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I colori nella storia

dell’Uomo
• la preistoria
• gli Egizi
• il mondo greco-romano
• l’Oriente
• il Sudamerica
• il Medioevo
• il Rinascimento
• l’era moderna
• l’era contemporanea
• Rinascimento (XIV, XV e XVI secolo)
• Evo moderno (XVI-XIX secolo)
• Età contemporanea (XX e XXI secolo)
La rinascita
Dopo i secoli bui dell'Alto Medioevo e dell'inizio del
Basso Medioevo, in cui lo sviluppo dell'arte pittorica fu
legato principalmente ai monasteri e alla civiltà
Bizantina, a cavallo del XIII secolo si assiste
finalmente a una svolta. Tra i
motori di questa svolta c’è
sicuramente il movimento
artistico con centro a Firenze di
cui sono massimi esponenti
Cimabue e soprattutto il suo
allievo prediletto, Giotto di
Bondone
Viene spontaneo chiedersi quali fattori abbiano favorito la nascita di un
genio artistico delle dimensioni di Giotto e dei suoi successori. Nel corso
dei secoli numerosi movimenti pittorici si sono sviluppati, almeno in parte,
in conseguenza della disponibilità di nuovi e migliori materiali pittorici,
come nel caso della scuola Veneta nel ‘500 o, esempio più calzante, degli
Impressionisti nell’800
Nel caso di Giotto e del movimento
artistico fiorentino del ‘300-’400 si può
dire che l’innovazione non sia legata tanto
allo sviluppo dei materiali (il movimento
precede di almeno 100 anni l’introduzione
della tecnica a olio) quanto alla pura
tecnica pittorica e ai concetti espressi
nelle opere. Egli infatti abbandona gli
stilemi bizantini e inserisce i corpi in uno
spazio reale, introducendo un concetto
completamente nuovo: la prospettiva
Nella figura a dx: Morte del Cavaliere di
Celano, Basilica d’Assisi (1298)
I colori di Giotto
La tavolozza di Giotto non è molto diversa da quella in uso nei
secoli precedenti: un pittore di epoca romana avrebbe potuto
ottenere gli stessi risultati. Considerando la sua opera forse più
famosa, il ciclo di affreschi della Cappella degli Scrovegni a
Padova, i recenti restauri conclusi nel 2002 hanno permesso di
evidenziare l’uso intensivo di oro per le aureole
Notevole e caratteristico è l’impiego
di finiture metalliche che sono state
realizzate utilizzando quattro tipi
diversi di lamine: la classica foglia
d’oro (avente spessore 1-2 µm), oro
su stagno (idem), stagno (15-20 µm),
oro/argento (1-4 µm)
Sfortunatamente solo le lamine in
oro si sono conservate in buono
stato (dx alto), mentre sia lo stagno (dx sotto) sia l’argento (sx sotto)
appaiono inscuriti per la formazione rispettivamente di ossido
(romarchite) e di solfuro d’argento
Per il cielo il pigmento impiegato non è, a sorpresa, il
prezioso blu oltremare ma l’azzurrite
Durante i lavori per il restauro degli
affreschi della Cappella degli
Scrovegni, particolare attenzione è
stata posta alla caratterizzazione
delle aureole in oro. In base ai
risultati dell’analisi XRF la
stratigrafia è stata ipotizzata come mostrato nella figura, con uno strato
superficiale in gesso formatosi per azione degli inquinanti
Il Rinascimento
L’opera di Giotto e dei suoi contemporanei prepara il terreno al
Rinascimento, epoca che, in campo artistico ma anche sociale,
marca la transizione tra Medioevo ed Evo Moderno. L’inizio del
Rinascimento è ancora oggetto di discussione e di ricerca,
spaziando tra 1380 e 1490; a volte lo stesso Giotto è indicato
come artista rinascimentale. Il termine rinascita appare per la
prima volta nell'opera Vite dei più eccellenti architetti, scultori e
pittori di Giorgio Vasari, artista del Cinquecento. A divulgare il
termine è certamente stato il critico d’arte svizzero Jakob
Burckardt col suo saggio La civiltà del Rinascimento in Italia del
1860
Il fenomeno del Rinascimento è strettamente legato
all’Umanesimo, e quindi va ben al di là della sola arte pittorica e,
più in generale, dell’arte
Le informazioni principali sull’arte pittorica rinascimentale ci
vengono da Il libro dell’arte di Cennino Cennini, scritto nel 1437
La culla del Rinascimento é indubbiamente l’Italia e in particolare Firenze,
dominata nella seconda metà del XV secolo dalla potente famiglia dei Medici, tra
cui il famoso Lorenzo il Magnifico, poeta e protettore di artisti; in molte altre
città i Signori si trasformano in finanziatori e protettori di artisti. I più
importanti artisti di quest'epoca sono: Botticelli, Beato Angelico, Donatello,
Ghiberti, Ghirlandaio, Giotto, Filippino, Mantegna, Lippi, Perugino, Masaccio,
Pollaiolo, Piero della Francesca, Verrocchio, Signorelli che fanno parte del primo
Rinascimento; Raffaello, Tiziano,
Michelangelo, Leonardo, Andrea del
Sarto per il tardo Rinascimento
Gli artisti italiani assimilarono gli ideali
della civiltà classica, creando un'arte
originale e straordinaria. I soggetti
dei pittori cambiano: non solo scene
religiose, ma anche persone ordinarie,
storie e miti, anche di estrazione
pagana come Il festino degli Dei di
Bellini, Dossi e Tiziano (1512-1529),
ispirato agli scritti di Ovidio e
impensabile, sia tecnicamente che
stilisticamente, solo 100 anni prima
Tra le scuole rinascimentali che
fanno largo uso del colore prevale
nettamente quella veneziana.
Durante il XV e XVI secolo l’arte
veneziana si caratterizza per
l’impiego di colori brillanti, e tra i
suoi esponenti spiccano Tintoretto,
Giovanni Bellini e Tiziano che è considerato uno dei coloristi più abili di
tutti i tempi. Certamente il nascere in area veneziana favorì questi artisti
per varie ragioni. Innanzitutto Tiziano e i suoi contemporanei avevano a
disposizione un range di colori più ampio rispetto ai pittori medievali:
essendo Venezia la più grande potenza marittima d'Europa, essa
costituiva la porta d'entrata, tra le merci di varia natura, di tutti i
pigmenti e coloranti esotici, tra cui i costosi blu oltremare e orpimento
dall’Oriente. Inoltre, il clima umido di Venezia era inadatto alle pitture a
tempera e ad affresco, motivo per cui la nuova tecnica della pittura ad
olio fu rapidamente assimilata dagli artisti Veneti, con tutti i vantaggi
conseguenti. Infine, la collocazione geografica di Venezia all'interno della
sua laguna crea effetti di luce particolari, che senza dubbio devono aver
influenzato la sensibilità dei pittori veneti per il colore
A testimoniare la ricchezza
della tavolozza dei pittori
veneziani, si può considerare
L’incredulità di San Tommaso
di Cima di Conegliano, tela
composta verso il 1500. Essa
contiene in pratica tutti i
pigmenti conosciuti all’epoca.
Tutti i colori sono diversi tra
di loro, tranne un unico
colore ripetuto due volte
Il significato dei colori
Nelle opere pittoriche rinascimentali le persone e i luoghi sono
dipinti in maniera realistica. La luce e le ombre, la prospettiva e
l’anatomia sono tutti concetti accuratamente osservati. Questa è
la conseguenza principale dell’assimilazione dei principi
dell’Umanesimo
Conseguentemente, i materiali del pittore rinascimentale non
hanno più il significato simbolico che essi avevano nel Medioevo. Il
blu oltremare era sempre assai costoso perchè all’interno di
un’opera mostrava la ricchezza del committente, non più in
funzione di un’offerta devozionale a Dio. La foglia d’oro
gradualmente cadde in disuso dal XV secolo perchè il suo valore
contava poco se non poteva produrre un effetto realistico; i
pittori preferivano pigmenti gialli, bianchi e marroni al suo posto
L’invenzione delle tempere a olio
Dal punto di vista tecnico, il Rinascimento si distingue nettamente dalle epoche
precedenti non tanto per la scoperta di nuovi pigmenti (che sono pochi) quanto per
l'introduzione della pittura a olio, destinata a determinare una vera e propria
svolta nella storia dell'arte. I colori a olio permettevano infatti di ottenere una
nitidezza e una luminosità maggiori di quelle consentiti dalla tempera, e di rendere
un'estesa gamma di toni cromatici attraverso sottilissime stesure di colore,

chiamate velature. L'uso dell'olio era già noto


nell'antichità: recentemente nella regione di
Bamiyan, in Afghanistan, è stata trovata evidenza
di pittura a olio in dipinti murali risalenti al VII-
IX secolo d.C. L’olio è menzionato anche da Teofilo
nel XII secolo. Di fatto, però, la tecnica è
associata al nome dei fratelli Fiamminghi Jan e
Hubert Van Eyck (prima metà del XV secolo) che,
se non gli inventori, furono comunque i pittori che
ne iniziarono l'uso sistematico. Essi macinavano i
pigmenti e le lacche con olio di lino o di noce,
aggiungendo a caldo resine dure (ambra o copale)
e regolavano la velocità di essiccazione dei
pigmenti variando la qualità e la quantità degli oli
essenziali come la trementina
L'invenzione della tempera a olio è da collegare al fatto che all'epoca i pittori
erano soliti prepararsi da soli i colori o anche gli stessi pigmenti, magari con l'aiuto
degli apprendisti. Essi avevano quindi una conoscenza di base della chimica che
permetteva loro di sperimentare nuove soluzioni, in maniera analoga a quanto
farebbe uno scienziato in laboratorio. La figura mostra un’incisione di Jan Baptiste
Collaert, artista del ‘500. In essa è descritto con dovizia di particolari il
laboratorio di un pittore. Attorno al maestro sono all’opera i suoi aiutanti impegnati
nella preparazione dei pigmenti, nell’addestramento al disegno e alla pittura, nel
predisporre la tavolozza per il maestro prelevando i pigmenti da piccole conchiglie

I Van Eyck consideravano le


tempere a uovo troppo
restrittive per i loro scopi,
così sperimentarono nuovi
leganti, trovando che l'olio
permetteva risultati
migliori. Il nuovo stile di
pittura fu rapidamente
accettato dai
contemporanei dei Van
Eyck, guadagnando consensi
all'interno della comunità
artistica del Nordeuropa e
dal 1460 in Italia
Preparazione e impiego delle tempere a olio

I colori a olio erano preparati macinando le materie prime in olio di lino o


altri oli vegetali, chiamati oli siccativi, per formare una pasta densa e ben
amalgamata, da stendere su una tela tirata su una cornice di legno. I
colori a olio sono versatili e a indurimento lento, e si possono applicare in
molti strati col pennello, con la spatola o anche con le dita, in strati
opachi o come vernici trasparenti e brillanti per generare un ampio range
di effetti visuali
L’uso dell’olio portò anche alcuni cambiamenti nell’impiego dei pigmenti. In
primo luogo, a differenza delle tempere a uovo che si asciugano subito, i
colori a olio (che tecnicamente non si asciugano ma induriscono) hanno
tempi di finalizzazione maggiori e ciò consente una miscelazione più
semplice di colori. Laddove questa lentezza fosse vista negativamente, si
procedeva ad addizionare composti ad azione essiccante come sali di
piombo o di cobalto. Le lacche ad esempio, note per la lentezza di
essiccamento in olio, potevano essere addizionate di vetro in polvere al
piombo (comune dal tardo Medioevo in avanti), oppure di smaltino,
pigmento vetroso a base di cobalto
In secondo luogo va considerato che molti colori hanno un aspetto
diverso se dispersi in olio o in tempere acquose. Innanzitutto c’è
una differenza nell’indice di rifrazione del mezzo legante:
• 1.33 per l’acqua
• 1.34 per la gomma arabica
• 1.35 per le tempere a uovo
• 1.48 per i principali oli siccativi
Il rapporto tra RI del pigmento ed RI del mezzo legante, che
determina l’opacità e il potere coprente di una pittura, è quindi
inferiore nelle pitture a olio: le campiture risultano generalmente
meno opache o, più correttamente, più traslucide. In particolare, il
blu oltremare e il vermiglione sono più trasparenti e meno brillanti
in olio, e quindi i pittori erano soliti miscelare il primo con biacca
per mantenerlo intenso e opaco, con la conseguenza però di
diminuirne il significato simbolico
Un aspetto molto importante dal punto di vista conservativo è che gli oli siccativi
hanno spiccate proprietà protettive nei confronti dei pigmenti, mantenendoli al
sicuro dall’azione dell’acqua che è il veicolo principale degli inquinanti chimici; per lo
stesso motivo l’inclusione delle particelle di pigmento all’interno del mezzo oleoso
limita le interazioni tra pigmenti, rendendo possibile l’impiego contestuale di
composti altrimenti incompatibili, come solfuri (es. orpimento, realgar) e sali di
rame o piombo (es. azzurrite, minio)

Questo concetto è ben illustrato


nel dipinto Venere e Adone di
Tiziano (1553 ca.). In quest’opera
sono presenti il giallo orpimento e
l’arancione realgar, raramente
impiegati nelle opere su tavola in
Europa prima dell’avvento della
pittura a olio, proprio perché
incompatibili con altri pigmenti se
usati come tempere acquose. In
olio diventano molto popolari
presso i pittori veneti del ‘500,
anche in virtù della maggiore
brillantezza impartita dall’olio
L’agnello mistico
L’adorazione dell’agnello mistico è una delle prime opere a olio, nonchè una
delle più importanti e influenti dell’arte fiamminga ed europea. Il polittico
fu composto nel 1432 dai fratelli Van Eyck e si trova attualmente
all’interno della cattedrale di San Bavone a Ghent (Fiandre, Belgio) Una
delle tavolozze di Jan van Eyck del primo XV secolo è stata analizzata e
risultava composta da otto soli pigmenti: terra d'ombra, lacca di robbia,
Blu oltremare (usato solo a
richiesta del committente),
ocra gialla, terra verde,
orpimento, ocra rossa e un
nero chiamato peach stone
black, ricavato
dall'arrostimento di noccioli di
pesca e composto da sostanze
carboniose. Pur con un limitato
numero di pigmenti di base,
Van Eyck poteva creare dipinti
luminosi e pieni di colore
Nuovi pigmenti
Curiosamente, nonostante la rivoluzione copernicana generata dal
Rinascimento in campo artistico, durante il periodo dal XIV fino al XVII
secolo le introduzioni di nuovi pigmenti furono scarse; in alcuni casi si
tratta di materiali impiegati solo per periodi brevi
• il blu verditer o blu bice è la versione artificiale dell’azzurrite. Il nome
nasce dalla corruzione inglese del termine francese verd de terre (ma
non ha niente a che fare con la terra verde). La sintesi fu
probabilmente scoperta per caso, quando il pigmento si formò nel corso
del processo di purificazione dell’argento dal rame, a seguito
dell’addizione di nitrato di rame a calcare. Il processo fu per lungo
tempo di scarsa affidabilità, in quanto, a seconda delle condizioni,
poteva generare indifferentemente un pigmento blu o uno verde,
analogo alla malachite, ma era utile per sostituire sostanze naturali con
altre meno costose. Nel XVIII secolo il chimico Francese Pelletier
sviluppò un metodo di sintesi finalmente valido. Come il suo equivalente
naturale, il pigmento tende a virare al verde ed il suo utilizzo è
essenzialmente circoscritto alla pittura ad olio. L’identificazione del blu
verditer è problematica, in quanto il pigmento è difficilmente
distinguibile dall’azzurrite
Lo smalto
Lo smalto o smaltino è un pigmento blu sintetico di natura vetrosa, in cui il colore è
dovuto alla presenza del cobalto; generalmente si tratta di un vetro al potassio. In
antichità i minerali di cobalto erano molto popolari come coloranti per il vetro, e
come tali erano impiegati già in Mesopotamia (nella foto: dettaglio dalla Porta di
Ishtar a Babilonia) e dagli Egizi, anche se curiosamente l’elemento chimico non era
noto. Importanti sorgenti di cobalto erano presenti
in Persia, da cui probabilmente si approvvigionavano
i vetrai del Vicino e dell’Estremo Oriente. Le
sorgenti di cobalto più famose in Europa erano in
Sassonia, dove i minerali si estraevano dal XIV
secolo; l’elemento fu isolato e scoperto solo nel
XVIII secolo
Siccome il cobalto è spesso associato ad arsenico e
bismuto, per esempio nel minerale skutterudite,
(Co, Fe, Ni)As2-3, l’estrazione in miniera era
pericolosa e causò numerosi morti tra i minatori:
per questo si pensava che le miniere di cobalto
fossero abitate da folletti maligni o kobolds,
considerati responsabili degli incidenti e
dell’avvelenamento da arsenico, elemento tossico
Se l’impiego dei minerali di cobalto era comune nell’arte vetraria almeno
da 2 millenni prima di Cristo, come pigmenti per l’arte pittorica la loro
introduzione è molto più recente e varia da zona a zona: in Europa
l’introduzione dello smaltino probabilmente data dal XV secolo. Il
pigmento si ricavava arrostendo il minerale di cobalto per allontanare
l’arsenico e ottenere l’ossido, che veniva poi addizionato al bagno di
fusione del vetro. La massa vetrosa era infine macinata, e il colore finale
dipendeva strettamente dalle dimensioni delle particelle della polvere,
variando dal blu chiaro al blu-violetto intenso. A seconda della qualità del
colore e del grado di macinazione, il
pigmento era commercializzato con
etichette diverse, es. F (fine), M
(medium) e O (ordinary). Trattandosi di
un materiale vetroso e quindi
trasparente, per essere usato come
pigmento con potere coprente
accettabile non poteva essere macinato
troppo finemente
Il colore blu dello smalto deriva da una
transizione d-d dello ione Co2+ nel campo
dei leganti della matrice vetrosa
Lo smalto è spesso di natura fugace e vari sono i fattori che determinano questo
fenomeno. Tra essi, il fatto che i vetri al potassio sono meno stabili di quelli al
sodio e la possibile migrazione di ioni K + e Co2+ verso il mezzo legante per formare
saponi, cioè carbossilati di metallo. In alcuni casi il
fenomeno si manifesta con un viraggio al grigio (es. in
opere di Murillo, El Greco e Veronese)

Nell’esempio mostrato
in figura, Adorazione
dei pastori, Murillo o
scuola di Siviglia,
XVII secolo, le
campiture relative alla
giacca del pastore,
indicate in tratteggio
(sx), sono virate al
grigio-verde (dx)

Come si nota dalla sezione trasversale


ricavata dalla giacca del pastore (dx), lo
strato III di smalto si è degradato,
soprattutto in superficie
L’identificazione dello smaltino non è sempre agevole per via della
sua natura vetrosa che rende inutile, ad esempio, la tecnica XRD.
Lo spettro Raman è analogo a quello del quarzo, contiene cioè solo
le bande dei legami Si-O. Lo spettro XRF è più utile a livello
diagnostico, in particolare se viene identificata la presenza
contemporanea di cobalto e arsenico

Cobalto Arsenico
I gialli di piombo
Un materiale nuovo molto importante è il giallolino o giallorino, nome con
cui sono indicati dal XIV secolo in avanti alcuni pigmenti gialli a base di
piombo, generalmente associati all’arte pittorica italiana. La terminologia
è piuttosto complessa, in quanto lo stesso nome, in base alle ricette
dell’epoca, è attribuibile a ossidi binari di piombo e stagno o di piombo e
antimonio, o anche a ossidi ternari comprendenti piombo, stagno,
antimonio e/o zinco
Fondamentalmente si tratta di pigmenti abbastanza simili la cui
composizione non è sempre ben definita, di natura artificiale e di
proprietà tecniche abbastanza buone. Dal punto di vista dell’assorbimento
di luce, tutti questi pigmenti si comportano come semiconduttori: il colore
è quindi determinato da una transizione tra banda di valenza e banda di
conduzione
Vediamo nel seguito alcuni dei composti più importanti:
• i gialli di piombo e stagno
• i gialli di piombo e antimonio
• i gialli di piombo, stagno e antimonio
Gialli di piombo e stagno
Per quanto riguarda l’ossido di piombo e stagno, sono distinguibili due tipi, entrambi
di origine prevalentemente sintetica:
• il tipo I, avente formula Pb2SnO4, e
struttura analoga al rosso piombo, cioè un
composto a valenza mista PbII2MeIVO4; si
prepara per calcinazione di una miscela
ossido di piombo-ossido di stagno
• il tipo II, contenente anche silicio e
avente la formula Pb(Sn1-xSix)3, con x ~ ¼;
la struttura è complessa in quanto gli
atomi di silicio e stagno sembrerebbero
distribuiti in maniera casuale nel reticolo
cristallino, ma pare accertato un rapporto silicio/stagno pari a 1:3; sulla sintesi
del composto ci sono scarse informazioni
Questi pigmenti sono stati chiamati gialli di piombo e stagno a partire dagli anni
’40; la terminologia storica è invece piuttosto confusa. Si tratta di materiali già in
uso dai Babilonesi, in associazione alla tecnologia del vetro come opacizzanti e
coloranti. Nei dipinti il loro uso è associato all’arte europea e la loro introduzione si
fa risalire al XIV secolo: le prime evidenze sono proprio su opere di Giotto, e si
tratta di tipo II. Si pensa che in Italia il tipo I sia introdotto poi dal XV secolo. In
seguito sono ampiamente usati in tutta l’arte europea fino al XVIII secolo
Gialli di piombo e antimonio
Il giallo di piombo e antimonio o giallo Napoli è il più importante di una
serie di pigmenti a base di ossidi binari di piombo e antimonio o ternari di
piombo, antimonio e zinco. Si tratta di uno dei pigmenti sintetici più
antichi, essendo in uso già nell’Egitto predinastico. Come il suo analogo
giallolino, era impiegato come opacizzante e colorante nella tecnologia del
vetro; il suo impiego nell’arte pittorica risale al XVI secolo,
presumibilmente in area italiana

La composizione è descrivibile con la formula


Pb2Sb2O7, benchè altre formule siano state
associate al nome. Il composto sintetico è identico
al minerale bindheimite (dx). Dal punto di vista
tecnico è un pigmento molto stabile, di eccellente
potere coprente
Il pigmento si ottiene per calcinazione di una
miscela di un composto piombifero (ossido, nitrato o
carbonato) con un composto di antimonio (ossido,
solfuro o antimoniato di potassio)
Gialli di piombo, antimonio e stagno
Un altro pigmento giallo introdotto nel Rinascimento è l’ossido
ternario di piombo, antimonio e stagno. Evidenze dell’uso di questo
pigmento si hanno negli affreschi di scuola raffaellita della Loggia
di Psiche a Roma, Villa Farnesina (sotto), risalenti all’inizio del XVI
secolo; in questa accezione è stato identificato in compresenza di
ossidi binari. L’impiego principale è però nel XVII secolo presso
artisti di scuola romana. Anche questo composto potrebbe essere
stato in uso in epoche precedenti come opacizzante nel vetro
Il festino degli Dei
Nel 1512 Alfonso d'Este, Duca di Ferrara,
commissionò a Giovanni Bellini (dx) un dipinto che
diventerà un capolavoro del Rinascimento italiano: il
già citato Festino degli Dei, oggi conservato presso
la National Gallery of Art di Washington

La scena rappresenta un baccanale


ispirato agli scritti di Ovidio. Il
dipinto doveva andare ad
arricchire lo studio privato nonchè
stanza dei tesori del Duca, noto
come camerino d'alabastro. Nel
1514 il dipinto era finito: Bellini lo
siglò e ricevette un pagamento di
85 ducati da Alfonso
Due anni dopo Bellini morì. Per la successiva decorazione del
camerino, dopo alcuni tentativi con Raffaello e Fra Bartolomeo
(che morirono prima di poter soddisfare le commissioni), fu
incaricato il pittore di corte Dosso Dossi che contribuì con un
dipinto e inoltre nel 1522 ridipinse
metà della tavola del Festino di
Bellini allo scopo di modernizzarla
Successivamente, ad un apprendista
di Bellini, il giovane Tiziano Vecellio
(dx), furono commissionati altri tre
dipinti, ma in più, nel 1529, egli mise
mano al Festino per armonizzarlo
alle sue opere già presenti nel
camerino, tra cui Bacco e Arianna;
questo fatto è riportato dal Vasari
nel 1568. Così in un unico dipinto è
possibile riconoscere la mano di tre
pittori, anche se resta il mistero
del motivo di due ridipinture
L'applicazione di nuove tecniche scientifiche, in particolare l'analisi infrarossa, la
fotografia a raggi X e l'analisi microscopica delle sezioni trasversali, ha permesso
di chiarire i misteri relativi al dipinto. Nel 1950 ricercatori della National Gallery
of Art eseguirono fotografie a raggi X sul Festino, scoprendo che sotto il
paesaggio di Tiziano era
presente l'originale
paesaggio di Bellini
In seguito si eseguirono
anche fotografie con luce
infrarossa. La radiazione
permette di analizzare gli
strati sottostanti,
specialmente se quelli in
superficie sono trasparenti
all'IR
Attraverso un'analisi
comparata delle immagini
ottenute con il disegno
attuale, è stato possibile
risalire ai diversi interventi
operati dai pittori
Il Festino, in sostanza, è una sorta di torta a tre strati avente una struttura
complessa in quanto gli interventi dei tre pittori non sono presenti ovunque

Il prelievo e l'analisi di sezioni trasversali può essere, a questo punto, di


complemento ai metodi precedenti: la fotografia ai raggi X e all'infrarosso rivelano
strati sovrapposti, mentre la sezione trasversale rivela la loro sequenza.
Nonostante la complessità della stratigrafia, per il campionamento è possibile
orientarsi proprio con le immagini infrarosse e ai raggi X per capire, come si è
visto, dove sono presenti due o più strati di pigmento
Prelevando sezioni di circa 0.5 mm dal dipinto si possono avere informazioni sulla
sequenza dei pigmenti impiegati dei tre autori del Festino. I campioni sono stati
prelevati vicino a zone già fessurate
Dal punto di vista tecnico, le tre mani sono
identificabili in alcuni particolari. Le figure
esemplificano Bellini; il paesaggio dinamico,
reso scuro per attirare l'attenzione sulle
figure, ha il tratto di Tiziano; note
caratteristiche di Dosso Dossi si vedono nel
fogliame e nella figura del fagiano
Nelle foto sono mostrate le ricostruzioni del
dipinto come poteva essere dopo
l'esecuzione di Bellini (dx), di Dossi (sotto
sx) e come è oggi dopo la ridipintura di
Tiziano (sotto dx)
In base all'analisi dei pigmenti e alle evidenze tecnico-artistiche, si può codificare
l'intera tavola in modo da assegnare ai tre artisti le zone presumibilmente dipinte
Bacco e Arianna, dipinto da
Tiziano nel 1523, è una delle
immagini più luminose
dell’arte Occidentale. Il
dipinto era tra quelli
commissionati da Alfonso
d’Este il quale, per chiarire il
contesto mitologico che
avrebbe gradito, spedì a
Tiziano copie di testi da
Catullo e Ovidio.

La scena mostra Arianna che osserva la nave di Teseo che si


allontana quando il Dio Bacco sopraggiunge e la reclama per sè
In questa opera Tiziano impiega
un’ampia selezione dei pigmenti
disponibili all’epoca, componendo
una mappa delle conoscenze
chimico-artistiche del suo secolo e
fornendoci un esempio della
tavolozza dei Veneziani. Il brillante
cielo è in blu oltremare, come la
veste di Arianna, mentre il mare, di
tinta blu-verde, è in azzurrite,
pigmento molto diffuso presso gli
artisti rinascimentali del Nord
Europa. Ci sono poi quattro verdi:
malachite, terra verde, verdigris e
resinato di rame. La sciarpa di
Arianna è in due strati di
vermiglione, uno sottostante in
pigmento fine e una vetrina in
pigmento grossolano. Altri particolari sono dipinti con una lacca rossa. La tecnica di
trasformazione dei coloranti in lacche mediante fissazione su un supporto
inorganico, nota già nel Medioevo, fu perfezionata nel Rinascimento. Le lacche
risultano traslucide in olio e i pittori rinascimentali le usavano come vernici per
ottenere effetti luminosi e per ricavare il porpora dal blu. Il giallo principale è
giallo di piombo
Un colore è sempre stato menzionato
come caratteristico della scuola
veneziana: un profondo, ricco arancione.
Gli artisti veneziani usavano il pigmento
giallo orpimento o l’arancione realgar per
ottenerlo. Questi due pigmenti, già noti
in antichità, erano limitati alla tavolozza
dei miniaturisti fino alla fine del XV
secolo, ma diventano popolari presso i
Veneziani
In Bacco e Arianna e nel Festino degli
Dei troviamo infatti anche l’orpimento,
che nel Rinascimento si preparava per
via sintetica ma era raro poichè molto
costoso e piuttosto velenoso; nel
Nordeuropa lo impiegava Lucas Cranach,
che ne aveva disponibilità in quanto
titolare di una farmacia e quindi avvezzo ai metodi e materiali
dell’alchimia. E troviamo il realgar, unico pigmento arancione noto fino al
XIX secolo, non molto popolare in quanto pericoloso. Giovanni Bellini lo
impiega per la veste di Sileno ne Il festino degli Dei (sopra, particolare)
Il pigmento più importante
del Rinascimento è
indubbiamente il blu
oltremare, molto amato da
Tiziano nella sua versione
più pura e impiegato a piene
mani da Michelangelo nel
Giudizio universale
Il metodo di purificazione
introdotto nel XIII secolo,
descritto anche dal Cennini,
aveva reso disponibile un
pigmento molto brillante e
prezioso. Nel Rinascimento
il suo prezzo rivaleggiava
infatti con quello dell'oro
La Cappella Sistina
Strettamente legata al blu oltremare è una delle opere pittoriche più
famose non solo del Rinascimento ma di tutta la storia dell'arte: il ciclo di
affreschi michelangioleschi della Cappella Sistina, luogo in cui viene ancor
oggi tenuto il Conclave per l'elezione del Sommo Pontefice

Situata all'interno del complesso dei


Musei Vaticani, la Cappella deve il suo
nome al Papa Sisto IV che la fece
erigere tra il 1477 e il 1481
Le pareti laterali furono affrescate
da illustri esponenti del Rinascimento
italiano, tra i quali Botticelli,
Ghirlandaio e Perugino
Nel 1508 Michelangelo ricevette l'incarico di decorare la volta della Cappella da
parte del Papa Giulio II. Il contratto stipulato dall'artista non era particolarmente
vantaggioso: un tanto a metro quadro ed i colori doveva metterli lui. Il tema
prescelto era la Creazione dell'universo, ispirata alle storie della Genesi.
Michelangelo completò l'opera in 3 anni, impiegando il costoso blu oltremare solo
per il colletto di Ezechiele, mentre per tutto il resto usò azzurrite, a quel tempo
400 volte più a buon mercato del lapislazzuli
Verso la fine del 1533 il Papa Clemente VII e, dopo la morte di quest'ultimo, Papa
Paolo III, commissionarono a Michelangelo un'ulteriore aggiunta alla decorazione
della Cappella. Michelangelo stipulò perciò un secondo contratto per decorare la
parete dietro all'altare con il Giudizio universale. Il contratto prevedeva 1200
ducati all’anno e in più i colori li metteva il Papa: questo forse spiega come mai
l'artista impiegò 6 anni per il Giudizio (dal 1536 al 1541), che è più piccolo e comodo
da dipingere rispetto alla volta, e soprattutto perchè tutto il cielo del Giudizio sia
stato realizzato con blu oltremare anzichè azzurrite
I lavori furono peraltro ritardati dal fatto che i muri erano stati preparati per
accogliere pitture a olio, secondo le indicazioni di Fra Sebastiano del Piombo.
Michelangelo si rifiutò categoricamente di eseguire pitture diverse dall'affresco,
dichiarando che la pittura a olio era " ...un'arte da donne, adatta solo a persone
pigre come Fra Sebastiano"
Molte figure del Giudizio sono nude. Quando Michelangelo muore nel 1564, i tempi
stanno cambiando e c’è aria di Controriforma. Un anno prima, infatti, il Concilio di
Trento decretava che “nelle chiese siano distrutte le immagini contrarie alla
ortodossia o al pudore”. Una postilla salvava parzialmente il Giudizio: “ lo Giudizio di
Michelagnolo” sia soltanto coperto e non distrutto. Perfino il Vasari, nella seconda
edizione delle sue "Vite" condanna la nudità delle figure affrescate nel Giudizio
come sconvenienti al luogo

Michelangelo muore il
24 Febbraio del 1564;
già nel marzo viene
erogato il pagamento
per il ponteggio del
pittore Daniele da
Volterra per coprire le
nudità indecenti del
Giudizio con i famosi
pannelli censori. Con
esse il pittore, allievo e
amico di Michelangelo, si
guadagnò il soprannome
di Braghettone
Gli affreschi della Cappella Sistina hanno subito un completo restauro tra il 1979 e
il 1999. In particolare, il restauro del Giudizio universale è iniziato nel 1990 ed è
durato 4 anni. Esso è stato eseguito da 4 restauratori del Laboratorio di Restauro
Pitture dei Musei Vaticani. Il dipinto era in condizioni abbastanza buone, era
soltanto sporco. Occorreva trovare i tempi giusti per gli impacchi di soluzioni di
lavaggio. L'intervento ha eliminato lo sporco (nerofumo, oli e grassi combusti, colle
animali imbrunite) e si sono ritoccate piccole lacune ed imperfezioni
Il lavoro di restauro ha
permesso di definire la
tavolozza impiegata da
Michelangelo, costituita
prevalentemente da
pigmenti di altissima
qualità e purezza, su
tutti il mitico blu
oltremare. Sono
presenti naturalmente le
ocre (rossa, gialla e
verde), ma anche
cinabro e rosso Pozzuoli,
realgar, orpimento e
giallo di Napoli,
malachite e neri di
carbone
C'erano due problemi rilevanti: i pannelli censori o
braghettoni (sx) e il cielo, dipinto a blu oltremare, che
a tratti appariva a righe (dx)
Le braghe
Gli interventi censori nel Giudizio sono in totale 42, eseguiti in più riprese: da
Daniele da Volterra detto il Braghettone nel 1564, da Domenico Carnavali nel 1568
e in seguito nel '700 e nell'800
Tra i 42 interventi, due sono stati stesi a fresco (il gruppo formato da San Biagio e
Santa Caterina) e ciò ha causato la perdita dell’originale sottostante, mentre gli
altri sono a tempera e possono essere tolti con pochi colpi di spugna. Il problema è
più che altro storico-artistico: tenere le braghe o eliminarle?
I restauratori decisero di
tenere le braghe più antiche,
cioè quelle del Braghettone e
di Carnavali, considerate
storiche poiché legate ad un
momento storico particolare
e molto importante, la
Controriforma

Braga di San Giovanni


Battista
La copia del Giudizio dipinta da Venusti nel 1549, prima dell'intervento censorio del
Braghettone, ci mostra come erano le figure prima di essere censurate. Santa
Caterina ha avuto un vestitino verde, e la testa di San Biagio non è più concentrata
sulla collega, ma rivolta al Cristo. Entrambi gli interventi sono dipinti a fresco

Venusti Michelangelo corretto


Per riconoscere i vari interventi censori e poter agire di conseguenza, era
necessario datare pigmenti compresi nell'arco di poco più di 200 anni: impresa
molto difficile. Per fortuna i gialli erano diversi:
• Daniele da
Volterra usò ocra
gialla
• Carnevali usò
orpimento
1)
• negli interventi del
'700-'800 fu
impiegato giallo di
Napoli

Anche le 2)
preparazioni erano
diverse:
• bianco di San
Giovanni per gli
interventi del
'500
• biacca per quelli
successivi 1) braga di Daniele da Volterra 2) intervento del ‘700
Sezione sottile della doppia
braga di San Pietro
antimoniato di piombo

strato di Daniele

affresco originale
intonaco di base
Nel cosiddetto Disperato,
durante la pulitura,
eliminando la braga si
scopre che …
… sotto non c’è niente !
Il cielo, dipinto a blu oltremare, a tratti appariva a righe
Inizialmente si pensò che gli interventi censori del
mundator avessero compreso l'uso di vino inacidito, che
aveva deteriorato il pigmento, ma ciò si è dimostrato
non corretto dopo l'analisi della sezione trasversale

Il pigmento si mostra ancora integro e brillante


Le righe furono probabilmente causate dall'uso di
cenere
Risultato finale del restauro

prima... dopo

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