Você está na página 1de 26

RIASSUNTO PLATONE VERITÀ’ E RAGIONE UMANA

VITA
Platone nacque nel 428-427 ad Atene da una famiglia di origine aristocratica, tentò di dare
vita a un nuovo regime politico a Siracusa nel corso di tre spedizioni che avvennero nel 388,
367/366 e nel 361. Nel 387 fondò ad Atene la sua accademia. Morì nel 348/347 .

Intendeva la filosofia come ricerca di un sapere che non fosse fine a sé stesso ma che
avesse di mira la conoscenza dei principi su cui costruire la vita etica e politica. La
filosofia per Platone deve infatti garantire la felicità intesa come vita buona ed esercizio
della virtù. La fiducia che aveva nel governo dei trenta tiranni che salì al potere nel 404
decadde subito tanto da fargli rimpiangere il precedente governo democratico ma la
rinnovata democrazia mise a morte l’uomo che Platone definiva più giusto di tutti, Socrate
e da lì Platone comprese chiaramente che la società era dominata dall’ignoranza e che
doveva essere guidata alla conoscenza del bene e del giusto.

La filosofia di Platone si pone come una filosofia pratica che ha di mira il conseguimento
del bene per il singolo e per la comunità. La ricerca dei valori universali doveva scontrarsi
con una cultura tradizionale che faceva derivare i principi dagli dei e che li accoglieva a
livello formale e con la sofistica che aveva diffuso l’idea che i valori non esistono ma che
dipendono dalle opinioni dei singoli. (secondo cap)

LA CRITICA ALLA CULTURA TRADIZIONALE


Platone nell’Apologia di Socrate ritrae il filosofo intento a difendersi dalle accuse che gli
erano state mosse e mette così in luce scontro tra il pensiero innovativo di Socrate e quello
della cultura tradizionale. Socrate aveva più volte interrogato i presunti sapienti del tempo e
aveva mostrato come tutti fossero ignoranti ma fossero convinti di sapere. Poeti, sacerdoti,
politici si mostravano legati a una cultura di derivazione epico omerica fondata sui valori
della lotta agonistica, del primeggiare sugli altri, del punire i nemici e onorare gli amici.
Socrate mostrò come essi fossero lontani dal sapere cos’è il bene e per questo criticò a
fondo una cultura che si reggeva su valori formali e che non venivano mai interrogati.

Nell’Eutifrone l’omonimo personaggio si reca in tribunale per denunciare il padre reo di aver
causato la morte per stenti di un suo colono che aveva ucciso uno schiavo. L’atto
apparentemente giusto di Eutifrone che sembra perseguire ciò che è giusto in generale
senza farsi distrarre dalla relazione padre figlio viene smascherato dall’interrogazione
socratica e diviene emblematico dell’etica tradizionale; Eutifrone dice infatti che il solo
contatto con una persona impura lo rende a sua volta impuro e cerca così di purificarsi e
purificare il padre. Dietro l’azione di Eutifrone non c’è la riflessione su ciò che è bene e ciò
che è male ma solo l’adesione a una vuota morale che si regge su un fatto esterno, il puro
contatto con ciò che è impuro e non ricorre a un profondo esame interno.

Personaggio simile è Cefalo, un anziano aristocratico che compare nella Repubblica dove
dice di aver trovato pace nella liberazione dai piaceri fisici e sostiene di essersi sempre
comportato bene grazie al denaro e di non aver mai contratto debiti o sperperato il
patrimonio per soddisfare bassi piaceri. Anche qui la giusta condotta si fonda su fatti esterni
come la ricchezza e non su una precisa disposizione interna come quella di Socrate che fu
povero ma giusto.
Socrate interrogando Eutifrone nota come questo riconduca il sacro a ciò che piace agli dei
e difende la sua azione dicendo che anche Zeus incatenò il padre Crono. L’indagine sulla
natura degli dèi compare anche nella Repubblica dove le figure di Glaucone e Adimanto
ritengono che chi è ricco o che conosce la magia riesce più facilmente a procurarsi il favore
degli dei. Emerge una concezione degli dei sbagliata dove essi hanno le stesse
caratteristiche degli uomini e non sono garanti del bene e della giustizia. Socrate critica una
morale che considera vuota e formalistica invitando i suoi interlocutori a una profonda
riflessione sulla natura umana, sul bene e sul giusto.

La critica di Socrate si rivolge anche alla poesia epico-omerica che era la fonte
dell’educazione del tempo; i poeti erano infatti considerati i depositari della cultura e sui testi
poetici si imparavano l’etica, la politica e la religione. Secondo Socrate i poeti narrano sì
cose belle ma lo fanno per un’ispirazione divina o capacità innata non in virtù di una reale
conoscenza ed è per questo inaccettabile che si pongano come gli educatori della società.
Per Socrate solo i filosofi possono educare in quanto solo essi hanno conoscenza del bene
a differenza dei poeti che ritraggono uomini in preda ai più bassi desideri, eccessivi nei
comportamenti, impauriti dalla morte svolgendo un’attività fortemente diseducativa. Tale
tema figura nello Ione in cui Socrate discute con un rapsodo e nel terzo libro della
Repubblica.

Socrate non risparmia i politici dalla sua critica e ciò si vede nel Protagora, nel Gorgia e
nel Menone dove Socrate mostra che la virtù non è insegnabile e che anche personaggi
come Pericle,Milziade,Temistocle non riuscirono a farlo. Questo non perché la virtù non sia
davvero insegnabile ma perché si può insegnare solo ciò che si conosce davvero e i politici
ateniesi agirono al massimo sulla base di una retta opinione e non su una reale conoscenza.
I politici inoltre diedero agli ateniesi ciò che questi ultimi volevano senza perseguire il bene in
sé e mostrarono di non saper insegnare la virtù perché ignoranti di cosa fosse davvero.

Il difetto degli esponenti della cultura tradizionale è l’ignoranza e ciò emerge anche nel
Lachete in cui due genitori vogliono trasmettere la virtù ai loro figli ma non essendo in grado
chiedono a Nicia e Lachete se sia opportuno o meno mandarli da un maestro di arti marziali
che insegni loro l’arte del combattimento. Socrate compare come arbitro e sottolinea che
solo chi è virtuoso e sa cos’è la virtù può dispensare consigli su come debba essere
insegnata. A tal proposito procede a interrogarli e chiede loro cos’è il coraggio. Lachete
fallendo sostiene che il coraggio è la capacità di un soldato di stare al proprio posto ma lui
stesso insieme a Socrate fuggì nella battaglia del Delio quando la situazione era disperata.
Dice poi che il coraggio è una forza d’animo ma ciò non basta se non è accompagnato dalla
conoscenza; come precisa Nicia il coraggio è la conoscenza di ciò che è giusto temere e
osare. La virtù è, più in generale ,la conoscenza di ciò che è bene. Socrate dimostra così di
essere stato giusto sia quando è scappato sul Delio sia quando è rimasto al proprio posto di
fronte alla condanna proprio perché la sua azione si fonda sulla conoscenza. La filosofia si
pone come essenziale per la vita pratica perché permette di fondare l’agire sulla
conoscenza del bene e non sull’adesione alla tradizione.

PLATONE E LA SOFISTICA
Platone definisce il chiaro legame tra sofistica e cultura tradizionale nel Menone
mettendo così in luce perché la figura di Socrate fu tanto odiata dagli esponenti della cultura
del tempo. In questo dialogo il tema è l’insegnabilità della virtù ma Socrate nota che prima
di occuparsi di ciò bisogna dire cos’è la virtù; Menone, giovane aristocratico, risponde
dicendo che la virtù è la capacità di occuparsi degli affari dello stato punendo i nemici e
agendo a favore degli amici. L’ideale è quello dell’aristocratico abile ad avere successo nella
vita politica, capace di farsi rispettare e stimare e attento alla gestione del proprio
matrimonio. Per tale concezione della virtù Socrate dice che i migliori maestri sono i sofisti
che non hanno idea di ciò che sia male e di ciò che sia bene quindi non possono corrompere
i giovani ma si limitano a insegnare quel tipo di virtù che era in voga nella Grecia del quinto
secolo.

Anito esponente della cultura tradizionale sostiene che solo i pochi virtuosi, uomini per bene
possono insegnare la virtù e si imbestialisce del fatto che i sofisti si rendano disponibili a
insegnarla a tutti. Sofisti e aristocratici non fanno altro che aderire allo stesso complesso
di valori che accettano senza interrogarsi su cosa è bene e su cosa è male. La retorica era
la disciplina più in voga nell’Atene del quinto secolo in quanto permetteva di avere successo
in politica ed era insegnata tanto dai retori di formazione tradizionale quanto dai sofisti. Nel
Gorgia, Socrate interroga il celebre sofista sulla natura della retorica; Gorgia prima di
iniziare avverte che non è colpa sua se i discepoli ne fanno un cattivo uso ma Socrate ritiene
che in essa ci siano già i presupposti perché chi apprende l’arte della retorica la usi nel
modo sbagliato. Dopo varie definizioni generali Gorgia spiega che la retorica è l’arte della
persuasione e rende capaci di persuadere un vasto pubblico su un qualsiasi argomento (non
si può rivolgere una cerchia di esperti perché non avrebbe successo). Gorgia precisa anche
che retore sa cos’è il giusto e mira a persuadere su ciò che è giusto e ciò che è giusto ma
se così è non si capisce come il giovane discepolo possa fare un cattivo uso della retorica e
perché essa debba persuadere sul giusto; la risposta è che la retorica sviluppa solo certe
tecniche persuasive senza conoscere il bene e il giusto e quindi è inadatta a insegnare.
Callicle ribatte dicendo che non è compito del retore insegnare la giustizia a chi non la
conosce e così chiede a Socrate cosa sia la retorica, questi risponde dicendo che è una
pratica, non una scienza o un sapere tecnico e che non ricerca il vero bene ma solo l’utile.
La retorica è come un cuoco che da cibi dolci ai bambini esaudendo le loro richieste senza
preoccuparsi di fare il bene per loro cosa che invece fa il filosofo-medico che cerca il vero
bene e dà ai bambini ciò che li può far star bene. Il retore così come il politico dà al popolo
ciò che chiede, il filosofo invece cerca il vero bene e su di esso fonda la vita etica-politica. I
politici ateniesi non facevano altro che fare uso della persuasione e agivano sulla base dei
valori omerici quali il prevale sugli altri imponendosi con la forza, ideali di giustizia che
emergono chiaramente da Callicle e da Trasimaco.

IL PROTAGORA
In questo dialogo l’omonimo personaggio dice di insegnare la virtù. Socrate parte
dall’opinione comunemente diffusa che le scienze tecniche e la politica siano cose diverse
perché le prime sono a conosciute da pochi tecnici e le seconde da tutti. Protagora dice
infatti che Zeus ha dato ad alcuni le conoscenze tecniche così che ne procurassero un
comune beneficio mentre ha dato a tutti sotto forma di pudore e giustizia l’ arte politica. Per
Protagora la virtù è insegnabile ma decisiva a la predisposizione di ognuno ad
apprenderla, inoltre la virtù viene insegnata dalla società e prova è che gli ingiusti vengono
puniti mentre i giusti vengono lodati. Socrate cerca di far ammettere a Protagora che la virtù
è una sola ma il sofista cerca di escludere il coraggio; obiettivo di Socrate è che
dimostrando che la virtù è una, allora è scienza.
Socrate dice poi che il bene e il piacevole coincidono e che ognuno deve cercare il proprio
bene sulla base della conoscenza che ha. Al termine del dialogo Protagora dice che la virtù
è insegnabile ma non è una scienza. La virtù in Protagora deriva in parte dagli dei e in parte
dalla società, viene appresa a seconda delle capacità di ognuno e la virtù che si propone di
insegnare non è altro che la virtù politica che si accorda alla cultura tradizionale ateniese.
Per Socrate la virtù è una ed è la conoscenza di ciò che bene e di ciò che è male e proprio
per questo può essere insegnata.

Nel Carmide, Socrate chiede che cos’è la saggezza e Crizia rifacendosi al motto delfico che
interpreta come sii saggio dice che la saggezza è scienza di sé stessi, Socrate dice allora
che la saggezza è scienza di sé stessa e presuppone una autoreferenzialità che Crizia
accetta. La differenza tra i due personaggi è che Crizia è legato a una saggezza formale
tipica della cultura del tempo mentre Socrate è convinto che la saggezza è tale solo se è
accompagnata dalla ricerca del bene; l’uomo saggio è colui che conoscendo il bene agisce
bene ed è felice.

Il rapporto di Platone con la sofistica non è solo negativo perché Platone riconosce ai sofisti
l’importanza di aver inaugurato un nuovo metodo fatto di domande e risposte brevi e di un
uso del logos spregiudicato e pronto a dare vita a opinioni innovative. L’errore dei sofisti è
quello di usare tale metodo non per una ricerca della verità ma per giochi dialettici, per
persuadere di qualcosa o banalmente per creare paradossi logici.

IL TEETETO
Il Teeteto è un dialogo dialettico scritto nella maturità. Su invito dell’amico Terpsione Euclide
di Megara racconta il dialogo avvenuto tra Socrate, Teeteto e Teodoro; Euclide ci informa di
aver preso appunti e che essi sono stati sistematicamente revisionati da Socrate. Socrate
chiede che cos’è la conoscenza e Teeteto risponde che è sensazione. Socrate dice che se
le cose stanno così, ha ragione Protagora a dire che l’uomo è misura di tutte le cose in
quanto poiché le cose appaiono in modo diverso, i vari soggetti ne hanno sensazioni diverse
e così vi è l’impossibilità di determinare una verità che si elevi sull’opinione che è per natura
soggettiva. Questo relativismo gnoseologico si basa, a detta di Platone, sul mobilismo
eracliteo secondo cui la realtà è soggetta a un continuo mutamento. L’assenza di verità era
funzionale alla retorica in quanto, non essendoci verità, si apriva lo spazio della persuasione.
Socrate ribatte a Protagora dicendo che uomini e animali hanno lo stesso grado di
conoscenza ma Protagora replica di non aver problemi a dire che il criterio di verità di ogni
opinione è lo stesso. La partita tra i due filosofi però si gioca sul terreno dell’etica; per
Protagora il sapere è staccato dal bene e dal male che sono oggetto di persuasione mentre
per Socrate il bene è oggetto di una conoscenza tecnico scientifica che va al di là della
semplice opinione. Protagora è convinto che l’etica si sia sedimentata nei costumi della
società e sostiene che il retore debba persuadere che le cose che i malvagi vedono come
cattive siano in realtà buone così da far agire correttamente il maggior numero di persone.
Socrate rifiuta questa visione e sostiene che la vita etico-politico si fonda sulla vera
conoscenza di ciò che è bene.

Socrate tenta di rovesciare il relativismo sostenendo che se tutte le opinioni sono vere è
vera anche l’opinione contraria ossia che non è vero che tutte le opinioni sono vere; tale
argomento viene schivato da Protagora che precisa che le opinioni sono vere per soggetti
che le sostengono. Più precisamente per Protagora ciò che appare vero a ciascuno e anche
di per sé vero in quanto la verità è che tutto è opinione e non c’è altro al di fuori delle singole
opinioni che appunto sono tutte vere. Platone nota che nella vita quotidiana ci dirigiamo da
chi ha un certo sapere tecnico e che non riteniamo che sia tutto opinabile e relativo.
Protagora per evitare esiti paradossali fa una precisazione; la vita pratica si regola sul
criterio dell’utile che è comunemente accettato e privo di legami con il vero e il falso. Platone
dimostra invece che l’utile è sempre connesso al vero e al falso in quanto si cerca il vero
utile e inoltre i legislatori di una città cercano ciò che è veramente utile per la loro città. Se
tutto fosse relativo come sostiene Protagora non ci potrebbe essere alcuna progettualità da
un punto di vista teorico e pratico e per esempio i legislatori di una città presuppongono che
ci sia qualcosa di stabile,fisso su cui poter costruire la vita etico politica. Platone costruisce
la sua teoria proprio a partire dalla confutazione del relativismo protagoreo.

RELATIVITÀ’ DELLA CONOSCENZA E TEORIA DEL FLUSSO


Poiché le interrogazioni socratiche davano sempre esiti aporetici, in Platone si pone la
necessità di superare tali difficoltà per giungere a dei presupposti su cui fondare l’etica.
Socrate non si era mai occupato di capire la natura degli oggetti indagati e proprio per
questo non era mai riuscito ad uscire dalla pura indagine, Platone, invece, riflette
sull’oggetto della conoscenza e lo fa a partire dalla concezione eraclitea. Secondo gli
eraclitei la realtà è un flusso in continuo divenire e su tale presupposto ontologico si è
costruito il relativismo protagoreo secondo cui la conoscenza è sensazione ed è impossibile
costruire discorsi veri perché la verità coincide con l’opinione. Platone ritiene assurda tale
conclusione e la critica a partire dal presupposto ontologico su cui si fonda.

Nel Cratilo vi è una discussione sull’origine dei nomi che per Cratilo sono naturali e per
Ermogene convenzionali; per Platone il problema non si pone in quanto il linguaggio deriva
da una conoscenza pre linguistica. Prima di arrivare a tale esito Platone, rispetto al
fondamento ontologico dell’oggetto di conoscenza, riprende la tesi del convenzionalismo di
Ermogene e mostra che essa può convivere con la teoria del flusso di origine eraclitea: se
infatti la realtà è in continuo mutamento vi deve essere qualcosa che gode di una relativa
stabilità che permette di conoscere e quel qualcosa sono i nomi; la loro origine
convenzionale ha infatti permesso agli uomini di nominare allo stesso modo gli elementi
vari.

Nel processo di conoscenza entrano in gioco due fattori, la realtà diveniente e i nomi che la
esprimono e comprendono e che godono di una relativa stabilità. Platone condivide con gli
eraclitei l’idea che la realtà sia in continuo mutamento e che si debba trovare qualcosa di
stabile su cui si possa costruire la conoscenza ma a differenza di essi ritiene che
l’elemento fisso su cui si possa costruire la conoscenza non siano i nomi. Questo perché il
linguaggio è successivo all’atto conoscitivo con cui l’uomo determina l’esistenza di elementi
invarianti che riesce a fissare proprio attraverso il linguaggio. Vi deve essere infatti una
conoscenza precedente i nomi perché i nomi sono intervenuti per fissare le conoscenze che
l’uomo aveva determinato. Fondamento della conoscenza è quindi qualcosa di fisso e
immutabile e sembra aprirsi qui la necessità di riprendere l’essere parmenideo ma
volutamente Platone rinvia questa operazione.

Platone spiega allora nel Teeteto come avviene la conoscenza: vi è dapprima la


sensazione che permette di conoscere gli enti sensibili ma la conoscenza dell’uomo non si
limita a ciò in quanto è possibile conoscere anche oggetti universali come il bene, il bello e vi
è la possibilità di determinare la loro somiglianza, diversità ecc. Vi è quindi una conoscenza
dei sensi che ha per oggetto gli enti sensibili e una conoscenza intellettiva, del pensiero che
ha come oggetto gli universali; tale conoscenza è organizzata dall’anima. Platone precisa
poi che la conoscenza si pone come conoscenza degli universali come l’utile e su di essi
fonda i presupposti della vita etico politica. Gli universali inoltre vengono determinati a partire
dall’esperienza, la conoscenza del bene deriva dalla riflessione sulle cose buone di cui
l’uomo ha esperienza.

LE IDEE
Platone giunge a supporre l’esistenza delle idee dalla riflessione sul divenire e sulla natura
dell’oggetto di conoscenza ma lo fa anche a partire dall’interrogazione diretta di tipo
socratico. Socrate ricercava gli universali chiedendo cosa fossero il bene, il bello,la giustizia
ecc. La ricerca di una qualità x deve cogliere l’essenza di x e deve comprendere tutti i casi
in cui compare x. La ricerca connette così universale e particolare, unità e molteplicità e ha
come oggetto qualcosa che al tempo stesso è universale,è identico a sé stesso ed è
un’idea. L'idea è universale è identica a sè stessa e non ammette variazioni nè sul piano
sincronico nè su quello diacronico. La realtà sensibile è costituita da enti che hanno in parte
le qualità che esistono come essenze universali nel mondo delle idee. Platone ritiene che le
idee esistano come sostanze separate in un'altra dimensione metafisica e viene criticato
proprio su questo da Aristotele secondo cui gli universali esistono solo a livello logico-
linguistico come generi di cui vengono predicate le qualità. Platone nel Fedone dimostra
l'esistenza delle idee ponendole come cause sufficienti per dimostrare la conoscenza
dell'uomo e come cause necessarie per spiegare il mutamento.

Platone rifiuta il mutamento così come era concepito dai pluralisti; Democrito infatti non
spiega il movimento perché lo intende solo come un' aggregazione/disgregazione di
elementi materiali, inoltre pone come fondamento della realtà sensibile degli elementi che
sono a loro volta sensibili. Per Platone non ci sono nella realtà sensibile elementi invarianti.
Platone per spiegare il mutamento ricorre alla partecipazione; gli enti particolari partecipano
di quelli universali e i singoli enti esistono in quanto esistono gli universali, la singola cosa
bella esiste perchè c'è il bello di cui la singola cosa prende parte. Le idee dunque sono
universali sostanziali che si pongono come cause degli enti particolari attraverso un rapporto
di partecipazione. Platone nel Fedone spiega il rapporto di partecipazione servendosi di
un'analogia col fuoco; come il fuoco scalda le cose non perdendo la sua qualità essenziale
così la bellezza rimane assolutamente e perfettamente bella nel causare l'esistenza di
singole cose belle. Le idee si pongono come cause da un punto di vista ontologico, logico-
linguistico e deontologico. Quest'ultimo significato si riferisce al valore delle idee e al
concetto di imitazione; le singole cose belle, che sono belle solo in parte, sono tali perché
imitano la bellezza in sé.

LA REMINISCENZA NEL FEDONE


Le idee sono sufficienti a spiegare la conoscenza dell'uomo che nel Fedone coincide con la
reminiscenza, ossia l'atto di recuperare conoscenze che l'anima ha avuto prima di
incarnarsi. Il ricordo di qualcuno può essere risvegliato da un oggetto oppure, come si dice
nel Fedone, un ritratto di Simmia permette di ricordare Simmia; un procedimento analogo
avviene tra cose e idee. A partire dall'uguaglianza di cose empiriche ci viene in mente
l'uguale in sé che trascende le uguaglianze imperfette che si trovano nella realtà sensibile.
La conoscenza di esso non può derivare dalla realtà materiale perché in essa tutto diviene e
niente è veramente uguale a qualcos'altro. La reminiscenza si pone come la condizione di
possibilità della conoscenza. La possibilità di dire che due cose sono simili ma non
perfettamente uguali deriva dal fatto che l’anima ha conosciuto l’uguale in sé ma poi ne ha
perso la conoscenza diretta quando si è incarnata; la conoscenza delle idee permette
all’anima incarnata di conoscere le cose che appaiono nel mondo sensibile, quindi posso
dire che due oggetti non sono perfettamente uguali perché ho avuto una conoscenza
dell’uguale perfetto, se non l’avessi avuta non potrei dire che due oggetti non sono
perfettamente uguali. La conoscenza dell'uguale in sé così come del bene, del bello in sé
ecc. deriva da una conoscenza dell'anima disincarnata e tale conoscenza viene
"risvegliata" dagli enti della realtà sensibile. Tale teoria presuppone che le idee siano entità
metafisiche separate. Il filosofo trova intorno a sé tracce di una realtà superiore, che è causa
della realtà sensibile ed è stata conosciuta dall’anima ; ciò rende ragione dell'esistenza
delle idee e di un collegamento conoscitivo con esse.

LA REMINISCENZA NEL MENONE


Menone chiede a Socrate che cos'è la virtù e questo replica di non averne alcuna
conoscenza, Menone chiede allora come sia possibile conoscere qualcosa di cui non si
ha alcuna conoscenza, in quanto come sostenevano gli eristi non può conoscere chi non
sa nulla e non può conoscere nemmeno chi sa già tutto perchè appunto già sa. Socrate fa
intravedere la soluzione al problema dicendo che il conoscere è essenzialmente un
riconoscere e procede poi a spiegare che l'anima è immortale e passa da un corpo
all'altro attraverso la reincarnazione. Questo implica che l'anima non conosca da zero ogni
volta ma che semplicemente ricordi ciò che ha già conosciuto; prova di questo è il fatto che
uno schiavo, del tutto privo di istruzione, riesce a dimostrare un problema geometrico sulla
base degli interrogativi di Socrate. Socrate nelle sue interrogazioni fa valere il principio di
priorità della definizione in base a cui non si può conoscere un oggetto se prima non si
conosce la definizione. Gli interlocutori di Socrate falliscono sempre in ciò perchè non
riescono a dare definizioni esaustive e fanno sempre riferimento a esempi che per tale
principio non possono essere forniti se prima non si dà una conoscenza dell'essenza (il che
cos'è) dell'oggetto.

Recenti ricerche hanno messo in evidenza che non si può giungere alla definizione di
qualcosa a prescindere dagli esempi e che spesso noi parliamo di oggetti pur senza averne
la definizione ma Platone risolve il problema all'interno del suo edificio teorico. Tra il
conoscere tutto e il non conoscere nulla del paradosso eristico ci sono gradi intermedi e
inoltre gli uomini pur non conoscendo gli universali sanno trovare degli attributi di essi.
Queste difficoltà possono essere risolte grazie alla teoria della reminiscenza: l'anima prima
di incarnarsi conosce gli universali ma alla nascita perde la piena conoscenza di essi,
nonostante ciò gli stimoli della realtà sensibile permettono di risvegliare parte di quella
conoscenza e di determinare gli attributi degli universali senza riuscire a spiegare l'essenza
di essi. L'anima dello schiavo ha avuto piena conoscenza del quadrato, poi ha perso con la
nascita tale conoscenza ma grazie allo stimolo dell'interrogazione socratica riesce a trovare
degli attributi del quadrato e nella situazione delineata da Platone riesce a giungere alla
soluzione del problema. Gli uomini dunque hanno avuto conoscenza degli universali e nella
realtà sensibile riescono a determinarne gli attributi grazie a degli stimoli; il principio di
priorità della definizione è così spiegato. La reminiscenza si pone come condizione di
possibilità della conoscenza, che è essenzialmente un riconoscere (tale aspetto spiega la
conoscenza rispettando il paradosso eristico). La reminiscenza non è un metodo e si pone
come recupero di una conoscenza avuta in passato senza che ciò avvenga in modo
consapevole.

IDEE E CONOSCENZA
Nella Settima Lettera Platone dice che la conoscenza si da attraverso nome, definizione,
immagine, conoscenza vera che si divide in intelletto,opinione, scienza. Nonostante ciò
l'uomo non riesce mai a determinare ciò che è in sé ma si limita a enunciare casi particolari
o qualità. Platone deve giustificare il ruolo della filosofia alla luce del fatto che essa vuol
determinare gli universali ma non è mai in grado di farlo.

Platone spiega nel Fedone che i filosofi tendono alla morte perché disprezzano i piaceri del
corpo a favore di quelli dell'anima e sottolinea che questo ha una forte implicazione
gnoseologica in quanto è l'anima nella sua purezza che può conoscere la verità delle cose.
L'anima nella vita terrena è disturbata dal corpo ed è impossibilitata a giungere all'essenza
delle cose. Questo può invece avvenire nella morte quando l'anima si separa dal corpo e
si presta a una contemplazione diretta delle idee. Nella morte vi è il pieno possesso della
conoscenza ma non per questo la realtà sensibile è da disprezzare perché in essa l'uomo
può comunque raggiungere una certa forma di conoscenza che è preparatoria alla
conoscenza universale dell'anima disincarnata. L'uomo nella realtà sensibile non può
rivolgersi alle idee in modo diretto ( cosa che avviene nella morte) e così è costretto a una
seconda navigazione, più lunga e più faticosa in cui l'uomo può conoscere le idee in modo
indiretto facendo uso dei logoi. Platone rimarca questo tema dicendo che così come l'uomo
non può guardare direttamente l'eclissi di sole ma deve servirsi di filtri così non può
conoscere l'universale attraverso un'intuizione diretta ed è costretto a ricorrere al filtro/
metodo indiretto dei logoi.

LOGOS E LINGUAGGIO COME IMMAGINE DELLA REALTÀ'


Cratilo nel dialogo che riporta il suo nome sostiene che il linguaggio descrive cose reali e
per questo non ha alcun rapporto con il vero e il falso; per Cratilo la conoscenza
proposizionale (basata sul logos) è una conoscenza diretta e intuitiva al pari di quella
sensibile. Socrate riesce poi a far ammettere a Cratilo che il linguaggio è un' immagine/
imitazione della realtà che descrive e che l'immagine/imitazione non corrisponde mai del
tutto all'oggetto che rappresenta.

Se nel Fedone si parlava di anima,idee e logoi, nel Cratilo si parla di soggetto, oggetto e
linguaggio e anche qui si è giunti a porre l'esistenza di una realtà indipendente che viene
conosciuta dall'uomo. Socrate distingue così una conoscenza che si fonda sul linguaggio e
una conoscenza che non lo fa e fa ammettere a Cratilo che quest'ultima è migliore della
prima in quanto riesce a cogliere direttamente l'oggetto che indaga senza ricorre al termine
medio del linguaggio che è appunto immagine/imitazione della realtà che descrive.

Socrate non descrive quella conoscenza che propone e così si delinea lo stesso quadro del
Fedone: l'uomo attraverso il pensiero è giunto a supporre l'esistenza di una realtà
autonoma e altra che è conoscibile solo in modo indiretto in quanto la condizione di
conoscibilità è data dalla reminiscenza e a una conoscenza primaria, diretta e intuitiva segue
nella realtà sensibile solo una conoscenza secondaria. Se la nella conoscenza sensibile vi è
corrispondenza tra atto intuitivo e atto discorsivo ( vedo un tavolo e lo descrivo), questo non
avviene nella conoscenza intellettiva dove il momento intuitivo è solo supposto e rimandato
a una condizione precedente la nascita. Ne consegue che nella realtà sensibile l'intuizione
dell'universale non è possibile e l'unico modo che si presta all'uomo per conoscere le idee è
quello indiretto del logos/ linguaggio.

LA PRIMA PARTE DEL TEETETO


In tale dialogo si presenta un problema simile a quello del Menone, come può conoscere
colui che non sa nemmeno cos'è la conoscenza? La conoscenza è tale solo se ha per
oggetto l'universale che è fisso e immutabile, dunque la conoscenza intesa come sofia non
può essere la conoscenza della sensazione che ha come oggetto gli enti sensibili. La
conoscenza, precisa Socrate, nasce nell'anima e si pone come opinione, doxa. La doxa
(opinione/giudizio) infatti può avere come oggetto gli enti sensibili ma anche gli enti ideali
perchè si può benissimo avere opinione di Dio, del bene, della giustizia ecc.

Questo esito si lega perfettamente con quanto emerge dal Fedone e dal Cratilo in quanto
l'uomo, intendendo come conoscenza la conoscenza degli universali, non può determinarli
nella realtà sensibile attraverso un'intuizione diretta e deve ricorrere al metodo indiretto dei
logoi allo stesso modo non può avere scienza della idee e può cercare di conoscerle solo
attraverso il giudizio/opinione. L'opinione si lega necessariamente al discorso perchè fa sì
che esso possa essere definito vero o falso.

Riassumendo, la conoscenza sensibile è la conoscenza certa perchè basata sull'intuizione


diretta ma ha come oggetto gli enti sottoposti al continuo divenire, mentre la conoscenza
intellettiva che ha come oggetto le idee, fisse e immutabili non è certa perchè non può
fondarsi sull'intuizione ma è nella sua natura fallibile e incerta perchè si basa sul logos e
sulla doxa. Tale concezione si sposa al meglio con il Simposio dove emerge che l'uomo è
a metà tra conoscenza e ignoranza ed è filosofo perchè amante di qualcosa che non ha
nella sua forma più elevata: la conoscenza.

LA SECONDA PARTE DEL TEETETO


Nella seconda parte del dialogo Teeteto propone la conoscenza come retta opinione ma
Socrate confuta questa tesi. Socrate intendendo la conoscenza come opinione non si
capacita di come l'opinione possa essere falsa dal momento che essa è conoscenza.
Socrate ribadendo il paradosso eristico dice che chi ha piena conoscenza di qualcosa, non
può avere false opinioni e lo stesso avviene per chi non ha alcuna conoscenza. La falsa
opinione si pone come un misto tra conoscenza e non conoscenza e avviene quando si
scambia un'opinione con un altra (allodoxia). Socrate dice che questo può accadere
quando si scambia una sensazione con un'opinione e, a proposito di ciò, assimila l'anima a
un blocco di cera su cui la sensazione lascia un segno, l'errore si forma quando l'anima
associa la sensazione sbagliata a quell'impronta quindi quando scambia una persona o una
cosa per un'altra. Socrate però mette in chiaro che ci può essere opinione falsa anche a
proposito di enti intelligibili come i numeri; questo accade a chi sbaglia un'operazione
matematica e, in riferimento a ciò, Socrate fa un'altra metafora: prendere una conoscenza al
posto di un'altra equivale a prendere la colomba sbagliata dal colombaio.
La tesi per cui la doxa è sempre fallibile perchè rivolta agli oggetti sensibili e l'episteme è
infallibile perchè rivolta agli enti intelligibili decade perchè si può avere opinione anche di enti
intelligibili come i numeri. Socrate giunge alla confutazione della tesi di Teeteto secondo cui
la conoscenza è retta opinione attraverso la metafora dei giudici: nonostante i giudici non
abbiano la conoscenza diretta di un fatto riescono comunque a farsi una retta opinione a
partire dalle domande che fanno ai testimoni, questo vuol dire che si può avere retta
opinione senza conoscenza e quindi la conoscenza non può coincidere con la retta
opinione. Per conoscenza intesa come scienza, sophia Platone intende l'intuizione diretta.
La metafora dei giudici spiega che i filosofi pur non avendo conoscenza intesa come
intuizione diretta, riescono comunque a farsi una retta opinione a partire dall'attività di
interrogazione. Poichè l'intuizione diretta delle idee è impossibile ecco dunque ripresentarsi
il solito motivo; la conoscenza dell'uomo si pone come seconda navigazione o conoscenza
indiretta e avviene per mezzo dei discorsi, delle opinioni e dell'interrogazione.

LA TERZA PARTE DEL TEETETO


Socrate nega a questo punto che la conoscenza come episteme non possa essere
l'opinione accompagnata dal logos perchè la vera conoscenza è solo l'intuizione diretta.
Storicamente alcuni, tra cui Antistene, sostennero che la vera conoscenza fosse quella del
logos. L'esito del dialogo è che l'episteme corrisponde alla conoscenza diretta mentre la
massima conoscenza che l'uomo può raggiungere è quella del giudizio accompagnato dal
discorso. Platone come Protagora mette in evidenza i limiti della conoscenza dell'uomo ma
a differenza del sofista sostiene che le opinioni non sono tutte uguali ma sono più o meno
vere.

L'ANIMA
La filosofia di Platone è caratterizzata da un forte dualismo tra la realtà intelligibile e la
realtà sensibile che nell'uomo è rappresentato dal dualismo di anima e corpo. Platone
riprende la concezione di anima che Socrate aveva fatto propria intendendo l'anima come la
sede dell'intelletto quindi delle facoltà conoscitive e delle azioni morali. Più volte è ribadita
la superiorità dell'anima sul corpo; nel Carmide si dice che l'uomo più bello e forte è
migliore solo se è alto il valore della sua anima, nell'Apologia Socrate dice che i beni
dell'anima sono migliori di quelli del corpo, nel Alcibiade invita il giovane a curarsi dell'anima
perchè solo se avrà conoscenza del bene e del male potrà essere un buon politico, nel
Gorgia dice che il danno peggiore che l'uomo può subire è il male dell'anima (ingiustizia)
non quello del corpo (malattia e povertà), il predominio dell'anima sul corpo è poi un tema
focale nel Fedone. L'anima è un'entità a metà tra mondo ideale e mondo sensibile, Platone
a volte sottolinea il legame con la realtà intelligibile, altre mostra l'importanza dell'anima nel
mondo. Nel Fedone viene accentuata l'atmosfera ascetica con un'anima che tende a
liberarsi del corpo-prigione e a salire al suo posto, ma nello stesso dialogo si sottolinea che
è l'anima a vivificare i corpi e nel Timeo è l'anima cosmica a dare vita all'universo.

L'anima non è un'idea ma un'entità che agisce sulla base delle conoscenze, più un anima
conosce il bene più condurrà una vita buona e sarà felice. L'anima non è nemmeno
un'armonia del corpo perchè essa è indipendente da esso e riesce a controllarne i bisogni.
L'immortalità dell'anima è funzionale agli obiettivi etici e politici di Platone; se per Socrate
l'etica eudemonistica è di per sè sufficiente a giustificare la vita buona in quanto permette di
essere felici, Platone ribadisce questa prospettiva ma è consapevole delle difficoltà che
comporta: gli schiavi sono davvero più felici dell'ingiusto tiranno perchè giusti? L'immortalità
dell'anima permette di creare una prospettiva escatologica che rafforza l'etica
eudemonistica. Platone dimostra in più momenti l'immortalità dell'anima nel Fedone: a ogni
processo segue il suo corrispettivo altrimenti tutto sarebbe statico e così alla morte segue la
vita così come al giorno la notte ecc. L'immortalità è poi spiegata a partire dalla teoria della
reminiscenza e inoltre l'anima sta all'idea di vita come il fuoco all'idea di caldo; il fuoco è
per natura caldo, non può perdere il calore e lo stesso avviene per l'anima con la vita. Nel
Fedro l'anima è immortale perchè responsabile del moto. Nella Repubblica vi è
un'asimmetria tra corpo e anima: se il primo viene annientato dalla malattia, la seconda
sopravvive al male più grande, ossia il vizio.

IL FEDRO
In tale dialogo Fedro, appassionato di discorsi, mostra a Socrate un discorso di Lisia in cui
un vecchio cerca di convincere un giovane a concedergli le sue grazie dicendogli che non lo
ama e che è meglio concedersi a persone da cui non si è amati rispetto ad altre da cui si è
amati perchè chi ama è possessivo, invidioso e fastidioso in più modi. Socrate promette
allora di fare un discorso migliore e narra il mito dell'auriga. L'auriga è l'immagine
dell'anima, viaggia nel cosmo trainata da due cavalli, uno docile e mansueto, l'altro riottoso,
quando questo prevale l'anima è trainata nella realtà sensibile ed è perlopiù in preda a
desideri carnali mentre quando prevale il cavallo tranquillo, che è la facoltà razionale,
l'anima viaggia al seguito degli dei e vede le idee; quando poi l'anima discende sulla terra
mantiene un ricordo, una traccia delle idee.

Nel Fedro Socrate elogia anche la bellezza che pone come termine medio tra mondo delle
idee e mondo sensibile; la bellezza infatti è materiale e si offre nel mondo ma riesce a
incantare tutti gli uomini perchè ha un tratto spirituale, puro che permette di capire che c'è
una realtà più grande a cui l'uomo tende e che desidera. Nel Fedro l'amore è definito da
Socrate come un desiderio suscitato dalla bellezza e teso a un appagamento fisico. L'amore
è dapprima visto nella sua dimensione carnale ed è definito al pari di una pazzia che al pari
della poesia e della profezia è benefica. Platone ritiene come nel Simposio che l'amore
abbia un valore educativo e che debba portare l'uomo alla ricerca di un bello trascendente
e quindi alla ricerca del bene in sè attraverso la conoscenza. Questa tendenza porta Platone
a spiritualizzare l'amore nel Simposio e a relegare a dimensione negativa l'atto sessuale
cosa che invece non avviene nel Fedro dove Platone lo ammette anche nella dimensione
fisica ma lo subordina sempre alla ricerca della sapienza.

PSICAGOGIA NEL FEDRO


Il tema centrale del Fedro è la psicagogia, ossia la conduzione dell'anima al bene. L'anima
per giungere al bene deve prestarsi ai discorsi filosofici, animati dal sapere e finalizzati al
bene, e non ai discorsi di retori e politici che hanno propri interessi differenti dal bene. Il
cammino verso il bene è reso possibile dalla spinta propulsiva dell'eros e dall'indagine
filosofica ma mantiene sempre un carattere di persuasione perchè l'oggetto cercato, il bene
non si presta a un'indagine diretta. Questo è anche il motivo per cui Platone preferisce il
discorso orale al testo scritto perchè in esso c'è uno scambio che favorisce la conduzione
al bene e il dialogo ha rispetto allo scritto che è una dimensione più attiva.

SIMPOSIO
Dopo aver vinto gli agoni tragici il poeta Agatone invita gli amici a un banchetto e, appagati
delle libagioni del giorno precedente, decidono di indire uno alla volta un elogio nei confronti
di Eros; Fedro mostra le nobili azioni che amore invita a compiere, Pausania distingue un
amore nobile celeste da uno volgare terreno, Erissimaco pone l'amore come forza chimico-
fisica in grado di attrarre, Aristofane dice che gli uomini e donne cercano quella metà da cui
sono stati separati e l'unione crea una rilassatezza che dispone agli impegni della vita
quotidiana, Agatone elogia l'amore con un discorso raffinato. Al termine compare Socrate
che si oppone ai suoi predecessori dicendo di voler fare un discorso vero perchè è bello
solo ciò che è vero. Gli altri pur di fare un bel discorso hanno detto il falso ma Socrate
nota che l'amore è connesso al bene quindi solo chi sa cos'è il bene può parlarne.

Socrate mostra così la sua concezione: l'amore è il desiderio di bellezza e mancanza ma


poiché è desiderio è anche mancanza e tensione. Socrate narra allora ciò che ha udito da
Diotima, una donna di Mantinea: Eros non è bello nè buono ma neanche brutto e cattivo, è
un essere a metà tra uomo e dio, tra essere mortale e immortale, tra brutto e bello, è quello
che la tradizione greca definiva un demone. Egli è figlio di Poros, espediente da cui ha
ereditato la capacità di procurarsi ciò che desidera, e di Penia, povertà da cui ha invece
ereditato la mancanza. Eros si pone così come desiderio di ciò che è bello e di ciò che è
buono e tra le cose più belle e buone c'è la sapienza, dunque amore è filosofo perchè
amante del sapere che raggiunge solo in parte e di cui non può avere pieno possesso. La
ricerca di amore è finalizzata al bene che rende buone le cose.

Platone traccia così un cammino dell'uomo che dal proprio egoismo, dalla propria ricerca di
felicità si innalza a ricerca del bene assoluto. Diotima nel descrivere il bene a cui aspira il
filosofo traccia due vie: una è quella del bene assoluto, del bene in sè, l'altra quella che
giunge a "procreare nel bello" a compiere le cose buone che derivano dal bene e che hanno
riflessi positivi sulla vita etica,politica e relazionale dell'uomo. Come l'uomo mira a rendersi
eterno procreando i figli così fa procreando nel bello e Diotima fornisce l'esempio di Licurgo
e Solone che procrearono nel bello dando a Sparta e ad Atene le leggi. Diotima passa così
a descrivere l'ascesa al bene assoluto dicendo che essa è possibile giungere alla bellezza
in sè ma precisa che non potrà iniziare Socrate a questo in quanto la bellezza in sè è posta
in una realtà altra a cui hanno accesso solo gli dei che sono sapienti. Gli uomini, come
filosofi, amanti del sapere mirano invece a compiere il bene e a ricavare i frutti del bene in
sè. Su questa prospettiva Platone costruisce la Repubblica. Nel corso del banchetto entra
Alcibiade particolarmente ubriaco e dopo aver invitato gli altri commensali a bere a sua
volta tesse un elogio di Eros con cui elogia Socrate e sottolinea di voler dire il vero.
Alcibiade racconta poi di aver più volte respinto l'amore di Socrate ma di essere rimasto
deluso quando lo accettò perchè Socrate non si unì ad esso nell'atto sessuale a significare
che la bellezza fisica non può essere una merce di scambio con la bellezza morale.
L'amore è infatti finalizzato alla filosofia e se così non avviene rimane solo la componente
negativa e irrazionale di puro desiderio fisico. L'insegnamento che Socrate dà ad Alcibiade
è che deve migliorare la sua anima cercando di conoscere il bene.

LA REPUBBLICA
La Repubblica è il più importante dialogo politico di Platone ma può essere compresa solo
se si presta attenzione a determinati accorgimenti; essa descrive un modello politico ideale
che è lo sviluppo di un discorso etico volto a definire la giustizia. Vi è inoltre una forte
connessione tra etica e politica che hanno valore educativo ed è presentata una
convergenza tra anima e stato, tra individuo e società. Il testo è animato dall'etica
eudemonistica.

L'ETICA EUDEMONISTICA
Platone fa sua l'etica di Socrate e promuove alcune importanti innovazioni. All'interno di
essa la libertà è un mezzo e non un fine perchè il fine dell'uomo è la vita buona o felicità. La
libertà si pone come libertà di agire per conseguire la felicità ma, poichè Platone presenta
l'etica come una scienza tecnica al pari della medicina o dell'architettura, ecco che la libertà
è determinata dalla conoscenza e non è una libertà di agire al di là di vincoli come avviene
nella riflessione moderna. Platone infatti è convinto che la virtù è conoscenza e che
nessuno compie il male volontariamente. Questo avviene perchè la conoscenza del bene
permette di essere virtuosi e condurre una vita buona, quindi consente di essere felici. La
conoscenza del bene permette di agire bene e di essere felici, quindi chi non ha conoscenza
non è virtuoso e non può nemmeno essere felice. I beni materiali di per sè non permettono
di essere felici ma contribuiscono a esserlo solo se si è virtuosi.

Per Platone è libero colui che fa quello che vuole nel senso che quello che vuole è essere
felice ma lo può essere solo se sa come esserlo. Se l'uomo ha l'adeguata conoscenza è in
grado di orientare la sua azione al compimento del bene e della felicità ma se non ha
conoscenza non sa qual è il suo bene, quindi non sa come essere felice e scambia le cose
cattive per cose buone. A tal proposito Platone critica l'idea di Polo secondo cui l'uomo più
felice è il tiranno perchè fa quello che gli pare e piace perchè egli non sa qual è il bene
quindi non è virtuoso e non è nemmeno felice. Allo stesso modo Liside non sarebbe felice
se potesse guidare il carro del padre perchè non ha la conoscenza per farlo e andrebbe
sicuramente a schiantarsi. La felicità deriva dalla conoscenza del bene e una volta
conosciuto il bene si è anche liberi di agire ma si agirà solo nel modo che permette di essere
felici; chi non conosce non sa qual' è il bene e pensa che per esempio drogandosi possa
essere felice ma il suo errore sta proprio nella mancanza di conoscenza che lo porta a
sbagliare.

LA REPUBBLICA
Il dialogo si apre con il tipico interrogativo socratico che ha come oggetto la giustizia.
Polemarco sostiene che la giustizia sia dare a ciascuno il suo, facendo del bene agli amici e
del male ai nemici ma Socrate contesta che il giusto non può fare del male. Trasimaco
allora dice che la giustizia è l'utile di chi comanda (il più forte). La giustizia si pone come un
sapere tecnico che permette di condurre una vita buona e di essere felici. Socrate deve però
persuadere Trasimaco che ritiene che il più delle volte sia più felice l'ingiusto del giusto.
Glaucone dice poi che molti uomini ,se fossero sicuri di non essere sorpresi,
commetterebbero ingiustizia e Adimanto aggiunge che molti agiscono secondo la giustizia
per i beni che essa porta come la buona reputazione.

Socrate deve dimostrare che la giustizia è un bene di per sè e permette di essere felici,
solo così può mantenere lo stretto legame tra virtù e felicità. Socrate propone allora di
allargare la ricerca della giustizia nella più ampia cornice dello stato e passa così a
descrivere la città bella, kallipolis un modello ideale. Socrate definisce l'organizzazione
dello stato a partire dalla soddisfazione dei bisogni degli individui che lo compongono e
spiega che a tal fine è necessaria una divisione dei compiti. Viene così creata una classe di
produttori e commercianti ma, poichè col tempo la società si allarga, i bisogni aumentano e
le città finiscono per farsi guerra, diviene necessario istituire la classe dei guardiani che si
occuperanno della difesa della città. I guardiani dovranno essere duri con i nemici e buoni
con gli amici, dovranno disporre di un sapere tecnico del loro ruolo e più in generale
dovranno conoscere cosa è bene e cosa è male. Proprio per questo dovranno essere
educati attraverso la musica e la ginnastica in modo da favorire lo sviluppo dell'anima e del
corpo. A prendere le decisioni politiche saranno invece i filosofi che potranno agire sulla
base della loro conoscenza del bene. Governanti e guardiani dovranno agire per il bene
della comunità ma questo bene non potrà entrare in conflitto con la loro felicità personale e
per questo il bene personale e il bene comune dovranno necessariamente coincidere. I
governanti non potranno avere una propria famiglia o un proprio patrimonio ma vivranno in
comune e perseguiranno il bene comune. La suddivisione in classi è accompagnata da una
rigida educazione che dovrà far sviluppare agli individui le qualità necessarie a svolgere il
loro compito ma, poichè all'inizio la divisione è arbitraria, Platone cerca di addolcire questo
dicendo che vi sono uomini d'oro i filosofi, d'argento i guardiani e di ferro bronzo i produttori.
Se però durante l'educazione si dimostrerà che qualcuno non è portato per un certo
compito, potrà svolgere un'altra attività e passare da una classe all'altra. In questo modo
ognuno potrà svolgere ciò che è in grado di fare al meglio e vi sarà un duplice vantaggio:
ogni individuo sarà felice perchè svolgerà ciò che gli compete e lo stato potrà funzionare al
meglio perchè basato su un'ordinata distribuzione dei compiti.

LA GIUSTIZIA COME CORRISPONDENZA INDIVIDUO-STATO


Gli interlocutori di Socrate notano che la condizione dei guardiani è più svantaggiosa delle
altre e Socrate replica che è possibile un sacrificio di pochi per il bene di tutti e che i
guardiani saranno educati da subito ad agire per il bene comune ma allo stesso tempo
Socrate mostra che i guardiani saranno lodati in vita e in morte inoltre la loro felicità deriverà
dalla loro conoscenza. Nello scenario delineato da Platone, infatti, ognuno è felice perchè
trova la felicità che cerca sulla base dei propri desideri ma allo stesso tempo la felicità e il
bene sono valori sostanziali e sarà felice al massimo grado colui che conosce ed è virtuoso.
I filosofi e i guardiani saranno i più felici perchè avranno la conoscenza più alta del bene e
potranno così essere virtuosi e condurre una vita buona e non scambieranno certo la loro
felicità con quella che si può ottenere dai beni materiali o dall' appagamento fisico. In questo
modo è possibile associare una virtù a ogni classe e così i filosofi hanno la sofia, la
conoscenza più alta del bene e del male, i guardiani l'andrèia, il coraggio accompagnato
dalla conoscenza del bene e i produttori avranno una virtù che generalmente è comune a
tutti, ossia la sophrosyne la moderazione dei desideri.

La giustizia si pone così come l'adeguata distribuzione delle virtù che fa sì che ognuno
svolga il proprio compito e vi sia un'armonia sia a livello del singolo che a quello della
comunità. La felicità della comunità si allinea con la felicità del singolo individuo e questo è
possibile perchè c'è corrispondenza tra anima e virtù, quindi tra anima e stato. L'anima a
differenza di quanto emerge nel Fedone non è più pura razionalità contrapposta alla
dimensione pulsionale del corpo ma è al suo interna divisa in tre componenti: vi è una
facoltà razionale, una animosa e una concupiscibile. Nel filosofo prevale la componente
razionale associata alla virtù della conoscenza, nel guardiano prevale la componente
animosa associata alla virtù del coraggio e nel produttore/commerciante prevale la
componente animosa associata alla virtù della moderazione. In questo modo vi è perfetta
corrispondenza tra anima e stato e la giustizia si configura come l'adeguata distribuzione
dei compiti a seconda della facoltà dell'anima.

Platone matura una posizione diversa da quella del Socrate storico; se quest'ultimo era
andato a morire felice salvando la propria integrità morale e la propria virtù, ora, nella
Repubblica, il filosofo non può più fuggire dalla vita politica ma deve entrarvi a fondo e
dirigerla sulla base della propria conoscenza in modo da condurre al bene l'intera comunità.
Filosofia e politica non sono più separabili e il filosofo è chiamato a governare in virtù della
propria conoscenza del bene che, essendo la più elevata, gli permetterà di agire per il bene
della comunità.

LE TRE ONDATE
La riflessione di Socrate porta alla luce elementi paradossali. Platone dice infatti che le
donne devono ricoprire gli stessi ruoli degli uomini, che governanti e guardiani non debbano
avere alcuna proprietà nè un patrimonio nè una propria donna e tantomeno dei figli che
appena nati saranno considerati figli della comunità e invitati a perseguire il bene comune.
Tali esiti innaturali sono motivati dalla conoscenza del bene del filosofo che in virtù di essa
predispone la vita delle comunità al bene e nega ai governanti la proprietà in modo tale che
non ci possa essere un bene personale che entri in conflitto con quello comune. Per quanto
riguarda la realizzabilità Platone definisce un modello teorico che costituisce lo sviluppo
etico dell'indagine sulla giustizia perciò un reale regime politico sarà tanto più giusto quanto
più si avvicinerà al modello. Platone sa che la kallipolis è irrealizzabile nella pratica ma
poichè è il modello etico essa dovrà essere imitata. Il fatto che al governo salgano i filosofi
non è la descrizione di come debba essere organizzato davvero uno stato ma è indice della
necessità che i governati agiscano per il bene della comunità e lo facciano sulla base di una
vera conoscenza.

LA DEGENERAZIONE DELLE FORME POLITICHE Terminata la difesa dalle accuse


mossegli Socrate passa a descrivere il processo di degenerazione delle costituzioni
mantenendo il legame tra individuo e stato così da mostrare il nesso tra felicità individuale e
comune. La forma politica migliore è l'aristocrazia della kallipolis ma, poichè è un
modello teorico, essa è confinata in un universo ideale e come non è realizzabile allo stesso
modo non è nemmeno corruttibile.

Socrate descrive le vere forme politiche e mostra il loro divenire. La costituzione da cui parte
è la timocrazia fondata sull'onore, la forza e la pratica della ginnastica. Coloro che in essa si
arricchiscono prendono il potere e istituiscono un'oligarchia fondata sul censo. Tale
organizzazione crea una netta divisione tra pochi ricchi e una massa di poveri, con la
preclusione all'accesso alle cariche politiche a chi è davvero competente perchè a
pannaggio dei ricchi. I tanti poveri facendo leva sulla rabbia per la loro condizione scatenano
una violenta rivolta e insediano la democrazia in cui c'è la massima libertà e la massima
equità. Questa organizzazione permette a tutti gli uomini di occuparsi di politica e consente a
ognuno di ricoprire un qualsiasi ruolo. Viene definita da Socrate come un vestito variopinto
bello nell'apparenza ma non nella realtà perchè in esso manca la giusta distribuzione dei
compiti e nessuno ha un sapere tale da permettergli di svolgere una determinata attività. La
democrazia è vista da Platone come un'anarchia in cui tutti fanno tutto e dove decadono i
valori morali. Poichè al suo interno i più abbienti criticano coloro che hanno dato via alla
rivoluzione di voler fondare una nuova oligarchia ecco che il popolo si sceglie un capo e
nasce la tirannia. Questa è la peggior forma politica in assoluto. Il tiranno dapprima
moderato diviene sempre più dispotico, dichiara guerre per distrarre il popolo dai problemi
interni, si circonda di guardie del corpo e di adulatori sbarazzandosi dei migliori che
potrebbero scalzarlo e persegue il proprio interesse personale annullando l'impegno per il
bene comune.

Platone deve qui convincere Glaucone e Adimanto che per educazione seguono la giustizia
ma che pensano che di per sè non sia un bene, che il tiranno è in assoluto l'uomo più
infelice oltre che ingiusto. Egli è schiavo dei bisogni pulsionali più bassi, fa ciò che gli pare e
piace (non ciò che vuole come essere umano ossia essere felice), passa da un piacere
all'altro e non si fida di nessuno. Ottiene il puro appagamento fisico di tutti i suoi appetiti ma
è sospettoso e solo. Oltre a ciò Platone fornisce altre due prove e dice che gli uomini
perseguono il bene che desiderano e così gli amanti del guadagno cercano il guadagno, gli
amanti del successo il successo e quelli della conoscenza la conoscenza. Gli uomini più
giusti e felici sono i filosofi che hanno provato tutti e tre gli oggetti di desiderio e hanno scelto
la conoscenza.

Oltre a ciò Platone distingue tre stati psicologici dolore, stato intermedio e piacere. Il
tiranno è colui che passa da un desiderio all'altro, che sperimenta il dolore per la mancanza
di qualcosa e poi ottiene solo lo stato intermedio tra piacere e dolore e che prelude a un
nuovo dolore per un nuovo desiderio. Il filosofo invece gode del puro piacere che deriva
dalla conoscenza e si cura dei beni della parte più nobile dell'anima. Il dialogo prosegue poi
con la delineazione del mostro policefalo immagine delle tante tendenze che ci sono in
ogni uomo e che devono essere governate dalla sapienza.

IL X LIBRO
Platone nel decimo libro sviluppa alcune tematiche. In primis vi è una rinnovata critica
all'arte e alla poesia che imitando la realtà non fanno altro che creare copie di copie,
inoltre l'arte rappresenta le cose per come appaiono e non per come sono dunque l'artista
agisce sulla base di proprie capacità e non su un effettiva conoscenza del vero. Per Platone
l'arte è connessa alla parte più bassa dell'anima, quella che è legata a sensazioni, opinioni e
bassi desideri. L'arte fiorisce nella democrazia il regime in cui è possibile condurre ogni
attività ma questa apparente bellezza si discosta dal bene che invece si realizza nel modello
politico ideale.

Platone infine introduce una prospettiva escatologica in cui ribadisce l'immortalità dell'anima
e sostiene che essa va incontro a pene e premi nell'al di là a seconda dei comportamenti
nella vita terrena. Viene così narrato il mito di Er ,il valoroso uomo che potè vedere cosa
accade dopo la morte. L'anima una volta staccatasi dal corpo, se si è comportata bene in
vita viene premiata con un soggiorno di circa mille anni nella sfera celeste mentre se ha
agito male viene cacciata nelle viscere della terra. Al termine di questo periodo tutte le
anime, a eccezione di quelle irrecuperabili, hanno la possibilità di scegliere che vita
intraprendere nel mondo sensibile. Platone ancora una volta critica indirettamente la poesia
epico-tragica che aveva lasciato ampio spazio alla fortuna e al destino e sottolinea che ogni
uomo attraverso le proprie scelte può essere virtuoso e felice.

IL BENE
Nel sesto libro della Repubblica Socrate sottolinea ancora una volta che kallipolis è un
modello ideale al cui comando ci sono dei veri e propri sapienti che possono fondare la loro
azione su una conoscenza certa (episteme) del bene. Gli uomini, invece, sono al massimo
filosofi , amanti di un sapere assoluto che non possono raggiungere nella condizione
mondana ma non per questo l'indagine che avviene nel modello della seconda navigazione
è inutile; a gestire la politica dovranno essere proprio i filosofi perchè sebbene non abbiano
una conoscenza assoluta essi hanno comunque una conoscenza migliore degli altri uomini e
su di essa possono fondare la realizzazione del bene comune.

Socrate, fatte le dovute premesse e ribadito che la conoscenza dell'uomo non riesce mai ad
andare oltre la doxa passa a descrivere l'idea del bene distinguendo realtà sensibile e
intelligibile; così come il sole rende gli enti sensibili visibili ed è condizione della loro
esistenza allo stesso modo nella dimensione intelligibile il bene rende le idee conoscibili ed
esistenti. Il bene si pone inoltre come superiore all'essenza per dignità e potenza. Il bene
sembra essere superiore alle idee perchè ne costituisce la condizione di esistenza e
conoscibilità, inoltre è possibile mettere in relazione questo brano con le dottrine orali in cui
si dice che il bene coincide con l'uno. Il bene in questo modo risponde al meglio alle
esigenze etiche e metafisiche della filosofia di Platone perchè se le idee sono l'unione della
molteplicità, il bene è l'unione della molteplicità delle idee. Così facendo il bene è il
principio primo, assoluto, superiore per dignità e potenza in quanto totalmente scevro di
molteplicità e superiore per valore perchè in Platone ogni aspetto è subordinato al bene. Il
bene è superiore perchè unità assoluta e perchè valore qualitativamente più grande. Platone
in questo modo può dire che la realtà è permeata dal bene e che l'uomo come amante del
sapere deve tendere al bene in sè sulla cui conoscenza deve fondare la vita etica e politica.
Platone combinando il bene con l'uno va inoltre a collegarsi con i pitagorici che già avevano
sostenuto che ciò che è limitato, proporzionato è anche razionale e intrinsecamente buono.

EPISTEMOLOGIA NELLA REPUBBLICA


Platone introduce la metafora della linea per spiegare la possibilità di conoscenza
dell'uomo. La linea è divisa in due a indicare una conoscenza che ha come oggetto gli enti
sensibili e una conoscenza che ha come oggetto gli enti ideali. La linea ha al livello più
basso le immagini degli enti sensibili eikasia-immaginazione e al livello appena più alto la
conoscenza degli oggetti sensibili pistis-credenza. Nella parte alta della linea si trovano
diànoia e nòesi che indicano il pensiero e differiscono per il metodo utilizzato. Entrambe
derivano da ipotesi ma se la diànoia fa uso di immagini degli enti sensibili (disegni
geometrici) e ha come oggetto gli enti matematici, la noesis muove dall'alto verso il basso e
fa utilizzo del puro pensiero per determinare gli ideali che prima pone come ipotesi e poi ne
dimostra la necessità. La noesi è l'attività dialettica intesa come interrogazione ma anche
come processo di analisi (uno-molteplice) e sintesi (molteplice-uno). Questa conoscenza
corrisponde all'indagine che fa uso del logos e che è il più alto grado di conoscenza. Alcuni
critici hanno notato che la linea riflette un sapere instabile di carattere doxastico e uno più
alto di tipo epistemico e hanno pensato che tale sapere sia quello dei sapienti che
governano la kallipolis ma questo non è possibile perchè altrimenti la noesi sarebbe
intuizione diretta e perchè qui non c'è distinzione tra sapere dei filosofoi e dei sophoi come
avviene nella trattazione del bene; l'interpretazione è allora che qui la doxa non ha valore
di opinione/giudizio ma di conoscenza che ha come oggetto gli enti sensibilI. Platone
qui si concentra sulle possibilità di conoscenza e non sui limiti, quindi anche se non
compaiono i motivi della seconda navigazione del Fedone e della conoscenza come giudizio
del Teeteto non bisogna pensare che Platone pensi all'improvviso che l'uomo possa
giungere a una conoscenza certa. La conoscenza intellettiva rivolta alle idee rimane quella
dell'interrogazione dialettica fondata sui logoi e sui giudizi.

LA CAVERNA
In questo mito ci sono degli uomini legati all'interno di una catena e costretti a guardare le
ombre di uomini che dietro di loro parlottano e portano degli oggetti. Sullo sfondo c'è un
fuoco che illumina la caverna. Se questi uomini fossero slegati faticherebbero a
comprendere che quelle che vedevano erano solo riflessi di vere immagini e si
sorprenderebbero ancora di più a uscire dalla caverna dove brilla la luce del sole. Attraverso
questo mito Platone crea un'analogia con la condizione dei filosofi che vivono fuori dalla
caverna dell'ignoranza e vivono all'esterno dove svolgono la loro attenzione alla ricerca
della verità. I filosofi vengono considerati inetti ma la loro estraneità dalle cose comuni
permette di conoscere il bene e vivere nella vera realtà, quella dell'anima-verità. Di
conseguenza è proprio grazie alla loro presunta estraneità che i filosofi hanno il compito di
governare. Si possono trovare delle analogie tra caverna e linea come la comune presenza
della realtà sensibile rappresentata dal segmento inferiore della linea e dalla caverna, e della
realtà intelligibile che è la parte alta della linea e che nel mito è la realtà esterna alla grotta. Il
fuoco simboleggia il sole che a sua volta è immagine del bene. Platone si sofferma anche
sull'educazione dei filosofi; essa deve avvenire mediante aritmetica,geometria, astronomia e
musica che devono favorire lo sviluppo del pensiero astratto che permetterà poi di
intraprendere l'attività più alta, la dialettica qui definita nella dimensione dialogica.

IL PARMENIDE
Dopo la stesura della Repubblica, Platone si occupa di dialettica indagando i problemi della
teoria delle idee e i rapporti tra i concetti, tra gli universali e le relazioni polari del tipo
tutto/parti,uno/molteplice ecc Nel Parmenide, Platone presenta una cornice particolare con
cui sottolinea di non voler descrivere una discussione veramente avvenuta ma di voler
presentare certi principi della sua teoria e certe difficoltà incontrate. I personaggi sono
Socrate, Parmenide, Zenone e Aristotele, il dialogo può essere diviso in due parti: nella
prima c’è una serrata critica delle idee e nella seconda un’ esame sul rapporto uno-molti.

Zenone avvia il dialogo sostenendo che se i molti fossero dovrebbero essere simili e
dissimili e Socrate spiega che le cose possono avere predicati opposti perché partecipano di
idee diverse. Socrate introduce anche la possibilità di indagare i rapporti tra idee ma che
ecco che prende la parola Parmenide che chiede se esistano le idee di enti matematici, di
valori universali come il bello e il buono, di elementi neutri come l’uomo o il fuoco e di
elementi negativi come il fango e lo sporco. Socrate risponde affermativamente per i primi
due ,rimane dubbioso del terzo e nega l’esistenza di idee del fango o dello sporco. Platone
in questo modo porta avanti una ricerca assiologia finalizzata a determinare il bene che
era già stata avviata dai pitagorici che avevano fatto coincidere il bene con l’uno e da
Socrate che invece si era occupato dei valori morali. In tal contesto è del tutto contraddittorio
che possano esistere idee di enti negativi. Platone può così fondare un’ontologia e mettere
da parte la ricerca assiologica oppure modificare i principi che indaga mantenendo la ricerca
assiologia con la conseguente indagine dei fondamenti etico-politici e ridimensionando la
dimensione ontologica. Parmenide stesso invita Socrate a seguire quest’ultima strada
andando anche a pensare gli enti negativi da un altro punto di vista per considerarli
relativamente buoni.

Parmenide una volta riassunto che le idee sono gli enti di cui le cose partecipano mette in
rilievo una serie di problemi; se l’idea della grandezza fa sì che ci siano delle cose grandi
allora quell’idea di grandezza deve moltiplicarsi o dividersi per tutti quegli enti particolari che
di essa partecipano. A ciò si aggiunge anche il celebre argomento del terzo uomo: se vi
sono oggetti accomunati dalla caratteristica x e li si mettono in un insieme con x allora si
deve porre una seconda idea x che spieghi il rapporto tra x e gli oggetti che hanno x come
caratteristica comune. Tra l’uomo particolare e l’idea di uomo si deve porre una seconda
idea di uomo che spieghi il rapporto e così facendo il processo è destinato a ripetersi
all’infinito. Socrate dice che il rapporto idee e cose è un rapporto del tipo modello e copia ma
così sembra rinfrancare le obiezioni mossegli. La soluzione al problema deriva da un errato
modo di intendere l'auto predicazione delle idee; per i non platonici l’idea di un oggetto
presenta la caratteristica che fa sì che l’oggetto sia tale, quindi l’idea di bellezza di cui
partecipano le cose belle è a sua volta una cosa bella ma così non è per Platone: l’idea di
bellezza non è una cosa bella al pari degli altri enti particolari ma è l’essenza del bellezza, è
ciò che universalmente può essere detto bello o più semplicemente è il bello in sé. Con
questo accorgimento la critica del terzo uomo decade ma Socrate non replica davvero alle
critiche perché in questa parte del dialogo Platone vuol dimostrare che un errato modo di
concepire le idee porta a esiti del tutto paradossali.

Socrate nel prosieguo del dialogo prova a dire che le idee, cause delle cose, sono interne
all’anima e sono pensieri ma in questo modo gli oggetti materiali deriverebbero da pensieri e
ciò è inaccettabile. La difficoltà più grande a cui va incontro Platone è però la netta
separazione tra mondo delle cose e mondo delle idee che non permette rapporti verticali tra
idee e cose e preclude ogni possibilità di conoscenza delle idee. Queste difficoltà non
portano Platone ad abbandonare la teoria delle idee in quanto rimangono in vita i
presupposti gnoseologici ed etici su cui è stata costruita.

L’INTERPRETAZIONE DEL PARMENIDE


Platone non rinuncia alla teoria delle idee nonostante le difficoltà in quanto essa costituisce il
tentativo di rispondere alle contraddizione che si presentano nella realtà sensibile e portano
a postulare l’esistenza di una realtà metafisica. Svolta questa operazione non è possibile
andare oltre perché la costruzione della teoria diviene vittima di contraddizioni insanabili.
Platone per far fronte alle difficoltà che scaturiscono dalla separazione delle due realtà va a
intendere il mondo delle idee come l’unità della molteplicità; in questo modo vengono
aggirate le difficoltà sollevate dal terzo uomo e dal problema della partecipazione e Platone
può portare avanti l’intento assiologico della sua dottrina facendo coincidere l’uno con il
bene. Di fronte all’impossibilità di conoscere le idee perché collocate in una realtà altra
Platone risponde con la teoria della reminiscenza sostenendo che le anime hanno avuto una
conoscenza diretta delle idee prima di incarnarsi e che l’hanno persa una volta incarnatesi
e che ora possono recuperare in parte la conoscenza delle idee attraverso i logoi e la
seconda navigazione. La reminiscenza permette un legame con il mondo ideale e dà una
risposta sufficiente al problema della conoscenza.

LA SECONDA PARTE DEL PARMENIDE


Nella seconda parte del dialogo Parmenide si lancia in un esercizio dialettico volto a
determinare i rapporti tra uno e molti. Questa operazione non è veramente conclusiva
perché non è possibile per l’uomo determinare tutti i rapporti positivi e negativi di una cosa
con gli altri elementi, ne consegue che la dialettica non può giungere da sé alla verità della
cosa ma si inscrive nella seconda navigazione che l’uomo è chiamato a compiere. Altro
tratto che emerge dal dialogo è l’impossibilità di determinare l’unità privandola della
molteplicità o di considerare la molteplicità senza l’unità che ne è fondamento. Unità e
molteplicità sono strettamente correlate.

SOFISTA
Tale dialogo avviene subito dopo il Teeteto e vi partecipano gli stessi personaggi che
figurano come interlocutori di uno straniero di Elea, definito come un vero filosofo e in
procinto di spiegare la diversa natura del sofista, del politico e del filosofo. Platone usa un
personaggio di Elea perché qui si confronta con la tradizione eleatica sviluppando un tema
che era stato già annunciato nel Teeteto.

Poiché la filosofia non giunge mai a una verità incontrovertibile ma compie sempre un certo
sforzo persuasivo ecco che per Platone si ripresenta la necessità di distanziarsi dai sofisti
e di dimostrare cos’è il filosofo che dopo la ricca trattazione della Repubblica emerge per
contrasto nel Politico, nel Sofista e nel Fedro. Lo straniero propone di definire il sofista con
il metodo dicotomico in cui parte da un genere più avanti che riduce sempre di più fino a
giungere alla definizione esatta dell’oggetto esaminato. Il sofista viene definito in più modi tra
cui un commerciante di un sapere utile all’anima. Si dice poi che il sofista è in grado di
contraddire ma ciò non deriva dal sapere ma da una capacità di imitare e contraffare.
L’imitazione è di due tipi, quella che riproduce la cosa così com'è e quella che la riproduce
per come appare. La sofistica si serve di quest’ultima forma di imitazione ma in questo modo
porta alla luce il falso, ossia ciò che non è e contraDdice i principi della tradizione eleatica.
Platone svela qui il vero motivo del dialogo ossia l’esamina del suo rapporto con
Parmenide. L’analisi è così volta a determinare le condizioni ontologiche e gnoseologiche
che rendono possibile la dialettica e la ricerca filosofica.

IL PARRICIDIO
Lo straniero di Elea dice che ciò che è in un certo senso non è e che ciò che non è in un
certo senso è altrimenti non si potrebbe parlare di cose false e apparenti. Lo straniero
secondo l’interpretazione compiuto un parricidio nei confronti di Parmenide padre della
tradizione eleatica e della filosofia più in generale. Il parricidio si compie solo a metà a ben
vedere perché se è vero che Parmenide negava qualsiasi forma di esistenza del non essere,
allo stesso modo quando diceva che il non essere non è poneva il non essere come
qualcosa conferendogli una relativa esistenza. Lo straniero confuta poi l’assolutezza del
principio parmenideo e Platone ha qui l’occasione per riflettere sull’essere dialogando con
tutta la tradizione a lui precedente. Nella definizione dell’essere sbagliano sia i monisti che i
pluralisti. Per i monisti l’essere coincide con l’uno ma, se così fosse, l’essere perderebbe le
caratteristiche che fanno sì che sia qualcosa che è. L’essere può venir considerato come
unità del molteplice ma un’unità come essenza di una molteplicità che rimane lì e non viene
annullata in un’unità superiore. I pluralisti invece mantengono l’esistenza di certi enti ma
dimenticano di considerare l’essere come la classe che permette che quegli enti siano. Ci
sono poi i materialisti e gli “amici delle forme”. I materialisti pensano che tutto sia corporeo
ma sbagliano perché ci sono cose come la giustizia che non lo sono. Gli amici delle forme
sostengono invece la forma più ingenua della teoria delle idee secondo cui queste sono
immobili,eterne, fisse ed escluse al pari dell’essere parmenideo da qualunque tipo di
divenire. L’essere è infatti ciò che ha anche la minima potenza di agire e di subire
intendendo che essendo oggetto di indagine l’essere così come le idee gode di un
movimento passivo che gli permette di essere conosciuto. Le idee platoniche sono dunque
ben diverse dall’essere di Parmenide segregato dalla vita dell’uomo e dall’attività di
conoscenza.

LA DIALETTICA
Platone ha definito le caratteristiche che un ente deve avere per essere pensato come
esistente. Per Platone la realtà è in parte mobile e in parte immobile. Il non essere come
divenire può essere facilmente ammesso se attribuito alla realtà sensibile mentre per il non
essere come falso da un punto di vista logico-semantico Platone introduce una riflessione
sui generi. L’essere è in genere di cui tutti i generi partecipano perché più in generale si
pone come la classe al cui interno sono presenti tutti quegli enti di cui si può dire che sono.
La dialettica si pone come lo studio delle relazioni tra i generi ma, poiché questi sono
infiniti, risulterà impossibile definire in modo esaustivo tutti i generi e i loro rapporti. Platone
distingue cinque generi sommi: essere,moto,quiete,identico e diverso. Ogni genere è
identico a sé stesso e diverso dagli altri, attraverso il genere del diverso si può spiegare il
non essere intendendolo non come l’opposto dell’essere ma come il diverso rispetto a un
altro genere. Platone con tale concezione della dialettica ribadisce la conoscenza come via
media tra ignoranza e conoscenza e come indagine che si serve dei logoi.

IL FILEBO
Il Filebo è un dialogo in cui Platone riflette sulla vita filosofica e più in generale sulla natura
della vita buona. In questo il Filebo costituisce uno sviluppo della Repubblica dove Adimanto
aveva chiesto a Socrate cosa fosse il bene. Per Protarco e Filebo il bene è piacere mentre
per Socrate è conoscenza. L’indagine sul bene è posta sul versante antropologico e ha
come oggetto la realtà sensibile. Tema chiave di questo dialogo è anche il rapporto unità e
molteplicità, Socrate cerca di capire qual è l’elemento che fa sì che tutti i piaceri siano
buoni per dimostrare che il bene è piacere. Allo stesso modo per confermare la tesi di
Socrate bisogna vedere qual è l’elemento presente in tutti i generi di conoscenza che fa sì
che il bene sia conoscenza. Il problema è dunque capire come raccogliere sotto un unico
concetto elementi che sembrano diversi. Viene anche posto il problema di capire se esistono
unità come l’uomo, il bue, il bene e il bello per capire se è necessario porle, vederle come
esistenti al di là della corruzione e capire che rapporti intrattengono con gli enti sensibili. Il
rapporto unità-molteplicità non è più visto come un rapporto di opposizione polare perché
tutta la realtà è permeata da questo principio e tutte le cose sono in parte unitarie e in parte
molteplici. Platone sembra ammettere un’unità suprema e assoluta che è quella dell’uno-
bene e al di sotto le idee come unità del molteplice. La realtà è invece una commistione tra i
due concetti. L’uomo può conoscere la realtà indagando la relazione uno-molti attraverso la
dialettica ma questo avviene sempre nei termini di un sapere approssimativo e di una
seconda navigazione rispetto a un sapere certo.

I QUATTRO GENERI
Il bene è ciò che gli uomini cercano di per sé ed è comprensivo della felicità; questa in una
prospettiva divina può essere pura conoscenza ma in una prospettiva umana deve essere
conoscenza e piacere. Per capire chi tra conoscenza e piacere prevalga Platone cerca di
definire il bene e su di esso fonda la vita buona. Platone descrive così la teoria dei quattro
generi che sono limite,illimitato, mescolanza dei due e causa della loro unione. Il limite
e l’illimitato sono i principi di cui sono fatte le cose e al limite appartengono elementi come gli
enti geometrici mentre all’illimitato il piacere. Il mito di limite e illimitato dà origine alle cose
mentre il limite è da intendere come il principio buono che limita e ordina le cose. La causa
dell’unione di limite e illimitato è proprio il limite che appare come causa finale e ordina la
realtà per il meglio. La conoscenza appartiene al genere della causa mentre il piacere al
genere dell’illimitato.

Per quanto riguarda il piacere Platone distingue tra piaceri puri e piaceri non puri, questi
ultimi sono uniti al dolore e il piacere per Platone deve necessariamente essere puro; i
piaceri si distinguono poi in piaceri del corpo e dell’anima e derivano da una contemplazione
disinteressata. Socrate divide poi le scienze in pure e impure. La conoscenza ha i caratteri
della proporzione,della bellezza e della verità, per questo si avvicina di più al bene rispetto a
quanto faccia il piacere. Socrate da così una scala del bene che è composto dal piano più
alto da piacere e scienza, poi da bellezza e proporzione, poi da intelligenza, in seguito dalle
scienze e infine dal piacere puro. Platone cerca così di definire un modello realistico di vita
buona che tenga conto delle imperfezioni della natura umana e del principio generale che
vuole che la filosofia sia l’attività più elevata.

IL TIMEO
Il Timeo è un celebre dialogo in cui viene descritta la fisica di Platone con la spiegazione
dell’origine del cosmo e dei suoi componenti. Prendono parte al dialogo Timeo filosofo
pitagorico, Socrate e Crizia. Timeo descrive la genesi del cosmo ma avverte i suoi
interlocutori di narrare un mito perché non ci può essere una verità stabile di ciò che è in
continuo divenire ma soprattutto perché l’uomo non ha accesso a una conoscenza che vada
oltre il grado del giudizio. Timeo tiene presente la distinzione tra realtà sensibile diveniente e
la realtà ideale fissa e immutabile e sostiene che il cosmo è opera di un artigiano o
Demiurgo. Il Demiurgo costruisce il cosmo a partire dal modello ideale dando vita a una
realtà improntata al bene. Il demiurgo si pone come la causa finale che agisce in virtù della
propria bontà. L’ordine prospettato di Timeo è l’ordine matematico perché il dialogo risente
della riduzione della teoria ad azione del limite sull’illimitato o dell’uno sul molteplice.
L’universo delineato da Timeo si pone come intrinsecamente buono per l’azione buona del
Demiurgo e per l’ispirazione al modello ideale che contiene tutte le forme reali. Il cosmo è
un’unità di parti, è vivo ed è caratterizzato dalla presenza dell’intelletto. Il mondo è generato
e sensibile, è costituito dai 4 elementi aria,acqua,terra e fuoco. Il cosmo è immune dalla
corruzione, è sferico e si muove di moto circolare. Poiché è vivo è anche costituito da
un’anima che Timeo spiega essersi formata dall’unione dei tre principi di essere,identico e
diverso. Il cosmo si pone a metà tra ciò che è visibile e ciò che è invisibile e permette la
conoscenza di due estremi. Dopo aver creato il cosmo il Demiurgo diede vita al tempo
rendendo così eterno il mondo. Platone distingue ciò che è eterno nel tempo e ciò che è
eterno perché va al di là del tempo. Le idee sono eterne al di fuori del tempo mentre il
mondo preso come totalità caratterizzata dal moto e dall’anima è eterno nel tempo, è eterno
a partire dalla creazione del tempo a opera del Demiurgo. La realtà sensibile è posta nel
tempo e sottoposta al continuo divenire. Anima,mondo e tempo si pongono come eterni nel
tempo nel senso che durano sempre ma dipendono dalla realtà ideale che trascende il
tempo. Il Demiurgo dopo aver creato il tempo e l’anima dà vita ai pianeti, al sole, al giorno e
alla notte, segue poi la creazione delle specie viventi; prima gli dei che vengono creati come
astri e come dei dell’olimpo, poi è il turno delle specie viventi. Il Demiurgo dà vita alle anime
individuali mentre gli altri dei si occupano dei corpi.

LA CHORA
Timeo ha finora esposto le opere dell’intelligenza e ora procede con quelle della necessità.
Il cosmo si determina come una creazione a partire a una persuasione del principio
dell’intelligenza su quello della necessità e tale persuasione richiama quella della
componente razionale su quella concupiscibile nella Repubblica e quella del cavallo docile
su quello riottoso nel Fedro. Il cosmo si pone come la copaive modello quindi non è buono
nella sua essenza ma lo è per l’azione del Demiurgo; la resistenza che si oppone alla sua
opera è la causa necessaria che si può innanzitutto definire come la materia primordiale che
esiste prima della differenziazione delle forme. La creazione può essere spiegata nei termini
del concepimento, in questo modo il modello è il padre, la realtà sensibile il figlio e la madre
si pone come il luogo in cui si imprime la forma, il limite. Ad essa corrisponde la materia che
si pone come ciò di cui sono fatte le cose e come il luogo in cui sono fatte le cose; la materia
è anche definita come chora, regione, spazio. Gli enti sono ciò che viene a prodursi nella
materia e sono sottoposti al mutamento. La materia e le forme invece sono ciò che non
diviene. La chora è anche l’ultimo residuo di realtà, il limite ultimo dell’azione di produzione
ma poiché da un punto di vista fisico gli enti esistono sempre come enti determinati e posti in
un certo spazio ecco che la chora come pura materia non esiste così come non esiste di per
sé il divenire. La chora è l’organizzazione della materia secondo determinate forme e solo
a livello teorico esiste come il limite ultimo della produzione oltre cui non c’è niente. I quattro
elementi dispongono di forma e sono intelligibili. Il richiamo all’ordine e al numero è principio
di bene e di razionalità.

Timeo espone anche una teoria atomistica in cui gli enti sono costituiti nelle loro più piccole
parti da figure geometriche varie, in questo modo anche elementi come il fango e lo sporco
rientrano all’interno di un ordine generale. L’atomismo permette a Platone di spiegare
attraverso l’aggregazione e la disgregazione degli atomi il mutarsi di certi oggetti in altri.
Rispetto a Democrito Platone pone a fondamento della un ordine razionale e intelligibile non
necessario. L’anima è divisa nelle tre parti già delineate nella Repubblica ma solo la parte
razionale è immortali. Le funzioni psichiche vengono distribuite su altrettanti parti
dell'organismo che sono la testa, la sezione che va dal collo al diaframma e quella che va
dal diaframma all’ombelico. Il dualismo anima corpo è drasticamente ridimensionato a
favore di un equilibrio psicosomatico in cui l’anima ha influenza sul corpo e il corpo
sull’anima. Il benessere dell’individuo passa quindi per una cura sia dell’anima che del
corpo.

IL POLITICO
Il Politico è la diretta continuazione del Sofista e ha come oggetto l’indagine sulla natura
del politico che avviene attraverso il metodo dicotomico e la relazione uno-molti. La prima
definizione di Politico è la definizione di un individuo dotato di una scienza teorica
finalizzata alla cura dell’uomo; è un’immagine tradizionale che vede il politico come pastore
di popoli e inoltre se quella è la sua definizione allora anche un maestro di ginnastica o un
medico potrebbe fare il politico. Lo straniero narra un mito cosmico in cui dice che
originariamente il cosmo era sotto il diretto controllo di Crono che aveva posto a a governo
degli uomini dei demoni ma che ora ci troviamo nella fase in cui gli uomini da soli devono
organizzarsi e comandarsi. Platone prende qui le distanze dai fondamenti della Repubblica
perché costituivano delle idee limite a cui era possibile ispirarsi ma che non potevano essere
tradotte in chiave pratica. Platone non pretende più che il politico abbia un sapere tecnico
del bene perché è consapevole che questo è impossibile e fa una serie di mediazioni
rispetto al programma della Repubblica così da creare lo spazio per una relativa
realizzazione del bene. Nella definizione del politico si procede prima a una divisione della
tessitura e delle arti a essa collegate e allo stesso modo con la definizione dell’arte politica
si arriva a definire le altre discipline ad essa collegate. Se nel modello ideale il potere era
affidato a tecnici caratterizzati da una conoscenza scientifica del bene ora, nella copia
pratica è necessario trovare un elemento su cui fondare la vita politica. Platone lo trova nelle
leggi che in assenza di un sapere tecnico dell’arte politica sono chiamate a regolare la vita
comunitaria. Vengono così definiti i vari regimi politici presentati nella forma buona e in
quella cattiva. Il criterio di questa divisione è dato dal numero dei partecipanti al potere e dal
rispetto delle leggi. La forma ideale è quella del governo di uno o pochi sapienti mentre le
forme concrete sono monarchia che può degenerare in tirannia, aristocrazia che trova il suo
corrispettivo negativo nella oligarchia e democrazia che può presentarsi in forma buona o
cattiva. Nel Politico la seconda navigazione indica che in assenza di una politica fondata
sulla conoscenza sostanziale del bene che rappresenta la prima navigazione, è necessario
procedere con l’impiego delle leggi fondate sulla tradizione e sull’esperienza dei legislatori. I
politici dovranno persuadere i cittadini a rispettarli ed ecco che compare la retorica come
disciplina subordinata alla politica.

LEGGI
Le Leggi sono l’ultima opera scritta da Platone, alcuni l’hanno considerata spuria e altri
hanno messo in evidenza l’assenza di principi metafisici, la bassezza dello stile. In realtà
anche qui è presente una struttura metafisica e viene descritto sì un modello ideale ma più
facilmente imitabile di quello presentato nella Repubblica. A condurre il dialogo sono tre
amici, uno spartano, un ateniese e un cretese. Essi discutono delle costituzioni delle loro
città e l’ateniese fa notare che le costituzioni di Sparta e di Creta mirano perlopiù a
sviluppare la virtù del coraggio ma nota che è doveroso far sviluppare anche le altre tre virtù
ossia intelligenza, giustizia e temperanza. In questo Atene riveste un ruolo di primo piano
perché insegna la moderazione dei piaceri organizzando simposi e banchetti, stimola gli
impulsi irrazionali così che siano corretti e regolamentati dalla ragione e dalle leggi e
ammette la poesia nella sua forma educativa. L’ateniese passa poi a descrivere la
formazione dello stato sottolineando che dopo eventi naturali distruttivi i pochi uomini vivono
sulle montagne in pace e si rallegrano ad incontrarsi; quando le comunità crescono e gli
uomini scendono dalle montagne per fondare le città inizia una progressiva corruzione
perché accade che al potere salgono individui che non hanno conoscenza del bene e che
non permettono la felicità dei cittadini. L’ateniese dice poi che la forma politica migliore è una
commistione di monarchia e democrazia e cita il buon ordinamento della monarchia
persiana fondata inizialmente sulla libertà di parola e sulla tolleranza e, accanto ad essa,
ricorda i bei tempi in cui ad Atene la democrazia non era incontrollata ma aveva precisi
paletti.
Con il quarto libro lo spartano dice di aver ricevuto il compito di redigere con altri nove le
leggi di una colonia che la sua città si apprestava a fondare e così la discussione si sposta
sulle leggi. L’ateniese che il regime politico migliore è quello in cui un individuo prende
potere e agisce sulla base della virtù e della conoscenza, poi narrando il tempo di una
mitica età dell’oro in cui il governo era retto direttamente da Crono, si passa alla descrizione
di una copia che possa essere il più simile possibile al modello. Se nel modello vi è il
governo di un dio nella copia il fondamento della vita etico-politica è rivestito dalle leggi;
esse hanno il compito di regolare la vita dei cittadini e di promuovere il bene. Si fondano su
determinati principi tra cui il rispetto degli anziani,dei familiari e degli ospiti e presentano un
carattere sia persuasivo sia coercitivo. Poiché infatti nessun uomo ha conoscenza tale da
avere un potere repressivo questo viene conferito alle leggi che comunque sono create
dagli uomini per gli uomini e hanno un carattere persuasivo con cui si cerca di convincere
gli uomini della bontà della legge. Il proemio preposto alle leggi svolge la funzione di
persuadere gli uomini che le leggi sono i garanti del bene e della giustizia e che rispettando
esse si potrà compiere una vita buona.

LO STATO
L’obiettivo dello stato è quello di garantire la felicità dei cittadini che è possibile solo se
regna la concordia tra essi e quindi solo se c’è un’eguaglianza economica perchè le
ambizioni di guadagno e le disuguaglianze economiche sono la causa maggiore dei conflitti.
Per questo lo stato dovrà avere un numero fisso di famiglie con un’eguale distribuzione di
terre e oltre ciò ci sarà una serie di regole che dovranno far sì che la distribuzione delle
ricchezze non vari sensibilmente. Nella Repubblica, Platone puntava sull’eccellenza dei
governanti, nelle Leggi preferisce invece una bontà relativa di cui siano autori tutti i cittadini.
Nelle Leggi c’è anche un maggiore rispetto delle tradizioni che nella Repubblica erano del
tutto sottomesse alla ragione. Le leggi non devono essere idolatrate ma confrontate con gli
avvenimenti per vedere se davvero efficaci. Chi prende il potere deve agire in modo buono
esercitando comportamenti virtuosi. Le cariche son elettive, il voto è obbligatorio per gli
esponenti della prima e seconda classe mentre è facoltativo per chi appartiene alla terza e
alla quarta classe. Lo stato deve fondarsi sull’uguaglianza che si configura sia come equa
distribuzione dei beni che come assegnazione di beni secondo la virtù. Platone ammette
così, pur in forma ridotta, la pratica della distribuzione di cariche per sorteggio. Le donne
hanno la stessa condizione degli uomini, mentre gli schiavi devono essere trattati in modo
giusto ma non come dei familiari altrimenti perderebbero l’attitudine a obbedire.
L’educazione dovrà sviluppare sia il corpo che la mente e i poeti dovranno conformarsi
discorsi giusti ed educativi sul modello di quelli fatti intorno alle leggi. Platone nota che è
importante che nello stato venga a sedimentarsi un certo costume educativo perché questo
abbinato alle leggi riuscirà a creare buoni cittadini. La giustizia nello stato si fonda sull’idea
che chi avrà commesso un crimine dovrà essere educato e non punito perché nessuno
commette il male volontariamente. Platone spiega infatti che se si è commesso un danno ci
dovrà essere un risarcimento corrispondente e che si dovrà far conoscere cosa è bene a chi
ha sbagliato. Il male però non è solo un vizio di ignoranza ma può giungere anche quando si
viene sopraffatti dai desideri e dalle pulsioni. Le persone che si dimostreranno inguaribili
perché corrotti nel profondo dell’anima dovranno subire la pena capitale.

I LIBRI X-XII
Platone pone qui la necessità etica e politica dell’esistenza degli dei che pone come i
garanti della giustizia e del bene. Particolarmente lungo è qui il proemio che deve
persuadere gli uomini dell’esistenza degli dei. A favorire la diffusione dell’ateismo sono stati i
filosofi della natura, i sofisti e gli immoralisti. I filosofi della natura hanno cercato le cause
nella realtà fisica trascurando le cause finali e negando ogni principio metafisico mentre i
sofisti hanno contribuito a far decadere l’idea di un bene sostantivo a favore di una morale
relativa dettata dagli usi e dai costumi. Gli dei sono per Platone il fondamento del bene
della vita etica nella comunità per questo passa a rendere ragione della loro esistenza; tutte
le cose avvengono grazie al movimento ma il movimento primordiale è che quello che
muove sé stesso ossia il moto dell’anima quindi, poiché il moto più perfetto è quello degli
astri, essi sono delle divinità animate da anime di gran lunga migliori di quelle umane. Per
spiegare il problema del male alla luce dell’esistenza degli dei Platone sostiene che esso
deriva dall’uomo che come essere libero è in grado di compiere il bene e ma anche il male.
L’ultimo problema che Platone affronta è quello di capire come le leggi potranno rinnovarsi
e rimanere stabili nella comunità; dovranno pensarci i membri del consiglio notturno che
altro non sono che la controfigura dei governanti della Repubblica. Essi sulla base della loro
conoscenza dovranno promuovere la virtù e il consolidamento/miglioramento delle leggi.

LE DOTTRINE ORALI
Il ruolo delle dottrine orali non essere sopravvalutato o negato ma deve essere considerato
come un ulteriore elemento utile per comprendere il pensiero di Platone. Nelle teorie orali
Platone elabora e porta avanti quei principi metafisici che devono essere causa del valore e
del bene che si riscontrano nella realtà. Platone risente dell’influenza dei pitagorici e associa
al bene ciò che ordinato,proporzionato, razionale. Nelle dottrine orali Platone vuole rinvenire
come nel resto della produzione il modello del bene per costruire su di esso la vita pratica.
Per questo Platone si muove con il principio che va dalla molteplicità all’unità e pone al
vertice di tutto l’uno che come dicevano già i pitagorici e come emerge nella Repubblica
coincide con il bene. Accanto all’uno Platone pone un secondo principio, “grande e
piccolo” che è il principio della molteplicità. Se l’uno è sopra l’essere, la molteplicità è al
di sotto perché gli enti sono un misto di unità e di molteplicità. Il diverso grado con cui
qualcosa si avvicina all’uno indica anche il suo valore e se l’uno è principio del bene, il
molteplice è principio del male. Sotto i principi ci sono gli enti ideali così divisi: i numeri e le
figure ideali, le idee generalissime o metaidee, le idee generali e particolari. La novità
consiste nell’inserzione delle idee numeri. Tra gli enti ideali e le cose sensibili vi è poi la
quarta classe degli enti matematici veri e propri che comprendono oggetti della geometria
piana , solida, dell’astronomia e della musica. Tali enti sono costituiti da unità singole e da
linee indivisibili che a loro volta derivano dall’azione del grande sul piccolo. Questa struttura
di unità e molteplicità è comune anche agli elementi corporei. Platone distingue anche enti
che esistono di per sé ed enti che esistono per altri. I per sé indicano le idee che esistono da
sé mentre i per altri sono le cose che esistono in quanto partecipano delle idee. L’azione di
unità e molteplicità sembra ridurre l’opposizione delle due realtà. Il senso ultimo della
metafisica di Platone sembra essere il principio di unità e molteplicità su cui si fonda
l’organizzazione dell’essere. Accanto al principio primo dell’uno-bene vi è quello della
molteplicità che esiste sempre in relazione e combinata all’unità.

Você também pode gostar