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Burke: “Riflessioni sulla rivoluzione francese” (1790), in cui critica razionalismo illuministico, i cui ideali non
tengono conto della complessità umana.
A progetto di rivoluzione francese contrappone Costituzione Inglese, basato su:
•tradizione
•costumi
•istituzioni concrete formate attraverso i secoli
Elementi romantici che ritroviamo in Burke:
•rivalutazione di tradizione storica e sentimenti
•diffidenza verso la ragione
•rifiuto delle macchine nate con lo sviluppo delle tecniche e industrie
•progresso legato all’affermarsi dell’unità organica (nazione).
Maistre: guarda nella storia l’opera della volontà divina che si afferma attraverso i secoli.
Esalta il patrimonio della tradizione, fondata su una concezione assolutistica dell’autorità.
L’uomo deve essere governato da una potenza che derivi da Dio➞ nell’opera “Du pape” (1819)
propone modello teocratico in cui il
Papa è il capo.
Anche Maistre è animato dall’idea di una riforma delle anime che pone più importanza al collettivo che
all’individuale.
Bonald: propone rinnovamento dell’umanità dando importanza alla disciplina che deriva dalla legge e
all’autorità delle istituzioni politico sociali.
Distingue 3 tipi di autorità: •dei fatti oggettivi, che troviamo nella scienza e nella parole di
Dio
•della società, in cui ci sono le verità politiche e morali
trasmesse dalla tradizione
•del potere spirituale della Chiesa, riferendosi alla verità della
fede
La conoscenza razionale è vista come inferiore alla conoscenza del sentimento, espressa dalla coscienza
collettiva.
Lo sviluppo industriale iniziato nel 700, continua tra 1790 e 1840, soprattutto tra Inghilterra, Francia, Stati
Uniti e Germania. Si consolida la classe borghese imprenditoriale e finanziaria e si forma la classe di operai
industriali
⤷in questo clima si diffonde il positivismo, che privilegia le scienze naturali come fonte
di conoscenza.
Il positivismo si diede l’obiettivo di riorganizzare le unità del sapere, ponendo al centro del dibattito il
ruolo della scienza verso le questioni etiche e politiche del periodo, nate con la Restaurazione.
Attento al processo di sviluppo della prima fase della società industriale è Claude-Henri de
Saint-Simon➞di famiglia nobile, rinnegò le sue origini e organizzò una società fondiaria per
speculare sui beni del clero messi a disposizione dall’Assemblea Costituente.
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Nel 1793 fu incarcerato dal Comitato di Salute Pubblica e nel 1794 liberato e
riprese le speculazioni fondiarie creando una grande impresa di trasporti pubblici;
quando fu liquidata ricominciò a leggere Montesquieu e Rousseau.
Le sue prime opere: “Lettere di un abitante di Ginevra” e “Schizzo di un nuovo piano di organizzazione
sociale” rivelano fede nella scienza di tipo illuminista.
Influenzato anche dalla religione e formula un piano organico di una religione di Newton in cui i sacerdoti
sono gli scienziati.
⤷nell’ “Introduzione ai lavori scientifici del 19° secolo” (1808) considera le religioni come
schemi di una scienza primitiva e non come superstizioni.
Considera il progresso come un succedersi di fasi alterne➞periodi in cui si alternano fasi
organiche e periodi critici.
Saint-Simon si distanzia dall’Illuminismo con la “Nuova Enciclopedia” (1810), in cui si dovrà costruire l’unità
del sapere umano estendendo la teoria di Newton al mondo dello spirito.
“Memoria sulla scienza dell’uomo” (1813)➞formula concetto di fisiologia sociale: analizza il
corpo sociale nel suo insieme.
•La società è un’entità che cresce nel tempo e che
deve essere studiata nelle sue manifestazioni specifiche
•La fisiologia sociale è anche scienza della libertà e la
dinamica sociale è caratterizzata dall'alternanza di forza
dell’abitudine e desiderio del nuovo.
Tra il 1816-18 pubblica la rivista “L’industrie” in cui esalta attività economica e lavoro industriale
⤷ sogna una società basata sull’economia, in cui il governo delle persone è sostituito dal
governo delle cose (anticipa la teoria socialista).
Il nuovo regime industriale è concepita come un sistema organico, organizzato su leggi
tecnico-scientifiche di cui è espressione un governo dittatoriale, il cui sistema politico è articolato in:
•Camera di Invenzione
•Camera di Esame
•Camera di Esecuzione
Ultima opera: “Nuovo Cristianesimo” (1825)➞ha visione mistica della nuova società di
scienziati e produttori e la guarda come se fosse
omogenea, sottolineando la necessità di aiutare il
‘Proletariato’.
Comte, ricercando nuovi fondamenti per riorganizzare la società, vuole fare una sintesi tra tradizionalismo
e liberalismo. Si rivolge da un lato al sapere scientifico (sistema strutturato di conoscenze) e dall’altro vuole
formulare nuovi valori morali che garantiscano forme universali di consenso e solidarietà sociale,
trasformando la scienza in una sorta di fede.
Per Comte la crisi politica e sociale derivano da una crisi intellettuale, che va superata con una riforma
globale del pensiero
⤷la riorganizzazione inizia con le idee, poi i costumi e infine le istituzioni
politiche e sociali.
Durkheim➞rifiuta la pretesa di Comte di fare della sociologia una scienza al di sopra delle altre.
Nasce nel 1858 a Epinal, ai confini con la Germania, che sarà poi invasa nel 1870. Il regime
repubblicano-liberale che si afferma in Francia dopo la guerra e l’affermazione della borghesia
imprenditoriale sono l’ambiente in cui Durkheim sarà intellettuale.
Studia all’Ecole Normale Supérieure, dove lo orientano verso ricerche di tipo empirico e verso il metodo
storico-comparativo.
1885-86➞va in Germania per verificare com’era fatta lì lo sviluppo delle scienze sociali e
conosce opere di Wagner, Rocher, Schaffle, Worms…
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Gli articoli scritti al suo ritorno influenzano molto la diffusione dell’insegnamento della sociologia in
università e scuole superiori.
Sotto influenza di Charles Renouvier, cerca di conciliare: determinismo del mondo naturale
(rapporti necessari con schema causa-effetto) con le
dimensioni razionali e morali che fondano la base della libertà
dell’individuo.
Come per Comte, il progresso scientifico deve andare di pari passo col progresso morale (consente
all’individuo il controllo dei propri impulsi).
⤷da questo, Durkheim darà attenzione ai problemi dell’educazione e sottolineerà
la necessità di forme di integrazione sociale fondate su interessi e valori condivisi
(es. corporazioni di produttori)
Affronta il problema di rapporto tra individualismo e socialismo.
Nella sua concezione di società sarà influenzato da autori tedeschi di tradizione romantica che guardavano
la società come un qualcosa di diverso dalla somma dei singoli individui
⤷svilupperà l’idea di società come entità sui generis, che si impone sugli individui stessi.
Fondò la rivista “Année sociologique”, che aveva lo scopo di mostrare al pubblico la possibilità di usare il
metodo sociologico in vari ambiti del sapere come storia, filosofia…
⤷sarà di riferimento per la formazione di sociologi ed etnologi francesi come Lévi-Bruhl e Mauss.
Durkheim fu coinvolto nell’affare Dreyfus in sua difesa (Dreyfus fu accusato di atti di spionaggio).
Nell’articolo “L’individualismo e gli intellettuali” (1898), criticando l’individualismo liberale, afferma la
necessità di un sistema di credenze collettivo che riconosca il carattere sacro dell’umano➞la sua teoria si
fonda sulla dicotomia società-individuo: il suo rifiuto nel considerare che l’individuo sia alla base della
società, non esclude l’importanza dell’individuo in quanto prodotto culturale e etico della società stessa.
Pensa l’individuo come homo duplex: base biologica e sensoriale+mente e umanità forgiate
dalla società.
L’esigenza di nuovi fondamenti di solidarietà sociale e di consenso per valori morali condivisi è legata ai
conflitti sociali della società francese del tempo:
•tentativo rivoluzionario fallito (1870)
•sconfitta contro la Germania
•sciopero dei minatori (1886)
In questo clima Durkheim, nonostante contesti la validità scientifica delle teorie socialiste, ne riconosce il
merito di essere un piano di ricostruzione delle società.
Il suo interesse per il socialismo di contrappone alla posizione conservatrice dell’analisi psicologica di
Gustave le Bon
⤷evidenza l’impatto sui singoli individui dell’anima della razza:
patrimonio comune di idee e credenze che si impone sugli individui
attraverso la tradizione.
Fenomeno della folla: risultato del prevalere di un’anima collettiva, che annulla la personalità delle
coscienze degli individui.
Considera le disuguaglianze irriducibili perché fondate sui componenti fisiologici e indica come soluzione:
la capacità di un élites superiore alla massa di orientare e manipolare le forze che animano le folle.
Un’analisi più scientifica dei comportamenti collettivi è fatta da Gabriel Tarde.
Ne “Le leggi dell’imitazione” (1890) interpreta la socialità come il risultato delle influenze reciproche tra
attori sociale e i processi di imitazione che si sviluppano tra alcuni individui, che diventano esempio per gli
altri➞Tarde sarà rivale di Durkheim.
Dà importanza all’analisi dei fatti quotidiani che portano a grandi trasformazioni e ai processi di
comunicazione e formazione dell’opinione pubblica.
Con la ricerca di Durkheim sul “Suicidio” vediamo come il divario tra le sue posizioni con quelle dei
conservatori si attenua: entrambe convergono per lo scopo di rafforzare i valori
morali per assicurare alla società del tempo una base di
solidarietà e consenso.
Negli ultimi anni si dedica al problema della rigenerazione morale della società e all’analisi della funzione di
integrazione dei fenomeni religiosi.
Con lui la SOCIOLOGIA diventa forma del sapere scientifico che analizza la realtà sociale e le
contraddizioni che sorgono tra esigenza di ordine e solidarietà sociale e quella di libertà individuale.
Karl Marx nacque nel 1818 in Renania, studiò legge a Bonn e filosofia a Berlino, dove entrò nel circolo dei
giovani hegeliani.
Si sposò con Jenny von Westphalen e si trasferì con lei a Parigi nel 1843 rimanendovi per due anni, nei quali
conobbe i circoli socialisti di Proudhon e Babeuf. Diventò amico di Engels.
Fu espulso dalla Francia dopo le pressioni del governo prussiano e andò a Bruxelles, dove entrò in contatto
con varie organizzazioni socialiste, come la Lega dei Comunisti, che gli diede il compito di scrivere con
Engels il “Manifesto del partito comunista” (1848).
Dopo l’ondata rivoluzionaria fu costretto a partire per Londra➞periodo in cui scriverà la maggior parte
delle sue opere.
1863➞divenne presidente della prima Associazione internazionale dei lavoratori fondata a
Londra. Entrò in crisi dopo la Comune di Parigi (1871).
⤷L’opera “Il capitale” diventò famosa proprio per questo.
Marx morì nel 1883 e Engels nella sua orazione funebre paragona la portata dei suoi studi della società
umana a quella di Darwin per le scienze naturali.
I suoi studi non sono sociologia vera e propria ma hanno influenzato la sociologia successiva➞iniziò
revisionando il pensiero di Hegel e confronto con il socialismo utopistico francese ma nella sua maturità
lavoro molto alla critica verso l’economia politica.
I contributi che ha dato solo: •sul piano generale➞concezione materialistica della storia
•sul piano sociologico➞analisi del modo di produzione
capitalistico
•sul piano politico➞teoria del comunismo.
Il marxismo, a partire dagli anni Venti, ebbe nuovi sviluppi: i testi più importanti furono ‘Storia e coscienza
di classe’ di Lukàcs e ‘Marxismo e filosofia’ di Korsch che fecero valere la presenza hegeliana nel pensiero di
Marx, riportarono in auge il concetto di alienazione e rivalutarono il ruolo di coscienza e cultura.
Fu importante negli anni Trenta i ‘Manoscritti del ‘44’ che rilesse i pensieri di Marx in chiave di umanesimo
radicale.
Infine, il pensiero di Marx da un lato non va letto in chiave prettamente positivista e dall’altro ci permette
un’analisi del mutamento sociale e dei conflitti molto più articolata di quella che ci permette il
funzionalismo.
Molti dei suoi concetti (es. quello di ‘classe’) sono stati importanti nella sociologia del secolo successivo,
altri (es. capitalismo o ideologia) hanno dato luogo a sviluppo che sono parte integrante della storia della
disciplina.
Caratteristica di Marx➞capacità di unire la passione utopica con l’analisi scientifica: il suo pensiero ha
dato ai lavoratori una bandiera in cui credere e una teoria su cui fondare la propria lotta➞con la sua opera
voleva compiere una battaglia per l’autorealizzazione dell’umanità.
Lo storicismo tedesco e la distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito
Storicismo➞pensiero per cui è importante la variabilità dei sistemi di pratiche e idee che si succedono
nella storia e messa in relazione con i processi di mutamento.
E’ un orientamento accademico al cui interno si sviluppa una controversia sul metodo che riguarda i
fondamenti epistemologici delle scienze sociali.
Accomuna gli autori la nozione di storicità dell’esistenza umana.
Leopold von Ranke e Gustav Droysen sostengono che ogni fenomeno umano va analizzato in chiave
storica e che la comprensione di ciò che è accaduto proviene dal proprio condizionamento
storico➞affermano una netta separazione tra scienze naturali e sociali.
Wilhelm Dilthey fissa questa separazione nei diversi metodi delle scienze:
•spiegazione per le scienze naturali
•comprensione per le scienze dell’uomo.
Questa controversia sui metodi ha origine nella disputa che nacque in economia tra Carl Menger e Gustav
von Schmoller. Menger affermava la necessità per l’economia di fondarsi sulla ricerca di leggi teoriche
astratte, mentre Schmoller difendeva un metodo storico in cui le diverse sfaccettature della vita
economica richiedevano uno studio differenziato e non unitario.
Nella vita degli esseri umani anche se ci sono fatti che accadono regolarmente, non significa che si
possano trovare delle leggi analoghe agli accadimenti della natura. Inoltre lo studio storico deve tener
conto anche della cultura in cui gli uomini sono immersi
⤷questi punti caratterizzano la posizione di Dilthey nella sua
‘Introduzione alle scienze dello spirito’.
Riguardo all’impossibilità di definire delle leggi di vita sociale sul modello proposto per le leggi naturali,
Dilthey afferma che i fenomeni umani richiedono di essere compresi per il senso mutevole che si esprime
in essi
⤷questa comprensione è intesa da Dilthey con il concetto di ‘Empatia’(capacità
dell’interprete di collocarsi al posto del soggetto di cui vuole interpretare l’agire).
Nelle sue opere mature costituisce questo concetto con quello di ‘comprensione’, cioè l’operazione
attraverso cui i fenomeni umani vengono colti all’interno del contesto di senso in cui si collocano
storicamente.
La differenza tra le scienze naturali e umane si trova per Dilthey nella differenza fra gli oggetti di cui si
occupano.
•Scienze naturali➞la comprensione non si usa perche alle cose non è attribuibile alcuna consapevolezza
del senso del proprio essere.
•Scienze umane➞ non si usa la spiegazione perche non ci sono nessi causali di carattere universale.
Questa posizione offre però delle obiezioni sia riguardo la distinzione tra scienze umane e naturali, sia
riguardo l’idea di spiegazione a cui Dilthey fa riferimento per le scienze naturali.
Per il primo punto➞l’obiezione è formulata da Windelband, che distingue le scienze tra quelle che mirano
alla costruzione di leggi generali e quelle che mirano a determinare la fisionomia di un dato fenomeno
nella sua individualità; pertanto scienze umane e naturali non si diversificano per il diverso statuto
ontologico dei propri soggetti, ma a causa del differente orientamento che la conoscenza vi assume.
Per il secondo punto➞ha mostrato Heinrich Rickert che se è vero che nelle scienze naturali la
spiegazione consiste nell’assunzione di un fenomeno in una legge universale, è vero anche che ci sono tipi
di spiegazione diverse, perciò anche le scienze storico-sociali possono spiegare i fenomeni che osservano,
determinando il rapporto causale che si manifesta tra fenomeni successivi nel tempo.
Rickert aggiunge inoltre che le forme di conoscenza delle scienze storico-sociali implicano
necessariamente un elemento di valutazione➞dato che lo scienziato è immerso egli stesso nel campo che
studia, allora la comprensione di un fenomeno storico o sociale comporta il confronto tra i valori
dell’interprete e quelli di chi vuole interpretare.
Storicismo in altre nazioni➞in Italia fu sviluppato da Benedetto Croce ma ebbe un esito diverso dalla
Germania e portò alla depressione della sociologia, poiché lui considerava la storia come unica forma di
conoscenza e confinava ogni altra scienza sociale nella sfera del sapere pragmatico.
L’accento posto dagli storicisti tedeschi sul problema del senso e delle forme in cui si esprime l’esperienza
vissuta ci fa notare che nelle scienze storico-sociali, la conoscenza è il prodotto dell’incontro tra mondi
diversi:
•quello degli attori sociali attorno cui la ricerca si svolge
•quello dell’osservatore che fa la ricerca
⤷la conoscenza è sempre condizionata da situazioni storiche e forme
socio-culturali particolari.
Autori che hanno fondato la sociologia➞nonostante conoscessero gli Stati Uniti o fossero stati lì, non
diedero importanza alla politica coloniale delle potenze europee; non c’è traccia dei processi di schiavitù
presenti nella loro società, anche se era quella che loro per l’appunto studiavano.
Questi autori avvertivano di essere situati in un contesto fatto di storicismo e dibattito sul metodo delle
scienze naturali; avvertono la trasformazione economica e sociale attraverso il filtro della cultura del
tempo (si fa sentire l’influenza di Marx e Nietzsche, lo sviluppo dell’urbanizzazione o movimenti politici
come l’ascesa del socialismo).
Questa sociologia si sviluppa comunque a stretto contatto con le cerchie filosofiche e artistiche del tempo.
La sociologia è per Simmel lo studio delle forme della sociazione, ma per capire ciò bisogna soffermarsi sia
sul concetto di sociazione che di interazione/effetto di reciprocità.
Effetto di reciprocità➞nesso di reciprocità o causazione reciproca che lega tutti i fenomeni della vita tra
loro. Riferirsi a ciò vuol dire fare ‘relazionismo’ che comporta la rinuncia a cercare una singola serie di
causa che spieghi qualunque fenomeno.
In questo modo alla nozione di ‘causa’ si sostituisce la nozione di ‘corrispondenza’, di influenza tra i diversi
fenomeni.
L’oggetto della sociologia sono dunque per Simmel le forme che assumono le relazioni di influenza
reciproca tra gli esseri umani.
Scrive: “società è il nome con cui si indica una cerchia di individui, legati tra loro da varie forme di
reciprocità”.
Le forme di reciprocità si sedimentano nel tempo e qui entra in gioco la nozione di ‘sociazione’➞i sistemi e
le organizzazioni a cui pensiamo quando parliamo di società sono forme di reciprocità tra gli individui che
nel tempo si sono trasformate in formazioni stabili.
Va notato che come la ‘storia’ è il prodotte delle categorie attraverso le quali è compresa, anche la ‘società’
non è una realtà ma un oggetto che emerge dallo sguardo dell’osservatore
Il pensiero umano opera sempre attraverso astrazioni, ciascuna delle quali corrisponde a un certo punto di
vista o da una certa distanza dall’oggetto su cui riflette.
Anche l’individuo è composto da arti e organi e il fatto che lo percepiamo come unità dipende solo da una
cerca prospettiva. In tal modo anche la società è un oggetto del pensiero che emerge solo considerando
insiemi di individui da una distanza particolare.
La ‘società’ esiste solo se ci si pone ad una certa prospettiva, la quale rende possibile osservare le relazioni
di reciprocità che sussistono fra gli individui.
Economia e società
Nelle prime pagine fornisce la sua definizione di sociologia➞scienza ‘comprendente’, il cui obiettivo è
comprendere l’agire sociale.
‘Comprendere’ vuol dire ‘intenderne il senso’➞l’agire sociale è un agire dotato di senso.
La possibilità/necessità di comprensione distingue le scienze umane dalle scienze naturali.
La sua posizione dipende da Wilhelm e riallacciandosi a Rickert, sostiene che la sociologia, dopo aver
compreso l’agire sociale, debba spiegarlo casualmente.
La molteplicità di fattori che si combinano per produrre ogni fenomeno è tale che una spiegazione causale
definitiva è impossibile. La spiegazione causale è dunque essenzialmente condizionale➞forma di
argomentazione logica che, per un certo fenomeno, individua le condizioni necessarie per il suo
svolgimento
⤷è un procedimento di imputazione causale che valuta il grado di
indispensabilità di una condizione per l’accadimento di un certo fenomeno,
senza indicare il rapporto causa-effetto, ma bensì la possibilità di un nesso
tra eventi diversi e susseguenti nel tempo.
La possibilità di un ragionamento causale per le scienze sociali le avvicina alle scienze naturali, un
avvicinamento che dipende dal fatto che anche per le scienze naturali Weber ritiene impossibile
l’enunciazione di giudizi causali di necessità➞nozione tipica di empirismo per cui la ‘causa’ non è un nesso
naturale tra eventi ma un'argomentazione logica.
Si avvicina con questo pensiero a Simmel, a cui si accosta anche nel distinguere i fenomeni osservati dai
valori con i quali essi possono essere giudicati➞concetto di AVALUTATIVITÀ’.
I valori sono orientamenti culturali che motivano le nostre scelte ed esprimono degli atteggiamenti morali.
Il riferimento a un valore è il soggettivo riferirsi nella propria condotta, da parte di qualcuno, a certi valori;
il giudizio di valori è un’affermazione che dichiara ‘è bene’ o ‘è male’.
Lo scienziato sociale non può far a meno di riferirsi ai valori perchè sono parte del senso che gli attori
attribuiscono al proprio agire➞dato che la sociologia è per Weber orientata a capire questo senso, deve
cogliere anche i valori che sono una parte del suo campo di agire.
Dall'altra parte lo scienziato si riferisce ai valori perchè è uomo e come tale giudica la realtà in cui è
immerso.
Studia qualcosa che per lui è rilevante e i propri orientamenti personali lo spingono a scegliere di
analizzare certi nessi piuttosto che altri.
A garantire l’oggettività del suo lavoro è che egli si sforzi di essere consapevole dei propri orientamenti
soggettivi e sappia mettere da parte i propri riferimenti di valore.
⤷L’oggettività è frutto della disciplina e questa disciplina è l'AVALUTATIVITÀ’.
Tornando all’opera ‘Economia e società’ abbiamo detto che la sociologia si occupa dell’agire sociale dove si
intende un agire che sia riferito all’atteggiamento di altri individui e orientato nel suo corso in base a
questo.
Esso è distinto in diversi tipi di ideali➞uno strumento conoscitivo di cui lo scienziato fa uso.
La sociologia, in quanto scienza, tende a generalizzare e questo processo si realizza tramite il tipo di
ideale➞è un’astrazione che ha lo scopo di ridurre l’infinita varietà di fenomeni a un insieme minore di
categorie.
L’agire sociale può essere determinato da quattro tipi di ideali:
•l’agire razionale rispetto allo scopo, nel quale il soggetto agisce per un fine determinato e calcola i suoi
sforzi per raggiungere tale fine;
•l’agire razionale rispetto al valore, dove il senso dell’agire sta nell’affermazione del valore in sé dell’agire
stesso, a prescindere dalle conseguenze che esso può comportare;
•l’agire affettivo, in cui il senso è legato a un particolare stato affettivo o stato d’animo del soggetto;
•l’agire tradizionale, dettato dall’abitudine acquisita.
Nella realtà non è facile distinguere quale tipo sia d’azione e raramente l’agire è consapevole. La sociologia
sviluppa però le sue interpretazioni mediante classificazioni del possibile senso intenzionato.
Si ha una relazione sociale quando più attori sono in un rapporto in cui il senso dell’agire di ciascuno si
riferisce all’atteggiamento dell’altro.
‘Comunità’ e ‘società’ sono forme di relazione in cui sono importanti il consenso e l’integrazione.
Il ‘conflitto’ è invece una forma di relazione in cui l’agire è orientato in base al proposito di un’affermazione
di sé a scapito dell’altro e può essere pacifico o violento.
Weber dà molta attenzione alla dimensione conflittuale ma diversamente da Durkheim non enfatizza la
presenza di ordine e coesione nel mondo sociale. In ciò è più vicino a Marx ma diversamente da lui, non
situa il conflitto nella logica di una filosofia della storia che lo intende come un il motore di un processo
che ha direzione.
Anche la nozione di classe perde rilevanza➞concepisce la stratificazione sociale come una molteplicità di
ordinamenti dotati di logiche parzialmente autonome e alla classe si affiancano ceto e la collocazione di
ogni gruppo o individuo nella sfera politica.
La politica è l’ambito delle relazioni sociali in cui si compete per il potere legittimo.
Bisogna fare distinzione tra:
•potenza➞qualsiasi possibilità di far valere in una relazione sociale la propria volontà, per cui chi la
subisce è costretto a seguire la volontà dell’altro;
•potere➞la possibilità che un comando sia obbedito da altre persone perchè si crede che sia emesso con
un forma legittima.
Von Wiese ha il ruolo di mediatore tra la sociologia tedesca prima del nazismo e quella successiva. La sua
opera si è sviluppata con il confronto con quelle di Durkheim, Spencer e la scuola di Chicago.
L’oggetto della sua sociologia è la dimensione interumana della vita, la dottrina di comportamento
reciproco degli uomini e delle loro comunità.
Questo comportamento reciproco si realizza in processi sociali che possono essere associativi o
dissociativi e che danno vita a formazioni sociali più o meno stabili nel tempo.
E’ stato anche mediatore fra la sociologia europea e quella americana:
•la sociologia americana poteva apportare a quella europea uno stimolo all’indagine empirica;
•la sociologia europea poteva fornire a quella americana strumenti per affinare il suo bagaglio teorico e
per riflettere sui fondamenti epistemologici della sua metodologia.
•l’utilità del concetto marxiano di ‘modo di produzione asiatico’➞Marx descrisse l’insieme di stadi delle
strutture economiche attraverso cui si sviluppò l’umanità e utilizzò ‘modo di produzione asiatico’ per
descrivere gli imperi burocratici che si affermarono in Cina e India. Stanlin negli anni ‘30 pensò che si
poteva utilizzare la stessa definizione per descrivere la Russia e decise di rivedere il concetto di Marx ed
eliminarlo; quando morì, si riaprì la discussione sullo sviluppismo come cornice analitica e indirizzo
politico e questo dibattito ci fu nel discorso del 1956 di Krusciov al ventesimo Congresso del Partito ;
•dibattito tra storici dell’Europa occidentale sulla ‘transizione dal feudalesimo al capitalismo’➞il dibattito
sulle origini del capitalismo moderno iniziò con la pubblicazione nel 1946 del libro di Dobb ‘Studies in the
development of Capitalism’; Sweezy scrisse un articolo dove sfidava ciò che disse Dobb sulla transizione dal
feudalesimo al capitalismo. Il primo individuava le radici della transizione in elementi interni agli stati,
mentre il secondo dava importanza ai fattori esterni e ignorava il ruolo dei cambiamenti nella struttura
della produzione e quindi nei rapporti di classe. Questo dibattito fu importante perchè sembrava avesse
implicazioni politiche, perchè indusse molti economisti a dare importanza ai dati storici, perchè si
incentrò sull’unità d’analisi e perchè, come per il dibattito sul modo di produzione asiatico, ebbe la
conseguenza di rompere una versione del marxismo che analizzava solo i rapporti di produzione e solo
all’interno degli stati;
•’storia totale’ e il trionfo della scuola storiografica delle Annales in Francia➞Gli Annales nacquero in
Francia negli anni ‘20 come reazione contro la tendenza idiografica ed empirista della storiografia francese
dominante: loro pensavano che la storiografia dovesse essere totale. Dopo il 1945, dal punto di vista
istituzionale creò una nuova istituzione universitaria a Parigi, fondata sulla premessa che gli storici
dovessero integrare i contributi delle altre scienze sociali Braudel criticò la storia ‘dominata dagli eventi’
della storiografia tradizionale definendola ‘polvere’ perchè parlava di fenomeni effimeri e perche impediva
di guardare alle reali strutture sottostanti. Pose attenzione su due altri tempi sociali: il tempo strutturale e
i processi ciclici all’interno delle strutture.
Questi 4 dibattiti sono la critica alle esistenti strutture del sapere e furono seguiti dalle rivoluzioni del
‘68➞riguardarono questioni politiche come l’egemonia degli Stati Uniti, l’atteggiamento passivo
dell’Unione Sovietica e l’inefficacia dei movimenti della Vecchia Sinistra per opporsi allo status quo.
Iniziarono anche a sollevare questioni sulle strutture del sapere come:
•obiezioni sul diretto coinvolgimento politico degli studiosi in un lavoro che rafforzava lo status quo
mondiale;
•ambiti di ricerca trascurati, come ad esempio le storie di molti gruppi oppressi (donne, minoranze, ecc);
•epistemologie soggiacenti alle strutture del sapere.
Nei primi anni ‘60 si iniziò a parlare dell’analisi sistemi-mondo come prospettiva➞implicò la sostituzione
dell’unità d’analisi precedente (lo stato nazionale) con quella che fu definita ‘sistema-mondo’. Al posto degli
stati nazionali come oggetto di studio, furono messi i sistemi storici che erano esistiti in 3 varianti:
-minisistemi
-sistemi-mondo, di due tipi: economie-mondo e imperi-mondo.
Il trattino d’unione indica che non ci si riferisce a sistemi del mondo intero ma a sistemi che SONO un
mondo.
Il concetto venne applicato al sistema-mondo moderno che aveva preso la forma di economia-mondo➞si
sostenne la tesi che l’economia-mondo moderna fosse capitalista.
Karl Polanyi distinse tre forme di organizzazione economica: reciprocità (minisistemi), redistribuzione
(imperi-mondo) e mercato (economie-mondo)➞le categorie di tipi di sistemi storici erano un altro modo
per esprimere le tre forme di organizzazione economica di Polanyi.
L’economia-mondo capitalistica era caratterizzata dalla divisione assiale del lavoro tra processi produttivi
centrali e periferici: i processi monopolizzati erano molto più remunerativi di quelli del libero mercato e
ciò ha reso più ricchi i paesi in cui sono stati localizzati i processi centrali. Dato il potere ineguale dei beni
monopolistici, il risultato finale dello scambio tra prodotti centrali e periferici è stato un trasferimento di
plusvalore verso gli stati più ricchi.
L’influenza di Braudel fu importante per due motivi:
•egli insistette sulla separazione tra la sfera del libero mercato e quella dei monopoli e fece rientrare il
capitalismo in quest’ultima;
•l’importanza che dava alla molteplicità dei tempi sociali e la sua enfasi sul tempo strutturale (longue
durée) divennero centrali nell’analisi dei sistemi-mondo.
Per gli studiosi dei sistemi-mondo, la longue duree era la durata di uno specifico sistema storico.
Questo punto di vista ribadì l’idea che la scienza sociale doveva essere storica e aprì la questione delle
transizioni.
Questi studiosi iniziarono ad essere scettivi sull’inevitabilità del progresso, considerandolo una probabilità
più che una certezza e questo sguardo gli consentiva di includere nella descrizione della storia umana la
realtà dei sistemi che erano raggruppati come ‘modo di produzione asiatico’.
Un altro elemento d’analisi fu la non osservanza dei confini tra le scienze sociali, indagarono i sistemi
sociali totali, svolgendo un lavoro unidisciplinare.
L’insieme di queste tre critiche (sistemi-mondo che sostituiscono gli stati come unità d’analisi, longue
duree e approccio unidisciplinare) rappresentano una sfida.
Il contrattacco giunse da 4 direzioni: positivisti nomotetici, marxisti ortodossi, teorici dell’autonomia degli
stati, teorici del particolarismo culturale.
•I positivisti nomotetici dissero che l’analisi dei sistemi-mondo fosse una narrazione dato che il suo
teorizzare era basato su ipotesi mai verificate, ma gli studiosi dei sistemi-mondo ribadiscono che va
compiuto un grande sforzo per contestualizzare tutte le variabili semplici al fine di comprendere le
situazioni sociali concrete e ritengono che occorre ricercare dati più appropriati in funzione al problema
intellettuale e non si sceglie il problema in funzione della disponibilità dei dati.
•I marxisti sostengono che, nell’analizzare un asse centro-periferia della divisione del lavoro, l’analisi dei
sistemi-mondo è circolazionista e trascura la produzione del pluslavoro e la lotta di classe tra borghesia e
proletariato come variabile centrale del cambiamento sociale. Viene accusata di non considerare il lavoro
non salariato come in via di estinzione.
Gli studiosi dei sistemi-mondo hanno invece sostenuto che il lavoro salariato è solo una delle forme di
controllo del lavoro all’interno di un sistema capitalistico e la lotta di classe può essere compresa solo
all’interno del sistema-mondo considerato nel suo insieme.
•I teorici dell’autonomia degli stati sostengono che l’analisi riduce la sfera politica a un ambito le cui realtà
sono determinate dalla sfera economica. Sostiene che non è possibile spiegare cosa accade a livello statale
o interstatale pensando a questi ambiti come parte di un’economia-mondo capitalistica.
• Per i sostenitori del particolarismo culturale, l’analisi sistemi-mondo viene accusata di derivare la
sovrastruttura dalla base economica e trascurare la realtà autonoma della sfera culturale e di essere
eurocentrica perchè non accetta l’autonomia di differenti identità culturali.
Nel loro lavorare sulla storia totale e sull’unidiscinarietà, gli studiosi dei sistemi-mondo rifiutano la
sostituzione di una base economica con una base culturale, piuttosto vogliono abolire i confini tra le sfere
d’analisi.
Queste 4 critiche hanno in comune l’idea che l’analisi sistemi-mondo non abbia un soggetto centrale che
per il positivismo è l’individuo, per il marxismo è il proletariato industriale, per i sostenitori dell’autonomia
degli stati è l’uomo politico e per i sostenitori del particolarismo culturale è ognuno di noi.
Per l’analisi questi soggetti sono i prodotti di un processo.
Per questi studiosi spazio e tempo non sono realtà esterne immutabili e al cui interno esiste la realtà
sociale: per loro gli SpazioTempo sono realtà in continua trasformazione.
Il sistema-mondo moderno come economia-mondo capitalistica. Produzione, plusvalore e
polarizzazione.
Il sistema-mondo ha origine nel 16° secolo e si localizza in Europa e nelle Americhe; è un’economia-mondo
capitalistica➞un’estesa area geografica al cui interno esiste una divisione del lavoro e uno scambio di
prodotti di base. All’interno ci sono molteplici unità politiche e molti gruppi che sviluppano dei modelli
culturali comuni (geocultura).
E’ un sistema capitalistico perchè si dà priorità all’incessante accumulazione di capitale.
Nella storia, l’unica economia mondo ad essere sopravvissuta nel tempo è stato il sistema-mondo moderno
perchè il sistema capitalistico si è consolidato come sua caratteristica distintiva.
I capitalisti hanno bisogno di un mercato ampio e di molteplici stati.
Un’economia-mondo capitalistica è formata da molte istituzioni, che sono intrecciate le une con le altre:
•mercato;
•imprese che competono sui mercati;
•molteplicità di stati;
•aggregati domestici;
•classi;
•gruppi di status.
Il mercato è sia una concreta struttura locale in cui si vendono e comprano beni e sia una istituzione
virtuale trans-spaziale in cui c’è lo stesso genere di scambio. Ci sono mercati virtuali diversi per ogni
merce, per i capitali e per il tipo di lavoro ma si può anche dire che esiste un unico mercato mondiale
virtuale per tutti i fattori di produzione combinati, la cui forza di attrazione è un fattore politico costante
nei processi decisionali di ciascuno. Questo mercato è una realtà perchè influenza tutti i processi
decisionali ma non funziona mai liberamente e senza interferenze. Non costituisce una realtà quotidiana
perchè un mercato completamente libero renderebbe impossibile l’accumulazione di denaro.
In un mercato perfetto è possibile per i compratori contrattare per il prezzo più basso e porterebbe i
venditori ad avere un profiffo irrisorio che renderebbe il gioco capitalistico privo di interesse per i
produttori.
I venditori preferiscono un monopolio, che permette di creare una differenza ampia tra i costi di
produzione e i prezzi di vendita.
Ovviamente i monopoli perfetti sono difficili da creare mentre è più facile creare i semi-monopoli. Uno dei
modi per farlo è il sistema di brevetti che riserva i diritti di un’invenzione per un certo numero di anni ma
rimane un semi-monopolio perchè possono esserci dei prodotti simili sul mercato➞per questo motivo la
condizione normale dei prodotti guida è un oligopolio, che è sufficiente per avere un alto profitto e perchè
le diverse imprese si accordano per ridurre al minimo la competizione sul prezzo.
Un altro modo sono le restrizioni statali sulle importazioni e le esportazioni, i sussidi statali e le
agevolazioni fiscali e infine le disposizioni che impongono un onere fiscale ai produttori possono essere
assorbite da grandi produttori ma essere una rovina per i produttori più piccoli, che vengono eliminati dal
mercato.
Ci sono però caratteristiche anti-monopolistiche all’interno dell’economia-mondo capitalistica:
•il vantaggio monopolistico di un produttore è svantaggio per un altro e i perdenti lotteranno per
eliminare i vantaggi dei vincitori attraverso una battaglia politica all’interno degli stati in cui si trovano i
produttori monopolistici appellandosi alle leggi del mercato libero o persuadendo altri stati a sfidare il
monopolio del mercato mondiale attraverso il loro potere statale per sostenere i produttori più
competitivi.
Ogni semi-monopolio cessa per l’ingresso nel mercato di nuovi prodotti e quando cessa i grandi capitalisti
spostano il loro capitale verso nuovi prodotti guida, generando così un ciclo di prodotti guida, che hanno
vite brevi ma sono costantemente sostituiti.
Le imprese sono gli attori principali del mercato e sono in competizione con altre che operano nello stesso
mercato virtuale.
C’è un aspetto negativo nella crescita delle imprese in tre sensi:
•orizzontale➞nello stesso prodotto;
•verticale➞nei diversi livelli della catena di produzione;
•ortogonale➞in prodotti di altro tipo non affini.
La dimensione abbatte i costi delle economie di scala ma aggiunge anche costi di amministrazione e
moltiplica i rischi di inefficienze gestionali.
L’esito di questa contraddizione è stato visto come un processo a zigzag di espansione e contrazione delle
dimensioni delle imprese.
Esse hanno anche implicazioni politiche indirette poichè grandi dimensioni conferiscono maggior peso
politico e le rendono più vulnerabili agli attacchi.
La divisione assiale del lavoro divide la produzione in prodotti centrali e prodotti periferici: questo è un
concetto relazionale. ciò che si intende per centro-periferia e livello di remuneratività dei processi di
produzione e dato che essa è in relazione diretta al grado di monopolizzazione, quelli che intendiamo per
processi di produzione centrali sono controllati da semi-monopoli. I processi periferici sono dunque
quelli concorrenziali.
Il risultato è un costante flusso di Plusvalore dai produttori periferici a quelli centrali e questo è stato
definito uno scambio ineguale. Il saccheggio è un altro modo per spostare capitale dalle regioni deboli a
quelle forti ma poiché le conseguenze sono di medio termine e i vantaggi di breve termine il ricorso al
saccheggio nel sistema mondo moderno è ancora esteso.
Dato che i semi.monopoli dipendono dal sostegno di stati forti, essi sono in gran parte localizzati in essi. I
processi centrali tendono a concentrarsi in pochi stati mentre quelli periferici in un gran numero di stati.
Alcuni stati hanno una combinazione bilanciata tra prodotti centrali e periferici e possiamo definirli
semi-periferici.
Dato che i semi-monopoli si esauriscono, un processo centrale diverrà periferico: la storia economica del
sistema-mondo moderno è ricca di dislocamenti di prodotti.
Il ruolo di ogni stati rispetto ai processi produttivi varia in base alla combinazione di processi centrali e
periferici al suo interno:
•gli stati forti tendono ad accentuare il loro ruolo per proteggere i semi-monopoli;
•gli stati deboli non possono fare molto per incidere sulla produzione assiale del lavoro;
•gli stati semiperiferici subendo la pressione dagli stati centrali e esercitandola su quelli periferici, cercano
di evitare di andare nella periferia e di salire verso il centro.
Sono destinatari della rilocalizzazione di prodotti guida e in questo i loro rivali non sono costituiti dagli
stati centrali ma da altri stati periferici.
In un sistema capitalistico servono persone che offrono lavoro per i processi produttivi e questi si
chiamano proletari, cioè lavoratori salariati che non hanno mezzi di sostentamento alternativi.
Quasi ogni lavoratore è legato ad altre persone in un aggregato domestico che tipicamente contra dalle 3
alle 10 persone che mettono in comune più fonti di reddito per sopravvivere.
Nel sistema-mondo moderno esistono 5 tipi di reddito:
•reddito da salario➞pagamento da parte di persone esterne all’aggregato; ha come vantaggio per il datore
di lavoro di essere flessibile perchè in funzione all’esigenza del datore ma ha come svantaggio che, in caso
di necessità di maggiore forza lavoro, questa può non essere subito disponibile, quindi il datore di lavoro
mette in conto di pagare i lavoratori anche nei periodi in cui non gli sono necessari;
•attività di sussistenza➞le attività di produzione per il consumo di beni alimentari o di prima necessità (es.
cucinare un pasto, montare mobili acquistati in un negozio ecc); essa oggi è una parte ampia del reddito di
aggregati domestici nelle aree più sviluppate;
•piccola produzione di merci➞prodotto realizzato all’interno dell’aggregato domestico ma venduto su un
mercato più ampio; attività molto diffusa nelle aree più povere e che nelle zone ricche viene chiamato
‘freelancing’.
•rendita➞può derivare da investimenti di capitali, da un vantaggio che deriva dalla localizzazione o dalla
proprietà di capitali;
•trasferimenti➞entrate percepite da un individuo in virtù di un obbligo da parte di qualcun’altro che deve
fornire tali entrate; sulla base domestica i trasferimenti possono avvenire per reciprocità, ad opera dello
stato o attraverso un piano assicurativo.
Va osservato come le persone che procurano reddito in un aggregato domestico possono essere correlate
per categorie in base al sesso e all’età.
Il peso delle diverse forme di reddito in particolari aggregati domestici è soggetto a variazioni e ne
distinguiamo due:
•l’aggregato in cui il reddito da salario è il 50% o più del reddito totale nell’arco della vita, che si chiama
‘aggregato domestico proletario’;
•l’aggregato in cui esso ha una percentuale inferiore, che definiamo ‘aggregato domestico semiproletario’.
Per un datore di lavoro assumere lavoratori salariati che fanno parte di un aggregato semiproletario è un
vantaggio perchè quando il lavoro salariato è una componente importante del reddito, esiste una soglia
minima di retribuzione che deve corrispondere a una quota adeguata dei costi di riproduzione
dell’aggregato domestico: questo è il salario minimo assoluto.
Se il lavoratore è in aggregato semiproletario potrà essere retribuito per un ammontare inferiore a quello
minimo assoluto e la differenza può essere colmata dai redditi addizionali dati da altre attività: in questo
caso gli altri produttori di reddito trasferiscono al datore di lavoro altro plusvalore.
Ne deriva che in un sistema capitalistico i datori di lavoro preferiscono assumere lavoratore di aggregati
semiproletari ma esistono due forze che spingono verso direzione opposta:
•spinta da parte degli stessi lavoratori che chiedono di essere proletarizzati;
•pressione contraddittoria subita dagli stessi datori di lavoro che preme la loro necessità collettiva di avere
nell’economia-mondo una domanda ampia per sostenere il mercato dei loro prodotti.
In un sistema capitalistico esistono poi delle classi poichè ci sono persone che occupano posizioni diverse
nel sistema economico, con diversi livelli di reddito e diversi interessi.
Sono gli aggregati domestici e non i singoli individui ad appartenere alle classi.
Le classi non sono gli unici gruppi però dato che ci sono anche quelli di status/identità, che sono etichette
ascritte a cui apparteniamo fin dalla nascita.
All’interno degli aggregati esiste una grande pressione per cui si conservi un’identità comune, ma il
costante movimento degli individui all’interno del sistema mondo ha generato un rimescolamento delle
identità originarie.
Ciò che si verifica in ogni aggregato è un’evoluzione verso un’identità singola e in questo modo si riunifica
l’aggregato in termini di identità di gruppo di status.
Questa omogeneizzazione aiuta a conservare la coesione di un aggregato in quanto unità di messa in
comune di redditi e a superare le tendenze centrifughe che derivano da ineguaglianze interne nella
distribuzione dei consumi e nel processo decisionale.
Il sistema-mondo trae benefici dalle tendenze di omogeneizzazione perche gli aggregati fungono da enti
primari di socializzazione.
Il modo in cui le istituzioni formulano le questioni e la loro capacità di farlo dipende dalla relativa
omogeneità degli aggregati domestici.
In un sistema sociati i poteri sperano che la socializzazione stia nell’accettazione delle gerarchie reali che
sono prodotte nel sistema.
Gli aggregati socializzano anche i membri alla ribellione e al rifiuto e si può prevedere come le
socializzazioni negative potranno avere un impatto limitato sul funzionamento del sistema.
Però quando il sistema storico entra in una crisi strutturale, queste socializzazioni antisemitiche hanno un
ruolo destabilizzante.
Esistono numerosi gruppi di status e dal momento che siamo tutti coinvolti in questi gruppi di status, la
questione da affrontare è se esista un ordine di priorità delle identità.
La maggior parte dei gruppi di status ha un tipo di istituzione trasversale agli aggregati domestici e queste
istituzioni esercitano una pressione diretta sugli aggregati per conformarli alle loro norme e perchè
accordino le loro priorità.
Gli stati, tra le istituzioni trasversali, sono quelle che hanno il maggior successi nell’influenzarli ma se lo
stato è più debole, le strutture religiose o simili possono diventare le istituzion iche più influenzano il
gruppo.
Il complicato agitarsi di identità negli aggregati domestici è la base per la lotta politica all’interno del
sistema-mondo moderno.
I legami tra economia mondo, imprese stati, aggregati e istituzioni trasversali sono attraversati da due
motivi ideologici: universalismo e razzismo/sessismo.
•L’unievrsalismo implica la prioprità di regole generali che si applicano a tutti gli individiui e le sole regole
considerate lecite sono quelle che possono esssere presentate come direttamente rivolte al corretto
funzionamento del sistema-mondo.
Esso è una norma positiva.
•Razzismo e sessismo sono anch’esse norme ma negativa dato che la maggior parrte delle persone nega di
crederci.
Sono pensati come anti-universalismo: per ogni tipo di identità c’è una gerarchia sociale e un gruppo al
vertice.
Abbiamo tutti conoscenza delle gerarchie su scala mondiale del mondo moderno: uomini su donne,
bianchi su neri ecc; le gerarchie etniche hanno una dimesione più locale mentre quelle religiose variano da
una parte all’altra del mondo.
Universalismo e antiuniverslaismo sono entrambe realtà quotidiane ma operano in ambiti diversi:
l’universalismo è un principio attivo nel reclutamento dei quadri del sistema-mondo, cioè il gruppo
intermedio di persone che hanno ruoli di comando e di supervisione nelle istituzioni. Questo gruppo può
essere più o meno grande a seconda della posizione del paese nel sistema-mondo e alla situazione politica
locale.
Ogni volta che l’universlaismo perde auttorevolezza anche tra i quadri si può osservare una disfunzione e
immediatamente emergono pressioni politiche per ripristinare i criteri universalistici.
•Da un alto si ritiene che l’universalismo porti a un economia mondo più efficiente che migliora la capacità
di accumulare capitale. Ma esso crea malcontento quando entra in gioco dopo il particolarismo o quando
si fa appello ai criteri universalistici durante la scelta, ignorando i criteri particolaristici in base ai quali gli
individui hanno accesso alla precedente formazione.
Ma quando la scelta è davvero universalistica il malcontento può nascere dal fatto che la scelta implica
esclusione e può emergere la pressione del popolo per avere un accesso alle posizioni senza selezioni.
I criteri universalistici consentono a coloro che hanno raggiunto la condizione dei quadri di giustificare i
propri vantaggi e ignorare i modi in cui i criteri hanno permesso il loro accesso.
•Dall’altro lato le norme anti-universalistiche assolvono a compiti ugualmente importanti nella
distribuzione del lavoro e del potere e sono vere modalità di inclusione in posizioni inferiori.
Queste norme esistono per giustificare le posizioni più basse della gerarchia e vengono presentate come
codificazioni di verità naturali e non soggette ai cambiamenti sociali.
Diventano norme per lo stato, il luogo di lavoro e la sfera sociale e anche norme entro cui gli aggregati
domestici sono spinti a socializzare i loro membri, giustificando la polarizzazione del mondo.
Qual era il ruolo della Cine nel sistema-mondo fino al 18° secolo?
Si pensava che la Cina non avesse avuto un proprio peso nel sistema-mondo dato che non aveva scoperto
l’America e che in Cina non si fosse verificato un Rinascimento, ma un Proto-rinascimento, il cui processo
fu interrotto per la presenza del colonialismo portoghese, spagnolo, olandese, inglese e francese.
Fino al 18° secolo la Cina fu considerata dagli europei una vera e propria potenza➞Adam Smith si riferisce
alla Cina con le parole che avrebbe usato ad esempio per Inghilterra e Scozia in ‘La ricchezza delle nazioni’.
Secondo lui la scoperta dell’America permise all’Europa di comprare sia per i mercati più ricchi del
sistema-mondo, sia da quelli più assortiti fino alla Rivoluzione industriale.
L’Europa poteva comprare sul mercato cinese grazie ai metalli preziosi latinoamericani e in Cina, dato che
è un paese molto più ricco dell’Europa, il valore dei metalli preziosi è più alto.
La crisi del sistema di produzione e distribuzione cinese nel ‘vecchio sistema’ permise l’ascesa
dell’Occidente.
Max Weber dedicò i suoi lavori sociologici a dimostrare perchè in Cina e Indostan non ebbe origine la
società capitalistica➞a causa del regime corporativo della proprietà, di una burocrazia che impediva la
concorrenza ecc.
E’ impossibile pensare che milioni di lavoratori con salari bassi non producessero il plusvalore di cui ci ha
parlato Marx➞era per lo più un sistema capitalistico regionale, che fallì per motivi politici.
Gunder Frank (‘ReOrient: Global Economy in the Asian Age’) ha studiato alcune delle cause della crisi della
Cina e dell’Indostan nel 17° e 18° secolo, ad esempio la dinastia Ming entrò in crisi con l’avvento
dell’avvento della dinastia Manciù.
Solo due secoli di egemonia mondiale europea: gli esclusi dalla modernità
L’egemonia europea fu possibile grazie alla Rivoluzione Industriale ed è durata due secoli.
E’ necessario spiegare l’ascesa dell’Occidente in relazione al declino dell’Oriente➜il sistema-mondo che
nasce dall’annessione del Nuovo Mondo al Vecchio Mondo, è un movimento che nasce a Est, ma la
decadenza dell’Est permise all’Ovest di prendere il centro del sistema.
Pensare in modo non-eurocentrico significa pensare che la Rivoluzione Industriale nasce da un ‘vuoto’
prodotto nel mercato la cui egemonia è della Cina e dell’Indostan, questo ‘vuoto’ è causato da:
•effetto di una struttura (stato imperiale che impedisce il trionfo della borghesia in Cina);
•effetto di una crisi (politica, bassi salari ed esplosione demografica).
Marx chiarisce che l’espansione del mercato può produrre lo sviluppo della produzione e l’unica soluzione
fu utilizzare le macchine.
L’uso delle macchine nel processo di produzione in pochi decenni diede vantaggio al Regno Unito e alla
Francia su Cina, Indostan, mondo islamico e America Ispanico.
All’inizio del 19° secolo l’Oriente sarà visto come espressione del dispotismo orientale, l’Africa come un
continente di schiavi, il Sud dell’Europa come tardo Medioevo.
L’eurocentrismo dominerà il mondo coloniale come espressione di cultura occidentale e questo spiega
come il processo di espansione civilizzatore europeo abbia escluso tutte le culture precedenti➜questo
processo di esclusione si estese a tutte le culture non-europee e questo portò all’Europa l’egemonia non
solo militare, economica e politica, ma anche culturale e ideologica.
La razza divenne uno dei criteri fondamentali per classificare la popolazione nella struttura di potere della
nuova società, insieme alla natura dei ruolo nella divisione del lavoro e nel controllo delle risorse di
produzione.
Così quando la corona castigliana scelse di abolire la schiavitù degli indios per evitare lo sterminio totale,
la nobiltà india ricevette un trattamento speciale grazie al ruolo di intermediaria con la razza dominante
mentre i neri furono ridotti in schiavitù.
Gli spagnoli potevano avere un salario essere mercanti artigiani contadini ecc sebbene solo i nobili
potessero avere un incarico di medio e alto rango.
Alla fine del 18° secolo i meticci, nati da spagnoli e indie, potevano lavorare come gli iberici non nobili ma
ciò non valeva per i figli delle donne nere dato che le loro madri erano schiave.
Negli ultimi 500 anni gli stessi criteri sono stati applicati per imporre una nuova classificazione sociale
della popolazione mondiale su scala globale producendo nuove identità➜a bianchi, indios, negri e meticci
(prodotti in America) si aggiunsero gialli e olivastri.
Questa distribuzione di identità razziste furono combinate con una distribuzione razzista delle forme di
lavoro: la whiteness fu collegata al salario poiché con il vantaggio di trovarsi nel bacino atlantico, i bianchi
controllavano il traffico di oro e argento americano e ciò favorì un processo che portò alla completa
monetizzazione dello scambio commerciale, all’espansione dei mercati regionali e al controllo di tutta la
rete di scambi commerciali con il Vicino e Estremo Oriente.
Da tutto ciò derivò il controllo esclusivo delle risorse produttive da parte dei coloni bianchi, sia in America
che nel resto del mondo.
L’elemento fondamentale del nuovo schema di potere mondiale basato sull’idea di razza e sulla
classificazione razziale della popolazione mondiale è ciò a cui ci riferiamo con la categoria ‘colonialità del
potere’.
La teoria dei rapporti temporali lineari e sequenziali tra le forme di controllo del lavoro si poggia su dei
presupposti:
•ogni forma è una totalità storica in se stessa come economia o modo di produzione;
•queste forme sono strutture di elementi omogenei che si relazionano in maniera continua;
•il processo di cambiamento prevede che una totalità abbandoni progressivamente la scena storica e che
un’altra occupi il posto lasciato vuoto.
L’esperienza storica mostra che il capitalismo non è una totalità continua e omogenea➜sia per i rapporti
di produzione e sia per i popoli il capitalismo è una struttura composta da elementi eterogenei i cui
rapporti con l’intero sistema sono discontinui. Allo stesso modo, ogni rapporto di produzione è una
struttura eterogenea di per sè, dato che tutte le forme di appropriazione del plusvalore funzionano
insieme.
Ciò è vero anche per le razze➔dato che storie così diverse furono accomunate in una singola struttura del
potere, è giusto ammettere il carattere storico-strutturale di questa eterogeneità.
Ne consegue che il processo di cambiamento di questa totalità capitalistica non può essere una
trasformazione omogenea e continua del sistema e degli elementi che lo compongono.
Lo schema di articolazione strutturale può essere demolito ma i suoi elementi saranno riarticolati in
qualche altro sistema.
La modernità si riferisce a un’esperienza storica iniziata in America accanto all’emergere della nuova
struttura di potere mondiale eurocentrica. Più che altro ad emergere fu un nuovo spazio per l’idea del
futuro mondiale, ma a partire dal 17° secolo fu l’Europa occidentale a elaborare in nuovo universo
intersoggettivo in una nuova prospettiva della conoscenza e a definire quest’ultima come modernità e
razionalità.
Uno degli elementi chiave di questa versione della razionalità moderna fu una mutazione del vecchio
modo dualista di guardare l’universo, che cambiò i rapporti tra corpo e non-corpo e tra europeo e
non-europeo➜il corpo si installa nella conoscenza come oggetto di studio di status inferiore e il
non-europeo apparteneva al passato: le razze inferiori sono inferiori perche sono oggetto di studio e non
soggetto. Con ciò si poterono collocare i non-europei in relazione agli europei in una catena storica
continua che va da primitivo a civilizzato, da irrazionale a razionale ecc.
Se applicata alla storia dell’America latina, la prospettiva eurocentrica diventa uno specchio deformante,
che ci mostra un’immagine non del tutto illusoria, dato che abbiamo tanti tratti storici europei importanti
ma allo stesso tempo siamo profondamente diversi.
Ne consegue che se guardiamo nello specchio eurocentrico, l’immagine che vediamo è parziale e distorta.
Per pensare che in America latina una rivoluzione democratico-borghese a stampo europeo sia necessaria
è indispensabile ammettere:
•l'esistenza del rapporto sequenziale tra feudalesimo e capitalismo;
•l’esistenza storica del feudalesimo e della monarchia assoluta;
•il conflitto tra aristocrazia terriera feudale e borghesia;
una borghesia interessata a guidare un’impresa rivoluzionaria.
Sappiamo però che una rivoluzione cosi fatta è storicamente impossibile dato che in America latina i
proprietari di schiavi, la nobiltà, industriali e commercianti hanno dato luogo fin dal principio a una
coalizione dominante.
Le uniche vere rivoluzioni democratiche sono avvenute in Messico e Bolivia mentre negli altri paesi si è
verificato un processo graduale di depurazione del carattere capitalistico della società e dello stato.
Ogni possibile democratizzazione della società sarebbe dovuta accadere nella gran parte dei paesi
contemporaneamente come una decolonizzazione dei rapporti razziali e come una redistribuzione di
classe del potere nello stesso movimento storico.
Di conseguenza, lo stato sarebbe stato nazionalizzato. Inoltre non si è mai vista in questi paesi
latinoamericani la separazione o successione temporale tra schiavitù, feudalesimo e capitalismo.
E’ chiaro che i processi di invenzione della cittadinanza e dell’altro sono geneticamente correlati. La
costruzione dell’immaginario della civiltà esigeva la produzione della sua controparte, cioè l’immaginario
delle barbarie.
Quest’ultimi hanno una materialità concreta, perchè risultano agganciati a sistemi astratti di carattere
disciplinare come la scuola, la legge, lo stato e le scienze sociali. E’ questo vincolo tra conoscenza e
disciplina che ci permette di parlare del progetto della modernità come una ‘violenza epistemica’.
Anche se Gonzales Stephan ha sottolineato come questi meccanismi cerchino di creare un homo
economicus in America latina, la sua analisi genealogica non ci fa capire in che modo questi processi siano
vincolati alla costituzione del capitalismo come sistema-mondo.
La genealogia del sapere-potere deve essere ampliata e includere l’ambito delle macrostrutture di lunga
durata, così da visualizzare il problema dell’invenzione dell altro da una prospettiva geopolitica.
La nostra tesi è che le scienze sociali si costituiscano in questo spazio di potere moderno/coloniale e nel
quadro dei saperi ideologici che in tale spazio sono generati.
Da questo punto di vista, le scienze sociali non hanno messo in pratica una rottura epistemologica nei
confronti dell’ideologia, bensì l’immaginario coloniale ha impregnato fin dalle origini tutto l’apparato
concettuale.
La maggior parte dei teorici sociali del 17° e 18° secolo era d’accordo sul fatto che la specie umana sia
uscita dall’ignoranza attraversando vari stadi di perfezionamento.
Il referente empirico usato per definire il primo stadio fu quello delle società indigene americane; l’ultimo
stadio del progresso umano è costituito dalla sua immagine al negativo.
L’immaginario del progresso appare come un prodotto ideologico costruito dal meccanismo di potere
moderno coloniale e le scienze sociali funzionavano come un apparato ideologico che legittimava
l’esclusione e il disciplinamento di coloro che non rispondevano agli schemi della soggettività di cui aveva
bisogno lo stato.
Allo stesso tempo, esse legittimavano la divisione internazionale del lavoro e la disuguaglianza delle ragioni
di scambio tra centro e periferia.
La colonialità del potere e del sapere erano collegate nella stessa matrice genetica.
La natura e l’occidentalismo
Tra gli osservatori del capitalismo in Europa, Lefebvre è l’unico che prende in considerazione il ruolo della
terra nel capitalismo europeo.
Una visione del capitalismo dai confini permette di far fronte a questa mancanza: questa prospettiva
permette di modificare la comprensione convenzionale del capitalismo sotto due aspetti fondamentali:
1.offre una maggiore comprensione del ruolo della natura nei processi di formazione della ricchezza;
2.estende gli agenti del capitalismo al mondo intero.
Anche dalla prospettiva marxista esiste la tendenza a sottovalutare i significati della materialità della
natura come fonte di ricchezza e a considerarla come una condizione necessaria per l’esistenza del
capitale.
Lo stesso Marx, riconosce il ruolo della natura nella creazione di ricchezza ma non sviluppa del tutto
questa idea.
Dal punto di vista dell’autore del saggio, la materialità delle merci non si può separare dalla loro capacità di
costruire e rappresentare la ricchezza.
Mettere la natura al centro della discussione permette di riconnettere gli attori sociali con i loro poteri e
tali attori possono così includere le popolazioni e le istituzioni che dipendono dalla mercificazione dei beni
intensivi di natura.
Fin dai tempi coloniali, la periferia è stata fonte di ricchezze naturali e di lavoro a basso costo.
Integrare la terra nella relazione capitale-lavoro permette di comprendere i processi che hanno portato
alla costituzione dell’Europa e delle sue colonie.
Questo cambiamento di prospettiva consente di apprezzare meglio il ruolo della natura coloniale e del
lavoro nella formazione transculturale della modernità.
Questo approccio converge con lo sforzo di interpretare la storia del capitalismo a partire dai confini
anzichè dai centri.
Un approccio che privilegia la relazione tra capitalismo e colonialismo ci permette di riconoscere i ruoli
svolti dal lavoro e dalla natura coloniale nella formazione del mondo moderno e da questo punto di vista il
capitalismo è il prodotto non solo dell’ingegno europeo ma anche del lavoro e della ricchezza naturale dei
territori coloniali controllati dagli europei.
In tale prospettiva la modernità appare come il risultato di transazioni transcontinentali il cui carattere
globale iniziò con la Conquista e la colonizzazione dell’America.
Le colonie sono state una varietà di culture di fronte cui l’Europa ha concepito se stessa come padrona
dell’umanità e questa superiorità si è plasmata in differenze biologiche indispensabili per l’autodefinizione
degli europei.
Da questa prospettiva il colonialismo è il lato oscuro del capitalismo➜l’accumulazione coloniale è stata un
elemento indispensabile nella sua dinamica interna e il lavoro salariato libero in Europa è la modalità
produttiva dominante, storicamente condizionata dal lavoro non libero delle colonie.
La globalizzazione e l’occidentalismo
A differenziare la fase attuale di globalizzazione non sono il flusso di capitale o il volume di commercio
transnazionale, ma un cambiamento nella concentrazione dei flussi finanziari, che ha portato a nuove
forme di integrazione globale con un’intensificata polarizzazione sociale all’interno delle nazioni e fra esse.
Per discutere su questi cambiamenti sono usate due fonti atipiche sulla globalizzazione.
1.Il rapporto (1997) della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo, che documenta il
crescente divario delle disuguaglianze mondiali. Questo descrive 7 caratteristiche problematiche
dell’economia globale contemporanea:
1.bassi indici di crescita dell’economia globale
2.divario sempre più grande tra paesi sviluppati e non sviluppati
3.ricchi che hanno guadagnato ovunque
4.la finanza ha guadagnato una supremazia sull’industria
5.la partecipazione del capitale in ingresso è aumentata rispetto a quella assegnata al lavoro
6.incertezza di entrate e di lavoro si è estesa in tutto il mondo
7.il divario tra lavoro specializzato e non si sta trasformando in un problema mondiale.
Il secondo documento ‘La quarta guerra mondiale è cominciata’ è un comunicato scritto in Messico da
Marcos, leader del movimento zapatista indigenista. Secondo Marcos la globalizzazione neoliberista deve
essere riconosciuta come una guerra di conquista dei territori.
Egli considera la Guerra Fredda come la Terza Guerra Mondiale, mentre come Quarta la globalizzazione
neoliberista.
Le Terza Guerra mondiale si è combattuta tra capitalismo e socialismo in territori del terzo mondo,
mentre la Quarta è un conflitto tra centri finanziari metropolitani e la maggior parte del mondo.
Questa Quarta guerra ha frammentato il mondo in tanti tasselli e Marcos ne seleziona 7 che assemblano il
rompicapo della globalizzazione neoliberista:
1.concentrazione della ricchezza e la distribuzione della povertà
2.globalizzazione dello sfruttamento
3.migrazioni
4.mondializzazione finanziaria e globalizzazione della corruzione e del crimine
5.legittima violenza di un potere legittimo (l’eliminazione delle funzioni di assistenza sociale hanno ridotto
lo stato in molti paesi a un agente di repressione sociale)
6.la Megapolitica e i nani sostiene che le strategie orientate all’eliminazione delle frontiere del commercio
e all’unificazione delle nazioni conducano alla moltiplicazione delle frontiere sociali e alla frammentazione
delle nazioni, rendendo la politica un conflitto tra megapolitica degli imperi finanziari e la politica degli
stati deboli
7.le sacche della resistenza, sostiene che in risposta alle concentrazioni di ricchezza e di potere politico
stanno sorgendo sempre più sacche di resistenza la cui forza risiede nella loro diversità di dispersione.
Entrambe le posizioni vedono la globalizzazione neoliberista come un processo messo in moto da forze di
mercato irregolari che polarizzano le differenze sociali sia fra le nazioni che al loro interno.
Mentre il divario tra nazioni ricche e povere aumenta, il benessere globale è sempre più concentrato in
poche mani e in questo paesaggio globale nè i ricchi possono essere identificati con le nazioni
metropolitane nè i poveri con il Secondo e Terzo mondo.
Questa disgregazione di vincoli collettivi nell’ambito della nazione indebolisce i paesi del Terzo Mondo. Nei
paesi con meno risorse, gli effetti polarizzanti del neoliberismo sono ingranditi da un crescente espatrio
del capitale, privatizzazione di industrie e servizi, fuga di cervelli e intensificazione dei flussi migratori. Le
tensioni sociali prodotte da questi processi conducono alla razzializzazione del conflitto sociale e
all’emergere di etnicità.
Per esempio, la repressione del Venezuela del 1989 durante la protesta contro il carovita e il programma
del Fondo Monetario Internazionale imposto dal governo di Perez, è stata giustificata come un discorso
civilizzatore che ha messo in risalto la presenza di pregiudizi razziali in un paese che si definisce una
democrazia razziale.
Un secondo esempio mostra come la globalizzazione neoliberista riesce a promuovere allo stesso tempo la
crescita economica e a intaccare il senso di appartenenza nazionale➜in Argentina la privatizzazione della
compagnia petrolifera nazionale ha provocato licenziamenti di massa e un aumento di profitti: questa
combinazione ha cambiato il modo degli argentini di relazionarsi al proprio paese.
Una risposta di settori subordinati alla marginalizzazione del mercato globalizzato è la crescente
economia locale informale: per molti che si trovano alla mercé delle forze di mercato e hanno poco da
vendere, il mercato prendere la forma di commercio di droga, contrabbando, sfruttamento sessuale, ecc.
L’espansione non regolata del mercato trasforma il mondo in un paesaggio di opportunità: alcuni paesi
sono visti come fonti di lavoro e risorse naturali. Il controllo di tecnologie sofisticate permette alle imprese
di intensificare la conversione della natura in merce e di catturare nuovi elementi per il mercato, come
piante medicinali o materiali genetici.
Anche le tecnologie avanzate possono essere usate non solo per scoprire prodotti naturali ma anche per
crearne altri.
Per molte nazioni l’integrazione delle proprie economie nel libero mercato ha portato a una maggiore
dipendenza dalla natura e all’erosione dei progetti statali di sviluppo internazionale.
L’aumento del turismo naturale e quello sessuale mostrano un legame tra l’ingresso della natura nel
mercato e la mercificazione non regolata di corpi e poteri umani e naturali.
Per certi aspetti possiamo considerare questo processo di ri-primarizzazione come una regressione alle
forme di controllo coloniali basate sullo sfruttamento di prodotti primari e di forza lavoro poco costosa.
Tuttavia sta avendo luogo in una cornice tecnologica e geopolitica che trasforma le modalità di
sfruttamento della natura e del lavoro.
Con la globalizzazione neoliberista la produzione non regolata e la libera circolazioni dei beni primari in un
mercato aperto richiede lo smantellamento del controllo statale.
Prima della globalizzazione neoliberista, gli stati postcoloniali cercarono di regolare la produzione di beni
primari. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, le nazioni del Terzo mondo utilizzarono i soldi ottenuti dai
beni primari statali per diversificare le proprie strutture produttive➜la produzione primaria è stata
assoggettata a un controllo interno. Ma mentre il mercato diventava il principio organizzativo della vita
economica, imponeva la sua razionalità alla società trasformando le merci in cose economiche, in
apparenza prive di vincoli sociali e significati politici.
Globocentrismo
Ci sono due processi che stanno spostando i vertici del potere imperiale dall’Occidente a una parte meno
identificabile del globo:
•la globalizzazione neoliberista, che ha omogeneizzato e astratto diverse forme di ricchezza;
•la deterritorializzazione dell’Occidente, che ha comportato una riterritorializzazione in un’immagine del
mondo che nasconde le reti transnazionali, finanziarie e politiche, socialmente concentrate ma
geograficamente diffuse, che collegano le elite metropolitane a quelle periferiche.
La trasparenza richiesta dai promotori del libero mercato non comprende la visibilità pubblica nè la
responsabilità relativa alle gerarchie di comando emergenti nel potere globale.
Questi due processi sono vincolati a un numero di trasformazioni culturali e politiche: l’immagine del
globo esclude la nozione di esterno, spostando il locus delle differenze culturali da altri popoli
occidentalizzati a popoli indefiniti e sparsi in tutto il mondo.
Le nazioni si sono aperte al flusso di capitale ma si sono chiuse alla mobilità dei poveri.
Negli anni futuri le nazioni continueranno a essere unità politiche fondamentali e fonte di immaginari
comuni ma i criteri culturali sovranazionali giocheranno un ruolo sempre più importante nella
riconfigurazione delle identità collettive.
La preoccupazione per gli effetti politici della povertà globale conduce a una riconcettualizzazione del
ruolo del mercato e degli stati.
La globalizzazione neoliberista evoca l’immagine di un processo non differenziato.
L’attuale egemonia della retorica della globalizzazione suggerisce l’esistenza di una modalità di
rappresentazione occidentalista, il cui potere sta nella sua capacità di occultare la presenza dell’Occidente
e di celare le frontiere che definiscono i suoi altri.
Il globocentrismo, come modalità dell’occidentalismo, si riferisce alle pratiche di rappresentazione che la
sottomissione delle popolazioni non occidentali implica; in questo caso però la sottomissione appare come
effetto del mercato.
A differenza dell’eurocentrismo, il globocentrismo esprime il persistere del dominio occidentale attraverso
strategie di rappresentazione che includono:
•la dissoluzione dell’Occidente nel mercato e la sua cristallizzazione in nodi di potere finanziario e politico
meno visibili ma più concentrati;
•l’attenuazione di conflitti culturali attraverso l’integrazione di culture distanti in uno spazio globale
comune;
•un passaggio dall’alterità alla subalternità come modalità dominante per stabilire differenze culturali .
La critica al globocentrismo nasce dal riconoscimento della connessione fra violenza coloniale e
postcoloniale. Così come la globalizzazione viene dopo il colonialismo, la critica al globocentrismo si basa
sulla critica all’eurocentrismo.
La globalizzazione neoliberista evoca l’uguaglianza e l’uniformità di tutti i popoli e culture. Essa funziona
come una modalità di dominio imperiale, ma, decentrando l’Occidente, la globalizzazione cancella le
differenze tra centri e periferie.
Le identità collettive si stanno costruendo attraverso l’articolazione di fonti di identificazione come la
religione, la razza, la classe, l’etnia, il genere e la nazionalità; ma adesso si avvalgono anche delle
informazioni provenienti dai discorsi universali sui diritti umani, dalle leggi internazionali, dall’ecologia, il
femminismo ecc.
Se i fenomeni locali non possono essere compresi fuori dalle condizioni globali in cui si sviluppano, i
fenomeni globali non si possono capire senza spiegare la natura delle forze locali che li alimentano.
La critica al globocentrismo dovrà saper riconoscere le differenze del mondo e mostrare le disuguaglianze
nella distribuzione del potere che inibiscono lo sviluppo della sua complessità culturale; dovrà smettere di
tollerare la distruzione della natura e il degrado delle vite umane di cui è causa il capitalismo.
La retorica della globalizzazione offre l’illusione di un mondo omogeneo che va verso il progresso; ma la
globalizzazione sta intensificando le divisioni dell’umanità e accellerando la distruzione della natura.
Sono possibili scienze sociali/culturali altre? Riflessioni sulle epistemologie decoloniali di Catherine
Walsh
In America Latina, le scienze sociali sono state parte integrante delle tendenze neoliberiste, imperialiste e
globalizzanti della modernità. Sono tendenze che collocano al centro la conoscenza scientifica
occidentale, negando i saperi locali basati su razionalità culturali verse.
In ciò entrano in gioco presupposti come l’universalità, la neutralità, il non luogo della conoscenza e la
superiorità del logocentrismo occidentale come unica razionalità per orientare il mondo.
A partire dagli anni 90 del 20° secolo, in America Latina si assiste a un consolidamento di queste premesse
durante l’affermarsi della globalizzazione neoliberista➜il canone eurocentrico occidentale torna ad
occupare la sua posizione di ambito principale di interpretazione teoria.
In contrasto con le iniziative iniziate negli anni 60 e 70 del 900, nel tentativo di rifondare le scienze sociali
critiche, oggi si assiste a un ritorno ai paradigmi liberali del 19° secolo e si evidenzia l’introduzione di una
nuova razionalità scientifica che nega il carattere razionale delle forme di conoscenza che non si basano
sui propri principi epistemologici.
Il problema non è riformulare le scienze sociali ma metterne in discussione i fondamenti: vuol dire
confutare gli assunti in virtù dei quali la produzione di conoscenza rilevante è solo quella accademica; vuol
dire anche rifiutare i concetti di razionalità che stanno alla base della conoscenza che nega le pratiche, le
soggettività e i saperi che non appartengono alla razionalità dominante.
Questa confutazione non sta nell’escludere questa razionalità ma nel rivelare le sue tendenze colonialiste e
imperialiste e il suo definirsi unica.
In tal modo è possibile mettere in discussione anche l’universalità della conoscenza scientifica che governa
le scienze sociali.
Analogamente, Leff solleva la questione del logos scientifico che vuole orientare la razionalità ambientale
sulla base di certe condizioni dell’essere.
Per ambiente, sostiene che si deve intendere il campo di relazioni tra natura e cultura, tra materiale e
simbolico, tra complessità dell’essere e del pensare, cioè quella forma di sapere che riguarda le strategie di
appropriazione del mondo e della natura attraverso relazioni di potere instaurate nelle forme dominanti
della conoscenza.
Tanto il sapere ambientale di Leff quanto la natura qui intesa, aprono le strade per comprendere e
affrontare il problema della conoscenza moderna-coloniale.
In queste due prospettive l’esperienza umana non può essere relegata solo all’ambito dell’applicazione
pratica e strumentale della conoscenza oggettiva. Questi campi segnano un’apertura in cui il precetto
epistemico-esperienziale centrale è che si giunga alla conoscenza a partire dal mondo.
Viceversa la prospettiva egemonica della modernità occidentale presuppone che si arrivi al mondo a
partire dalla conoscenza.
La questione ruota dunque intorno a diversi sistemi di pensiero e di costruzione della conoscenza.
Un’altra prospettiva critica all’egemonia della razionalità moderna occidentale si riflette nei processi
politici di cui sono protagoniste le comunità e organizzazioni indigene e africane dell’America latina.
Questi processi partono dalla razzializzazione delle gerarchie sociali, dal colonialismo, con l’esigenza di
affrontare le catene che non legano più i piedi ma le menti.
Una delle possibili strategie consiste nel partecipare a nuove iniziative di mobilitazione che si concentrino
sulla costruzione di epistemologie e modi di pensare propri.
Queste iniziative prendono in considerazione la produzione intellettuale-attivista di studiosi spesso
ignorati dalle scienze sociali nazionali e latino americane, che orientano le loro azioni e scritti verso i
processi di liberazione del proprio popolo.
Un esempio di come sia possibile potare le proprie epistemologie anche fuori casa nel contesto di studi
superiori è la proposta dell’Universidad Intercultural Amawtay Wasi de las Nacionalidades y Pueblos
Indigenas de Ecuador, pensare ispirandosi alla filosofia Abya Yala.
Amawtay Wasi spiega che il suo compito principale è creare uno spazio di riflessione che proponga nuove
forme per concepire da costruzione della conoscenza e potenziare i saperi locali.
A partire da quest’esempio possiamo visualizzare un ‘progetto altro’ di educazione universitaria che abbia
come punto di partenza una logica radicata nella comprensione e nell’uso della visione del mondo e della
teoria filosofica di Abya Yala, il cui principio chiave è la relazionalità e l’interconnessione tra tutti gli
elementi della madre terra.
Questa relazionalità implica l’assunzione di una prospettiva epistemica e socio-culturale in grado di
riflettere l’unità della diversità, della dualità complementare e la reciprocità.
A partire da questa prospettiva Amawtay Wasi tenta di sfidare la frammentazione interna al rapporto
sapere-essere-natura caratteristica della razionalità scientifica occidental, cenrcando la complementarità,
la decolonialità e la promozione di un dialogo interculturale permanentne tra razionalità diverse.
Il fatto che questa prospettiva sia vista come parte del progetto politico del movimento indigeno evidenzia
una pratica dell’interculturalità che differisce da quella associata alla stato e alle sue politiche educative e
sociali. In tale contesto, interculturalità è un paradigma di rottura nella prassi politica e nella costruzione
di un mondo più giusto.
Un’ultima prospettiva è quella del Dottorato di Studi Culturali Latinoamericani dell’Università Andina
Simon Bolivar in cui il tema centrale ruota intorno al problema delle geopolitiche della conoscenza, cioè
alla relazione tra conoscenza, modernità e colonialità.
Questo programma di dottorato è diventato uno spazio di riflessione collettive sul problema della presunta
universalità delle scienze umane e sulla realtà latinoamericana nel quadro capitalistico dell’imperialismo
neoliberista e globale.
Ricercare e lavorare per delineare spazi altri di analisi, intervento e produzione di conoscenza ha
rappresentato una parte centrale del programma.
I processi delineati hanno comportato la risignificazione degli studi culturali latino americani: questi si
identificano con un progetto culturale orientato al ripensamento critico e interdisciplinare, alle relazioni
tra cultura potere politica ed economia e ai problemi che riflettono l’odierna logica multiculturale del
capitalismo transnazionale.
Gli studi culturali rappresentano una forza che si oppone alle tendenze dominanti nelle università
latinoamericane, che vogliono reintrodurre le prospettive eurocentriche dle sapere.
Dunque, questi studi culturali riflettono anche l’interesse nel pianificare, partendo dall’America latina,
progetti con l’obiettivo di produrre forme di conoscenza che oltrepassino i confini stabiliti dal
neoliberismo e dalla modernità.
Riflessioni conclusive
Escobar ha sostenuto che l’obiettivo del lavoro intellettuale consiste nell’immaginare soluzioni innovative
che si fondino sulla pratica degli attori sociali di maggiore rilevanza epistemologica e sociale.
Come affermati da Juan Garcia bisogna prendere in considerazione le conoscenze che sono state ritenute
non-conoscenze, cioè mettere in discussione in concetti per cui sono state foornite risposte a domande
come: cos’è la conoscenza? qualè lo scopo? Infine bisogna mettere in discussione l’utilità delle teorie
eurocentriche per la comprensione della condizione coloniale del passato e del presente.
Allo stesso modo è necessario considerare la collocazione di pensieri e conoscenze altri, interi come
pensieri e conoscenze ulteriori che tengano in considerazione le diffferenze coloniali; pensieri e
conoscenze accomunati dall’esperienza del colonialismo e segnati dall’orizzonte coloniale della modernità.
Rodolfo Stavenhagen pubblicò un testo chiamato Como descolonizar las ciencias sociales?. Egli era
interesssato a un ripensamento delle scienze sociali non a partire dalle forme dominanti
dell’organizzazione sociale della sua epoca, quanto piuttosto come uno spazio di espressione delle
contro-correnti radicali e della coscienza critica.
Secondo lui, la cponoscenza prodotta dallo scienziato sociale puo diventare uno strumento per il
cambiamento che permetta a coloro che non hanno potere prima di mettere in discussione e poi cambiare
il sistema esistente.
Nella lotta per la decolonialità del potere ciò di cui hanno bisogno igruppi indigeni e i discentendi degli
shciavi africani è una svolta diversa che inizi dalla lotta della decolonialità in modo da rendere palese la
complicità tra modernita e colonialità, come segno distintivo che continua a organizzare e orientare le
scienze e il pensiero accademico intellettuale.
Secondo la filosofia delle popolazioni di Abya Yala stiamo entrando in una nuova era della chiarezza.
La SECONDA tesi è che il pensiero di confine emerge soprattutto dalle risposte epistemiche e
anti-imperiali date dai popoli alla differenza coloniale.
Il discorso egemonico ha costruito l’altro in virtu di questa differenza coloniale, classificandolo come
inferiore.
Queste eprsone rigiutano di essere geograficamente chiese, soggettivamente umiliate. Perciò la
decolonizzazione anziche favorire la gestione di tipo imperiale e l’accumulazione del sapere, lavora per la
legittimazione e l’emancipazione dei diversi livelli dall’oppressione in direzione dell’indebolimento di quei
presupposti sulla base dei quali il potere imperiale si radica e agisce.
In secondo luogo anche dalla differenza imperiale è possibile che emerga il pensiero di confine. E’ possibile
che esso emerga dallo stesso meccanismo della differenza coloniale, dove però applicato a persone in
condizioni socioeconomiche simili a quelle di coloro che occupano posizioni dominanti.
Tra il 16° e 17° sec, il discorso occidentale cristiano gettò le basi della differenza imperiale con l’impero
russo e quello ottomano. L’impero russo e quello ottomano avevano un occhio puntato verso gli imperi
occidentali dominanti e capitalistici e l’altro verso le loro stesse colonie.
Il pensiero di confine si configura in rapporto alla geopolitica e alla corpo-politica del sapere e fa domande
tipo: quali sono i rapporti tra collocazioni geostoriche ed epistemologia, da un lato, e tra identità ed
epistemologia dall’altro?
Il pensiero di confine offre diverse alternative ,ma tutte hanno un tratto in comune: il modo in cui le
persone nel mondo affrontano l’espansione occidentale quando non vogliono essere assimilate ma
vogliono scegliere di immaginare un futuro che sia inventato da loro e non dagli imperi.
Il pensiero di confine e l’opzione decoloniale non possono ridursi a un’astrazione universale che
raèppresenti una risposta a tutte le esperienze, le violenze e memorie geostoriche.
Non esiste una pluri-versalità dalla prospettiva della teopolitica e dell’egopolitica della conoscenza.
La pluriversalità è possibile solo con il pensiero di confine, ovvero con uno spostamento della geografia
della ragione verso la geopolitica e la corpopolitica della conoscenza.
Geopolitica e corpopolitica sono un’inversione dislocata della teopolitica e dell’egopolitica del sapere.
Inversione perche si assume che nel processo di consocnez ae comprensione le qualità secondarie non
possano essere eliminate.
Le qualità secondarie che contano sono da un lato le storie locali coloniali subordinate alle storie locali
imperiali e dall’altro le soggettività coloniali.
LKe soggettività coloniali sono la conseguenza dei corpi razzializzati, dell’inferiorità che lòa
còlassificazione imperiale ha assegnato a ogni corpo che non entra nei criteri di sapere stabiliti per gli
uomini bianchi e europei.
La prospettiva geopolitica e corpopolitica tenta di affrancarsi dalla dipendenza dai legami di tipo
imperiale.
Ciò che appare necessario è cambiare l’orientamento della geografia e della biografia della ragione.
L’inversione decoloniale e interna al pensiero occidentale moderno sono posizioni inconciliabili. Ciò è
osservabile in un confronto tra teorie occidentali e radicali non occidentali ispirate al confien come
collocazione geostorica e corpopolitica.
Se nella storia dei confini segnata dalle differenze coloniali l’opposizione all’impero è chiara, nella storia dei
confini, l’assimilazione e il desiderio di diventare come l’occdiente o la competizione hanno avuto la
precedenza rispetto al tentaivo di decolonizzare i saperi.
In generale, le condizioni per lòa decolonizzazione semprano essere piu favorevoli nelle colonie e ex
colonie, o nei casi di imperi che sono stati ridotti a colonie.
L’ex secondo mondo vive sul confine o al suo interno e anziche il pensiero di confine vi troviamo dei
modelli intermedi (impero ottomano, russia/urss, europa centrale e sudorientale). Anche le differenze di
queste collocazioni geostoriche rispetto all’occidente sono confuse e instabili, e ciò rende difficile
concettualizzzare tali configurazioni sia dal punto di vista occidentale che da una prospettiva
non-occidentale radicale.-
Ancora piu difficile è concettualizzare queste dimentisioni imperiali e sub imperiali dalla prospettiva del
popolo il cui immagianrio è stato colonizzato dal pensiero occidentale e distorto da un eurocentrismo di
second’ordine, incapace di analizzare la sua doppia coscienza.
La doppia coscienza, concettualizzata dal sociologo Dubois, è il fondamento logico del pensiero di confine.
La coscienza imperiale è sempre territoriale e monotopica, il pensiero di confien è sempre pluritopico e
generato dalla violenza delle differenze coloniali e imperiali.
La critica imperiale interna assume come veri gli universali astratti. La doppia coscienza emerge dalle
esperienze di persone che sono stati costruite e classiticate dallo sguardo imperiale/nazionale
Se il pensiero di confine è la condizione del dominio imperiale/coloniale, il pensiero crticio di confine è la
condizione imperiale coloniale trasformata in progetti epistemici e politici di decolonizzazione.
Hegel, Marx e Kant, la loro epistemologia e adesione a parametri universali imediva loro di vedere la
soggettività dell’altro e di riconoscere l’altro interno come soggetto.
Comprendere le ragioni per cui un russo in europa si sente di essere uno scarafaggio, mentre un turco che
compra un cappotto in un negozio francese sta di fatto comprando un sogno europeo, era bel oltre la
portata di questi pensatori.
Oggi la scissione dell’altro interno è espressa nella gerarchia dell’alterità: da un lato l’ex secondo mondo è il
migrante inderiderato e minaccioso, dall’altro l’occidente sorveglia i suoi confini contro l’immigrazuione
indesiderata dalle repubbliche ex sovietiche e del terzo mondo.
In ogni caso, quando il pensiero di confine non riesce a emergere, le alternative sono la competizione,
l’assimilazione o la resistenza senza una visione del futuro.
Ma se le differenze pistemiche imperiali e colonaili crano la condizione perl’emergere del pensiero di
confine, esse non possono determinarlo. Nella struttura gerarchica del mondo moderno/colonaile
possono essere identificati 4 tipici di pricipali rapporti di dipendenza:
-l’atteggiamento oppositivo, che consiste nel rigiuto dell’espistemologia occidentale e in una soggettività
basata sulla difesa fondamentalista di lingua religioni, saperi ecc
-l’atteggiamento assimilazionista, che consiste nel voler diventare come l’altro superiore e al prezzo di
alienarsi nell’altro iperiale
-la competizione nell’ambito delle regole del gioco capitalistico o l’adattamento senza assimilazione
-il pensiero di confine e il pensiero critico di confine, che consistono nell’incorporazione dei contibuti
occidentali nella diverse sfere della vita e della conoscenza all’interno di un progetto epistemico e politico
che consolida la differenza a cui la maggioranza della popolazione del mondo è stata assoggetatta durante
i 500 anni di espansione che ha avuto le sue conseguenze sulla formazione di soggettività divise.
I rapporti di dipendenza sono stabiliti attarverso le differenze imperiali e coloniali rispetto all’immagine
europea. Si tratat di condizioni storiche diverse, dalle quali le posizioni di confine possono svilupaprsi
come progetti attivi di decolonizzazione, sia epistemici che politici a partire dalle esperienze vissute di
diverse comunità.
ùLe interconnessioni tra luoghi geostorici ed epistemologia da un lato, e le configurazioni epistemiche di
genere e corpo-razziali dallaltro, riproducono la dislocazione inversa che descriviamo come geopolitica e
corpo-politica del sapere.
Il pensiero di confine necessita di una genealogia propria, senza di esse, riamrrà un appendice
dell’epistemologia imperiale occidentale moderna e le varianti della sotira della civilizzazione occidentale
continueranno a essere raccontate dalla prospettiva imperiale.
Se il pensiero di confine nascerà nell’ex secondo mondo, questo processo non potra che accadere nei
luoghi coloniali e ex coloniali degl iimperi subalterni, tra i popoli multi-marginalizzati.
Il caucaso e l’asia centrale, i greci, i kurdi ecc sono lacerati dalla contrapposizione tra l’originale della
cultura occidentale e le sue brutte copie degli imperi subalterni, a cui si aggiungono le loro tradizioni
etniche native.
Per tale ragione, la moltudine è mobilitàt piu da un desiderio di assimilazione all’occidente che da un
impegno a immaginare un futuro possibile al di là delle opzioni offerte dal comunismo e dal liberalismo e
dalle loro conseguenze storiche.
In nord africa, un filosofo marocchino Mohammed Al-Jabri ha sollevato una questione: i filosofi musulmani
del passato fondarono la loro filosofia sulal fisica di aristotele. Descartes costruì la propria fisica su quella
di galileo che a sua volta era costruita su quella di aristotele. Cosa successe nell’internvall odi tempo
intercorso tra Ibn-Rushd, che porto il pensiero musultamo alla sua razionalità e rene descartes?
Ibn-Rushd ebbe una profonda influenza su quello che sarebbe diventato in pensiero europeo almeno fino
alle orgini della filosofia moderna e della scienza sperimentale. Perche allora da descartes in poi la linea
epistemica ha cancellato i contributi musulmani al pensiero umano?
E’ sufficiente ricordare come opere prima di Descartes quelle di erasmo da rotterdam.
Fu uno dei principali artefici dell’estromissione di Ibn-Rushd dalla memoria della spagna cristiana.
Rushd fu sradicato dal progresso del pensiero umano e descartes sottoscrisse un pensiero fondato su
Galileo e Aristotele, mentre Kant fece lo stesso rimpiazzando galileo con Newton.
Reindirizzare questa storia e contribuire a un mondo pluriversale nel quale molti mondo possono
coesistere è uno dei compiti del pensiero critico e dell’opzione decoloniale.
Il predominio della cristianita occidentale e del liberalismo secolare hanno finito per generare
assimilazione e apartheid. Durante l’epoca dell’Unione sovietica, il comunismo haa messo in atto nei
confronti delle colonie sovietiche la stessa logica di colonialità degli imperi occidentali.
Il pensiero di confine e l’opzione decoloniale ci permettono di immaginare vie d’uscita dal confronto tra la
promozione occidentale con i suoi disegni globali e l’impero russo/sovietio con le sue colonie da un lato e
l’eredita islamico-ottomane nel mediooriente dall’altro.
Il pensiero di confine al crocevia tra storie locali e disegni globali
Uno dei punti di vista comuni sulla modernita e sulla globalizzazione concepisce la prima in
contrapposizione alle modernita alternative e la seconda in contrapposizione alla dimmensione locale.
La realta presunta vede la globalizzazione muoversi in direzione delle periferie.
Le nostre tre tesi contestano le visioni che contrappongono il globale al locale e una modernita a delle
modernita alternative.
Nel primo caso la distinzione globale-locale è basata su un’epistemologia territoriale e non di confine, che
assume il globale come emanazione dell’europa occidentale e degli Usa verso il resto del mondo.
In questo senso la globalizzazione è vista come una serie di processi che danno origine a risposte e a
reazioni da parte di coloro che difendono le culture autentiche.
Le nostre tesi assumono al contrario che le storie locali si trovino ovunque ma il problema è che non tutte
le storie locali si trovano in una posizione tale da poter concepire e mettere in atto disegni globali. La
maggior parte ha dovuto fare i conti con una crescente diffusione di disegni globali imperiali di ogni
genere (religiosi, politici, economici, linguistico-epistemici e culturali).
La colonialita del sapere e dell’essere creano le condiizoni per il pensiero di confine, per l’opzione
epistemica decoloniale diretta alla decolonizzazione del sapere e dell’essere.
L’opzione epistemica decoloniale è geopoliticamente e corpo politicamente orientata proprio in direzione
dei conflitti imperiali tra i disegni globali che estendono le forme di conoscenza e di soggettivita dalle
storie locali da cui sono emerse a quelle rispetto cui sono aliene.
Da qui la seconda conclusione e risposta all’emergere dell’idea di modernita alternative: l’idea stessa di
modernita alternative ha senso solo da una prospettiva epostemologica eurocentrata, cioè
dall’epistemologia del punto zero, che storicamente prende i nomi di teologia e egologia.
Dalla prospettiva del pensiero di confine e dell’opzione decoloniale, l’idea di modernita alternative è gia
incorporata nell’idea eurocentrica di modernita.
Dal punto di vista di un’epistemologia di confine, c’è bisogno di alternative alla modernita.
Il pensiero di confine è un modo di procedere verso l’opzione decoloniale. Questa consiste nel distaccarsi
dalla tirannia epistemica teologica e egologica nel mondo moderno: la colonialita del sapere e dell’essere.
Il pensiero di confine propone un modo di affrontare la sedimentazione imperiale liberandosi
dall’incantesimo della modernita imperiale.
L’opzione epistemica decoloniale mira a processi di decolonizzazione del sapere e dell’essere.
Decolonizzare è un modo di avvicinarsi all’idea che un altro mondo è possibile.
Quel mondo sara un mondo nel quale molti mondi coesisteranno.
L’archivio in rovina
Anche se gli stati europei cercassero di stabilire la propria autorita nella singolarita della nazione, la loro
rivalita rimane coloniale nello scontro continuo per il bottino del pianeta. Decolonizzare questa eredita
non significa prestare attenzione alla cosiddetta periferia coloniale di ieri.
I politici occidentali moderni credono di poter uccidere altre perosne reali in posti lontani senza che la
stessa cosa accada a noi e senza alcuna sofferenza fisica o morale da parte nostra. E’ in quetso senso che
l’urgenza di una prospettiva postcoloniale non è solo quella di salvare storie dimenticate e vite negate, per
poi aggiungerle alla narrazione storiografica precedente. Le altre voci e visioni che arrivano dai cosiddetti
margini della modernita promuovono una netta sfida epistemologica.
L’esercizio della neutralita scientifica e della distanza critica si disgrega in uno spazio planetario in cui il
potere espone una provenienza geopolita, una serie di programmi culturali, una volonta storica.
E’ attarverso questa complessita eterogenea che l’egemonia è riprodotta.Il suo modo dinarrare anche
quanto puo essere liberale e multiculturale, tende a escludere strutturalmente qualsiasi cosa che cerchi di
sfidare il modo di riconoscere se stesso mentre registra gli altri.Pensa di essere una macchina di
traduzione che funziona solamente in una direzione. Questo è cio che l’antropologo periviano Anibal
Quijano chiama la colonialita del potere che diviene conoscenza. Gli elementi storicamente ereditati
possono essere ri assemblati oslo in una configurazione in cui i vecchi bianri del sud e del nord si
allontanao per essere sostiutit da un insieme di relazioni piu eterogenee e sobrapposte.
L’eredita coloniale non puo essere cancellata. Si tratta dell’emergente assemblaggio di cio che è stato
subordinato o escluso dall’inquadramento e dalle spiegazioni della modenrita attuale. Cio implica
imepgnarsi in spazi e pratiche che propongono altri ritmi e ragioni. Loro esistono e persistono all’interno
di quella stessa modernita come una ferita; è quello che l’altropologo Tarek Elhaik definisce l’immagine
incurabile
Oltre i confini
Riconoscere l’irriducibilita del mondo ad un singolo quadro o ad una spiegazione unica promuove la
centralita della questione della traduzione. Nonostante la sua presa globale, il dispositivo occidentale si
rivela topos regionale e provinciale. Questa prospettiva non si limita ad essere parte di una critica
dell’egemonia occidentale. Puo anche essere tracciata nella stessa lingua della produzione della
conoscenza e della cultura accademica associata.
Queste pratiche accademiche spesso continaumo con modalita argomentative disciplinate dalla
sequenzialita razionale del linguagggio, sorreggendo illusioni conclusive della trasparenza. Qui il sapere
scientifico è spesso sinonimo di liberalismo accademico. La cultura scientifica è ambigua se si considera in
termini di egemonia politica e culturale. Tuttavia, registrare e lavorare su qeusti limiti nel linguaggio
critico impiegato significa violare una struttura di senso che è così approvata nelle pratiche che
sostengono e riproducono questa logica limitata come la misura unica della verita. In un altro contesto-
quello del mondo musulmano contemporaneo- l’asservimento a questa logica è stata identificata come
‘schiavitù intellettuale’.
Contestare questa situazione significa considerare la ridistribuzione delle risorse e della conoscenza in
una maniera che supera la loro riproduzione dell’assetto attuale.
Passare ad altre lingue per la comprensione critica implica anche seminare dei dubbi sulel procedure e le
premesse di quei resoconti disciplinari della modernita che promettevano, attraverso il positivismo e lo
storicismo, di render eil mondo riducibile alla nostra volonta.
Tale positivismo promuove la passivita politica e una critica che sostiene lo status quo. Non è un caso che
oggi la neutralita delle scienze sociali si ricongiunga alle pretese universali di neoliberalismo unilaterale e
della sua particolare pedagogia pubblica. Entrambi credono che il mondo possa essere controllato e
indagato per produrre una conoscneza traducibile negli algoritmi dell’informazione.
L’educazione come bene pubblico è sostituita dall’apprendimento come investimento in capitale cognitivo.
Insistere su un interrogativo critico verso questa situazione vuol dire diffondere disturbi e disordini. In
questo scenario la conoscenza critica dienta un problema, persino un attivita sovversiva.
Tutto cio porta a considerare come la cultura istituzionale, la sua produzione e custoria della conoscenza,
non sia l’unico modo di comprendere criticamente il mondo contemporaneo. Ci sono altre lingue che
sondano lo stesso spazio e ne producono altre. Quando il linguaggio opera nel buio, rifiuta di
razionalizzarsi e insiste sul significato prodotto dal suo passaggio ed è allora che viene a prodursi un varco.
Nel registrare la sovra-determinazione dei protocolli intellettuali e il loro disciplinare e autorizzare cio che
è considerato legittimo e cio che non lo è,l’intreccio di coscienza e potere si traducono in un altro spazio.
Rispondere alle crepe nella macchina scientifica signifca rendersi conto di come le categorie sedimentate
nella sua costituzione e le premesse disciplinari della sua sociologia e storia spesso rimangano fuori dalla
conversazione critica. Questi intrecci partecipano direttamente all’idea che il resto del mondo possa
venire alla luce solo attraverso le categorie occidentali.
L’intenzione qui non è certo quella di cancellare questa eredita complessa, ma di ridistribuirla in uno
spazio critico piu ampio che eccede e sfida la sua presunta autorita. Per coloro che in Africa, Asia e Medio
Oriente si confrontano con la macchina accademica occidentale, i suoi limiti linguistici e culturali seganno
profondamente la sordita epistemologica dell’orecchio europeo.
Restiamo a lavorare all’intenro questa tradizione ma questo significa attraversarla, traducendo campi e
competenze ereditati in pratiche piu problematiche; significa insistere su processi inconcludenti piuttosto
che su verita epistemologiche e istituzionali. Ci sono altri mod idi scrivere e narrare, altre conoscenze, che
sfuggono ai linguaggi e bramano la certezza. Tenendo cio a mente possiamo comprendere meglio la
distinzione tra emancipazione e liberta. La liberta si ottiene anche sfuggendo ai termini proposti dai poteri
dell’emancipatore. Nessuno sta davvero aspettando d essere emancipato, tutti cercano di essere liberi. Per
sottolineare questo punto, si tratta di cercare di capire le conseguenze politiche e storiche della
configurazione del mondo che il migrante mette in atto e espone per vivere e sopravvivere.
Ci confrontiamo con l’archivio coloniale che ha reso la migrazione e la guerra centrali alla modernita.
A questo punto il colonialismo risulta irriducibile a un’istanta cronologica o a un fenomeno storico
distaccato dal presente. Il colonialismo continua a promuovere i processi che sostengono il momento
attuale. Mentre l’impresa intellettuale subisce pressioni dal mandato neoliberale che ci chiede di renderci
trasparenti al mercato, anche il suo particolare debito nei confrotni delle questioni oscure di un
particolare ordine di potere capitalistico e conoscenza coloniale è sempre piu difficile da confutare.
La crisi dell’universita è oggi intrappolata tra la ricerca dell’autonomia del lavoro critico e l’essere ridotto a
certificare competenze strumentali che rispecchiamo i linguaggi e le logiche egemoniche dell’economia
politica del presente.
Lingue scatenate
Partendo dalla critica della macchina della conoscenza occidentale, suggerisco di considerare la potenziale
intrusione e interruzione introdotte dalla musica e dalle arti visive nell’aiutarci a liberare il linguaggio e le
conoscenze esistenti dalla loro struttura attuale. Queste pratiche producono tagli nel tttempo dove la
linearita istituzionale e il ragioanmento consequenziale non riescono a concludersi. Anche queste pratiche
possono essere assorbine nei circuiti del capitale e della politica neoliberista.
Eppure qualcosa sopravvive anhe all’interno di questi scambi punitivi. Tali pratiche creative insistono
sull’esistenza di altre narrazioni, altre lingue che coesistono tra le pieghe di una logica cosi imperiosa.
Questi linguaggi d’arte rielaborano il bagaglio dell’estetica europea del bello per una configurazione dei
sensi piu turbolenta.
Questa discussione ha a che fare con il potere e con la politica dell’immagine. Qui le pratiche di
rappresentazione ci forniscono un’occasione di riflessione. Si è verificato uno spostamento storico
nell’arte e nell’estetica moderna del testo e oggetto d’arte singolare, dove l’interpretazione si basa sulla
linearita di una narrazione sia nell’esecuzione che nella spiegazione al colalge, sia visivo che acustico.
Nel secondo caso, il senso è sospeso e sostenuto nell’istanza affettiva del montaggio del mix.
La verita è l’ nell’immagine che supera sia il punto di vista individuale sia la storia che pensa di spiegare e
regolare.
Registare la musicalita della narrativa e della memoria significa toccare la complessita di un insieme
stratificato di linguaggi e di estetica in contrasto con la chiarezza di un’immagine o di un’espressione ben
definita. Un simile stile di memoria è politico.
Le avanguardie artistiche europee nel rispondere alla riproduzione tecnologica, alla mobilita e alla
mutazione dell’immagine nella fotografia e nel cinema, avevano spesso attinto alla periferia coloniale per i
propri espriemnti nei loro linguaggi.
Le lingue della metropolo non solo sono state ripetute, rielaborate e rinnoate negli spazi coloniali di ieri:
america latina, caraibi, africa sub-sahariana, australia aborigena. Ma hanno anche sempre incontrato
contro-proposte e tradizioni locali che hanno tradotto delle tracce interne e esterne in nuovi spazi.Questo
significa riconoscere un cambiamento nell’apparato interpretativo. La storia stessa viene esposta a un altro
modo di raccontare.
Qui contro la portata universale e atratta del pensiero, il corpo irrompe nel quadro. Contrassegnato dalle
articolazioni di luoghi, genere e razza, etnia e sessualita, questo è un corpo che rifiuta di rimanere fermo e
di essere cofinato in una fascia assegnata dal regime politico e culturale esistente.
L’apparato occidentale che ha stabilito tali categorie attraverso i protocolli disciplinari di etnografia,
antropologia, sociologia e scienze poltiiche non è in grado di contenerlo nella gabbia sterile della
scientifictia. Tale logica è ‘queered’, resa estranea a se stessa. Il famoso rifiuto di Frantz Fanon di negare la
sua umanita in questa oggettivita (‘guardate, un negno!’) ci trascina verso il nucleo violento di una cultura
in cui la subordinazione attarverso il patriarcato, la razza, il razzismo, emerge come aprte essenziale della
metodologia che mantiene l’attuale ordine gerarchico del mondo. Dietro la maschera dell’universalismo
tale cultura continua a rifiutare di considerare le premesse territoriali e storiche che autorizzano la sua
voce e conoscenza.
La voce interrotta
Ai margini di questo spazio critico inizia un viaggio verso la decolonizzazione delle metodologie e lo
smontamento delle autorita disciplinari. Interrogare la reale costituzione di cio che passa per conoscenza
come minimo richiede d’interrogare la sintassi della comprensione esistente. Tale lessico concettuale è
costretto a rapportarrsi a un modno composto anche da altri ritmi e dai tempi di altre tradizioni e
traduzioni.
L’algebra del potere che produce la consocenza e la sotria universale accreditate, mentre discretano altri
mod idi sapere come locali e indigeni, sono i poteri che formano e disciplinano il mondo in modo che le
sue coordinate mentali e materiali diventino tutt’uno. Se siamo disposti a riconoscere che ci sono altri
modi di abitare queste categorie e queste pratiche, allora dobbiamo anche riconoscere che l’attuale
economia della conoscenza poggia su una disposizine di poteri precisi e precari.
Se quelle pratiche e istituzioni sono state foriere di pensiero critico, oggi tale possibilita viene sempre piu
chiusa in nome dell’efficacia dei costi, della resa univoca della rendicontazione, della valutazio9ne del
mercato e del prodotto culturale.
Qui l’unica critica presa in consideraizone è quella che non critica; l’unica obiezione è quella consensuale,
l’unica alternativa è l’approvazione.
Questo scenario scuro dei poteri del capitalismo, suggerisce una mossa critica che potrebbe salvare
l’archivio occidentale e la sua formazione culturale da quel destino. Contro una comprensione lineare
dell’accumulazione del capitale culturale con cui l’occidente cerca di mantenere il proprio potere, altre
forme di sapere non possono più essere subordinate o colonizzate. Nel riconoscere la loro presenza
storica rifiutata all’intenro della costruzione della modernita arriviamo a considerare delle ricondifurazioni
che propongono un’altra costelalzione critica.
L’autorita del linguaggio egemonico si trova davanti alla sfida della traduzione e alla perdita necessaria per
rinegoziare il suo percorso in un modno che non rispecchia solo se stesso. Tale linguaggio deve semrpe
rielaborarsi alla luce di cui che supera la sua portata.
Nella calligrafia del pensiero e delle pratiche critiche associate. la scrittura non è mai solo il mezzo di una
comunicazione razionale e trasparente. Lo stesso gesto di registrare il tempo e lo spazio demarca un
confine che è parte integrante dell’atto di articolazione.
Nella materialita ereditata del mondo rimane semrpe un’apertura su un futuro che deve ancora venire. Da
qui emerge la richiesta di smontare l’impalcatura epistemologica che abbiamo ereditato e tradurla altrove.