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Positivismo e nascita della sociologia

Esponenti del romanticismo tedesco storicizzano concetti di: •popolo


•stato
•società civile
che vengono ripresi da Edmund Burke, Joseph de Maistre e Luis de Bonald.

Burke: “Riflessioni sulla rivoluzione francese” (1790), in cui critica razionalismo illuministico, i cui ideali non
tengono conto della complessità umana.
A progetto di rivoluzione francese contrappone Costituzione Inglese, basato su:
•tradizione
•costumi
•istituzioni concrete formate attraverso i secoli
Elementi romantici che ritroviamo in Burke:
•rivalutazione di tradizione storica e sentimenti
•diffidenza verso la ragione
•rifiuto delle macchine nate con lo sviluppo delle tecniche e industrie
•progresso legato all’affermarsi dell’unità organica (nazione).

Maistre: guarda nella storia l’opera della volontà divina che si afferma attraverso i secoli.
Esalta il patrimonio della tradizione, fondata su una concezione assolutistica dell’autorità.
L’uomo deve essere governato da una potenza che derivi da Dio➞ nell’opera “Du pape” (1819)
propone modello teocratico in cui il
Papa è il capo.
Anche Maistre è animato dall’idea di una riforma delle anime che pone più importanza al collettivo che
all’individuale.

Bonald: propone rinnovamento dell’umanità dando importanza alla disciplina che deriva dalla legge e
all’autorità delle istituzioni politico sociali.
Distingue 3 tipi di autorità: •dei fatti oggettivi, che troviamo nella scienza e nella parole di
Dio
•della società, in cui ci sono le verità politiche e morali
trasmesse dalla tradizione
•del potere spirituale della Chiesa, riferendosi alla verità della
fede
La conoscenza razionale è vista come inferiore alla conoscenza del sentimento, espressa dalla coscienza
collettiva.

All’epoca di Napoleone il romanticismo e lo spirito religioso furono promossi grazie a 2 opere:


•”Le génie du Christianisme” (1802) di Chateaubriand: connotazione estetica e sentimentale
dell’interpretazione romantica del cristianesimo. Apprezzata da Napoleone.
•”De l’Allemagne” (1810) di Mme de Stael: esaltazione del sentimento, dei valori morali della tradizione
religiosa protestante e dell’idea di nazione. Censurata perchè promosse in Francia la conoscenza di opere
e autori di romanticismo tedesco.

Lo sviluppo industriale iniziato nel 700, continua tra 1790 e 1840, soprattutto tra Inghilterra, Francia, Stati
Uniti e Germania. Si consolida la classe borghese imprenditoriale e finanziaria e si forma la classe di operai
industriali
⤷in questo clima si diffonde il positivismo, che privilegia le scienze naturali come fonte
di conoscenza.
Il positivismo si diede l’obiettivo di riorganizzare le unità del sapere, ponendo al centro del dibattito il
ruolo della scienza verso le questioni etiche e politiche del periodo, nate con la Restaurazione.
Attento al processo di sviluppo della prima fase della società industriale è Claude-Henri de
Saint-Simon➞di famiglia nobile, rinnegò le sue origini e organizzò una società fondiaria per
speculare sui beni del clero messi a disposizione dall’Assemblea Costituente.

Nel 1793 fu incarcerato dal Comitato di Salute Pubblica e nel 1794 liberato e
riprese le speculazioni fondiarie creando una grande impresa di trasporti pubblici;
quando fu liquidata ricominciò a leggere Montesquieu e Rousseau.
Le sue prime opere: “Lettere di un abitante di Ginevra” e “Schizzo di un nuovo piano di organizzazione
sociale” rivelano fede nella scienza di tipo illuminista.
Influenzato anche dalla religione e formula un piano organico di una religione di Newton in cui i sacerdoti
sono gli scienziati.
⤷nell’ “Introduzione ai lavori scientifici del 19° secolo” (1808) considera le religioni come
schemi di una scienza primitiva e non come superstizioni.
Considera il progresso come un succedersi di fasi alterne➞periodi in cui si alternano fasi
organiche e periodi critici.
Saint-Simon si distanzia dall’Illuminismo con la “Nuova Enciclopedia” (1810), in cui si dovrà costruire l’unità
del sapere umano estendendo la teoria di Newton al mondo dello spirito.
“Memoria sulla scienza dell’uomo” (1813)➞formula concetto di fisiologia sociale: analizza il
corpo sociale nel suo insieme.
•La società è un’entità che cresce nel tempo e che
deve essere studiata nelle sue manifestazioni specifiche
•La fisiologia sociale è anche scienza della libertà e la
dinamica sociale è caratterizzata dall'alternanza di forza
dell’abitudine e desiderio del nuovo.
Tra il 1816-18 pubblica la rivista “L’industrie” in cui esalta attività economica e lavoro industriale
⤷ sogna una società basata sull’economia, in cui il governo delle persone è sostituito dal
governo delle cose (anticipa la teoria socialista).
Il nuovo regime industriale è concepita come un sistema organico, organizzato su leggi
tecnico-scientifiche di cui è espressione un governo dittatoriale, il cui sistema politico è articolato in:
•Camera di Invenzione
•Camera di Esame
•Camera di Esecuzione
Ultima opera: “Nuovo Cristianesimo” (1825)➞ha visione mistica della nuova società di
scienziati e produttori e la guarda come se fosse
omogenea, sottolineando la necessità di aiutare il
‘Proletariato’.

Comte, ricercando nuovi fondamenti per riorganizzare la società, vuole fare una sintesi tra tradizionalismo
e liberalismo. Si rivolge da un lato al sapere scientifico (sistema strutturato di conoscenze) e dall’altro vuole
formulare nuovi valori morali che garantiscano forme universali di consenso e solidarietà sociale,
trasformando la scienza in una sorta di fede.
Per Comte la crisi politica e sociale derivano da una crisi intellettuale, che va superata con una riforma
globale del pensiero
⤷la riorganizzazione inizia con le idee, poi i costumi e infine le istituzioni
politiche e sociali.

Il termine ‘positivismo’ usato da Comte indica:


•volontà di aderire all’osservazione dei fatti
•superare il momento ‘critico’ dell’Illuminismo per costruire una nuova visione dello sviluppo dell’umanità.
E’ contro l’empirismo induttivo, predilige il metodo ipotetico-deduttivo➞non piace il sapere scientifico
che non riconosce i suoi limiti

Ritiene che l’intelletto umano deve smettere di cercare l’origine e la destinazione dell’universo, per
individuare, attraverso il ragionamento e l’osservazione, le relazioni invariabili sottese ai fenomeni stessi.
Afferma che: le leggi sono costruite da noi attraverso l’elaborazione dei materiali ottenuti dall’osservazione
dei fenomeni esterni➞positivismo è sinonimo di relativismo.
Per Comte spetta agli storici della scienza il compito di coordinare le diverse scienze umane
⤷la scienza positiva diventa Metascienza: consente di capire
•le strutture fondanti dell’ordine cognitivo
•le leggi del progresso storico
Vuole sviluppare una teoria per cui si stabilisca il consenso della volontà individuale a regole comuni, per
raggiungere il bene comune.
Cerca di tenere insieme le nozioni contraddittorie dell’esperienza e pensa nei termini di un sapere
unitario, nel quale fa una classificazione delle scienze e distingue tra statica e dinamica sociale, tra ordine
e progresso.

Alla base di tutto c’è la matematica e stabilisce la sua distinzione delle scienze a partire
da: •oggetti organici➞biologia e sociologia
•oggetti inorganici➞fisica, astronomia e chimica
SOCIOLOGIA➞termine 1° volta usato nella Lezione 47 del suo “Corso di filosofia positiva”

Si caratterizza per la consapevolezza della complessità dei processi umani
e sociali, connotati dalla presenza di forze oscure. Non studia fenomeni isolati,
ma comprende le diverse parti della realtà in relazione al tutto.
Ha come oggetto specifico: •cultura
•conoscenza della storia e dell’umanità nel suo ordine e
progresso.
Distingue 2 ambiti: •statica sociale➞analizza le strutture costanti dell’organismo sociale e
le diverse istituzioni sociali (religione, famiglia,
proprietà…)
•dinamica sociale➞analizza l’evoluzione dell’organismo stesso e perciò
ha stretti legami con la storia.
In questo contesto sviluppa la teoria dei 3 stadi della storia umana:
•teologico➞teologi e militari;
interesse della conoscenza era rivolto alle cause ultime;
epoca di ordine (es. i miti per ordinare la realtà).
•metafisico➞filosofi metafisici e uomini di legge;
pensiero critico, razionalista e individualista;
epoca di progresso che definisce realtà concrete che saranno punto di
partenza per l’evoluzione.
•positivo➞scienziati e industriali;
relativismo e attenzione alle leggi che regolano i rapporti tra le cose;
unisce ordine e progresso e va inteso come definitivo per l’umanità, poichè se la
conoscenza degli elementi particolari progredirà, il quadro d’insieme non muterà
più.

Durkheim➞rifiuta la pretesa di Comte di fare della sociologia una scienza al di sopra delle altre.
Nasce nel 1858 a Epinal, ai confini con la Germania, che sarà poi invasa nel 1870. Il regime
repubblicano-liberale che si afferma in Francia dopo la guerra e l’affermazione della borghesia
imprenditoriale sono l’ambiente in cui Durkheim sarà intellettuale.
Studia all’Ecole Normale Supérieure, dove lo orientano verso ricerche di tipo empirico e verso il metodo
storico-comparativo.
1885-86➞va in Germania per verificare com’era fatta lì lo sviluppo delle scienze sociali e
conosce opere di Wagner, Rocher, Schaffle, Worms…

Gli articoli scritti al suo ritorno influenzano molto la diffusione dell’insegnamento della sociologia in
università e scuole superiori.
Sotto influenza di Charles Renouvier, cerca di conciliare: determinismo del mondo naturale
(rapporti necessari con schema causa-effetto) con le
dimensioni razionali e morali che fondano la base della libertà
dell’individuo.
Come per Comte, il progresso scientifico deve andare di pari passo col progresso morale (consente
all’individuo il controllo dei propri impulsi).
⤷da questo, Durkheim darà attenzione ai problemi dell’educazione e sottolineerà
la necessità di forme di integrazione sociale fondate su interessi e valori condivisi
(es. corporazioni di produttori)
Affronta il problema di rapporto tra individualismo e socialismo.
Nella sua concezione di società sarà influenzato da autori tedeschi di tradizione romantica che guardavano
la società come un qualcosa di diverso dalla somma dei singoli individui
⤷svilupperà l’idea di società come entità sui generis, che si impone sugli individui stessi.
Fondò la rivista “Année sociologique”, che aveva lo scopo di mostrare al pubblico la possibilità di usare il
metodo sociologico in vari ambiti del sapere come storia, filosofia…
⤷sarà di riferimento per la formazione di sociologi ed etnologi francesi come Lévi-Bruhl e Mauss.
Durkheim fu coinvolto nell’affare Dreyfus in sua difesa (Dreyfus fu accusato di atti di spionaggio).
Nell’articolo “L’individualismo e gli intellettuali” (1898), criticando l’individualismo liberale, afferma la
necessità di un sistema di credenze collettivo che riconosca il carattere sacro dell’umano➞la sua teoria si
fonda sulla dicotomia società-individuo: il suo rifiuto nel considerare che l’individuo sia alla base della
società, non esclude l’importanza dell’individuo in quanto prodotto culturale e etico della società stessa.
Pensa l’individuo come homo duplex: base biologica e sensoriale+mente e umanità forgiate
dalla società.
L’esigenza di nuovi fondamenti di solidarietà sociale e di consenso per valori morali condivisi è legata ai
conflitti sociali della società francese del tempo:
•tentativo rivoluzionario fallito (1870)
•sconfitta contro la Germania
•sciopero dei minatori (1886)
In questo clima Durkheim, nonostante contesti la validità scientifica delle teorie socialiste, ne riconosce il
merito di essere un piano di ricostruzione delle società.
Il suo interesse per il socialismo di contrappone alla posizione conservatrice dell’analisi psicologica di
Gustave le Bon
⤷evidenza l’impatto sui singoli individui dell’anima della razza:
patrimonio comune di idee e credenze che si impone sugli individui
attraverso la tradizione.
Fenomeno della folla: risultato del prevalere di un’anima collettiva, che annulla la personalità delle
coscienze degli individui.
Considera le disuguaglianze irriducibili perché fondate sui componenti fisiologici e indica come soluzione:
la capacità di un élites superiore alla massa di orientare e manipolare le forze che animano le folle.
Un’analisi più scientifica dei comportamenti collettivi è fatta da Gabriel Tarde.
Ne “Le leggi dell’imitazione” (1890) interpreta la socialità come il risultato delle influenze reciproche tra
attori sociale e i processi di imitazione che si sviluppano tra alcuni individui, che diventano esempio per gli
altri➞Tarde sarà rivale di Durkheim.
Dà importanza all’analisi dei fatti quotidiani che portano a grandi trasformazioni e ai processi di
comunicazione e formazione dell’opinione pubblica.
Con la ricerca di Durkheim sul “Suicidio” vediamo come il divario tra le sue posizioni con quelle dei
conservatori si attenua: entrambe convergono per lo scopo di rafforzare i valori
morali per assicurare alla società del tempo una base di
solidarietà e consenso.
Negli ultimi anni si dedica al problema della rigenerazione morale della società e all’analisi della funzione di
integrazione dei fenomeni religiosi.
Con lui la SOCIOLOGIA diventa forma del sapere scientifico che analizza la realtà sociale e le
contraddizioni che sorgono tra esigenza di ordine e solidarietà sociale e quella di libertà individuale.

Da Marx allo storicismo tedesco


Fine guerre napoleoniche, Germania: confederazione di 39 unità politiche sotto la presidenza austriaca. La
Prussia era la più potente➞si pose come motore di processo di unificazione che nel 1871 sfociò nel Reich
unitario.
Germania è in ritardo nel processo di modernizzazione:
•vantaggi➞industria trasse insegnamento dei predecessori
•svantaggi➞velocità nei processi di mutamento.
Prime attività di industrializzazione: rete ferroviaria, meccanica, siderurgia, produzione di combustibile.
Politicamente: orientamento conservatore (sistema di governo che predilige nobili, militari, proprietari
terrieri).
Importanti erano anche:
•correnti liberali, legate agli interessi di borghesia della finanza e dell’industria
•movimento antiliberale e antinazionalista cattolico.
Partito socialdemocratico tedesco: nasce nel 1874 dalla fusione di associazioni dei lavoratori guidate da
Lassalle e Liebknecht e cresce negli ultimi decenni del secolo.
Cultura➞a inizio 800 si trovano autori come Kant, Hegel, Fichte e Goethe.

Goethe intravide l’aspetto cruciale della modernità: carattere prometeico del progetto di ⬇
dominio sulla natura attraverso la tecnica.
la sua opera è dominata dal senso di
equilibrio.
Altro grande aspetto della modernità: coscienza di vivere in un mondo storico
⤷importanti sono le osservazioni di Schlegel di
fronte a un quadro di Altdorfer (16° secolo) che
racconto che è perennemente ⬅ raffigura la battaglia di Isso, in cui Alessandro
presente quello del quadro Magno sconfisse i persiani nel 333 a.C. ma nel
dipinto non c’era la data.

La differenza tra i 2 sta nella concezione della storia che li anima:
•Altdorfer: storia-racconto eternamente ricorrente
•Schlegel: storia-movimento, storia-differenza(intesa nel senso di moderno)

Karl Marx nacque nel 1818 in Renania, studiò legge a Bonn e filosofia a Berlino, dove entrò nel circolo dei
giovani hegeliani.
Si sposò con Jenny von Westphalen e si trasferì con lei a Parigi nel 1843 rimanendovi per due anni, nei quali
conobbe i circoli socialisti di Proudhon e Babeuf. Diventò amico di Engels.
Fu espulso dalla Francia dopo le pressioni del governo prussiano e andò a Bruxelles, dove entrò in contatto
con varie organizzazioni socialiste, come la Lega dei Comunisti, che gli diede il compito di scrivere con
Engels il “Manifesto del partito comunista” (1848).
Dopo l’ondata rivoluzionaria fu costretto a partire per Londra➞periodo in cui scriverà la maggior parte
delle sue opere.
1863➞divenne presidente della prima Associazione internazionale dei lavoratori fondata a
Londra. Entrò in crisi dopo la Comune di Parigi (1871).
⤷L’opera “Il capitale” diventò famosa proprio per questo.
Marx morì nel 1883 e Engels nella sua orazione funebre paragona la portata dei suoi studi della società
umana a quella di Darwin per le scienze naturali.
I suoi studi non sono sociologia vera e propria ma hanno influenzato la sociologia successiva➞iniziò
revisionando il pensiero di Hegel e confronto con il socialismo utopistico francese ma nella sua maturità
lavoro molto alla critica verso l’economia politica.
I contributi che ha dato solo: •sul piano generale➞concezione materialistica della storia
•sul piano sociologico➞analisi del modo di produzione
capitalistico
•sul piano politico➞teoria del comunismo.

Concezione materialistica della storia


Nella Prefazione di “Per la critica all’economia politica” (1859) Marx dice che: non è la coscienza degli
uomini che determina il loro essere ma è il loro essere sociale che determina la loro coscienza.
⤷Concetto ripreso da Hegel che considera lo sviluppo umano con uno schema dialettico
e storico➞sono le condizioni materiali dell’esistenza umana che determinano la vita
spirituale che si manifesta di volta in volta nelle varie epoche.
Revisiona anche il concetto di alienazione:
•per Hegel➞è un aspetto dell’oggettivazione, dove il soggetto di fa ‘altro’ da solo con il solidificarsi dei
risultati del proprio agire;
•per Marx➞è lo smarrirsi del soggetto nei risultati di un lavoro che non gli appartiene entro specifici
rapporti sociali.
⤷il materialismo si fa critica sociale, cioè critica delle condizioni in cui la vita dei
soggetti si svolge, cioè il modo con cui gli uomini producono ciò che è necessario
per la loro esistenza: consiste quindi nell’insieme delle forze produttive e dei
rapporti di produzione che vi corrispondono.

è la base del reale, da cui dipende tutto il resto.
Storia degli uomini è la storia delle tecniche e dei materiali per la produzione e delle forme dei rapporti
sociali entro cui tecniche e materiali sono man mano adoperati.
Marx accenna alla successione nella storia umana di 4 modi di produzione: asiatico, antico, feudale e
borghese moderno (capitalista)➞vuole capire la logica che sta dietro il passaggio da un modo di
produzione al seguente.
La chiave per il cambiamento sta, per Marx, nella contraddizione che si genera nella storia delle società
umane tra forze produttive e rapporti di produzione; il processo di questa contraddizione non dipende dai
singoli e non può essere accelerato a piacere.
Modo di produzione borghese➞condizioni di superamento consistono in:
•crescente socializzazione della produzione sotto la protezione del capitale;
•sviluppo di una classe operaia numerosa e consapevole della condizione in cui si trova.
PROBLEMA DEL MATERIALISMO STORICO: rapporto di determinazione che Marx istituisce tra
dimensione economica e cultura (dà alla cultura poca autonomia)

una parte del pensiero marxista ha modificato questo aspetto del materialismo;
all’interno della storia della sociologia è il punto su cui nascono le obiezioni verso
Marx.
MA l’idea centrale materialismo marxiano (storia umana che non è pienamente comprensibile a
prescindere dall’analisi delle condizioni materiali della loro esistenza sociale) sarà un presupposto di tutto
il pensiero sociologico.

Modo di produzione capitalistico


Marx si interessa in particolare al modo di produzione sviluppatosi con la rivoluzione industriale e il
factory system inglese➞capitalismo.
‘Industria’ e ‘modo di produzione capitalistico’ non sono sinonimi: il secondo implica la presenza di
caratteri specifici dei rapporti sociali con cui la produzione industriale si dispiega nel mondo moderno.
⤷in questi rapporti entrano in relazione due classi: •classe borghese, che detiene i mezzi di
produzione;
•il proletariato, che detiene la forza lavoro.
L’economia classica divide i fattori della produzione su scala macro sociale in:
•terra➞proprietari terrieri, il cui reddito è la rendita;
•capitale➞capitalisti, il cui reddito è il profitto;
•lavoro➞lavoratori, il cui reddito è il salario.
Marx ritiene che il ruolo della rendita capitalistica sia subordinato e che i proprietari terrieri a lungo
andare saranno inglobati dai capitalisti.
I capitalisti hanno differenze interne che però hanno un peso relativo rispetto alle differenze con i
proletari.
La relazione tra capitalisti e operai è mediata dal denaro.
I beni prodotti all’interno del modo di produzione capitalistico sono le merci, cioè la ‘cellula elementare’
del mondo moderno.
Esse hanno duplice carattere:
•valore d’uso, che cambia in base alla merce;
•valore di scambio, che sarebbe il prezzo della merce e prescinde dalle qualità concrete e dalle differenze
tra le singole merci➞sono quindi scambiabili tra loro sulla base dei rapporti che esistono tra i loro
prezzi➞questi rapporti rispecchiano in realtà i rapporti sociali tra i produttori: questo gioco di
apparenza/realtà Marx lo chiama feticismo delle merci.

le leggi di mercato sono espressione della connessione sociale che
sussiste tra i produttori.
I rapporti tra capitalisti e proletariato sono caratterizzati dallo sfruttamento, che per essere analizzato
chiede di guardare in dettaglio il processo di produzione:
all’inizio di ogni ciclo produttivo, il capitalista converte il capitale nelle merci necessarie a produrre altre
merci (materie prime, macchinari e forza lavoro). La forza lavoro, essendo una merce, ha un prezzo che
corrisponde al denaro necessario alla sopravvivenza dell’operaio.
Possiede anche un valore d’uso specifico che consiste nel fatto che il lavoro è capace di produrre
valore➞l’operaio così produce un valore che supera il valore del capitale iniziale e perciò produce un
PLUSVALORE, che si trasforma nel profitto che è proprietà del capitalista

in questa appropriazione consiste lo sfruttamento.
Marx afferma come Hegel che l’economia è alla base della società civile, ma diventa ‘ideologia’ nel
momento in cui non si prende atto dello sfruttamento e non indaga il carattere storico dei rapporti sociali
che costituiscono il modo di produzione attuale.
Marx usa il termine ‘ideologia’ per l’insieme di rappresentazioni del mondo che da un lato naturalizzano ciò
che esiste sottraendolo all’analisi storica e dall’altro nascondono le contraddizioni presenti, rendendo
legittimo l’ordine consolidato ed esprimendo in questo modo il punto di vista della classe al potere.
⤷è una critica per cui il pensiero di Marx si rompe sia con l’economia
classica e sia con l’empirismo.
Per Marx il modo di produzione capitalistico è il più grande generatore di mutamento sociale e materiale
della storia e il suo motore è il capitale ed è tale solo se può accrescersi:
per crescere è costretto a:
•rendere il lavoro sempre più produttivo incrementando l’uso di macchine
•ricondurre alla logica della produzione per il mercato un numero sempre maggiore di persone, di sfere
della vita e di aree geografiche.
Nascono anche contraddizioni➞aumentando il capitale anche i capitalisti aumentano il proprio potere e
cresce anche la classe operaia, che diventa sempre più povera ma inizia anche a prendere consapevolezza
del proprio ruolo nella produzione

produce ricchezza collettivamente ma è appropriata privatamente dai
singoli capitalisti
⤷prendendo coscienza di questo contrasto può organizzarsi per rivoluzionare
i rapporti sociali esistenti.

Gli sviluppi del pensiero marxista


Il termine ‘comunismo’ non è stato coniato da Marx➞nel 1848 ad indicare l’ideale di una società
emancipata dallo sfruttamento si usavano i termini ‘socialismo’ e ‘comunismo’:
•socialismo➞idea di un movimento con riforme graduali e calate dall’alto
•comunismo➞rivoluzione radicale promossa dal basso
Obiettivo finale: abolizione dello Stato.
Nel 1848 la Lega dei comunisti aveva pochi membri, ma con la prima Internazionale gli ideali del
comunismo raggiunsero vari paesi europei. Negli ultimi anni del secolo, il pensiero di Marx fu assorbito dal
Partito socialdemocratico tedesco e agli inizi del 900 ispirò in Russia dei gruppi che nel 1917 fondarono
l’Unione Sovietica (prima rivoluzione comunista della storia).
A fine 19° secolo i tesi di marx in circolazione erano: ‘Il manifesto’ e ‘Il capitale’ a cui si aggiunge
‘Anti-Duhring’ di Engels, che era un marxismo trasformato in evoluzionismo

in questo senso fu recepito il marxismo per politici e teorici come
Kautsky (esponente del partito socialdemocratico) e Bernstein
(capo della seconda Internazionale del 1889)
⤷Bernstein è passato alla storia come ‘revisionismo’, poiché
tentava di riadattare il marxismo ai cambiamenti sociali,
politici ed economici.
Entrambi avevano una visione positivistica del suo pensiero però e questo sarà di dominio per i seguaci e i
critici del marxismo e sarà carattere dello stile di pensiero della seconda Internazionale.
In Russia➞il marxismo fu trasformato da Lenin in una dottrina in cui la volontà politica e la forza degli
operai erano alla base dei moti rivoluzionari.
1917➞nel corso della guerra tra Russia contro Germania e Austria-Ungheria, i bolscevichi di Lenin presero
il potere. Dopo la guerra civile contro chi era rimasto fedele al regime, il leninismo divenne dottrina
ufficiale che legittimava la dittatura del Partito Comunista dell’Unione Sovietica.
Il leninismo si diffuse nel mondo dopo la terza Internazionale del 1919 e la fondazione di vari Partiti
comunisti nel resto d’Europa.
Il Partito socialdemocratico tedesco venne indebolito dalle posizioni interventiste sviluppatesi nella guerra
e dalle sconfitte delle insurrezioni rivoluzionarie che si verificarono in Germania e Ungheria nel 1918-19.
Queste sconfitte unite alla presa di potere dei fascisti in Italia, di Hitler in Germania e di Franco in Spagna,
portarono l’Unione Sovietica a sentirsi in stato di assedio.
A causa di ciò il marxismo iniziò ad avere sempre di più la forma di una dottrina autoritaria.
La difficoltà di sviluppare in Russia una società ispirata ai principi del marxismo e di iniziare
l’industrializzazione provocarono dibattiti riguardo la forma di governo da assumere nel periodo di
transizione, che terminarono con la dittatura di Stalin e la repressione di ogni dissenso.

Il marxismo, a partire dagli anni Venti, ebbe nuovi sviluppi: i testi più importanti furono ‘Storia e coscienza
di classe’ di Lukàcs e ‘Marxismo e filosofia’ di Korsch che fecero valere la presenza hegeliana nel pensiero di
Marx, riportarono in auge il concetto di alienazione e rivalutarono il ruolo di coscienza e cultura.
Fu importante negli anni Trenta i ‘Manoscritti del ‘44’ che rilesse i pensieri di Marx in chiave di umanesimo
radicale.

Infine, il pensiero di Marx da un lato non va letto in chiave prettamente positivista e dall’altro ci permette
un’analisi del mutamento sociale e dei conflitti molto più articolata di quella che ci permette il
funzionalismo.
Molti dei suoi concetti (es. quello di ‘classe’) sono stati importanti nella sociologia del secolo successivo,
altri (es. capitalismo o ideologia) hanno dato luogo a sviluppo che sono parte integrante della storia della
disciplina.
Caratteristica di Marx➞capacità di unire la passione utopica con l’analisi scientifica: il suo pensiero ha
dato ai lavoratori una bandiera in cui credere e una teoria su cui fondare la propria lotta➞con la sua opera
voleva compiere una battaglia per l’autorealizzazione dell’umanità.

Friedrich Nietzsche e la ‘trasvalutazione di tutti i valori’


La critica della morale di Nietzsche era l’affermazione di una nuova morale di cui egli stesso si faceva
interprete. Passò una vita di solitudine ma negli ultimi anni fu accudito dalla sorella Elizabeth e morì nel
1900 a casa sua a Weimar.
Espresse il suo pensiero in:
•aforisma➞poiché al suo interno si dissemina la pluralità del soggetto; da un lato Nietzsche scoprire
esortazioni che indicano l’unità del soggetto come una costruzione e non come un dato e dall’altro ciò che
è l’uomo è inaccessibile alla conoscenza.
•poema➞per la necessità di una forma di espressione in cui la sensibilità sia insieme alla ragione.
Il suo pensiero vuole essere inattuale e per questo non considera la storia della civiltà occidentale come
progresso: è antilluminista e antipositivista.
Il suo pensiero è una critica alla civiltà occidentale, che parte dalla rivalutazione dell’elemento dionisiaco
della Grecia presocratica e si sviluppa come smascheramento della rimozione di tale elemento nella storia.
Figura di Dionisio➞vita che si esprime con energia, volontà di potenza e di autoaffermazione e di
accettazione del proprio destino.
E’ con la morale cristiana che si diffondo virtù che vogliono imprigionare la creatività umana promuovendo
una critica mascherata da verità fondamentale, la quale consiste nella volontà di autoaffermazione e nei
conflitti che scaturiscono.
Elementi costanti nel pensiero di Nietzsche: denuncia dell’ipocrisia, del risentimento e del senso di colpa
come fondamenti della morale umana.
La sua morale è una morale di libertà, che è possibile comprendere solo riconoscendo la responsabilità
che viene dalla ‘morte di Dio’➞fine dell’esistenza di un elemento trascendente a cui gli uomini si possono
ispirare.
Riconoscere che questo fondamento non esiste significa prendersi la responsabilità di affermare valori
solo sulla base della volontà e della capacità di crearli
⤷a prendersi questa responsabilità sarà
l’OLTREUOMO

Nietzsche per preparargli la strada si assume il compito di trasvalutazione di tutti i valori.
Ferdinand Tonnies nel libro “Il culto di Nietzsche” in cui prende le distanze da questa infatuazione ma
secondo Georg Simmel➞Tonnies voleva confutare Nietzsche scientificamente mostrandone le
incongruenze ma la sua opera vive attraverso le sue contraddizioni.
⤷il problema per Simmel va risolto individuando i punti di forza del pensiero di Nietzsche:
•raffinatezza psicologica delle sue analisi
•individuazione della ‘nobiltà’ come ideale.
Tonnies rimprovera Nietzsche di voler creare una morale egoista ma essa invece non mira ad
incrementare la felicità ma alla realizzazione di uno stile di vita che chiede di essere valutato in termini
qualitativi.
Tornando a Simmel, egli pensa che Nietzsche abbia scoperto nella scienza morale la categoria della
‘nobiltà’, che è sempre stata nelle opere di valutazione morali ma anche trascurata da tutte le teorie che si
riferiscono alla morale.
Il punto è dunque che la modernità, a causa delle tendenze politiche ed economiche che la attraversano,
molto più interessata alla quantità che alla qualità e l’attenzione alle dimensioni qualitative dell’esistenza e
la capacità di valutarle decade.
Spengler affermò che Nietzsche fu il primo interprete della decadenza europea.
⤷nella sua opera contrappone la Kultur (aspetto spirituale di una società) alla Zivilisation
(forme di vita materiale istituzionalizzate).

la degenerazione dell’Occidente gli sembrava frutto di una
decadenza della Kultur e di uno sviluppo della Zivilisation.
Per altri Nietzsche era la terapia a quella decadenza che diagnosticava: Thomas Mann disse che la sua
influenza diventò un’adorazione morbosa della forza e della bellezza, le sue idee di oltreuomo e di diventà
diventarono ghigni alla moda, il suo richiamo alla volontà diventò sopraffazione e il suo invito a osare
diventò culto della guerra.

Lo storicismo tedesco e la distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito
Storicismo➞pensiero per cui è importante la variabilità dei sistemi di pratiche e idee che si succedono
nella storia e messa in relazione con i processi di mutamento.
E’ un orientamento accademico al cui interno si sviluppa una controversia sul metodo che riguarda i
fondamenti epistemologici delle scienze sociali.
Accomuna gli autori la nozione di storicità dell’esistenza umana.
Leopold von Ranke e Gustav Droysen sostengono che ogni fenomeno umano va analizzato in chiave
storica e che la comprensione di ciò che è accaduto proviene dal proprio condizionamento
storico➞affermano una netta separazione tra scienze naturali e sociali.

Wilhelm Dilthey fissa questa separazione nei diversi metodi delle scienze:
•spiegazione per le scienze naturali
•comprensione per le scienze dell’uomo.
Questa controversia sui metodi ha origine nella disputa che nacque in economia tra Carl Menger e Gustav
von Schmoller. Menger affermava la necessità per l’economia di fondarsi sulla ricerca di leggi teoriche
astratte, mentre Schmoller difendeva un metodo storico in cui le diverse sfaccettature della vita
economica richiedevano uno studio differenziato e non unitario.
Nella vita degli esseri umani anche se ci sono fatti che accadono regolarmente, non significa che si
possano trovare delle leggi analoghe agli accadimenti della natura. Inoltre lo studio storico deve tener
conto anche della cultura in cui gli uomini sono immersi
⤷questi punti caratterizzano la posizione di Dilthey nella sua
‘Introduzione alle scienze dello spirito’.
Riguardo all’impossibilità di definire delle leggi di vita sociale sul modello proposto per le leggi naturali,
Dilthey afferma che i fenomeni umani richiedono di essere compresi per il senso mutevole che si esprime
in essi
⤷questa comprensione è intesa da Dilthey con il concetto di ‘Empatia’(capacità
dell’interprete di collocarsi al posto del soggetto di cui vuole interpretare l’agire).
Nelle sue opere mature costituisce questo concetto con quello di ‘comprensione’, cioè l’operazione
attraverso cui i fenomeni umani vengono colti all’interno del contesto di senso in cui si collocano
storicamente.
La differenza tra le scienze naturali e umane si trova per Dilthey nella differenza fra gli oggetti di cui si
occupano.
•Scienze naturali➞la comprensione non si usa perche alle cose non è attribuibile alcuna consapevolezza
del senso del proprio essere.
•Scienze umane➞ non si usa la spiegazione perche non ci sono nessi causali di carattere universale.
Questa posizione offre però delle obiezioni sia riguardo la distinzione tra scienze umane e naturali, sia
riguardo l’idea di spiegazione a cui Dilthey fa riferimento per le scienze naturali.
Per il primo punto➞l’obiezione è formulata da Windelband, che distingue le scienze tra quelle che mirano
alla costruzione di leggi generali e quelle che mirano a determinare la fisionomia di un dato fenomeno
nella sua individualità; pertanto scienze umane e naturali non si diversificano per il diverso statuto
ontologico dei propri soggetti, ma a causa del differente orientamento che la conoscenza vi assume.

Per il secondo punto➞ha mostrato Heinrich Rickert che se è vero che nelle scienze naturali la
spiegazione consiste nell’assunzione di un fenomeno in una legge universale, è vero anche che ci sono tipi
di spiegazione diverse, perciò anche le scienze storico-sociali possono spiegare i fenomeni che osservano,
determinando il rapporto causale che si manifesta tra fenomeni successivi nel tempo.
Rickert aggiunge inoltre che le forme di conoscenza delle scienze storico-sociali implicano
necessariamente un elemento di valutazione➞dato che lo scienziato è immerso egli stesso nel campo che
studia, allora la comprensione di un fenomeno storico o sociale comporta il confronto tra i valori
dell’interprete e quelli di chi vuole interpretare.

Storicismo in altre nazioni➞in Italia fu sviluppato da Benedetto Croce ma ebbe un esito diverso dalla
Germania e portò alla depressione della sociologia, poiché lui considerava la storia come unica forma di
conoscenza e confinava ogni altra scienza sociale nella sfera del sapere pragmatico.

L’accento posto dagli storicisti tedeschi sul problema del senso e delle forme in cui si esprime l’esperienza
vissuta ci fa notare che nelle scienze storico-sociali, la conoscenza è il prodotto dell’incontro tra mondi
diversi:
•quello degli attori sociali attorno cui la ricerca si svolge
•quello dell’osservatore che fa la ricerca
⤷la conoscenza è sempre condizionata da situazioni storiche e forme
socio-culturali particolari.

Teorie delle forme e dell’azione sociale


La Germania al volgere del secolo
La politica di Guglielmo 2°➞assolutismo sociale.
Troviamo l’ascesa del Partito socialdemocratico, ma nonostante i successi elettorali resta fuori dalla
gestione del potere statale. Era guidato da Kautsky: seguiva un marxismo ortodosso che voleva rafforzare
l’organizzazione della classe operaia in attesa del crollo del capitalismo.
Il revisionismo di Bernstein si oppone a questa visione, negando l’imminenza del crollo e invitando alle
studio di nuove forme di organizzazione capitale e di riforme graduali che diano più potere alla classe
operaia.
Il partiti liberali e conservatori rimasero d’elite, i liberali nelle città e i conservatori nelle aree rurali.
I voti per le destre provenivano dall’attività di gruppi estranei ai partiti➞associazioni che nascono intorno
ad interessi specifici e cercano di far valere le loro istanze davanti a chi ha il potere decisionale.
Un gruppo importante fu l’Unione dei Coltivatori (1892), che aldilà degli interessi economici, avevano
un’ideologia che univa la critica al modernismo industriale al nazionalismo e all’antisemitismo.
L’antisemitismo era molto presente nelle masse rurali e i ceti medi urbani, va ricordata l’emancipazione
degli ebrei in Europa➞la loro discriminazione inizia col pregiudizio antigiudaico del cristianesimo e si è
affermata con l’inizio della modernità, escludendo gli ebrei da ogni diritto di cittadinanza.
La loro emancipazione è consistita nel riconoscimento di pari diritti e nell’assimilazione (abbandono da
parte degli ebrei della loro stessa identità culturale).
L’antisemitismo moderno si appoggia sulla tradizione antigiudaica cristiana e la trasforma con le teorie
positiviste di ‘razza’, arrivando a rappresentare una reazione alla logica illuminista dei diritti uguali per
tutti; la sua diffusione si comprende col concetto di ‘capro espiatorio’➞per i gruppi sociali che sono
coinvolti nella modernizzazione, l’idea che ogni difficoltà è ascrivibile in un complotto di stranieri presenti
nella comunità rappresenta una credenza rassicurante.
Sul piano economico➞Lo sviluppo industriale cresce a partire dal 1890 e al settore siderurgico e quello di
estrazione delle materie prime, si affiancano la chimica, la meccanica di precisione e la produzione di
energia elettrica. Cresce anche il settore terziario, grazie alla crescita di dipendenti pubblici che creano il
nuovo ceto medio➞che vive in condizioni peggiori rispetto alla borghesia e si avvicina di più alla classe
operaia in quanto salari e condizioni lavorative.
Cresce anche la politica estera della Germania: volendo espandersi in Africa e nei Balcani, il paese si
scontra con Russia e Francia. La politica estera di Guglielmo II consolida un blocco internazionale
antigermanico, di cui però non fa parte l’Austria-Ungheria➞questo accerchiamento spinge la Germania a
migliorare il proprio apparato militare: anche il Partito socialdemocratico e liberati e sociologi come
Mann, Simmel e Weber, furono d’accordo con questa mossa.

Autori che hanno fondato la sociologia➞nonostante conoscessero gli Stati Uniti o fossero stati lì, non
diedero importanza alla politica coloniale delle potenze europee; non c’è traccia dei processi di schiavitù
presenti nella loro società, anche se era quella che loro per l’appunto studiavano.
Questi autori avvertivano di essere situati in un contesto fatto di storicismo e dibattito sul metodo delle
scienze naturali; avvertono la trasformazione economica e sociale attraverso il filtro della cultura del
tempo (si fa sentire l’influenza di Marx e Nietzsche, lo sviluppo dell’urbanizzazione o movimenti politici
come l’ascesa del socialismo).
Questa sociologia si sviluppa comunque a stretto contatto con le cerchie filosofiche e artistiche del tempo.

Georg Simmel e l’esperienza della modernità


Nacque a Berlino da una famiglia borghese di origine ebraica; si laureò in filosofia e conseguì l’abilitazione
nel 1885 e pur essendo un insegnante di prestigio nelle università , insegnò sempre da privato e prese la
cattedra a Strasburgo solo nel 1914.
L’opera che viene letta per prima da un vasto pubblico fu ‘I problemi della filosofia nella storia’ (1892) e molti
saggi furono pubblicati in riviste di scienze sociali in Italia, Stati Uniti e Francia.
1910➞partecipò a un congresso dell’Associazione tedesca di sociologia presentando una relazione sulla
‘Socievolezza’ e fu nello stesso anno tra i fondatori di ‘Logos’ (rivista filosofica con interesse per tutte le
scienze sociali a cui parteciparono anche autori come Weber, Windelband e Rickert).
Simmel non scrisse solo opere (pubblicate anche dopo la sua morte) di sociologia, ma anche di filosofia
della storia, della cultura e di estetica.
Si ritenne un filosofo anche parte della sua produzione è dedicata al problema della fondazione della
sociologia come ambito scientifico autonomo.
La sociologia tedesca lo riconobbe come uno dei suoi fondatori anche se fino agli anni 60 lo ha
dimenticato. La sua opera si è mantenuta però viva in America, grazie a Robert Park un suo allievo, e
divenne uno degli autori di riferimento per la scuola di Chicago.
Quando Talcott Parsons ricostruendo le origini della sociologia in Europa con l’opera ‘La struttura
dell’azione sociale’ lo escluse, la sua figura scomparve.
Ricevette attenzione con la crisi del funzionalismo di Parsons e la nascita di nuove correnti sociologiche
negli anni 60.
Assieme a Weber, Simmel rappresenta la fuoriuscita della sociologia dal positivismo.
E’ una sociologia incentrata sull’alterazione, che si basa sui dettagli della quotidianità senza perdere la
coerenza del proprio apparato concettuale.
⤷la sua capacità di cogliere i tratti fondamentali dell’esperienza moderna è
possibile grazie anche alle sue conoscenze di filosofia, letteratura e arte del suo tempo.
Una sociologia delle forme
‘I problemi della filosofia della storia’➞Simmel dice che il flusso dell’accadere è distinto dalla discontinuità
logica delle categorie con cui lo comprendiamo. La Storia è il risultato di un’operazione grazie alla quale
noi stessi creiamo le forme di ciò che percepiamo.

la vita si fissa in determinazioni simboliche attraverso le quali è compresa, ma il fluire stesso della vita
comporta lo sciogliersi di queste determinazioni per trasformarsi in determinazioni diverse.
⤷la vita è sia un fluire incessante, sia la produzione di forme in cui il fluire si fissa:
sono forme di relazione, istituzioni, simboli e idee che oggi chiamiamo ‘cultura’.
L’oggettività di queste manifestazioni è un prodotto della vita e si contrappone al carattere fluido della
vita stessa e da questa contraddizione emerge:
•il dinamismo della vita stessa
•la tragedia di Simmel➞la vita non può essere capita sulla base di simboli e categorie, che sia fissano la vita
stessa, sia le si contrappongono mancando di afferrarla.
Dato che la comprensione del mondo avviene attraverso la costruzione di forme che sono espressione
della vita ma anche una sua riduzione, allora il sapere esaustivo è impossibile.

La sociologia è per Simmel lo studio delle forme della sociazione, ma per capire ciò bisogna soffermarsi sia
sul concetto di sociazione che di interazione/effetto di reciprocità.
Effetto di reciprocità➞nesso di reciprocità o causazione reciproca che lega tutti i fenomeni della vita tra
loro. Riferirsi a ciò vuol dire fare ‘relazionismo’ che comporta la rinuncia a cercare una singola serie di
causa che spieghi qualunque fenomeno.
In questo modo alla nozione di ‘causa’ si sostituisce la nozione di ‘corrispondenza’, di influenza tra i diversi
fenomeni.
L’oggetto della sociologia sono dunque per Simmel le forme che assumono le relazioni di influenza
reciproca tra gli esseri umani.
Scrive: “società è il nome con cui si indica una cerchia di individui, legati tra loro da varie forme di
reciprocità”.
Le forme di reciprocità si sedimentano nel tempo e qui entra in gioco la nozione di ‘sociazione’➞i sistemi e
le organizzazioni a cui pensiamo quando parliamo di società sono forme di reciprocità tra gli individui che
nel tempo si sono trasformate in formazioni stabili.
Va notato che come la ‘storia’ è il prodotte delle categorie attraverso le quali è compresa, anche la ‘società’
non è una realtà ma un oggetto che emerge dallo sguardo dell’osservatore
Il pensiero umano opera sempre attraverso astrazioni, ciascuna delle quali corrisponde a un certo punto di
vista o da una certa distanza dall’oggetto su cui riflette.
Anche l’individuo è composto da arti e organi e il fatto che lo percepiamo come unità dipende solo da una
cerca prospettiva. In tal modo anche la società è un oggetto del pensiero che emerge solo considerando
insiemi di individui da una distanza particolare.
La ‘società’ esiste solo se ci si pone ad una certa prospettiva, la quale rende possibile osservare le relazioni
di reciprocità che sussistono fra gli individui.

Denaro, metropoli, modernità


Simmel concepisce la modernità come un cumulo di forze, di cui la più importante è l’economia
monetaria➞a trattare di questo tema è l’opera ‘Filosofia del denaro’: uno studio delle forme che assume lo
scambio sociale in una società dove il mediatore principale è il denaro.
Vanno chiariti i concetti di ‘oggettivazione’ e il rapporto tra denaro e libertà individuale.
Il concetto di ‘oggettivazione’ è fondamentale per Hegel: oggettivandosi nei prodotti del loro lavoro, gli
uomini cambiano la natura e se stessi.
Simmel osserva che lo sviluppo dei prodotti umani nella modernità si contrappone all’uomo stesso e si
afferma secondo logiche autonome.
Con la diffusione del denaro, lo scambio sociale tra individui che è alla base dell’economia si
reifica➞appare come un rapporto fra cose e come una cosa esso stesso.
Gli uomini appaiono come esecutori di logiche che appartengono alle cose stesse e contemporaneamente
in denaro passa dall’essere mezzo per raggiungere i fini al fine assoluto.
Il denaro si diffonde perchè c’è una crescita nell’attenzione per gli aspetti della vita che possono essere
calcolati e per tutto ciò che si può esprimere in termini quantitativi e non qualitativi.
La diffusione dell’economia monetaria va di pari passo con il processo di intellettualizzazione➞denaro e
intelletto trattano ogni cosa senza badare alle differente, dunque promuovono l’indifferenza (l’uomo-tipo
della modernità è per Simmel il ‘blasé’, colui che percepisce ogni differenza come irrilevante.
La crescita dell’intelletto ha radici nelle condizioni di vita della metropoli, che favorisce
l’intellettualizzazione perchè è la sede più idonea per lo sviluppo dell’economia monetaria e perchè
fornisce un gran quantità di stimoli.
⤷la gestione di tutti questi stimoli richiede l’abbandono di ogni emotività e perciò
l’intellettualismo si figura come una ‘forma di difesa’ contro la minaccia di
disintegrazione della coscienza derivante dall’eccesso di stimoli.

dietro l’indifferenza moderna per la qualità della vita troviamo gli
insegnamenti di Nietzsche e dietro la caratterizzazione della metropoli
Baudelaire.
La metropoli oltre ad essere luogo di intellettualizzazione è anche luogo di libertà➞più una cerchia sociale
è ristretta, meno i contenuti della coscienza di ciascuno dei suoi membri è individuale; dato che la
metropoli è il luogo di massima ampiezza della cerchia sociale e della differenziazione sociale, consegue
che è anche sede dell’individualità, luogo di massima libertà di espressione e movimento del singolo.
Il denaro stesso ha l’incarico di liberare l’individualità dai vincoli che aveva prima➞i rapporti monetari
fanno sì che il singolo venga sottratto dai rapporti di subordinazione che caratterizzano le società
premoderne.
Simmel ha un atteggiamento avalutativo nei confronti della metropoli: ciò che si guadagna in termini di
libertà può comportare dei costi
⤷l’altra faccia della medaglia della libertà è la crescente dipendenza dalle istituzioni e le
tecniche.
Nella sua opera questo motivo è espresso nei termini di una divaricazione tra i concetti di cultura
oggettiva e soggettiva:
•cultura oggettiva è quella oggettivata nei prodotti dell’uomo, ad esempio quella che troviamo nelle
enciclopedie o nelle realizzazioni della tecnica ecc.
•cultura soggettiva è ciò che si impara, si vive o si elabora personalmente; dipende da quella oggettiva dato
che ciascuno diventa ‘colto’ facendo propri i contenuti di quest’ultima ed è diversa perchè consiste in una
qualità personale.
Un aspetto della tragedia della modernità per Simmel consiste nella sproporzione tra questi due poli dello
spirito
⤷se consideriamo la cultura incorporata nelle istituzioni e la paragoniamo al progresso
culturale degli individui notiamo una differenza di crescita e questo è effetto della crescente divisione
del lavoro.

lo sviluppo della personalità individuale è minacciato dall’impersonalità dei meccanismi in cui la vita è
coinvolta.
L’intellettualizzazione di Simmel trova riscontro nel concetto di ‘razionalizzazione’ di Weber e la sua
attenzione per l’ambivalenza di ogni fenomeno è sistematizzata nella nozione di ‘avalutatività’ delle scienze
di Weber.
Le realizzazioni della cultura oggettiva col tempo si sono fatte sempre più sofisticate e potenti,
raggiungendo una complessità che può essere dominata solo da esperti che tuttavia ne controllano solo
un piccolo campo.
Il problema della contemporaneità è come la cultura soggettiva possa adeguarsi a queste realizzazioni e
guidarne lo sviluppo.

Max Weber e il destino dell’Occidente moderno


Nasce da una famiglia di alta borghesia protestante e il padre fu membro del Parlamento tedesco nelle fila
del partito nazional-liberale, per questo la casa di Weber fu sempre frequentata da politici, scienziati e
filosofi.
Anch’egli nel corso nella sua vita fu attento alle vicende politiche passando da una posizione di liberalismo
conservatore a un atteggiamento sempre più riformistico.
Nel 1909 fu tra i fondatori dell’Associazione tedesca di sociologia e la sua prima relazione al congresso
riguardava la stampa, l’opinione pubblica e la cultura moderna: gli altri membri dissentirono sulla
distinzione tra fatti e valori e ciò lo convinse a dimettersi pochi anni dopo.
Iniziò poi a studiare l’etica economica delle religioni mondiali.
Allo scoppio della guerra ebbe una posizione favorevole al conflitto e si occupò come ufficiale dell’esercito
dell'organizzazione di alcuni ospedali militari.
Dell’insurrezione comunista della Germania del 1918 ritenne che si trattasse solo di uno spargimento di
sangue e alla fine della guerra, pur non essendo favorevole al passaggio dalla monarchia alla repubblica di
Weimar si candidò nelle liste del partito democratico ma senza essere eletto.
Nel 191 partecipò ai trattati di Versailles scrivendo una risposta al memorandum degli Alleati sulla
responsabilità dei tedeschi riguardo al conflitto.
I suoi libri più noti sono ‘L’etica protestante e lo spirito del capitalismo’ e ‘Economia e società’. La critica
attuale mostra però interesse per le sue opere riguardo gli studi sulla religione.

Economia e società
Nelle prime pagine fornisce la sua definizione di sociologia➞scienza ‘comprendente’, il cui obiettivo è
comprendere l’agire sociale.
‘Comprendere’ vuol dire ‘intenderne il senso’➞l’agire sociale è un agire dotato di senso.
La possibilità/necessità di comprensione distingue le scienze umane dalle scienze naturali.
La sua posizione dipende da Wilhelm e riallacciandosi a Rickert, sostiene che la sociologia, dopo aver
compreso l’agire sociale, debba spiegarlo casualmente.
La molteplicità di fattori che si combinano per produrre ogni fenomeno è tale che una spiegazione causale
definitiva è impossibile. La spiegazione causale è dunque essenzialmente condizionale➞forma di
argomentazione logica che, per un certo fenomeno, individua le condizioni necessarie per il suo
svolgimento
⤷è un procedimento di imputazione causale che valuta il grado di
indispensabilità di una condizione per l’accadimento di un certo fenomeno,
senza indicare il rapporto causa-effetto, ma bensì la possibilità di un nesso
tra eventi diversi e susseguenti nel tempo.
La possibilità di un ragionamento causale per le scienze sociali le avvicina alle scienze naturali, un
avvicinamento che dipende dal fatto che anche per le scienze naturali Weber ritiene impossibile
l’enunciazione di giudizi causali di necessità➞nozione tipica di empirismo per cui la ‘causa’ non è un nesso
naturale tra eventi ma un'argomentazione logica.
Si avvicina con questo pensiero a Simmel, a cui si accosta anche nel distinguere i fenomeni osservati dai
valori con i quali essi possono essere giudicati➞concetto di AVALUTATIVITÀ’.
I valori sono orientamenti culturali che motivano le nostre scelte ed esprimono degli atteggiamenti morali.
Il riferimento a un valore è il soggettivo riferirsi nella propria condotta, da parte di qualcuno, a certi valori;
il giudizio di valori è un’affermazione che dichiara ‘è bene’ o ‘è male’.
Lo scienziato sociale non può far a meno di riferirsi ai valori perchè sono parte del senso che gli attori
attribuiscono al proprio agire➞dato che la sociologia è per Weber orientata a capire questo senso, deve
cogliere anche i valori che sono una parte del suo campo di agire.
Dall'altra parte lo scienziato si riferisce ai valori perchè è uomo e come tale giudica la realtà in cui è
immerso.
Studia qualcosa che per lui è rilevante e i propri orientamenti personali lo spingono a scegliere di
analizzare certi nessi piuttosto che altri.
A garantire l’oggettività del suo lavoro è che egli si sforzi di essere consapevole dei propri orientamenti
soggettivi e sappia mettere da parte i propri riferimenti di valore.
⤷L’oggettività è frutto della disciplina e questa disciplina è l'AVALUTATIVITÀ’.
Tornando all’opera ‘Economia e società’ abbiamo detto che la sociologia si occupa dell’agire sociale dove si
intende un agire che sia riferito all’atteggiamento di altri individui e orientato nel suo corso in base a
questo.
Esso è distinto in diversi tipi di ideali➞uno strumento conoscitivo di cui lo scienziato fa uso.
La sociologia, in quanto scienza, tende a generalizzare e questo processo si realizza tramite il tipo di
ideale➞è un’astrazione che ha lo scopo di ridurre l’infinita varietà di fenomeni a un insieme minore di
categorie.
L’agire sociale può essere determinato da quattro tipi di ideali:
•l’agire razionale rispetto allo scopo, nel quale il soggetto agisce per un fine determinato e calcola i suoi
sforzi per raggiungere tale fine;
•l’agire razionale rispetto al valore, dove il senso dell’agire sta nell’affermazione del valore in sé dell’agire
stesso, a prescindere dalle conseguenze che esso può comportare;
•l’agire affettivo, in cui il senso è legato a un particolare stato affettivo o stato d’animo del soggetto;
•l’agire tradizionale, dettato dall’abitudine acquisita.
Nella realtà non è facile distinguere quale tipo sia d’azione e raramente l’agire è consapevole. La sociologia
sviluppa però le sue interpretazioni mediante classificazioni del possibile senso intenzionato.
Si ha una relazione sociale quando più attori sono in un rapporto in cui il senso dell’agire di ciascuno si
riferisce all’atteggiamento dell’altro.
‘Comunità’ e ‘società’ sono forme di relazione in cui sono importanti il consenso e l’integrazione.
Il ‘conflitto’ è invece una forma di relazione in cui l’agire è orientato in base al proposito di un’affermazione
di sé a scapito dell’altro e può essere pacifico o violento.
Weber dà molta attenzione alla dimensione conflittuale ma diversamente da Durkheim non enfatizza la
presenza di ordine e coesione nel mondo sociale. In ciò è più vicino a Marx ma diversamente da lui, non
situa il conflitto nella logica di una filosofia della storia che lo intende come un il motore di un processo
che ha direzione.
Anche la nozione di classe perde rilevanza➞concepisce la stratificazione sociale come una molteplicità di
ordinamenti dotati di logiche parzialmente autonome e alla classe si affiancano ceto e la collocazione di
ogni gruppo o individuo nella sfera politica.
La politica è l’ambito delle relazioni sociali in cui si compete per il potere legittimo.
Bisogna fare distinzione tra:
•potenza➞qualsiasi possibilità di far valere in una relazione sociale la propria volontà, per cui chi la
subisce è costretto a seguire la volontà dell’altro;
•potere➞la possibilità che un comando sia obbedito da altre persone perchè si crede che sia emesso con
un forma legittima.

Weber distingue tre forme di legittimazione del potere:


•quella di carattere tradizionale, quando poggia sulla credenza di tradizioni ritenute valide da sempre,
quindi il potere riceve la sua legittimità per il fatto di provenire dal passato;
•quella di tipo carismatico, quando poggia sulla dedizione al carattere sacro o al valore di una persona e
degli ordinamenti che crea;
•quella di carattere razionale-legale, che poggia sulla credenza nella legalità di ordinamenti razionali e nel
diritto di coloro che sono chiamati a esercitare il potere sulla base di questi. L’obbedienza è prestata a
leggi di carattere impersonale.
Ad ogni forma di potere legittimo corrispondono diverse forme di apparati amministrativi, a quello
razionale-legale corrisponde la burocrazia.
Burocrazia➞organizzazione della cooperazione di un grande numero di individui, il cui esercizio è
separato dalla sfera della sua vita privata (Questi individui sono detti funzionari).
La burocrazia dello Stato moderno si fonda su questi principi:
•esistenza di servizi e competenze definiti da leggi e regolamenti;
•gerarchia delle funzioni;
•separazione tra funzione e uomo che la svolge;
• reclutamento di funzionari in base al possesso di una formazione specifica e sulla base di esami;
•retribuzione del funzionario tramite un salario erogato dallo stato.
La burocrazia è il sistema di amministrazione più efficiente apparso nella storia e ciò è evidente se la si
confronta con il sistema dell’Europa feudale: il patrimonialismo➞le funzioni amministrative erano affidate
a funzionari pagati dal patrimonio del signore.
⤷ Un sistema che non è adatto alla gestione di servizi differenziati e rivolti a un numero enorme di
persone.
Svantaggi della burocrazia: favorisce la deresponsabilizzazione dei singoli funzionari e, dato che è fondata
sulla standardizzazione delle procedure, sfavorisce anche l’innovazione.
Lo sviluppo di una legittimazione del potere di tipo razionale-legale e della burocrazia sono parte di un
processo di razionalizzazione che invade tutto l’Occidente moderno in ogni ambito dell’esperienza.
Gli effetti sono più evidenti nell’ambito dell’economia➞l’agire economico capitalistico è caratterizzato da
un atteggiamento razionalistico che invade ogni altra sfera di comportamento.
Riguardo le origini di questo atteggiamento è dedicata l’opera ‘L’etica protestante e lo spirito del
capitalismo’.

L’etica protestante e lo spirito del capitalismo


Il capitalismo moderno è inteso da Weber come un sistema economico in cui le imprese producono per il
mercato in vista di un profitto che viene reinvestito nell’impresa stessa.
Queste imprese agiscono in modo razionale
•perchè strutturano le proprie attività in modo razionale per conseguire un profitto;
•perchè utilizzano razionalmente in queste attività il lavoro di dipendenti liberi.
I presupposti storici per l’emergere del capitalismo sono molti:
•artigiani e mercanti liberi da restrizioni feudali;
•ampliamento di forme di proprietà privata per mezzi di produzione e lavoro libero;
•sviluppo di mercati aperti;
•esistenza di un diritto istituito formalmente.
A Weber interessa la nascita dell’impresa capitalistica perchè in quanto è possibile solo se è culturalmente
plausibile una forma di agire economico orientata all’acquisizione di un profitto che è usato per essere
reinvestito e così accrescere la produzione.
Il saggio ‘L’etica protestante e lo spirito del capitalismo’ vuole spiegare le origini di questo e esse vengono
rintracciate nel protestantesimo.
Esso conobbe diverse versioni e quella che più interessò Weber fu il calvinismo.
Osservava che si differenzia dal cattolicesimo perche pone importanza alla vita mondana.
Nel concetto di Beruf (professione e vocazione) i protestanti hanno indicato il carattere sacro del lavoro di
ogni uomo.
Un’altra caratteristica del protestantesimo è la concezione dell’assoluta imperscrutabilità del volere divino
e della sua dipendenza dalle azioni degli uomini➞ciò si trasforma nel dogma della predestinazione delle
anime: il credente non ha potere sulla propria salvazione ed è portato allo stesso tempo a scrutare ogni
segno che gli possa dare conferma del proprio destino. Il compimento del proprio dovere lavorativo
diventa un modo di rispondere alla pressione psicologica prodotta dal dogma.
Per i calvinisti è estranea la credenza del redimere i propri peccati attraverso la confessione e perciò il loro
modo non è solo un modo per glorificare il signore, ma anche uno strumento per evitare tentazioni
⤷questo atteggiamento è definito da Weber come ascesi intramondana e si rivela affine
con lo spirito capitalistico: il dedicarsi nel modo più razionale possibile alla propria
professione e di rinunciare al desiderio di usare i guadagni per goderne.
L’etica protestante offre quindi le basi di senso per lo sviluppo di questa mentalità.
Questa etica produce però un paradosso➞viene favorita la produzione di ricchezza ma ciò
gioca a sfavore degli impulsi religiosi originali, favorendo la
tentazione.
Lo sviluppo del capitalismo col tempo tende a perdere i propri fondamenti culturali puritani perchè chi
nasce al suo interno ne dà per scontati i meccanismo e il profitto e il successo vengono perseguiti per
avere quei beni esteriori da cui l’etica originaria tanto fuggiva.
L’impostazione di Weber verso le origini del capitalismo dava vita ad un ampio dibattito ma la maggior
parte delle obiezioni derivava dal non capire i suoi intenti e a ciò egli rispose con due articoli nelle
successive edizioni dell ‘Etica protestante’➞sottolineava di intendere l’etica protestante come UNO dei
fattori che hanno contribuito al sorgere del capitalismo moderno.
Al di là delle letture troppo immersive, il libro di Weber fu visto come una sorta di manifesto antimarxista e
favorevole a una concezione idealistica della storia➞contrappone, alla spiegazione del divenire storico
moderno fondato sul materialismo economico, una spiegazione basata su elementi culturali, ma in verità
nulla è più distante dal suo pensiero.
Per Weber le idee influiscono sulla storia degli uomini interagendo con i fattori materiali dell’esistenza e
producendo effetti inintenzionali.

Razionalizzazione e disincanto del mondo


‘Sociologia delle religioni’ da un primo approccio sembra voler dimostrare ‘a contrario’ l’importanza
dell’ascesi protestante per le origini del capitalismo ma ciò ampliò molto il suo orizzonte:
•individuazione del nucleo del sentimento religioso nel bisogno di rendere conto dei misteri che
riguardano la vita umana;
•indagine dei nessi che queste rappresentazioni hanno con la stratificazione sociale e con il sistema di
interessi economici e politici delle società;
•in base alle forme che assumono queste rappresentazioni, Weber pone le religioni e le società
corrispondenti su un continuum che va dalla magia alle religioni monoteistiche.
Questo quadro ci mostra ricorrenti processi di razionalizzazione.
In quegli anni la parola ‘razionalizzazione’ in tedesco indicava lo sviluppo di nuove forme di coordinamento
e pianificazione delle attività lavorative.
In ‘economia e società’ questo processo coincide con la sostituzione dell’agire tradizionale rispetto allo
scopo e si manifesta in economia con l’agire capitalistico, in politica come affermazione del potere
razionale-legale e in campo amministrativo con la burocratizzazione. Coincide inoltre con l'affermarsi di
saperi specialistici e dei criteri di standardizzazione.
‘L’etica protestante’ vede le origini di tutto ciò nel razionalismo etico del protestantesimo ma in ‘Sociologia
delle religioni’ appare come un processo del mondo delle idee e inoltre questo processo smette di essere
caratteristica solo dell’Occidente moderno perchè si prende coscienza che è stato un processo presente in
forme diverse in tutte le civiltà.
A distinguere il razionalismo dell’Occidente è il suo tendere al dominio razionale del mondo, dove altre
forme di razionalismo promuovono un adattamento razionale.
All’interno di questo razionalismo la razionalizzazione si incontra con lo sviluppo della scienza moderna,
che a sua volta provoca il disincanto del mondo.
Anche se è nato dentro la religione, il processo di razionalizzazione si trasforma in una critica alla religione
stessa.
Le scienze della natura sono costrette a loro volta a cacciare dal proprio campo i giudizi di
valore➞rispondono a domande che riguardano il come dominare tecnicamente la vita ma che questo fine
abbia un senso non sono esse a deciderlo.
Le scienze storico-sociali possono dare chiarezza agli uomini sulle conseguenze dei loro atteggiamenti
ma, per ciò che riguarda la scelta di valori diversi, devono restare mute altrimenti perderebbero la loro
avalutatività.
Il processo di razionalizzazione colloca i moderni in una situazione contraddittoria:
•da un lato, gli dà la possibilità di dominare la vita tecnicamente
•dall’altro li lascia in una gabbia di razionalità strumentale che non dà risposte riguardo la questione del
senso ultimo dell’esistenza.
In tutto questo quadro, l’ultima parola di Weber è responsabilità➞l’individuo deve convivere con l’idea di
essere responsabile del senso che dà alla vita e delle conseguenze che ne derivano.

La recezione dell’opera weberiana


Il considerare Weber come classico della sociologia si deve a Parsons anche se la recezione della sua
opera è rimasta fortemente selettiva: l’interesse si è concentrato per ciò che riguarda la sociologia politica,
economica e la concettualizzazione della stratificazione sociale. Weber è visto come un pensatore
neokantiano il cui approccio è individualista e conflittualista.
In anni recenti si assiste a una rivalutazione della sua opera che riconosce la ‘Sociologia delle religioni’
come il lavoro in cui meglio viene messa in luce la specificità del suo percorso intellettuale e la sua
problematica principale➞il destino dell’Occidente moderno in comparazione con la storia delle altre
civiltà.
Il ricorso alla spiegazione storico-causale avvicina Weber alle scienze naturali ma l’individuazione del
senso come oggetto specifico di tutte le scienze umane e sociali pone Weber all’origine delle principali
correnti di riflessione sociale del 20° secolo.

Tonnies, Sombart e von Wiese


Tonnies è legato alla storia della sociologia grazie a uno dei suoi primi scritti ‘Comunità e società’.
•Comunità è per lui un gruppo umano stabile nello spazio e nel tempo, una formazione sociale con un alto
grado di chiusura verso l’esterno e di stabilità di norme, i cui membri sono legati da sentimenti di lealtà e
appartenenza (istintiva e non frutto di una scelta).
•Società è una formazione sociale in cui gli individui hanno più possibilità di movimento e hanno rapporti
impersonali mediati dall adesione a regole statuite e all’uso di mezzi di scambio come il denaro.
Solo all’interno di un’economia regolata dal denaro è possibile lo sviluppo di una logica del profitto e di
comportamenti economici acquisitivi.
Il suo pensiero mostra una nostalgia verso forme sociali di tipo comunitario e si tratta di un atteggiamento
neoromantico.
Di questa destinazione fatta da Tonnies se ne ne appropria anche Weber in ‘Economia e società’ dove una
relazione protratta nel tempo da luogo a:
•una Comunità se la disposizione dell’agire sociale poggia su una comune appartenenza soggettivamente
sentita;
•una Società se la disposizione dell’agire sociale poggia su una convergenza di interessi.
L’opera principale di Sombart è ‘il capitalismo moderno’, a cui si affiancano altri lavori come ‘Il borghese’ che
è un ritratto dello spirito capitalistico che ne evidenzia la carica rinnovatrice e la tensione al
consolidamento di un ordine sociale in cui è importante l’aspirazione al guadagno. Ha posizioni molto
critiche nei confronti del capitalismo.
E’ importante ricordare il suo saggio ‘Tecnica e cultura’ che presentò al primo congresso dell’Associazione
tedesca di sociologia. Egli osserva come la costruzione della cultura personale di ogni individuo dipende
dalla cultura oggettiva disponibile in un certo momento storico e come questa comprenda anche elementi
materiale, come la tecnica.
Il riconoscere l’importanza della tecnica significa sottolineare la rilevanza delle tecniche disponibili in un
certo momento storico per la comprensione della forma che assumono i processi sociali.
Il modo in cui il processo tecnico si è mischiato con le relazioni sociali è ciò che lo rende una minaccia per
la cultura➞ciò che la Kultur ha sempre promesso (emancipazione ideale dell’umanità) sarà realizzato dalla
Zivilisation solo quando essa si sarà estesa.

Von Wiese ha il ruolo di mediatore tra la sociologia tedesca prima del nazismo e quella successiva. La sua
opera si è sviluppata con il confronto con quelle di Durkheim, Spencer e la scuola di Chicago.
L’oggetto della sua sociologia è la dimensione interumana della vita, la dottrina di comportamento
reciproco degli uomini e delle loro comunità.
Questo comportamento reciproco si realizza in processi sociali che possono essere associativi o
dissociativi e che danno vita a formazioni sociali più o meno stabili nel tempo.
E’ stato anche mediatore fra la sociologia europea e quella americana:
•la sociologia americana poteva apportare a quella europea uno stimolo all’indagine empirica;
•la sociologia europea poteva fornire a quella americana strumenti per affinare il suo bagaglio teorico e
per riflettere sui fondamenti epistemologici della sua metodologia.

I negri e la crisi del capitalismo negli Stati Uniti


Frederick Douglass e Charles Summer chiesero il diritto al voto per i Neri e lo stato approvò perchè
servivano i voti obbligare il Sud bianco a conformarsi alle richieste del Big Business riguardo le leggi per le
tariffe e il controllo dei debiti ma subito dopo il loro voto fu di nuovo abolito.
Il Nord arricchito da queste leggi, dal controllo sulla moneta e dal lavoro sottopagato degli immigrati
spostò il capitale al Sud: durante la prima guerra mondiale il programma di addestramento fu fatto al Sud e
i proprietari terrieri interessati furono pagati, ciò successe anche durante la Grande depressione dove
tutti i sussidi andarono ai proprietari terrieri e non ai lavoratori.
Durante e dopo la seconda guerra mondiale l’industria al Sud crebbe molto e si costituì uno dei più grandi
bacini di lavoro servile del mondo.
Erano incoraggiate l’odio per la razza e la paura annessa.
Il Sud ‘moderno’ credeva che la prosperità si potesse costruire sulla povertà e l’ignoranza delle masse più
povere che includevano negri, messicani, portoricani e i bianchi poveri.
Dopo la prima guerra mondiale il lavoro nero si è spostato al Nord, ma a nessun sindacato importava che i
salari dei neri fossero più bassi, cosa che oggi sarebbe impensabile.
I salari del Sud erano per il 20% più bassi che nel Nord e i salari dei Negri erano il 20% più bassi di quelli
dei bianchi.
I carpetbaggers di quel tempo erano le grandi imprese del nord che possedevano nuove fabbriche al sud e i
scalawags erano i politici che venivano spediti dal nord nelle assemblee legislative statali e al Congresso.
In america ci sono circa 15 milioni di persone di discendenza nera e due terzi vivono degli Stati che una
volta erano schiavisti, meno di un terzo vive al Nord e mezzo milione ad Ovest.
E’ un gruppo non omogeneo, che nel 1900 era per lo più rurale, mentre oggi è soprattutto urbano.
L’83% non è impiegato nell’agricoltura poichè sono strettamente legati all'industria nazionale.
Presi come massa, la maggior parte dei neri sono ignoranti questo a conferma della povertà e della
segregazione del sistema scolastico nero.
Data la privazione di diritti che pervade il sud, solo il 40% può votare mentre al nord fanno valere il
proprio peso politico e ricoprono alcune cariche importanti.
La maggior parte di essi sono capitalisti nel modo di pensare e come i bianchi, sono soggetti alla
propaganda di massa che attraverso il monopolio delle informazioni rende impossibile un governo
democratico, dato che nega la conoscenza di verità all’uomo medio. Sono anche intimiditi dall’abitudine di
chiamare l’agitazione per i propri diritti ‘comunismo’.
Questo tipo di repressione può privare per del tempo i Negri di alcuni leader benestanti ma ciononostante
il gruppo non sarà mai liberato dalle barriere di colore.
Quando la struttura di casta cadrà, essi saranno divisi in classi ancora più di oggi e la grande massa sarà
parte della classe operaia della nazione e del mondo.
Fin quando ci saranno le divisioni di caste i leader neri saranno legati al loro gruppo, ancora di più unito
dall’unità ‘razziale’ o per meglio dire ‘culturale’.
Per la maggior parte il Nero istruito è sempre legato alla forza del proprio gruppo e le sue memorie
personali sono le memorie dell’oppressione.
Il saggio di De Bois vuole affrontare la questione di quale sarà lo spazio critico che questo gruppo
occuperà nello sviluppo della crisi del capitalismo degli Stati Uniti, la quale nasce dal fatto che questa
nazione cerca ostinatamente di opporsi al socialismo di Stato.
I neri devono capire che il loro progresso fino ad oggi è dipeso dall’azione federale piuttosto che dallo
Stato di diritto o dall’iniziativa individuale.
Gli Stati Uniti con la loro attuale struttura sociale non possono abolire la linea di colore e non possono
fermare lo sfruttamento dei lavoratori neri da parte del capitale bianco, in particolare nel Sud.
Comprendere il mondo
Le origini storiche dell’analisi dei sistemi-mondo
L’analisi dei sistemi-mondo è iniziata verso gli anni 70 come una nuova prospettiva di indagine per la
realtà sociale anche se sarebbe meglio far risalire ciò alla metà del 18° secolo.
L’economia capitalistica e l’imperativo di accumulazione di capitale aveva generato il bisogno costante di
innovazione tecnologica e di espansione delle frontiere.
Ciò generò a sua volta il bisogno di comprensione del modo in cui l’uomo conosce.
La rivendicazione della religione di essere depositaria della via certa alla conoscenza della verità aveva
trovato i suoi oppositori dei filosofi, che sostenevano che l’uomo potesse giungere alla conoscenza
attraverso l’uso dell’intelletto.
Un gran numero di studiosi davano priorità alle analisi empiriche della realtà.
In questo periodo si iniziò anche a dividere il sapere e a farlo furono i sostenitori delle scienze empiriche, i
quali affermavano che l’unica via per la verità fosse quella della formulazione di teorie induttive basate su
osservazioni empiriche.
In quel periodo nacque anche l’università moderna: quella medievale aveva quattro facoltà, tra cui teologia,
medicina, legge e filosofia. Nel 19° secolo la facoltà di filosofia si divise in studio delle scienze e studi
umanistici➞entrambe convinte di essere l’unico modo per accedere alla conoscenza: le scienze attraverso
lo studio empirico e la verifica delle ipotesi e gli studi umanistici attraverso l’intuizione empatica.
Un grande problema fu capire in quale facoltà collocare lo studio della realtà sociale.
L’urgenza di questo studio fu provocata dalla Rivoluzione francese (1789) e dallo sconvolgimento che si
insidiò nel sistema-mondo.
Questi eventi diffusero due idee:
•il cambiamento politico era normale e costante;
•la sovranità non risiedeva nel monarca ma nel popolo.
Divenne necessario per tutti capire cosa spiegasse la natura e il cambiamento e in che modo il popolo
giungesse alle decisioni➞sono le origini delle scienze sociali.
All’inizio si osservò che queste scienze si ponevano a metà strada tra le ‘scienze pure’ e gli ‘studi
umanistici’.
La più antica delle scienze sociali è la storia➞i nuovi storici scelsero di collocarsi negli studi umanistici
perchè erano empiristi ma nn volevano giungere alla formulazione di leggi scientifiche; sostenevano che
ogni avvenimento andasse analizzato nella sua storia specifica. Affermavano che le dinamiche sociali erano
diverse dai fenomeni scientifici per il fattore dell’intenzionalità umana.
Nella pratica, gli storici del 19° secolo studiavano il loro paese e successivamente gli altri paesi, considerati
‘nazioni storiche’➞si concencentravano su Francia, Gran Bretagna, Italia, Stati Uniti e Germania.
Il fatto che si concentrassero sulla storia del passato fece sì che avessero poco da dire sulla storia del
presente e i leader politici videro l’esigenza di maggiori informazioni sulla contemporaneità, perciò
nacquero altre discipline per raggiungere questo scopo: economia, scienza politica e sociologia.
L’ideologia liberale del secolo pensava che la modernità fosse definita da queste tre sfere sociali: mercato,
stato e società civile.
Si diffuse il punto di vista che questi ambiti della vita erano governati da leggi che potevano essere
individuate attraverso l’analisi empirica e la generalizzazione di tipo induttivo.
I studiosi di scienze sociali sostenevano che il modo migliore per evitare distorsioni fosse basare le loro
ricerche su dati quantitativi che si trovavano per lo più nei loro paesi e inoltre, se si sosteneva l’esistenza di
leggi generali per il comportamento sociale, non era importante dove questi fenomeni fossero studiati.
Nel 19° secolo le nazioni nominate prima stavano imponendo il loro dominio coloniale su altre parti del
mondo e non era appropriato studiare con queste 4 discipline le parti del mondo che non erano
considerate ‘moderne’➞nacque l’antropologia: i primi studiosi studiavano le popolazioni soggette al
dominio coloniale e questi gruppi erano chiamati ‘tribù’ : gruppi piccoli con un insieme condiviso di
usanze, lingua e struttura politica; nel 19° secolo furono considerate popolazioni ‘primitive’.
Il principale modo di indagine fu l’osservazione partecipante, in cui l’osservatore vive per un certo periodo
fra il popolo cercando di imparare la lingua, gli usi e i costumi; spesso si serviva di intermediari locali e
questa pratica fu chiamata scrittura etnografica e si basava sul lavoro sul campo.
Tuttavia c’erano regioni fuori l’area pan-europea che avevano una ‘civiltà avanzata’ (Cina, India, Persia,
mondo arabo), zone con caratteristiche in comune: scrittura, una sola lingua principale che era usata per
la scrittura e una sola religione dominante, ma non avevano la stessa forza militare e tecnologica del
mondo pan-europeo.
Date le diversità col mondo europeo e poichè i loro testi avevano scritture diverse, dedicarsi a questi studi
comportava un processo di acquisizione di competenze e in ciò furono importanti le conoscenze
filologiche per decifrare i testi religiosi antichi.
Chi acquisì queste competenze si definì Orientalista.
Antropologi-etnografi e orientalisti avevano un denominatore epistemologico comune: mettevano in
evidenza le particolarità dei gruppi che studiavano anzichè analizzare le caratteristiche umane generiche.
Nel 19° secolo gli studiosi di ogni disciplina iniziavano a creare strutture organizzative extra-universitarie
per consolidare la propria posizione, crearono riviste, associazioni e nuove categorie di classificazione
bibliografica.
Nel 1945 tuttavia ci furono trasformazioni che mutarono la configurazione di queste discipline:
•gli Stati Uniti divennero la potenza egemone del sistema-mondo;
•i paesi del Terzo Mondo divennero luogo di agitazione politica e autoaffermazione geopolitica;
•la combinazione di un’economia-mondo in espansione e di una consistente crescita delle tendenze
democratiche portò all’espansione del sistema universitario mondiale.
Le prime due trasformazioni fecero sì che la divisione del lavoro all’interno delle scienze sociali fosse
inutile per gli attori politici statunitensi; serviva formare storici, economisti, sociologi e scienziati politici
che studiassero ciò che stava succedendo in queste parti del mondo.
Una soluzione fu il ‘concetto di sviluppo’➞si fondava sulla teoria degli stadi, si assumeva che le singole
unità si sviluppassero nello stesso modo ma con ritmi differenti e implicava che gli stati più sviluppati
potessero essere un modello per quelli meno sviluppati➞questo strumento fu utile negli Stati Uniti per
incoraggiare la diffusione degli area studies nelle principali università in espansione.
Espansione significava che più persone avrebbero conseguito un dottorato di ricerca e dato che un
dottorato ha il requisito di fornire un contributo originale al sapere, ciò significava una difficoltà sempre
maggiore nell’essere originale.
Ciò stimolò l’appropriazione di contributi da ambiti diversi di studio perche si ritenne che l’originalità si
potesse trovare all’interno di latre discipline.
L'antropologia ridefinì il suo centro di interesse spostandolo verso i paesi di origine degli antropologi.
La distinzione tra aree moderne e non-moderne si stava sgretolando e ciò portò da un lato all’incertezza
sulle verità tradizionali, dall’altro creava spazio per le voci più eretiche.
Nelle scienze sociali tra il 1945 e il 1970 furono 4 i dibattiti che crearono le premesse per l’emergere
dell’analisi dei sistemi-mondo:
•concetto di centro-periferia elaborato dalla Commissione Economica delle Nazioni Unite per l’America
Latina e la formulazione della teoria della dipendenza➞nel concetto di centro-periferia l’idea di base era
che il commercio internazionale non era un commercio tra eguali perchè i paesi economicamente più forti
(centro) conducevano gli scambi in modo che il plusvalore fosse trasferito dai paesi più deboli (periferia)
verso il centro. La teoria della dipendenza per come si sviluppò in America Latina era una critica alle
politiche economiche messe in atto dalle potenze occidentali e il sottosviluppo era considerato come una
conseguenza del capitalismo storico; esse criticavano anche i partiti comunisti latino-americani perchè
sostenevano una politica degli stadi dello sviluppo per cui i paesi dell’America Latina erano ancora feudali
e sostenevano che le forze radicali dovessero collaborare con la borghesia per giungere alla rivoluzione
borghese e avviare il processo verso il capitalismo. I dependistas sostenevano che gli stati latino-americani
fossero già parte del sistema capitalistico e per questo si dovesse avere la rivoluzione socialismo da subito;

•l’utilità del concetto marxiano di ‘modo di produzione asiatico’➞Marx descrisse l’insieme di stadi delle
strutture economiche attraverso cui si sviluppò l’umanità e utilizzò ‘modo di produzione asiatico’ per
descrivere gli imperi burocratici che si affermarono in Cina e India. Stanlin negli anni ‘30 pensò che si
poteva utilizzare la stessa definizione per descrivere la Russia e decise di rivedere il concetto di Marx ed
eliminarlo; quando morì, si riaprì la discussione sullo sviluppismo come cornice analitica e indirizzo
politico e questo dibattito ci fu nel discorso del 1956 di Krusciov al ventesimo Congresso del Partito ;

•dibattito tra storici dell’Europa occidentale sulla ‘transizione dal feudalesimo al capitalismo’➞il dibattito
sulle origini del capitalismo moderno iniziò con la pubblicazione nel 1946 del libro di Dobb ‘Studies in the
development of Capitalism’; Sweezy scrisse un articolo dove sfidava ciò che disse Dobb sulla transizione dal
feudalesimo al capitalismo. Il primo individuava le radici della transizione in elementi interni agli stati,
mentre il secondo dava importanza ai fattori esterni e ignorava il ruolo dei cambiamenti nella struttura
della produzione e quindi nei rapporti di classe. Questo dibattito fu importante perchè sembrava avesse
implicazioni politiche, perchè indusse molti economisti a dare importanza ai dati storici, perchè si
incentrò sull’unità d’analisi e perchè, come per il dibattito sul modo di produzione asiatico, ebbe la
conseguenza di rompere una versione del marxismo che analizzava solo i rapporti di produzione e solo
all’interno degli stati;

•’storia totale’ e il trionfo della scuola storiografica delle Annales in Francia➞Gli Annales nacquero in
Francia negli anni ‘20 come reazione contro la tendenza idiografica ed empirista della storiografia francese
dominante: loro pensavano che la storiografia dovesse essere totale. Dopo il 1945, dal punto di vista
istituzionale creò una nuova istituzione universitaria a Parigi, fondata sulla premessa che gli storici
dovessero integrare i contributi delle altre scienze sociali Braudel criticò la storia ‘dominata dagli eventi’
della storiografia tradizionale definendola ‘polvere’ perchè parlava di fenomeni effimeri e perche impediva
di guardare alle reali strutture sottostanti. Pose attenzione su due altri tempi sociali: il tempo strutturale e
i processi ciclici all’interno delle strutture.

Questi 4 dibattiti sono la critica alle esistenti strutture del sapere e furono seguiti dalle rivoluzioni del
‘68➞riguardarono questioni politiche come l’egemonia degli Stati Uniti, l’atteggiamento passivo
dell’Unione Sovietica e l’inefficacia dei movimenti della Vecchia Sinistra per opporsi allo status quo.
Iniziarono anche a sollevare questioni sulle strutture del sapere come:
•obiezioni sul diretto coinvolgimento politico degli studiosi in un lavoro che rafforzava lo status quo
mondiale;
•ambiti di ricerca trascurati, come ad esempio le storie di molti gruppi oppressi (donne, minoranze, ecc);
•epistemologie soggiacenti alle strutture del sapere.
Nei primi anni ‘60 si iniziò a parlare dell’analisi sistemi-mondo come prospettiva➞implicò la sostituzione
dell’unità d’analisi precedente (lo stato nazionale) con quella che fu definita ‘sistema-mondo’. Al posto degli
stati nazionali come oggetto di studio, furono messi i sistemi storici che erano esistiti in 3 varianti:
-minisistemi
-sistemi-mondo, di due tipi: economie-mondo e imperi-mondo.
Il trattino d’unione indica che non ci si riferisce a sistemi del mondo intero ma a sistemi che SONO un
mondo.

Il concetto venne applicato al sistema-mondo moderno che aveva preso la forma di economia-mondo➞si
sostenne la tesi che l’economia-mondo moderna fosse capitalista.
Karl Polanyi distinse tre forme di organizzazione economica: reciprocità (minisistemi), redistribuzione
(imperi-mondo) e mercato (economie-mondo)➞le categorie di tipi di sistemi storici erano un altro modo
per esprimere le tre forme di organizzazione economica di Polanyi.
L’economia-mondo capitalistica era caratterizzata dalla divisione assiale del lavoro tra processi produttivi
centrali e periferici: i processi monopolizzati erano molto più remunerativi di quelli del libero mercato e
ciò ha reso più ricchi i paesi in cui sono stati localizzati i processi centrali. Dato il potere ineguale dei beni
monopolistici, il risultato finale dello scambio tra prodotti centrali e periferici è stato un trasferimento di
plusvalore verso gli stati più ricchi.
L’influenza di Braudel fu importante per due motivi:
•egli insistette sulla separazione tra la sfera del libero mercato e quella dei monopoli e fece rientrare il
capitalismo in quest’ultima;
•l’importanza che dava alla molteplicità dei tempi sociali e la sua enfasi sul tempo strutturale (longue
durée) divennero centrali nell’analisi dei sistemi-mondo.
Per gli studiosi dei sistemi-mondo, la longue duree era la durata di uno specifico sistema storico.
Questo punto di vista ribadì l’idea che la scienza sociale doveva essere storica e aprì la questione delle
transizioni.
Questi studiosi iniziarono ad essere scettivi sull’inevitabilità del progresso, considerandolo una probabilità
più che una certezza e questo sguardo gli consentiva di includere nella descrizione della storia umana la
realtà dei sistemi che erano raggruppati come ‘modo di produzione asiatico’.
Un altro elemento d’analisi fu la non osservanza dei confini tra le scienze sociali, indagarono i sistemi
sociali totali, svolgendo un lavoro unidisciplinare.
L’insieme di queste tre critiche (sistemi-mondo che sostituiscono gli stati come unità d’analisi, longue
duree e approccio unidisciplinare) rappresentano una sfida.
Il contrattacco giunse da 4 direzioni: positivisti nomotetici, marxisti ortodossi, teorici dell’autonomia degli
stati, teorici del particolarismo culturale.

•I positivisti nomotetici dissero che l’analisi dei sistemi-mondo fosse una narrazione dato che il suo
teorizzare era basato su ipotesi mai verificate, ma gli studiosi dei sistemi-mondo ribadiscono che va
compiuto un grande sforzo per contestualizzare tutte le variabili semplici al fine di comprendere le
situazioni sociali concrete e ritengono che occorre ricercare dati più appropriati in funzione al problema
intellettuale e non si sceglie il problema in funzione della disponibilità dei dati.

•I marxisti sostengono che, nell’analizzare un asse centro-periferia della divisione del lavoro, l’analisi dei
sistemi-mondo è circolazionista e trascura la produzione del pluslavoro e la lotta di classe tra borghesia e
proletariato come variabile centrale del cambiamento sociale. Viene accusata di non considerare il lavoro
non salariato come in via di estinzione.
Gli studiosi dei sistemi-mondo hanno invece sostenuto che il lavoro salariato è solo una delle forme di
controllo del lavoro all’interno di un sistema capitalistico e la lotta di classe può essere compresa solo
all’interno del sistema-mondo considerato nel suo insieme.

•I teorici dell’autonomia degli stati sostengono che l’analisi riduce la sfera politica a un ambito le cui realtà
sono determinate dalla sfera economica. Sostiene che non è possibile spiegare cosa accade a livello statale
o interstatale pensando a questi ambiti come parte di un’economia-mondo capitalistica.

• Per i sostenitori del particolarismo culturale, l’analisi sistemi-mondo viene accusata di derivare la
sovrastruttura dalla base economica e trascurare la realtà autonoma della sfera culturale e di essere
eurocentrica perchè non accetta l’autonomia di differenti identità culturali.
Nel loro lavorare sulla storia totale e sull’unidiscinarietà, gli studiosi dei sistemi-mondo rifiutano la
sostituzione di una base economica con una base culturale, piuttosto vogliono abolire i confini tra le sfere
d’analisi.

Queste 4 critiche hanno in comune l’idea che l’analisi sistemi-mondo non abbia un soggetto centrale che
per il positivismo è l’individuo, per il marxismo è il proletariato industriale, per i sostenitori dell’autonomia
degli stati è l’uomo politico e per i sostenitori del particolarismo culturale è ognuno di noi.
Per l’analisi questi soggetti sono i prodotti di un processo.
Per questi studiosi spazio e tempo non sono realtà esterne immutabili e al cui interno esiste la realtà
sociale: per loro gli SpazioTempo sono realtà in continua trasformazione.
Il sistema-mondo moderno come economia-mondo capitalistica. Produzione, plusvalore e
polarizzazione.
Il sistema-mondo ha origine nel 16° secolo e si localizza in Europa e nelle Americhe; è un’economia-mondo
capitalistica➞un’estesa area geografica al cui interno esiste una divisione del lavoro e uno scambio di
prodotti di base. All’interno ci sono molteplici unità politiche e molti gruppi che sviluppano dei modelli
culturali comuni (geocultura).
E’ un sistema capitalistico perchè si dà priorità all’incessante accumulazione di capitale.
Nella storia, l’unica economia mondo ad essere sopravvissuta nel tempo è stato il sistema-mondo moderno
perchè il sistema capitalistico si è consolidato come sua caratteristica distintiva.
I capitalisti hanno bisogno di un mercato ampio e di molteplici stati.
Un’economia-mondo capitalistica è formata da molte istituzioni, che sono intrecciate le une con le altre:
•mercato;
•imprese che competono sui mercati;
•molteplicità di stati;
•aggregati domestici;
•classi;
•gruppi di status.
Il mercato è sia una concreta struttura locale in cui si vendono e comprano beni e sia una istituzione
virtuale trans-spaziale in cui c’è lo stesso genere di scambio. Ci sono mercati virtuali diversi per ogni
merce, per i capitali e per il tipo di lavoro ma si può anche dire che esiste un unico mercato mondiale
virtuale per tutti i fattori di produzione combinati, la cui forza di attrazione è un fattore politico costante
nei processi decisionali di ciascuno. Questo mercato è una realtà perchè influenza tutti i processi
decisionali ma non funziona mai liberamente e senza interferenze. Non costituisce una realtà quotidiana
perchè un mercato completamente libero renderebbe impossibile l’accumulazione di denaro.
In un mercato perfetto è possibile per i compratori contrattare per il prezzo più basso e porterebbe i
venditori ad avere un profiffo irrisorio che renderebbe il gioco capitalistico privo di interesse per i
produttori.
I venditori preferiscono un monopolio, che permette di creare una differenza ampia tra i costi di
produzione e i prezzi di vendita.
Ovviamente i monopoli perfetti sono difficili da creare mentre è più facile creare i semi-monopoli. Uno dei
modi per farlo è il sistema di brevetti che riserva i diritti di un’invenzione per un certo numero di anni ma
rimane un semi-monopolio perchè possono esserci dei prodotti simili sul mercato➞per questo motivo la
condizione normale dei prodotti guida è un oligopolio, che è sufficiente per avere un alto profitto e perchè
le diverse imprese si accordano per ridurre al minimo la competizione sul prezzo.
Un altro modo sono le restrizioni statali sulle importazioni e le esportazioni, i sussidi statali e le
agevolazioni fiscali e infine le disposizioni che impongono un onere fiscale ai produttori possono essere
assorbite da grandi produttori ma essere una rovina per i produttori più piccoli, che vengono eliminati dal
mercato.
Ci sono però caratteristiche anti-monopolistiche all’interno dell’economia-mondo capitalistica:
•il vantaggio monopolistico di un produttore è svantaggio per un altro e i perdenti lotteranno per
eliminare i vantaggi dei vincitori attraverso una battaglia politica all’interno degli stati in cui si trovano i
produttori monopolistici appellandosi alle leggi del mercato libero o persuadendo altri stati a sfidare il
monopolio del mercato mondiale attraverso il loro potere statale per sostenere i produttori più
competitivi.
Ogni semi-monopolio cessa per l’ingresso nel mercato di nuovi prodotti e quando cessa i grandi capitalisti
spostano il loro capitale verso nuovi prodotti guida, generando così un ciclo di prodotti guida, che hanno
vite brevi ma sono costantemente sostituiti.

Le imprese sono gli attori principali del mercato e sono in competizione con altre che operano nello stesso
mercato virtuale.
C’è un aspetto negativo nella crescita delle imprese in tre sensi:
•orizzontale➞nello stesso prodotto;
•verticale➞nei diversi livelli della catena di produzione;
•ortogonale➞in prodotti di altro tipo non affini.
La dimensione abbatte i costi delle economie di scala ma aggiunge anche costi di amministrazione e
moltiplica i rischi di inefficienze gestionali.
L’esito di questa contraddizione è stato visto come un processo a zigzag di espansione e contrazione delle
dimensioni delle imprese.
Esse hanno anche implicazioni politiche indirette poichè grandi dimensioni conferiscono maggior peso
politico e le rendono più vulnerabili agli attacchi.
La divisione assiale del lavoro divide la produzione in prodotti centrali e prodotti periferici: questo è un
concetto relazionale. ciò che si intende per centro-periferia e livello di remuneratività dei processi di
produzione e dato che essa è in relazione diretta al grado di monopolizzazione, quelli che intendiamo per
processi di produzione centrali sono controllati da semi-monopoli. I processi periferici sono dunque
quelli concorrenziali.
Il risultato è un costante flusso di Plusvalore dai produttori periferici a quelli centrali e questo è stato
definito uno scambio ineguale. Il saccheggio è un altro modo per spostare capitale dalle regioni deboli a
quelle forti ma poiché le conseguenze sono di medio termine e i vantaggi di breve termine il ricorso al
saccheggio nel sistema mondo moderno è ancora esteso.

Dato che i semi.monopoli dipendono dal sostegno di stati forti, essi sono in gran parte localizzati in essi. I
processi centrali tendono a concentrarsi in pochi stati mentre quelli periferici in un gran numero di stati.
Alcuni stati hanno una combinazione bilanciata tra prodotti centrali e periferici e possiamo definirli
semi-periferici.
Dato che i semi-monopoli si esauriscono, un processo centrale diverrà periferico: la storia economica del
sistema-mondo moderno è ricca di dislocamenti di prodotti.
Il ruolo di ogni stati rispetto ai processi produttivi varia in base alla combinazione di processi centrali e
periferici al suo interno:
•gli stati forti tendono ad accentuare il loro ruolo per proteggere i semi-monopoli;
•gli stati deboli non possono fare molto per incidere sulla produzione assiale del lavoro;
•gli stati semiperiferici subendo la pressione dagli stati centrali e esercitandola su quelli periferici, cercano
di evitare di andare nella periferia e di salire verso il centro.
Sono destinatari della rilocalizzazione di prodotti guida e in questo i loro rivali non sono costituiti dagli
stati centrali ma da altri stati periferici.

L’evoluzione delle industrie guida spiega i ritmi ciclici dell’economia-mondo➞un’industria guida


importante è stimolo per l’espansione e genera un accumulo di capitale. Man mano che più imprese
entrano nel mercato di un semi-monopolio si verifica una sovrapproduzione e di conseguenza una
maggiore competizione sul prezzo che riduce i profitti.
Ne consegue un gran numero di prodotti invenduti e un rallentamento della produzione➞questa si
definisce stagnazione o recessione dell’economia-mondo.
I produttori cercano di ridurre i costi per conservare le loro quote sul mercato e uno dei meccanismi è la
delocalizzazione dei processi produttivi in zone che hanno salari più bassi.
Il processo di espansione e contrazione dell’economia-mondo, quando c’è una riduzione dell'intensità del
semi-monopolio, può essere rappresentato con una curva ciclica con fasi A di espansione e fasi B di
stagnazione➞ciclo di Kondratieff.
Essi hanno ad oggi una durata media di 60-70 anni e dipende dalle misure politiche adottate dagli stati per
evitare una fase B.
La situazione che abbiamo alla fine del ciclo non è mai uguale a quella che precede l’inizio, questo perchè
ciò che viene fatto nella fase B per ritornare alla fase A cambia alcuni aspetti dei parametri del
sistema-mondo. Questi cambiamenti risolvono il problema immediato ma ne creano sul lungo periodo. Il
risultato è una tendenza secolare, che va intesa come una cerva la sua ascissa è il tempo e la cui ordinata
misura il fenomeno grazie al numero di componenti di un certo gruppo che hanno una certa caratteristica.
Se la percentuale si muove verso l’alto con un andamento lineare, ciò implica che a un certo punto non
potra continuare, raggiungendo l’asintoto e perciò nessuna caratteristica potrà essere data a più del 100%
dei gruppi➞questo vuol dire che nel risolvere i problemi di medio termine risalendo la curva, ci si troverà
alla fine col problema di lungo termine di approssimazione dell’asintoto.
Uno dei problemi trovati nel ciclo di Kondratieff è che i principali processi di produzione diventano meno
redditizi e si verifica allo stesso tempo un aumento della disoccupazione nelle aree centrali.
Le imprese riducono i costi ma hanno più difficoltà nel trovare un numero sufficiente di consumatori.
Un modo per ristabilire il livello sufficiente di domanda globale è l’aumento dei livelli di retribuzione dei
lavoratori nelle aree centrali ma livelli di retribuzione più alti possono significare profitti più bassi per gli
imprenditori. Su scala mondiale, ciò può essere compensato dall’espansione dell’insieme dei lavoratori
salariati ma ciò riduce il numero di persone non salariate fino a far scomparire questo numero e per
questo si raggiunge l’asintoto.

In un sistema capitalistico servono persone che offrono lavoro per i processi produttivi e questi si
chiamano proletari, cioè lavoratori salariati che non hanno mezzi di sostentamento alternativi.
Quasi ogni lavoratore è legato ad altre persone in un aggregato domestico che tipicamente contra dalle 3
alle 10 persone che mettono in comune più fonti di reddito per sopravvivere.
Nel sistema-mondo moderno esistono 5 tipi di reddito:
•reddito da salario➞pagamento da parte di persone esterne all’aggregato; ha come vantaggio per il datore
di lavoro di essere flessibile perchè in funzione all’esigenza del datore ma ha come svantaggio che, in caso
di necessità di maggiore forza lavoro, questa può non essere subito disponibile, quindi il datore di lavoro
mette in conto di pagare i lavoratori anche nei periodi in cui non gli sono necessari;
•attività di sussistenza➞le attività di produzione per il consumo di beni alimentari o di prima necessità (es.
cucinare un pasto, montare mobili acquistati in un negozio ecc); essa oggi è una parte ampia del reddito di
aggregati domestici nelle aree più sviluppate;
•piccola produzione di merci➞prodotto realizzato all’interno dell’aggregato domestico ma venduto su un
mercato più ampio; attività molto diffusa nelle aree più povere e che nelle zone ricche viene chiamato
‘freelancing’.
•rendita➞può derivare da investimenti di capitali, da un vantaggio che deriva dalla localizzazione o dalla
proprietà di capitali;
•trasferimenti➞entrate percepite da un individuo in virtù di un obbligo da parte di qualcun’altro che deve
fornire tali entrate; sulla base domestica i trasferimenti possono avvenire per reciprocità, ad opera dello
stato o attraverso un piano assicurativo.
Va osservato come le persone che procurano reddito in un aggregato domestico possono essere correlate
per categorie in base al sesso e all’età.
Il peso delle diverse forme di reddito in particolari aggregati domestici è soggetto a variazioni e ne
distinguiamo due:
•l’aggregato in cui il reddito da salario è il 50% o più del reddito totale nell’arco della vita, che si chiama
‘aggregato domestico proletario’;
•l’aggregato in cui esso ha una percentuale inferiore, che definiamo ‘aggregato domestico semiproletario’.
Per un datore di lavoro assumere lavoratori salariati che fanno parte di un aggregato semiproletario è un
vantaggio perchè quando il lavoro salariato è una componente importante del reddito, esiste una soglia
minima di retribuzione che deve corrispondere a una quota adeguata dei costi di riproduzione
dell’aggregato domestico: questo è il salario minimo assoluto.
Se il lavoratore è in aggregato semiproletario potrà essere retribuito per un ammontare inferiore a quello
minimo assoluto e la differenza può essere colmata dai redditi addizionali dati da altre attività: in questo
caso gli altri produttori di reddito trasferiscono al datore di lavoro altro plusvalore.
Ne deriva che in un sistema capitalistico i datori di lavoro preferiscono assumere lavoratore di aggregati
semiproletari ma esistono due forze che spingono verso direzione opposta:
•spinta da parte degli stessi lavoratori che chiedono di essere proletarizzati;
•pressione contraddittoria subita dagli stessi datori di lavoro che preme la loro necessità collettiva di avere
nell’economia-mondo una domanda ampia per sostenere il mercato dei loro prodotti.
In un sistema capitalistico esistono poi delle classi poichè ci sono persone che occupano posizioni diverse
nel sistema economico, con diversi livelli di reddito e diversi interessi.
Sono gli aggregati domestici e non i singoli individui ad appartenere alle classi.
Le classi non sono gli unici gruppi però dato che ci sono anche quelli di status/identità, che sono etichette
ascritte a cui apparteniamo fin dalla nascita.
All’interno degli aggregati esiste una grande pressione per cui si conservi un’identità comune, ma il
costante movimento degli individui all’interno del sistema mondo ha generato un rimescolamento delle
identità originarie.
Ciò che si verifica in ogni aggregato è un’evoluzione verso un’identità singola e in questo modo si riunifica
l’aggregato in termini di identità di gruppo di status.
Questa omogeneizzazione aiuta a conservare la coesione di un aggregato in quanto unità di messa in
comune di redditi e a superare le tendenze centrifughe che derivano da ineguaglianze interne nella
distribuzione dei consumi e nel processo decisionale.
Il sistema-mondo trae benefici dalle tendenze di omogeneizzazione perche gli aggregati fungono da enti
primari di socializzazione.
Il modo in cui le istituzioni formulano le questioni e la loro capacità di farlo dipende dalla relativa
omogeneità degli aggregati domestici.
In un sistema sociati i poteri sperano che la socializzazione stia nell’accettazione delle gerarchie reali che
sono prodotte nel sistema.
Gli aggregati socializzano anche i membri alla ribellione e al rifiuto e si può prevedere come le
socializzazioni negative potranno avere un impatto limitato sul funzionamento del sistema.
Però quando il sistema storico entra in una crisi strutturale, queste socializzazioni antisemitiche hanno un
ruolo destabilizzante.
Esistono numerosi gruppi di status e dal momento che siamo tutti coinvolti in questi gruppi di status, la
questione da affrontare è se esista un ordine di priorità delle identità.
La maggior parte dei gruppi di status ha un tipo di istituzione trasversale agli aggregati domestici e queste
istituzioni esercitano una pressione diretta sugli aggregati per conformarli alle loro norme e perchè
accordino le loro priorità.
Gli stati, tra le istituzioni trasversali, sono quelle che hanno il maggior successi nell’influenzarli ma se lo
stato è più debole, le strutture religiose o simili possono diventare le istituzion iche più influenzano il
gruppo.
Il complicato agitarsi di identità negli aggregati domestici è la base per la lotta politica all’interno del
sistema-mondo moderno.
I legami tra economia mondo, imprese stati, aggregati e istituzioni trasversali sono attraversati da due
motivi ideologici: universalismo e razzismo/sessismo.
•L’unievrsalismo implica la prioprità di regole generali che si applicano a tutti gli individiui e le sole regole
considerate lecite sono quelle che possono esssere presentate come direttamente rivolte al corretto
funzionamento del sistema-mondo.
Esso è una norma positiva.
•Razzismo e sessismo sono anch’esse norme ma negativa dato che la maggior parrte delle persone nega di
crederci.
Sono pensati come anti-universalismo: per ogni tipo di identità c’è una gerarchia sociale e un gruppo al
vertice.
Abbiamo tutti conoscenza delle gerarchie su scala mondiale del mondo moderno: uomini su donne,
bianchi su neri ecc; le gerarchie etniche hanno una dimesione più locale mentre quelle religiose variano da
una parte all’altra del mondo.
Universalismo e antiuniverslaismo sono entrambe realtà quotidiane ma operano in ambiti diversi:
l’universalismo è un principio attivo nel reclutamento dei quadri del sistema-mondo, cioè il gruppo
intermedio di persone che hanno ruoli di comando e di supervisione nelle istituzioni. Questo gruppo può
essere più o meno grande a seconda della posizione del paese nel sistema-mondo e alla situazione politica
locale.
Ogni volta che l’universlaismo perde auttorevolezza anche tra i quadri si può osservare una disfunzione e
immediatamente emergono pressioni politiche per ripristinare i criteri universalistici.
•Da un alto si ritiene che l’universalismo porti a un economia mondo più efficiente che migliora la capacità
di accumulare capitale. Ma esso crea malcontento quando entra in gioco dopo il particolarismo o quando
si fa appello ai criteri universalistici durante la scelta, ignorando i criteri particolaristici in base ai quali gli
individui hanno accesso alla precedente formazione.
Ma quando la scelta è davvero universalistica il malcontento può nascere dal fatto che la scelta implica
esclusione e può emergere la pressione del popolo per avere un accesso alle posizioni senza selezioni.
I criteri universalistici consentono a coloro che hanno raggiunto la condizione dei quadri di giustificare i
propri vantaggi e ignorare i modi in cui i criteri hanno permesso il loro accesso.
•Dall’altro lato le norme anti-universalistiche assolvono a compiti ugualmente importanti nella
distribuzione del lavoro e del potere e sono vere modalità di inclusione in posizioni inferiori.
Queste norme esistono per giustificare le posizioni più basse della gerarchia e vengono presentate come
codificazioni di verità naturali e non soggette ai cambiamenti sociali.
Diventano norme per lo stato, il luogo di lavoro e la sfera sociale e anche norme entro cui gli aggregati
domestici sono spinti a socializzare i loro membri, giustificando la polarizzazione del mondo.

Il risultato è che si sistema mondo ha fatto dell'esistenza simultanea di universalismo e anti-universlaismo


una caratteristica centrale della sua struttura.
Questo binomio è fondamentale anche nella divisione assiale del lavoro centro-periferia.
America latina e modernità
Sistema-mondo e transmodernità di Enrique Dussel
La tesi del saggio è che l’impatto della modernità sulle diverse culture del pianeta ha prodotto una risposta
alla sfida moderna e ha fatto sì che ognuna di essere entrasse a far parte di un orizzonte culturale che va
oltre la modernità.
Chiamiamo questo momento multiculturale: transmodernità.

Un’ipotesi in cui sono ancora presenti aspetti eurocentrici: il sistema-mondo


L’ipotesi sistema-modno nacque come risposta alle prime forme di eurocentrismo secondo cui l’Europa
produsse valori e sistemi universalizzati durante l’epoca della modernità.
Fu con gli Enciclopedisti che iniziò la distorsione della storia e con gli illuministi inglesi, secondo cui
l’infanzia dell’umanità, da cui lo Spirito si sarebbe diretto verso l’Europa.
Al contrario, l’analisi sitemi-mondo vuole dimostrare che dalla fine del 15° secolo l’Europa, con la scoperta
dell’America, aveva iniziato a strutturare il sistema-mondo moderno come un impero-mondo incompiuto.
Questa visione della storia inglobava formulazioni delle teorie della dipendenza latinoamericane,
inserendole in una cornice storica più plausibile.
La modernità come cornice storica diviene la modalità egemonica in gestione della centralità europea
all’interno del sistema-mondo➞ciò spiega perche Spagna e Portogallo rappresentano la ‘prima modernità’.
La scoperta dell’America coincide dunque con la genesi di sistema-mondo, capitalismo e modernità.
Secondo l’ipotesi sistema-mondo, l’ascesa dell’occidente ha avuto origine dal vantaggio che l’Europa ebbe
con le scoperte scientifiche, i metalli preziosi, nuova forza lavoro e i nuovi strumenti tecnici➞ciò permise
il trionfo dell’Europa in competizione con mondo islamico, Indostan, Sud est asiatico e Cina.
La caravella permise il dominio dell’Atlantico, dell’Oceano Indiano e del Pacifico: l’Europa crea il
sistema-mondo con l’invasione delle Americhe e perciò il suo superamento dovrà nascere all’interno di
questo processo di globalizzazione.
La ‘postmodernità’ indica l’esistenza di un processo che emerge all’interno della modernità e rivela uno
stato di crisi della globalizzazione.
La ‘transmodernità’ esige un’interpretazione nuova della modernità che possa includere esperienze e
momenti che non fanno parte della visione europea e che possa affermare all’esterno le componenti delle
culture escluse per sviluppare una civiltà futura.
Per realizzare questo progetto di riformulazione della modernità si deve passare a un’interpretazione
non-eurocentrica della storia del sistema-mondo.

Qual era il ruolo della Cine nel sistema-mondo fino al 18° secolo?
Si pensava che la Cina non avesse avuto un proprio peso nel sistema-mondo dato che non aveva scoperto
l’America e che in Cina non si fosse verificato un Rinascimento, ma un Proto-rinascimento, il cui processo
fu interrotto per la presenza del colonialismo portoghese, spagnolo, olandese, inglese e francese.
Fino al 18° secolo la Cina fu considerata dagli europei una vera e propria potenza➞Adam Smith si riferisce
alla Cina con le parole che avrebbe usato ad esempio per Inghilterra e Scozia in ‘La ricchezza delle nazioni’.
Secondo lui la scoperta dell’America permise all’Europa di comprare sia per i mercati più ricchi del
sistema-mondo, sia da quelli più assortiti fino alla Rivoluzione industriale.
L’Europa poteva comprare sul mercato cinese grazie ai metalli preziosi latinoamericani e in Cina, dato che
è un paese molto più ricco dell’Europa, il valore dei metalli preziosi è più alto.
La crisi del sistema di produzione e distribuzione cinese nel ‘vecchio sistema’ permise l’ascesa
dell’Occidente.
Max Weber dedicò i suoi lavori sociologici a dimostrare perchè in Cina e Indostan non ebbe origine la
società capitalistica➞a causa del regime corporativo della proprietà, di una burocrazia che impediva la
concorrenza ecc.
E’ impossibile pensare che milioni di lavoratori con salari bassi non producessero il plusvalore di cui ci ha
parlato Marx➞era per lo più un sistema capitalistico regionale, che fallì per motivi politici.
Gunder Frank (‘ReOrient: Global Economy in the Asian Age’) ha studiato alcune delle cause della crisi della
Cina e dell’Indostan nel 17° e 18° secolo, ad esempio la dinastia Ming entrò in crisi con l’avvento
dell’avvento della dinastia Manciù.

Ricostruire il significato di ‘prima modernità’ (15°-18° secolo)


L’interpretazione di prima modernità con la Spagna e il Portogallo come primo riferimento, deve essere
riformulata supponendo la presenza cinese e indostana fino al 18° secolo➞il vecchio sistema si protrae dal
1400 al 1800.
Al contrario, con l’annessione dell’America alla Spagna permette all’Europa di elaborare un sistema mondo
mondiale➞bisogna considerare che l’Europa aveva un posto periferico in rapporto allo spazio economico e
culturale asiatico, dato che fu reintegrata solo nel 15° secolo.
Grazie all’uso di metalli preziosi come denaro e alla domanda di argento sul mercato esterno al sistema
cinese, la Spagna si procurò le merci per comprare sul mercato cinese.
A partire dal 15° secolo fino al 18° i metalli preziosi integrarono l’Europa come estremo occidentale del
sistema-mondo➜questa prima fase della modernità è ancora periferica rispetto al mondo
indostano-cinese. In quest'epoca si produce la colonialità del potere europeo, mentre la Cina, che rimase
chiusa nel suo progetto nazionalistico, perde progressivamente il suo mercato esterno.
L’Europa dal 1492 fino al 17° secolo, grazie ai contatti esterni, produsse una rivoluzione nella visione del
mondo, dell’astronomia, delle scienze e l’America indigena subì l’impatto della prima globalizzazione➞il
potere dei coloni impone la superiorità europea a partire dal razzismo, ciononostante gli indigeni
conserveranno una certa esteriorità rispetto al sistema-mondo.

Solo due secoli di egemonia mondiale europea: gli esclusi dalla modernità
L’egemonia europea fu possibile grazie alla Rivoluzione Industriale ed è durata due secoli.
E’ necessario spiegare l’ascesa dell’Occidente in relazione al declino dell’Oriente➜il sistema-mondo che
nasce dall’annessione del Nuovo Mondo al Vecchio Mondo, è un movimento che nasce a Est, ma la
decadenza dell’Est permise all’Ovest di prendere il centro del sistema.
Pensare in modo non-eurocentrico significa pensare che la Rivoluzione Industriale nasce da un ‘vuoto’
prodotto nel mercato la cui egemonia è della Cina e dell’Indostan, questo ‘vuoto’ è causato da:
•effetto di una struttura (stato imperiale che impedisce il trionfo della borghesia in Cina);
•effetto di una crisi (politica, bassi salari ed esplosione demografica).
Marx chiarisce che l’espansione del mercato può produrre lo sviluppo della produzione e l’unica soluzione
fu utilizzare le macchine.
L’uso delle macchine nel processo di produzione in pochi decenni diede vantaggio al Regno Unito e alla
Francia su Cina, Indostan, mondo islamico e America Ispanico.
All’inizio del 19° secolo l’Oriente sarà visto come espressione del dispotismo orientale, l’Africa come un
continente di schiavi, il Sud dell’Europa come tardo Medioevo.
L’eurocentrismo dominerà il mondo coloniale come espressione di cultura occidentale e questo spiega
come il processo di espansione civilizzatore europeo abbia escluso tutte le culture precedenti➜questo
processo di esclusione si estese a tutte le culture non-europee e questo portò all’Europa l’egemonia non
solo militare, economica e politica, ma anche culturale e ideologica.

La transmodernità come affermazione della multiculturalità esclusa dalla modernità europea


La critica postmoderna alla modernità non mette in discussione la centralità dell’eurocentrismo e pensa
che la società post-convenzionale si insedierà nel 21° secolo.
La postmodernità critica la pretesa universalistica della ragione moderna, in quanto ‘moderna’ e non in
quanto ‘europea’. Essa esprime rispetto per le altre culture in quanto differenti e autonome, ma tuttavia
non è cosciente della positività di queste culture escluse dal processo coloniale della prima modernità.
La postmodernità è eurocentrica nella misura in cui non è in grado di concepire che le altre culture
possano sviluppare in maniera autonoma le proprie componenti universali in una fase futura all’estinzione
della modernità europea.
L’esteriorità della totalità fu creata da Emmanuel Levinas e da essa ebbe inizio la critica alla ragione
moderna.
La metacategoria di esteriorità può contribuire ad analizzare la positività culturale esclusa dalla modernità
nel quadro di ciò che definisce la transmodernità.
A partire da questa esteriorità esistono culture che sono anteriori, sviluppatesi insieme alla modernità
europea e che hanno un potenziale umano sufficiente a dirigere le proprie forze verso la
multiculturalità➜le culture escluse dalla modernizzazione e dalla globalizzazione, conservano un gran
quantità di invenzioni culturali necessarie alla sopravvivenza futura dell’umanità, per una nuova
definizione del rapporto umanità-natura dal punto di vista ecologico e solidale.
La modernità europea e nordamericana esercita egemonia solo da 2 secoli e perciò non è difficile
immaginare la presa di coscienza delle culture escluse (ciò succede anche con alcuni popoli spagnolo
come catalani e galiziani, nelle regioni dell’Italia meridionale ecc).
Tutto ciò lascia presagire nel 21° secolo un mondo culturale multipolare che va al di là
dell’omogeneizzazione della globalizzazione capitalistica e al di là della differenza postmoderna che fa
fatica a immaginare altre università culturali al di fuori dell’Europa e degli Stati Uniti.
La transmodernità adotta al meglio la rivoluzione tecnologica moderna per metterla a servizio di mondi
differenziati e ciò permette di svelare la ricchezza culturale e umana che il mercato capitalistico cerca di
sopprimere con le merci universali.
Samuel Huntington, ideologo nordamericano, percepisci in termini di ‘scontro’ e ‘guerra’, l’emergere delle
culture universali, escluse dalla modernità e dalla postmodernità, che insieme alle culture europee e
nordamericane costituiscono un mondo più umano e complesso.

Colonialità del potere ed eurocentrismo in America latina di Anibal Quijano


Uno dei modi per comprendere la natura e il ruolo dell’America latina nel mondo globale è la dissociazione
tra la prospettiva eurocentrica della conoscenza e la storia specifica dell’America latina.

La colonialità del potere


Mentre nasceva l’America nascevano anche elementi nuovi che portavano a un nuovo universo storico, di
cui due sono importanti per il nostro discorso:
•tutte le forme di lavoro e produzione agivano intorno all’asse del capitale e del mercato mondiale
(schiavitù, piccola produzione di merci, salario, ecc.). Queste forme di lavoro non erano un prolungamento
di quelle antecedenti ma erano nuove perchè connesse a un nuovo schema di potere e costituirono così
una nuova struttura di rapporti di produzione➜il capitalismo mondiale;
•allo stesso tempo insieme all’America nasceva una nuova categoria mentale per codificare i rapporti tra le
popolazioni conquistatrici e le popolazioni conquistate➜l’idea di razza. Dal momento che conquistatori e
conquistati erano considerati per definizione superiori e inferiori, le differenze culturali associate a essi
erano anch’esse codificate come superiori e inferiori.

La razza divenne uno dei criteri fondamentali per classificare la popolazione nella struttura di potere della
nuova società, insieme alla natura dei ruolo nella divisione del lavoro e nel controllo delle risorse di
produzione.
Così quando la corona castigliana scelse di abolire la schiavitù degli indios per evitare lo sterminio totale,
la nobiltà india ricevette un trattamento speciale grazie al ruolo di intermediaria con la razza dominante
mentre i neri furono ridotti in schiavitù.
Gli spagnoli potevano avere un salario essere mercanti artigiani contadini ecc sebbene solo i nobili
potessero avere un incarico di medio e alto rango.
Alla fine del 18° secolo i meticci, nati da spagnoli e indie, potevano lavorare come gli iberici non nobili ma
ciò non valeva per i figli delle donne nere dato che le loro madri erano schiave.

Negli ultimi 500 anni gli stessi criteri sono stati applicati per imporre una nuova classificazione sociale
della popolazione mondiale su scala globale producendo nuove identità➜a bianchi, indios, negri e meticci
(prodotti in America) si aggiunsero gialli e olivastri.
Questa distribuzione di identità razziste furono combinate con una distribuzione razzista delle forme di
lavoro: la whiteness fu collegata al salario poiché con il vantaggio di trovarsi nel bacino atlantico, i bianchi
controllavano il traffico di oro e argento americano e ciò favorì un processo che portò alla completa
monetizzazione dello scambio commerciale, all’espansione dei mercati regionali e al controllo di tutta la
rete di scambi commerciali con il Vicino e Estremo Oriente.
Da tutto ciò derivò il controllo esclusivo delle risorse produttive da parte dei coloni bianchi, sia in America
che nel resto del mondo.
L’elemento fondamentale del nuovo schema di potere mondiale basato sull’idea di razza e sulla
classificazione razziale della popolazione mondiale è ciò a cui ci riferiamo con la categoria ‘colonialità del
potere’.

La storia dell’America Latina e la prospettiva eurocentrica della conoscenza


La teoria della successione storica delle forme di lavoro è errata nel caso americano e nel caso del mondo
capitalistico moderno.
In America la schiavitù fu istituita come una merce per produrre altre merci, che servivano agli scopi del
capitalismo.
In America queste forme di lavoro e di controllo del lavoro erano le componenti di un nuovo schema di
organizzazione e controllo del lavoro in tutte le forme storiche articolate intorno al capitale.
Il capitale nacque nei secoli 11° e 12° a sud della Spagna e dell’Italia e in America si consolidò e conquistò il
predominio mondiale.
Rispetto alle forme di controllo del lavoro, i bianchi si identificarono come separati in una successione
temporale unilineare in relazione al capitale-salario, mentre i popoli colonizzati furono omogeneizzati
attraverso le identità razziali➞era necessario creare singole identità per connetterle al meglio a specifiche
forme di controllo del lavoro e ciascuna di queste identità fu articolata su ogni razza➞in questo modo il
controllo di una forma di lavoro significò il controllo su uno specifico popolo dominato.

La teoria dei rapporti temporali lineari e sequenziali tra le forme di controllo del lavoro si poggia su dei
presupposti:
•ogni forma è una totalità storica in se stessa come economia o modo di produzione;
•queste forme sono strutture di elementi omogenei che si relazionano in maniera continua;
•il processo di cambiamento prevede che una totalità abbandoni progressivamente la scena storica e che
un’altra occupi il posto lasciato vuoto.
L’esperienza storica mostra che il capitalismo non è una totalità continua e omogenea➜sia per i rapporti
di produzione e sia per i popoli il capitalismo è una struttura composta da elementi eterogenei i cui
rapporti con l’intero sistema sono discontinui. Allo stesso modo, ogni rapporto di produzione è una
struttura eterogenea di per sè, dato che tutte le forme di appropriazione del plusvalore funzionano
insieme.
Ciò è vero anche per le razze➔dato che storie così diverse furono accomunate in una singola struttura del
potere, è giusto ammettere il carattere storico-strutturale di questa eterogeneità.
Ne consegue che il processo di cambiamento di questa totalità capitalistica non può essere una
trasformazione omogenea e continua del sistema e degli elementi che lo compongono.
Lo schema di articolazione strutturale può essere demolito ma i suoi elementi saranno riarticolati in
qualche altro sistema.

La modernità si riferisce a un’esperienza storica iniziata in America accanto all’emergere della nuova
struttura di potere mondiale eurocentrica. Più che altro ad emergere fu un nuovo spazio per l’idea del
futuro mondiale, ma a partire dal 17° secolo fu l’Europa occidentale a elaborare in nuovo universo
intersoggettivo in una nuova prospettiva della conoscenza e a definire quest’ultima come modernità e
razionalità.
Uno degli elementi chiave di questa versione della razionalità moderna fu una mutazione del vecchio
modo dualista di guardare l’universo, che cambiò i rapporti tra corpo e non-corpo e tra europeo e
non-europeo➜il corpo si installa nella conoscenza come oggetto di studio di status inferiore e il
non-europeo apparteneva al passato: le razze inferiori sono inferiori perche sono oggetto di studio e non
soggetto. Con ciò si poterono collocare i non-europei in relazione agli europei in una catena storica
continua che va da primitivo a civilizzato, da irrazionale a razionale ecc.
Se applicata alla storia dell’America latina, la prospettiva eurocentrica diventa uno specchio deformante,
che ci mostra un’immagine non del tutto illusoria, dato che abbiamo tanti tratti storici europei importanti
ma allo stesso tempo siamo profondamente diversi.
Ne consegue che se guardiamo nello specchio eurocentrico, l’immagine che vediamo è parziale e distorta.

La questione nazionale in America Latina


Uno degli esempi del dramma dell’ambiguità in America latina e la storia della questione nazionale.
Stato-nazione implica cittadinanza e democrazia, dato che qualsiasi processo di nazionalizzazione sociale
nei tempo moderni è sempre passato per la democratizzazione del controllo delle risorse produttive➜la
cittadinanza è quindi possibile come uguaglianza legale e civile di persone socialmente disuguali.
Uno stato-nazione è una società individualizzata in altre società individualizzate, ma ogni società è una
struttura di potere e il potere è ciò che mette in un’unica totalità forme di esistenza diverse. Ogni struttura
di potere è sempre un’imposizione di un individuo o gruppo su altri.
Ne consegue che uno stato-nazione è una struttura di potere quanto un prodotto del potere, ma può
essere immaginato come una comunità solo quando si raggiunge un omogeneizzazione del popolo. Questa
omogeneizzazione è espressione della democratizzazione nei rapporti politici e sociali.
In Europa il processo di nazionalizzazione iniziò come processo di colonizzazione da parte di popoli nei
confronti di altri.
Il processo di centralizzazione statale che in Europa precedette la formazione di stato-nazione, iniziò in
parallelo con l’imposizione del dominio coloniale sui popoli americani e procedette in concomitanza con la
formazione nel mondo coloniale dei primi stati centrali europei➜la prima fase di nazionalizzazione di
alcune società e stati europei è associata a una duplice movimento di colonizzazione ‘interno’ ed ‘esterno’.
L’esistenza di uno stato centrale che domini le popolazioni di un territorio per un lungo periodo non è una
condizione sufficiente per produrre un processo di omogeneizzazione di una popolazione diversa.
Ad esempio, la Spagna dopo l’espulsione di musulmani ed ebrei, diventò arretrata e fallirono tutte le lotte
per costringere chi controllava lo stato centrale a favorire la democratizzazione dei rapporti sociali e
politici➜il colonialismo interno fu fatale per la nazionalizzaizone della società perche incapace di
trattenere i vantaggi del colonialismo esterno.
In Francia invece i rapporti politici e sociali furono democratizzati attraverso la Rivoluzione francese e il
colonialismo interno diventò una ‘francesizzazione’ di tutti i popoli che si trovavano all’interno dello
stato-nazione.
Negli Stati Uniti mentre nasceva la nuova nazione, gli indios furono sterminati perchè stranieri e i rapporti
razziali esistevano solo tra bianchi e neri. I neri erano una minoranza, e la whiteness aumentò
ulteriormente con l’immigrazione di milioni di europei.
Dopo la conquista dei territori degli indios, la terra divenne così tanta che la distribuzione tra i nuovi
arrivati europei fu democratica.
Nel 19° secolo, Tocqueville in ‘La democrazia in America’, osservò il modo in cui gli Stati Uniti erano
incorporati all’interno di un apparato nazionalizzante e il modo in cui tutti diventavano rapidamente
cittadini americano.
Egli capì che il meccanismo alla base di questo processo di nazionalizzazione era l’apertura alla
partecipazione politica a tutti i nuovi arrivati e capì anche che quest’ultima non era permessa a indios e
neri.
Un secolo dopo, Gunnar Myrdal vide nel processo di nazionalizzazione degli Stati Uniti le stesse cose e
capì anche che i rapporti coloniali dei bianchi con altri popoli sarebbero stato un rischio per la
riproduzione della nazione.
Inizialmente la situazione di Argentina, Cile e Uruguay sembrava la stessa degli USA delle origini: gli indios
non facevano parte della società coloniale, i neri erano una minoranza e arrivavano anche lì milioni di
immigrati europei.
Un elemento cruciale di differenza con gli USA era l’estrema concentrazione di proprietà terriere
conquistate agli indios in Argentina, che impediva ogni tipo di rapporto politico e fu istituito perciò uno
stato oligarchico.
In altri paesi latinoamericano la realizzazione di stato-nazione era impossibile perchè la maggioranza della
popolazione dell’America ispanica era composta da indios e meticci e in Brasile da neri e meticci.
Queste razze erano bandite dalla partecipazione politica all'organizzazione degli stati.
La minoranza che prese il controllo in questi nuovi stati affrontò la protezione delle razze colonizzate e
impose nuove pene agli indios e preservando la schiavitù dei neri.
Negli Stati Uniti dato che gli indios non vivano all’interno della società, non c’erano stranieri e i membri
della servitù debitoria importanti dalla Gran Bretagna non erano servi e soggiornavano li per brevi periodi.
Pertanto la produzione era portata avanti dai lavoratori salariati e dai piccoli produttori.
In Cile la servitù india era limitata dato che i lavoratori indios locali erano una minoranza e gli schiavi neri
erano anch’essi un gruppo piccolo, perciò anche lì la produzione locale si basava sul salario e sul capitale.
In questo senso, c’erano degli interessi locali che accomunano lavoratori, piccoli produttori e borghesia
locale.
Negli altri paesi iberici neanche gli esponenti della minoranza che controllava gli stati indipendenti e le
società coloniali condividevano interesse sociale con gli indios o i neri➜i loro interessi erano più vicini a
quelli europei: anzichè investire i loro utili commerciali, li mandavano in Europa e così non riuscirono a
mercificare la forza lavoro locale e a espandere il mercato interno.
In quel periodo i gruppi dominanti di quei paesi non erano subordinati a nessun potere esterno, la
subordinazione di America latina avvenne dopo durante la crisi economica mondiale degli anni 30, dove
Argentina, Brasile, Uruguay, Messico, Cile e Colombia furono costretti a produrre localmente per il
consumo interno quelli che prima erano prodotti di importazione.
Fu poi intrapreso il cammino di industrializzazione indipendente, la cui indipendenza era un’espansione
del periodo coloniale.
Da allora mentre tutti gli stati hanno intrapreso la nazionalizzazione delle società, in America latina non
troviamo nessuna società e nessuno stato pienamente nazionalizzato:
l’omogeneizzazione si poteva raggiungere attraverso un processo di democratizzazione della società e
dello stato che deve implicare una decolonizzazione in tutti i rapporti tra europei e non-europei.
Attualmente rispetto al problema di stato-nazione esistono 4 ideologie:
1. un processo di decolonizzazione/democratizzazione attraverso rivoluzioni come in Messico e in
Bolivia;
2. un processo di omogeneizzazione attraverso il genocidio della popolazione aborigena, come in
Argentina, Cile e Uruguay;
3. un intento verso l’omogeneizzazione culturale di indios e neri attraverso il genocidio culturale,
come in Messico, Perù, Ecuador, Guatemala e Bolivia;
4. l’imposizione della ‘democrazia razziale’ che maschera la discriminazione reale contro i neri e il
dominio coloniale, come in Brasile, Venezuela e Colombia.

Perchè in Europa riuscì la creazione di stati-nazione?


In Europa ogni progresso verso la nazionalizzazione è prodotto dalla convergenza di un processo di
democratizzazione della società e degli stati e un fattore essenziale di omogeneità➜la razza comune.
Questo significa che la colonialità basata sulla dominazione razziale è sempre stata un fattore limitante nel
processo di costruzione della nazione a stampo europeo.

I progetti rivoluzionari eurocentrici


Un secondo caso della dissociazione tra la nostra realtà e la nostra prospettiva di conoscenza è
rappresentato dalla pratica dei progetti rivoluzionari.
Nella sinistra latinoamericana il dibattito si è imperniato intorno a due generi di rivoluzione:
•quella democrático-borghese in cui la classe borghese organizza classe operaia, contadini e altri gruppi
dominati con lo scopo di estromettere la classe feudale dal potere e riorganizzarlo secondo il modello
borghese;
•quella socialista, cioè un assalto della classe operaia allo stato borghese per controllare il suo apparato.

Per pensare che in America latina una rivoluzione democratico-borghese a stampo europeo sia necessaria
è indispensabile ammettere:
•l'esistenza del rapporto sequenziale tra feudalesimo e capitalismo;
•l’esistenza storica del feudalesimo e della monarchia assoluta;
•il conflitto tra aristocrazia terriera feudale e borghesia;
una borghesia interessata a guidare un’impresa rivoluzionaria.
Sappiamo però che una rivoluzione cosi fatta è storicamente impossibile dato che in America latina i
proprietari di schiavi, la nobiltà, industriali e commercianti hanno dato luogo fin dal principio a una
coalizione dominante.
Le uniche vere rivoluzioni democratiche sono avvenute in Messico e Bolivia mentre negli altri paesi si è
verificato un processo graduale di depurazione del carattere capitalistico della società e dello stato.
Ogni possibile democratizzazione della società sarebbe dovuta accadere nella gran parte dei paesi
contemporaneamente come una decolonizzazione dei rapporti razziali e come una redistribuzione di
classe del potere nello stesso movimento storico.
Di conseguenza, lo stato sarebbe stato nazionalizzato. Inoltre non si è mai vista in questi paesi
latinoamericani la separazione o successione temporale tra schiavitù, feudalesimo e capitalismo.

Scienze sociali, violenza epistemica e il problema dell’invenzione dell’altro di Santiago Castro-Gomez


La filosofia postmoderna e gli studi culturali sono gli approcci teorici che più hanno criticato le patologie
dell’occidentalizzazione. Questi sono d’accordo nel segnalare che queste patologie sono dovute al
carattere dualistico che hanno i rapporti di potere moderni.
L’autore in questo saggio mostra come la fine della modernità implichi la crisi di un meccanismo di potere
che costruiva l’altro attraverso una logica binaria che reprimeva le differenze.
Quello che l’autore definisce come fine della modernità in realtà è una configurazione storica del potere
all’interno della cornice del sistema-mondo capitalistico, che ha assunto altre forme nella globalizzazione,
senza che ciò abbia portato alla scomparsa del sistema-mondo.
Gomez vuole dimostrare che la riorganizzazione globale dell’economia capitalistica si basa sulla
produzione di differenze. Sostiene che la sfida per una teoria critica della società risiede nel mostrare in
cosa consiste la crisi del progetto moderno e quali sono le nuove configurazioni del potere post-moderne.
La sua strategia consiste nell’interrogare il significato di ciò che Habermas chiama ‘il progetto della
modernità’, analizzando la formazione degli stati-nazione e il consolidamento del colonialismo.

Il progetto della governamentalità


Con ‘progetto della modernità’ facciamo riferimento all’intento di sottomettere la vita intera al controllo
assoluto dell’uomo sotto la guida della conoscenza.
Questa riabilitazione dell’uomo si basa sull’idea del dominio sulla natura per mezzo di scienza e tecnica➜la
natura è presentata da Bacon come l’avversario dell’uomo e l’insicurezza ontologica, secondo lui, può
essere eliminata solo se si aumentano i meccanismi di controllo sulle forme della natura.
In tal senso, Weber parlò del processo di razionalizzazione dell’Occidente come di un processo di
‘disincanto’ del mondo.
L’autore vuole dimostrare perchè quando si parla di modernità come progetto ci si riferisce anche
all’esistenza di un’istituzione centrale, da cui sono coordinati i meccanismi di controllo sul mondo naturale
e sociale: l’istituzione centrale è lo stato.
Lo stato è il locus capace di formulare obiettivi collettivi e perciò si chiede l’osservanza di ‘criteri razionali’
che permettono allo stato di canalizzare i desideri e gli interessi dei cittadini verso le mete definite dallo
stato stesso.
La nascita delle scienze sociali non è un fenomeno accessorio nelle organizzazioni politiche dello
stato-nazionale ma costitutivo di esse.
Le tassonomie elaborate dalle scienze sociali non si limitavano all’elaborazione di un sistema astratto di
regole chiamato scienza, ma avevano conseguenze pratiche perchè capaci di legittimare le politiche
regolatrici dello stato.
La matrice che diede impulso alla nascita delle scienze sociali fu la necessità di conformare la vita degli
uomini all’apparato produttivo➜le scienze sociali insegnano le leggi che governano economia, società,
politica e storia e lo stato definisce le potiche governative a partire da queste norme legittimate.
La conseguenza di questo intento di creare profili di soggettività statalmente coordinati consiste nell’
‘invenzione dell’altro’.
Il problema dell’ ‘altro’ va affrontato dal punto di vista del processo di produzione materiale e simbolica di
cui sono protagoniste le società occidentali a partire dal 16° secolo.
Beatriz Gonzales Stephan ha studiato i meccanismi di potere in America latina del 19° secolo e il modo in
cui fu possibile l’invenzione dell’altro.
Identifica 3 pratiche disciplinari che hanno contribuito a formare i cittadini latinoamericani di quel secolo:
•le costituzioni
•i manuali di galateo
•le grammatiche della lingua.
Tutte si fondano sulla scrittura➜la formazione del cittadino come ‘soggetto di diritto’ è possibile solo nella
scrittura disciplinare all’interno dello spazio di legalità definito da ogni carta costituzionale: la funzione
giuridico-politica delle costituzioni consiste nell’inventare la cittadinanza, cioè creare delle identità
omogenee che rendano attuabile il progetto moderno della governamentalità.
La costituzione venezuelana del 1839 dichiara cittadini solo coloro che rispettano il tipo di soggetto
richiesto dal progetto di modernità: maschio, bianco, padre, cattolico, proprietario, istruito e
eterosessuale.
La pedagogia è l’artefice della materializzazione di un tipo ideale di soggettività moderna➜il tentativo è
quello di introiettare una disciplina che renda ogni persona utile alla patria.
Gonzales Stephan rivolge le sue riflessioni alla funzione disciplinare di certe tecnologie pedagogiche come
i manuali di galateo: in particolare quello di Carreno del 1854, che ha l’intento di regolamentare la
soppressione degli istinti, il controllo sui movimenti del corpo e l’addomesticamento del ‘barbaro’.
I manuali furono scritti per insegnare come essere un buon cittadino per entrare a far parte della
civitas➜lo spazio legale in cui abitano i soggetti di cui la modernità ha bisogno.
I galatei diventano la nuova bibbia e il modello a cui fanno riferimento è il cittadino borghese, a cui sono
rivolte le costituzioni repubblicane.
Le osservazioni di Gonzales coincidono con quelle di Weber e Elias, per i quali la costituzione del soggetto
moderno va di pari passo con l’idea dell’esigenza dell’autocontrollo e della repressione degli istinti.
In questo processo hanno avuto ruolo fondamentale anche le grammatiche della lingua e Gonzales
Stephan menziona la ‘Gramatica de la lengua castellana destinada al uso de los americanos’, pubblicata da
Andres Bello nel 1847.
A partire dalla scrittura, le grammatiche cercano di generare un cultura del ‘ben dire’ allo scopo di evitare
la parlata popolare➜stabilire le condizione per libertà e ordine implicava la soppressione degli istinti e il
controllo sulle differenze.

E’ chiaro che i processi di invenzione della cittadinanza e dell’altro sono geneticamente correlati. La
costruzione dell’immaginario della civiltà esigeva la produzione della sua controparte, cioè l’immaginario
delle barbarie.
Quest’ultimi hanno una materialità concreta, perchè risultano agganciati a sistemi astratti di carattere
disciplinare come la scuola, la legge, lo stato e le scienze sociali. E’ questo vincolo tra conoscenza e
disciplina che ci permette di parlare del progetto della modernità come una ‘violenza epistemica’.
Anche se Gonzales Stephan ha sottolineato come questi meccanismi cerchino di creare un homo
economicus in America latina, la sua analisi genealogica non ci fa capire in che modo questi processi siano
vincolati alla costituzione del capitalismo come sistema-mondo.
La genealogia del sapere-potere deve essere ampliata e includere l’ambito delle macrostrutture di lunga
durata, così da visualizzare il problema dell’invenzione dell altro da una prospettiva geopolitica.

La colonialità del potere e l’altra faccia del progetto della modernità


Uno dei contributi più importanti delle teorie postcoloniali alla ristrutturazione delle scienze sociali è
quello di aver segnalato che la nascita di stato-nazione in Europa e America dà luogo a processi con una
controparte strutturale: il consolidamento del colonialismo europeo d’oltreoceano.
Le scienze sociali hanno proiettato l’idea di un Europa autogenerata, formata senza il contatto dalle altre
culture.
In tal modo il colonialismo è irrilevante per capire il fenomeno della modernità e la nascita delle scienze
sociali.
Ciò vuol dire che per africani, asiatici e latinoamericani il colonialismo non ha portato alla distruzione ma
all’inizio del cammino verso la modernizzazione.
Tuttavia, le teorie postcoloniali hanno mostrato come la narrazione della modernità, che non tiene conto
dell’impatto del colonialismo nella formazione delle relazioni moderne di potere, risulti incompleta e
ideologica.
Se lo stato-nazione è una macchina generatrice di alterità, questo si deve al fatto che la nascita degli stati
moderni ha avuto luogo all’interno del sistema-mondo moderno/coloniale.

Qual è il meccanismo di potere che genera il sistema-mondo moderno/coloniale e che si riproduce


all’interno di ogni stato-nazione?
Una risposta è data dal concetto di colonialità del potere di Quijano. Secondo lui, la destrutturazione delle
società coloniali è legittimata da un immaginario che stabilisce differenze tra il colonizzatore e il
colonizzato. Le due identità sono in un rapporto di esteriorità e si escludono a vicenda: la comunicazione
tra loro non avviene per cultura ma nell’ambito della Realpolitik dettata dal potere coloniale➜una politica
è giusta se si produce attuando meccanismi che tentano di civilizzare il colonizzato occidentalizzandolo.
Da questo punto di vista possiamo dire che la modernità è un progetto dato che i suoi meccanismi
disciplinari si trovano agganciati a una doppia governamentalità giuridica:
•quella esercitata verso l’interno degli stati-nazione, nell’intento di creare identità omogenee con politiche
di soggettivazione;
•quella esercitata verso l’esterno delle potenze del sistema-mondo, nell’intento di assicurare il flusso di
materie prima dalla periferia verso il centro.

La nostra tesi è che le scienze sociali si costituiscano in questo spazio di potere moderno/coloniale e nel
quadro dei saperi ideologici che in tale spazio sono generati.
Da questo punto di vista, le scienze sociali non hanno messo in pratica una rottura epistemologica nei
confronti dell’ideologia, bensì l’immaginario coloniale ha impregnato fin dalle origini tutto l’apparato
concettuale.
La maggior parte dei teorici sociali del 17° e 18° secolo era d’accordo sul fatto che la specie umana sia
uscita dall’ignoranza attraversando vari stadi di perfezionamento.
Il referente empirico usato per definire il primo stadio fu quello delle società indigene americane; l’ultimo
stadio del progresso umano è costituito dalla sua immagine al negativo.
L’immaginario del progresso appare come un prodotto ideologico costruito dal meccanismo di potere
moderno coloniale e le scienze sociali funzionavano come un apparato ideologico che legittimava
l’esclusione e il disciplinamento di coloro che non rispondevano agli schemi della soggettività di cui aveva
bisogno lo stato.
Allo stesso tempo, esse legittimavano la divisione internazionale del lavoro e la disuguaglianza delle ragioni
di scambio tra centro e periferia.
La colonialità del potere e del sapere erano collegate nella stessa matrice genetica.

Dal potere disciplinare al potere libidinale


Il progetto di modernità arriva alla fine quando lo stato-nazione perde la capacità di organizzare la vita
sociale delle persone: allora possiamo parlare più propriamente di globalizzazione.
Mentre la modernità disancora le relazioni sociali dai contesti tradizionali e le àncora ad ambiti
post-tradizionali con azioni coordinate dallo stato, la globalizzazione disancora le relazioni sociali dai
contesti nazionali e le àncora ad ambiti postmoderni con azioni che non sono coordinate da nessuna
istituzione➜la globalizzazione non è un progetto perche la governamentalità non ha più bisogno di
un’istituzione centrale.
L’efficacia della governamentalità nel sistema-mondo è assicurata tramite la produzione di beni simbolici:
il potere libidinale della postmodernità vuole modellare la psicologia degli individui, in modo che ognuno
possa costruire la propria soggettività senza la necessità di opporsi al sistema.
Come già detto, nel progetto moderno le scienze sociali hanno avuto il ruolo di produrre alterità.
Ma dal momento che l’accumulazione di capitale non porta alla soppressione ma alla produzione di
differenze, deve cambiare anche il vincolo strutturale tra le scienze sociali e i nuovi meccanismi di
potere➜queste scienze sono obbligate a realizzare un cambiamento di paradigma che permetta loro di
adeguarsi alle esigenze del sistema globale.
Lyotard afferma che la meta-narrazione dell’umanizzazione dell’umanità è entrata in crisi ma segnala la
nascita della coesistenza di diversi giochi linguistici➜per lui nella post-modernità sono i giocatori stessi
che costruiscono le regole del gioco che vogliono giocare.
Il problema risiede nella nuova narrazione proposta: affermare che non ci sono più regole dette in
anticipo, significa rendere invisibili le modalità con cui il sistema-mondo produce costantemente le
differenze➜la morte delle meta-narrazioni che legittimavano il sistema-mondo non significa la morte del
sistema-mondo, ma cambiamento dei rapporti di potere all’interno del sistema.
Sono micro-narrazioni che lo lasciano fuori dalla rappresentazione.
Qualcosa di simile accadde negli studi culturali: la transdisciplinarità degli studi culturali è stata voluta da
istituzioni accademiche che si erano abituate a vigilare ogni disciplina.
Il problema non era l’inclusione degli studi culturali nelle strutture accademiche, nè il tipo di domande che
si ponevano o le metodologie, ma bensì l’uso di quest’ultime e nelle risposte che danno alle domande.
Un esempio è la planetarizzazione dell’industria culturale che ha messo in dubbio la separazione tra
cultura alta e popolare e gli studi culturali non vedevano altro che un’esplosione liberatrice di differenze:
sorge il sospetto che gli studi culturali abbiamo ipotecano il potenziale critico in cambio della
mercificazione dei beni simbolici.
Il sistema-mondo appare come l’oggetto assente dalla rappresentazione che ci offrono gli studi culturali.
I temi consentiti sono:
•la frammentazione del soggetto
•l’ibridazione delle forme di vita
•l’articolazione delle differenze
•il disincanto dalle meta-narrazioni
Chi usa categorie come classe, periferia o sistema-mondo è etichettato come ‘essenzialista’.
La grande sfida delle scienze sociali è imparare a nominare la totalità senza finire nell’essenzialismo o
l’universalismo delle meta-narrazioni.
Ciò comporta di compito di ripensare la tradizione della teoria critica alla luce della teoria postmoderna e
viceversa.
Il compito della teoria critica della società è rendere visibili i nuovi meccanismi di produzione delle
differenze ai tempi della globalizzazione.
Nel caso latinoamericano, la sfida lega le scienze sociali e la filosofia in un processo di decolonizzazione.

Natura del postcolonialismo: dall’eurocentrismo al globocentrismo di Fernando Coronil


Il campo accademico degli studi postcoloniali si è distinto per i lavori sul colonialismo nord europeo in
Asia e Africa, mentre America latina e Caraibi sono assenti o occupano un posto di poco rilievo.
Questa esclusione ha comportato anche un’assenza dell’imperialismo in questi studi, che invece è una
questione centrale per i pensatori latinoamericani.
Le due omissioni dicono molto sulle politiche della conoscenza occidentale e invitano a esplorare il modo
in cui le teorie si diffondo e su come si stabiliscono nuove modalità di colonizzazione della conoscenza
nelle diverse parti del mondo.
L’immagine della globalizzazione proposta, riporta alla mente il sogno di un’umanità non divisa tra Oriente
e Occidente, Nord e Sud, Europa e altri, ma promuove un tesi secondo cui le diverse storie, culture e
geografie, che hanno diviso l’umanità, sono ormai unite nella globalizzazione.
Le retoriche della globalizzazione meglio concepite contestano l’immagine stereotipata della nascita di un
villaggio globale e ricordano che la globalizzazione è l'intensificarsi di un antico processo che comprende il
commercio di lunga distanza, l’espansione capitalistica, la colonizzazione e le migrazioni transcontinentali.
Queste prospettive critiche sostengono che l’attuale modalità neoliberista della globalizzazione differenzia
anche quando genera certe configurazioni d’integrazione translocale e di omogeneizzazione
culturale➜unifica dividendo.
L’autore vuole suggerire che la fase attuale della globalizzazione implica una riconfigurazione dell’ordine
mondiale capitalistico.
Egli stabilisce alcune connessioni tra il passato coloniale in cui si sviluppò il capitalismo e il presente
imperiale in la globalizzazione neoliberista ha imposto il suo predominio.
La globalizzazione neoliberista implica una ridefinizione della relazione tra occidente e gli altri➜ciò
comporta il passaggio dall eurocentrismo al GLOBOCENTRISMO.
Il globocentrismo e i discorsi della globalizzazione neoliberista nascondono la presenza dell’occidente e
occultano a dimensione per cui quest’ultimo continua a dipendere dalla sottomissione dei suoi altri e della
natura.

La natura e l’occidentalismo
Tra gli osservatori del capitalismo in Europa, Lefebvre è l’unico che prende in considerazione il ruolo della
terra nel capitalismo europeo.
Una visione del capitalismo dai confini permette di far fronte a questa mancanza: questa prospettiva
permette di modificare la comprensione convenzionale del capitalismo sotto due aspetti fondamentali:
1.offre una maggiore comprensione del ruolo della natura nei processi di formazione della ricchezza;
2.estende gli agenti del capitalismo al mondo intero.
Anche dalla prospettiva marxista esiste la tendenza a sottovalutare i significati della materialità della
natura come fonte di ricchezza e a considerarla come una condizione necessaria per l’esistenza del
capitale.
Lo stesso Marx, riconosce il ruolo della natura nella creazione di ricchezza ma non sviluppa del tutto
questa idea.
Dal punto di vista dell’autore del saggio, la materialità delle merci non si può separare dalla loro capacità di
costruire e rappresentare la ricchezza.
Mettere la natura al centro della discussione permette di riconnettere gli attori sociali con i loro poteri e
tali attori possono così includere le popolazioni e le istituzioni che dipendono dalla mercificazione dei beni
intensivi di natura.
Fin dai tempi coloniali, la periferia è stata fonte di ricchezze naturali e di lavoro a basso costo.
Integrare la terra nella relazione capitale-lavoro permette di comprendere i processi che hanno portato
alla costituzione dell’Europa e delle sue colonie.
Questo cambiamento di prospettiva consente di apprezzare meglio il ruolo della natura coloniale e del
lavoro nella formazione transculturale della modernità.
Questo approccio converge con lo sforzo di interpretare la storia del capitalismo a partire dai confini
anzichè dai centri.
Un approccio che privilegia la relazione tra capitalismo e colonialismo ci permette di riconoscere i ruoli
svolti dal lavoro e dalla natura coloniale nella formazione del mondo moderno e da questo punto di vista il
capitalismo è il prodotto non solo dell’ingegno europeo ma anche del lavoro e della ricchezza naturale dei
territori coloniali controllati dagli europei.
In tale prospettiva la modernità appare come il risultato di transazioni transcontinentali il cui carattere
globale iniziò con la Conquista e la colonizzazione dell’America.
Le colonie sono state una varietà di culture di fronte cui l’Europa ha concepito se stessa come padrona
dell’umanità e questa superiorità si è plasmata in differenze biologiche indispensabili per l’autodefinizione
degli europei.
Da questa prospettiva il colonialismo è il lato oscuro del capitalismo➜l’accumulazione coloniale è stata un
elemento indispensabile nella sua dinamica interna e il lavoro salariato libero in Europa è la modalità
produttiva dominante, storicamente condizionata dal lavoro non libero delle colonie.

La globalizzazione e l’occidentalismo
A differenziare la fase attuale di globalizzazione non sono il flusso di capitale o il volume di commercio
transnazionale, ma un cambiamento nella concentrazione dei flussi finanziari, che ha portato a nuove
forme di integrazione globale con un’intensificata polarizzazione sociale all’interno delle nazioni e fra esse.
Per discutere su questi cambiamenti sono usate due fonti atipiche sulla globalizzazione.
1.Il rapporto (1997) della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo, che documenta il
crescente divario delle disuguaglianze mondiali. Questo descrive 7 caratteristiche problematiche
dell’economia globale contemporanea:
1.bassi indici di crescita dell’economia globale
2.divario sempre più grande tra paesi sviluppati e non sviluppati
3.ricchi che hanno guadagnato ovunque
4.la finanza ha guadagnato una supremazia sull’industria
5.la partecipazione del capitale in ingresso è aumentata rispetto a quella assegnata al lavoro
6.incertezza di entrate e di lavoro si è estesa in tutto il mondo
7.il divario tra lavoro specializzato e non si sta trasformando in un problema mondiale.

Il secondo documento ‘La quarta guerra mondiale è cominciata’ è un comunicato scritto in Messico da
Marcos, leader del movimento zapatista indigenista. Secondo Marcos la globalizzazione neoliberista deve
essere riconosciuta come una guerra di conquista dei territori.
Egli considera la Guerra Fredda come la Terza Guerra Mondiale, mentre come Quarta la globalizzazione
neoliberista.
Le Terza Guerra mondiale si è combattuta tra capitalismo e socialismo in territori del terzo mondo,
mentre la Quarta è un conflitto tra centri finanziari metropolitani e la maggior parte del mondo.
Questa Quarta guerra ha frammentato il mondo in tanti tasselli e Marcos ne seleziona 7 che assemblano il
rompicapo della globalizzazione neoliberista:
1.concentrazione della ricchezza e la distribuzione della povertà
2.globalizzazione dello sfruttamento
3.migrazioni
4.mondializzazione finanziaria e globalizzazione della corruzione e del crimine
5.legittima violenza di un potere legittimo (l’eliminazione delle funzioni di assistenza sociale hanno ridotto
lo stato in molti paesi a un agente di repressione sociale)
6.la Megapolitica e i nani sostiene che le strategie orientate all’eliminazione delle frontiere del commercio
e all’unificazione delle nazioni conducano alla moltiplicazione delle frontiere sociali e alla frammentazione
delle nazioni, rendendo la politica un conflitto tra megapolitica degli imperi finanziari e la politica degli
stati deboli
7.le sacche della resistenza, sostiene che in risposta alle concentrazioni di ricchezza e di potere politico
stanno sorgendo sempre più sacche di resistenza la cui forza risiede nella loro diversità di dispersione.
Entrambe le posizioni vedono la globalizzazione neoliberista come un processo messo in moto da forze di
mercato irregolari che polarizzano le differenze sociali sia fra le nazioni che al loro interno.
Mentre il divario tra nazioni ricche e povere aumenta, il benessere globale è sempre più concentrato in
poche mani e in questo paesaggio globale nè i ricchi possono essere identificati con le nazioni
metropolitane nè i poveri con il Secondo e Terzo mondo.
Questa disgregazione di vincoli collettivi nell’ambito della nazione indebolisce i paesi del Terzo Mondo. Nei
paesi con meno risorse, gli effetti polarizzanti del neoliberismo sono ingranditi da un crescente espatrio
del capitale, privatizzazione di industrie e servizi, fuga di cervelli e intensificazione dei flussi migratori. Le
tensioni sociali prodotte da questi processi conducono alla razzializzazione del conflitto sociale e
all’emergere di etnicità.
Per esempio, la repressione del Venezuela del 1989 durante la protesta contro il carovita e il programma
del Fondo Monetario Internazionale imposto dal governo di Perez, è stata giustificata come un discorso
civilizzatore che ha messo in risalto la presenza di pregiudizi razziali in un paese che si definisce una
democrazia razziale.
Un secondo esempio mostra come la globalizzazione neoliberista riesce a promuovere allo stesso tempo la
crescita economica e a intaccare il senso di appartenenza nazionale➜in Argentina la privatizzazione della
compagnia petrolifera nazionale ha provocato licenziamenti di massa e un aumento di profitti: questa
combinazione ha cambiato il modo degli argentini di relazionarsi al proprio paese.

Una risposta di settori subordinati alla marginalizzazione del mercato globalizzato è la crescente
economia locale informale: per molti che si trovano alla mercé delle forze di mercato e hanno poco da
vendere, il mercato prendere la forma di commercio di droga, contrabbando, sfruttamento sessuale, ecc.
L’espansione non regolata del mercato trasforma il mondo in un paesaggio di opportunità: alcuni paesi
sono visti come fonti di lavoro e risorse naturali. Il controllo di tecnologie sofisticate permette alle imprese
di intensificare la conversione della natura in merce e di catturare nuovi elementi per il mercato, come
piante medicinali o materiali genetici.
Anche le tecnologie avanzate possono essere usate non solo per scoprire prodotti naturali ma anche per
crearne altri.
Per molte nazioni l’integrazione delle proprie economie nel libero mercato ha portato a una maggiore
dipendenza dalla natura e all’erosione dei progetti statali di sviluppo internazionale.
L’aumento del turismo naturale e quello sessuale mostrano un legame tra l’ingresso della natura nel
mercato e la mercificazione non regolata di corpi e poteri umani e naturali.
Per certi aspetti possiamo considerare questo processo di ri-primarizzazione come una regressione alle
forme di controllo coloniali basate sullo sfruttamento di prodotti primari e di forza lavoro poco costosa.
Tuttavia sta avendo luogo in una cornice tecnologica e geopolitica che trasforma le modalità di
sfruttamento della natura e del lavoro.
Con la globalizzazione neoliberista la produzione non regolata e la libera circolazioni dei beni primari in un
mercato aperto richiede lo smantellamento del controllo statale.
Prima della globalizzazione neoliberista, gli stati postcoloniali cercarono di regolare la produzione di beni
primari. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, le nazioni del Terzo mondo utilizzarono i soldi ottenuti dai
beni primari statali per diversificare le proprie strutture produttive➜la produzione primaria è stata
assoggettata a un controllo interno. Ma mentre il mercato diventava il principio organizzativo della vita
economica, imponeva la sua razionalità alla società trasformando le merci in cose economiche, in
apparenza prive di vincoli sociali e significati politici.

Ricchezza e globalizzazione neoliberista


Un sintomo del crescente dominio della razionalità del mercato è la tendenza a trattare tutte le forme di
ricchezza come capitale nella pratica e a concettualizzarle come tali nella teoria.
La Banca Mondiale suggerisce di considerare come elementi di ricchezza anche il capitale naturale e le
risorse umane➜ciò implica un nuovo paradigma di sviluppo economico, per cui gli obiettivi di sviluppo
devono essere ottenuti con la gestione del portafoglio, costituito dalle risorse naturali, dal patrimonio
prodotto e dalle risorse umane.
Trattare le persone come capitale porta alla loro valorizzazione come fonte di ricchezza➜il valore delle
persone può essere paragonato al valore delle cose solo perchè entrambe sono state ridotte a capitale.
Diversi analisti della globalizzazione hanno notato che le forme contemporanee di mercato sono
caratterizzate non dall’ampliamento in uno spazio geografico, ma dalla sua concentrazione in uno spazio
sociale: il rapporto centro-periferia sta diventando un rapporto sociale, anzichè un rapporto geografico.
Questo passaggio a un capitalismo implosivo è incentivato da un approfondimento finanziario➜dalla
crescita e dalla concentrazione di transazioni finanziarie.
Dunque l’economia globale non è più dominata dal commercio di automobili o di acciaio o grano, ma dal
commercio di azioni e monete.
L’approfondimento finanziario implica una trasformazione del mercato non solo nella concentrazione in
uno spazio sociale, ma anche la sua estensione nel tempo.
In tali circostante, la ricchezza diventa un processo di crescente omogeneizzazione e astrazione➜l’autore
del saggio considera questo processo ‘transmaterializzazione della ricchezza’: la trasfigurazione della
ricchezza attraverso una conversione sempre più astratta dei suoi elementi in merce.
Manifesto di questo nuovo modo di concepire la ricchezza è un discorso di Charles Sanford (1993),
Direttore esecutivo del Bankers Trust➜egli dice che attraverso una combinazione di arte e scienza, il
mondo delle multinazionali produrrà teorie capaci di spiegare i cambiamenti che oggi stanno ridefinendo
il globo. Intravede che questa visione perfetta implicherà una radicale cambiamento di prospettiva: ‘stiamo
partendo da un punto di vista newtoniano che opera nell’ambito di oggetti tangibili verso una prospettiva più
in accordo con il mondo non lineare della fisica quantistica e della biologia molecolare’.
Partendo da questa analogia, Sanford chiama questa riconcettualizzazione PARTICLE FINANCE.
Quest’ultima permetterà alle istituzioni finanziarie di consolidare il proprio benessere e investimenti in
wealth account e di frammentare questi conti in particelle di rischio, che possono essere vendute come
pacchetti in un rete globale informatizzata.

Globocentrismo
Ci sono due processi che stanno spostando i vertici del potere imperiale dall’Occidente a una parte meno
identificabile del globo:
•la globalizzazione neoliberista, che ha omogeneizzato e astratto diverse forme di ricchezza;
•la deterritorializzazione dell’Occidente, che ha comportato una riterritorializzazione in un’immagine del
mondo che nasconde le reti transnazionali, finanziarie e politiche, socialmente concentrate ma
geograficamente diffuse, che collegano le elite metropolitane a quelle periferiche.
La trasparenza richiesta dai promotori del libero mercato non comprende la visibilità pubblica nè la
responsabilità relativa alle gerarchie di comando emergenti nel potere globale.
Questi due processi sono vincolati a un numero di trasformazioni culturali e politiche: l’immagine del
globo esclude la nozione di esterno, spostando il locus delle differenze culturali da altri popoli
occidentalizzati a popoli indefiniti e sparsi in tutto il mondo.
Le nazioni si sono aperte al flusso di capitale ma si sono chiuse alla mobilità dei poveri.
Negli anni futuri le nazioni continueranno a essere unità politiche fondamentali e fonte di immaginari
comuni ma i criteri culturali sovranazionali giocheranno un ruolo sempre più importante nella
riconfigurazione delle identità collettive.
La preoccupazione per gli effetti politici della povertà globale conduce a una riconcettualizzazione del
ruolo del mercato e degli stati.
La globalizzazione neoliberista evoca l’immagine di un processo non differenziato.
L’attuale egemonia della retorica della globalizzazione suggerisce l’esistenza di una modalità di
rappresentazione occidentalista, il cui potere sta nella sua capacità di occultare la presenza dell’Occidente
e di celare le frontiere che definiscono i suoi altri.
Il globocentrismo, come modalità dell’occidentalismo, si riferisce alle pratiche di rappresentazione che la
sottomissione delle popolazioni non occidentali implica; in questo caso però la sottomissione appare come
effetto del mercato.
A differenza dell’eurocentrismo, il globocentrismo esprime il persistere del dominio occidentale attraverso
strategie di rappresentazione che includono:
•la dissoluzione dell’Occidente nel mercato e la sua cristallizzazione in nodi di potere finanziario e politico
meno visibili ma più concentrati;
•l’attenuazione di conflitti culturali attraverso l’integrazione di culture distanti in uno spazio globale
comune;
•un passaggio dall’alterità alla subalternità come modalità dominante per stabilire differenze culturali .
La critica al globocentrismo nasce dal riconoscimento della connessione fra violenza coloniale e
postcoloniale. Così come la globalizzazione viene dopo il colonialismo, la critica al globocentrismo si basa
sulla critica all’eurocentrismo.
La globalizzazione neoliberista evoca l’uguaglianza e l’uniformità di tutti i popoli e culture. Essa funziona
come una modalità di dominio imperiale, ma, decentrando l’Occidente, la globalizzazione cancella le
differenze tra centri e periferie.
Le identità collettive si stanno costruendo attraverso l’articolazione di fonti di identificazione come la
religione, la razza, la classe, l’etnia, il genere e la nazionalità; ma adesso si avvalgono anche delle
informazioni provenienti dai discorsi universali sui diritti umani, dalle leggi internazionali, dall’ecologia, il
femminismo ecc.
Se i fenomeni locali non possono essere compresi fuori dalle condizioni globali in cui si sviluppano, i
fenomeni globali non si possono capire senza spiegare la natura delle forze locali che li alimentano.
La critica al globocentrismo dovrà saper riconoscere le differenze del mondo e mostrare le disuguaglianze
nella distribuzione del potere che inibiscono lo sviluppo della sua complessità culturale; dovrà smettere di
tollerare la distruzione della natura e il degrado delle vite umane di cui è causa il capitalismo.
La retorica della globalizzazione offre l’illusione di un mondo omogeneo che va verso il progresso; ma la
globalizzazione sta intensificando le divisioni dell’umanità e accellerando la distruzione della natura.

Sono possibili scienze sociali/culturali altre? Riflessioni sulle epistemologie decoloniali di Catherine
Walsh
In America Latina, le scienze sociali sono state parte integrante delle tendenze neoliberiste, imperialiste e
globalizzanti della modernità. Sono tendenze che collocano al centro la conoscenza scientifica
occidentale, negando i saperi locali basati su razionalità culturali verse.
In ciò entrano in gioco presupposti come l’universalità, la neutralità, il non luogo della conoscenza e la
superiorità del logocentrismo occidentale come unica razionalità per orientare il mondo.
A partire dagli anni 90 del 20° secolo, in America Latina si assiste a un consolidamento di queste premesse
durante l’affermarsi della globalizzazione neoliberista➜il canone eurocentrico occidentale torna ad
occupare la sua posizione di ambito principale di interpretazione teoria.
In contrasto con le iniziative iniziate negli anni 60 e 70 del 900, nel tentativo di rifondare le scienze sociali
critiche, oggi si assiste a un ritorno ai paradigmi liberali del 19° secolo e si evidenzia l’introduzione di una
nuova razionalità scientifica che nega il carattere razionale delle forme di conoscenza che non si basano
sui propri principi epistemologici.
Il problema non è riformulare le scienze sociali ma metterne in discussione i fondamenti: vuol dire
confutare gli assunti in virtù dei quali la produzione di conoscenza rilevante è solo quella accademica; vuol
dire anche rifiutare i concetti di razionalità che stanno alla base della conoscenza che nega le pratiche, le
soggettività e i saperi che non appartengono alla razionalità dominante.
Questa confutazione non sta nell’escludere questa razionalità ma nel rivelare le sue tendenze colonialiste e
imperialiste e il suo definirsi unica.
In tal modo è possibile mettere in discussione anche l’universalità della conoscenza scientifica che governa
le scienze sociali.

Modernità/colonialità e la relazione tra razza, sapere, essere e natura


Un punto di partenza per questa ricerca è la riflessione sulle origini e lo sviluppo della modernità➜la
modernità è vista dalla sua dimensione globale e vincolata all’egemonia, alla perifericità e alla
subalternizzazione che la stessa modernità ha imposto a partire dal punto di vista eurocentrico.
La modernità/colonialità serve:
•come prospettiva da cui analizzare e capire i processi, le forme di organizzazione e ordinamento
egemonico del progetto sistema-mondo;
•per rendere visibile le storie, le soggettività e le logiche di pensiero che sfidano questa egemonia.
Si possono distinguere 4 sfere operative che contribuiscono a mantenere la differenza coloniale:
1-la colonialità del potere, che in America latina produsse una stratificazione sociale per cui il bianco
europeo si colloca a un gradino più alto della gerarchia sociale;
2-colonialità del sapere, per cui all’intenro dei campi del sapere la collocazione gerarichica di alcuni gruppi
in alto si fondò sull’uso della razza come sistema di classificazione; questa seconda sfera ha imposto
l’eurocentrismo come unica fonte di conoscenza e ha negato la conoscenza ai saperi indigeni. La
promozione della connessione tra razza e sapere si trova nella tradizione di pensiero che dal 18° secolo ha
orientato la filosofia occidentale e la teoria sociale e a partire da questa razzializzazione nasce l’idea per
cui gli indios e i neri non sono esseri pensanti.
3-nel legame tra umanità e ragione interviene la colonialità dell’essere, che ha luogo quando individui si
impongono su altri controllando diverse soggettività sulla base di una matrice composta dai modelli
razziali e coloniali. Il problema dell’essere colonizzato ha radici nella storia e nello spazio: l’attenzione
verso lo spazio è importante per evidenziare come la presunta neutralità delle idee e teorie sociali,
nasconda invece una cartografia imperiale.
4-la delimitazione degli esseri umani e dei loro saperi porta a esaminare la colonialità della natura, con cui
si fa riferimento alla divisione binaria tra natura e società, che ha tentato di eliminare la relazionalità che è
il principio della vita e del pensiero di molte comunità indigene e africane. La relazione dell’essere col
pensare, col sapere e col conoscere ha origine nel nesso naturale fra il mondo biofisico, soprannaturale e
umano e dalle forme e condizioni dell’essere e dell’abitare questi mondi diversi.
L colonialità della natura interviene mitizzando questa relazione e classificandola come non razionale.

Analogamente, Leff solleva la questione del logos scientifico che vuole orientare la razionalità ambientale
sulla base di certe condizioni dell’essere.
Per ambiente, sostiene che si deve intendere il campo di relazioni tra natura e cultura, tra materiale e
simbolico, tra complessità dell’essere e del pensare, cioè quella forma di sapere che riguarda le strategie di
appropriazione del mondo e della natura attraverso relazioni di potere instaurate nelle forme dominanti
della conoscenza.
Tanto il sapere ambientale di Leff quanto la natura qui intesa, aprono le strade per comprendere e
affrontare il problema della conoscenza moderna-coloniale.
In queste due prospettive l’esperienza umana non può essere relegata solo all’ambito dell’applicazione
pratica e strumentale della conoscenza oggettiva. Questi campi segnano un’apertura in cui il precetto
epistemico-esperienziale centrale è che si giunga alla conoscenza a partire dal mondo.
Viceversa la prospettiva egemonica della modernità occidentale presuppone che si arrivi al mondo a
partire dalla conoscenza.
La questione ruota dunque intorno a diversi sistemi di pensiero e di costruzione della conoscenza.

Riflessioni sulle epistemologie decoloniali e sulle scienze sociali e culturali altre


Ci sono diverse prospettive da cui possiamo iniziare a pensare l’epistemologia e le scienze sociali in modo
diverso.
Una è proposta da Boaventura de Sousa Santos che evidenzia la necessità di un ‘epistemologia del Sud’ che
dia credibilità alla nuove esperienze sociali controegemoniche e alle ipotesi epistemologiche alternative.
Secondo Santos, questa operazione consta due processi che possono confrontarsi con il secondo comune
delle scienze sociali egemoniche:
•la sociologia delle assenze, che si basa sul riconoscimento di diversi attori sociali, razionalità, conoscenze
e pratiche, muovendosi nel campo delle esperienze sociali;
•la sociologia delle emergenze, che vuole identificare e analizzare i segnali delle esperienze future
possibili, agendo nel campo delle aspettative sociali.
Queste due sociologie propongono nuove forme di coinvolgimento e analisi ed è chiaro che questa
prospettiva chiama in causa il ruolo dell’università tradizionale, sia per il suo isolamento dalle nuove
pratiche degli attori emergenti, che per l’accademismo e la mancanza di interesse nel favorire i processi di
teorizzazione e riflessione con i movimenti e degli altri attori sociali.
Da questa consapevolezza prende le mosse il progetto dell’Università Popolare dei Movimenti Sociali, una
rete di conoscenza che ha due obiettivi:
•promuovere l’incontro tra persone che si dedicano alle pratiche di trasformazione sociale e quelle che si
dedicano alla produzione teorica;
•evolvere nello sviluppo di uno spazio per la formazione di attivisti, leader di movimenti sociali e scienziati
che studiano le trasformazioni sociali.

Un’altra prospettiva critica all’egemonia della razionalità moderna occidentale si riflette nei processi
politici di cui sono protagoniste le comunità e organizzazioni indigene e africane dell’America latina.
Questi processi partono dalla razzializzazione delle gerarchie sociali, dal colonialismo, con l’esigenza di
affrontare le catene che non legano più i piedi ma le menti.
Una delle possibili strategie consiste nel partecipare a nuove iniziative di mobilitazione che si concentrino
sulla costruzione di epistemologie e modi di pensare propri.
Queste iniziative prendono in considerazione la produzione intellettuale-attivista di studiosi spesso
ignorati dalle scienze sociali nazionali e latino americane, che orientano le loro azioni e scritti verso i
processi di liberazione del proprio popolo.
Un esempio di come sia possibile potare le proprie epistemologie anche fuori casa nel contesto di studi
superiori è la proposta dell’Universidad Intercultural Amawtay Wasi de las Nacionalidades y Pueblos
Indigenas de Ecuador, pensare ispirandosi alla filosofia Abya Yala.
Amawtay Wasi spiega che il suo compito principale è creare uno spazio di riflessione che proponga nuove
forme per concepire da costruzione della conoscenza e potenziare i saperi locali.
A partire da quest’esempio possiamo visualizzare un ‘progetto altro’ di educazione universitaria che abbia
come punto di partenza una logica radicata nella comprensione e nell’uso della visione del mondo e della
teoria filosofica di Abya Yala, il cui principio chiave è la relazionalità e l’interconnessione tra tutti gli
elementi della madre terra.
Questa relazionalità implica l’assunzione di una prospettiva epistemica e socio-culturale in grado di
riflettere l’unità della diversità, della dualità complementare e la reciprocità.
A partire da questa prospettiva Amawtay Wasi tenta di sfidare la frammentazione interna al rapporto
sapere-essere-natura caratteristica della razionalità scientifica occidental, cenrcando la complementarità,
la decolonialità e la promozione di un dialogo interculturale permanentne tra razionalità diverse.
Il fatto che questa prospettiva sia vista come parte del progetto politico del movimento indigeno evidenzia
una pratica dell’interculturalità che differisce da quella associata alla stato e alle sue politiche educative e
sociali. In tale contesto, interculturalità è un paradigma di rottura nella prassi politica e nella costruzione
di un mondo più giusto.

Un’ultima prospettiva è quella del Dottorato di Studi Culturali Latinoamericani dell’Università Andina
Simon Bolivar in cui il tema centrale ruota intorno al problema delle geopolitiche della conoscenza, cioè
alla relazione tra conoscenza, modernità e colonialità.
Questo programma di dottorato è diventato uno spazio di riflessione collettive sul problema della presunta
universalità delle scienze umane e sulla realtà latinoamericana nel quadro capitalistico dell’imperialismo
neoliberista e globale.
Ricercare e lavorare per delineare spazi altri di analisi, intervento e produzione di conoscenza ha
rappresentato una parte centrale del programma.
I processi delineati hanno comportato la risignificazione degli studi culturali latino americani: questi si
identificano con un progetto culturale orientato al ripensamento critico e interdisciplinare, alle relazioni
tra cultura potere politica ed economia e ai problemi che riflettono l’odierna logica multiculturale del
capitalismo transnazionale.
Gli studi culturali rappresentano una forza che si oppone alle tendenze dominanti nelle università
latinoamericane, che vogliono reintrodurre le prospettive eurocentriche dle sapere.
Dunque, questi studi culturali riflettono anche l’interesse nel pianificare, partendo dall’America latina,
progetti con l’obiettivo di produrre forme di conoscenza che oltrepassino i confini stabiliti dal
neoliberismo e dalla modernità.

Riflessioni conclusive
Escobar ha sostenuto che l’obiettivo del lavoro intellettuale consiste nell’immaginare soluzioni innovative
che si fondino sulla pratica degli attori sociali di maggiore rilevanza epistemologica e sociale.
Come affermati da Juan Garcia bisogna prendere in considerazione le conoscenze che sono state ritenute
non-conoscenze, cioè mettere in discussione in concetti per cui sono state foornite risposte a domande
come: cos’è la conoscenza? qualè lo scopo? Infine bisogna mettere in discussione l’utilità delle teorie
eurocentriche per la comprensione della condizione coloniale del passato e del presente.
Allo stesso modo è necessario considerare la collocazione di pensieri e conoscenze altri, interi come
pensieri e conoscenze ulteriori che tengano in considerazione le diffferenze coloniali; pensieri e
conoscenze accomunati dall’esperienza del colonialismo e segnati dall’orizzonte coloniale della modernità.
Rodolfo Stavenhagen pubblicò un testo chiamato Como descolonizar las ciencias sociales?. Egli era
interesssato a un ripensamento delle scienze sociali non a partire dalle forme dominanti
dell’organizzazione sociale della sua epoca, quanto piuttosto come uno spazio di espressione delle
contro-correnti radicali e della coscienza critica.
Secondo lui, la cponoscenza prodotta dallo scienziato sociale puo diventare uno strumento per il
cambiamento che permetta a coloro che non hanno potere prima di mettere in discussione e poi cambiare
il sistema esistente.
Nella lotta per la decolonialità del potere ciò di cui hanno bisogno igruppi indigeni e i discentendi degli
shciavi africani è una svolta diversa che inizi dalla lotta della decolonialità in modo da rendere palese la
complicità tra modernita e colonialità, come segno distintivo che continua a organizzare e orientare le
scienze e il pensiero accademico intellettuale.
Secondo la filosofia delle popolazioni di Abya Yala stiamo entrando in una nuova era della chiarezza.

Teorizzare dai confini: verso la geopolitica e la corpo-politica del sapere


La base moderna del sapere è territoriale e mperiale.
Il punto di riferimento della modernità è il rinascimento europeo che si fonda su due strategie intellettuali
complementari: la prima coinvolge la decolonizzazione del tempo e l’invenzione dei Medioevi, la seconda
consiste nella colonizzazione dello spazio e nell’invenzione dell’America.
Le frontiere epistemologiche furono definite da questa doppia strategia che estormise le differenze
epistemiche coloniali (arabi, aymara, hindi…). Queste differenze furono riarticolate nel 18° sec sostituendo
alla teologia e alla teopolitica del sapere l’ego-logia e l’ego-politica secolare della conoscenza-
Il processo di definizione e gerarchizzazione di queste diversità comportò anche che fossero definite
attraverso la creazione della differenza imperiale e della differenze coloniale.
Entrambe le differenze si basavano su una classificazione razziale della popolazione che stabili un ordine
dell’umanità in cui gli stessi autori si collocarono al vertice.
La teoria del pensiero di confine è emersa come risposta alla violenza dell’epistemologia
imperiale/territoriale e alla retorica salvifica della modernità, la quale continua a giustificare l’oppressione,
lo sfruttamento e la distruzione delle differenze.
Il pensiero di confine è l’epistemologia dell’esteriorità.
I recenti fenomeni migratori verso Europa e USA contribuiscono a riprodurre condizioni da cui il pensiero
di confine è emerso fin dal principio dell’espansione coloniale moderna.
Esso affonda le radici nell’esperienza delle colonie e degli imperi subalterni.
Propone di considerare diversi tipi di attori teorici e principi di conoscenza che prendano il posto di quelli
costitutivi della modernità europea e diano autorità a coloro che sono stati privati dalla teopolitica e
dall’egopolitica della conoscenza.
L’opzione epistemica decoloniale è fondata da un lato sui confini epistemici tra le categorie e le lingue
imperiali europee e dall’altro lato sulle categorie che l’epistemologia moderna ha escluso definendole non
sostenibili dall’altro.
Il pensiero di confine è l’epistemologia del futuro. L’epistemolgoia è intrecciata con il linguaggio e
soprattutto con le lingue basate su un alfabeto scritto.
Esse sono integrate nel corpo e nella memoria di ogni persona.
Bisogna aver coscienza del fatto che la conoscenza e le soggettività sono state e continuano a essere
influenzate dalle differenze coloniali e imperiali che hanno strutturato il mondo moderno.
Va considerato da un lato il sapere nelle lingue dell’europa moderna e dall’altro quello in russo, arabo e
mandarino. In questo caso la differenza è imperiale.
Nell’inconscio moderno essere appartengono a ranghi epoistemici differenti.
Non significa che in russo, cinere e arabo non si prioducano pensiero e conoscenza, significa che nella
distribuzione globale del lavoto intellettuale e scientifico la conoscenza prodotta in inglese francese o
tedesco non necessita di tener conto di quella prodotta in russo, cinese e arabo.
Invece le società in cui si parlano queste ultime 3 lingue non furono colonizzate allo stesso modo delle
americhe e dell’asia meridioanle.
Perciò ogni lingue diversa dalle sei lingue imperiali europee (italiano, spagnolo, portoghese, francese,
inglese e tedesco) è stata epistemologcamente declassata a livelllo mondiale.
Se il pensiero di una persona non è ritenuto affidabile, questa finisce col dubitare della sua stessa
razionalità.
Il pensiero di confine emerge quindi dalla ferita coloniale. Nel caso dell’hindi e dell’aymara ì, la differenza
epistemica con le lingue europee moderne sarà una differenza coloniale. In entrambi i casi la colonialità
del sapere e dell’essere va di pari passo con la retorica salvifica della modernità.

Confini non solo geografici ma anche epistemici.


Nel nostro teorizzare dai confini vanno esposte 3 tesi.
La PRIMA è che i confini non sono solo geografici ma anche politici, soggettivi e epistemici e il concetto
stesso di confine implica l’esistenza di persone lingue religioni collocate su entrambi i lati del confine
coloniale, connesse le une con le altre da rapporti istituiti dalla colonialità del potere.
I confini sono stati creati con la costituzione del mondo moderno/coloniale. I tre tipi di confini presenti
nel mondo moderno/colonaile (geografico, epistemico e soggettivo) sono stati creati a partire dalla
prospettiva dell’espansione imperiale e coloniale europea: l’appropriazizone della terra accompagnata dalla
costituzione di un diritto internazionale che giustificasse quell’appropriazione, il controllo della
conoscenza attraverso il declossamento delle lingue e delle epistemologie non europee e il controllo delle
soggettività.

La SECONDA tesi è che il pensiero di confine emerge soprattutto dalle risposte epistemiche e
anti-imperiali date dai popoli alla differenza coloniale.
Il discorso egemonico ha costruito l’altro in virtu di questa differenza coloniale, classificandolo come
inferiore.
Queste eprsone rigiutano di essere geograficamente chiese, soggettivamente umiliate. Perciò la
decolonizzazione anziche favorire la gestione di tipo imperiale e l’accumulazione del sapere, lavora per la
legittimazione e l’emancipazione dei diversi livelli dall’oppressione in direzione dell’indebolimento di quei
presupposti sulla base dei quali il potere imperiale si radica e agisce.
In secondo luogo anche dalla differenza imperiale è possibile che emerga il pensiero di confine. E’ possibile
che esso emerga dallo stesso meccanismo della differenza coloniale, dove però applicato a persone in
condizioni socioeconomiche simili a quelle di coloro che occupano posizioni dominanti.
Tra il 16° e 17° sec, il discorso occidentale cristiano gettò le basi della differenza imperiale con l’impero
russo e quello ottomano. L’impero russo e quello ottomano avevano un occhio puntato verso gli imperi
occidentali dominanti e capitalistici e l’altro verso le loro stesse colonie.
Il pensiero di confine si configura in rapporto alla geopolitica e alla corpo-politica del sapere e fa domande
tipo: quali sono i rapporti tra collocazioni geostoriche ed epistemologia, da un lato, e tra identità ed
epistemologia dall’altro?
Il pensiero di confine offre diverse alternative ,ma tutte hanno un tratto in comune: il modo in cui le
persone nel mondo affrontano l’espansione occidentale quando non vogliono essere assimilate ma
vogliono scegliere di immaginare un futuro che sia inventato da loro e non dagli imperi.
Il pensiero di confine e l’opzione decoloniale non possono ridursi a un’astrazione universale che
raèppresenti una risposta a tutte le esperienze, le violenze e memorie geostoriche.
Non esiste una pluri-versalità dalla prospettiva della teopolitica e dell’egopolitica della conoscenza.
La pluriversalità è possibile solo con il pensiero di confine, ovvero con uno spostamento della geografia
della ragione verso la geopolitica e la corpopolitica della conoscenza.
Geopolitica e corpopolitica sono un’inversione dislocata della teopolitica e dell’egopolitica del sapere.
Inversione perche si assume che nel processo di consocnez ae comprensione le qualità secondarie non
possano essere eliminate.
Le qualità secondarie che contano sono da un lato le storie locali coloniali subordinate alle storie locali
imperiali e dall’altro le soggettività coloniali.
LKe soggettività coloniali sono la conseguenza dei corpi razzializzati, dell’inferiorità che lòa
còlassificazione imperiale ha assegnato a ogni corpo che non entra nei criteri di sapere stabiliti per gli
uomini bianchi e europei.
La prospettiva geopolitica e corpopolitica tenta di affrancarsi dalla dipendenza dai legami di tipo
imperiale.
Ciò che appare necessario è cambiare l’orientamento della geografia e della biografia della ragione.
L’inversione decoloniale e interna al pensiero occidentale moderno sono posizioni inconciliabili. Ciò è
osservabile in un confronto tra teorie occidentali e radicali non occidentali ispirate al confien come
collocazione geostorica e corpopolitica.
Se nella storia dei confini segnata dalle differenze coloniali l’opposizione all’impero è chiara, nella storia dei
confini, l’assimilazione e il desiderio di diventare come l’occdiente o la competizione hanno avuto la
precedenza rispetto al tentaivo di decolonizzare i saperi.
In generale, le condizioni per lòa decolonizzazione semprano essere piu favorevoli nelle colonie e ex
colonie, o nei casi di imperi che sono stati ridotti a colonie.
L’ex secondo mondo vive sul confine o al suo interno e anziche il pensiero di confine vi troviamo dei
modelli intermedi (impero ottomano, russia/urss, europa centrale e sudorientale). Anche le differenze di
queste collocazioni geostoriche rispetto all’occidente sono confuse e instabili, e ciò rende difficile
concettualizzzare tali configurazioni sia dal punto di vista occidentale che da una prospettiva
non-occidentale radicale.-
Ancora piu difficile è concettualizzare queste dimentisioni imperiali e sub imperiali dalla prospettiva del
popolo il cui immagianrio è stato colonizzato dal pensiero occidentale e distorto da un eurocentrismo di
second’ordine, incapace di analizzare la sua doppia coscienza.
La doppia coscienza, concettualizzata dal sociologo Dubois, è il fondamento logico del pensiero di confine.
La coscienza imperiale è sempre territoriale e monotopica, il pensiero di confien è sempre pluritopico e
generato dalla violenza delle differenze coloniali e imperiali.
La critica imperiale interna assume come veri gli universali astratti. La doppia coscienza emerge dalle
esperienze di persone che sono stati costruite e classiticate dallo sguardo imperiale/nazionale
Se il pensiero di confine è la condizione del dominio imperiale/coloniale, il pensiero crticio di confine è la
condizione imperiale coloniale trasformata in progetti epistemici e politici di decolonizzazione.
Hegel, Marx e Kant, la loro epistemologia e adesione a parametri universali imediva loro di vedere la
soggettività dell’altro e di riconoscere l’altro interno come soggetto.
Comprendere le ragioni per cui un russo in europa si sente di essere uno scarafaggio, mentre un turco che
compra un cappotto in un negozio francese sta di fatto comprando un sogno europeo, era bel oltre la
portata di questi pensatori.
Oggi la scissione dell’altro interno è espressa nella gerarchia dell’alterità: da un lato l’ex secondo mondo è il
migrante inderiderato e minaccioso, dall’altro l’occidente sorveglia i suoi confini contro l’immigrazuione
indesiderata dalle repubbliche ex sovietiche e del terzo mondo.
In ogni caso, quando il pensiero di confine non riesce a emergere, le alternative sono la competizione,
l’assimilazione o la resistenza senza una visione del futuro.
Ma se le differenze pistemiche imperiali e colonaili crano la condizione perl’emergere del pensiero di
confine, esse non possono determinarlo. Nella struttura gerarchica del mondo moderno/colonaile
possono essere identificati 4 tipici di pricipali rapporti di dipendenza:
-l’atteggiamento oppositivo, che consiste nel rigiuto dell’espistemologia occidentale e in una soggettività
basata sulla difesa fondamentalista di lingua religioni, saperi ecc
-l’atteggiamento assimilazionista, che consiste nel voler diventare come l’altro superiore e al prezzo di
alienarsi nell’altro iperiale
-la competizione nell’ambito delle regole del gioco capitalistico o l’adattamento senza assimilazione
-il pensiero di confine e il pensiero critico di confine, che consistono nell’incorporazione dei contibuti
occidentali nella diverse sfere della vita e della conoscenza all’interno di un progetto epistemico e politico
che consolida la differenza a cui la maggioranza della popolazione del mondo è stata assoggetatta durante
i 500 anni di espansione che ha avuto le sue conseguenze sulla formazione di soggettività divise.

I rapporti di dipendenza sono stabiliti attarverso le differenze imperiali e coloniali rispetto all’immagine
europea. Si tratat di condizioni storiche diverse, dalle quali le posizioni di confine possono svilupaprsi
come progetti attivi di decolonizzazione, sia epistemici che politici a partire dalle esperienze vissute di
diverse comunità.
ùLe interconnessioni tra luoghi geostorici ed epistemologia da un lato, e le configurazioni epistemiche di
genere e corpo-razziali dallaltro, riproducono la dislocazione inversa che descriviamo come geopolitica e
corpo-politica del sapere.
Il pensiero di confine necessita di una genealogia propria, senza di esse, riamrrà un appendice
dell’epistemologia imperiale occidentale moderna e le varianti della sotira della civilizzazione occidentale
continueranno a essere raccontate dalla prospettiva imperiale.
Se il pensiero di confine nascerà nell’ex secondo mondo, questo processo non potra che accadere nei
luoghi coloniali e ex coloniali degl iimperi subalterni, tra i popoli multi-marginalizzati.
Il caucaso e l’asia centrale, i greci, i kurdi ecc sono lacerati dalla contrapposizione tra l’originale della
cultura occidentale e le sue brutte copie degli imperi subalterni, a cui si aggiungono le loro tradizioni
etniche native.
Per tale ragione, la moltudine è mobilitàt piu da un desiderio di assimilazione all’occidente che da un
impegno a immaginare un futuro possibile al di là delle opzioni offerte dal comunismo e dal liberalismo e
dalle loro conseguenze storiche.

Pensare dai confini


TERZA tesi: i confini possono essere studiali dalla prospettiva dell’epistemologia territoriale m,a il
problema del 21° sec sarà pensare dai confini stessi.
Parafrasando Dubois, possiamo dire che il problema sarà il problema della linea epistemica.
In termin idi classi sociali, i problemi sono piu facili da affrontare perche si è dato per scontato che
l’epistemologia appartenesse a una divisione del lavoro in cui i lavorator intellettuali non fanno parte della
stessa classe dei proletari.
I lavoratori intellettuali hanno anch’essi un colore, un genere e una sessualità. Perciò i confini tra linea del
colore e linea epistemica si collocano dove comprare il problema e si elabornao le soluzioni poiche quando
la linea epistemica è analizzata dalla prospettiva della linea del colore siamo di frotne a una svolta. Il
pensiero di confine emerge nella rottura e come svolta epistemica. Una svolta che sostituisce alla
teopolitica e all’egopolitica la geopolitica e la corpopolitica della conoscenza.
La domanda comune è: come mettere in pratica il pensiero di confine e dunque l’opzione decoloniale?
L’intterogativo andrebbe rovesciato: perche chi si chiede come mettere in pratica l’opzione decolonaile sta
ponendo questa domanda? Perche è stato un afroamericano come Dubois a farsi venire in mente un
concetto come quello di doppia coscienza?
Se nel caso di pensiero di confine si continua a sollevare la questione del metodo, la stessa questione non
si pone nel caso delle epistemologia e dei saperi moderni occidentali: questa asimmetria deriva dal fatto
che l’epistemologia moderna si fonda sulla separazione tra le idee che produce e il luogo geografico del
pensatore che le ha prodotte.
ùEliminando le proprie specificità e i propri bisogni organizzativi, l’arroganza del punto zero previene la
possibilità di domandare: come posso abitare al contempo il punto zero e il luogo che il punto zero non
riconosce? Fare questa domanda è il primo passo verso il pensiero di confine.
Per rispondere alla domanda su come mettere in pratica l’opzione decoloniale, torniamo agli imperi della
russia e pensiamo a come il pensiero di confine possa emergere dalla differenza imperiale della russia
contemporanea e a come potrebbe emergere nelle colonie/excolonie.
Per l’occidente questi altri intenri continuano a giocare il ruolo di regioni che producono culturale e non
che generano conoscenza.
Questo scenario è evidente nel caso della Russia. Lì filosofia e scienza erano basate sul modello
occidentale e prese in prestito dall’Europa nelle loro varianti.
L’epistemologia, la filofia e la scienza nacquero in Russia nel periodo in cui la modenrita europea era
riuscita a stabilire il suo predominio, trasformando a proprio vantaggio altro storie.
La russia da allora non ha mai messo in discussione le basi dei suoi prinicpi eurocentrici, classificando il
resto del mondo secondo la matrice di potere euro-occidentale razzista e deocloniale.
Il caso piu interessante per il pensiero di confine è rappresentato dalle ex colonie eslamiche della russia,
che sono riuscite a conservare i loro legami epistemici con la tradizione dell’Islam.
L’impero sovietico ha provveduto a cancellare ogni traccia di quei legami, per privare ai popoli del loro
passato e riscrivere la storia.
In altre parole il pensiero di confine non poteva essere ammesso dall’epistemologia terriotirale dello stato
senza che quest’ultim operdesse il controllo imperiale del sapere.

In nord africa, un filosofo marocchino Mohammed Al-Jabri ha sollevato una questione: i filosofi musulmani
del passato fondarono la loro filosofia sulal fisica di aristotele. Descartes costruì la propria fisica su quella
di galileo che a sua volta era costruita su quella di aristotele. Cosa successe nell’internvall odi tempo
intercorso tra Ibn-Rushd, che porto il pensiero musultamo alla sua razionalità e rene descartes?
Ibn-Rushd ebbe una profonda influenza su quello che sarebbe diventato in pensiero europeo almeno fino
alle orgini della filosofia moderna e della scienza sperimentale. Perche allora da descartes in poi la linea
epistemica ha cancellato i contributi musulmani al pensiero umano?
E’ sufficiente ricordare come opere prima di Descartes quelle di erasmo da rotterdam.
Fu uno dei principali artefici dell’estromissione di Ibn-Rushd dalla memoria della spagna cristiana.
Rushd fu sradicato dal progresso del pensiero umano e descartes sottoscrisse un pensiero fondato su
Galileo e Aristotele, mentre Kant fece lo stesso rimpiazzando galileo con Newton.
Reindirizzare questa storia e contribuire a un mondo pluriversale nel quale molti mondo possono
coesistere è uno dei compiti del pensiero critico e dell’opzione decoloniale.
Il predominio della cristianita occidentale e del liberalismo secolare hanno finito per generare
assimilazione e apartheid. Durante l’epoca dell’Unione sovietica, il comunismo haa messo in atto nei
confronti delle colonie sovietiche la stessa logica di colonialità degli imperi occidentali.
Il pensiero di confine e l’opzione decoloniale ci permettono di immaginare vie d’uscita dal confronto tra la
promozione occidentale con i suoi disegni globali e l’impero russo/sovietio con le sue colonie da un lato e
l’eredita islamico-ottomane nel mediooriente dall’altro.
Il pensiero di confine al crocevia tra storie locali e disegni globali
Uno dei punti di vista comuni sulla modernita e sulla globalizzazione concepisce la prima in
contrapposizione alle modernita alternative e la seconda in contrapposizione alla dimmensione locale.
La realta presunta vede la globalizzazione muoversi in direzione delle periferie.
Le nostre tre tesi contestano le visioni che contrappongono il globale al locale e una modernita a delle
modernita alternative.
Nel primo caso la distinzione globale-locale è basata su un’epistemologia territoriale e non di confine, che
assume il globale come emanazione dell’europa occidentale e degli Usa verso il resto del mondo.
In questo senso la globalizzazione è vista come una serie di processi che danno origine a risposte e a
reazioni da parte di coloro che difendono le culture autentiche.
Le nostre tesi assumono al contrario che le storie locali si trovino ovunque ma il problema è che non tutte
le storie locali si trovano in una posizione tale da poter concepire e mettere in atto disegni globali. La
maggior parte ha dovuto fare i conti con una crescente diffusione di disegni globali imperiali di ogni
genere (religiosi, politici, economici, linguistico-epistemici e culturali).
La colonialita del sapere e dell’essere creano le condiizoni per il pensiero di confine, per l’opzione
epistemica decoloniale diretta alla decolonizzazione del sapere e dell’essere.
L’opzione epistemica decoloniale è geopoliticamente e corpo politicamente orientata proprio in direzione
dei conflitti imperiali tra i disegni globali che estendono le forme di conoscenza e di soggettivita dalle
storie locali da cui sono emerse a quelle rispetto cui sono aliene.
Da qui la seconda conclusione e risposta all’emergere dell’idea di modernita alternative: l’idea stessa di
modernita alternative ha senso solo da una prospettiva epostemologica eurocentrata, cioè
dall’epistemologia del punto zero, che storicamente prende i nomi di teologia e egologia.
Dalla prospettiva del pensiero di confine e dell’opzione decoloniale, l’idea di modernita alternative è gia
incorporata nell’idea eurocentrica di modernita.
Dal punto di vista di un’epistemologia di confine, c’è bisogno di alternative alla modernita.
Il pensiero di confine è un modo di procedere verso l’opzione decoloniale. Questa consiste nel distaccarsi
dalla tirannia epistemica teologica e egologica nel mondo moderno: la colonialita del sapere e dell’essere.
Il pensiero di confine propone un modo di affrontare la sedimentazione imperiale liberandosi
dall’incantesimo della modernita imperiale.
L’opzione epistemica decoloniale mira a processi di decolonizzazione del sapere e dell’essere.
Decolonizzare è un modo di avvicinarsi all’idea che un altro mondo è possibile.
Quel mondo sara un mondo nel quale molti mondi coesisteranno.

Il mondo postnaturale: elementi per un’ecologia politica anti-essenzialista


Introduzione:dalla natura alla storia
Nel 20° secolo, in nessun ordine sociale moderno la questione della natura è stata risolta: le forme
moderne di conoscenza non hanno dato alla questione della natura risposte sufficienti.
La crisi della natura è anche crisi dell’identita della natura. Il significato di natura è cambiato nel corso
della storia in base a fattori culturali, socioeconomici e politici.
Raymond Williams dice che l’idea della natura è l’dea dell’uomo nella societa e di conseguenza l’idea di
diversi tipi di società.
Seguendo il suo ragionamento, Barbara Bender afefrma che l’esperienza che le persone fanno della natura
si basa sulla specificità delle relazioni sociali, politiche ed economiche nelle quali queste persone vivono le
proprie vite.
Esistono altre prospettive che contribuiscono a mettere in crisi le nostre concezioni della natura. Non è da
escludere che potremmo assistere al tramondo della fede nell’esistenza di una natura primordiale.
Questo tramondo corrisponde al tramondo dell’idea secondo cui la natura è principio fondamentale e una
categoria fondante, alla base dell’essere e della società.
Sostenere che questa nozione possa scomparire è cosa molto diversa dal negare l’esistenza di una realta
biofisica dotata di strutture e processi propri, che le scienze della vita cercano di comprendere.
Da un lato, cio significa che per noi umani la natura è sempre costruita attranerso nostri processi
discorsivi e di significazione e cio che percepiuamo come naturale è anche culturale e sociale. Dall’altro
lato significa che la nostra concezione della natura come pura e indipendetne sta aprendo la strada a una
nuova visione della natura come prodotto artificiale.
In tutto il mondo, la trasformazione del biologico sta dando luogo a una grande verita di forme del
naturale. Al pari delle identità, le nature possono essere in grado di modificare i propri caratteri a seconda
del luogo e dell’insieme di pratiche in cui sono.
Antiessenzialismo: dalla storia all’ecologia politica
L’ecologia politica studia la questione della natura. Il primo periodo dell’emergere di questa disciplina è
stato caratterizzato dall’introduzione di approcci propri dell’economia politica nel campo dell’ecologia
culturale e umana negli anni 70.
Durante gli anni 80-90 questa ecologia politica ha preso altri elementi dell’analisi post-strutturalista della
conoscenza, delle istituzioni, dello sviluppo e dei movimenti sociali, contributi femministi ecc.
Da due lavori Liberaton Ecologies e Feminist Political Ecology emerge la visione complessa sia dei rapporti
tra natura e cultura sia dell’ecologia politica: mette in risalto il carattere interconnesso delle dimensioni
discorsive, materiali e socuali del rapporto tra essere umano e ambiente.
A partire dal crollo dell’ideologia essenzialista della natura e sulla scia di tendenze post-strutturaliste di
femminismo, politica e critica della razza, ci si pone delle domande: è possibile articolare una teoria
antiessenzialista della natura? Esiste una visione della natura che va oltre verita secondo cui la natura è
costruita per teorizzare le forme in cui è culturalemnte prodotta? Non è una posizione antiessenzialista
una delle condizioni per comprendere le lotte sociali che si fanno oggi sui terreni biologici e culturali?
Post strutturalisti e post modernisti hanno concluso che non c’è nulla di naturale nella natura.
Bisogna sforzarsi di assumere una posizione piu equilibrana che riconosca l’aspetto costruito della natura
nei contesti umani, sia la natura in senso realista, cioè l’esistena di un ordine naturale le cui
rappresentazioni possono essere messe in discussione dai costruttivisti a partire dalle loro implicaizoni
storiche e politiche.
Per i costruttivisti, la sfida sta nell’imparare a incorporare nelle loro analisi i fondamenti biofisici della
realta; per i realisti nell’esaminare i loro approcci dalla prospettiva della loro costruzione storica, cioè
accettare che le scienze naturali non sono astoriche o prive di ideologia.
Una teoria politica della natura dele ancora essere elaborata, eppure l’anti essenzialismo dispone di molti
fonti. Due dei suoi principali fautori sono Ernesto Leclau e Chantal Mouffe, che riconoscono che l’espetto
politico deve essere concepito come una dimensione di ogni societa umana che devermina la nostra
condizione ontologica. Questi autori sostengono che la vista sociale è politica. Ogni identita è relazionale
quindi l’esercizio di qualunque identita implica l’affermazione della differenza e di conseguenza un
atagonismo potenziale. Gli antagonismi sono quindi costitutivi della vita sociale. Nessuna identita e societa
può essere descritta da una sola prospettiva universale.
Le concezioni antiessenzialiste dell’’identita sottolineano che le identita sono costruite continuamente e
non sviluppate na un nucleo storico preesistente.
L’importante è indagare la costruzione storia di una soggettività che in nessun momento puo essere
considerata dotata di un’essenza immutabile.
Alcun ipensano che questa critica all’essenzialismo voglia sviluppare una teoria sociale radicale e
comprendere l’ampliamento del campo delle lotte sociali.
Il ripensamento poststrutturalista suggerisce dei modi di riconsiderare la natura come entita priva di
riconsiderare la natura come entita priva di un’identita essenziale.
L’analisi anti essenzialista della natura ha due obiettivi: da un lato esaminare i rapporti biologici, sociali e
culturali che costituiscono il concetto di natura, dall’altro trovare il modo di rivelare etnograficamente
discorsi sulal differenza ecologica/culturale che non riducano la molteplicità dei mondi sociali e biologici
a un principio unico di determinazione.
Se si puo affermare che i discorsi sulla antura sono stati una volta biocentrici una volta antropocentrici, è il
momento di mettere in discussione cio che in quei discorsi è considerato essenziale per la natura o per
l’uomo.
L’ecologia politica puo essere definita come lo studio delle molte articolazioni della storia, della biologia e
delle mediazioni culturali attraverso le quali queste articolazioni si stabiliscono.
Questa definizione rimuove la natura e la societa dalla posizone che ocupano nel pensiero occidentale.
Sia nella sfera del non moderno che in quella postmoderna natura e societa sono concettualmente assenti.
L’ecologia politica esamina le pratiche attraverso cui la dimensione biofisica e quella storica si implicano a
vicenda. Gli ambiti esaminati spaziano dalle pratiche preistoriche a quelle contemporanee, fino a quelle
future.
Ogni articolazione ha la sua sotria e si rapporta con esperienze e modi di percezione determinati dai
rapporti sociali, politici ed economici caratterizzati da particolari modalità di utilizzo dello spazio ecc. Il
compito dell’ecologia politica è quello di tracciare questi processi di articolazione e il suo obiettivo è
quello di suggerire potenziali articolazioni praticabili nell’attuale, tali da favorire i rapporti sociali ed
ecologici piu giusti.
Ecologia politica anti-essenzialista:regimi di natura
Gli attivisti dei movimenti sociali si trovano nella condizione di dover cercare punti di contatto e
convergenza tra i paesaggi: il paesaggio organico delle comunità, quello capitalistico delle piantagioni e il
tecnopaesaggio dei ricercatori e imprenditori della biodiversita e delle biotecnologie.
Questi 3 attori incarnano regimi di articolazione storicobiologica diversi. Saranno chiamati NATURA
ORGANICA, NATURA CAPITALISTICA E TECNONATURA.
Si tratat di un modello anti-essenzialista. E’ accettato che la natura è esperita in modo diverso a seconda
della nostra collocazione sociale e che essa è prodotta in modo diverso da gruppi umani diversi o anche
dagli stessi gruppi nel corso di periodi storici diversi.
Questi presupposti implicano un ordine moderno in cui l’esperienza storica e sociale puo essere valutata
secondo forme di produzione e i rapporti sociali moderni.
Questi regimi di natura possono essere visti come costitutivi di una struttura sociale fatta di relazioni
multiple e irriducibili.
C’è una doppia articolazione all’interno di ogni regime di natura e nei rapporti tra i diversi regimi.
L’identita di ogni regime è il risultato di articolazioni discorsive che hanno luogo in un ambito di
discorsività generale piu ampio rispetto a quello di ogni regime particolare.
In secondo luogo questi 3 regimi non sono una sequenza lineare ma sono relazionali. Gli esseri umani si
collocano in maniera differenziale, producono diverse concettualizzazioni del biologico e a esso pongono
istanze diverse.
I regimi possono essere visti come momenti nella produzione totale e differenziala della natura. E’
importante dire he il regime organico non va considerato in termini essenzialistici ma in termini storici.
In terzo luogo, la conoscenza che abbiamo per esaminare ogni regime è discontinua e differenziata.
Dobbiamo esaminare ogni regime dalla prospettiva di una particolare forma di conoscenza.
Un’ultima conseguenza di queste caratterizzazioni è che tale modello è costruito a partire da una
prospettiva parziale: il punto di vista epistemologico in cui si situa il soggetto conoscente, che si
autodefinisce come l’ecologo politico critico e anti-essenzialista, che la storia ha obbligato alla natura
capitalistica moderna ma che da parte sua tenta di vedere la retoria della differenza capace di mostrare la
natura organica e la tecnonatura nelle loro alterità .

Natura capitalistica:produzione e modernità


Il regime di natura che conosciamo meglio è la natura capitalistica. Lo sviluppo di nuove forme di visione è
collegato alla nascita della natura capitalistica: l’invenzione della prospettiva lineare, connessa alla pittura
realista; l’oggettivazione del paesaggio con la sua conseguente pratica della visione; un regime di
visualizzazione che equipara la coscienza alla visione e che ha inaugurato il monitoraggio su grande scala.
Va sottolineato che la diffusione dell’arte paesaggistica ha dato alla natura un ruolo passivo: essa è stata
costretta nella prospettiva di uno sguardo totalizzante che ha creato illussioni di unita e controllo.
Questo sguardo è stato strumentale alla nascita delle scienze moderne. Lo sviluppo della medicina clinica
per esempio, inaugurò l’esplorazione del corpo umano aprendolo affinche se ne potesse osservare
l’interno. Questa configurazione ha stabilito un alleanza tra le parole e le cose.
L’importanza della visione nel trattamento della natura e di noi stessi è cresciuta, ma l’aspetto
fondamentale della modernita è quello che Heidegger definisce la creazione di un ritratto del mondo, in
cui la natura è inquadrata come risorsa da usare in base alle esigenze dell’uomo moderno.
Questi sviluppi sono aspetti dell’emergere dell’Uomo come struttura antropologica e fondamento di ogni
conoscenza. Con l’economia l’uomo è rimasto in un ordine culturale che risale alla separazione tra natura e
società. Questa separazione è uno degli aspetti fondamentali delle societa moderne.
La storia dell’Uomo e la percezione della natura è legata a fattori che contribuiscono a plasmare questa
separazione tra cultura e natura.
La modernita capitalistica ha avuto bisogno che si sviluppassero altre forme di controllo dei mezzi di
produzione e delle popolazioni basate sulle conoscenze di esperti; ciò che Foucalt chiama
governamentalita. E’ attraverso questa che ambiti ampi della vita quotidiana sono stati adattati dalla
conoscenza e dagli apparati amministrativi dello stato. Questo processo si è esteso all’ordine naturale.
Oltre a studiare la natura come merce, è necessario indagare come la natura sia stata resa governabile
dagli apparati dello stato e della conoscneza. Gran parte dell’attenzione di coloro che studiano la natura
capitalistica si è incentrata sull’analisi della natura come merce. Da una prospettiva amrxista la
separazione tra natura e società è vista come ideologica. La produzione di plusvalore ha permesso agli
umani di emanciparsi dalla natura. Grazie al lavoro, la società è emersa dalla natura producendo la seconda
natura, cioè l’insieme delle istituzioni sociali che regolano lo scambio di merci, incluse le nature costruite
dagli esseri umani.
La distinzione tra prima e seconda natura è diventata obsoleta nel momento in cui la produzione della
natura è diventata la realta dominante. Tutti questi fattori sono il prodotto della modernita patrialcale
capitalistica.
La natura capitalistica è uniforme e per ragioni sociali ed ecologiche l’accumulazione della natura
uniforme sta divenatando un ostacolo per l’accumulazione capitalistica. E’ necessario dare il via al
processo di accumulazione della natura diversa. I discorsi sullo sviluppo sostenibile e sulla biodiversita
sono un riflesso di questa tendenza cosi come lo è il ragionamento secondo cui in capitalismo sta
entrando in una fase ecologica.
Una definizione parziale dell’ecologia politica della natura capitalistica è lo studio dell’incorporazione
progressiva della natura nel doppio campo della governamentalità e della merce.

Natura organica: cultura e conoscenza locale


Un aspetto fondamentale del regime organico è il fatt oche la natura e la società non sono separate da
frontiere ontologiche. Gli studi di antropologia e di ecologia mostrano con chiarezza che molte comunità
rurali del terzo mondo costruiscono la natura in molti modi. Marilyn Strathern ha mostrato l’impossibilita
di interpretare le modalita native attraverso cui il sociale e il biologico sono mappati secondo i nostri
concetti di natura, cultura e societa.
Se vogliamo capire il modo in cui natura e cultura agiscono come dispositivi funzionali alle costruzioni
culturali, non dobbiamo considerarle determinate e presociali ma costrutti socialmente e storicamente
determinati.
L’interpretazione oggi piu diffusa è che i modelli culturali di natura di molte societa non si basano su una
dicotomia natura-societa. La tesi piu seguita p che al contrario delle costruzioni moderne, che separano il
biofisico, i mondi umani e sovrannaturali, i modelli locali non occidentali sono spesso fondati su legami di
continuita tra questi tre ambiti. Questa continuita è stabilita culturalmente attraverso rituali e pratiche. In
questo modo gli esseri viventi non sono visti come costitutivi di ambiti diversi.
Un mdoello lcoale della natura puo esibire questi aspetti: categorizzazioni specifiche di entita umane,
sociali e biologiche; forntiere specifiche e clasificazioni sistematiche di animali, spiriti e piante.
Puo anche contenere meccanismi di conservazione dell’rodine e dell’equilibrio dei circuiti biofisici, umani
e spirituali o una visione circolare della vita biologia e socioeconomica basata su qualche tipo di divinità.
èPuo anche prevedere una teoria che spieghi come tutti gli esseri dell’universo siano educati a partire
dagli stessi principi.
Questi fattori rivelano un’immmagine complessa della vita sociale che non è per forza opposta alla natura
e che puo esser epensata come relazioni umane, di parentela e di genere.
I modelli locali evidenziano un’unione particolare con uno specifico terriotorio concepito come entita
multidimensionale. Questi modelli instaurano dei legami tra mondi che alcuni hanno interpretato come
una vasta comunita di energia vitale. Spesso il rituale è intrinseco all’interazione tra i mondi umani e quelli
naturali.
L’esistenza di meccanismi al di sotto comuni a tutti i modelli di regimi organici e la commensurabilità di
questi modelli sono questioni importanti per i recenti indirizzi di studio e hanno conseguenze rilevanti per
l’ecologia politica.
Alla preoccupazione per le tassonomie tradiuzionali, gli studiosi di antropologia hanno
risposto spostando la classificaizone dal suo luogo privilegiato, argomentando che essa è solo un aspetto
del processo attraverso cui gli umani attribuiscono un significato all’ambiente naturale. Tuttavia questi
antropologi si sono mostrati restii ad abbandonare l’idea dell’esistenza di meccanismi soggiacenti o
processi strutturanti che organizzerebbero i rapporti tra esseri umani e ambiente.
E’ importante anche considerare la conoscenza locale, che opera attraverso pratiche invece di fondarsi su
un sistema formale di conoscenze condivise indipendenti dal contesto.
Una tendenza simile enfatizza su l’aspetto incarnato della conoscenza locale. per Ingold viviamo in un
mondo che non è separato da noi e la conoscenz ache ne abbiamo puo essere descritta come processo di
apprendimento nell’incontro pratico con l’ambiente.
Per Richards la conoscenza agricola locale deve essere vista come un insieme di capacita
d’improvvisazione specifiche rispetto al contesto piuttosto che come entita costitutiva di un sistema di
conoscenza indigena coerente. Questa impostazione ha voce nell’antropologia dell’esperienza
Rivera e Gudeman hanno suggerito che i contadini hanno un modello locale della terra, dell’economia e
della produzione che è diverso dai modelli universalizzanti. I modelli locali di questo tipo sono esperimenti
viventi che si sivluppano attraverso l’uso che intreccia le pratiche locali a processi su scala piu grande.
Questa proposta suggerische che possiam trattare la conoscenza pratica come costitutiva di un modello
comprensivo del mondo e perciò lo chiamiamo modello locale.
Questa linea di lavoro contribuisce a demistificare la dicotomia natura-cultura.
Una lezione radicale la possiamo trarre dalla reinterpretazione del processo cognitivo proposta dalla
biologia fenomenologica di Humberto Meturana e Francisco Varela, che suggeriscono che la cognizione
non è il processo di costruzione delle rappresentazioni di un certo mondo messo in atto da una
determinata mente esterna a quello stesso mondo. In quello che chiamano approccio enattivo, la
cognizione è vista come la enazione di un rapporto tra mente e mondo basato sulla storia della sua
interazione. Varela afferma che ogni mente si sveglia in un mondo. Il concetto di doppia incarnazione
rispecchia una condizione in cui il corpo è come una struttura esistenziale e ogni contesto della
cognizione. Perciò ogni atto di conoscenza genera un mondo.
Rifiutando una separazione tra conoscere e fare, questi biologi ci offrono un linguaggio che permette di
discutere i dualismi di natura e cultura, teoria e pratica.
Essi confermano i dati etnografici della continuità tra natura e cultura, gli aspetti della conoscenza e le
nozioni della conoscenza locale come quelle di apprendimento ed esecuzione.
Ci forniscono una base per progredire nell’antropologia della conoscenza.
Riassumendo, i modelli culturali della natura sono costituiti da un insieme di usi/significati che non
possono essere ridotti a costruzioni moderne ne spiegati senza rifeirmenti a luoghi, frontiere e culture
locali ocncrete. Si basano su processi storici, linguistici e culturali che conservano una certa specificita del
luogo. Dal punto di vista etnografico l’insieme di usi/significati deve esser ericontestualizzato in rapporto
alle forme di potere che lo riguardano, in rapporto alle forze globali in cui è immerso.
I modelli locali sono in contatto con quelli moderni di natura ed economia che li influenzano.
Nella proposta di nuovo rapporto tra antropologia e biologia, Ingold vede la necessita di una prospettiva
relazione della vita organica e sociale.
La vita organica ha origine e cresce grazie all’interscambio con l’ambiente. Nella vita sociale, le persone si
sviluppano in molti nessi e rapporti con l’ambiente e con altre persone.
La proposta di Ingold cerca di liberare il nostro pensiero dalla camicia di forza concettuale dei geni,
cultura e comportamento. Questa riconcettualizzazione del rapporto tra vita biologica e sociale si avvicina
alla prospettiva di Maturana e Varela, una visione storicizzata della vita biologica e dell’evoluzione in
termini di vincoli strutturali che legano organismi al loro ambiente.
Il termine organico suggerisce un tipo di processo e relazionalita che vede la vita sociale in termini
topologici, come lo sdoppiamento di un campo generativo totale.
Questa concezione dell’roganico permette una definizione parziale di ecologia politica per questo regime
come lo studio delle molteplici costruzioni della natura in contetsi di potere.
Lo studio della antura organiza si spinge oltre lo studio degli ecosistemi e delle loro funzioni e flussi e
meccanismi retroattivi.
L’ecologia politica della natura organica trascende anche l’analisi della produzione, la governamentalita e la
merce.

Tecnonatura: l’artificiale e il virtuale


Il campo dell’artificialita sta emergendo. A mediare tra biologia e storia è la tecnoscienza. Le posizioni al
riguardo sono polarizzate, oscillando tra estremi della tecnofilia e della tecnofobia, cioè la celebrazione
acritica o condanna acritica delle nuove tecnologie.
Con l’avvento delle tecnoscienze contemporanee, dalla scoperta del DNA ricombinante in avanti, il
rapporto tra sociale e naturale si sta alterando. Il naturale è visto come un prodotto del sociale. Si sta
diffondendo la convinzioen che la biologia sia sotto controllo. Sviluppi siccessivi al DNA ricombinante
hanno rafforzato questa convinzione. Queste nuove possibilita hanno fatto un salto qualitativo in
conseguenza alle scoperte recenti nella biologia molecolare.
Con la tecnonatura entriamo in un era di anti-essenzialismo pure rispetto alla natura. Natura organica e
tecnonatura convergono in questo anti-essenzialismo nella misura in cui entrambe sono locali e
particolari. Il biologico diventa una questione di design. In questo risiede l’importanza della reinvenzione
della natura. Mentre il capitalismo ha introdotto la natura nel dominio dell’identico e la natura organica era
ed è compsota sempre da forme localizzate, la tecnonatura fa si che l’alterita proliferi. La diversita
conquista in tal modo nuovi significati.
Alcuni vedono nella scomparsa della natura organica e capitalistica la nascita della logica della virtualita.
Questa logica è dominata dal principio della ricombinazione: corpo, natura, merce e cultura ricombinanti.
La virtualita inaugura un periodo di post-capitalismo caratterizzato dalla scomparsa dell’organico e dal
trionfo di una classe virtuale inserita nella logica informatica della natura/cultura ricombiannte.
E’ importante riconoscere che la virtualita è un principio chiave per la produzione del sociale e del
biologico. Virilio riprende un aspetto cruciale dell’ordine emergente, cioè l’impatto delle tecnologie che
funzionano in tempo reale. Queste erodono il valore del ‘qui e ora’ a favore di un aldila comunicativo che
non ha nulla a che vedere con presenze e luoghi concreti. Le tecnologie del tempo reale segnano la
decadenza del corpo, del luogo e del pterritorio a favore di un’identita terminale, della dislocaizone globale
dell’attività umana e della svlutazione del tempo locale. L’unicità del tempo rimpiazza l’unicità del luogo.
Secondo altri teorici, la virtualita propone nuove opportunita per la creazione di soggettivita e pratiche
ecologiche. Per Guattari, le nuove tecnologie rinforzano gli aspetti piu retrogradi del processo di
valorizzazione capitalistica. Rendono possibili anche altre forme e modi di essere.
Un’ecologia politica della virtualita genererà nuove condizioni per la vita culturale e per la soggettività.
Un’ecologia generalizzata- ecosofia, per Guattari- non solo dovra creare nuovi rapporti con la natura e tra
gli esseri umani ma anche dar vita a una nuova etica che sfidi la valorizzazione tecnocapotalistica. Una
politica del mondo virtuale rivendicherebbe la processualita, la connettivita e la singolarizzazione.
Per Guattari il decontramento dell’economia come principio organizzativo della vita sociale è un
prerequisito per questa trasformazione.
Le dimensioni ecologiche, tecnoeconomiche, culturali e soggettive hanno bisogno di esser eincorporate
all’ecosofia.
Essa promuove nuovi territori esistenziali in cui la biosfera, la sociosfera e la tecnosfera si possono
articolare in maniera costruttiva. Questa visione fa eco all’appello di Haraway a ripensare le possibilita che
si offrono ai vari gruppi a partire dal crollo dei confini netti tra organico e macchina, che devono essere
attualizzate cercando di prendere il controllo sui rapporti sociale della scienza e della tecnologia.
In tutto il mondo si usano in maniera creativa reti di ogni tipo connesse alle nuove tecnologie.
Nella misura in cui piu gruppi sociali imparano a denaturalizzare alcune costruzioni identitarie date per
certe, saranno piu aperti a speriemntare nuove configuraizoni relazionali in connessione con reti
potenzianti.
Le possiblita generate dalle nuove tecnologie sono promettenti se pensate in concomitanza con la divesa
delle pratiche ecologiche, culturali e sociali del luogo. Gli studi culturali di scienza e tencologia offronto
una serie di concetti per esaminare le nuove realtà e possibilita. Per esempio, concetti ocme l’apparato di
produzione di corpi/nature, il cyborg come metafora di nuove forme di essere e di allenaze tra organico e
artificiale, la simulazione come modo di conoscenza principale nell’era della virtualità, l’interattivita e la
posizionalita come principi della conoscenza nell’era della tecnonatura e della virtualità.
Nelle scienze, il linguaggio della complessita come tentativo di realizzare una nuova comprensione del
mondo puo suggerire idee per liberare la natura, l’economia e il mondo dai vincoli dell’oggettivismo.
L’ecologia politica della tenconatura dovrebbe studiare le configurazioni bioculturali reali e quelle
potenziali legate alla tecnoscienza. Essa dovrebbe esaminare pratiche e discorsi della vita e il grado in cui
questi conducono a nature, pratiche culturali e rapporti sociali nuovi. Le etnografie della tecnonatura
devono anche esplorare le risorse materiali e culturali che si costituiscono localmente e che le comunita
emarginate sono capaci di mobilitare per il loro adattamento e la loro ibridazione nella produzione delle
proprie identita e strategie politiche.

La politica delle nature ibride


Nei dibattiti sul tema in latino ameitca, l’ibridazione è concettualizzata come processo, un mezzo verso le
alterita e l’affermazione culturale. L’ibridazione culturare implica processi di produizone identitaria in
ambienti transnazionali dove il locale conserva comunque una vitalita significativa.
Le nature ibride possono costituire un tentativo di incorporare costruzioni multiple della natura e
negoziare con forze translocali, conservando allo stesso tempo un minimo grado di autonomia e coesione
culturale. Tali forme d’ibridazione possono permettere a gruppi sociali di introdurre una certa
diversificazione nelle loro strategie di relazionarsi con i poteri dominanti.
L’ibridazione non si limita alle forme di articolazione tra natura organiza e tecnonatura, ma è possibile che
tra i diversi tipi di regime organico e gli attori sociali corrispondenti o tra la natura organica e capitalistica,
le nuove tecnologie e il cpaitalismo creano anch’essi le proprie forme di natura organica.
Queste forme organiche sono espressione solo dell’artificiale. Il concetto di ibridazione puo anche aiutare
a far luce sulle forme economiche che sono gia in gioco e che vengono create in contesti rurali o nella sela
tropicale, nonche sulle ridefinizioni del genere e dell’ambiente che poco a poco stanno emergendo dalle
forme di lotta e cooperazione promosse dalle donne. Tutto cio a dispetto del fatto che i discorsi dominanti
sui dirittti di proprieta intellettuale e i patrimoni genetici generano un nuovo tipo di saccheggio degli spazi
di vita di coloro che hanno vissuto ai mardini delle economie dominanti.
Secondo Vandana Shiva, le imprese multinazionali saccheggiano i contadini piu poveri per creare
conoscenze che tendano alle applicazioni del commercio della vita.
La concezione di ibridita differisce dalla teoria di Latour sulle reti di umani e non umani attraverso cui si
producono forme ibride di natura e cultura. Per Latour, i moderni e i premoderni sono simili perche
costruiscono comunita di nature e societa. Tutte le nature/culture si assomigliano in quanto costruiscono
allo stesso tempo umani, divinita e non umani. In tal modo, tutte le nature sono ibride. Latour sostiene che
la differenza tra le societa risiede nella dimensione delle reti che ognuna di esse costruisce. I moderni
sono diversi perche mobilitano piu efficaciemente la natura per la costruizione della cultura, dato che
usano le tecnologie che a loro voltta producono ibridi per ricostruire la societa.
Latour minimizza altri fattori importanti nella produzione di nature/culture: dai rapporti di potere tra le
diverse reti fino ai fondamenti su cui erigere societa ecologiche e giuste per mezzo di reti tecnologiche.
La visione di Latour è influenzata dalle reti moderne nelle quali egli stesso è immerso. Ciò gli impedisce di
pensare in altri modi la differenza in rapporto al luogo e alle pratiche locali.
Abbiamo bisogno di una visione piu politica dell’ibridazione. Nella discussione sulla costruzione di nuove
sfere pubbliche a partire dal carattere frammentario della societa attuale, Laclau riassume la politica
dell’anti-essenzialismo per le lolle sociali in modo da applicarla alle lotte sulla natura e alla costruzione di
nuove sfere pubbliche ecologiche.
La frammentazione attuale della conoscenza puo fornirci soltanto un’immagine distorta della realta
bioculturale e cio rende incontrollabile la soluzione alla crisi ambientale. Gli ordini culturali biologici e
storici richiedono strategie epistemologiche diverse e gli oggetti delle scienze sociali ed ecologiche non
devono essere combinati in maniera superficiale.
Devono essere articolati in un tipo di concezione ambientale innovativa.
Ingold per esempio suggerisce che l’analisi del rapporto tra biologia e antropologia richiede un
cambiamento di paradigma nella stessa biologia e una trasformazione significativa dell’antropologia.
E’ in gioco una sintesi bioculturale che puo essere approcciata da molte prospettive. Goodman,
Leatherman e Thomas sono i fautori di questo tentativo dalla prospettiva dell’economia politica che
consiste nel mutuare consideraiozni dall’economia politica per rielaborare concetti centrali
dell’antropologia biologica, come quello di adattamento.
Di recente, Palsson ha elaborato una tesi sulla scia dell’integrazione dell’ecologia umana e della teoria
sociale, basandosi su idee proprie del pragmatismo e della fenomenologia e allontanandosi dal pensiero
dualistico. In tal senso, il lavoro di Maturana e Varela puo essere reinterpretato da una prospettiva
bioculturale. In generale l’elaborazione di teorie bioculturali che tengano conto sia delle nuove tendenze
della biologia sia di quelle della teoria sociale sta cominciando adesso.
Enrique Leff propone di sviluppare una nuova articolazione delle scienze naturali e umane nel contetso
della creazione di nuove razionalita ambientali che interessino gli ambiti culturali, ecologici e
tecnoeconomici.
Cio implicherebbe una trasformazione di paradigma oltre a un riorientamento dello sviluppo
tecnoscientifico. L’articolazione di processi materiali, culturali e sociali terrebbe cosi in considerazione la
conoscenza scientifica del mondo, promuovendo l’elaborazione di nuovi oggetti di ricerca scientifica per
gli studi ecologici.
Gayles propone alcune considerazioni in direzione di un bioculturalismo. Bisogna cercare basi comuni tra
ambientalisti, scienziati e costruttivisti sociali che risultino soddisfacenti per ognuno dei tre gruppi.
Suggerisce che è necessario riconoscere che siamo sempre osservatori posizionati e che le nostre
osservaizoni sono sempre frutto di un’interazione continua con il mondo e con noi stessi. E’ solo dalla
prospettiva dell’interattivita e della posizionalita che possiamo cercare di dare consistenza alle speigazioni
scientifiche della realta. Tutto cio non risolve i problemi epistemologici posti dall’incontro tra scienza e
costruttivismo ma fornisce strumenti provvisori per superare l’impasse attuale.

Conclusione: la politica dell’ecologia politica


Un obiettivo importante dell’ecologia politica è capire le diverse forze che collegano cambiamento sociale,
ambiente e sviluppo e partecipare insieme a loro alle trasformazion iin atto.
La natura ha smesso di avere un significato in se per la maggior parte delle persone. Non è scontato che la
nascita della tecnonatura e della vita artificiale coincida con una preoccupazione planetaria per la sorte
della diversita biologica.
E’ necessario pensare alle trasformazioni politiche ed economiche che porteranno le intersezioni tra
organico e artificiale a un rivolgimento della storia della natura sociale.

L’INTRADUCIBILITA DEL MONDO


Una grammatica in frantumi
Ragionare sulal complessita del mondo moderno impone la centralita della traduzione. La questioen della
traduzione segna il fallimento della presunta universalita dei linguaggi che pensano di poter rendere il
mondo trasparente al propro volere.
Lydia H liu entra nel dibattito sull’articolazione plurilinguistica della Dichiarazione dei Diritti Umani del
1948. La figura centrale in questo racconto è il Vice presidente della Commissioen dei diritti umani delle
nazioni unite, Pneg-chun Chang.
La commissione composta da Chang, Habib Malik e Humphrey cercava di negoziare e elaborare un
documento di valore universale.
Chang suggerì a Humphrey di prendersi un congedo di sei mesi per studiare filosofia cinese. Era un modo
per suggerire che il peso occidentale nella formulazione del comuneto era troppo dominante. La ricerca di
un linguaggio con una vera universalita e non ristretta a quella metropolitana proposta dall’Occidente,
richiedeva una forma di negoziazione sia trans- che inter-culturale.
Il punto qui è che il lavoro nella produzione-traduzione di questo documento svelava non solo questioni di
differenze linguistiche, culturali ed epistemologiche, ma soprattutto questioni di potere. Un certa
semantica dominava le procedure.
L’organizzazione contemporanea della consapevolezza e della conoscenza serve in modo schiacciante per
stabilire un linguaggio ininterrotto di conformita. La possibilita di cambiamento strutturale è sempre piu
allontanata.
Qualunque cosa che disturbi lo status quo viene rapidamente etichettata come un’anomalia o devianza.
Vorrei suggerire se siamo disposti a pensare con la migrazione contemporanea o con la modernita che non
segue un ritmo unico e unidirezionale, possiamo ritrovarci ben oltre un insieme di eccezioni e emergenze.
Rifiutare di ridurre la migrazione o il razzismo a un oggetto di analisi che riconferm ail linguaggio del
senso comune, della stampa, significa insistere su un’interruzione che potrebbe lasciarci senza parole. Il
silenzio dei margini sorregge il mondo mentre eccede il linguaggio. In questo intervallo si trova la sfida
della traduzione. Con la morte annunciata dai titoli dei giornali credo che i limiti e le ipocrisie
dell’economia morale dell’Occidente vengano continuamente esposti. Il nemico viene identificato ed
esternalizzato. Questi sono i militi di una storia precisa, dei suoi linguaggi e delle sue strutture di potere.
Questo ci spinge a comprendere l’attuale movimento migratorio dai molteplici sud del pianeta, la coerenza
del razzismo e la configurazione di alcuni gruppi etnici, minoranze e culture come cittadini di seconda
classe o non ancora moderni, come condizione storica. Cio che tocchiamo qui sono gli stessi meccanismi
di conoscenza e potere che trasformano e traducono il mondo nello stato atttuale delle cose.

La modernita come egemonia


La democrazia ereditata dallo stato liberale è sempre piu smantellata e ridotta allo stato dell’oligarchia. Un
accentuato individualismo annulla sempre piu lo spazio sociale e le responsabilita pubbliche. Non esiste
una cosa come la società. Tutto è addomesticato e individualizzato come fattore della vita stessa. Le idee
legate all’equa distribuzione di risorse e opportunita sono state eliminate dal triondo ideologico delle
responsabilita che servono solo a confermare l’individuo. L’autonomia del se raggiunge ora il governo
pubblico: la polizia e la sicurezza diventano agenzie autonome.
I presupposti che circondano e sorreggono concetti cone individuo, cittadinanza, democrazia e liberta
sono loro stessi il prodotto di tali meccanismi.
Se la politica di spiegare e gestire il mondo moderno puo essere sostenuta solo attraverso il mantenimento
violento di rapporti di potere iniqui e la negazione di altre voci e storie, allora forse dovremmo chiederci
che cosa significhi questa universalita, con la sua democrazia e la sua modernita. Questo significa
confrontarsi seriamente con l’idea che la modernita stessa sia storicamente e culturalmente il modo
preciso in cui si è esercitata l’egemonia occidentale. Allo stesso tempo, questa modernita non puo essere
messa da parte o annullata. E’ la matrice in cui tutti ci muoviamo.
Il presente coloniale
E’ questa rete a sorreggere gli argomenti sul transito della traduzione odierna. Si inizia a registrare i limiti
di una formazione della conoscenza che funziona come se fosse l’unico paradigma globale, dove la sua
storia è la storia tout court. Si dissolve il ragionamento storico che assicura il pensiero e le pratiche
occidentali in una teologia del progresso insieme alla sua conquista lineare dello spazio-tempo.
Il passato coloniale, le conquiste, la schiavitu razzista e la divisione del mondo tra le potenze imperiali
risultato elementi costitutivi del presente. Questa situazione implica il cambiamento delle condizioni della
conoscenza.
Il mondo è piegato in diverse narrazioni che si rifiutano di essere bloccate in una contabilita uniforme del
tempo. E’ proprio in questo senso che la migrazione e il razzismo contemporanei aprono un archivio che
traduce e trasforma la modernita.
Qui il colonialismo, la migraizone, il razzismonon possono piu essere contenuti nelel categorie dei
fenomeni economici e sociologici. Diventano istanze di indagine epistemologica e ontologica che svelano
una struttura storia di violenza e sfidano le placide presunzioni sia della nostra conoscenza che delle
nostre vite quotidiane. Producono una mdoernita incorporata e immaginata da altri corpi e storie. Dal
cosiddetto mondo non occidentale che nell’essere mondializzato dall’Occidente risulta essere
strutturalmente e ontologicamente interno e centrale allo stesso occidente.
L’aborigeno espropriato, l’afroamericano reso schiamo, il lavoratore a contratto asiatico, sono altrettanto
moderni dell’operaio di fabbrica, del burocrate ecc.
Estendere la mappa della nazione moderna per includere gli spazi coloniali sui quali ha esercitato la sua
autorita militare, politica e economica, significa cambiare la nostra comprensione di cio che costituisce la
sua politica, richhezza e cultura. Significa tracciare la sua produzione e le sue pratiche su una mappa
molto diversa in cui la periferia coloniale risulta essere parte integrante della costruzione della vita e della
cultura metropolitana. I genocidi, i massacri e la violenza dell’appropriazione coloniale vengono ora
registrati nella creazione del moderno stato-nazione europeo.

L’archivio in rovina
Anche se gli stati europei cercassero di stabilire la propria autorita nella singolarita della nazione, la loro
rivalita rimane coloniale nello scontro continuo per il bottino del pianeta. Decolonizzare questa eredita
non significa prestare attenzione alla cosiddetta periferia coloniale di ieri.
I politici occidentali moderni credono di poter uccidere altre perosne reali in posti lontani senza che la
stessa cosa accada a noi e senza alcuna sofferenza fisica o morale da parte nostra. E’ in quetso senso che
l’urgenza di una prospettiva postcoloniale non è solo quella di salvare storie dimenticate e vite negate, per
poi aggiungerle alla narrazione storiografica precedente. Le altre voci e visioni che arrivano dai cosiddetti
margini della modernita promuovono una netta sfida epistemologica.
L’esercizio della neutralita scientifica e della distanza critica si disgrega in uno spazio planetario in cui il
potere espone una provenienza geopolita, una serie di programmi culturali, una volonta storica.
E’ attarverso questa complessita eterogenea che l’egemonia è riprodotta.Il suo modo dinarrare anche
quanto puo essere liberale e multiculturale, tende a escludere strutturalmente qualsiasi cosa che cerchi di
sfidare il modo di riconoscere se stesso mentre registra gli altri.Pensa di essere una macchina di
traduzione che funziona solamente in una direzione. Questo è cio che l’antropologo periviano Anibal
Quijano chiama la colonialita del potere che diviene conoscenza. Gli elementi storicamente ereditati
possono essere ri assemblati oslo in una configurazione in cui i vecchi bianri del sud e del nord si
allontanao per essere sostiutit da un insieme di relazioni piu eterogenee e sobrapposte.
L’eredita coloniale non puo essere cancellata. Si tratta dell’emergente assemblaggio di cio che è stato
subordinato o escluso dall’inquadramento e dalle spiegazioni della modenrita attuale. Cio implica
imepgnarsi in spazi e pratiche che propongono altri ritmi e ragioni. Loro esistono e persistono all’interno
di quella stessa modernita come una ferita; è quello che l’altropologo Tarek Elhaik definisce l’immagine
incurabile

Oltre i confini
Riconoscere l’irriducibilita del mondo ad un singolo quadro o ad una spiegazione unica promuove la
centralita della questione della traduzione. Nonostante la sua presa globale, il dispositivo occidentale si
rivela topos regionale e provinciale. Questa prospettiva non si limita ad essere parte di una critica
dell’egemonia occidentale. Puo anche essere tracciata nella stessa lingua della produzione della
conoscenza e della cultura accademica associata.
Queste pratiche accademiche spesso continaumo con modalita argomentative disciplinate dalla
sequenzialita razionale del linguagggio, sorreggendo illusioni conclusive della trasparenza. Qui il sapere
scientifico è spesso sinonimo di liberalismo accademico. La cultura scientifica è ambigua se si considera in
termini di egemonia politica e culturale. Tuttavia, registrare e lavorare su qeusti limiti nel linguaggio
critico impiegato significa violare una struttura di senso che è così approvata nelle pratiche che
sostengono e riproducono questa logica limitata come la misura unica della verita. In un altro contesto-
quello del mondo musulmano contemporaneo- l’asservimento a questa logica è stata identificata come
‘schiavitù intellettuale’.
Contestare questa situazione significa considerare la ridistribuzione delle risorse e della conoscenza in
una maniera che supera la loro riproduzione dell’assetto attuale.
Passare ad altre lingue per la comprensione critica implica anche seminare dei dubbi sulel procedure e le
premesse di quei resoconti disciplinari della modernita che promettevano, attraverso il positivismo e lo
storicismo, di render eil mondo riducibile alla nostra volonta.
Tale positivismo promuove la passivita politica e una critica che sostiene lo status quo. Non è un caso che
oggi la neutralita delle scienze sociali si ricongiunga alle pretese universali di neoliberalismo unilaterale e
della sua particolare pedagogia pubblica. Entrambi credono che il mondo possa essere controllato e
indagato per produrre una conoscneza traducibile negli algoritmi dell’informazione.
L’educazione come bene pubblico è sostituita dall’apprendimento come investimento in capitale cognitivo.
Insistere su un interrogativo critico verso questa situazione vuol dire diffondere disturbi e disordini. In
questo scenario la conoscenza critica dienta un problema, persino un attivita sovversiva.
Tutto cio porta a considerare come la cultura istituzionale, la sua produzione e custoria della conoscenza,
non sia l’unico modo di comprendere criticamente il mondo contemporaneo. Ci sono altre lingue che
sondano lo stesso spazio e ne producono altre. Quando il linguaggio opera nel buio, rifiuta di
razionalizzarsi e insiste sul significato prodotto dal suo passaggio ed è allora che viene a prodursi un varco.
Nel registrare la sovra-determinazione dei protocolli intellettuali e il loro disciplinare e autorizzare cio che
è considerato legittimo e cio che non lo è,l’intreccio di coscienza e potere si traducono in un altro spazio.
Rispondere alle crepe nella macchina scientifica signifca rendersi conto di come le categorie sedimentate
nella sua costituzione e le premesse disciplinari della sua sociologia e storia spesso rimangano fuori dalla
conversazione critica. Questi intrecci partecipano direttamente all’idea che il resto del mondo possa
venire alla luce solo attraverso le categorie occidentali.
L’intenzione qui non è certo quella di cancellare questa eredita complessa, ma di ridistribuirla in uno
spazio critico piu ampio che eccede e sfida la sua presunta autorita. Per coloro che in Africa, Asia e Medio
Oriente si confrontano con la macchina accademica occidentale, i suoi limiti linguistici e culturali seganno
profondamente la sordita epistemologica dell’orecchio europeo.
Restiamo a lavorare all’intenro questa tradizione ma questo significa attraversarla, traducendo campi e
competenze ereditati in pratiche piu problematiche; significa insistere su processi inconcludenti piuttosto
che su verita epistemologiche e istituzionali. Ci sono altri mod idi scrivere e narrare, altre conoscenze, che
sfuggono ai linguaggi e bramano la certezza. Tenendo cio a mente possiamo comprendere meglio la
distinzione tra emancipazione e liberta. La liberta si ottiene anche sfuggendo ai termini proposti dai poteri
dell’emancipatore. Nessuno sta davvero aspettando d essere emancipato, tutti cercano di essere liberi. Per
sottolineare questo punto, si tratta di cercare di capire le conseguenze politiche e storiche della
configurazione del mondo che il migrante mette in atto e espone per vivere e sopravvivere.
Ci confrontiamo con l’archivio coloniale che ha reso la migrazione e la guerra centrali alla modernita.
A questo punto il colonialismo risulta irriducibile a un’istanta cronologica o a un fenomeno storico
distaccato dal presente. Il colonialismo continua a promuovere i processi che sostengono il momento
attuale. Mentre l’impresa intellettuale subisce pressioni dal mandato neoliberale che ci chiede di renderci
trasparenti al mercato, anche il suo particolare debito nei confrotni delle questioni oscure di un
particolare ordine di potere capitalistico e conoscenza coloniale è sempre piu difficile da confutare.
La crisi dell’universita è oggi intrappolata tra la ricerca dell’autonomia del lavoro critico e l’essere ridotto a
certificare competenze strumentali che rispecchiamo i linguaggi e le logiche egemoniche dell’economia
politica del presente.

Lingue scatenate
Partendo dalla critica della macchina della conoscenza occidentale, suggerisco di considerare la potenziale
intrusione e interruzione introdotte dalla musica e dalle arti visive nell’aiutarci a liberare il linguaggio e le
conoscenze esistenti dalla loro struttura attuale. Queste pratiche producono tagli nel tttempo dove la
linearita istituzionale e il ragioanmento consequenziale non riescono a concludersi. Anche queste pratiche
possono essere assorbine nei circuiti del capitale e della politica neoliberista.
Eppure qualcosa sopravvive anhe all’interno di questi scambi punitivi. Tali pratiche creative insistono
sull’esistenza di altre narrazioni, altre lingue che coesistono tra le pieghe di una logica cosi imperiosa.
Questi linguaggi d’arte rielaborano il bagaglio dell’estetica europea del bello per una configurazione dei
sensi piu turbolenta.
Questa discussione ha a che fare con il potere e con la politica dell’immagine. Qui le pratiche di
rappresentazione ci forniscono un’occasione di riflessione. Si è verificato uno spostamento storico
nell’arte e nell’estetica moderna del testo e oggetto d’arte singolare, dove l’interpretazione si basa sulla
linearita di una narrazione sia nell’esecuzione che nella spiegazione al colalge, sia visivo che acustico.
Nel secondo caso, il senso è sospeso e sostenuto nell’istanza affettiva del montaggio del mix.
La verita è l’ nell’immagine che supera sia il punto di vista individuale sia la storia che pensa di spiegare e
regolare.
Registare la musicalita della narrativa e della memoria significa toccare la complessita di un insieme
stratificato di linguaggi e di estetica in contrasto con la chiarezza di un’immagine o di un’espressione ben
definita. Un simile stile di memoria è politico.
Le avanguardie artistiche europee nel rispondere alla riproduzione tecnologica, alla mobilita e alla
mutazione dell’immagine nella fotografia e nel cinema, avevano spesso attinto alla periferia coloniale per i
propri espriemnti nei loro linguaggi.
Le lingue della metropolo non solo sono state ripetute, rielaborate e rinnoate negli spazi coloniali di ieri:
america latina, caraibi, africa sub-sahariana, australia aborigena. Ma hanno anche sempre incontrato
contro-proposte e tradizioni locali che hanno tradotto delle tracce interne e esterne in nuovi spazi.Questo
significa riconoscere un cambiamento nell’apparato interpretativo. La storia stessa viene esposta a un altro
modo di raccontare.
Qui contro la portata universale e atratta del pensiero, il corpo irrompe nel quadro. Contrassegnato dalle
articolazioni di luoghi, genere e razza, etnia e sessualita, questo è un corpo che rifiuta di rimanere fermo e
di essere cofinato in una fascia assegnata dal regime politico e culturale esistente.
L’apparato occidentale che ha stabilito tali categorie attraverso i protocolli disciplinari di etnografia,
antropologia, sociologia e scienze poltiiche non è in grado di contenerlo nella gabbia sterile della
scientifictia. Tale logica è ‘queered’, resa estranea a se stessa. Il famoso rifiuto di Frantz Fanon di negare la
sua umanita in questa oggettivita (‘guardate, un negno!’) ci trascina verso il nucleo violento di una cultura
in cui la subordinazione attarverso il patriarcato, la razza, il razzismo, emerge come aprte essenziale della
metodologia che mantiene l’attuale ordine gerarchico del mondo. Dietro la maschera dell’universalismo
tale cultura continua a rifiutare di considerare le premesse territoriali e storiche che autorizzano la sua
voce e conoscenza.

La voce interrotta
Ai margini di questo spazio critico inizia un viaggio verso la decolonizzazione delle metodologie e lo
smontamento delle autorita disciplinari. Interrogare la reale costituzione di cio che passa per conoscenza
come minimo richiede d’interrogare la sintassi della comprensione esistente. Tale lessico concettuale è
costretto a rapportarrsi a un modno composto anche da altri ritmi e dai tempi di altre tradizioni e
traduzioni.
L’algebra del potere che produce la consocenza e la sotria universale accreditate, mentre discretano altri
mod idi sapere come locali e indigeni, sono i poteri che formano e disciplinano il mondo in modo che le
sue coordinate mentali e materiali diventino tutt’uno. Se siamo disposti a riconoscere che ci sono altri
modi di abitare queste categorie e queste pratiche, allora dobbiamo anche riconoscere che l’attuale
economia della conoscenza poggia su una disposizine di poteri precisi e precari.
Se quelle pratiche e istituzioni sono state foriere di pensiero critico, oggi tale possibilita viene sempre piu
chiusa in nome dell’efficacia dei costi, della resa univoca della rendicontazione, della valutazio9ne del
mercato e del prodotto culturale.
Qui l’unica critica presa in consideraizone è quella che non critica; l’unica obiezione è quella consensuale,
l’unica alternativa è l’approvazione.
Questo scenario scuro dei poteri del capitalismo, suggerisce una mossa critica che potrebbe salvare
l’archivio occidentale e la sua formazione culturale da quel destino. Contro una comprensione lineare
dell’accumulazione del capitale culturale con cui l’occidente cerca di mantenere il proprio potere, altre
forme di sapere non possono più essere subordinate o colonizzate. Nel riconoscere la loro presenza
storica rifiutata all’intenro della costruzione della modernita arriviamo a considerare delle ricondifurazioni
che propongono un’altra costelalzione critica.
L’autorita del linguaggio egemonico si trova davanti alla sfida della traduzione e alla perdita necessaria per
rinegoziare il suo percorso in un modno che non rispecchia solo se stesso. Tale linguaggio deve semrpe
rielaborarsi alla luce di cui che supera la sua portata.
Nella calligrafia del pensiero e delle pratiche critiche associate. la scrittura non è mai solo il mezzo di una
comunicazione razionale e trasparente. Lo stesso gesto di registrare il tempo e lo spazio demarca un
confine che è parte integrante dell’atto di articolazione.
Nella materialita ereditata del mondo rimane semrpe un’apertura su un futuro che deve ancora venire. Da
qui emerge la richiesta di smontare l’impalcatura epistemologica che abbiamo ereditato e tradurla altrove.

SUI CONFINI DELLA TRADUZIONE. MODERNITA’, POLITICA, POLITICIZZAZIONE.


Lo studio delle condizioni della traduzione ha portato a enfatizzare la questione del potere e delle
profonde asimmetrie tra le lingue, nonchè tra i gruppi sociali e culturali. La politica della traduzione è cosi
emersa come tema fondamentale mentre il concetto stesso di traduzione è stato politicizzato e usato
come strumento teorico nelle discussioni su nazione, cittadinanza, multiculturalismo e globalizzazione.
La traduzione puo essere produttiva o distruttiva, puo istituire cancellare o ridisegnare confini; è un
processo politico che crea rapporti sociali e stabilsice nuove modalita di discriminazione.
La traduzione è al tempo stesso un dispositivo di dominio e liberazione, di apertura all’altro e di
appropriazione. La traduzione produce sia ponti sia muri.

Traduzione oltre la comunicazione


Spesso la traduzione è stata compresa all’interno di un quadro implicito rappresentato dal modello della
comunicazione. Allo stesso modo l’azione della traduzione è rappresentata secondo uno schema,
all’interno del quale un messaggio è trasferito da una lingua all’altra.
La traduzione è distinta dalla comunicazione verbale in generale proprio perche questo medium viene a
mancare. Si presuppone che la traduzione avvenga laddove non vi sia una comprensione immediata.
Fin dall’inizio, ogni volta che una traduzione ha luogo, il confine tra una lingua e l’altra viene presentato
come lacuna o distanza che separa un gruppo di persone da un altro e differenzia una lingua da un altra.
Chiamiamo questa rappresentazione della traduzione il regime moderno della traduzione. La traduzione
non puo essere solo considerata come un atto per colmare un gap o superare una distanza tra due lingue.
Ne puo essere solo un’operazione di diplomazia e conciliazione tra politiche nazionali, gruppi etnici,
comunita religiose o ordini politici distinti e discreti. Analogamente alle manovre di occupazione in guerra,
la traduzione deterritorializza e riterritorializza tanto le lingue quanto i siti di mancata comunicazione.

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