di
senso. In seno agli stessi fondamentalismi emerge cosi una peculiare forma di
indifferenza: che riguarda non solo tutto cio che eccede l'ambito dell'immediata
accettazione dei precetti divini, ma anche, in definitiva, il significato e il valore di
questi precetti stessi. Giacche ad essi va ubbidito in ogni caso.
Per l'altro verso, poi, vi e il fatto che all'emergente richiesta di senso corris-
pondono in particolare, nella riflessione contemporanea, esperienze che tendono
a trascurare o a delegittimare questa richiesta stessa. Come appunto accade
assumendo un atteggiamento indifferente nei confronti proprio della possibility che
emerga un orizzonte di senso, oppure rispetto a quel Dio che lo dovrebbe offrire
all'uomo, chiedendogli pero di essere suo partner nella costruzione di un senso del
mondo. E necessario allora approfondire il motivo profondo di questa messa tra
parentesi della problematica del senso anche quando essa s'impone come compito
per il pensiero. E questo e appunto cio che ora intendo fare.

4. II venir meno di una prospettiva di senso


come problema sia filosofico che religioso

Se volessimo riassumere la situazione con cui oggi ci troviamo a interagire


dovremmo affermare che cio che abbiamo di fronte, quale sfida tanto al
cristianesimo che alia filosofia, e un diffuso atteggiamento d' indifferenza. Anche
quando sembra che la prospettiva religiosa - come accade con i fondamentalismi
- si riproponga nella maniera piu decisa e radicata. Piu precisamente, poi, cio con
cui dobbiamo confrontarci, in tutta la sua complessita, e 1'esito paradossale a cui
conduce sia la posizione del problema del senso, sia anche il suo venir meno.
Con questo dobbiamo dunque fare i conti. Cio puo avvenire - ed e il modo in
cui cerchero, nelle pagine successive, di affrontare il problema - delineando con
intenzioni ricostruttive una sorta di «genealogia» dell' indifferenza. Alia
«genealogia della morale» di nietzscheana memoria puo corrispondere infatti, a

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buon diritto, una «genealogia del nichilismo» e dei suoi esiti ultimi: quelli che
trovano neH'indifferenza religiosa, appunto, una delle loro espressioni piu radicali.
A partire da qui credo possa essere adeguatamente impostato, alia luce dell'eredita
lasciataci dal XX secolo, il problema del rapporto tra filosofia e cristianesimo. E
cio potra accadere evitando alcuni errori del passato: elaborando cioe un pensiero
che non legittimi ne il nichilismo, ne il richiamo a una religione sostanzialmente
incapace di fare i conti con esso.

5. Per una genealogia filosofica deU'atteggiamento d'indifferenza

Filosofare e un atto, non gia uno stato. L'attitudine alia filosofia nasce in virtu
della capacita di distanziarsi da tutto cio che nella vita quotidiana prende e
coinvolge, spingendo a un'immediata adesione. In questa propensione al distanzia-
mento trova giustificazione il carattere «teoretico» che la filosofia assume fin
dall'inizio della sua vicenda: il privilegio, reale o metaforico, del senso della vista
come modello per affrontare i problemi. Giacche si pud cogliere adeguatamente
qualche cosa, con gli occhi e con il pensiero, solo ponendosi ne troppo vicino ne
troppo lontano rispetto ad essa: solo collocandosi, appunto, alia giusta distanza.
Una tale capacita di distacco della filosofia e stata in vari modi esplicitata e
praticata gia nel mondo antico. Possiamo averne conferma considerando Timpos-
tazione di due pensatori fondamentali: Platone e Aristotele. In Platone, infatti, il
desiderio di prendere le distanze da una realta instabile, in costante movimento,
non e solo motivato dall'intenzione di elaborare un sapere saldo, fisso, eterno, sulla
cui base fondare ogni ulteriore conoscenza - e infatti allo «star sopra saldamente»
che rinvia per la sua etimologia il termine greco che dice la 'scienza': episteme -,
ma anche dall'istanza che mira, su quel fondamento, a stabilire una volta per tutte
cio che e buono, giusto, vero: onde evitare che possano nuovamente essere
perpetrate ingiustizie come quella tragicamente subita da Socrate. Ebbene:
ambedue queste esigenze, teorica e pratica, spingono allo sviluppo di una dottrina,
la dottrina delle idee, che identifica un luogo di lontananza al cui interno l'uomo
ha da sempre la sua vera collocazione e nella prospettiva del quale sia il conoscere
che l'agire acquistano il loro senso piu proprio.
II filosofo, allora, e colui che e in grado di vedere le cose del mondo a partire
da una tale lontananza: e colui, soprattutto, che sa di appartenere originariamente
a una dimensione ideale ed eterna. E tuttavia a cio si collega, quanto al
comportamento, un'ambiguita di fondo, che finisce per caratterizzare il «platonis-
mo» in tutte le sue successive versioni. Per un verso, infatti, l'assunzione di una
prospettiva ideale consente di vedere il mondo in altro modo, di interagire con gli
altri uomini sulla base di cio che non e opinabile, di trasformare la realta a partire
da cio che nella realta non trova spazio. II mondo delle idee, insomma, offre quella
dimensione bensi distaccata, ma non separata, che consente a chi ne ha fatto
esperienza di ritornare fra i fenomeni - come fa colui che, nel mito della caverna,

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si e liberato dalla schiavitu delle ombre ed e riuscito a contemplare la pura luce9 -


per tentare di modificarlo a partire da quei principi buoni, giusti, veri, di cui ha
preso conoscenza. Per altro verso, pero, il raggiungimento di tali principi puo
anche spingere chi e riuscito a conoscerli, scoprendo cosi la propria vera origine, a
rimanere nella loro prossimita, e quindi ad abbandonare ogni impegno nei
confronti di una realta transeunte e sempre in movimento. E questo l'atteggiamento
di coloro che nel linguaggio comune sono chiamati, appunto, gli «idealisti».
Un'analoga ambiguita, peraltro, la possiamo riscontrare nel ben piu terreno
progetto filosofico di Aristotele. All'inizio dei suoi trattati di Metafisica egli ci
propone una vera e propria ricostruzione della genesi del filosofare, a partire da quel
desiderio di sapere che anima tutti gli uomini10. II filo conduttore privilegiato e offerto
qui dalla sensazione del vedere, poiche essa e in grado di fornire, piu delle altre
sensazioni, dettagli e differenze fra le cose. Conoscere, dunque, anche per Aristotele
e porsi alia giusta distanza rispetto a cio che, inizialmente, appare incomprensibile e
provoca in noi meraviglia. Nel concreto, poi, la giusta distanza che il filosofo riesce a
stabilire rispetto al mondo dei dati apparentemente incomprensibili e quella costituita
dalla catena delle cause. E il filosofo si trasforma in un sapiente dalle caratteristiche
divine proprio nel momento in cui, essendosi liberato dalle necessita pratiche, e in
grado di contemplare, finalmente e con pieno disinteresse, la causa prima.
Alia contemplazione di tale causa, ancora una volta, egli puo arrestarsi. Ma in
realta non e questa, secondo Aristotele, la vocazione del ricercatore. Egli e piut-
tosto rinviato, sempre e di nuovo, al mondo dell'osservazione: perche e qui che le
forme, in effetti, concretamente s'incarnano. Se dunque e meno soggetto alia
tentazione deir«idealismo» (anche nel senso volgare in precedenza indicato), un
altro e tuttavia il pericolo che il filosofo puo correre. Si tratta del rischio di perdere,
nella distanza acquisita, la via di un ritorno alle cose stesse: perche troppo e cio che
va indagato; perche il molteplice sfugge, nonostante tutti gli sforzi, al tentativo di
ricondurlo a un unico principio. Giacche la pluralita dei fenomeni e in grado di
mettere in questione, costantemente, l'unicita dell'essenza.
Emerge allora, grazie a questi due esempi decisivi per la storia del pensiero, un
problema che l'indagine filosofica si trova costantemente ad affrontare nel corso
della sua storia e che risulta all' origine di quella «malattia nichilistica» da cui il
filosofare puo essere preda: e il fatto che la presa di distanze al cospetto del mondo,
e magari anche a suo favore, rischia sempre di trasformarsi in un disinteresse nei
confronti del mondo stesso11. Se dunque proprio in una tale tendenza del filosofare

9 Platone, Respublica, 514a-517a.


!o Cfr. Aristotele, Metaphysica A 1, 980a 27- 981b, 25.
1 1 Costantin Noica parla, a questo proposito, di «catholite», cioe della tendenza a esse-
re rimandati aU'universale senza essere piu in grado di tornare all'individuale e di rappor-
tarsi ad esso in maniera adeguata (cfr. $ase maladii ale spiritului contemporan, Editura
Univers, Bucuresti 1978).

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trova origine quel fenomeno che, negli ultimi due secoli, e stato indicato con il
nome di 'nichilismo', se a partire da qui possono essere compresi gli ulteriori
sviluppi di questo fenomeno nei termini di un'indifferenza religiosa, bisogna allora
approfondire meglio, finalmente, i significati di queste nozioni e vedere se la
filosofia, oltre ad avere in se il germe della malattia del distacco, e in grado di
stabilire per essa anche la cura.

6. Due significati di 'nichilismo'

In effetti - come accade per tutti i concetti filosoficamente decisivi e come


emerge dalla storia stessa dell'uso di questo vocabolo12 - il termine 'nichilismo' si
dice in molti sensi. E tutti mostrano, anche per contrasto, un intimo legame con
l'oggetto e con la prassi che caratterizzano la ricerca teologica. Giacche, potremmo
dire, se il Dio cristiano crea dal nulla - almeno secondo una particolare
interpretazione di Gn 1 - e spinge l'uomo a collaborare produttivamente all' opera
della Sua creazione, il nichilista ha come suo compito quello di distruggere, di
eliminare, di annullare questa creazione stessa. Allo stesso modo, cio che per il
cristiano nasce dal nulla, si schiude all'essere e nell'essere va custodito e
mantenuto, affinche non precipiti di nuovo nel nulla - nel caos, cioe, dell'in-
distinzione e della morte - il nichilista invece mira, dal canto suo, propriamente
o metaforicamente ad annientare. Percio egli si pone come colui che, nei limiti
che gli sono concessi, intende rovesciare la dinamica dell'atto creativo, vuole
invertirne, cioe, la direzione.
Un tale rovesciamento assume differenti configurazioni, di cui e possibile
ricostruire le tracce in filosofia, in politica, in letteratura. Per quanto riguarda la
dimensione filosofica, sempre tenendo conto del possibile rapporto tra filosofia e
religione, il nichilismo si e presentato sostanzialmente secondo due forme, alle
quali in precedenza gia si e fatto cenno: quella - potremmo chiamarla - di un
nichilismo della spiegazione e quella - potremmo dire - di un nichilismo del senso.
Ambedue gli atteggiamenti si presentano come un'esplicita messa in questione
della nostra capacita di rivolgerci a cio che e dato, a cio che in qualche modo
abbiamo di fronte, interrogandoci sul suo perche. E tuttavia, nel caso ris-
pettivamente del senso e della spiegazione, questo «perche» assume significati
differenti.

Infatti, come gia rilevava Aristotele nel primo libro dei suoi trattati di
Metafisica, quando il dato (to hoti: letteralmente, il «che») assume la forma
delFinquietante, dell'inabituale, di cio che puo essere nel contempo meraviglioso
e orribile, l'uomo cerca di governarlo appunto mettendolo in relazione con altro,
iscrivendolo cioe in un contesto piu ampio che definisce lo sfondo per cui il dato
e, appunto, quello che e. II «che», non piu isolato, si apre dunque al suo «per-che»

12 Cfr. a questo proposito il volume di F. Volpi, // nichilismo, Laterza, Roma-Bari 2001.

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(to dioti). E in tal modo, conoscendo il perche, abitando questa nuova dimensione,
meraviglia e sconcerto vengono meno. II saggio, insomma, non si stupisce piu di
nulla: e proprio percio e simile agli dei13.
Questo rimando ad altro, che mette in questione la mera datita del dato, puo
compiersi tuttavia secondo due direttrici: quella del senso, di nuovo, e quella della
spiegazione. Entrambe puntano a individuare il «per-che», vale a dire cio che e
responsabile dello stato di cose che ci si presenta. Ma, come abbiamo visto, 'senso'
non e 'spiegazione'. Mentre la spiegazione ha a che fare con i motivi, con le cause
- inizialmente con le quattro accezioni del causare di cui parla Aristotele nel gia
citato contesto del primo libro della Metafisica (il far si che qualcosa sia quello che
e secondo la sua materia, la sua forma, il suo movimento, il suo scopo14), poi,
sempre piu decisamente a partire dall'eta moderna, con un'idea di 'causa' come
«causa efficiente», capace di giustiflcare il movimento o la quiete di qualcosa a
partire da un impulso ad essa esterno - il senso mi da invece la motivazione. Esso
cioe mi propone un orientamento preliminare, un punto di riferimento al quale
attaccarmi, in base al quale uniformare il mio agire e il mio pensare. E tale
riferimento, a ben vedere, non e affatto spiegabile, giacche risulta di qualita diversa
rispetto a cio che a partire da esso e compreso.
Non bisogna dunque confondere la «logica» del senso con quella della spiega-
zione. II senso, lo si e gia visto, rimanda a un orizzonte irriducibile a cio che, a
partire da esso, risulta compreso e motivato. La spiegazione individua invece la
responsabilita di un evento allo stesso livello di questo evento stesso, dal momento
che vi e sempre un legame di prossimita tra la condizione e il condizionato.
Di conseguenza, se si vogliono mettere in questione - al fine di fare i conti con
esse anche annullando le soluzioni proposte - queste condizioni di possibility di
confrontarsi con il dato, questi modi di identificare un «perche» di esso, e
necessario sempre distinguere il piano della spiegazione da quello del senso. Ne
scaturiscono due prospettive a partire dalle quali cio che chiamiamo 'nichilismo'
puo essere interpretato. Giacche, anzitutto, questo fenomeno nasce storicamente
come contestazione dell' idea che vi possa essere una causa prima, un Dio supremo
produttore, ordinatore, programmatore degli eventi del mondo e delle vicende
umane. Questo Dio della spiegazione, nelle sue molteplici configurazioni storiche,
e stato appunto il Dio pensato dalla cosiddetta «teologia filosofica»15. E dunque,
nel momento in cui ci si rese conto che, da un lato, per produrre spiegazioni efficaci
non era necessario fare ricorso all'«ipotesi Dio» e, dall' altro lato, che l'assunzione
di un'entita siffatta, per via di pura ragione, risultava alquanto problematica, ci si

13 Cfr. Aristotele, Metaphysica A 2, 983a 1, sgg..


14 Cfr. ivi, A 3, 983a 25-32.
15 Una storia della teologia filosofica, coincidente nella sostanza con la stona della filo-
sofia tout court, e quella presentata da W. Weischedel nei due tomi del suo libro Der Gott
der Philosopher Wissenshaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1971.

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442 Adriano Fabris

risolse - con qualche iniziale preoccupazione, ma poi con sempre maggiore


coraggio - a rinunciare a questo tipo di argomenti. S' impose appunto un nichilismo
della spiegazione: Tannullamento di quel principio supremo di giustificazione che
trovava nel Dio della metafisica la sua piu compiuta codifica.
Fu Kant, com'e noto, a formalizzare 1' impossibility di giustificare razional-
mente il Dio della spiegazione, coniugando questo esito con l'approfondimento e
la strutturazione dell'autonomia dell'uomo nei suoi rapporti con i fenomeni del
mondo. Kant stesso, pero, e ben consapevole che con il venir meno del Dio della
spiegazione non per questo e liquidata anche la domanda di senso che l'uomo pud
formulare. E dunque egli, anche per evitare le derive nichilistiche della sua critica,
intese recuperare una differente figura del divino: quella di un Dio capace di dar
senso all'azione morale dell'uomo, in grado, cioe, di rispondere al suo bisogno di
orientamento16.

Anche questa mossa, tuttavia, si rivelo ben presto insufficiente. Non si pud dare
per scontato il bisogno di senso. Si puo mettere in questione questo stesso assunto.
Ci si puo domandare, addirittura, se la posizione del problema del senso ha, in
realta, senso. Oggi, sempre piu decisamente, ci troviamo in questa situazione. In
essa s'impone una diversa accezione di nichilismo: cio che gia ho chiamato,
appunto, il nichilismo del senso.
Secondo quest'ultima prospettiva 'nichilismo' significa proprio il venir meno
della necessita di porre un'istanza di orientamento. Si delinea in tal modo Una vera
e propria «eclissi del senso». Essa puo venir compresa a partire dal fatto che, in
primo luogo, da una particolare prospettiva di senso - ovvero da quel senso che, in
quanto orizzonte e punto di riferimento, dischiude al pensiero e all'azione degli
uomini il significato del mondo - siamo in grado volta a volta di staccarci: sia per
assumere altre prospettive, sia per non assumerne, all'apparenza, nessuria affatto.
Questa, come abbiamo visto, e una possibility che rientra a pieno diritto fra quelle
costitutive dell'approccio filosofico. Proprio in virtu di essa, allora, il senso
manifesta in tutto e per tutto il proprio carattere di presupposto fattuale. II che
significa che, in tal modo, esso e e si da «senza un perche», pur essendo la fonte di
ogni «perche» (di quel «perche», piu precisamente, che e concepito nei modi della
motivazione e del coinvolgimento).
Cosi, in questo suo imporsi, il senso come origine di ogni motivazione finisce
per presentarsi, a sua volta, come qualcosa di insensato. Detto altrimenti: l'esi-
genza del senso vale e si esplicita solo aH'interno di quella dimensione significati-
va che dal senso inizialmente accolto, appunto, e dischiusa. Ma non ha efficacia al
di fuori di essa e, soprattutto, non puo nulla al livello stesso di quel senso che e alia
base di una determinata motivazione. Tale prospettiva, quindi, non la si puo

16 Cfr. soprattutto, prima delle tesi sviluppate nella Kritik der praktischen Vernunft,
quanto egli dice nello scritto del 1786 Was heifit: sich im Denken orientieren? , ora in I. Kant,
Werkausgabe, a cura di W. Weischedel, vol. V, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1977.

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Filosofia e cristianesimo 443

legittimamente chiamare «universale», sebbene possa risultare, di volta in volta,


condivisibile da altri: sebbene possa essere - si potrebbe dire - universalizzabile.
E comunque cio che impedisce la previa estensione universale di una prospettiva
particolare (qual e la prospettiva di senso di volta in volta assunta) e appunto quel
distacco, che e compito della filosofia esercitare, sulla base del quale l'antici-
pazione del senso sembra rivelarsi, come abbiamo detto, un presupposto di fatto, e
dunque qualcosa di insensato17.

7. L'insorgere dell'indifferenza e le sue forme

A un tale sfondo insensato ci si puo rapportare al modo dell'indifferenza. Ecco


dunque cio a cui conduce quel che abbiamo chiamato il «nichilismo del senso»:
all'emergere dell'indifferenza. Piu precisamente: all'assunzione consapevole di un
atteggiamento indifferente nei confronti non solo di Dio, ma anche del mondo e di
se stessi. E che, per la verita, puo risultare indifferente anche nei confronti della
posizione stessa dell'indifferenza.
Questa e la situazione in cui oggi ci veniamo a trovare. Una situazione
complessa, almeno nell'Occidente erede della tradizione cristiana. Una situazione
nella quale l'istanza al consumo, oggi dominante, spinge a non tenere conto che c'e
ancora qualcosa che dev'essere salvato e custodito. Soprattutto per quanto riguarda
l'ambito religioso. Giacche proprio rispetto a questa dimensione l'indifferenza,
come indifferenza nei confronti di una possibile offerta di senso, sembra ormai
essersi universalmente diffusa. E allora tutto risulta uniforme, tutto rimane
appiattito su di un'unica dimensione.
Ma che cosa indica il termine 'indifferenza', che finora abbiamo usato nel suo
significato vago e generico? A quali articolate esperienze esso puo rinviare?
L'indifferenza, specificamente in ambito religioso, assume infatti molte forme.
Sono tre soprattutto i modi, correlati fra loro, in cui un tale fenomeno, schematica-
mente, viene a configurarsi.
Anzitutto esso e, immediatamente, indifferenza di fronte all'alternativa fra
un'opzione religiosa e un'opzione che non fa affatto riferimento a prospettive
derivanti da una religione, comunque questa venga intesa. Non si tratta piu, qui, di
assumere un atteggiamento di contrapposizione a Dio e alle possibility del Suo
rivelarsi, come avveniva nelle forme classiche dell'ateismo. Si tratta piuttosto di
non prendere in considerazione neppure queste possibility alternative, perche
rispetto ad entrambe pare ormai essersi verificata una caduta d'interesse.
In un'altra sua forma, poi, un tale atteggiamento di disinteresse e di distacco si
manifesta come indifferenza fra le diverse e possibili opzioni religiose, variamente
determinate, nella persuasione che al «supermercato delle religioni» del mondc

17 Un piu adeguato approfondimento di queste tematiche e contenuto nel mio libro


Paradossi del senso. Questioni di filosofia, Morcelliana, Brescia 2002.

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444 Adriano Fabris

contemporaneo, almeno nelle configurazioni che esso ha assunto in Occidente, si


possa scegliere fra «prodotti» religiosi che hanno comunque tutti una loro validita. Cio
che opera sullo sfondo di questa concezione e l'idea che una qualche religione, fra le
molte presenti, pud essere assunta quando serve e che, tenendo conto di questa offerta
uniformata, e possibile mescolare prospettive religiose diverse in una nuova unita, a
seconda delle proprie esigenze. E cio che accade neH'ambito del cosiddetto New Age.
Qui non conta, insomma, la specificita di un particolare culto, ma il bisogno
individuale a cui una particolare esperienza di tipo religioso sembra poter dare risposta.
Infine l'indifferenza religiosa puo indicare quell' atteggiamento che - di fronte
alle prescrizioni e ai valori proposti, secondo una gerarchia ben precisa, aH'interno
di una particolare confessione - non accoglie affatto tali prescrizioni in maniera
incondizionata, non ne riconosce la disposizione gerarchica, ma li pone tutti sullo
stesso piano, li considera modificabili a proprio piacimento e ritiene di poterli
adattare, in maniera flessibile, alle situazioni concrete che di volta in volta si
presentano. In ultima analisi, pero, il giudice ultimo che deve decidere della
legittimita di questa applicazione dei principi incondizionati alia vita quotidiana e,
ancora una volta, lo stesso individuo: colui, appunto, che puo trarre benefici da una
tale benevola flessibilita da lui stesso introdotta.

Se ci atteniamo a queste varie tipologie, incontriamo allora un'indifferenza che


si configura in una triplice accezione: quella che riguarda il collegamento fra il
religioso e il non religioso', quella che interviene nelle relazioni stesse fra le
differenti religioni; quella che caratterizza, infine, i rapporti fra gli stessi valori che,
pure, dovrebbero essere accettati da chi riconosce di appartenere a una particolare
religione. E le conseguenze dei tre modi in cui l'indifferenza religiosa oggi si
presenta sono, a ben vedere, del tutto analoghe. Nel primo caso si rischia di perdere
la specificita dell 'atteggiamento religioso in generale, favorendo in tal modo la
confusione, ad esempio, fra il pensare e l'agire che sono propri del credente e quelli
che contraddistinguono piuttosto il non credente. Nel secondo caso si rischia
invece di perdere la specificita di un determinato atteggiamento religioso rispetto
ad altri, favorendo in tal modo l'insorgenza di forme instabili di sincretismo tra
religioni e culture che risultano ben diverse tra loro. Nel terzo caso, infine, si
rischia di perdere la specificita che caratterizza V atteggiamento individuale
alVinterno di un determinato contesto religioso, favorendo in tal modo
l'omologazione tra fedeli che intendono in modi differenti, e magari contrastanti, i
dettami di una medesima confessione.

Ma anche queste precisazioni rischiano di farci restare alia superficie del


problema. 'Indifferenza', infatti, e un termine equivoco. Ma lo e non solo per
quanto abbiamo fin qui detto, bensi anche in un senso ulteriore e piu profondo. II
concetto di 'indifferenza' - lo abbiamo gia accennato - puo indicare infatti sia la
mancanza di distinzioni, sia Yassenza di interesse. L' atteggiamento d' indifferenza
comporta insomma sia l'indistinzione che il disinteresse. Si tratta, nel primo caso,
dell 'indifferenza in qualcosa, nel secondo, dell 'indifferenza rispetto a qualcosa.

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FlLOSOFIA E CRISTIANESIMO 445

In entrambe le accezioni, comunque, si verifica V annullamento di un rapporto.


In questo annullamento emerge il tratto nichilistico dell'indifferenza. Ed il
rapporto in questione subisce 1' annullamento perche viene negato che vi possa
essere una qualche diversita fra i termini che potrebbero entrare in rapporto. Percio
tutto risulta indistinto. E, di fronte all'indistinto, non c'e nulla che mi puo attrarre,
nulla che suscita il mio interesse. Io non sono piu coinvolto, motivato. E tutto,
percio, mi appare privo di senso. In questa prospettiva possono essere pensate
esperienze e stati d'animo - come la noia, l'angoscia, lo stato di depressione - la
cui trattazione in termini meramente psicologici, psicoterapeutici o, addirittura,
psichiatrici rischia di essere affatto insufficiente.
Con 1'indifferenza, anche nella sua accezione di indifferenza religiosa, e infatti
possibile fare i conti in due modi. Anzitutto, tenendo ferma la distinzione e
considerandola un elemento costitutivo e permanente del rapporto. Una relazione,
infatti, non si attua come superamento di preliminari differenze, configurandosi nel
suo esito ultimo al modo di un'unita indistinta. Cio non accade in maniera
produttiva, di fatto, neppure quando viene vissuta l'esperienza umana in cui
maggiormente sembra realizzarsi una tale unificazione simbiotica: l'esperienza
dell'amore18. Invece, qui e in generate, il legame s'istituisce, si rafforza, si compie
non gia negando, bensi promovendo le differenze. A patto naturalmente che,
mediante un tale processo, i diversi non si svincolino dal legame che li unisce,
finendo per negare la possibility di questo stesso legame e per trasformare le loro
differenze ancora compatibili in irriducibili opposizioni. D'altronde, solo
attraverso il mantenimento di una tale diversita all'interno della relazione e
possibile salvaguardare 1' interesse fra i termini che la relazione congiunge. In altre
parole, il coinvolgimento in una relazione e l'interesse per l'altro dipendono dal
rispetto delle differenze e da una loro corretta gestione. E, a ben vedere,
approfondire le condizioni di un tale comportamento e, fra l'altro, compito
precipuo dell'etica.
Accanto a questo primo atteggiamento, l'altro modo in cui e possibile
contrastare 1'indifferenza, e l'annullamento nichilistico che ad essa s'accompagna,
consiste nel ripensare in maniera adeguata la stessa eliminazione delle differenze
che e alia base del disinteresse. Si tratta cioe di cogliere una possibility "positivcT
all'interno di cio che la stessa indifferenza pretende di realizzare. L' indifferenza,
pur nel suo configurarsi come disinteresse, insieme pero rimanda anche all'ambito
dell'immediato. E l'immediato costituisce lo sfondo all'mterno del quale si compie
l'agire e il pensare dell'uomo, sempre alia ricerca di una decodificazione e di
un'appropriazione di esso. II contatto, il tocco, la meraviglia, la passione, la

18 Cfr. A. Fabris, / paradossi delVamore fra grecita, ebraismo e cristianesimo,


Morcelliana, Brescia 20022; Id., "Die Dynamik der Liebe zwischen Athen und Jerusalem.
Augustinus und der Neuplatonismus", in Detlev Clemens, Tilo Schabert (Hrsg.), Kulturen
des Eros, Fink, Munchen 2001, pp. 253-285.

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446 Adriano Fabris

persuasione, il coinvolgimento in un'impresa e, ancora una volta, 1'amore: tutti


questi, di fatto, sono modi in cui 1' indifferenza si realizza in termini non
nichilistici, ma motivati e motivanti. Come ben sanno, ad esempio, i mistici di ogni
tempo. E, certo, suona ben diversa l'affermazione dell'indifferenza divina se essa
viene attribuita a Epicuro o se e posta in bocca a Cusano.
Da questo punto di vista la stessa indifferenza si configura come espressione
del coinvolgimento. Certo: si tratta di un risultato sempre provvisorio, dal
momento che le distinzioni, insieme alia coscienza di se, fmiscono per riproporsi e
chiedono di essere governate. In ogni caso, comunque, cio che emerge da questa
breve analisi filosofica del fenomeno dell'indifferenza e, insieme all'ambiguita del
fenomeno, il reciproco rimando che sussiste fra l'indistinzione e la promozione di
un legame in e attraverso il mantenimento delle differenze. Si tratta, a ben vedere,
di un legame affatto paradossale, nella misura in cui in esso l'unita vive e cresce
conservando la separatezza, e tuttavia quest' ultima e tale solo in funzione del
raggiungimento dell'unita. Ma cio, se ricordiamo il racconto biblico di Gn 3, altro
non e che la condizione a cui l'uomo e costretto con la caduta, vale a dire con la
perdita di quello stato di indifferenza «positiva», nel rapporto tra Dio e il creato,
che caratterizzava la situazione paradisiaca.
Ecco, allora: se vale la ricostruzione genealogica che e stata proposta, ne
consegue che l'atteggiamento filosofico si trova da sempre a dover gestire un tale
paradosso. Ma oggi, con ancora maggiore urgenza, esso e chiamato a cercare una
via d'uscita dal vicolo cieco del nichilismo nel quale, anche per sua responsabili-
ta, viene a trovarsi. Per questo scopo il confronto con la dimensione religiosa, come
realta in cui l'esperienza del coinvolgimento di fede e viva e vitale, puo risultare
davvero opportuno. E in tal modo puo effettivamente trovare motivazione il
volgersi della filosofia verso l'esperienza cristiana.

8. Filosofia, cristianesimo, teologia: tra indifferenza e coinvolgimento

In generale la riflessione contemporanea sembra ormai aver superato l'idea,


ancora illuministica, di un'opposizione radicale tra filosofia e cristianesimo. Si e
verificata, anche nel campo dell'indagine filosofica, una sorta di cambiamento di
rotta, di «svolta» verso la religione19. E dunque lontani sono ormai i tempi in cui,
non senza una certa ingenuita, venivano rivendicati per la filosofia un «ateismo di
principio» (l'espressione e del giovane Heidegger) e la necessita di assumere un
atteggiamento di esplicita contrapposizione ai miti e ai dogmi oggetto della
teologia. Piuttosto, come si diceva, un'educata indifferenza ha sovente preso il
posto dell' esplicita contrapposizione, mentre altrettanto spesso la rivalutazione del
pensiero cristiano come valida palestra d'indagine sull'uomo e sul mondo ha

19 Cfr. H. de Vries, Philosophy and the Turn to Religion, The John Hopkins University
Press, Baltimore and London 1999.

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FlLOSOFIA E CRISTIANESIMO 447

portato a un utilizzo strumentale, e talvolta acritico, di motivi religiosi airinterno


di un diverso contesto di riflessione.

Cio ad esempio si e verificato pure nel dibattito filosofico e culturale italiano.


Anche al suo interno, negli ultimi anni, dalla contrapposizione piu o meno ideo-
logicamente motivata si e passati alia possibility di individuare forme di sinergia
fra l'indagine filosofica e le diverse forme di riflessione religiosa. Cio e avvenuto,
ad esempio, sottolineando con forza - lo hanno fatto Alberto Caracciolo e Luigi
Pareyson20 - fino a che punto la tradizione filosofica si configura come cristiana in
senso proprio, sia per quanto riguarda il suo approccio, sia per quel che concerne i
suoi contenuti, oppure prendendo sul serio - con l'intensita che e propria, ad
esempio, dell'indagine di Vincenzo Vitiello21 - le croci teoretiche ed etiche del
cristianesimo, e raccogliendo la loro sfida per il pensiero. A esiti piu problematici
conducono invece i tentativi di riconoscere in alcuni elementi fondamentali che
contraddistinguono l'annuncio cristiano - l'incarnazione, il radicarsi e lo
svilupparsi della fede nella storia, con il connesso rischio del dissolversi della
rivelazione nei molteplici rivoli della secolarizzazione e la conseguente perdita di
senso del sacro - quegli stessi motivi che anche la ricerca filosofica, per diversa
via, elabora e comprende: come fanno, pur in maniere anche sensibilmente diverse
pensatori quali Gianni Vattimo22, Salvatore Natoli23 e Mario Ruggenini24.
Cio che tuttavia risulta non sufficientemente discusso negli approfondimenti
contemporanei riguardanti il possibile rapporto tra filosofia e cristianesimo e, di
nuovo, la situazione d'indifferenza diffusa, religiosa e non solo, al cui interno
questo rapporto puo collocarsi. Sembra in proposito che Tunica alternativa sia
quella, appunto, fra un rapporto possibile oppure necessario, da una parte, e la
negazione di esso, dall'altra, anch'essa concepita comunque sotto forma di rela-
zione. Ma oggi, lo abbiamo vistQ, l'indifferenza annulla il rapporto stesso e mette
in crisi la possibilita del suo stesso insorgere. Tanto piu se si considera l'ambito
religioso. Tanto piu all' interno del cristianesimo.

20 Cfr. in special modo, di Alberto Caracciolo, La religione come struttura e come modo
autonomo della coscienza, II nuovo melangolo, Genova 2000, e di Luigi Pareyson, Onto-
logia della libertd. II male e la sofferenza, Einaudi, Torino 20002.
21 Di Vitiello si vedano soprattutto i volumi Cristianesimo senza redenzione, Laterza,
Roma-Bari 1995 e // Dio possibile. Esperienze di cristianesimo, Citta Nuova, Roma 2002.
22 Di Vattimo si vedano soprattutto i volumi Credere di credere, Garzanti, Milano 1996,
Inter rogazioni sul cristianesimo (insieme a P. Sequeri e G. Ruggeri), Edizioni
Lavoro/Editrice Esperienze, Roma/Fossano (CN) 2000 e Dopo la cristianita. Per un cristi-
anesimo non religioso, Garzanti, Milano 2002.
23 Cfr. soprattutto il suo libro su Dio e il divino. Confronto con il cristianesimo,
Morcelliana, Brescia 20002.
24 Fra i molti suoi scritti dedicati all'argomento voglio menzionare in special modo //
Dio assente. Lafilosofia e Vesperienza del divino, Bruno Mondadori, Milano 1997.

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448 Adriano Fabris

Inoltre, anche qualora la questione dell'indifferenza venga tematicamente as-


sunta, l'approccio ad essa rischia di essere per lo piu di tipo pratico e
volontaristico. L'indifferenza - si dice - dev'essere combattuta, evitata. Ma le
esortazioni in tal senso non bastano a creare le condizioni per un rinnovato
coinvolgimento. Bisogna invece ricostruire i motivi di quel disinteresse che oggi
s'impone quale elemento caratterizzante dell'odierna esperienza religiosa e che,
come abbiamo visto, trova nei fondamentalismi il suo contraltare solo apparente.
Ed e altresi necessario mettere a fuoco con chiarezza il fatto che 1' indifferenza
risulta insita nello stesso approccio filosofico, e che dunque il nichilismo, inteso
come nichilismo del senso, e qualcosa da cui la filosofia e accompagnata da
sempre, e con cui deve costantemente confrontarsi. E cio appunto che ho cercato
di fare nelle pagine precedenti.
Questo, d'altronde, I'uomo religioso lo ha sempre saputo. Non sempre, invece, ne
e stato consapevole il teologo. E dunque bisogna con estrema attenzione tener
presente il fatto che la stessa teologia, nella misura in cui accoglie in maniera acritica,
credendo di poterne semplicemente far uso, le strutture argomentative e i concetti
della filosofia, rischia di assumere da quest' ultima anche cio che maggiormente
contrasta con il coinvolgimento della fede. E il grave pericolo che corre ogni
riflessione che nasce in seno al cristianesimo: nella misura in cui tale riflessione fa
del cristianesimo stesso il proprio oggetto e sperimenta quindi, nei suoi confronti, un
atteggiamento di distacco che puo ben presto mutarsi in indifferenza.
Su questo terreno, dunque, va oggi ricollocato il problema del rapporto tra
filosofia e cristianesimo. Diventando sempre piu consapevoli del fatto che
l'indifferenza, concepita come disinteresse, e il risultato di un' incapacity di
governare adeguatamente quel distacco dal quale l'indagine filosofica prende bensi
le mosse, ma solo per poter comprendere cio che le interessa ponendosi alia giusta
distanza. E tenendo altresi conto del fatto che da questo atteggiamento di distacco,
disinteressato e indifferente, rischia di essere contagiata la stessa riflessione cristiana,
nei momento in cui - come spesse volte e accaduto ad esempio nella storia della
teologia - si ritiene di poter mettere fra parentesi la motivazione di fede per elaborare
la propria dottrina facendo ricorso anzitutto agli strumenti dell'indagine filosofica.
Rispetto a una tale situazione il filosofare ha certamente una sua responsabili-
ta. Esso e chiamato pertanto ad affrontarla in maniera adeguata, nell'interesse suo
proprio e di quelle discipline che, nei passato e nei presente, si sono richiamate al
suo modello. Cio puo avvenire, come si diceva, specialmente in due modi.
Anzitutto, scavando nell' indifferenza stessa, nella sua ambiguita e nelle sue - se
presenti - motivazioni. Poi, recuperando quegli aspetti di coinvolgimento che,
pure, sono propri del suo stesso procedere e confrontandosi con quelle esperienze
- alle quali viene storicamente rinviata - che un tale coinvolgimento incontrano piu
direttamente: com'e il caso, appunto, dell 'esperienza religiosa. Esaminiamo
brevemente, concludendo, queste due possibility, che sono insieme occasioni per
la filosofia di confrontarsi con la tentazione nichilistica da cui risulta attraversata.

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Filosofia e cristianesimo 449

9. Prospettive della riflessione filosofica contemporanea

Abbiamo in precedenza messo in luce un aspetto «positivo» dell'indifferenza,


quello che si riferisce aH'immediatezza deH'origine, accanto al significato,
comunemente accolto, che rimanda invece all'assenza di motivazioni e d'interesse.
Su di esso si puo far leva, volendo evitare il rischio che il distacco nei confronti
delle cose si trasformi nel loro definitive) abbandono. Cio vuol dire, in altre parole,
rintracciare nell'esperienza dell'origine - neirimmediatezza della meraviglia,
nello stacco dell'inizio, nella pluralita delle emozioni, nella stessa volonta tragica
di annientamento - la presenza in atto di un senso che puo sempre e di nuovo
annunciarsi con il suo potere di coinvolgimento.
Com'e stato rilevato nelle pagine precedenti la «logica del senso» - il riferimento
in atto a un qualcosa in base a cui e possibile orientarsi - consente, diversamente da
cio che accade neU'ambito della spiegazione, di mantenere la differenza di livello fra
l'orientante (il principio), l'orientato (colui che ha in se la capacita di orientarsi) e cio
rispetto a cui ci si trova a essere orientati (gli eventi del mondo). E tuttavia, nella
dinamica con cui il senso si realizza, non viene solamente rimarcato il dislivello tra
l'offerta di senso e cio che, a partire da essa, puo risultare sensato: si compie
soprattutto, nel contempo, rimmediato rapporto fra i due ambiti, Teffettivo
coinvolgimento, il costituirsi doe di una motivazione. Nella dinamica del senso viene
esibita, in altre parole, un'unita di rapporto, pur nella diversita delle strutture che vi
sono coinvolte: in questa prospettiva, infatti, manifestazione e accoglimento,
legittimazione e applicazione del principio possono davvero ritrovarsi uniti.
Abbiamo pero anche rilevato che quando un tale rapporto si trasforma in un
dato di fatto, allora viene meno la motivazione, e il coinvolgimento non e'e piu. La
stessa proposta di senso finisce per apparire insensata: sia quella in cui s'annuncia
un senso particolare; sia quella, estendendo il discorso, per la quale e ammesso, o
addirittura richiesto, che un senso, in generate, vi possa essere. Giacche una
prospettiva di senso, nel suo darsi coinvolgente, non puo essere oggettivata, non
puo trasformarsi in un fatto. Se cio accade, o se e avvertita questa sua trasfor-
mazione, essa come tale viene a cadere.
Ecco dunque cio da cui l'indagine filosofica si deve guardare: dalla fissazione
del principio come qualcosa di statico e di definitivo. Perche in tal modo solo
all'apparenza essa trova rimedio all'inquietudine che sempre l'accompagna, solo
illusoriamente essa riesce a sgravarsi dalle proprie responsabilita. In realta, una
volta giunti a questo esito, la prospettiva di senso si rivela ben presto per la filosofia
qualcosa che e incapace di motivare. Ne si riesce a fugare il sospetto che il
principio che dovrebbe dare senso, ormai eternamente flssato, altro non sia che la
proiezione di un bisogno umano, troppo umano: secondo quella dinamica perversa
che abbiamo gia messo in luce nel caso della teologia filosofica.
Tutto questo, se viene applicato all'ambito dell'esperienza cristiana, ha con-
seguenze esiziali. Giacche conduce alia trasformazione in formule dogmatiche,

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450 Adriano Fabris

enunciate nei modi dell'apofansi, di cio che vive solamente nella dinamica della
fede. Che e una dinamica di oscillazione fra cio che viene assunto, anticipatamente,
una volta per tutte e il movimento di costante revisione attraverso il quale il fedele
tenta, di volta in volta, di realizzare una tale anticipazione nella propria vita. Ecco
perche, se vengono meno sia questa applicazione, mai definitivamente compiuta,
dell'al di la nell'al di qua, sia 1' oscillazione fra la pretesa di un possesso anticipato
e la consapevolezza dell'impossibilita di esso, resta solamente il morto dato. Che
s'impone in maniera incondizionata. Insensatamente. Solo per chi e disposto a
ubbidire.

Se le cose stanno cosi, la prima strada per fare i conti con gli aspetti
d'indifferenza insiti nel filosofare consiste allora nell'adozione, da parte del
filosofare stesso, di una terapia che recupera gli elementi di coinvolgimento insiti
in un tale fenomeno. A cio s'accompagna un atteggiamento preliminare di
attenzione e di cautela, onde impedire la problematica trasformazione in uno stato
di cose di cio che, anche riguardo alle cose, risulta fonte costante e mai scontata di
coinvolgimento. Tutto cio pud essere offerto dalla filosofia per 1' opera di
autocomprensione che il cristiano pud voler attuare. Da un punto di vista filosofico
resta pero da domandarsi, in ultimo, per qual motivo un tale atteggiamento
dev'essere adottato: perche, in altre parole, bisogna far prevalere il senso
suH'insensatezza.

Per rispondere a queste domande il riferimento all'esperienza cristiana, nonche


alia elaborazione teologica della fede, pud rivelarsi di effettivo aiuto per la
filosofia. II cristianesimo infatti - analogamente a quanto mostra Kant nel testo
della Religione entro i limiti della sola ragione riguardo alia lotta del buon prin-
cipio contro quello malvagio, sostenendo con riferimento a questa religione la
speranza della vittoria del primo sul secondo25 - puo rappresentare il modello di un
coinvolgimento riuscito, e tale da riproporsi sempre e di nuovo. Mai, comunque,
come qualcosa di scontato, se non si vuole ricadere, ancora una volta,
nell'imposizione dell'insensato. Ma invece prendendo ad esempio proprio quella
dinamica che viene espressa daH'uomo religioso con le parole che possiamo
leggere in Me 9, 24: «Credo, aiutami nella mia incredulita».
Qui, dunque, e non piu l'indagine filosofica che puo aiutare il cristianesimo alia
sua autocomprensione, ma e quest' ultimo che e in grado di offrire alia filosofia il
modello di un senso gia da sempre in atto. E tuttavia non basta limitarsi a questa
semplice indicazione. Giacche le domande, cosi decisive, che abbiamo formulato
richiedono anche un tentativo di risposta che risulti autenticamente filosofica. Si
potrebbe infatti obiettare che l'istanza del senso trova la sua giustificazione
culturale solo aH'interno di una ben determinata tradizione religiosa, quella che e
appunto propria del cristianesimo. Ma cio non significa che una tale esigenza non

25 Cfr. I. Kant, Die Religion innerhalb der Grenzen der blofien Vernunft, ora in I. Kant,
Werkausgabe, a cura di W. Weischedel, vol. VIII, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1978.

Revista Portuguesa de Filosofia


60*2004 [l62]

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FlLOSOFIA E CRISTIANESIMO 45}

possa essere legittimamente posta anche al di fuori di una tale dimensione, come
in effetti e accaduto in alcuni dei filosofi che abbiamo incontrato precedentemente.
E soprattutto cio non vuol dire che essa non sia pur sempre possibile avanzarla.
Se il suo proporsi risulta quanto meno possibile, a maggior ragione e possibile
- e anzi, filosoficamente, appare legittimo - sollevare l'ulteriore questione che gia
abbiamo individuato: quella relativa al senso che una tale istanza di senso pud, in
effetti, avere. Detto altrimenti, possiamo essere indotti a chiederci, di nuovo, se il
problema del senso ha, in effetti, senso. Si tratta di un tema che Nietzsche, come
mostra Heidegger26, ha posto con decisione. Si tratta della questione che ci colloca
di fronte alia piu radicale possibility del nichilismo: e il nichilismo risponde
appunto che no, che la domanda sul senso non ha senso, e che percio non vale
nemmeno la pena di formularla. L'indifferenza sembra dunque presentarsi, in
definitiva, come destino inevitabile della filosofia.
Ma forse le cose non stanno necessariamente cosi. Infatti nella domanda
radicale sul senso del senso, a ben vedere, risulta certamente presupposta ed
espressa la possibility che la dimensione del senso possa essere considerata in
maniera distaccata, e che richieda in qualche modo di essere fondata, legittimata.
E cio accade solo in quanto quel che da senso viene concepito come un qualcosa
di preliminare, semplicemente come dono originario (secondo una tendenza in atto
nella fenomenologia francese contemporanea27), oppure come qualcosa che
s'impone in tutta la sua (effettiva o presunta) evidenza: come cio, in definitiva, che
offre senso ma che si offre, proprio nella sua offerta di senso, «senza un perche».
Accettando pero quest' impostazione, di nuovo, sembra che all'insensatezza del
senso non si possa affatto sfuggire. Giacche, come abbiamo visto, ne l'origine del
senso, ne il senso come tale possono presentarsi, pena il ricadere nella
contraddizione, come qualcosa di preliminarmente e semplicemente dato. Non si
tratta infatti di qualcosa di evidente e neppure di un dono che s'impone nella sua
gratuita. Ma, appunto, e proprio una tale concezione a non essere adeguata: nella
misura in cui 'senso' e manifestazione e legittimazione di se solo nel modo di un
dinamico coinvolgimento, solo per la capacita in atto, che lo contraddistingue, di
instaurare un immediato rapporto con altro. Unicamente in tal modo, percio, questa
nozione puo assolvere una funzione decisiva all'interno della riflessione filosofica:
anche e, anzi, proprio contro tutti i tentativi di fissazione dogmatica che possono
annunciarsi nei vari contesti religiosi; proprio nei confronti di quell 'irrigidimento
intransigente che, come abbiamo visto, e all'origine dei diversi fondamentalismi.
Ecco perche, volendo dare un nome concreto a questa capacita, che e propria
del senso, di giustificare se stesso coinvolgendo immediatamente cio a partire da
cui si potrebbe richiedere la sua giustificazione, si potrebbe introdurre ancora una

26 Cfr. M. Heidegger, Nietzsche, 2 tomi, Neske, Pfullingen 1961.


27 Si veda ad esempio J.-L. Marion, Etant donne. Essais d une phenomenologie de la
donation, P.U.F., Paris 1997.

Revista Portuguesa de Filosofia I


[,63] 60-2004 I 433-452

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452 Adriano Fabris

volta la gia citata categoria deH'«amore»: quella, di nuovo, alia quale la filosofia
con il suo stesso nome rimanda. Non gia, tuttavia, intendendo l'amore come un
sentimento o come una tendenza - in se paradossale nelle sue configurazioni e nei
suoi esiti - al rapporto con altro. Ma concependolo appunto come fonte di
coinvolgimento aggregante, come evento che «consiste» propriamente in un tale
coinvolgimento e che di volta in volta lo realizza, nonche come dimensione nella
quale si mira a unificare, non gia a distinguere, pur salvaguardando e promovendo
le differenze. Al punto che non vi e piu spazio per l'insorgere di una nuova
domanda sul perche di un tale nesso, visto che ogni domanda e segno di una
distanza ed e produttrice, a sua volta, di distanza.

Revista Portuguesa de Filosofia


60-2004 [,64]

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